Bollettino_Salesiano_201212

Bollettino_Salesiano_201212



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IL
DICEMBRE
2012
Verrà Natale
e tutto cambierà!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La tovaglia dell’altare
Mi cucirono le
trepidanti mani di
una futura sposa.
Ero un magnifico
lenzuolo di cotone.
Sentii nascere i
ricami del mio orlo e fui ripie-
gata con ogni cura in armadi
profumati di resina e lavanda.
Sognavo un futuro romantico
e felice. Sapevo di essere un
prezioso contenitore di sogni
e fui conservata con cura.
Passò molto tempo, poi un
giorno traslocai bruscamente.
Addio al buon vecchio e pro-
fumato armadio! Finii in una
scansia improvvisata e perico-
lante e quando venni tolto di là
fui trasformato in una tovaglia
da altare.
Pensate un po’ che cambiamen-
to. Cominciarono le macchie
di cera delle candele, le mani
dei chierichetti che lasciavano
tracce di ogni tipo, la polvere.
Per di più dovevo sorbirmi tut-
te le prediche. Ma non erano
male, soprattutto quelle di don
Bosco che ogni giorno celebra-
va l’Eucaristia sopra di me e mi
faceva sentire importante.
Ma, un’estate, giunse una
notizia paurosa. A Torino era
arrivato il colera e stava mie-
tendo vittime.
Il re, la regina e la corte reale
erano fuggiti. Il focolaio più
virulento era in Borgo Dora a
pochi passi da Valdocco. Lì,
in case povere e in baracche, si
ammassavano gli immigrati,
la gente malnutrita e senza
possibilità di igiene. In un
mese ottocento furono i colpiti,
cinquecento i morti.
Il sindaco rivolse un appel-
lo alla città: occorreva gente
coraggiosa che si recasse ad
assistere i malati, a traspor-
tarli nei lazzaretti, perché il
contagio non si diffondesse a
macchia d’olio.
Il 5 agosto, festa della Madon-
na della Neve, don Bosco parlò
ai ragazzi: «Sapete che il sinda-
co ha lanciato un appello. Oc-
corrono infermieri e assistenti
per curare i colerosi. Molti di
voi sono troppo piccoli. Ma se
qualcuno dei più grandi si sente
di venire con me negli ospedali
e nelle case private, faremo in-
sieme un’opera buona e gradita
al Signore».
Quella sera stessa, quattordici
si misero in lista. Pochi giorni
dopo, altri trenta riuscirono a
strappare il permesso di unirsi
ai primi, anche se erano molto
giovani.
I ragazzi erano divisi in tre
gruppi: i più alti in servizio
a tempo pieno nei lazzaretti
e nelle case
dei colpiti,
un secon-
do gruppo
girava per
le strade a
esplorare se
vi fossero nuovi
malati, un terzo (i più
piccoli) rimanevano all’orato-
rio, pronti ad intervenire a ogni
chiamata.
Don Bosco esigeva ogni
precauzione. Ciascuno portava
con sé una bottiglietta di aceto,
e dopo aver toccato i malati
doveva lavarsi le mani.
Sovente però gli infermi man-
cavano di lenzuola, coperte,
biancheria. I ragazzi venivano
a dirlo a mamma Margherita.
Essa andava alla guardaroba
e dava quel poco che avevano.
In pochi giorni non ci fu più
niente. Un giovane infermiere
le venne un giorno a racconta-
re che un malato si dimenava
in un giaciglio misero senza
lenzuolo. “Non abbiamo niente
per coprirlo!”
Mamma Margherita ci pensò
su, poi andò a prendere me
dall’altare e mi affidò alle
mani del ragazzo: «Portala al
tuo malato. Non credo che il
Signore si lamenterà».
Ne ero sicuro anch’io.
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Dicembre 2012

