Bollettino_Salesiano_201512

Bollettino_Salesiano_201512



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IL
DICEMBRE
2015
L'invitato
Don
Ricchiardi
A tu per tu
Ragazzi
di strada
Verrà?
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don Bosco
Valsalice
Il Giubileo
in famiglia
La cortesia

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La fontana
di Casa Pinardi
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nel cortile dell’Oratorio di Valdocco c’era la fontana dalla
quale “per mezzo di una pompa azionata a mano usciva
acqua fresca e buona, in grande abbondanza” per tutti i
ragazzi. La fontana esiste ancora tutt’oggi, anche se, con
il passare del tempo, è stata un poco modificata (Me-
morie Biografiche II, 401; Memorie dell’Oratorio, terza
decade, n. 15).
Non ero nient’altro che una fontana
addossata al muro di un povero edificio
nella periferia di Torino, proprietà del
signor Pinardi. Una pompa, da mano-
vrare a mano, faceva uscire l’acqua dal
pozzo cui ero collegata. Il rubinetto era
collegato alla bocca di un tetro leone fatto di ghi-
sa. I miei primi anni di vita sono stati tristi e bui.
Da me, infatti, arrivavano i clienti di un’osteria di
pessima fama chiamata “La Giardiniera”.
Un giorno di primavera, però, tutto cambiò.
All’improvviso mi vidi circondata da una marea
di bambini e ragazzi che cantavano e giocavano.
Quell’umile edificio in cui mi trovavo si trasfor-
mò in una casa per ragazzi senza dimora: l’Ora-
torio di Valdocco. Il giovane sacerdote, che tutti
chiamavano don Bosco, era per loro un padre,
un maestro e un amico.
Una buona mamma, chiamata Margherita, ve-
stiva poi l’intera casa di grande affetto. Animata
quindi da questi esempi, iniziai a collaborare al
loro progetto con tutte le mie forze. E così, ogni
volta che uno di quei giovani veniva da me, face-
vo sgorgare l’acqua più limpida del pozzo.
Seguendo l’esempio di don Bosco e mamma
Margherita, trasformavo la mia umile acqua in
carezze materne, togliendo le macchie di fulig-
gine dai volti degli spazzacamini; donavo loro
un sorriso pulito dopo estenuanti giornate di
lavoro. E quante volte ne ho asciugato le lacrime.
Ho cancellato i solchi della solitudine sulle loro
guance. Sono stata quell’acqua ricca di dignità
per quelle piccole mani piene di calli al ritorno
dalle fabbriche e dai laboratori. Ho dissetato
tantissime bocche di giovani, facendo in modo
però che si abbeverassero di un’acqua che li
rendeva “buoni cristiani ed onesti cittadini”. Ho
guarito le ferite di tante ginocchia sbucciate da
audaci azioni di gioco. Mi sono inoltre specia-
lizzata nell’arte di ammorbidire il pane indurito,
che era quel poco che avevano come merenda e
colazione. E non solo: con impegno, alla fine,
ero anch’io riuscita ad imparare a memoria la
canzoncina che i giovani dell’Oratorio mi aveva-
no dedicato.
Se passate di qui e fate attenzione potete sentire
che la mia acqua ancora sussurra la canzoncina
del primo oratorio di don Bosco. Perché sono an-
cora qui: da più di un secolo, sempre appoggiata
allo stesso muro. Offro ancora oggi ai pellegrini
il miracolo dell’acqua. Venite a cercarmi.
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Dicembre 2015

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IL
DICEMBRE 2015
ANNO CXXXIX
Numero 11
IL
DICEMBRE
2015
L'invitato
Don
Ricchiardi
A tu per tu
Ragazzi
di strada
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don Bosco
Valsalice
Il Giubileo
in famiglia
La cortesia
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Verrà?
In copertina: Avvento, tempo di attesa, tempo di quella
domanda fondamentale: «Verrà finalmente il Messia?
Lasceremo finalmente nascere Gesù in mezzo a noi?»
Ne abbiamo un bisogno lancinante. (Foto Shutterstock)
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
India: I bambini del binario 6
10 A TU PER TU
Ragazzi di strada
12 FINO AI CONFINI DEL MONDO
14 FMA
16 L’INVITATO
Don Ricchiardi
20 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
La cortesia
22 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Volontari Con Don Bosco
26 LE CASE DI DON BOSCO
Valsalice
30 STORIE SALESIANE
L’Immacolata in trincea
33 LE NOSTRE EDITRICI
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Un’esistenza sottovuoto
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
16
22
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Simona
Bisin, Valerio Bocci, Pierluigi
Cameroni, Cipriano Demarie,
Roberto Desiderati, Ángel Fernández
Artime, Roberto Gontero, Cesare
Lo Monaco, Marina Lomunno,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Kirsten Prestin, Ambrogio Rossi,
Simone Utler, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Agustin Pacheco (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
I bambini non conoscono
la parola “razza”
Che vuol dire
“ ” la nascita di Gesù?
Starò accanto a te,
non ti dimenticherò!
(Annetta, 7 anni)
Grazie, Signore,
di mantenere i contatti
tra la terra
e il Paradiso
(Ninnina, 12 anni)
Ho visto una fotografia di due bambini,
due o tre anni, uno di pelle nera e l’altro
di pelle bianca. Il bambino di pelle nera
accarezzava con affetto istintivo il bam-
bino bianco. La commozione di un gesto
così naturale mi ha offerto lo spunto per
il messaggio e l’augurio che voglio indirizzarvi
per questo Santo Natale 2015.
Mia carissima Famiglia Salesiana sparsa in tut-
to il mondo, amiche e amici di don Bosco, del
suo sistema educativo e delle sue opere, stiamo
attraversando un periodo di tempo tragicamente
intessuto di violenza, di paura e persecuzioni in-
sensate, un tempo di odio e discriminazioni, un
tempo armato. Forse mai l’umanità ne ha vissuto
uno uguale.
Logicamente non dimentico la prima e la secon-
da guerra mondiale, che non possiamo cancellare
dalla nostra memoria culturale affinché mai più
si ripeta qualcosa di così tremendo. Ma ugual-
mente non posso non avvertire dolorosamente
questa ondata di violenza che sta travolgendo il
nostro mondo.
Quando cominciavamo a pensare che con la fine
della “guerra fredda” tra i due grandi blocchi il
mondo si fosse incamminato verso una pace lun-
ga e stabile, è scoppiata una ridda di conflitti
grandi e piccoli, radicati nel terrorismo, in una
aggressività selettiva, calcolata freddamente che
è sfociata in vere e proprie guerre civili. Quello
che capita in Siria e l’esodo mai visto prima sono
l’espressione più evidente di tutto questo. Tutti ne
siamo sorpresi e sconvolti.
Ci chiediamo: che cosa ci sta succedendo?
Dov’è finito il nostro umanesimo profondo?
Che ne è stato della ricerca del bene comune,
del benessere per tutti? Dove sono i risultati
tanto attesi e i successi annunciati e sperati da-
gli accordi di tutti i popoli in seno all’Organiz-
zazione delle Nazioni Unite? Da dove nascono
tutte queste ideologie crudeli e devastatrici? A
che cosa servono tutti gli sforzi dei Nobel della
Pace?
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Io guardo i due bambini, uno bianco
e l’altro nero, e penso che quella sia
la risposta.
I bambini non conoscono la
parola “razza”, né le ideo-
logie che segregano e ucci-
dono. Per questo sono capa-
ci di essere amici.
Il punto d’arrivo del nostro di-
scorso lo abbiamo letto tante
volte nel Vangelo: solo un cuore
puro, incorrotto e incontami-
nato, come quello dei bambini,
entrerà nel Regno dei Cieli.
È Natale e celebriamo proprio
questo Mistero dell’Amore
Folle di Dio, come scrisse Paul
Evdokimov. Questo è il mistero
dell’Incarnazione, un Amore Folle per la creatu-
ra umana e per il mondo che ci ospita. E questa
creatura umana, in troppi movimenti e regioni,
in eventi e sussulti quotidiani, percorre la stra-
da della violenza, del dolore, del terrore e della
morte.
“Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un fi-
glio” (Is 9,5) dice la Sacra Scrittura. Un bambino
che come i bambini di tutti i tempi non conosceva
ideologie e differenze. Un bambino vero messag-
gero di Pace, volto umano di Dio, destinato ad
attraversare la violenza e la morte cruenta.
Amici e amiche mie, carissimi lettori e lettrici:
lasciamo che il nostro cuore si senta toccato da
questo caldo invito alla pace, alla fine di ogni
ideologia e pregiudizio, alla ricerca di una frater-
nità reale.
Si può. Questo ideale di umanità non è ideologia,
è un sogno che si fa realtà, a scala ridotta, nella
misura in cui ciascuno di voi e io stesso facciamo
un qualsiasi gesto di vera umanità, un qualunque
abbraccio che superi il colore della pelle, ogni in-
contro autenticamente umano e pieno di rispetto
che superi ogni disuguaglianza e ogni diversità.
Vi invito allora a vivere questo Natale con un
po’ di follia, rispondendo all’amore folle di Dio,
sognando alla grande, ma traducendolo in gesti
semplici e concreti.
Credetemi: se la violenza è un virus che si tra-
smette, che contagia e si apprende nella vita
quotidiana, così la tenerezza, il rispetto, la ri-
conoscenza, il calore e l’amabilità, pur tenendo
conto delle differenze individuali e di ruolo,
come le altre dimensioni di una vita pienamente
umana, si apprendono e si trasmettono di perso-
na in persona.
E tutti insieme, passo dopo passo, anche nei ge-
sti più quotidiani, proclamiamo: no all’assedio e
alla crescita della violenza! Perché vogliamo essere
come bambini e non conoscere ideologie che divi-
dono e uccidono e perché un bambino è nato per
noi, ci è stato dato un figlio, il Figlio di Dio, in questo
Natale che è per sempre.
Che Dio-Amore benedica voi e le vostre famiglie.
Buon Natale in questo anno di grazia che è sta-
to il Bicentenario della Nascita di san Giovanni
Bosco.
La foto dell’ultima
campagna della
Procura Salesiana
di Madrid che ha
suggerito il tema
del messaggio
del nostro Rettor
Maggiore.
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SALESIANI NEL MONDO
DON BOSCO MISSION / SIMONE UTLER (Don Bosco Magazin)
TRADUZIONE DI MARISA PATARINO
I bambini del binario
Vivono sui marciapiedi, devono mendicare,
rubare o impegnarsi nel lavoro minorile
e non vanno a scuola.
Sembra incredibile, nell’India del successo
economico sono ancora molti i bambini
che vivono nelle strade.
A Nuova Delhi don Bosco offre loro
la possibilità di scegliere un’altra vita.
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Dev procede a passi veloci e sicuri sulle ro-
taie. È a piedi nudi. I piccoli piedi sporchi
del dodicenne avanzano sui puntelli me-
tallici su cui un treno ha appena termina-
to il suo viaggio con grande stridore.
Dev non ha bisogno di trovare l’equilibrio.
Riesce a tenere tranquillamente le mani nelle ta-
sche della giacca troppo grande e consumata che ha
ricevuto da un’associazione benefica. Segue questo
percorso più volte al giorno. Vive nella stazione.
Dev vive nella stazione di Nuova Delhi dal 2012.
A volte ha dormito lungo il binario 6, a volte ac-
canto al binario 9, sempre insieme al suo gruppo.
«Qui ci sono il mio amico Anil e altri ragazzi»,
spiega. È scappato di casa perché suo padre lo
picchiava. Adesso insieme ai suoi amici raccoglie
i vuoti delle bottiglie d’acqua. I bambini salgono
sui treni, chiedono le bottiglie vuote ai passeggeri
sui marciapiedi e rovistano tra la spazzatura. Poi
vendono le bottiglie ai negozianti. «Guadagno da
200 a 300 rupie al giorno», spiega il ragazzo. Si
tratta dell’equivalente di circa tre o quattro euro.
Picchiati e sfruttati
Sebbene sia incredibile, molti bambini e giovani,
soprattutto ragazzi, vivono per le strade di Nuova
Delhi e nelle stazioni ferroviarie. I numeri esatti
non sono noti. Il Centro Don Bosco Ashalayam
di Nuova Delhi si prende cura dei bambini di
strada. Ogni anno, i Salesiani e i loro collabora-
tori incontrano oltre 4000 bambini.
Molti di questi bambini sono andati via di casa.
Don George Nadackal, il direttore del Centro
Ashalayam, parla delle illusioni che i bambini al-
bergano in merito alle metropoli indiane: «Spesso
la grande città esercita un fascino speciale su di
loro. Appena arrivano nelle stazioni, comincia la
loro vita ricca solo di miseria». I ragazzi vagano
qua e là e mendicano, cercano qualcosa da man-
giare, protezione da parte della polizia e un posto
per dormire. «E sono sfruttati come manodopera a
basso costo, ad esempio come lavapiatti nelle sale
da tè. Ci sono molte persone per le quali questi
ragazzi sono una facile preda», dice don George.
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Molti di loro finiscono per vivere nella stazione di
Nuova Delhi. «È questo il motivo per cui siamo
particolarmente presenti qui», ha detto il diretto-
re del Centro Ashalayam.
Complessivamente otto collaboratori si alternano
lungo le strade di questa città che conta oltre 15
milioni di abitanti.
Nella Casa gestita dai Salesiani arrivano anche
ragazzi arrestati dalla polizia o liberati dallo
sfruttamento del lavoro minorile. Più raramente
si incontrano ragazze indiane che vivono per le
strade. «È più facile che siano vittime della tratta
di esseri umani e costrette a esercitare la prostitu-
zione», dice don George.
Il Salesiano siede in un ufficio della Casa princi-
pale del Centro Ashalayam. L’edificio di tre piani
a forma di V è ubicato a Palamgaon, un quar-
tiere borghese nella parte sud-orientale di Nuova
Delhi. Attualmente ospita circa un centinaio di
ragazzi. Alcuni di loro giocano a basket, a calcio
e a cricket nel cortile, uno percorre lo spazio con
i pattini a rotelle.
Vijay, un bambino di dieci anni, esce dal campo
da basket, siede sulle scale che fronteggiano l’in-
gresso principale e parla dell’esperienza che lo ha
condotto al Centro Ashalayam.
«Ero nel bosco insieme alla mia famiglia a rac-
cogliere legna. Poi, all’improvviso, tutti sono an-
dati via». Il bambino ha lunghe ciglia ricurve, un
grande neo sulla guancia sinistra, l’incisivo sini-
stro spezzato. Mentre parla, Vijay si tormenta le
mani e tiene gli occhi rivolti verso il basso. Non
sa dove sia la sua casa e non è neppure in grado
di dire quale sia il bosco in cui ha perso la sua
famiglia. «In un bosco», si limita a dire.
Dal 2012
il dodicenne Dev
vive nella stazione
ferroviaria di
Nuova Delhi.
Gli operatori
del Centro
Don Bosco si
prendono cura
di lui.
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SALESIANI NEL MONDO
Lo scrigno dei
tesori di Vijay:
L’armadietto
nella camera da
letto presso il
Centro Ashalayam
contiene tutto ciò
che è importante
per questo
bambino di dieci
anni.
Senza un orientamento e completamente indife-
so, un giorno Vijay arrivò nella stazione ferrovia-
ria. «Avevo tanta fame. Una signora mi diede una
banana e acqua. In un piccolo mercato rubai un
po’ di frutta».
Vijay decise di rimanere là. Insieme a un paio di
altri ragazzi cercava riparo per la notte in case
vuote o sotto i ponti. Fu arrestato e venne con-
dotto al Centro Ashalayam. Era il 2011.
«All’inizio ho pianto molto. “Per quale ragione
mi hanno portato in questo posto? Perché mi
trovo qui?”, mi domandavo spesso». Un giorno
Vijay andò a scuola con un ragazzo che era già
fuggito più volte dal Centro. Scapparono insieme,
ma furono ritrovati molto in fretta. Nel frattem-
po, il bambino ha cominciato a trovarsi bene nel
Centro Ashalayam. Adesso frequenta la quarta
elementare e ha trovato vari amici. «Penso sia
straordinario che qui io possa avere da mangiare
e dormire. Mi manca però la mia famiglia», dice.
Vijay ha due sorelle più grandi e un fratello mi-
nore. Non sa come stiano. Non ha alcun contatto
con loro. E se la sua famiglia lo cercasse? «Non
è stata presentata nessuna segnalazione di scom-
parsa», spiega don George.
Imparare a vivere
Ogni bambino, ogni giovane che viene indivi-
duato deve essere segnalato al “Child Welfa-
re Committee”, il servizio sociale che si occupa
dell’infanzia. Innanzitutto i Salesiani cercano di
rintracciare le famiglie e di riaccompagnare a casa
i bambini di strada.
Negli ultimi due anni 450 bambini sono stati ri-
condotti nelle loro case.
Chi rimane nella Casa Don Bosco presso il Centro
Ashalayam ha la possibilità di costruire una vita
nuova e positiva. Qui lavorano tre sacerdoti e due
confratelli laici. Oltre a garantire ai ragazzi vitto
e alloggio, offrono loro anche opportunità per il
tempo libero, tra cui si annoverano attività sporti-
ve, gioco, pittura e disegno. Inoltre, naturalmente
i bambini vanno a scuola. Molti di loro imparano
così innanzitutto a leggere, scrivere e contare. «Il
nostro obiettivo principale è infondere nei ragazzi
la fiducia in se stessi e trasmettere loro le nozioni
di base di cui hanno bisogno per imparare a con-
durre una vita indipendente», dice don George.
Arun è un esempio di un’esperienza riuscita. Il
ragazzo ha 22 anni e dal 2000 vive nel Centro
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100 MILIONI
Ashalayam. Ha conseguito il diploma di scuola
media superiore e lavora in una società nell’ambi-
to dell’e-commerce come fotografo. Al momento
guadagna circa 15 000 rupie (circa 215 euro) al
mese. Vive nell’ostello che i Salesiani gestiscono
al servizio dei giovani di età superiore a 18 anni.
Arun ha una famiglia, ma quando sua madre si
ammalò, alcuni anni fa, suo padre lo accompa-
gnò da alcuni lontani parenti in Punjab. I parenti
lo picchiavano. Arun voleva tornare a casa, ma
prese un treno sbagliato e arrivò a Nuova Delhi.
Arun trascorse quattro giorni su un marciapiede.
Non aveva né acqua, né cibo. Conobbe poi i col-
laboratori del Centro Don Bosco Ashalayam. Gli
chiesero se volesse seguirli e Arun accettò.
I Salesiani trovarono la sua famiglia, ma gli fu
permesso di rimanere presso il Centro. «La nostra
famiglia è composta da otto persone e vive in un
piccolo villaggio che conta un centinaio di case. Il
reddito medio giornaliero è pari a 100 rupie. Nes-
suno va a scuola. Se non fossi arrivato al Centro
Ashalayam, non avrei mai avuto la possibilità di
Nel mondo 33 milioni di bambini senza casa vivono con continuità senza i
genitori per strada. 9000 di loro vivono in Germania.
100 milioni di bambini e adolescenti nel mondo si procurano per strada il cibo
necessario per vivere. È un numero superiore a quello degli abitanti dell’intera
Germania!
I dati si basano sulle stime dell’UNICEF e dell’Associazione per i bambini di
strada in Germania.
studiare», spiega. Arun e altri sette giovani l’anno
scorso hanno completato con successo i loro studi
o il loro percorso di formazione nell’ambito della
gestione alberghiera, dei multimedia, del gior-
nalismo, del diritto bancario e finanziario, delle
scienze politiche e della progettazione grafica.
Il dodicenne Dev, invece, non vede la possibilità
di una vita presso il Centro Ashalayam. Riscon-
tra solo che in questa casa si deve vivere secondo
determinate regole. Che ci si deve adattare alla
struttura. Che non è possibile continuare a vive-
re come nella stazione. Comunque, Dev a volte
segue lezioni tenute da un’altra organizzazione
benefica nelle immediate vicinanze della stazione
ferroviaria. E forse un giorno valuterà le possibi-
lità offerte dall’istruzione.
Arun ha compiuto
un salto in una
nuova vita.
I Salesiani gli
hanno permesso
di acquisire
una formazione
professionale e
ora lavora come
fotografo.
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A TU PER TU
KIRSTEN PRESTIN / FOTO: KLAUS ZEUGNER
Vogliamo cambiare con cautela. Spesso sono accompagna-
ti da coetanei che hanno già vissuto
le loro stesse esperienze per la strada,
riescono a stabilire in fretta un contat-
l’immagine dei
to costruttivo con i “nuovi arrivati”, a
costruire un rapporto di fiducia e ad
accompagnarli nelle nostre strutture.
ragazzi di strada
Che cosa attende i bambini
nei vostri Centri?
Le nostre strutture sono case aperte.
I bambini di strada possono venire da
noi quando vogliono. Per la colazione, il
pranzo o la cena. Possono lavarsi e avere
Don Thomas Koshy è il direttore del “Forum Nazionale
Don Bosco per i giovani a rischio” (YAR - Young at Risk)
abiti puliti. L’assistente mostra ai bam-
bini che siamo loro amici e che il nostro
aiuto è incondizionato. La violenza e la
a Nuova Delhi. L’organizzazione si impegna per
il rispetto dei diritti dei ragazzi in India e coordina
droga sono però bandite. Molti ragaz-
zi sniffano colla, perché non possono
permettersi stupefacenti costosi. Noi li
il lavoro degli 84 Istituti “Don Bosco” del Paese. aiutiamo a uscire da questa schiavitù.
Perché il tema dei bambini
di strada in India è così
scottante?
Don Koshy: Nel 2013 abbiamo con-
dotto uno studio sui bambini di stra-
da in 16 città indiane. Solo in queste
città ne vivono circa 116 000. In tut-
ta l’India ve ne sono diversi milioni.
Nel corso del nostro studio abbiamo
parlato con 5000 bambini di strada.
Molti di loro provengono da famiglie
disgregate, nelle quali non vogliono
tornare. Si sono allontanati da casa
innanzitutto per fuggire dalla violen-
za che sperimentavano. Molto spesso
il padre era alcolizzato e picchiava i
bambini. La maggior parte dei ragaz-
zi interpellati per lo studio ha un’età
compresa tra i 12 e i 14 anni. Ve ne
sono però alcuni di appena sei anni.
Per molti spesso l’unica soluzione è
andarsene.
Come fanno ad andare via?
Nella maggior parte dei casi i bam-
bini prendono un treno e vanno nella
metropoli più vicina. Durante il viag-
gio si nascondono, per evitare di esse-
re scoperti dal controllore.
Come venite a contatto
con i bambini?
I nostri assistenti sociali e gli opera-
tori di strada si recano nelle stazioni
ferroviarie a tutte le ore del giorno e
della notte. È importante stabilire un
dialogo diretto con i nuovi arrivati.
Li si riconosce subito dal loro sguar-
do, che sembra tanto smarrito. I nostri
collaboratori si avvicinano ai ragazzi
Che cosa fate per i bambini
nell’ambito dell’istruzione?
I bambini di strada che vengono da
noi hanno spesso alle spalle un per-
corso scolastico molto limitato se non
inesistente. Nella “scuola ponte”, com’è
chiamata, vengono preparati a fre-
quentare la scuola insieme agli altri ra-
gazzi. Alcuni di loro successivamente
frequentano addirittura le scuole supe-
riori e riescono a conseguire un titolo
universitario, spesso a pieni voti!
Quanti bambini tornano
a casa?
A Vijayawada, dove ho lavorato in
passato, nell’arco di 25 anni abbiamo
operato con 50 000 bambini di stra-
da. È stato possibile riaccompagnare
metà di loro dalle rispettive famiglie.
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UN AIUTO PER I BAMBINI DI STRADA IN INDIA
Sono stati registrati ulteriori allonta-
namenti da casa solo nel due o nel tre
per cento dei casi. Non è comunque
facile rintracciare le famiglie. Spesso i
bambini provengono da altri Stati fe-
derali e inizialmente non dichiarano
il loro vero nome. A volte affermano
che i loro genitori sono morti. Sono
strategie di sopravvivenza.
In alcuni casi, non è neppure consi-
gliabile che i bambini tornino a vivere
con i genitori. Possono allora rimane-
re a vivere da noi. Non invitiamo mai
un bambino ad andarsene.
In che misura il governo
indiano si impegna
per il rispetto dei diritti
dei bambini?
In India sono in vigore molte leggi
che tutelano i diritti dei bambini, ma
rimangono sulla carta. Per cambiare
la situazione dei bambini sono prin-
cipalmente interpellate le organizza-
zioni non governative. Insieme siamo
I Salesiani lavorano nella Casa Ashalayam di Nuova Delhi dal 1997. Nel 2007 il Centro
è diventato una Casa riconosciuta dalle autorità dello Stato per bambini e ragazzi di età
compresa tra i 6 e i 18 anni. Il Centro Don Bosco Ashalayam si prende cura dei bambini che
vivono per le strade o nelle baraccopoli, che non possono andare a scuola o si trovano in
situazioni familiari problematiche.
I Salesiani offrono a questi bambini la possibilità di condurre una vita normale e si impe-
gnano perché venga loro garantita un’istruzione. Accanto alla Casa Ashalayam, nel quartiere
Palamgaon di Nuova Delhi, si trovano altri due centri di prima accoglienza per i bambini di
strada, gestiti da Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice. I Salesiani di Don Bosco lavorano al
servizio dei bambini di strada anche in molti altri Stati federali dell’India.
più forti e possiamo rapportarci al go-
verno in modo più efficace. Noi del
“Forum Nazionale Don Bosco per i
giovani a rischio” vogliamo che i di-
ritti dei bambini siano tutelati me-
glio. Per questo facciamo conoscere
la loro situazione e diamo loro voce.
È questo il motivo per cui lavoriamo
a stretto contatto con i mass media.
Nella società è diffusa un’immagine
molto negativa dei bambini di strada.
Noi vogliamo cambiarla! Grazie alle
storie di giovani che sono riusciti a
costruire una vita positiva, vogliamo
comunicare che ogni bambino può
trovare una luce in fondo al tunnel, se
gliene viene data la possibilità.
Può parlarci di qualche
storia che si è svolta
in modo costruttivo?
Alcuni anni fa arrivò da noi un ragaz-
zo di strada. Viveva da diverso tem-
po alla stazione, dopo essere fuggito
da casa perché suo padre lo picchiava
continuamente. A seguito di un inci-
dente ferroviario, perse un braccio e
una gamba. Quando lo accogliemmo
presso di noi, comprendemmo che
aveva molte doti. Cominciò a frequen-
tare la scuola con entusiasmo, era fra
gli allievi migliori e in seguito trovò
un lavoro ben remunerato nell’ambito
dell’economia. Si è sposato e ha figli.
Noi Salesiani organizzammo il suo
matrimonio, io sono stato il suo testi-
mone di nozze. Attualmente dirige la
Casa Don Bosco della città in cui av-
venne l’incidente ferroviario in cui fu
coinvolto. È voluto tornare nel luogo in
cui si verificò la sua disgrazia, ma co-
minciò anche la sua fortuna. È molto
legato a Don Bosco e a noi Salesiani
e vuole incoraggiare altri bambini di
strada a cambiare vita.
Il salesiano don Thomas Koshy (64 anni), direttore della Casa Don Bosco di Vijayawada, ha incontrato
e accompagnato migliaia di bambini di strada. Oggi si impegna a livello politico per i diritti dei bambini
in India.
Don Bosco opera in oltre 130 Paesi in tutto
il mondo per offrire nuove opportunità ai
bambini di strada. Per conoscere meglio il
lavoro e i progetti della Congregazione di
Don Bosco a favore dei bambini di strada
in Kenya, in Colombia e in Perù, visitate il
sito: www.strassenkinder.de
Dicembre 2015
11

2.2 Page 12

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BRASILE
La scuola
sociosportiva
“Sport per
la pace”
Città di partenza: Niterói, Brasile. Desti-
nazione: Madrid, Spagna. Il viaggio di 10
ragazzi, abitanti delle favelas e membri della
Scuola Sociosportiva del progetto “Sport
per la Pace”, promosso da “Misiones Sale-
sianas” di Madrid, in collaborazione con la
Fondazione Real Madrid, è iniziato lo scorso
giovedì, 15 ottobre. Alcuni di questi giovani
non avevano nemmeno mai attraversato il
ponte che separa Niterói da Rio de Janeiro.
Ma come vincitori della “Copa Ampla” sono
stati premiati con un viaggio a Madrid, dove
possono gareggiare con i giovani provenienti
dal Cile, dalla Colombia e con la squadra
giovanile del Real Madrid.
L’agenda dei ragazzi a Madrid è piena di
attività culturali e ricreative: sabato 18
ottobre hanno potuto assistere alla partita
Real Madrid-Levante, nello stadio “San-
tiago Bernabeu”. “I ragazzi piangevano di
commozione entrando nello stadio. Hanno
visto tanto calcio in televisione, ma non ave-
vano mai avuto l’opportunità di vedere una
partita dal campo.
Sono ragazzi ricchi
di talenti, ma sono
stati molto sfortu-
nati. Noi cerchiamo
soltanto di dare loro,
attraverso l’educa-
zione, la possibilità
di realizzare i loro
sogni; oggi sarà
un giorno che non
dimenticheranno
mai”.
AUSTRIA
Accoglienza
ai rifugiati
Durante l’anno, fino
a settembre, 56 000
persone hanno chiesto
asilo politico: l’ispettoria
salesiana dell’Austria ha
lanciato nuove iniziati-
ve per rispondere alle
esigenze della migrazione:
soccorso d’urgenza,
ospitalità, consultori,
corsi di tedesco e attività
ricreative.
I Salesiani hanno lanciato
varie iniziative nelle ultime
settimane, in particola-
re per l’integrazione e
l’educazione dei migranti:
corsi di tedesco nelle loro
case per 150 adulti, ripe-
tizioni scolastiche per i
bambini dei migranti, nella
parrocchia San Severino
a Linz hanno organizzato
un primo corso di tedesco
per 90 persone nell’e-
state, fatto soprattutto
da insegnati pensionati.
Al Salesianum di Vienna
sono stati avviati un corso
linguistico guidato da
studenti e un consultorio
settimanale per migranti.
REPUBBLICA
DEMOCRATICA
DEL CONGO
Educazione
d’emergenza
a Bukavu
“La mia missione a Ngangi è arrivata al ter-
mine. Sono stato destinato a Bukavu,
100 km da Goma sull’altra sponda del lago
Kivu, dove i Salesiani hanno ripreso da
qualche mese una piccola scuola professionale
fondata da un missionario saveriano per l’e-
ducazione dei bambini di strada e dei ragazzi
vulnerabili”. Così don Piero Gavioli, ,
racconta l’inizio di una nuova tappa della sua
avventura missionaria. «Anche a Bukavu ho
trovato molta povertà e sofferenza, e bambini e
giovani in attesa di un aiuto per dare una svolta
alla loro vita. Attualmente siamo in tre: Robert,
congolese di 35 anni, ordinato sacerdote due mesi
fa; Domingo, salesiano coadiutore spagnolo, di
69 anni, e il sottoscritto. Abbiamo fatto nostro
il progetto di due salesiani venuti prima di noi:
offrire ai ragazzi di strada o in strada un corso
di alfabetizzazione e di recupero scolastico che ci
permetta di conoscerli e orientarli meglio ver-
so una formazione professionale adattata. Un
centinaio di ragazzi di strada o in strada stanno
seguendo i corsi di alfabetizzazione o di recupero,
e partecipano ad altre attività formative».
12
Dicembre 2015