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IL
DICEMBRE 2012
ANNO CXXXVI
Numero 11
IL
DICEMBRE
2012
Salesiani
nel mondo
Haiti
rinascerà!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere
don Bosco
I giovani
maestri di
don Bosco
Verrà Natale
e tutto cambierà!
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 CONOSCERE DON BOSCO
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Haiti
12 SE NON DIVENTERETE PICCOLI
Piccolo cuore,
grande coraggio
14 L'INVITATO
FMA
18 MEMORIE
Don Franco Delpiano
21 LA FEDE DEI GIOVANI
22 FINO AI CONFINI DEL MONDO
24 ARTE SALESIANA
Gli angeli di Maria Ausiliatrice
28 LE CASE DI DON BOSCO
Vaticano
30 SANTITÀ SALESIANA
Don Quadrio
32 COME DON BOSCO
34 A TU PER TU
Monsignor dal Covolo
36 NOI & LORO
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
8
30
34
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Il segno di Dio
è un bambino.
È il simbolo di
un nuovo inizio.
A Natale, Dio
stesso si presenta
così: come un
nuovo inizio. Con
Lui si ricomincia
sempre (Foto
Shutterstock).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Chiara
Bertato, Andrea Bozzolo, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Roberto Desiderati, Tonino Lasconi,
Cesare Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Hubert Mesidor, Francesco
Motto, Marianna Pacucci, José J.
Gomez Palacios, Pino Pellegrino,
Luca Pellicciotta, Aldo Rabino,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
I giovani,
maestri
di don Bosco
e dei Salesiani
Quella straordinaria “comunità narrativa”
che è la famiglia salesiana nasce da un so-
gno che ha il sapore evangelico di Marco
9, 36-37: «Gesù prese un bambino, e lo
portò in mezzo a loro, lo tenne in braccio
e disse: “Chi accoglie uno di questi bam-
bini per amor mio accoglie me. E chi accoglie me
accoglie anche il Padre che mi ha mandato”».
I giovani non sono solo “destinatari”, ma elemento
dinamico essenziale per la Famiglia Salesiana. La
storia salesiana dimostra che il lavoro tra i giovani
poveri e abbandonati, destinatari privilegiati, attira
le benedizioni di Dio, è sorgente di fecondità ca-
rismatica e religiosa, di fecondità vocazionale, di
rigenerazione della fraternità nelle comunità, è il
segreto della freschezza e del successo delle opere.
Don Bosco è interpellato da Dio attraverso i gio-
vani: quelli rinchiusi nei carceri torinesi, quelli in-
contrati sulle vie, le piazze e i prati delle periferie
torinesi, quelli che bussano alla sua porta per avere
pane e rifugio, quelli incontrati nelle scuole popo-
lari della città dove è chiamato per il ministero.
«Gesù chiamò un bambino, lo mise in mezzo a
loro e disse: “Vi assicuro che se non cambiate e
non diventate come bambini non entrerete nel
regno di Dio”» (Matteo 18, 2-3). Frase diffici-
le da prendere alla lettera, soprattutto da chi è
quotidianamente esasperato dalla convivenza con
tiranni in formato ridotto. I bambini hanno dav-
vero qualcosa da insegnarci?
Don Bosco impara dai giovani: certe note con-
notative del sistema preventivo sono frutto della
frequentazione del loro mondo e della comunan-
za di vita, sentimenti, aneliti; certi aspetti quali-
ficanti della spiritualità giovanile di don Bosco
sono tratti dalla conoscenza dell’animo giovanile
e dalla scoperta delle altezze a cui essi possono
arrivare; certe caratteristiche carismatiche dello
spirito salesiano vengono proprio dalla sintonia
con il mondo giovanile.
Quello che ci insegnano i piccoli
Il mestiere di educatore può essere una condanna
alla schiavitù e alla nevrosi o un viaggio entu-
siasmante che arricchisce e trasforma. Uno degli
elementi che fa la differenza è la disponibilità ad
imparare. Di solito gli educatori pensano a ciò
che possono insegnare ai loro destinatari. Forse,
una volta tanto, devono chiedersi che cosa posso-
no imparare da loro.
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Il mestiere di educatore non è un estenuante fioc-
care di attività e interventi pratici, è un cammino
spirituale: un susseguirsi di esperienze che sve-
lano, poco a poco, il senso profondo della vita e
della persona. E in questo cammino si è spesso
condotti da manine paffute sporche di Nutella
che hanno appena rovinato in modo irrimediabi-
le la nuova costosissima decorazione dell’oratorio.
Perché sono loro i più vicini alle sorgenti della vita.
Fare gli educatori è scuola in cui si apprende più
di quanto si riesca ad insegnare. A patto, natu-
ralmente, di volerlo fare. Sarà facile scoprire che
guardare i ragazzi è meglio che guardare la te-
levisione o navigare su Google. E più istruttivo.
Ecco alcune delle cose che ci possono insegnare
i ragazzi.
La crescita permanente. I ragazzi “costringo-
no” gli educatori a conoscersi a fondo: hanno uno
straordinario talento nel disintegrare i ruoli e ar-
rivare alla “carne viva”. Si può mentire agli adulti
con qualche speranza di successo: mentire ad un
bambino è impossibile. I bambini avvertono le
emozioni con intensità e sensibilità maggiori delle
nostre e le manifestano con assoluta spontaneità.
Questo provoca negli educatori una forte cre-
scita del senso di responsabilità e la necessità di
una sempre maggiore capacità di autocontrollo.
Anche la mente è stimolata. Ogni giorno, la vita
con i ragazzi li pone di fronte a scelte, a sfide,
a problemi e difficoltà. In ogni momento della
giornata la mente di un educatore è costretta a
sviluppare prontezza di spirito, intelligenza del
cuore, inventiva.
L’attenzione. “Guarda!” I bambini desidera-
no la presenza dell’educatore. Non un semplice
“essere lì”: vogliono un’attenzione totale, indivisa,
senza giudizi o aspettative. Una presenza che ri-
scalda, che fa diventare importante, fa sentire di
valere. Essere presente significa essere disponibi-
le: sono qui, per te. Un’attenzione pura, che non
invade e non dirige, ma è intensamente presente
e basta. Noi sfioriamo tutti, non siamo più attenti
alle persone, neanche a quelle che amiamo.
Il rispetto e la pazienza. I figli reali non sono
mai simili a quelli sognati e aspettati. Si ribellano
alle aspettative che impediscono loro di crescere
secondo le leggi interne del loro essere. Hanno un
loro ritmo, un loro progetto interno, inclinazioni
originali. Diceva don Bosco: «Lasciare ai giovani
piena libertà di fare le cose che loro maggiormen-
te aggradano... E, poiché ognuno fa con piacere
quello che sa di poter fare, io mi regolo con que-
sto principio, e i miei allievi lavorano tutti, non
solo con attività ma con amore» (MB, XVII, 75).
Diceva ai suoi collaboratori: «Si dia agio agli allievi
di esprimere liberamente i loro pensieri». Insisteva:
«Li ascoltino, li lascino parlare molto».
La felicità e gratitudine per la vita. I gio-
vani sono l’investimento più importante nel cam-
po della realizzazione e della felicità personale.
Sono un compito, talora arduo, ma anche una
benedizione. La vita con i giovani può essere una
faticaccia, ma quale profonda felicità può genera-
re una giovane persona che matura affidandosi a
noi con tutta la fiducia del mondo?
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Esodati dalla Chiesa?
Apprezzo molto gli sforzi che la Chie-
sa Cattolica sta facendo per incen-
tivare la fede, ma non arrivate mai
al “nocciolo”. Non si può più citare
alla lettera dei brani delle lettere di
san Paolo per spiegare ai divorziati
il divieto di fare la Comunione (io
fortunatamente sono felicemente
sposata e con figli adolescenti)! A
questo punto si potrebbero sentire
esclusi gli omosessuali, essendo
aspramente rimproverati in più passi
della Bibbia: in passato per ignoran-
za, poiché non sapevano esistesse
anche tra gli animali, quindi è stato
Dio, per limitare un’eccessiva proli-
ferazione. Aggiungo la mia incom-
prensione per la non apertura al
sacerdozio femminile, è come dire
che noi donne siamo meno intelli-
genti degli uomini, e l’ostinazione
del celibato per i Consacrati (ma non
può essere facoltativo?). Si prendes-
se la parte positiva dei protestanti, i
cui sacerdoti lavorano come tutti e
hanno famiglia, meno sfarzo al Va-
ticano, poche regole che verrebbero
sicuramente rispettate da tutti, ma
finché la Chiesa rifiuta di ascoltare
queste cose, finisce per imporre solo
dei dogmi incomprensibili eseguiti
da gente bigotta immacolata este-
riormente, mentre dentro piena d’in-
vidia, di rancore e di rabbia. Se non
ho cambiato religione è perché credo
molto in Maria Santissima.
Cordiali saluti e complimenti per
il giornale che non manco mai di
leggere.
Una credente 42enne
G entile signora 42enne,
grazie per la sua lettera
paradigmatica di un co-
mune modo di pensare
nella società di oggi.
Rispetto ed apprezzo
tutti i suoi punti di vista. Non con-
divido, nel modo più assoluto, solo
l’affermazione che presenta la fede
come un insieme di “dogmi incom-
prensibili eseguiti da gente bigotta
immacolata esteriormente, mentre
dentro pieni di invidia”. Sono prete
salesiano credente e non mi rico-
nosco in quanto lei dice. Sarà un
atto di superbia il mio? Mi rallegro
che non abbia ancora cambiato re-
ligione. Mi limito a farle notare che
lo zoccolo duro del cristianesimo
consiste nel credere in Cristo mor-
to e risorto e non nella Madonna.
Maria non è perno della fede, ma,
come Madre del Signore, è degna
della massima venerazione. Mi
suona nuova, ed un poco strana,
anche la sua affermazione che l’o-
mosessualità venga permessa da
Dio “per limitare un’eccessiva pro-
liferazione”.
Per quanto riguarda la pastorale a
riguardo dei divorziati ed il celibato
ecclesiastico, entrambi ricadono
sotto la normativa vigente oggi
nella Chiesa. Il Diritto Canonico
non è immutabile per sempre e le
sue disposizioni possono, in futuro,
anche cambiare. È in atto un ampio,
articolato e sofferto dibattito nel
contesto ecclesiale. Il nostro atteg-
giamento più corretto, al riguardo,
è quello di pregare lo Spirito che
illumini i nostri pastori a prende-
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
re decisioni che siano veramente
conformi all’infinita carità e miseri-
cordia del cuore di Dio. Nell’attesa
le leggi devono essere rispettate
senza fughe in avanti od interpreta-
zioni benevole. È questione di lealtà
e correttezza.
Per quanto riguarda il sacerdozio
femminile la questione è stata de-
finitivamente chiusa da Giovanni
Paolo II: il sacerdozio maschile
è stato voluto da Dio e, di con-
seguenza, tale deve rimanere per
sempre. Faccio mie le sue per-
plessità a riguardo di una certa
tendenza al lusso ed allo sfarzo in
alcuni settori della vita della chie-
sa. Solo una Chiesa povera, libe-
ra e fraterna può essere credibile
testimone di Gesù povero, libero
e misericordioso che legge nelle
coscienze al di là della ristrettezza
delle vedute ed opinioni umane.
Dio la benedica.
Ermete Tessore
Docente di filosofia
e religione
Mia figlia di 12 anni
compra sigarette
Ho sorpreso mia figlia mentre
prendeva le sigarette dal distribu-
tore automatico della tabaccheria
della mia cittadina. Mi sono ar-
rabbiata moltissimo anche con il
povero tabaccaio e poi ho avuto
una litigata solenne con mia figlia.
Lei mi ha giurato che erano per la
sorella più grande, che fuma anche
lei. Ma ha 18 anni e non posso trat-
tarla severamente come la sorella
più piccola che ha solo 12 anni
e mezzo. Il suo comportamento è
sempre più sorprendente. Era una
bambina giudiziosa e calma. È di-
ventata una ragazzina che snobba
tutto, non studia più, fuma e pensa
che malgrado l’età tutto le sia per-
messo! Cerco di parlarne con mio
marito e con loro, ma ho l’impres-
sione di aver completamente fallito
con la mia seconda figlia. Abbiamo
deciso una punizione, ma mia fi-
glia se ne infischia altamente. Che
cosa posso fare?
L.A.
T anto vale parlare di crisi
adolescenziale. Ciò che
conta però è uscire dal
modello «crisi», che
può significare soltanto
arrabbiatura, litigio, ri-
bellione, ecc. Non si lasci trascina-
re dalla delusione e assicuri a sua
figlia ciò di cui ha più bisogno: il
suo lavoro di genitore. È indubbio:
la conquista di autonomia e indi-
pendenza da parte di un adolescen-
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te mette a dura prova la pazienza e
la tolleranza, oltre che le coronarie
dei genitori, spesso relegati in un
angolo da frasi come “Ma tu cosa
vuoi dalla mia vita? Ho il diritto di
fare le mie esperienze senza che tu
interferisca”.
Il problema reale non risiede in que-
ste parole, ma nella tendenza dei
genitori ad assecondarle, pensando
che il percorso di crescita di un figlio
possa fare a meno della loro presen-
za vigile e accompagnante, di regole
e limiti, di discussioni e litigi.
“Lasciar correre”, come se nulla
fosse, come se il suo destino di-
pendesse fondamentalmente da
lui, non è una strategia che paga e
che risponde alle sue esigenze: an-
che se è l‘ultima cosa che vorrebbe
ammettere, a se stesso e agli altri,
tra i 13 e i 16 anni un figlio ha uno
straordinario bisogno di mamma e
papà. Sono l’unico vero “fattore di
protezione” che possiede. E allora
protegga sua figlia con tutte le sue
forze e nonostante lei!
Tutti i ragazzi ritengono molto im-
portante il modo in cui i loro geni-
tori considerano i rischi. I genitori
Nel mio DNA scorre la dinastia
di san Giuseppe Cafasso
Così si presenta l’exallievo Italo Cafasso da Capriglia Irpina (Av).
È poeta e musicista di fama. Milioni di persone, senza conoscerlo,
hanno potuto ascoltare, sognare, cantare, suonare tante sue canzoni.
Ha regalato al Bollettino una sua poesia.
devono aiutare i figli (con decisione
ed energia) a valutare i rischi che
Ritorna il Natale
corrono e ad anticiparne le conse-
guenze.
Per gli adolescenti è molto impor-
tante rispondere a domande del
tipo: cosa pensa mio padre? Cosa
pensa mia madre? Il 99 per cento di
loro prende estremamente sul serio
l‘opinione dei genitori, se questi si
sono dimostrati minimamente ido-
nei nei primi anni di vita familiare.
Tuttavia, non esistono praticamente
adolescenti che confessano aperta-
mente ai genitori ciò che pensano.
C’è aria di festa
intorno a me
seppur nel mondo
la miseria abbonda:
uomini sconvolti dal presente incerto
vagano nel buio
mentre guerre perdute
non finiscono mai.
Solo l’innocenza
di un bimbo appisolato
fa sperare qualcosa:
forse pensando a lui
qualcuno diventa migliore.
Ora, un po’ di calore
riscalda l’anima
anche se fuori fa freddo.
Quindi, se il padre dice: “Non sono
affatto d‘accordo con quello che in- cia. Questo, però, non significa che è su questa base che si costruisce
tendi fare. Non lo voglio assoluta- le parole dei genitori non abbiano tutto. È come nella vita reale: la so-
mente!”, il ragazzo non se ne starà alcun peso. Fondamentale è chie- luzione perfetta non esiste. Non si
lì fermo a riconoscere: “Hm, ora dersi come sia stata la relazione può trovare la risposta a come vi-
che ci penso, hai davvero ragione, con il proprio figlio o con la propria vere, si può solo farlo, più o meno
papà. Grazie”. Deve salvarsi la fac- figlia nei primi tredici anni, poiché bene.
Ancora una cosa davvero impor-
Stefania Raymondo - Joram Gabbio
Alla capanna
Tutti davanti alla capanna: Gelindo con la sua capra sulle spalle
ed il Piemonte nel cuore, Benino, il musico e il pescatore; gli
immancabili asino e bue, rischiarati dalla cometa, e poi il gallo
e l’oca, le pecore e i cammelli venuti da lontano. Per incanto il
presepe, costellato di statuine, si trasforma in un presepe vi-
vente. È un presepe che vive grazie alle domande della piccola
Lucia, e si anima nelle riflessioni della penna e nei tratteggi del-
la matita: parola e grafica si aggirano tra le statuine, centenarie,
per raccontare un incanto che si perpetua, ed apre squarci a
meditazioni che vibrano nel tempo e nello spazio.
tante: pensi a proporre alternative,
ragionando alla “salesiana”. Mol-
ti comportamenti nascono dalla
noia. Cerchi per le sue figlie dei
modi perché la voglia di adrenalina,
libertà e autonomia possa espri-
mersi senza mettere a repentaglio
la propria salute. Sport, musica e
associazionismo rappresentano
contenitori naturali in cui i figli
possono esprimere ed espandere,
in contesti relativamente sicuri, la
Edizioni Visual Grafika
Pubblicazione: 2012, pp. 96
ISBN: 978-88-95816-45-6 13,00
propria voglia d’avventura.
Americo Bejca
eremita
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SALESIANI NEL MONDO
HUBERT MESIDOR
Haiti rinascerà!
Una delle aule
delle nuove scuole
professionali.
Il terremoto del 12 gennaio 2010,
una delle più tremende catastrofi
dei tempi moderni, che ha
annientato la capitale haitiana
Port-au-Prince e molte città
dell’isola, ha messo in ginocchio i
diversi settori della vita nazionale.
Quasi tre anni dopo, qual è la
situazione del popolo haitiano?
Inquietudine, frustrazione, delusione: questi
sono i sentimenti che si leggono sul viso di
molti. Il paese piange e soffre ancora per le
ferite aperte della catastrofe che ha causato
la morte di più di trecento mila persone e ha
ferito gravemente due milioni di persone che
sopravvivono con handicap rilevanti.
Le conseguenze sul piano fisico, economico, so-
ciale e ambientale sono enormi, nonostante gli
sforzi del governo haitiano, della Chiesa e della
comunità internazionale attraverso le ONG.
Ad uno sguardo superficiale, si potrebbe pen-
sare che è stato fatto poco. Ma quando si va a
fondo delle cose, si comprende facilmente che
l’ampiezza del disastro ha sorpassato largamente
la capacità di questo piccolo paese che già dove-
va affrontare grosse difficoltà economiche, so-
ciali e strutturali.
I salesiani di Haiti
Come il paese intero, anche la Visitatoria salesiana
di Haiti è stata quasi totalmente inghiottita dal-
la catastrofe, che le ha lasciato scarse possibilità di
reazione. L’appello del Rettor Maggiore durante
la sua visita un mese dopo il sisma, il 12 febbraio
2010, risuona continuamente nel cuore dei salesiani
di Haiti: «Haiti deve rinascere… È l’ora di rimboc-
carci le maniche… per la creazione di una nuova
cultura, attraverso una nuova educazione capace di
costruire una nuova Haiti». E per realizzare questo
sogno occorrono coraggio, forza interiore, sacrifi-
cio, motivazione, decisione, carità, speranza e fede.
La Fondazione Rinaldi: ufficio
di pianificazione e sviluppo
Creata nel 2008 dai salesiani di Haiti, e poten-
ziata nel 2010 dopo il terremoto, questa fonda-
zione ha l’obiettivo di aiutare le diverse comunità
e opere salesiane di Haiti ad elaborare, gestire e
realizzare programmi e progetti orientati al mi-
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glioramento delle condizioni di vita degli strati
più poveri della popolazione e integrare i progetti
in una strategia globale di progresso risolutivo.
La Fondazione coordina anche tutti gli interventi
degli organismi nazionali e internazionali che lo
desiderano e gestisce i finanziamenti per la rico-
struzione, l’alimentazione e lo sviluppo.
Dal marzo 2010, il salesiano spagnolo don Or-
lando Gonzalez è direttore aggiunto della Fon-
dazione Rinaldi. A lui abbiamo chiesto alcune
considerazioni dopo due anni e sei mesi di Haiti.
Don Orlando, qual è stata
la tua “carriera” salesiana?
È già un percorso lungo cinquant’anni, cominciato
nel 1962 con la decisione contrastata di un ragaz-
zino di dodici anni che ero io quando ho lasciato
la casa dei miei genitori per entrare nell’aspirantato
salesiano a mille chilometri di distanza. La dedi-
zione dei salesiani, l’ostinazione di quel ragazzo e
la fede dei genitori hanno dissolto ogni opposizio-
ne, che pure era umana e ragionevole. L’attenzione
che i genitori hanno ricevuto nella loro vecchiaia
ha in seguito permesso loro di sperimentare e pro-
clamare la benedizione che Dio accorda a coloro
che gli donano un figlio. Da allora i salesiani sono
la mia famiglia. Nel suo cuore, il mio corpo e il
mio spirito si sono sviluppati nello stile di don Bo-
sco, per seguire Cristo nel servizio ai giovani.
La Congregazione ha orientato i miei studi ec-
clesiastici, quelli di filosofia nell’Università sta-
tale per l’insegnamento e quelli di gestione per
l’amministrazione delle opere.
Ho insegnato nelle scuole salesiane in
Spagna, Andorra e Costa d’Avorio,
sono stato direttore e ho donato 28 anni
di vita a migliaia di giovani che sono
tutti presenti nella mia memoria.
Da 20 anni mi è stato chiesto di
occuparmi di amministrazione
delle opere. Gli ultimi due qui
ad Haiti.
Qual è stata la tua prima reazione
quando hai appreso l’annuncio
della tua missione ad Haiti dopo le
tremende immagini del terremoto
del 12 gennaio?
Venire ad Haiti non è stata una novità per me, ma
forse per il Rettor Maggiore quando gli ho ma-
nifestato la disponibilità per questa missione. Al
momento del terremoto, dopo aver perso due treni,
ero sprofondato nella lettura nella sala d’attesa della
stazione di Saragozza in Spagna.
Il giorno dopo, ebbi una giornata densa di impegni
e solo alla sera venni a sapere del disastro di Haiti.
Alla “buonanotte”, il direttore della comunità ci
parlò dei 200 giovani morti all’Enam.
Fui angosciosamente colpito dal pensiero di poter
perdere, in meno di 30 secondi, la vita di duecento
dei nostri ragazzi e ne parlai ai confratelli.
Il 14, mentre mi facevo la barba ascoltando la ra-
dio, sentii una voce che veniva da Haiti e gridava
«we need more people». Qualche ora più tardi,
una lettera a don Pascual Chávez gli presenta-
va la mia disponibilità ad andare in aiuto dei
confratelli di Haiti dei quali già conoscevo le
necessità per la loro immensa opera fin da un
viaggio nel 1992.
È un caso reale di comunione degli
spiriti: la lettera è arrivata nel
momento in cui il Rettor Mag-
giore e il suo Consiglio cercava-
no qualche confratello per Haiti!
Nonostante tutte
le avversità, le
case salesiane
stanno risorgendo.
Sotto: Don
Orlando Gonzalez.
Ha il pesante
compito del
progetto della
ricostruzione.
Dicembre 2012
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
I salesiani danno la vita per procurare ai ragazzi
una buona educazione, placare la loro fame o incoraggiare
la loro vita, tuttavia loro stessi non hanno un posto
dove posare il capo
Come vedi il paese 2 anni e 6 mesi volontà corrente di rassegnazione che purtroppo
dopo il terremoto?
si è impadronita di Haiti negli ultimi trent’anni.
Due anni e sei mesi dopo, Haiti è sempre in una Due decenni di “decostruzione” sprofondati in un
situazione difficile e sconfortante. Basta spostarsi terremoto devastante non si possono cancellare
per Port-au-Prince o all’interno del paese per con- dall’oggi al domani. Siamo coscienti che ci vor-
statarlo. Tuttavia, da qualche mese, sembra guada- ranno molto tempo e straordinari sforzi personali,
gnare terreno una certa volontà di miglioramento pubblici, morali ed economici per raddrizzare la
esplicito, sistematico ed effettivo. L’impostazione situazione.
I salesiani
ricominciano
sempre dai
ragazzi. Sono
la fonte della
speranza e della
fiducia nel futuro.
di uno stato di diritto perché la vita, i beni e le
istituzioni siano rispettati e protetti; la costruzio-
ne di infrastrutture materiali (strade, risanamen-
to, reti elettriche, telefoniche ed idriche); la poli-
zia; la protezione dell’ambiente… vanno contro la
Sei arrivato ad Haiti nel marzo 2010
e da quel momento lavori nella
Fondazione Rinaldi. Che cosa fa
concretamente quest’ufficio?
È curioso. Nella mia Ispettoria d’origine, Barcel-
lona, abbiamo una Fondazione Rinaldi e io lavo-
ravo nel suo ufficio direttivo. Arrivato ad Haiti,
finisco a lavorare alla direzione della Fondazione
Rinaldi di qui, creata nel 2008 per aiutare le dif-
ferenti comunità a elaborare, gestire e realizzare
progetti di lungo respiro. La Fondazione Rinaldi
appartiene totalmente alla Visitatoria di Haiti. I
progetti non nascono a tavolino, ma dalle esigen-
ze delle opere. Alcuni dei grandi progetti? Dob-
biamo puntualizzare l’aggettivo “grandi”. Se è
per il numero dei bambini e dei giovani: le scuole
OPEPB e le attività delle vacanze; se è per il fi-
nanziamento: il complesso di Gressier; per le di-
mensioni e la complessità: la ricostruzione dell’E-
nam; per la problematica socio-umanitaria: la
sistemazione e l’assistenza dei rifugiati di Thor-
land e Cité Soleil; per il significato salesiano: la
base a Lakou-Lakay per i ragazzi di strada e lo
sviluppo del piano strategico per la formazione
10
Dicembre 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Anche se
le strutture
sono ancora
provvisorie, a Cité
Soleil la scuola è
ricominciata.
professionale; per lo sforzo di gestione la Fonda-
zione Rinaldi stessa; per il rigore dell’esecuzione:
la nuova casa ispettoriale; per l’originalità salesia-
na: la Scuola per infermieri di Fort Liberté; se per
i ritardi causati da controversie con i fornitori: i
prefabbricati della ditta DKB destinati a Cité So-
leil; se per l’urgenza: il sostegno della formazione
e gli stipendi degli insegnanti…
Potrei continuare a lungo. La lista dei progetti ar-
riva a trecento. Voglio solo fare una
riflessione: i salesiani danno la vita
per procurare ai ragazzi una buona
educazione, placare la loro fame o
incoraggiare la loro vita, tuttavia
loro stessi non hanno un posto dove
posare il capo, talmente sono inade-
guate le condizioni di vita di alcune
delle nostre case ed è difficile tro-
vare finanziamenti per migliorarle!
per sostenerci… sono la prova che formiamo una
grande famiglia dentro la Chiesa, per offrire ai
giovani e ai ragazzi poveri un’educazione fondata
sul Vangelo, perché possano vivere felici, come
figli del Dio che ama la vita e la gioia. Il nostro
grazie e tutta la nostra riconoscenza non saranno
mai nella misura del loro cuore generoso. I giova-
ni e i ragazzi di Haiti possono contare solo su di
loro!
Quale messaggio
lasceresti a tutti coloro
che ancora cercano
fondi per Haiti?
Le Procure salesiane, le ONG lega-
te ai salesiani, raccoglitori di fondi
Dicembre 2012
11