2.3 Page 13

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SUD SUDAN
Scuole e
un progetto
agrario
TORINO VALDOCCO
Gran Cantata
a don Bosco
Hanno realizzato 60
scuole elementari sparse in tutte le diocesi
del Sud Sudan per dare la possibilità a circa
13 500 bambini di accedere all’educazione.
Adesso stanno lanciando un nuovo progetto
agrario, per insegnare alle persone a colti-
vare la loro terra fertile e generosa. Questa
è l’opera di due missionari salesiani in Sud
Sudan, don Vincenzo Donati e il salesiano
coadiutore Giacomo Comino: “Attualmente
13 500 bambini frequentano le nostre scuole
e diffondiamo tra loro lo spirito di don
Bosco. Il progetto che parte quest’anno è
quello di realizzare una Scuola Agraria. Sono
venuto qui in Italia per cercare di reperire i
mezzi agricoli, le risorse, anche uno o due
agronomi che possano venire in Sud Su-
dan a fare le analisi del terreno. Si tratta di
creare una mentalità per invogliare la gente
a coltivare la terra e potrebbe essere anche
una grande risposta agli emigranti per fame,
per renderli indipendenti e consapevoli che
possono coltivare le loro terre e procurarsi il
loro fabbisogno senza cercarlo altrove. Il cibo
ce l’hanno sotto i loro piedi”.
INGHILTERRA
Il primo NAS
Cullum Centre
in una scuola
salesiana
di Chertsey
Lunedì 12 ottobre è stato
aperto presso la scuola
salesiana di Chertsey il
primo “NAS Cullum Cen-
tre” che offre, all’interno
di una scuola ordinaria,
uno spazio educativo
per allievi con disturbi
dello spettro autistico di
età compresa tra gli 11 e
i 16 anni che altrimenti
avrebbero difficoltà ad
accedere al sistema
scolastico ordinario. Essi
saranno inoltre in grado
di accedere a terapie
occupazionali e del lin-
guaggio, ove necessario.
James Kibble, preside
della scuola salesiana,
da parte sua ha aggiunto:
“Il centro è stato aperto
solo da poco, ma sta già
avendo un impatto molto
positivo. La professio-
nalità del personale ha
aiutato gli studenti a
ottenere il massimo dalle
lezioni".
Juan Montesinos
Sánchez, rinomato
musicista spagnolo,
è stato folgorato da
Valdocco: «In questo
luogo tanto carico
di emozioni, ho
provato una sensa-
zione profonda che è
sfociata nel desiderio
di cantare, cantare, e ancora cantare a don
Bosco, presente in ogni singolo millimetro di
questo sacro luogo. La mia cantata avrebbe
descritto l’esperienza di vita di un pellegrino
che arriva fino a qui, che sente vibrare una
grande presenza in tutto quello che lo circon-
da. L’esperienza concreta che don Bosco è
ancora vivo qui ed oggi. È questo quello che
vogliono dire, infatti, le parole “Gran Canta-
ta a don Bosco a Valdocco”».
La prima dell’opera sarà a Torino nella chiesa di
San Francesco d’Assisi il 6 dicembre 2015, alle
ore 18, giorno in cui ricorderemo anche l’inizio
dell’opera salesiana con l’incontro di don Bosco
e Bartolomeo Garelli nella sacrestia di questa
bellissima chiesa.
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13

2.4 Page 14

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FMA
SIMONA BISIN
Pane e cielo LeFigliediMaria
Ausiliatrice in EXPO
“Casa don Bosco”
Seguendo “l’antica
ricetta” di don Bosco e
madre Mazzarello, infatti,
ancora oggi le Figlie
di Maria Ausiliatrice
si preoccupano del
nutrimento integrale
delle nuove generazioni,
partendo dal considerare
i bisogni più concreti ed
immediati per arrivare
alle risposte alle domande
di senso che ognuno di noi
porta in sé.
Quando nel 1884 a Torino
fu organizzata l’Esposizione
Generale, don Bosco volle
fortemente partecipare, di-
mostrando ancora una volta la
modernità e l’apertura che lo
caratterizzavano. Figlie di Maria Au-
siliatrice e Salesiani, altrettanto aperti
al mondo e al sociale, non si sono la-
sciati sfuggire l’occasione di rinnovare
la presenza e, in questo 2015, hanno
allestito in “Casa don Bosco”.
Da maggio alla chiusura, presso que-
sto particolare padiglione si sono sus-
seguite molte iniziative, che hanno
permesso di conoscere le diverse sfac-
cettature della tematica scelta: “Edu-
care i giovani, energia per la vita”.
In questo contesto si è inserito l’e-
vento organizzato l’11 ottobre, che
ha visto come accoglienti padrone
di casa le Figlie di Maria Ausiliatri-
ce dell’Ispettoria Lombarda e ha
avuto come filo conduttore lo slogan
“Pane e cielo”. Seguendo “l’antica ri-
cetta” di don Bosco e madre Mazza-
rello, infatti, ancora oggi le Figlie di
Maria Ausiliatrice si preoccupano del
nutrimento integrale delle nuove ge-
nerazioni, partendo dal considerare i
bisogni più concreti ed immediati per
arrivare alle risposte alle domande di
senso che ognuno di noi porta in sé.
Nel discorso di apertura, l’Ispettrice
suor Maria Teresa Cocco ha breve-
mente ripercorso la storia delle e
ha tracciato un ritratto dell’attuale di-
stribuzione di case ed opere in Lom-
bardia, per poi sottolineare alcuni
tratti distintivi delle suore salesiane,
partendo dalla domanda “Che cosa ci
fa vibrare il cuore?” e rispondendo con
queste parole: “Tutto ciò che tocca la
vita dei giovani è appello che fa vibra-
re il cuore delle ad ogni età della
vita. La comunità fonda la sua identi-
tà sulla forza che viene dalla fede ed è
specifica espressione della Comunità
ecclesiale; in essa si vive come in una
famiglia in cui i giovani devono poter
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Dicembre 2015

2.5 Page 15

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sperimentare ciò che essa annuncia,
celebra e testimonia”.
Sulla scia di questo messaggio ha preso
ufficialmente il via la giornata e fin dal
mattino il padiglione è stato rallegra-
to dalla presenza delle tante persone
che hanno collaborato in diversi modi
alla riuscita dell’evento e da coloro che
hanno partecipato portando il proprio
contributo: i bambini della Scuola Pri-
maria di Cinisello, guidati dai loro in-
segnanti, si sono esibiti coinvolgendo i
visitatori con danze e canti tratti da un
musical, preparato nello scorso anno
scolastico, dal titolo “Cavolo… che
frutta!”; i piccoli della Scuola dell’In-
fanzia di Tirano, seguiti da genitori
ed educatori, hanno “messo le mani
in pasta” per preparare i tradiziona-
li pizzoccheri; i ragazzi della Scuola
Secondaria di Primo Grado di Pavia,
accompagnati dal loro insegnante di
arte, hanno presentato un calendario
costruito con i disegni da loro stessi
creati sulla tematica “Un tempo per vi-
vere… non di solo pane”.
La Scuola Secondaria di
Secondo Grado Maria
Ausiliatrice di Milano
Bonvesin ha proposto un
workshop dal titolo “I
giovani lanciano un mes-
saggio di vita al mondo”,
nel quale attraverso l’u-
so di materiale riciclato è
stato possibile scrivere e
visualizzare un pensiero
di speranza. Un grande
contributo è stato dato
dagli alunni dei Corsi di
Istruzione e Formazione
Professionale del
Lombardia e dai loro formatori: qual-
cuno si è trasformato in abile gioco-
liere, sulle orme di don Bosco che in
questo modo, quando ancora era un
ragazzo, raccoglieva intorno a sé coe-
tanei e bambini più piccoli; alcune
ragazze hanno sfilato con costumi,
trucchi e acconciature mediante i quali
hanno fornito la loro originale rilettu-
ra della tematica dell’ e, in vari
momenti della giornata, si sono messe
a disposizione dei bambini che voleva-
no farsi truccare o farsi disegnare sul
viso i personaggi dei cartoni animati
da loro amati; altri ancora, con la divi-
sa e il portamento che li fa già sembra-
re dei professionisti, hanno preparato
e offerto un cocktail e una merenda ai
visitatori.
Associazioni e oratori
Parlare di Figlie di Maria Ausilia-
trice, però, significa non solo scuola,
ma anche associazioni e oratori, così è
stato possibile assistere all’intervento
di istruttori e allievi della (Po-
lisportiva Giovanile Salesiana) che
hanno dato dimostrazione di alcuni
sport e hanno permesso di compren-
dere come questa attività possa dav-
vero essere strumento di aggregazio-
ne ed educazione, mentre alcuni soci
del
(Volontariato Internazio-
nale Donna Educazione Sviluppo),
che portano il loro operato nelle terre
dove povertà e fame sono un proble-
ma concreto, hanno arricchito i con-
tenuti della giornata trasmettendo il
loro messaggio, frutto di una concreta
esperienza. Alcuni giovani animatori
ed educatori dell’Oratorio San Marti-
no di Cinisello Balsamo hanno invece
coinvolto in vari momenti i bambini
che accedevano al padiglione con “Il
gioco dell’oca stagionata”. E poi an-
cora tanti interventi, workshop, brevi
ma intense conferenze, filmati che
scorrevano sugli schermi interni al
padiglione.
Le salesiane di Lombardia hanno
permesso a tutti di vivere
questa giornata nel clima
di allegria contagiosa che
le contraddistingue, acco-
gliendo facce note e visi
sconosciuti, dando a cia-
scuno la giusta attenzione.
E bello e significativo è
anche ricordare che il pa-
diglione Casa don Bosco
al termine dell’ sarà
donato all’Ucraina, dove
diventerà “casa” perché i
piccoli e i giovani di quel
Paese possano sperimen-
tare la profondità del ca-
risma salesiano.
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
MARINA LOMUNNO
Don Luigi Ricchiardi
Da Maria Ausiliatrice
a Mama Naty
Don Luigi Ricchiardi, classe 1932, salesiano torinese,
è stato parroco a Maria Ausiliatrice dal novembre 1968
al settembre 1975. Inviato missionario nelle opere salesiane
in Ecuador, è stato Vicario ispettoriale per 6 anni,
responsabile nazionale della catechesi e insegnante
di Teologia. Dopo l’esperienza di parroco nelle periferie di
Quito, Guayaquil e Cuenca, per otto anni ha vissuto tra
gli indigeni delle Ande a 3600 metri. Da un anno è rettore
del Santuario mariano salesiano del Guayco intitolato a
Mama Naty (la Madonna della Natività nella lingua locale)
nella Provincia del Bolivar, nell’Ecuador centrale.
Don Luigi, lei è stato a
lungo amatissimo parroco
a Maria Ausiliatrice nel
cuore della Casa madre dei
Salesiani. Ancora oggi tanti
parrocchiani la ricordano
con affetto e riconoscenza.
Perché ha scelto di andare
missionario in Ecuador?
Capisco adesso, più di prima, che
Dio è, come dice papa Francesco,
il Dio delle sorprese. Nel 1968 ina-
spettatamente l’Ispettore mi fa la
proposta di andare ad accompagnare
per tre mesi un gruppo di ragazzi e
ragazze volontarie, nel Mato Grosso,
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Dicembre 2015

2.7 Page 17

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Don Gigi durante la celebrazione dell’Eucaristia
nel suo santuario.
in Brasile. Nel periodo trascorso in
quella missione, sentii che il Signo-
re mi chiamava a offrirmi per essere
missionario per tutta la vita, non solo
per tre mesi! Le cose si complicano,
quando, ritornando a Torino, il Ret-
tor Maggiore di allora, don Luigi
Ricceri, mi chiede di fare il parroco
di Maria Ausiliatrice. Proprio non
me l’aspettavo! Don Ricceri mi dis-
se: «Gigi, abbiamo terminato il Con-
cilio Vaticano II: bisogna cambiare.
Se metto un confratello anziano non
cambia niente, metto te e tu vedrai
ciò che puoi fare…».
Che cosa significava
in quegli anni essere
nominato parroco a Maria
Ausiliatrice?
Ho iniziato la mia «avventura» di par-
roco a Maria Ausiliatrice, da una par-
te con l’ansia missionaria e, dall’altra,
con il sogno e il timore di realizzare
poco a poco le proposte rinnovatrici
del Concilio.
E come è andata?
Ho incontrato l’appoggio incondizio-
nato dei superiori, dei confratelli che
mi hanno accompagnato e della mag-
gior parte della gente, specialmente
dei giovani e dei poveri. Ho cercato
di essere un pastore «con l’odore delle
pecore» come dice oggi papa Fran-
cesco. Più vicino possibile alla gente
(in modo speciale agli immigrati del
Sud Italia e della Sardegna), mi sono
appoggiato molto all’oratorio e alla
collaborazione delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. La lettera pastorale del
cardinale Pellegrino, «Camminare
insieme», mi aiutò moltissimo. Cer-
cavamo di programmare le diverse at-
tività insieme al Consiglio pastorale,
preparavamo insieme ai laici la pre-
dica della domenica cercando di dare
alle celebrazioni liturgiche un tono
di incarnazione nella vita personale
e sociale. La presenza nel Comitato
di quartiere mi ha interrogato e mi
ha aiutato a crescere come persona e
come sacerdote religioso.
E poi che cosa è successo?
L’idea di partire per le missioni non
mi aveva mai abbandonato, anzi era
uno stimolo a vivere con coraggio la
mia responsabilità pastorale. Nell’e-
state del 1975, a cento anni della pri-
ma spedizione missionaria di don Bo-
sco, il Rettor Maggiore don Ricceri
mi dà il «semaforo verde» per partire
per l’Ecuador. Un momento di gioia
perché vedevo realizzato il mio sogno
missionario ma anche di sofferenza
per dover lasciare tante persone e tan-
te iniziative che avevano riempito la
mia vita per sette anni, nonostante i
miei errori e le mie mancanze. Cercai
di far sentire alla gente della parroc-
chia che erano loro che mi mandava-
no in missione: «Con don Gigi la par-
rocchia di Maria Ausiliatrice si faceva
missionaria!».
Perché in Ecuador?
Quella destinazione non è stata una
scelta mia: l’ho accettata con gioia
anche se non conoscevo nulla di que-
sta realtà. Ma ero cosciente che era il
Signore che mi chiamava a vivere la
mia vocazione salesiana e sacerdotale
in un nuovo contesto e ho cercato sin
dall’inizio di incarnarmi totalmente
nel nuovo mondo, specialmente nei
Dicembre 2015
17

2.8 Page 18

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L’INVITATO
più poveri e nei giovani. Mi sono sen-
tito felice e realizzato come sacerdote
e come salesiano nella missione con la
gente delle campagne, nei sobborghi
di Quito, Guayaquil e Cuenca, fra gli
indigeni delle Ande, con i ragazzi di
strada, con i giovani che si preparava-
no alla vita salesiana e sacerdotale…
Da un anno vivo nel Santuario della
Madonna, che gli indigeni chiamano
«Mama Naty». Ho sentito sempre la
responsabilità di fare presente alme-
no un poco di don Bosco, visto che
mi aveva voluto per sette anni al suo
fianco a Valdocco. Farlo presente con
la vicinanza alla gente, con un trat-
to affettuoso e spontaneo, con un
ottimismo sognatore. C’è qui tanta
gente, specialmente giovani, che mi
chiamano non solo «papà», ma anche
«nonno»… visti i miei 82 anni com-
piuti!
Quali sono le caratteristiche
della gioventù che
ha incontrato in Ecuador
e quali sono le loro speranze
e le loro difficoltà?
In Ecuador non si può parlare di gio-
vani in generale perché le realtà sono
molto diverse: ci sono i giovani che
vivono nelle grandi città, nelle cam-
pagne, i giovani indigeni sulle Ande o
nella selva dell’Amazzonia. Parecchi
di loro hanno vissuto o stanno viven-
do l’esperienza dell’emigrazione, con
tutto ciò che ne consegue. Ma ciò che
hanno in comune è il sogno di poter
contribuire a cambiare il loro Paese.
Molte cose sono cambiate in questi
ultimi anni, ma la strada è ancora
lunga. Molti giovani forse pensano
che per cambiare bisogna inseguire la
cultura occidentale, altri (purtroppo
ancora pochi) vedono nella loro cul-
tura (indigena o meticcia) un modello
da offrire al mondo che cerca strade
nuove per una convivenza più umana.
Purtroppo anche da noi non manca
il rischio della droga, della violenza,
dell’edonismo. È forte per molti la
tentazione della vita facile e comoda,
della ricerca del benessere personale,
del vivere come i ricchi.
Con occhi salesiani, credo di vedere
in loro la speranza e la possibilità di
lottare per il mondo nuovo che vuole
Dio, anche se esternamente non sem-
pre le manifestano. L’educazione e la
nostra proposta del Vangelo possono
e debbono aiutare a farli crescere in
questa prospettiva.
«Voglio far presente don Bosco con la vicinanza
alla gente, con un tratto affettuoso e spontaneo,
con un ottimismo sognatore».
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2.9 Page 19