2.2 Page 12

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SE NON DIVENTERETE PICCOLI
RICHARD FRECHETTE
Piccolo cuore,
grande coraggio
«Aveva gli occhi vivaci e un sorriso magico.
Si chiamava Marie Claire. Le era stata amputata
una gamba, e le ferite erano gravi».
Padre Rick Frechette, americano, sacerdote
e medico che guida orfanotrofi, scuole di strada,
un ospedale pediatrico e cliniche mobili in Haiti,
racconta uno straordinario incontro.
Per molte settimane dopo il
terremoto, a tarda sera mi
affrettavo a tornare nella mia
stanza, cercando finalmente
un po’ di pace nel sonno. La
devastazione che dominava
ovunque, gli innumerevoli funerali,
gli incalcolabili feriti riempivano le
nostre giornate, facendoci sentire inu-
tili e impotenti.
Dormivo in ospedale per incoraggiare
i pazienti a restare al suo interno. Sa-
pevamo che la struttura era salda. Ma
ogni volta che la terra tornava a trema-
re, il che accadeva quasi ogni notte, il
panico più assoluto aveva il sopravven-
to, e la gente correva in tutte le dire-
zioni, trascinando con sé i bambini. O
meglio, zoppicava in tutte le direzioni,
strisciava in tutte le direzioni, perché i
genitori dei bambini ricoverati nel no-
stro ospedale, quelli che avevano avuto
la fortuna di aver salva la vita, erano
anche feriti. L’ospedale era il luogo più
sicuro. Solo al suo interno, e nei giar-
dini e nei corridoi zeppi di feriti, si po-
tevano ricevere cure adeguate.
Nel reparto accanto alla mia stanza
c’era una bambina. Aveva gli occhi vi-
vaci e un sorriso magico. Si chiamava
Marie Claire. Le era stata amputata
una gamba, e le ferite erano gravi, ma
restava serena nel suo letto, tranquil-
lizzata dalla grazia di avere ancora suo
padre accanto a sé. Anche suo padre
aveva lo stesso, magico sorriso, ma
nei suoi occhi si leggevano tristezza
e ansia. Aveva perso la casa, la moglie
e un altro bambino. Fisicamente era
illeso, ma dentro viveva nel terrore e
nella paura. Per lui non c’era più nien-
te di sicuro sulla terra, e temeva per la
figlia, domandandosi che vita avrebbe
avuto, in un mondo così spietato, sen-
za una gamba.
Ogni sera mi fermavo a salutarli, per
offrire una parola allegra o di inco-
raggiamento, e una benedizione.
Comprendendo il cuore di quel pa-
dre, riflettevo su quante persone in
tutta la città portassero ferite invisi-
bili, amputazioni psicologiche e spiri-
tuali nascoste alla vista: la perdita del
coraggio, del senso di fiducia nella
vita, della speranza già fragile per la
terribile povertà che le affliggeva.
12
Dicembre 2012

2.3 Page 13

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2.4 Page 14

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L’INVITATO
MARIA ANTONIA CHINELLO
Per una civiltà
dell’amore 25 Anni di solidarietà
targata Vides
Il decimo convegno internazionale del Vides. Ha
avuto anche grande risonanza pubblica.
Il Vides Internazionale è l’ONG di volontariato, voluta dalle Figlie
di Maria Ausiliatrice, per sostenere e consolidare il protagonismo
dei giovani nella promozione dei diritti umani e nella tutela dei beni
comuni per la costruzione della pace. Quest’anno festeggia 25 anni
di solidarietà, continuando a credere nei giovani, offrendo loro spazi
e occasioni per mettersi alla prova e per aiutarli a scoprire le proprie
risorse da mettere al servizio nella costruzione del Bene Comune.
Ne parliamo con Guido Barbera, Presidente, e con suor Leonor
Salazar, Direttore generale.
1987-2012: che cosa sono
stati questi 25 anni?
Suor Leonor – Anni di crescita.
Fin dall’inizio l’Associazione ha co-
nosciuto un’espansione nelle diverse
realtà delle fma, in quanto il volon-
tariato è una strategia da privilegiare
nell’educazione dei giovani. Espri-
merlo poi con le modalità dell’inter-
nazionalità ha significato incidere nei
diversi contesti socio-culturali, reli-
giosi, politici dove le suore salesiane
operano. Per questo motivo il Vides
si è organizzato come Associazione
Internazionale di volontariato a due
livelli: locale e internazionale.
Per celebrare l’evento,
avete organizzato un
convegno dal titolo:
Recall, Rejoice, Renew.
Quali le finalità che avete
voluto raggiungere?
Guido – Viviamo in una società dove
una parte crescente della popolazione
14
Dicembre 2012