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Il Rettor Maggiore, don
Ángel Artime, in occasione
del Bicentenario, ha visitato
la vostra opera a Quito:
come è vissuto il carisma
del santo dei giovani
nelle vostre opere?
La visita di don Ángel ci ha riempito
di gioia in quest’anno di celebrazioni
speciali: nel poco tempo che si è fer-
mato fra noi ci ha fatto sentire viva la
presenza di don Bosco, con la sua vi-
cinanza paterna e la sua bontà, spe-
cialmente con i salesiani ed i giovani,
con la sua ottica di ottimismo e di
speranza, con la sua convinzione che
l’opzione salesiana è per i giovani,
specialmente i più poveri. Abbiamo
celebrato quest’anno bicentenario
accompagnando la reliquia di don
Bosco per tutto il Paese, dalle altez-
ze andine alle foreste amazzoniche,
dalle coste del Pacifico alle grandi
città. Don Bosco ha seminato spe-
ranza nel nostro Paese, specialmente
per i giovani.
Poche settimane dopo
la visita a Torino e a
Valdocco, il 21 giugno
scorso, papa Francesco è
partito per l’America Latina
visitando anche l’Ecuador:
come avete vissuto
l’incontro con il Papa?
Dopo la visita del Rettor Maggiore,
quella di papa Francesco, attesa e pre-
parata con speranza ed entusiasmo, è
stata una grazia eccezionale del Si-
gnore. Ci ha aiutato a renderci conto
di essere un Paese privilegiato che,
per la sua consacrazione al Cuore di
Gesù e al Cuore Immacolato di Ma-
ria, può e deve mettersi in cammino
per superare i problemi e guardare
con fiducia il futuro. Le sue parole
ci hanno interrogato seriamente, ma
soprattutto ci ha interpellato la sua
allegria contagiosa, il suo modo di
guardare alla vita, di avvicinarsi alla
gente, di presentare un Gesù incarna-
to con amore nella storia di ognuno e
del nostro Paese.
La sua visita credo che ci dovrà im-
pegnare, a livello di Chiesa, a essere
più vicini alla gente, specialmente ai
poveri, e ad essere una Chiesa più
povera; a livello politico, a cercare le
strade per risolvere i conflitti sociali
non con lo scontro e la violenza, ma
con il dialogo sincero e rispettoso; a
livello globale, a preoccuparci per di-
fendere la ricchezza naturale del no-
stro Paese, nello spirito dell’enciclica
«Laudato sì».
Le celebrazioni
del Bicentenario si sono
concluse: quali sono
le sfide dei salesiani
dell’Ecuador?
L’ultima benedizione di don Bosco,
sul letto di morte, è stata per l’Ecua-
dor. È una benedizione che ci fa sen-
tire la responsabilità di fare presente
nella vita quotidiana di coloro che
formiamo che sono parte della fa-
miglia salesiana, e nelle nostre scelte
concrete in questi momenti non faci-
li per il nostro Paese. La sfida non è
soltanto di stare dalla parte dei poveri
e dei giovani, ma anche e soprattutto
di credere in loro, di credere che solo
con loro e a partire da loro è possibi-
le progettare e realizzare un Ecuador
diverso come Dio lo vuole. È questo il
senso della proposta del Rettor Mag-
giore: «Come don Bosco, con i giova-
ni e per i giovani», ed io aggiungerei
«con i poveri e per i poveri».
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2.10 Page 20

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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
La cortesia
Ogni persona è
sacra, ci inse-
gnano le pri-
me righe della
Bibbia. Tradot-
to in termini pratici,
La “buona educazione” è la più semplice,
questo significa
anche “non esi-
modesta e dimenticata delle virtù,
stono cameriere
ma è la base di tutte le altre. in famiglia”. Essere
consapevoli del valore assoluto di ogni persona
Non esistono cameriere in famiglia. significa vederla con gli occhi del Creatore, con il
suo stesso atteggiamento ad ogni momento della
Creazione. La Bibbia comincia con un ritornello:
«Dio vide che era bello».
Chiamiamo cortesia, o anche “buona educazio-
ne”, tutto ciò che rende il mondo dove viviamo
“bello”. Come tutte le cose importanti natural-
mente sono semplici e facili.
Dalla cucina, come al solito, la donna dis-
se: «È pronto!».
Il marito, che leggeva il giornale, e i due
figli, che guardavano la televisione e
ascoltavano musica, si misero rumorosa-
mente a tavola e brandirono impaziente-
mente le posate.
La donna arrivò.
Ma invece delle solite, profumate portate, mise in
centro tavola un mucchietto di fieno.
«Ma... ma!», dissero i tre uomini. «Ma sei diven-
tata matta?».
La donna li guardò e rispose serafica: «Be’, come
avrei potuto immaginare che ve ne sareste accor-
ti? Cucino per voi da vent’anni e in tutto questo
tempo non ho mai sentito da parte vostra una pa-
rola che mi facesse capire che non stavate masti-
cando fieno».
Sorridere. È l’elemento che rende la persona
elegante più dei vestiti. Nell’istante in cui due
sguardi si incrociano, chi sorride con naturalezza
contagia l’altro. È il segreto della felicità familia-
re. Ricordare sempre che, soprattutto in famiglia,
la nostra felicità, anche se talvolta costa un grosso
sforzo, può rendere felice qualcun altro.
Salutare. Significa dire a qualcuno: «Sono
felice di incontrarti». I rituali più importanti in
20
Dicembre 2015

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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una famiglia sono quelli “della soglia”: tutti quelli
che escono devono essere baciati e abbracciati e
tutti quelli che entrano devono essere baciati e
abbracciati. Essere famiglia significa essere felici
di stare insieme.
Ringraziare. A cominciare dai genitori. Han-
no donato quanto di più bello, importante e an-
che impegnativo esista: la vita. Qualunque sia la
loro età bisogna prendersi cura di loro con piccoli
gesti quotidiani (una telefonata, un sms, una sor-
presa, …). Si è sempre in debito con loro anche
se hanno commesso errori. Sono essere umani e
come tali non sono perfetti.
Rispettarsi. Esistono persone che sembrano
invisibili. La vita va avanti senza di loro: le perso-
ne parlano fra loro, svolgono le loro solite attività,
scherzano, mangiano, fantasticano, si grattano la
testa, fanno le parole crociate, come se loro non
esistessero. È frequente avere un’esperienza del
genere in un negozio o in un ufficio. Se succede
in casa o con amici, è più preoccupante. Ma che
sollievo quando qualcuno vede ciò di cui abbiamo
bisogno, quando qualcuno si accorge di ciò che
valiamo, quando qualcuno ci dimostra stima e
apprezza il nostro valore, forse anche più di noi,
crede in noi anche quando la nostra autostima
vacilla.
Ascoltarsi. E non si tratta solo di vedere, ma
anche di ascoltare. Il rispetto non esiste se non
sappiamo porgere orecchio a ciò che gli altri di-
cono. Questo è tutt’altro che facile, soprattutto
al giorno d’oggi, nella «società del rumore». Così
talvolta la conversazione familiare è di que-
sto tipo: Figlio: «Avete sentito quello che è
successo in Siria?»
Padre: «Bah!»
Madre: «È abbastanza salata la minestra?»
Figlio: «È un problema, no?»
Padre: «Sì».
Figlio: «Allora che ne pensi?»
Padre: «Hai ragione, manca un po’ di sale».
Madre: «Eccolo, tieni».
Figlio: «È strano come si sia potuti arrivare a tanto».
Madre: «Quanto hai preso di matematica?»
Padre: «Io non ho mai capito niente di matema-
tica».
Madre: «Fa freddo, stasera...»
Un vero ascolto è il regalo più bello che si può
fare a una persona. Significa dirgli: «Tu sei im-
portante per me e perciò ti dò tutta la mia at-
tenzione».
La buona educazione. Tutte le regole del “ga-
lateo”, soprattutto i pasti insieme sono essen-
ziali. Rispettare gli orari, usare
correttamente le posate e il
tovagliolo. Non sprecare
il cibo, servire gentil-
mente i più piccoli. Aiu-
tare ad apparecchiare
e a sparecchiare la tavo-
la. I pasti non sono un
piccolo “tribunale”, ma
il momento della gioia
familiare.
Pregare insieme. La fa-
miglia che prega insieme, di so-
lito resta insieme.
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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
L.A.
CDB Volontari
Con Don Bosco
Profeti dell’Avvenire
I “Volontari Con Don Bosco” [CDB] sono nati
ufficialmente nel 1994, ma la gestazione non è stata
breve: già da alcuni anni, infatti, in diverse nazioni
del mondo, alcuni giovani chiedevano di consacrarsi
come salesiani rimanendo nel mondo da laici.
CDB: una sigla che esprime
l’impegno e la volontà di sta-
re Con Don Bosco. Una
sigla che identifica uomini
che vivono pienamente la di-
mensione secolare, che “abi-
tano… il quotidiano”: sono professio-
nisti, medici, infermieri, insegnanti,
assistenti sociali, educatori, commer-
cianti, operai, studenti universitari,
impiegati, coltivatori diretti… senza
un distintivo, senza un abito, ma sin-
tonizzati con il carisma del grande
educatore dei giovani e quindi con il
mondo giovanile e con quella parte
della società che richiede una pre-
senza “qualificata e qualificante”. Lo
stile? Quello della carità pastorale del
prete dei Becchi. Il sistema? Quello
preventivo. Lo scopo? Rendere mi-
gliori se stessi, contribuire a rendere
migliore il mondo, salvare le anime,
specialmente dei giovani.
Il carisma di don Bosco continua così
il suo vigoroso espandersi inventando
sempre nuove forme di aggregazione
e nuovi modi di applicazione. Sembra
che il tempo non passi e che don Bo-
sco sia ancora vivo e operante all’in-
terno della società moderna.
I “Volontari Con Don Bosco” [ ]
sono nati ufficialmente nel 1994, ma
la gestazione non è stata breve: già da
alcuni anni, infatti, in diverse nazioni
del mondo, alcuni giovani chiedevano
di consacrarsi come salesiani rima-
nendo nel mondo da laici.
Il 12 settembre 1994 a Roma,
presente l’allora Rettor Maggiore don
Egidio Viganò, sette di essi, prove-
nienti da Italia, Malta, Paraguay e Ve-
nezuela, emettono i voti dando inizio
alla nuova esperienza vocazionale. I
“Volontari Con Don Bosco” oggi
sono un’Associazione Pubblica di Fe-
deli Laici che, come espressamente
richiesto nel Decreto di riconoscimento,
vivono la dimensione dell’Istituto Se-
colare, verso il quale sono proiettati.
Presenza incarnata
nel mondo
I sono uomini felici di essere
amati in modo speciale da Dio che li
consacra nella Chiesa per il mondo.
Attenti ai segni dei tempi, vogliono
essere testimoni di un Dio che per-
corre le strade degli uomini e per
questo fanno propria la passione per il
mondo, che è la passione di Dio.
L’identità del Volontario si può rac-
chiudere in tre parole: secolarità, con-
sacrazione, salesianità.
Secolarità: i Volontari vivo-
no nel mondo, per il mondo, ma non
appartengono al mondo. Vivono la
consacrazione nel lavoro, nella com-
petenza professionale e nelle circo-
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Dicembre 2015

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stanze ordinarie della vita, rimanen-
do in famiglia o da soli. Pienamente
incarnati nel quotidiano, partecipano
alla vita sociale, culturale e politica
dei luoghi in cui vivono, apportando
la ricchezza e la pienezza dei valori
cristiani. Per meglio garantire l’ef-
ficacia della loro azione apostolica
nei luoghi di frontiera e nell’ambito
secolare, mantengono un prudente e
responsabile riserbo sulla propria e al-
trui appartenenza all’Istituto. Vedono
come loro modello Cristo a Nazareth,
con la presenza silenziosa e discreta
della sua vita nascosta. Essi vivono
“tra” gli altri “come” gli altri. L’unica
distinzione è lo stile di vita, la concre-
ta testimonianza di un cristianesimo
vissuto.
Consacrazione: i Volontari
conducono una vita secondo i consigli
evangelici di castità, povertà e obbe-
dienza, attraverso i quali si impegna-
no a seguire Cristo con radicalità,
impegnandosi a far emergere da ogni
realtà di vita e di lavoro il messaggio
del Vangelo. Si impegnano a esse-
re testimoni di un Dio che percorre
le strade degli uomini, senza distin-
guersi con segni esterni, ma coltivan-
do la libertà di una vita donata a Dio.
I Volontari non hanno vita di
comunità, ma sono uniti da un forte
vincolo di comunione fraterna. Si in-
contrano per momenti di formazione
e di confronto.
Salesianità: i Volontari ap-
partengono alla Famiglia Salesiana e
scelgono di vivere secondo lo spirito
di don Bosco. Il riferimento al Padre
e Maestro dei giovani, alla sua vita,
alla sua esperienza, alla sua ricchez-
za spirituale è essenziale. Per questo
vivono con uno stile concreto e di-
namico, coltivano una profonda vita
interiore, guardano con attenzione
alle urgenze del mondo giovanile,
testimoniano con gioia e ottimismo
l’amore di Dio per il mondo.
A servizio dell’uomo
con il cuore di don Bosco
L’intera vita del
è missione:
aperto ai segni dei tempi, ciascun
membro dell’Istituto partecipa alla
missione della Chiesa, inserito nel
mondo del lavoro e nei vari settori
dell’attività umana, testimoniando
con gioia Cristo.
I CDB vogliono essere il volto nascosto di don
Bosco, reso visibile dal vissuto di ogni giorno.
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3.4 Page 24