2.5 Page 15

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AVER VOCE
Il VIDES è presente in 40 paesi dei 4 con-
tinenti con più di 4 mila giovani volontari
e volontarie impegnati, accanto alle Figlie
di Maria Ausiliatrice, nella costruzione di
una società di giustizia e di pace. Nel 2003
ha ottenuto lo Statuto Consultivo presso
le Nazioni Unite ed è presente nei forum
internazionali dove si decidono le politiche
educative o di sviluppo dei popoli. Questo
permette di avere voce per cercare di in-
fluire positivamente per la promozione e la
difesa dei diritti umani, in modo particolare
dei diritti dei bambini e delle donne con-
centrandosi soprattutto nel diritto all’edu-
cazione.
Dirigenti del Vides ad un panel sui diritti umani
nella sede dell’Onu di Ginevra.
non ha garantiti i propri diritti eco-
nomici, sociali, culturali e ambientali,
e conosce l’esclusione, la miseria, la
fame, la povertà e privazioni di ogni
tipo. Perché e come, tutto ciò acca-
de? Quanto più si sviluppa il mon-
do, sempre più genera ineguaglianze.
Cambiare è allora una condizione sine
qua non, che impone una rivoluzio-
ne di mentalità e di sistema di valori.
C’è bisogno di superare un’ideologia
di progresso per collocare al centro la
giustizia sociale e ambientale con una
idea di “ben-vivere”, di vita buona –
ben-essere – per tutti. Il tempo è ora,
perché se non cambiamo adesso, do-
mani sarà tardi.
Il Vides internazionale
è una rete per la donna,
l’educazione e lo sviluppo.
Che senso acquista questa
“identità specifica” nello
scenario odierno mondiale?
Suor Leonor – L’educazione è la
chiave di accesso per un autentico
sviluppo dove tutti possono godere di
tutti i diritti. Questa esigenza è fon-
damentale ed è riconosciuta da tanti
nella società. Papa Benedetto XVI ha
richiamato con insistenza a farsi atten-
ti alle situazioni di emergenza educa-
tiva; il Segretario generale delle Na-
zioni Unite esorta ad impegnarsi con
responsabilità nell’educazione dei gio-
vani alla pace. Al Vides crediamo nelle
possibilità dei giovani; siamo convinti
che nel loro cuore ci sia sempre una fi-
bra di bene; abbiamo fiducia nella ca-
pacità di creare sinergia tra noi e altre
istituzioni per una cultura della soli-
darietà, dei diritti umani che porta a
uno sviluppo integrale dei popoli, non
soltanto dal punto di vista economico.
Oggi non ci si può esimere dal lavorare
in rete, se realmente vogliamo influi-
re positivamente sulla trasformazione
della società e dare il nostro, anche se
piccolo e modesto, contributo.
Che cosa comporta tutto ciò?
Guido – Oggi, dobbiamo “essere
giovani” nelle idee e nelle azioni. Mol-
te sfide si aprono davanti a noi. Chie-
dono risposte, scelte forti, radicali. La
cooperazione era nata per ridurre le
diseguaglianze. Oggi dobbiamo pren-
dere atto del suo fallimento, cogliere
le sfide, rispondendo con scelte corag-
giose, di alto livello e prospettiva. Nel
volontariato i giovani trovano la forza
della “Speranza”. Quella speranza che
sant’Agostino diceva portare con sé
due figli: lo sdegno ed il coraggio. Lo
sdegno verso le innumerevoli ingiusti-
zie e violenze che ci circondano, verso i
diritti fondamentali di ogni persona, a
partire dalla vita. Il coraggio per alzar-
ci dalle poltrone comode di casa nostra
ed affrontare le sfide esterne, per ritro-
vare i valori di riferimento, ricostrui-
re nuove relazioni, costruire la civiltà
dell’Amore.
Una scelta di cittadinanza
attiva e partecipativa.
Come la promuove
e la sostiene il Vides?
Guido – Il Vides non è semplice-
mente un’associazione, ma un percorso
di vita concreto animato dal carisma
dell’amore preventivo di don Bosco
e madre Mazzarello. Per questo ogni
giorno, là dove ogni volontario/a vive,
è impegnato a sviluppare una nuova
cultura politica basata sui diritti umani
e sulla partecipazione dei cittadini; a
Dicembre 2012
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
denunciare e contrastare le grandi e pic-
cole violazioni dei diritti della persona,
richiamando le istituzioni ed i governi
a rispettare impegni e responsabilità;
ad assumere il linguaggio dei diritti
umani come universale e comune, alla
base soprattutto dell’informazione,
per alimentare il dialogo e la solida-
rietà; a promuovere e sviluppare una
vasta azione educativa nei nostri Paesi
in particolare per i bambini, i giovani
e le donne; a testimoniare e promuovere
la gratuità e la solidarietà come stili di
vita. Questo cammino ci porta a recu-
perare gli insegnamenti della Dottrina
Sociale della Chiesa ripartendo dalle
origini dell’ekklesia, ossia: «del popo-
lo riunito per decidere sulle esigenze
della città». Le comunità dei primi
cristiani cercavano di garantire e tute-
Volontarie del Vides in
Thailandia.
lare la convivenza,
il benessere ed i
diritti di tutti, per-
ché tra loro non ci
fossero bisognosi.
Come si attua la formazione
dei giovani al volontariato,
ritenuto il tesoro
dell’educazione salesiana?
Suor Leonor – Il volontariato of-
fre ai giovani l’opportunità di fare
esperienza in prima persona della
sofferenza o del bisogno dell’altro
ed esige una risposta di solidarietà,
che attiva le loro migliori risorse per
cercare una soluzione positiva. Li
aiuta inoltre a scoprire la comuni-
tà: il bene non lo si può fare da soli,
c’è bisogno di un bene organizzato,
associato, per garantirne l’efficacia
e la sostenibilità. La formazione dei
giovani volontari è fondamentale
per essere consapevoli della propria
identità, delle proprie motivazioni,
per aprirsi con fiducia all’altro, a chi
è diverso.
Fondamentale è avere gli strumenti
che permettano di aiutare efficace-
mente: non basta voler essere volon-
tario bisogna sapere come avvicinarsi
all’altro con delicatezza e stima, va-
lorizzando ogni cultura e tradizione.
La formazione nel Vides è teorico-
pratica, porta ad un agire che sa
progettare gli interventi per favorire
l’inclusione sociale, l’empowerment
dei giovani, delle donne. I giovani
imparano a formare un’équipe di la-
voro, a valutare le loro azioni tenendo
presente il contesto socio-culturale in
16
Dicembre 2012
Un volontario del Vides in Angola.

2.7 Page 17

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LE GUIDE
Guido Barbera, con in cuore il sogno di diventa-
re medico per curare i bambini in Africa ha invece
frequentato gli studi in economia per meglio com-
prendere le radici delle ingiustizie mondiali.
È stato a lungo volontario dell’Associazione Amici di
Raoul Follereau, e poi Presidente. Dal 1994 al 2007
è stato rappresentate delle ONG italiane all’Unione
Europea. Esperto di cooperazione internazionale,
docente in molti corsi formativi per operatori di soli-
darietà e cooperazione internazionale, ha fondato al-
cune associazioni CIPSI (Coordinamento di Iniziative
Popolari di Solidarietà Internazionale), Associazione
Voglio Vivere e della Rete Mediterranea Me.Dia.T.E. È
alla guida del Vides internazionale dal 2005.
Leonor Salazar è una «felice Figlia di Maria
Ausiliatrice che incontra quasi ogni giorno gio-
vani dal cuore grande e generoso, aperti e de-
siderosi di essenzialità, di mettersi alla prova».
Nata a Monterrey (Messico), dopo la laurea in
ingegneria chimica, diventa fma e si dedica all’e-
ducazione nella scuola media e con i bambini in
situazione di povertà. Con alle spalle una lunga
esperienza nella formazione dei giovani e delle
giovani alla vita religiosa, approda al Vides in-
ternazionale nel 2007 con l’incarico di Delegata
internazionale dell’Istituto FMA e Direttore gene-
rale dell’Associazione.
cui si muovono. L’esperienza inter-
culturale porta il giovane volontario
a collocarsi in una posizione di umile
ascolto, ad osservare e discernere pri-
ma di fare proposte. In questo modo
impara uno stile di vita più umano,
socievole, democratico perché si apre
al dialogo, allo scambio di punti di
vista diversi, all’amicizia, ed è capace
di costruire fraternità nella ricerca del
bene comune.
strumenti ed azioni e ri-scoprirsi cit-
tadini, comunità, società. Non è suf-
ficiente l’aiuto per riportare il sorriso
sul volto di una persona, sradicare la
miseria dal mondo.
La nostra “solidarietà” non si
limita ad un gesto liberatorio
“di aiuto”: è scelta dell’Amo-
re preventivo verso “i disere-
dati e gli oppressi”; è il nostro
approccio di vita, uno stile di
comportamento che nella gra-
tuità del volontariato si tra-
sforma in relazione ed azione
per costruire una convivenza
nella giustizia, dove ogni sin-
gola persona è il centro dell’at-
tenzione.
«Partire è mettersi in marcia e aiutare
gli altri a cominciare la stessa marcia
per costruire un mondo più giusto ed
umano». In questa frase di Dom Hel-
der Camara c’è una grande verità per
noi del Vides: è necessario mettersi in
marcia e noi lo abbiamo fatto. È ne-
cessario aiutare gli altri a cominciare
la stessa marcia: stiamo cercando di
farlo. Dobbiamo costruire un mondo
più giusto ed umano: abbiamo ancora
molto da fare!
E per il futuro?
Guido – I prossimi venticinque anni
di vita del Vides iniziano dalle nostre
radici: l’Amore preventivo di don Bo-
sco, per svilupparsi attraverso nuovi
Giovani volontari ad un corso di formazione.
Dicembre 2012
17