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
I si inseriscono, con professiona-
lità e competenza, nei diversi settori
dell’attività umana ove fanno espe-
rienza dell’incontro con Dio e con i
fratelli. Promuovono i valori umani e
la giustizia sociale, solidali con gli al-
tri uomini, sul modello di Cristo che,
con la sua Incarnazione, ha assunto
su di sé la vita degli uomini in mezzo
ai quali visse come inviato del Padre.
Valorizzano e adoperano i mezzi di
comunicazione sociale. Intervengo-
no negli ambiti in cui si elaborano le
politiche sociali. Sull’esempio di don
Bosco sono evangelizzatori che inten-
dono formare “buoni cristiani e onesti
cittadini”, privilegiando i destinatari
della missione salesiana, i giovani,
specialmente i più poveri.
tà, nella Chiesa, in famiglia; diventa il
sapore di una vita donata che coinvolge
tutti i nostri gesti. Abituati come siamo a
dare alla testimonianza il timbro, il vo-
lume e la risonanza della parola, siamo
presi in contropiede da questo modo di
testimoniare […] Quando scopri la tua
vocazione sei felice, ti senti realizzato e
vorresti condividerlo con amici e fami-
gliari, come fanno tutti: le belle notizie
vanno condivise. Io ho dovuto custodire
tutta questa gioia nel mio cuore, farla
maturare giorno dopo giorno, compren-
dendo la bellezza di una scelta vocazio-
nale, di una testimonianza che non si
esprime se non attraverso la vita”.
I vogliono presentare “un volto
inedito di don Bosco”. Sulla copertina
del volume che raccoglie la loro rego-
la hanno impresso a metà il volto di
don Bosco: essi sono, vogliono essere
il volto nascosto di don Bosco, reso
visibile dal vissuto di ogni giorno... E
don Bosco diventerà tanto più visibile
quanto più manifesta sarà la testimo-
nianza quotidiana di ciascuno.
Un cammino
verso la santità
Il cammino di vita dei Volontari Con
Don Bosco può essere un cammino
di santità: una santità semplice, con-
creta, costruita aderendo alla volontà
di Dio in mezzo alla sofferenza e alle
difficoltà del quotidiano. Nel marzo
Volto inedito
di don Bosco
Il riserbo, il non svelare la propria
scelta vocazionale permette un inse-
rimento più efficace, specie ove ci sia
una prevenzione e/o preclusione verso
il messaggio cristiano. Deve essere la
vita a parlare, a testimoniare, a porre
interrogativi del perché e, soprattutto,
per Chi questi uomini vivono e testi-
moniano.
“Per la società di oggi, dove tutto è ac-
cessibile a tutti, dove non sei nessuno se
non mostri aspetti della tua vita privata
postandoli sui social network, non espri-
mere chiaramente la nostra appartenen-
za può apparire innaturale” – afferma
Luca. – “Il riserbo è oggi una testimo-
nianza difficile, coraggiosa ed evangeli-
ca. Non solo si intende il tacere di essere
un CDB, ma uno stile di vita nella socie-
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2012 è stata avviata la Causa di Beati-
ficazione di un Volontario , Nino
Baglieri (1951-2007), che per 39 anni
ha vissuto la chiamata alla santità in
condizioni di particolare sofferenza
nella malattia, dedicandosi all’apo-
stolato e alla testimonianza di uomo
redento e amato dalla Croce di Cristo
Signore.
Tante pagine ancora
da scrivere
Tante belle pagine di questa “meravi-
gliosa avventura” sono state già scrit-
te, ma ancora altre sono da scrivere,
perché “crediamo con tutte le nostre forze
che questa strada, che questo mondo dove
Dio ci ha messo è per noi il luogo della
nostra santità” (Madeleine Delbrel).
Dal 1998 ad oggi i Volontari Con
Don Bosco hanno celebrato cinque
Assemblee Generali, approfondendo
Nino Baglieri, Volontario CDB di cui è stata avviata
la Causa di Beatificazione.
e determinando la loro identità di se-
colari consacrati salesiani, la loro mis-
sione, i contenuti e le modalità della
formazione.
Oggi il piccolo seme si è diffuso in
venticinque diverse nazioni di quattro
continenti; i sono circa 80, 55 dei
quali impegnati con la professione dei
consigli evangelici di povertà, castità
e obbedienza, secondo le Costituzioni
ad experimentum, gli altri impegnati
nel cammino di discernimento o for-
mativo.
Perché un giovane oggi, nella società
del tutto in mostra e della condivisio-
ne dell’apparenza, dovrebbe fare una
scelta come quella dei Volontari Con
Don Bosco?
A questa domanda risponde Marco
che dice a te che leggi: “Occorre pri-
ma di tutto chiedersi per che cosa valga
la pena di spendere la propria vita […]
Essere CDB oggi per essere segni e porta-
tori dell’amore di Dio al mondo, ovun-
que, in ogni circostanza e situazione; per
rispondere alla missione di cambiare il
mondo… magari non tutto, ma comin-
ciando dal pezzo attorno a noi. […] Es-
sere CDB è una volontà di gioia da vivere
ogni giorno”.
PER SAPERNE DI PIÙ
www.volontaricdb.org
segreteria.centrale@volontaricdborg
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
TESTO E FOTO DI CIPRIANO DEMARIE
Valsalice
E ntrare a Valsalice dà una sensazione forte.
Qui si respira davvero tutta la tradizione
salesiana, fatta di ricordi, piccole cose, ma
soprattutto dal mausoleo dove don Bosco
fu seppellito e dove rimase fino al giugno
del ’29.
Tradizione e
Parlare di mausoleo in questo caso poco si adatta
alla situazione. Si tratta infatti sì di un monu-
mento che ha il suo valore artistico, ma per i sale-
siani ha soprattutto un valore affettivo e spiritua-
nuovi fermenti le. Non a caso è posto in un punto di passaggio,
dove ogni mattina gli studenti ed i loro professori
transitano per raggiungere le rispettive aule, e
dove si fermano in preghiera.
Quanta storia in questa casa che don Bosco stesso
avviò. Era il marzo del 1872 quando don Gio-
Tutta la Famiglia Salesiana, in ogni sua casa,
vive lo spirito di don Bosco, ma qui c’è qualcosa
in più. C’è una piccola parte della sua vita,
ci sono i ricordi di momenti importanti per
la crescita della famiglia, visto che qui
vanni, pressato dall’allora arcivescovo di Torino
monsignor Gastaldi, accettò la direzione di quel-
lo che era un collegio per i figli dei nobili.
Un’obbedienza dovuta al pastore della chiesa lo-
cale, ma già dentro di sé don Bosco meditava di
cambiare indirizzo a quella casa. Ed infatti nel
1879, con l’acquisto della proprietà, ecco che Val-
si svolsero alla fine del secolo scorso diversi
Capitoli Generali. In pratica da qui sono
salice prende sempre più la connotazione di casa
Salesiana, con l’apertura graduale anche ai figli
dei meno abbienti. Passano gli anni e nel 1887
passati tutti i padri della congregazione,
a cominciare da don Rua.
L’istituto dove per 41 anni fu sepolto don Bosco è ancor oggi una
scuola cui molti a Torino fanno riferimento.
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Dicembre 2015

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È NATA QUI «GIÙ DAI COLLI»
don Bosco tramuta Valsalice in studentato per i
chierici. Nel 1905 nasce poi anche il liceo pareg-
giato che poi, una volta chiuso nel ’25 il semi-
nario per le missioni estere, resta la destinazione
dell’istituto ai giorni nostri.
Poco lontano dal centro di Torino, sulla collinet-
ta che domina la città, Valsalice prende il nome
proprio dai numerosi salici piangenti che nel se-
colo scorso caratterizzavano questa zona. Adesso
ne sono sopravvissuti solo due, salvaguardati con
cura, anche se la casa è pur sempre avvolta nel
verde.
Che emozione passare per quei vialetti circonda-
ti dal verde e pensare che un secolo fa in quegli
stessi posti don Bosco passeggiava in carrozzella
nei momenti di riposo, non più sostenuto dal-
la salute, ma assai lucido mentalmente tanto da
pronunciare quella profetica frase,
«starò io qui alla custo-
dia di questa casa», suc-
cessivamente ricordata
dai confratelli.
«Sentiamo questa pre-
senza in maniera assai
forte» conferma il diretto-
re dell’Istituto. «È chiaro
che tutta la Famiglia Sa-
lesiana, in ogni sua casa,
vive lo spirito di don Bo-
sco, ma qui c’è qualcosa in
più. C’è una piccola parte
della sua vita, ci sono i ri-
cordi di momenti importanti per la crescita della
famiglia, visto che qui si svolsero alla fine del se-
colo scorso diversi Capitoli Generali. In pratica
da qui sono passati tutti i padri della congrega-
zione, a cominciare da don Rua».
Per ben 41 anni Valsalice ha custodito le spoglie
di don Bosco. E dire che questo avvenne quasi per
caso. La volontà dei confratelli era infatti quella
di seppellirlo sull’altare della Basilica di Maria
Ausiliatrice a Torino. Le leggi di allora però non
«Giù dai colli un dì lontano...». Tutti negli ambienti salesiani hanno cantato
questo motivo, pochi sanno invece che questa sorta di inno a don Bosco è
nato proprio a Valsalice, alla vigilia di quel nove giugno del ’29, quando il
corpo del Santo fu traslato a Valdocco.
Una testimonianza viva di quel giorno ci viene da don Guido Bosio, in quei
tempi a Valsalice, già docente dell’Ups, oggi tornato nella sua casa di origine.
«Ricordo una marea di folla, che si divideva in due ali per far passare il corteo
da Valsalice fino a Valdocco. Un numero incalcolabile di persone. Per l’oc-
casione don Rastello aveva preparato il canto «Giù dai colli» che, partendo
dalla giovinezza di don Bosco, narrava infine anche la discesa dal colle di
Valsalice verso Torino («Oggi o padre non più solo... dei tuoi figli immenso
stuolo») seguito da tanti fedeli. È come una foto ben stampata nella mia me-
moria, insieme a tante altre che fanno di Valsalice una delle case con maggiore
tradizione salesiana».
lo permisero ed ecco che allora dai collaboratori
di Crispi, primo ministro nonché grande estima-
tore di don Bosco, partì la proposta di Valsalice
che, essendo fuori dalla cerchia urbana torinese,
non era soggetta a determinate normative.
Oltre quarant’anni in cui Valsalice è stata meta
di pellegrinaggi. Ma
anche dopo quel fa-
moso 9 giugno del
’29, quando le spo-
glie furono traslate a
Valdocco, su quella
collinetta in mezzo
ai salici piangenti
tanti fedeli sostano
in preghiera.
Torino. «Starò io
qui alla custodia
di questa casa».
Nell’interno
dell’Istituto
Valsalice,
all’ingresso del
mausoleo di san
Giovanni Bosco,
c’è una lapide
con su scolpita
questa frase
pronunciata dal
Santo esattamente
il 13 settembre del
1887. Cioè quando
ormai stanco e
molto ammalato
riposava le sue
membra in questo
istituto.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
“Valsonair” è una
radio attivissima
e creativa animata
da professori
e studenti in
collaborazione
con Primaradio.
Nella fotografia,
il direttore della
radio don Moreno
(a destra) intervista
il magistrato
Giancarlo Caselli.
Vitalità e slancio
Storia e tradizione di un passato, ma Valsalice è
anche realtà di un presente e speranza di un fu-
turo. Chi immagina una casa-museo si ricrederà
senz’altro mettendo piede in un istituto pieno di
vitalità e di slancio, consapevole ed orgoglioso di
un’eredità anche storica lasciata dal nostro Santo,
ma soprattutto rivolto alle esigenze dei giovani
di oggi.
Circa 800 studenti frequentano il Liceo classico,
quello Scientifico e la Scuola media. Una scuola
che a Torino è sinonimo di serietà e profondità di
studi. Un punto di riferimento a livello culturale
per la realtà sociale torinese per via delle numero-
se iniziative portate avanti dall’istituto.
«Intendiamo essere presenza significativa e
armoniosa – puntualizza il direttore – nella
società, con il nostro bagaglio di umanità e di
fede. Vogliamo uscire da una generale assonan-
za culturale intesa come appiattimento dell’in-
telletto. Cerchiamo di trasmettere ai nostri
ragazzi questa esigenza di approfondimento, e
devo dire che il nostro lavoro è assai apprezza-
to, visto che tante famiglie ci chiedono di iscri-
vere i loro figli qui».
Non esiste il rischio di una scuola
un po’ élitaria, visto che le rette non
sono certo alla portata di tutti?
Se élite culturale significa maggiore approfon-
dimento delle proprie conoscenze con conse-
guente innalzamento della preparazione dello
studente rispetto alla media mi sta bene. Per
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«IL SALICE»
quanto riguarda il secondo aspetto posso dire
con orgoglio che Valsalice, fra le scuole cattoli-
che, è quella che volutamente mantiene le rette
più basse. E poi siamo sempre disponibili ad ac-
cettare ragazzi meno abbienti, aiutandoli econo-
micamente. L’importante che abbiano volontà di
studiare, ecco da quel punto di vista una certa
selezione c’è».
Provi ad immaginare per i vialetti
del cortile la presenza di don Bosco,
oggi che cosa direbbe della «sua»
Valsalice?
«Beh, forse è un po’ eccessivo da parte mia parlare
per bocca di don Bosco, ma penso che tutto som-
mato sarebbe contento di come i suoi figli hanno
lavorato in questa casa».
Non ritiene che lui avrebbe subito
pensato a nuove iniziative?
«Senz’altro perché è nello spirito salesiano andare
sempre avanti senza fermarsi su quanto già fat-
to. È quello che abbiamo cercato di fare anche
noi. Avevamo dei locali disponibili in casa e li
abbiamo tramutati in tante camerette accoglien-
ti. Ed ecco che è nato il pensionato universitario.
Ancora un punto di riferimento culturale per i
giovani torinesi, ma non solo. Abbiamo dato la
possibilità di proseguire gli studi all’università
anche a studenti stranieri con modeste possibilità
economiche. Poi, però, per la crescente necessità
di spazi per le nuove attività didattiche, abbiamo
eliminato il pensionato universitario e utilizzato i
suoi locali per aule e laboratori.
A proposito di pubblicazioni, il liceo ha anche una sua rivista: «Il Salice».
Fino a qualche anno fa la rivista usciva solo in edizione cartacea con 3 nume-
ri all’anno. Oggi è on line all’indirizzo ilsalice.liceovalsalice.it. La redazione è
composta da una trentina di elementi, dal primo all’ultimo anno, che lo gesti-
scono con professionalità. Si tratta di una vera e propria scuola di giornalismo
in tutte le fasi della creazione di un articolo comprendendo anche l’utilizzo
dei nuovi supporti multimediali e dei social network. Quest’anno «Il Salice»
ha compiuto 30 anni di vita festeggiando con una mostra gestita dai redattori
e con un convegno dal titolo “Keep in touch”. Inoltre da qualche anno è nato
un vero e proprio “cortile digitale” con Valsonair, una radio in cui i ragazzi si
cimentano dietro al microfono in trasmissioni via etere in collaborazione con
Primaradio. E l’ultima nata in ambito di comunicazione è la web tv che ha già
prodotto diversi filmati dentro e fuori la scuola.
Molto attiva la partecipazione degli exallievi che hanno nell’istituto un punto
fermo di riferimento. Così si svolgono continui dibattiti e tavole rotonde sui
temi più attuali.
stringere i rapporti fra le scuole paritarie e statali,
in modo da diventare insieme nuova linfa per l’e-
ducazione dei giovani».
Lasciamo Valsalice in un pomeriggio autunnale,
ma mite. Gli ultimi raggi di sole accarezzano la
facciata del mausoleo. Non riusciamo però a ve-
derlo come un monumento funerario, a noi sem-
bra proprio un inno alla vita. Quella vita gioiosa
che brulica sul cortile antistante alla tomba con
tanti ragazzi che corrono e giocano felici, proprio
come don Bosco li voleva.
La magnifica chiesa
dell’Istituto. È intrisa
di ricordi vivi e
intensi dei primi
tempi della storia
salesiana.
Che rapporti ci sono con le altre
scuole cattoliche della città?
«I rapporti sono buoni. I nostri docenti e studen-
ti partecipano ad iniziative culturali proposte da
altri licei ed organizzano eventi a cui partecipano
anche gli alunni delle altre scuole. Valsalice vuol
farsi promotore di nuove iniziative che facciano
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3.10 Page 30

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STORIE SALESIANE
AMBROGIO ROSSI - DISEGNI DI STEFANO PACHÌ
L’Immacolata L’incredibile sorpresa
di due salesiani con
il fucile in mano durante
la Prima Guerra Mondiale.
in trincea
La testimonianza di don
Ambrogio Rossi, nel 1916
chierico salesiano sotto le
armi, poi missionario
in USA e direttore
1915-1918: Prima Guerra Mondiale. Quella della grande
carneficina di giovani. Molti seminaristi e molti giovani
salesiani dovettero vestire la divisa e andare a combattere.
della casa salesiana
di Princeton.
Anche su fronti opposti. Un giovanissimo chierico salesiano,
Ambrogio Rossi, raccontò la sua singolare, per certi versi
miracolosa esperienza. Questo è il suo racconto.
potei fare a meno di chiedermi che
cosa pensasse Dio di uomini che si
attribuiscono un potere di vita e di
morte.
Al nostro battaglione era sta-
ta assegnata una postazio-
ne che dominava una valle,
ma era esposta al fuoco di
una mitragliatrice piazzata
in una caverna sul versante
unii agli altri per fare le preparazioni
necessarie.
Poi, con i colletti dei nostri pastrani
da trincea tirati ben su attorno agli
orecchi e con le tasche piene di bom-
be a mano, partimmo per il territorio
Un comando sussurrato dal capi-
tano interruppe il mio fantastica-
re: era giunto il momento di essere
perfettamente pronti per la nostra
missione mortale. Avendo riposato a
sufficienza per l’ultima ascesa, avan-
opposto. Una notte decidemmo di li- nemico.
zammo prudentemente verso l’antro
berarci dal pericolo con un’azione di Nessun rumore turbava la quiete, ec- nero che si spalancava a bocca aperta
commando.
cetto lo scricchiolio della neve gelata sopra di noi ad alcune centinaia di
Un piano ardito
e il mormorio del ruscello montano di metri.
cui si vedevano le acque correre scure Il vento che ora soffiava con raffiche
Dopo molti suggerimenti, il capitano sotto la parete alla nostra destra.
irregolari mi colpì gli occhi e la fronte
Vanelli spiattellò il suo ardito piano Giungemmo presto fra le rocce che con un brivido gelido. Le mie mani
per farla finita.
segnavano la prossimità del “nido stringevano con nervosa tensione le
«È la notte ideale per l’escursione – ci d’aquila” dove si celava il nemico, e bombe a mano. Afferrai una bomba
disse – perché la luna tarderà ore a le- là, durante una pausa per riprendere più saldamente, mormorai una pre-
varsi. Dieci di noi possono facilmente fiato, fummo investiti dal plenilu- ghiera silenziosa e barcollai in avan-
strisciare lungo il fianco della valle e nio in tutto il suo splendore. Men- ti con gli altri. Avevamo da coprire
fare una visitina ai nostri amici lassù». tre cautamente e con un tremito solo cinquanta metri, intanto dal nido
Io fui uno dei selezionati per il grup- non interamente causato dal freddo, della nostra ignara preda giungevano
po assalitore e in pochi minuti mi preparavamo le granate a mano, non frammenti di canto.
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4.1 Page 31