2.8 Page 18

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MEMORIE
ALDO RABINO
Don Franco Delpiano
Ricorda don Teresio Bosco:
«Avevo 11 anni io e lui 12.
Lo vedo proprio come se fos-
se ieri, nella scuola di banda
dell’Aspirantato Salesiano di
Penango, accanto a me, tutti
e due a soffiare in un lungo clarino
per ricavarne quei suoni gravi che non
venivano mai. Il suo naso lungo, i suoi
calzoni alla zuava, il suo ciuffetto di
capelli neri, i suoi denti leggermente
sporgenti come quelli di un conigliet-
to... ed il suo sorriso aperto, franco.
Io venivo da un poverissimo paese di
A lui hanno dedicato
una piazza a Torino e una
scuola a Campo Grande,
in Brasile. È morto
quarant’anni fa a 42 anni,
eppure sono molti che lo
ricordano con affetto e
gratitudine sconfinati.
contadini. Contro i grandi proprie-
tari, i mezzadri (come mio papà) si
difendevano non con la forza legale
(che non avevano), ma con l’astuzia,
il sotterfugio, che è tante volte l’uni-
ca arma dei poveri. Avevo imparato a
vivere così: mezzi sorrisi, mezze paro-
le, mai dire tutto, mai fidarsi intera-
mente. E ho il ricordo netto e preciso
che Franco Delpiano mi colpì subito
per un atteggiamento diverso: lealtà
totale, franchezza aperta, dire tutto e
sempre, sorriso aperto e gesti decisi.
Lui non diceva il Rosario perché l’as-
sistente ci invitava a farlo, ma perché
credeva sul serio, perché voleva bene
alla Madonna, mentre io cercavo di
capire ancora tante cose, prima di
aderire interiormente...».
In alto: Don Franco con i suoi giovani.
A destra: Cartello della Piazza che gli ha dedicato
la città di Torino.
Salesiano
e maturità artistica
Fece il noviziato e divenne salesiano
a Chieri Villa Moglia nel 1949; aveva
diciannove anni e fin da giovane rive-
lò quale sarebbe stato lo stile della sua
donazione. Abilissimo disegnatore e
pittore, non volle diventare un arti-
sta, ma pose le sue capacità a servizio
della comunità in cui venne a trovarsi,
collaborando nelle forme più svariate.
Manifestò sempre una grandissima
attenzione e rispetto verso papà e
mamma. Pur con la soggezione tipica
dell’epoca, mantenne con loro quella
confidenza che rendeva partecipi ge-
nitori e figli degli stessi avvenimenti,
senza mai creare fratture nei rapporti.
Una sera tornò a casa: “Papà perdona-
mi... Ho combinato un disastro enor-
18
Dicembre 2012

2.9 Page 19

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me!”. Era in vacanza e aveva sfasciato
la vespa del fratello Beppe, finendo
fuori strada.
L’amore e l’affetto che portava ai geni-
tori era impregnato di quella tenerezza
taciuta nel cuore, ma profonda e genui-
na, che negli uomini veri traspare nei
momenti più delicati della vita.
I compagni di studi lo ricordano
come l’amico pronto allo scherzo,
alla battuta, capace di galvanizzare
l’ambiente dello studentato, creando
un clima familiare e giovanile insie-
me, pur nel rispetto delle norme che
regolano la vita di una comunità che
forgia sacerdoti.
Sacerdote e architetto
II 25 maggio 1958 scrisse alla zia:
«Ho terminato ora di stendere la do-
manda per essere ammesso a ricevere
il Sacerdozio e l’ho consegnata al si-
gnor Direttore. Un passo importan-
te! Quanto stava da parte mia, l’ho
fatto; ho detto: “Signore, se mi vuoi,
eccomi così come sono e come tu ben
mi conosci, meglio di quanto mi co-
nosca io”. Ora attendo il giudizio e
l’ammissione, spero con tutto il cuo-
re, da parte dei superiori, perché ha
detto il Signore: “Non voi avete scelto
me, ma io ho scelto voi”. Attendo la
completa vocazione, per poter essere
Sacerdote. Trentacinque giorni an-
cora e poi lo Spirito Santo scenderà,
trasformerà noi, ventotto poveri uo-
mini, in ministri di Gesù, in altret-
tanti Cristo».
Fu ordinato prete nel 1958, a Bollen-
go, nel Canavese. Subito dopo, dedi-
cò cinque anni al conseguimento del-
la laurea in architettura. I superiori
contavano su di lui per riorganizzare
l’ufficio tecnico centrale della congre-
gazione salesiana, prospettiva che egli
accettava mal volentieri: quale sareb-
be stato il suo sacerdozio? Così, per
non fermarsi unicamente su schizzi,
progetti e trattati, si era gettato a ca-
pofitto ad animare i giovani studenti
dell’oratorio della Crocetta, a Torino,
divenendo presto l’amico e il confi-
dente di molti: ottimista e cordiale,
ma esigente sempre.
Impressionava la sua capacità di farsi
amici i giovani. Non che non aves-
se difetti: ne aveva e li riconosceva;
a volte si lasciava portare più dall’e-
motività che dalla prudenza, era più
un improvvisatore che un program-
matore, era geniale ma distratto da
far perdere la pazienza. Nascevano
discussioni accalorate. Ma questa era
una delle impressioni più belle. Con
lui si discuteva a lungo, ognuno rima-
neva magari con le proprie idee, ma
alla fine si era più amici di prima.
Nel 1968 conseguì la laurea in archi-
tettura. La sua sensibilità liturgica e la
sua competenza professionale si fusero
Cucina e refettorio della clinica lebbrosario di São
Julião, nei pressi della città di Campo Grande, in
Brasile. Qui, dove batte ancora il grande cuore di
don Franco, continuano ad operare molti giovani
volontari.
in un connubio talmente ben riuscito
che egli fu chiamato a far parte della
Commissione Liturgica Diocesana,
sezione Arte Sacra. Non era solo un
architetto, ma un vero liturgista, ca-
pace di dare alle rubriche la loro giu-
sta funzione di segno, pronto a rinno-
varle e a sperimentarle perché fossero
più vere e significative.
I pugni sul tavolo
Dall’anno della laurea (1968), don
Franco, in qualità di sacerdote, ani-
matore ed organizzatore, seguì l’O-
perazione Mato Grosso, movimento
giovanile a favore dei poveri.
II 25 maggio 1970 don Franco partì
per il lebbrosario di Campo Gran-
de con una spedizione di giovani
dell’OMG.
L’aver scoperto i poveri come fine a
cui orientare la crescita dei giovani e
la serietà del suo impegno verso i più
Dicembre 2012
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2.10 Page 20

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MEMORIE
emarginati lo portarono necessaria-
mente a partire per il Mato Grosso.
L’opportunità gli fu data dal progetto
di ristrutturazione del lebbrosario di
Campo Grande.
Non fu a caso; in lui l’idea di fare
qualcosa di più, il sogno di uscire dal
guscio di un modello di “educatore-
benessere”, di inventare una strada
da percorrere con i giovani al servi-
zio dei poveri, era presente da sem-
pre. Cercava soltanto l’occasione. La
trovò con il lebbrosario di Sào Juliào,
che da quel momento divenne la sua
casa. Le mura le scoprì in Brasile; ma
le fondamenta erano da tanto tempo
già radicate nel suo cuore!
Ma tutto si consumò come in un so-
gno. La notizia arrivò come un ful-
mine. Don Franco era stato colpito
da leucemia in forma grave. Tornava
in Italia. «Siamo nelle mani di Dio e
Don Franco e Suor Silvia. A loro migliaia di
famiglie di lebbrosi devono una vita più dignitosa
e un futuro di speranza.
quindi in buone mani» disse sempli-
cemente.
I medici gli esposero drasticamente la
prognosi: se si fosse curato ed avesse
evitato ogni attività intensa, avrebbe
potuto sopravvivere cinque anni; se si
strapazzava, gli anni da vivere si ridu-
cevano a due. Don Franco decise su-
bito: meglio vivere due anni che vege-
tare per cinque. Si sarebbe sottoposto
a tutte le cure, ma avrebbe lavorato
tra i giovani come prima.
Scrisse subito ai “suoi” lebbrosi di
Campo Grande; dal suo forzato esi-
lio di Torino: «Sarà come se io fossi
rimasto per sempre in mezzo a voi,
spendendo per voi tutta la mia vita.
Altri verranno a sostituirmi e a rea-
lizzare meglio di me quello che era il
programma studiato e proposto, ma il
mio cuore, il mio amore sono per tutti
voi. Se un giorno – a Dio piacendo
– dovessi riacquistare la salute neces-
saria, il mio unico desiderio sarebbe
quello di tornare tra voi».
Fra ricoveri in clinica e trasfusioni,
malgrado la sofferenza di don Fran-
co, la vita dell’OMG andava avanti, a
La scuola “Padre Franco Delpiano” di Campo
Grande, Brasile.
volte anche convulsa, come capita in
tutti i gruppi operativi. E lui dimenti-
cava spesso se stesso per seguire, in-
coraggiare, approfondire.
Un bicchiere d’acqua
Tre notti prima di morire, don Franco
mi chiese un bicchier d’acqua e, dopo
aver bevuto, mi disse: “Guarda quan-
to il Signore mi vuole bene... Pensa a
quante persone in questo momento
stanno morendo e sono sole, comple-
tamente sole; non c’è nessuno che stia
loro vicino... Invece io ho qualcuno
che mi dà dell’acqua e si cura di me...”.
Negli ultimi giorni, quando era im-
mobile durante le trasfusioni, ricor-
dando i lunghi viaggi che avevamo
fatto insieme, mi diceva: “Sto scon-
tando qui fermo tutti i chilometri
fatti...”. E poi, richiamando la lettera
di san Paolo a Timoteo, diceva: “Ho
terminato la mia corsa, ho conserva-
to la fede... e Dio sa contare i chilo-
metri!”.
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Dicembre 2012

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
SIERRA LEONE
Un morbido
carico per
i bambini
di Freetown
(ANS - Freetown) –
Nelle ultime settimane del mese di ottobre
sono arrivati a destinazione, dopo un lungo
viaggio, circa duemila peluche raccolti in
Germania e destinati ai bambini ricoverati
negli ospedali di Freetown. L’iniziativa è
partita dal gruppo di lavoro “Menschenrechts
AG” che ha chiesto agli alunni della scuola
“Ernst Moritz Arndt Gymnasium” di Bonn
di raccogliere i peluche. I pupazzi sono stati
prima spediti presso l’opera salesiana “Don
Bosco Fambul” di Freetown e poi distribuiti
nei vari ospedali dagli ex ragazzi di strada
che partecipano al progetto di riabilitazione
e recupero “REHA”. Il programma, infatti,
prevede che i ragazzi di strada compiano
mensilmente visite di conforto agli ammalati
ricoverati.
SPAGNA
Il Centro
Giovanile
come risposta
ai bisogni dei
giovani di oggi
(ANS - Logroño) – Circa
150 persone, tra laici,
Salesiani e Figlie di
Maria Ausiliatrice, si sono
riunite a Logroño dal 12-14
ottobre, per partecipare al
17° Congresso Statale dei
Centri Giovanili Salesiani.
Nei mesi precedenti il
congresso erano stati
organizzati 13 tavoli di
dialogo strutturato, che
hanno coinvolto autorità
governative, organizza-
zioni giovanili, istituzioni
educative e membri della
Famiglia Salesiana e della
Chiesa per individuare i
temi di maggiore interesse.
Nel corso delle 3 giornate
sono state realizzate 10
tavole rotonde simultanee,
inerenti l’impegno dei centri
giovanili in chiave salesiana
e in chiave associativa.
Come risultato di quest’im-
pegno sono state stilate 90
proposte per rispondere
alle sfide dei giovani d’oggi.
CILE
Salesiani,
promotori
dei diritti
dei bambini
e dei giovani
(ANS - Santiago) – Il 19 ottobre scorso i
Salesiani del Cile, insieme ad una decina
di altre istituzioni ed enti, hanno siglato
un accordo per promuovere l’esercizio dei
diritti dei bambini e dei giovani, incorpo-
rare questa prospettiva nelle loro attività di
pianificazione e incoraggiare la riflessione
su questi temi all’interno della Chiesa e
nella vita pubblica.
In virtù di quest’accordo, tutte le istituzioni
coinvolte vanno a far parte dell’Ufficio In-
ternazionale Cattolico per l’Infanzia (BICE,
in francese), attraverso la creazione di un
Tavolo Pro Bice del Cile.
Intervenendo sul tema, mons. Ricardo Ez-
zati, salesiano, Presidente della Conferenza
Episcopale Cilena, ha detto: “I diritti si
fondano su questa dignità, l’essere creati ad
immagine e somiglianza di Dio; non sono
un minimo, ma semmai un massimo a cui
aspiriamo”.
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INDIA
Don Bosco
International
Film Festival:
a sostegno dei
giovani autori
(ANS – Kochi) – L’istituto “Don Bosco
Image” di Kochi ha organizzato dal 12
al 14 ottobre la III edizione del Don Bosco
International Film Festival.
L’evento cinematografico si è composto
di un concorso con varie sezioni – corto-
metraggi, documentari, minifilm e video
musicali – una rassegna di oltre 50 film,
nazionali e internazionali; una retrospettiva
su uno dei più importanti registi dello stato
del Kerala, K.G. George; e numerosi labo-
ratori e forum sul mondo del cinema, come
ad esempio: due seminari sui media, uno sul
metodo Actor’s Studio, la presentazione di
vari libri, le sessioni “incontra il regista” e
altri eventi.
Tutte queste attività sono motivate dal fine
formativo del festival, pensato come una
vetrina per permettere ai giovani registi
locali, tra i quali molti allievi dell’istituto
Don Bosco Image, di promuovere le loro
capacità creative e tecniche e di farsi notare
dagli esperti ed amanti di cinema.
CINA
Il Vangelo
di Marco
a fumetti
(ANS - Hong Kong) – Per
avvicinare sempre più
giovani a Cristo, i Salesiani
dell’Ispettoria cinese hanno
pubblicato un’edizione
in lingua inglese del
Vangelo di Marco a
fumetti, prendendo spunto
dalla versione in mandarino
edita dall’editrice salesiana
di Hong Kong “Vox Amica
Press”. L’opera – composta
di due volumi e curata
dal salesiano don Dennis
Martin, scomparso nel
2006 – è stata pubblicata
in risposta all’invito di
papa Benedetto XVI di
rinnovare, in quest’Anno
della Fede, l’annuncio della
buona novella. Il nuovo
progetto editoriale conta tra
i suoi estimatori anche il
cardinale salesiano Joseph
Zen Ze-Kiun, vescovo
emerito di Hong Kong, che
ha auspicato che il libro
“possa suscitare l’interesse
della gente ad esplorare
il Vangelo e il Regno dei
Cieli”.
BRASILE
Evangelizar
Dom
Bosco
(ANS - Fortaleza) – Il 20 ottobre nella
spianata di “Praia de Iracema” si è svolta la
V edizione del festival “Evangelizar Dom
Bosco” a cui hanno preso parte circa un
milione e seicentomila persone.
L’evento, promosso dall’emittente Rádio
Educativa FM Dom Bosco (96,1), della
comunità salesiana di Fortaleza, è stato
coordinato dal direttore dell’opera, don
Gilberto Silva, e ha visto la collaborazione
di oltre 1200 volontari.
La kermesse di musica e fede, già proietta-
ta verso la Giornata Mondiale della Gio-
ventù di Rio de Janeiro, ha avuto per tema
il passo evangelico “Io sono con voi” e per
motto “Giovane, la gioia è vivere nella
Fede”.
Si sono esibite numerose star della musica
locale e in particolare si è segnalata l’esibi-
zione di un grande coro di circa 100 ragaz-
zi, studenti delle scuole salesiane, che ha
intonato dei canti in onore di don Bosco.
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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
Foto di Mario Notario
Gli angeli
CARLO CUSSETTI
Un pittore per la basilica
di Maria Ausiliatrice
della basilica
La seconda cupola
della Basilica di
Maria Ausiliatrice
ospita una folta
schiera di angeli
in adorazione
del Sacratissimo
Sacramento.
Il 9 gennaio 1949 moriva a Torino, nella sua
abitazione di via Saluzzo, Carlo Cussetti, re-
stauratore e pittore di pregio. A molti, com-
presi i salesiani, il nome dirà poco o niente,
eppure è stato il principale decoratore della
rinnovata basilica di Maria Ausiliatrice. A lui
si devono gli affreschi sulle volte delle gallerie che
circondano le due grandi cappelle chi affiancano
l’altare maggiore; ha decorato il basso tamburo
della cupola minore, quella che sovrasta il presbi-
terio, ha circondato di angeli l’oculo sulla facciata
principale interna, ha impresso verosimiglianza
alla maschera di cera realizzata dallo scultore
Gaetano Cellini e posta sui resti di don Bosco
custoditi nell’urna, ha poi restaurato le pitture
eseguite da Giuseppe Rollini nel 1889-90 sull’in-
tradosso della cupola maggiore della basilica e,
con tutta probabilità, ha rivisitato i colori dell’an-
cona principale di Maria Ausiliatrice.
Il Cussetti aveva posto mano ai lavori per la ba-
silica quando le pareti erano già state nella quasi
totalità rivestite di marmi policromi; era già in età
avanzata, aveva circa 70 anni, e concluse i lavori
nel 1945, stando sui ponteggi, a quanto dicono
testimoni oculari, anche durante il periodo peri-
coloso dei bombardamenti della città.
Questo di Maria Ausiliatrice fu l’ultimo suo la-
voro importante.
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3.5 Page 25