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«Buonasera, ragazzi.
Possiamo entrare?»
Ai venticinque metri, Vanelli si fermò,
sussurrò altre istruzioni e si spinse di
nuovo in avanti. Il nostro obiettivo era
a cinque o sei metri più in là, dove,
provvidenzialmente, saremmo stati
protetti da uno spuntone di roccia e
avremmo potuto lanciare gli esplosivi.
In quel momento il vento cessò qual-
che istante, e nell’aria della mezzanot-
te potemmo udire limpido e fresco un
canto latino, come di monaci in coro:
«Inviolata, integra et casta es, Maria».
Solenni e maestose quelle note mu-
sicali si levavano, scendevano, poi
si spensero come nel passare di una
brezza.
Noi ristemmo come colti da un in-
canto. Quell’inno era nostro. «Tu sei
totalmente senza macchia, sei tutta
pura, o Maria!». Ci guardammo l’un
l’altro in stupefatta sorpresa.
«State fermi dove siete» ordinò il
capitano, e senza il minimo rumore
cominciò a strisciare verso la caverna.
Trattenendo il respiro l’osservammo
raggiungere l’imboccatura e guardar-
vi dentro. Si fermò un istante e poi
cominciò a strisciare all’indietro ver-
so di noi.
«Si preparano per la festa dell’Imma-
colata Concezione – ci informò –
sono buoni ragazzi cattolici come noi.
Maria li ha salvati. Non possiamo ap-
profittare della loro devozione».
A questo punto esitò, poi improvvisa-
mente sorrise.
«È un po’ rischioso, ma faremo loro
sapere che hanno avuto visite. Venite
avanti».
Lentamente e senza rumore avan-
zammo fintanto che potemmo vedere
«Un comando sussurrato dal capitano interruppe
il mio fantasticare: era giunto il momento di
essere pronti per la nostra missione mortale».
l’interno della caverna; ed ecco pro-
prio all’ingresso l’intrepido Vanelli
si rizzò e disse: «Buonasera, ragazzi.
Possiamo entrare?».
Immediata confusione... un correre
ai fucili... grida eccitate in tedesco;
ma nel vederci tutti ritti e disarmati
davanti a loro, i nostri nemici si fer-
marono a fissarci con occhi increduli
e stupiti.
«Nessun pericolo» disse Vanelli in
un tedesco stentato. Poi indicando il
quadro di Maria che era illuminato
da una rozza candela, spiegò: «Abbia-
mo camminato attraverso la valle per
unirci alla vostra devozione. Anche
noi abbiamo Maria per madre».
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4.2 Page 32

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STORIE SALESIANE
I pochi momenti successivi presen-
tarono una scena assolutamente im-
possibile a descriversi. Le dita avvi-
luppate nei cappotti di due eserciti
avversari si intrecciarono entusia-
sticamente. Le mani si strinsero con
calore.
Poi tutto presto finì come era comin-
ciato; noi fummo nuovamente fuori
all’aria con il nostro capitano che gri-
dava: «Siamo contenti d’essere venuti,
e verremo di nuovo, ma aspetteremo
che il nuovo turno vi dia il cambio».
La più straordinaria
“Accademia”
dell’Immacolata
Erano passati gli anni e, come ogni
cosa terrena, la guerra era finita.
Nuovamente il nostro Studentato
Teologico Internazionale di Torino
“Crocetta” era colmo di attività e gio-
vani salesiani di Francia, Germania,
Inghilterra, Austria, Italia e America
vi si stringevano spalla a spalla fra-
ternamente, come se le terribili espe-
rienze della guerra non fossero mai
esistite. Anch’io ero fra loro per i miei
studi di teologia, intensamente aperto
al meraviglioso spirito di quella scuo-
la internazionale.
Venne il tempo della tradizionale
Accademia, un trattenimento in ono-
re dell’Immacolata nel giorno della
sua festa. Scenette, canti e scherzi
si succedettero rapidamente, inter-
vallati da interludi orchestrali o di
violino solo, per aggiungere solen-
nità al nostro divertimento. D’im-
provviso, nel nostro felice raduno, ci
fu un profondo silenzio, quando uno
si alzò in quel «Salone delle Nazio-
ni» per offrire il suo tributo a Maria.
Era un bel giovane e parlava italiano
fluentemente, sebbene con marcato
accento austriaco.
Io ascoltai le prime sue parole con in-
teresse, ma ciò che seguì mi rapì in
rigida attenzione.
«Maria, Aiuto dei Cristiani, non
bada né a luogo né a circostanze –
cominciò a dire – ma veglia su quel-
li che cercano il suo aiuto, anche
quando sono attorniati da morte e
carneficina. Io, che ho visto, pos-
so esserne garante. In quella caver-
na, in quella notte, io, salesiano, mi
preparavo con i miei camerati per la
festa dell’Immacolata Concezione.
Nessuno aveva un’immagine della
Madonna di Lourdes, ma io porta-
vo sempre con me una litografia di
Maria Ausiliatrice. Ci radunammo
attorno ad essa a cantare il nostro
canto favorito “Inviolata”. Le ultime
note erano appena svanite nell’aria,
quando...».
«Quando – io gridai, non più capace
di trattenere il mio entusiasmo – la
vostra caverna fu riempita da soldati
nemici. Io ero uno di loro, salesiano
come te!».
Gridai le ultime parole correndo sul
palco e in una confusione eccitante
terminammo il racconto tutti e due
insieme.
Poi, con spontanea emozione, men-
tre un assordante applauso scuoteva
la sala, ci stringemmo in un frenetico
abbraccio.
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Dicembre 2015
«… Ma io portavo sempre con me una litografia
di Maria Ausiliatrice».

4.3 Page 33

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LE NOSTRE EDITRICI
VALERIO BOCCI
NOVITÀ
Per vivere il giubileo
LUCA, IL VANGELO
DELLA MISERICORDIA in cealma mmiinseoriccoonrdliaatdeni Derioezza
leggèPIell’uiArVlenacntneonaogmlomldeadmiellofeudoeldcilrntaezeatalMrodeGdeeiispelusleealebrvrgiPiolcveeaolioutvrrio,emcddloraieeaa-. cesehnupge«ldollroGidsnnoeeeadeloiclmpbnspsoanoùirigondsapnicuvrcnareeoteagecoraccniharalnodnoadoeilsrimatresèveprttgiclueuigleelin,leaudetiazaeu,tdtlozcnialsatnlaiovaammcacvralmahaleigaaaPmaderiuraieoplenrdii’dnaicileesesatlrimocaaiuoleceelc,noa;agiomdacspdiienptoieoenizrdadaaiifiieacfcinlaaleltromeendirgeepn;infeiciacrrtlacrhaaanaisomiifire;untaefneeuèvrlii,s,ll,catecialisaapliitrhe»aems‘peeds.imvrureusinaivcalroopciihgcctcfaràlphéifgeiminr,taélvetegiianàmnous;gioaecoovci’linldluiseuevcaersioerci, e,a
sp(iMraitriuo Gaallizezi)del noto biblista
il libro contisenaelesiano MARIO GALIZZI
malilseetrrieco“prdairaa”broipleodrtealtlea Rblt(IiEronelaLnVmgdLueauEaanezD,ggi2foIge9aCinlooItse-aev,AdntehtiBtreaoLUomua,b)f.pcbefPaerrnaoereepmps»2art0a(riFUota1or3tdvat:)ioi.n«ecÈcndinezausoalnclaaao’ildB,lEapeiLbaagLbreEblinaaDuntoiIendCn: oIhlai-andpAgifeauqBrtacuUtohec, ésotatrèanreutonnte
dnieLluccaap:iltlaaomlpoeo1cn5oedrtaeaslrVmitaraonrvgraeittlaoa, assImplViraramirntruaigtaeadll,eeolaladblmliiebLotlunirsceetaat“apèMarairartarrrbioiocovcGalhetaaidtloieezlzdilliaa.Plmacdoisrmeermmicoiesnredtroiiace”o:srledagipeoetsicocoo, r-a
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luca Contemplare il mistero
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nella preghiera,
nella carità attiva...
Una proposta offerta a tutti gli operatori pastorali per pregare
in assemblea sul testo della Misericordiae Vultus, la Bolla di indizione
del Giubileo 2016, in dieci celebrazioni della Parola: quattro sono
ispirate ai tempi dell’Anno Liturgico, una ci aiuta a contemplare
la Vergine Maria, Madre e Regina di misericordia, mentre le altre
cinque sono per la famiglia, i giovani, la vita consacrata,
gli operatori pastorali e l’iniziativa “24 ore per il Signore”.
Il testo potrà essere valorizzato nelle Cattedrali e nei luoghi
dove sarà aperta la Porta della Misericordia, per accogliere
i pellegrini che desiderano ricevere il dono dell’indulgenza.
Salvatore Esposito, docente di Teologia liturgica alla Pontificia Facoltà teologica
dell’Italia Meridionale, presso l’Arcidiocesi di Napoli è vicario episcopale per il settore
Culto divino e disciplina dei sacramenti e direttore dell’Ufficio liturgico pastorale.
Autore di numerosi contributi scientifici, con la Elledici ha pubblicato Imita ciò che
celebri (2011).
Con il commento alle parabole
la pecora smarrita
la moneta ritrovata
il Padre misericodioso
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ISBN 978-88-01-05894-9
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SALVATORE ESPOSITO
CELEBRIAMO
LA MISERICORDIA
10 incontri di preghiera con la “Misericordiae Vultus”
Salvatore Esposito
CELEBRIAMO
LA MISERICORDIA
10 incontri di preghiera
con la «Misericordiae vultus»
Un contributo semplice ed efficace
per contemplare il mistero
della misericordia nell’ascolto
della Parola, nel silenzio, nel canto,
nella preghiera e nella carità operosa.
Il testo potrà essere valorizzato
nelle Cattedrali e nei luoghi
dove sarà aperta la Porta
della Misericordia, per accogliere
i pellegrini che desiderano ricevere
il dono dell’Indulgenza.
Pagine 96
Nicola Di Mauro
gdueildlaamailsegriicuobridleiao
Maria Rattà
ETERNA È LA SUA
MISERICORDIA
Rosario e Veglia di preghiera
nell’anno del Giubileo.
Pagine 80
Valter Rossi
UN ANNO STRAORDINARIO
Un sussidio per i ragazzi, che illustra
gli elementi indispensabili per vivere il tempo
prezioso del Giubileo della Misericordia, in cui
si apriranno le porte del perdono e dell’amore di Dio.
Il libretto contiene anche le principali preghiere da
recitare in occasione del pellegrinaggio
per il passaggio nella Porta Santa.
Pagine 24
Nicola Di Mauro
GUIDA AL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA
Tutto ciò che si deve sapere sul Giubileo: un pratico
vademecum per vivere l’Anno della Misericordia.
Pagine 40
Dicembre 2015
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Natale
tempo
di
regali
Natale è una Festa immensa. Esaurirla in poche righe è
impossibile. È necessario fare delle scelte. Quest’anno
parleremo del Natale come tempo di regali, come tempo
di doni. Ne parleremo, ovviamente, dal punto
di vista pedagogico
Il succo del Natale, quello vero,
non quello taroccato d’oggi, è tut-
to qui: Natale è un regalo, il più
stupefacente regalo della storia
intera: Dio dona se stesso!
Così il dono occupa un posto cen-
trale nella nostra Festa più bella, così
come dovrebbe occupare un posto
centrale nell’arte di educare qualora
pensassimo a tutta la sua valenza pe-
dagogica.
Ebbene, proprio il mese del Natale ci of-
fre l’occasione per riflettere sullo straor-
dinario valore educativo del regalo.
Il dono è un modo per insegna-
re la bontà. Il dono fa uscire dal
narcisismo, vale a dire dal pensare solo
a sé, dall’essere avvitati su se stessi.
Il dono ci fa ‘allocentrici’. È il primo
grande apporto educativo del dono,
perché il narcisismo è il cancro dell’e-
ducazione. Tutti ne sono convinti.
Lo psicanalista tedesco Erich Fromm
(1900-80) è esplicito: «La piena ma-
turità dell’uomo si compie solo con la
completa liberazione dal narcisismo».
Viktor Frankl (1905-1997), altro psi-
canalista, conferma: «Solamente nella
misura in cui ci doniamo, realizziamo
noi stessi».
Il dono contrasta con la men-
talità dell’avere. Anche questo è
un prezioso servizio pedagogico del
donare. Le cose non sono mai inno-
cue! Una sola prova: oggi, a forza di
avere sempre più, l’uomo rischia di
non essere più!
Il dono riscalda il cuore. Sarà pro-
prio il Bambino che festeggiamo a Na-
tale che domani, cresciuto, avrà questa
stupenda intuizione: «Vi è più gioia nel
dare che nel ricevere!» (At 20, 35).
Il dono è educativo per natu-
ra sua. Educativo in sé in quanto
rientra nella pedagogia positiva che è
sempre costruttiva, all’opposto della
pedagogia negativa. Donare qualco-
sa a qualcuno significa prenderlo in
considerazione, stimarlo, apprezzarlo.
Questa è pedagogia positiva allo stato
puro, pedagogia sempre vincente!
Aveva ragione Baden Powell (1857-
1941), il fondatore dello scoutismo,
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4.5 Page 35

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IN CONCRETO
VOGLIO LA GENTE!
Perché il dono esprima tutta la sua valenza pedagogica, non è il caso di svuotare il super-
market. Non è la quantità che fa la bontà del dono, ma sono alcune caratteristiche che lo
impreziosiscono.
Il regalo dovrebbe essere personalizzato. Sui singoli pacchetti è bene scrivere:
Questo è per Marco”. “Questo è per Laura”. Così facendo, sottolineiamo l’amore, l’attenzione
per ciascun figlio, indistintamente.
È bene che il dono sia moderato. Coprire il figlio di doni non è educativo per varie
ragioni: lo può far sentire troppo importante; lo mette nell’imbarazzo della scelta; lo può
rendere sempre più incontentabile.
È bene che il regalo sia desiderato. Il regalo è indovinato se soddisfa le attese del
figlio in quel particolare momento della sua fase della vita evolutiva. Il genitore attento sco-
pre facilmente quello che il figlio attende: lo coglie da ciò che dice, da ciò che lo soddisfa
maggiormente, da ciò che ‘invidia’ negli amici.
È bene che il regalo sia duraturo. Non ha senso essere generosi quindici giorni all’an-
no! I doni devono continuare anche dopo Natale! Vi sono regali che non finiscono mai! E
sono anche, una volta tanto, i meno costosi. Qualche esempio?
Ai figli regalo il mio tempo: mi occupo di più di essi e mi preoccupo di meno.
Regalo le mie orecchie: li ascolto.
Regalo la mia bocca: le mie preghiere, le mie parole buone, incoraggianti, balsamiche.
Regalo la mia faccia serena.
Regalo i miei occhi: mi accorgo della loro presenza.
Regalo tenerezza, perdono e pace in famiglia.
Non è un bel mazzetto di regali stupendi? Regali meravigliosi che fanno sì che Natale
duri tutto l’anno. Regali così attraenti da farci pensare che siano proprio questi i doni che
quest’anno si propongono di scegliere tutti i lettori del Bollettino Salesiano.
Quest’anno Natale
mi ha fatto un bel dono,
un dono un po’ speciale.
Mi ha dato allegria
canzoni cantate
in gran compagnia.
Mi ha dato pensieri
parole e sorrisi di
amici sinceri.
Dei vecchi regali
non voglio più niente,
ad ogni Natale
io voglio la gente!
(Roberto Piumini)
a sostenere che “un sorriso fa fare il
doppio di strada di un brontolio!”. Del-
la stessa opinione era il noto scrittore
francese Michel Quoist (1921-1997)
il quale osservava che se nella sua vita
di sacerdote era riuscito a fare qualco-
sa di buono era perché aveva fatto leva
sull’amore di Dio, non sulle fiamme
dell’inferno! Insomma, abbiamo ra-
gioni più che sufficienti per conclu-
dere che il dono deve entrare a pieno
nell’arte di educare. Ecco perché deve
essere fatto a tutti, anche a Pierino.
Fino ad oggi il carbone nero non ha
mai educato nessuno.
HANNO DETTO
«In Dio tutto è gioia, perché tutto è dono»
(Paolo VI, papa).
«Donate ben poco se donate solo i vostri
beni. È quando donate voi stessi che do-
nate veramente!» (Gibran Kahlil Gibran,
poeta libanese).
«È meglio regalare una poesia che una
cravatta!» (Massimo Gramellini, giornali-
sta scrittore).
«Fatico a camminare per il peso del cuore
carico dei doni che non ho ancora dona-
to!» (R. Tagore, poeta indiano).
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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Un’esistenza
sottovuoto
Che si tratti di andare a vivere
da soli, di intraprendere
un nuovo percorso professionale,
di sposarsi o di mettere al mondo
un figlio, la costante che sembra
accompagnare ogni decisione
importante è la tendenza
a rinviare, a prendere tempo.
Prendi forza, datti fiato:
questo è il tempo di decidere.
Vuoi davvero esistere
o soltanto sopravvivere?
Quante cose non ho fatto mai,
quante volte ho rimandato a un’altra volta,
quanti giorni non posso ricordare,
sottovuoto e vuoti a rendere.
Non cercare di capire se è fatica o se è paura.
Senza rabbia né ossessione,
senza impegno ed ambizione,
col coraggio di sbagliare...
Con le mani aperte come il mare
e la voglia di imparare,
questa volta non c’è un’altra volta...
A spettare, temporeggiare, rimanda-
re, procrastinare: il “lessico familiare”
dei giovani adulti del terzo millennio
si nutre di interminabili attese, soste
forzate, continui rinvii, differimenti a
data da destinarsi. Un’esistenza spesso
“congelata”, in sospeso, in cui progetti, aspirazio-
ni, propositi di cambiamento faticano a trovare
cittadinanza e vengono sistematicamente mes-
si in stand-by in attesa di tempi migliori, di una
maggiore stabilità economica o affettiva, di uno
stipendio più alto, di una casa più grande o, più
semplicemente, del momento giusto.
Che si tratti di andare a vivere da soli, di intra-
prendere un nuovo percorso professionale, di spo-
sarsi o di mettere al mondo un figlio, la costante
che sembra accompagnare ogni decisione impor-
tante è la tendenza a rinviare, a prendere tempo.
In molti casi, essa è il frutto di circostanze ogget-
tive, l’inevitabile conseguenza della strutturale
precarietà che costituisce l’orizzonte quotidiano
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Dicembre 2015

4.7 Page 37

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Foto Shutterstock
Prendi forza, datti fiato
per esistere e resistere.
Senza ruoli e senza costrizioni,
al di là di dover essere migliore,
e anche se non mi ricorderò di un giorno,
io sarò sicuro che ho vissuto.
Cammino a piedi nudi e sento l’umido,
sperando di scoprirmi uomo sulla Terra.
All’improvviso un vento gonfia l’onda
che si infrange su di me;
mi fa rinascere, mi lascio esistere.
Spero di esistere
ogni attimo che questa vita immensa mi spalanca,
spero di esistere
oltre il bisogno di essere una storia o una leggenda,
spero di esistere,
di avere dentro sempre tutta questa vita immensa,
e di resistere,
vivendo la mia storia anche se non sarà leggenda...
(Max Gazzè, Vuoti a rendere, 2008)
delle nuove generazioni: precarietà economica e
lavorativa che, quasi fatalmente, si traduce in pre-
carietà esistenziale, nell’impossibilità di immagi-
nare un progetto di vita a lungo termine, nella
necessità di ritardare alcuni passaggi decisivi nel
percorso di crescita verso l’adultità. Talvolta, però,
l’abitudine a differire e rimandare ogni scelta è
dettata dalla paura di sbagliare, dal timore di non
essere pronti a compiere un passo importante e
definitivo, correndo il rischio di rimanere intrap-
polati in un destino irreversibile.
Come in una profezia che si autoavvera, tanti gio-
vani scelgono allora di rimanere fermi ai pit-stop,
di lasciare in sospeso i propri piani per il futuro, di
mettere “sottovuoto” sentimenti, speranze, proget-
ti e aspirazioni in attesa di poterli “scongelare” al
momento opportuno, augurandosi che, con il pas-
sare dei mesi e degli anni, conservino il gusto e la
brillantezza originari e non finiscano con l’avviz-
zire e trasformarsi in fossili ormai dimenticati. Ma
l’attesa, se è vissuta in maniera inerte e rinunciata-
ria e non è accompagnata dall’operosità quotidia-
na in vista del raggiungimento della meta finale,
rischia di prolungarsi a tempo indeterminato e di
fiaccare persino l’entusiasmo più ardente.
Un’esistenza vissuta in pienezza impone, invece,
apertura verso il “nuovo”, la volontà di miglio-
rarsi e progredire continuamente, la capacità di
adattarsi creativamente alle circostanze che la
vita offre ad ognuno, facendone il punto di par-
tenza per costruire una biografia singolare e ir-
ripetibile. Significa preferire il vento impetuoso
del cambiamento all’indolenza della bonaccia, la
laboriosità dell’impegno quotidiano all’indugio
dell’esitazione, la vigilanza attiva della speranza
all’inerzia della rassegnazione, il dinamismo del-
la ricerca all’attendismo della stasi.
Aprirsi all’orizzonte del possibile e imparare la dif-
ficile arte della “resilienza”: è dunque questo l’uni-
co antidoto per resistere alla tentazione del rinvio,
per vincere il rischio dell’acquiescenza, per “vivere”
davvero anziché limitarsi a “sopravvivere”.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco promotore della
“Misericordia divina”
Giovanissimo sacerdote, don Bosco ha pubblicato
un volumetto di 111 pagine, formato minuscolo,
intitolato Esercizio di divozione alla Misericordia di Dio.
Si sta per aprire l’anno santo
giubilare della misericordia
divina indetto da papa Fran-
cesco. La Famiglia Salesiana
dovrebbe sentirsi chiamata a
vivere in profondità tale anno
anche per un motivo carismatico: don
Bosco è stato particolarmente atten-
to al tema della misericordia di Dio,
tanto che appena gli si è presentata
l’occasione ha dedicato ad essa una
delle sue primissime pubblicazioni.
La storia di tale fascicolo è quanto
mai interessante.
Tutto cominciò
dalla marchesa di Barolo
La marchesa Giulia Colbert di Baro-
lo (1785-1864), dichiarata venerabile
da papa Francesco il 12 maggio 2015,
coltivava personalmente una particola-
re devozione alla divina misericordia,
per cui aveva fatto introdurre nelle
comunità religiose ed educative da lei
fondate vicino a Valdocco l’abitudi-
ne di una settimana di meditazioni e
preghiere sul tema. Ma non si accon-
tentava. Desiderava che tale pratica si
diffondesse anche altrove, soprattutto
nelle parrocchie, in mezzo al popolo.
Ne chiese il consenso alla Santa Sede,
che non solo l’accordò, ma concesse a
tale pratica devozionale varie indul-
genze. A questo punto si trattava dun-
que di fare una pubblicazione adeguata
allo scopo.
Siamo nell’estate 1846, quando don Bo-
sco, superata la grave crisi di sfinimento
che lo aveva portato sull’orlo della tom-
ba, si era ritirato presso mamma Mar-
gherita ai Becchi a fare la convalescenza
e si era ormai “licenziato” dal suo ap-
prezzatissimo servizio di cappellano ad
una delle opera della Barolo, con grave
disappunto della marchesa stessa. Ma i
“suoi giovani” lo chiamavano alla casa
Pinardi appena affittata.
A questo punto intervenne il famo-
so patriota Silvio Pellico, segretario-
bibliotecario della marchesa ed esti-
matore ed amico di don Bosco, che ne
aveva messo in musica alcune poesie.
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Dicembre 2015

4.9 Page 39

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Ci raccontano le memorie salesiane
che il Pellico, con un certo ardire, pro-
pose alla marchesa di incaricare don
Bosco di fare la pubblicazione che le
interessava. Che fece la marchesa? Ac-
cettò, sia pure non troppo entusiasta.
Chissà? Forse voleva metterlo alla pro-
va. E don Bosco, accettò pure lui.
Un tema che gli stava
a cuore
Il tema della misericordia di Dio
rientrava fra i suoi interessi spiritua-
li, quelli su cui era stato formato in
seminario a Chieri e soprattutto al
Convitto di Torino. Solo due anni
prima aveva finito di frequentare le
lezioni del conterraneo san Giuseppe
Cafasso, appena quattro anni più vec-
chio di lui, ma suo direttore spiritua-
le, di cui seguiva le predicazioni agli
esercizi spirituali ai sacerdoti, ma an-
che formatore di una mezza dozzina
di altri fondatori, alcuni anche santi.
Ebbene il Cafasso, se pur figlio della
cultura religiosa del suo tempo – fatta
di prescrizioni e della logica del “fare
il bene per sfuggire il castigo divino e
meritarsi il Paradiso” – non perdeva
occasione tanto nel suo insegnamento
quanto nella sua predicazione di par-
lare della misericordia di Dio. E come
poteva non farlo se era dedito costan-
temente al sacramento della Penitenza
e all’assistenza ai condannati a morte?
Tanto più che tale indulgenziata de-
vozione all’epoca costituiva una rea-
zione pastorale contro il rigorismo del
giansenismo che sosteneva la prede-
stinazione di coloro che si salvavano.
Don Bosco dunque, appena tornato
dal paese ai primi di novembre, si mise
al lavoro, seguendo le pratiche di pietà
approvate da Roma e diffuse in Pie-
monte. Con l’aiuto di qualche testo che
poté facilmente trovare nella bibliote-
ca del Convitto che ben conosceva, a
fine anno pubblicava a sue spese un
libriccino di 111 pagine, formato mi-
nuscolo, intitolato Esercizio di divozio-
ne alla Misericordia di Dio. Ne fece im-
mediatamente omaggio alle ragazze,
alle donne e alle suore delle fondazioni
della Barolo. Non è documentato, ma
logica e riconoscenza vuole che ne ab-
bia fatto omaggio pure alla marchesa
Barolo, la promotrice del progetto: ma
la stessa logica e riconoscenza vorrebbe
che la marchesa non si sia fatta vince-
re in generosità, facendogli pervenire,
magari in anonimato come altre volte,
un suo contributo alle spese.
Non c’è qui lo spazio per presentare i
contenuti “classici” del libretto di me-
ditazioni e preghiere di don Bosco – lo
si può trovare in Google facilmente –;
ci preme solo evidenziare che mentre
papa Francesco tende teologicamente
a sottolineare la misericordia gratuita
di Dio, don Bosco tende pedagogica-
mente a esplicitare la richiesta umana
di tale misericordia. Il suo principio
di fondo è: “ciascuno deve invocare
Don Bosco è per tutti il volto della bontà e della
misericordia di Dio verso i suoi figli più piccoli.
la Misericordia di Dio per se stesso
e per tutti gli uomini, perché ‘siamo
tutti peccatori’ […] tutti bisognosi di
perdono e di grazia […] tutti chiamati
all’eterna salvezza”.
Significativo è poi il fatto che a con-
clusione di ciascun giorno della set-
timana don Bosco, nella logica del
titolo “esercizi di divozione”, assegni
una pratica di pietà: invitare altri ad
intervenire, perdonare chi ci ha offe-
si, fare subito una mortificazione per
ottenere da Dio misericordia a tutti
i peccatori, fare qualche elemosina o
sostituirla con la recita di preghiere
o giaculatorie ecc. L’ultimo giorno la
pratica è sostituita da un simpatico
invito, forse anche allusivo alla mar-
chesa di Barolo, di recitare “almeno
un’Ave Maria per la persona che ha
promosso questa divozione!”.
A questo punto si aprirebbe tutto un
capitolo sulla prassi educativa di don
Bosco. Come cioè egli abbia educato
i giovani e il popolo a confidare nel-
la misericordia divina. Ma l’ho già
raccontata pochi mesi fa su “Note di
Pastorale giovanile”, n. 5 (estate 2015)
pp. 36-43.
Dicembre 2015
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di
dicembre preghiamo per
la beatificazione del ve-
nerabile Simone Srugi,
salesiano coadiutore.
Nacque a Nazareth il 27 giu-
gno 1877, ultimo di dieci figli.
Orfano di ambedue i genitori
già a 6 anni Simone fu man-
dato dalla zia all’orfanotrofio
cattolico di Betlemme, diret-
to dal canonico Belloni. Vi si
trovò così bene che a 16 anni
chiese di diventare salesiano.
Eccolo aspirante coadiutore
alla Scuola Agricola di Beit-
gemal. Vi trascorrerà tutta la vita, esattamente 50 anni, svolgendo
tante attività e con tanto amore! Maestro di scuola di molti piccoli
musulmani, che di lui dicono: “È buono come una coppa di miele”. È
mugnaio, e i contadini di tutta la zona gli portano il grano da maci-
nare; dirige tutto il movimento con giustizia e serenità. È infermiere:
siccome nella zona manca il medico, gli ammalati corrono a lui da
una cinquantina di villaggi, gente povera e sparuta, con infermità
ripugnanti. E lui da buon samaritano sente pietà per tutti, li ripulisce,
li cura, li tratta con delicatezza, parlando loro di Gesù e di Maria.
I malati dicono: “Gli altri medici non hanno le mani benedette del
signor Srugi”. Talvolta la gente viene soltanto perché imponga le
mani, le mamme gli presentano i loro bambini perché li benedica. Si
viene da lui perché in qualche villaggio è scoppiata una lite: egli fa
da arbitro e da operatore di pace. Tutti sentono che Srugi comunica
con Dio sul serio. Si nutre di eucaristia e di vangelo. Il tempo libero
lo passa davanti al Santissimo. Morì consumato dal lavoro e dalla
malaria il 27 novembre 1943, a 66 anni. La sua umile salma riposa a
Beitgemal, presso la tomba gloriosa di S. Stefano.
PREGHIERA
O Gesù, Verbo incarnato, che da Nazareth al Calvario,
hai rivelato agli uomini l’eterno amore del Padre facendo del bene
[a tutti,
degnati di glorificare il tuo umile concittadino Simone Srugi,
esempio luminoso della tua bontà e sollecitudine verso i poveri
[e i sofferenti.
Fiduciosi nella tua misericordia e nella sua intercessione,
ti preghiamo di concederci la grazia... che di tutto cuore ti domandiamo
tu che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo
nei secoli dei secoli. Amen.
Ringraziano
Vorrei ringraziare il servo di Dio
monsignor Oreste Marengo
per le grazie ricevute in occasio-
ne di una mia malattia. Continue-
rò a pregarlo anche per mia mo-
glie che ha bisogno della salute
che purtroppo non ha. Grazie!
Amedeo N., Bologna
Vorrei ringraziare pubblicamente
Maria Ausiliatrice, san Gio-
vanni Bosco e san Domenico
Savio per grazia ricevuta.
Franca Balocco
Desidero ringraziare pubblica-
mente san Domenico Savio e
don Bosco per la loro protezio-
ne. Ventiquattro anni fa, dopo tre
gravidanze spontaneamente inter-
rotte, rimasi nuovamente in atte-
sa. Mi fu regalato l’abitino di san
Domenico Savio, trovandomi in
una gravidanza difficile. Al quinto
mese, mentre io portavo sempre al
collo l’abitino e pregavo, ci fu un
distacco di placenta. Il 10 maggio
1991, quattro giorni dopo la festa
del piccolo santo, è nato per grazia
di Dio Diego Domenico, un bim-
bo sano e bello, che oggi ha 24
anni. San Domenico Savio e don
Bosco continuano a proteggerlo,
nonostante mi sia gradualmente
allontanata dalla preghiera. Circa
un mese fa in seguito ad un gon-
fiore alla mano e successiva ra-
diografia, il medico mi prescrisse
una T.A.C., avendo notato qualche
cosa di sospetto nell’osso. Segui-
rono giorni tremendi per me, ma
non mi sentivo sola. Avendo per
caso aperto un mobile, vi ritrovai
l’abitino con le preghiere: com-
presi allora che Dio mi chiedeva di
pregare; così feci, chiedendo a Dio
perdono della mia ingratitudine.
L’esame T.A.C. risultò negativo: si
trattava probabilmente solo di una
tendinite. Continuo ogni giorno a
ringraziare l’infinità bontà del Si-
gnore, sempre misericordioso.
Follesa Rita
Dieci anni fa ricevetti le imma-
ginette con i nomi di quattro sa-
cerdoti martiri polacchi. A mio
marito era stata diagnosticata una
cardiopatia dilatativa. Allora inco-
minciai a pregare uno dei quattro
sacerdoti martiri, don France-
sco Miska, omonimo di mio
marito. Il cuore si stabilizzò e mio
marito riprese a lavorare. Sono
passati dieci anni. Ora gli è stato
applicato un pacemaker e tutto è
stato superato nel modo migliore.
Sentendomi protetta da questo
sacerdote martire, ogni giorno lo
prego e mantengo la promessa di
pubblicare questa grazia ricevuta.
Gobbi Virginia, Borgo Virgilio (MN)
Sono madre di quattro figli e con-
duco un’attività piuttosto intensa.
Voglio segnalare l’aiuto costante
che ricevo dal servo di Dio Nino
Baglieri nelle mille necessità
di tutti i giorni. Mio figlio Paolo
venne a sapere che a fine mar-
zo l’azienda presso cui lavorava
avrebbe chiuso la sua attività.
Preoccupata per questa notizia,
mi rivolsi a Nino Baglieri; ed ecco
che l’ultima settimana di marzo
un cliente dell’azienda propose
mio figlio alla Stamperia Artistica
Nazionale. Fu subito convocato e
assunto, senza perdere neppure
un giorno di lavoro. Ora che Paolo
è sistemato, continuo a contare
sull’assistenza di Nino verso i miei
figli, poiché sono tutti exallievi del
Colle Don Bosco. In modo specia-
le gli sto raccomandando altri due
figli Luca e Cristiano, certa che
non ci abbandonerà.
Montagnari Tiddia Mara,
Chieri (TO)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
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Dicembre 2015

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ROBERTO GONTERO - Volontario Omg - Presidente nazionale A.Ge.S.C.
DON ALDO RABINO
Morto a Maen (Ao), il 17 agosto, a 76 anni
Amico, maestro e padre. Questo
era don Bosco per i suoi ragazzi.
Questo è stato don Aldo per noi
dell’Omg. Tantissimi sono i gio-
vani e gli adulti che in questi 46
anni di gruppo hanno camminato
con lui, aderendo alla straordina-
ria missione cominciata nel 1967
da don Ugo De Censi.
“Lavorare insieme per i poveri,
con spirito missionario, essendo
buoni e pagando di persona fino
alla morte”. Don Aldo ha incarnato
con pienezza i sette punti dell’Ope-
razione, morendo sul campo. Il 18
agosto ultimo scorso si è spento
nella sua Maen, in mezzo ai giova-
ni, pagando forse il prezzo di una
fatica regalata senza risparmio.
Sono entrato nella storia della
sua Omg all’oratorio di san Pao-
lo a Torino, nel 1977, ma già dal
1969 – frequentando la scuola
salesiana – vedevo con stupore e
un po’ di disappunto i ragazzi del
Don passare al sabato pomerig-
gio con il carretto carico di car-
ta, ferro e stracci. Qualche anno
dopo mi ci sono ritrovato, anch’io
attratto più dalle belle ragazze
che dalla voglia di faticare. Don
Aldo era effettivamente all’avan-
guardia ed aveva fatto la scelta
giusta fidandosi dei giovani, per
tutta la sua vita di educatore. In-
novare educando. Quante cose
ha intuito e messo in pratica que-
sto Sacerdote nato all’oratorio del
Rebaudengo da famiglia umile,
ma grande nei suoi componenti.
La prima e fondamentale educa-
zione si impara in famiglia e nulla
potrà mai sostituirsi ad essa.
Educare innovando. Oggi par-
lare di innovazione è di moda,
oltre che una necessità vitale,
ma intuirlo negli anni Settanta è
stato profetico. Da lì, la volontà di
costruire un luogo dentro l’orato-
rio per educare i giovani al duro
sacrificio del lavoro anziché della
facile e comoda critica. “Lavorare
per i poveri anziché discutere”:
per i sessantottini che ci ascolta-
vano era una bestemmia di cali-
bro notevole!
Don Aldo era tornato dalla spedi-
zione in Bolivia toccato nel cuore
dalla condizione di miseria della
popolazione e colpito nell’anima
dai lebbrosi del São Julião. Do-
vendo fare delle scelte, decise di
impegnarsi per loro. Sono oltre
novecento i giovani che ad oggi
sono partiti per andare a lavora-
re con la sua grande amica suor
Silvia Vecellio, in Mato Grosso.
E che preparazione dura chiedeva
il Don: almeno due anni di lavo-
ro in gruppo a raccogliere carta
o a costruire la fraternità Oasi di
Maen. “Una casa dei giovani per
i giovani”: altra grande intuizione.
Trasformare una vecchia centrale
idroelettrica in una potente turbi-
na che produce educazione per
uomini e donne nuovi, rigenerati,
è stata una fatica grande ma molto
feconda. Siamo passati in migliaia
all’Oasi. E in tanti siamo partiti un
giorno, pronti per il Mato Grosso.
Don Aldo non si è mai rassegnato
all’indifferenza. Come don Primo
Mazzolari, diceva: “Come si fa
ad essere cattivi? Basta girare
la faccia dall’altra parte”. Lui non
l’ha mai girata. Nei primi anni
passavamo le domeniche negli
ospizi degli anziani a regalare
compagnia ed allegria. Poi aiuta-
vamo i bambini nel fare i compiti
pomeridiani, oppure ci impegna-
vamo ad aiutare i terremotati del
Friuli o dell’Irpinia. Guai a stare a
guardare: un peccato mortale!
Donare di più, senza risparmiarsi,
perché i poveri ed i giovani “non
possono aspettare”: questo il suo
invito, questo il suo esempio.
Non poteva aspettare neanche
quando si è prospettata l’occa-
sione di metterci a lavorare in
un altro dei suoi campi preferiti:
lo sport. Gestire un centro pa-
storale e sportivo come il centro
Laura Vicuña, alle porte di Torino,
era un’impresa ardua, rischiosa,
adatta però (neanche a dirlo!) al
suo spirito profetico e pertanto
realizzata con successo.
Don Aldo guardava allo sport che
educa formando dirigenti, ma
non solo. Era infatti la formazio-
ne la sua vocazione più grande.
Instancabile nei ritiri, nei percorsi
biblici, nei seminari, si preparava
sempre con grande impegno, per
non lasciare nulla all’improvvisa-
zione. Non si sarebbe mai perdo-
nato di sbagliare l’approccio per
educare giovani e adulti.
Infine, don Aldo si prendeva cura,
coinvolgeva, aveva delicatezza
nelle relazioni umane. Non si
trattava di perfezione, perché non
era perfetto, ma va detto che sa-
peva guardare alle esigenze pro-
fonde dell’uomo moderno.
Senza imporre nulla, ci ha edu-
cati ad una fede in Dio semplice,
confidente, non sentimentalista,
concreta e affidata a Maria e a
don Bosco. Non voleva essere
per noi il “prete tascabile”, ma è
stato per 46 anni a completa di-
sposizione per farci vivere l’Eu-
carestia, la preghiera o il senso
cristiano della “buona morte”.
Non ha lasciato nulla al caso,
dandoci giorno dopo giorno gli
strumenti essenziali per conti-
nuare a camminare da soli.
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
I SEGRETI DELLA SANTITÀ
Tra i tantissimi ragazzi che frequentarono l’oratorio di Valdocco a Tori-
no, ce ne fu uno, in particolare, che si distinse per bontà e che lasciò di
sé una traccia indelebile e un ricordo commovente. Questo ragazzino,
XXX, nato a Mondonio di Castelnuovo d’Asti, era il secondo dei dieci
figli (quasi tutti morti precocemente) di un fabbro e di una sarta. La sua
famiglia, come si può immaginare, non era agiata eppure voleva solo il
bene dei figli e cercava di assecondare le loro inclinazioni. E il parroco di
Mondonio, don Cagliero, ben comprese quali fossero quelle del piccolo:
lo studio e il sacerdozio. Fece in modo che incontrasse don Bosco e que-
sti decise di dargli la possibilità di studiare e di diventare allievo dell’ora-
torio. Aveva appena dodici anni, ma era sensibile, assiduo ai sacramenti
e devoto all’Immacolata Concezione. Un giorno scrisse a don Bosco un biglietto con queste candide
parole: “Mi aiuti a diventare santo?”. E don Bosco rispose con i cosiddetti segreti della santità: il primo
è l’“allegria”, il secondo “l’impegno nei doveri di studio e di preghiera” e il terzo è “fare del bene”. Il
ragazzo accolse i suggerimenti e riportò, tra i suoi appunti, il progetto di vita che avrebbe voluto perse-
guire. Si sarebbe confessato e comunicato frequentemente,
avrebbe santificato i giorni festivi, i suoi amici sarebbero stati
Gesù e Maria e avrebbe scelto la morte ma non i peccati.
Durante l’epidemia di colera che fece strage nel 1856 si offrì
volontario per assistere i malati, ma purtroppo contrasse la
malattia e morì tra le braccia dei genitori. Aveva solo 14 anni.
La Santa Sede ne riconobbe le virtù eroiche, don Bosco ne
scrisse la Vita e Pio XII lo canonizzò nel 1954 dopo aver con-
statato alcune guarigioni ritenute miracolose. A Lecce esiste
l’unica chiesa al mondo che gli è dedicata.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Il servizio se-
greto militare italiano del dopoguerra
- 7. Ci si reca per veloci consuma-
zioni - 10. Cambiano in parte il latte
- 12. Torino - 13. Fu imperatore di
Roma per 88 giorni - 16. Vetrata…
a Parigi! - 19. I 50 eroi al seguito
di Giasone - 21. Lo è Elisabetta II
- 24. XXX - 26. In mezzo al lago
- 28. Una delle sue città è Timbuc-
- 29. L’indimenticata Barzizza del
Cinema - 30. Grande quantità - 32.
Numero in breve - 33. Risuonava
con l’alalà - 35. Un vino toscano -
37. Piccola nave da guerra - 39. Sir
Ove celebre ingegnere inglese - 41.
La quarta prep. - 42. Sono pari ne-
gli attriti - 43. Diminuiti di velocità,
frenati - 46. Lo firma il notaio - 47.
Tendenza a commuoversi facilmente
- 48. Il satellite di Giove scoperto
da Galilei.
VERTICALI. 1. Iniz. della Ferilli
- 2. Raganella arborea - 4. Le prime
auto costruite in catena di montag-
gio - 4. La materia del discorso - 5.
Cittadina portoghese - 6. Vani, inu-
tili - 8. Aeroporti, specie di piccole
dimensioni - 9. Aprire in mezzo -
10. Che precede - 11. Ben pensa-
ta - 12. Un giovane ufficiale - 14.
Bramoso - 15. Afferma in Francia
- 17. Una preposizione - 18. Gira
al Luna Park - 20. Touring Club Ita-
liano - 22. I confini dell’Arkansas -
23. Produce vini spumante famosi
nel mondo - 25. Sono dispari negli
spaghi - 27. Il Cary di Intrigo In-
ternazionale - 31. Soccorsi - 34.
Un albero del frutteto - 36. Ossa del
bacino - 38. È pregiato il musqué
- 40. Il Papa Pacelli che fu … XII -
44. Visconti regista (iniz.) - 45. La
fine dello sprint.
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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
«Ora so perché dovevi farlo»
C’era una volta un uomo
che considerava il Natale
una favola incompren-
sibile. Era una persona
gentile e discreta, amo-
revole con la sua fami-
glia, onesta in tutti i suoi rapporti
con gli altri uomini. Ma non riusciva
a credere all’Incarnazione. Ed era
troppo onesto per fingere di crederci.
La vigilia di Natale la moglie e i figli
andarono in chiesa per la Messa di
mezzanotte.
«Mi dispiace, ma non vengo»
disse lui. «Non riesco a capire
l’affermazione che Dio si fa
uomo. Preferisco stare a casa.
Vi aspetterò per prendere
qualcosa di caldo insieme».
La sua famiglia si allontanò
in auto, la neve cominciò a
cadere. L’uomo andò alla
finestra e guardò le folate
sempre più fitte e pesan-
ti. «Un vero Natale con i
fiocchi!» pensò. Tornò alla
sua poltrona vicino al fuoco
e cominciò a leggere il suo
libro. Pochi minuti dopo fu
sorpreso da un tonfo sordo,
subito seguito da un altro,
poi da un altro ancora.
Pensò che qualcuno si divertisse a ti-
rare palle di neve alla finestra del suo
soggiorno. Quando andò alla porta
d’ingresso per indagare vide uno
stormo di uccelli che svolazzavano
nella tempesta alla disperata ricerca
di un riparo e attirati dalla luce della
sua finestra andavano a sbattere
contro i vetri. Molti finivano a terra
tramortiti.
«Non posso permettere che que-
ste povere creature giacciano lì a
congelare» pensò. «Ma come posso
aiutarli?»
Si ricordò della rimessa che non
usava più: avrebbe potuto fornire
un riparo caldo. Indossò il cappotto
e gli scarponi e con passo pesante
attraverso la neve si diresse alla
rimessa. Spalancò l’ampia porta e
accese la luce. Ma gli uccelli non
entravano.
«Un po’ di cibo li attirerà» pensò.
Così si affrettò a tornare a casa per le
briciole di pane, che sparse sulla neve
per fare un percorso verso la rimessa.
Ma gli uccelli ignoravano le briciole
di pane e continuavano a svolazzare
sempre più intorpiditi nella tormenta.
L’uomo si mise ad agitare le braccia,
ma quelli, spaventati, si disperdevano
in ogni direzione, invece di rifugiarsi
nel deposito caldo e illuminato.
«Mi vedono come una creatura stra-
na e terrificante» si disse.
«Li ho solo terrorizzati di
più. Come faccio a comu-
nicare loro che possono
fidarsi di me?» Uno strano
pensiero lo colpì: «Se solo
potessi essere un uccello io
stesso per qualche minuto,
forse potrei guidarli verso la
salvezza».
Proprio in quel momento
le campane della chiesa
cominciarono a suonare.
Rimase in silenzio per un
po’, ascoltando le campane.
Poi cadde in ginocchio
nella neve.
«Adesso capisco», sussur-
rò. «Ora so perché dovevi
farlo».
«In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio. E il Verbo
si fece carne e venne ad abitare in mezzo
a noi.» (Vangelo di Giovanni 1, 1; 14).
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Nessuna infanzia
nella guerra tra bande
I bambini di strada
in Colombia e nel mondo
L’invitato
L'avventura del
Signor Roberto Panetto
Il Don Bosco Hotel School
a Sihanoukville
Come don Bosco
Quattro pause intelligenti
A tu per tu
Don Giovanni Barroero
Essere salesiani
in Ungheria
La serie
Vivere la misericordia
in famiglia
La riconoscenza
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.