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Gli angeli che
sorreggono il
monogramma
mariano sintesi
dell’Ave Maria.
Un ornatore eclettico
Il pittore era nato a Torino nel 1867 e fu prima al-
lievo, poi collaboratore di Rodolfo Morgari (1827-
1909). Fu anche valente restauratore, tanto che
Vittorio Viale, illustre direttore dei Musei Civici
di Torino (attualmente G.A.M. e Palazzo Mada-
ma) lo stimò sempre come uno dei migliori del suo
tempo e gli affidò per il restauro diversi capolavori
di arte piemontese. Si distinse anche come pittore
versatile, lavorò nel palazzo del Quirinale a Roma,
nel palazzo di Racconigi e nel castello sabaudo di
Gressoney. Per comprendere la sua qualità di or-
natore eclettico e di gran pregio, basta vedere gli
affreschi da lui eseguiti nel palazzo Maroni Cin-
zano, ora sede del Centro Congressi dell’Unione
Industriale di Torino in via Fanti.
Il programma iconografico per la rinnovata ba-
silica di Maria Ausiliatrice doveva essere estre-
mamente coerente dal punto di vista sia dei co-
lori sia dei contenuti. In una chiesa interamente
dedicata alla devozione mariana non potevano
mancare dei riferimenti espliciti a questo culto,
e così gli fu affidata la decorazione delle volte
delle due gallerie che circondano le due vaste
cappelle che affiancano il presbiterio. In uno
stile personalissimo e sobrio il pittore ha raf-
figurato le invocazioni delle litanie lauretane,
incorniciandole con decori desunti dal reper-
torio neoclassico e barocco. Sui due arconi tra
l’accesso alla sacrestia e il retro dell’altare mag-
giore collocò quattro angeli che sostengono in
volo il monogramma mariano sintesi del saluto
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3.6 Page 26

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ARTE SALESIANA
Gli imponenti
angeli e teste
alate di cherubini
che circondano
il rosone dalla
parte interna.
Sono realizzati
in monocromo,
a imitazione delle
sculture in stucco.
dell’angelo: Ave Maria; sul bordo inferiore,
quasi abbandonati lì per caso, ha ritratto un
turibolo e una navicella, usando come mo-
dello gli stessi strumenti conservati in sacre-
stia e usati nelle solennità.
Negli angeli della
cupola, Carlo
Cussetti ha dato
prova del suo stile
personalissimo e
sobrio.
La splendida cupola minore
Al Cussetti si deve anche la decorazione del-
la cupola minore, quella che sovrasta l’altare
maggiore, costruita su progetto dell’architet-
to salesiano Giulio Vallotti, e realizzata in
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Dicembre 2012
cemento armato, con la calotta interna decorata
da sedici spicchi in stucco traforati da vetrate con
figure angeliche e culminante con la colomba
simbolo dello Spirito Santo. Sulla fascia del bas-
so tamburo, appena sopra la balaustra del corni-
cione, il pittore ha realizzato una folta schiera di
angeli in adorazione del Santissimo Sacramento,
presentato in un ostensorio raggiato. Sono tren-
tadue figure, ventidue maggiori e dieci minori,
che con diversi atteggiamenti e roteando turiboli
fumanti, rendono onore all’Eucaristia.
Quando si entra nella basilica si volge subito lo
sguardo all’altare maggiore e uscendo non si alza
mai l’occhio per ammirare gli imponenti angeli
e teste alate di cherubini che circondano l’oculo
della facciata. Sono stati realizzati in monocro-
mo, a imitazione delle sculture in stucco; la forte
coloratura chiaroscura li stacca dal fondo dando
loro una particolare rilevanza.
Il Cussetti si è posto dunque accanto ad altri ar-
tisti che, in occasione dell’ampliamento, abbelli-
rono la basilica come Carlo Morgari, o il Dalle
Ceste oppure il Crida o il Barberis, autori delle
scene del battistero, delle pale degli altari minori
e in continuità con coloro che dal 1865 in poi si
erano dedicati ad onorare la madre di Dio e don
Bosco stesso.

3.7 Page 27

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Buon Compleanno
Concerto di Natale!
Vent’anni vissuti al servi-
zio di una duplice idea,
quella di festeggiare il
Natale delle famiglie ita-
liane con uno spettacolo
musicale al servizio di un
progetto solidale.
Dal 2007 si è messo a disposizio-
ne della Fondazione Don Bosco a
sostegno delle missioni salesiane
nel mondo, aiutandola a portare
soccorso in situazioni drammatiche
nel Darfur, ad Haiti, in Burundi,
ma anche tra gli immigrati degli
sbarchi in Sicilia.
Il progetto di quest’anno
è quello dei missionari di
Corumbà, città di frontiera,
in Mato Grosso, a favore di
bambini e adolescenti che vi-
vono per strada.
«Mentre dò atto di questo agli orga-
nizzatori e mi rallegro dei risultati
ottenuti, auguro al concerto un Buon
Compleanno: che possa ancora per
molti anni allietare la serata della vi-
gilia di Natale delle famiglie italiane
e fare da cassa di risonanza ai futuri
progetti che la Fondazione Don Bosco
metterà a punto per venire incontro
agli ultimi di ogni continente».
don Pascual Chávez
Rettor Maggiore
Il Concerto di Natale compie vent’anni
La tradizione televisiva dei più celebri artisti
e della musica senza tempo.
Se vuoi essere testimone e protagonista dello storico anniversario
prenota ora il tuo posto in sala prima che sia tutto esaurito.
Roma - Auditorium della Conciliazione
15 dicembre ore 19.30
Tu e i grandi nomi della musica
per una serata di emozioni che ricorderai.
A sostegno della Fondazione Don Bosco nel Mondo
Prodotto da Prime Time Promotions
Prenota il tuo posto allo 06 68 13 67 38
Dicembre 2012
27

3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Salesiani
Quest’anno i salesiani ricordano i settantacinque anni
della loro presenza in Vaticano. Per pura coincidenza
l’anniversario cade nella conclusione del 150°
dell’Osservatore Romano, conosciuto in tutto il mondo
come il giornale del papa.
in Vaticano
75 anni a servizio
della Santa Sede
Il Papa si
congratula con
il signor Antonio
Maggiotto, uno
dei coadiutori
salesiani
che operano
con grande
competenza
nella tipografia
vaticana. In alto:
La prima comunità
salesiana in
Vaticano.
Isalesiani hanno un particolare legame con
l’Osservatore Romano già dal tempo di don
Bosco, fedele sostenitore di Pio IX. Il quo-
tidiano usciva la prima volta il 1° luglio 1861
e il 31 dicembre dello stesso anno don Bosco
otteneva il decreto di via libera alla prima ti-
pografia di Valdocco. Pio XI nel 1937, mentre nel
mondo crescevano i rumori di guerra e nazismo
e comunismo apparivano una sfida pericolosa per
l’umanità, chiamò i salesiani in Vaticano «per
prendersi cura delle due tipografie, della Poliglot-
ta e dell’Osservatore Romano».
Da giovane prete Achille Ratti, senza lontana-
mente immaginare che sarebbe diventato il Papa
della beatificazione e canonizzazione di don Bo-
sco, era andato a trovarlo all’Oratorio, riportan-
done un’indelebile impressione positiva. Rimase
ammirato specialmente per quanto a Valdocco si
realizzava nel campo tipografico editoriale.
Se ne ricordò più di cinquant’anni dopo quando,
da successore di Pietro, si trovò a dare impulso
all’editoria e alla stampa del giovane Stato nato
con i Patti Lateranensi del 1929 che gradualmen-
te andava organizzandosi su tutti i fronti.
Avendo in mente don Bosco che, con l’intuito del
veggente, aveva capito quale decisiva importanza
l’arte tipografica e l’editoria rappresentassero nel
tempo moderno a servizio dell’apostolato e dell’e-
ducazione cristiana, Pio XI si convinse che fosse
miglior scelta affidare ai salesiani la tipografia e
il quotidiano. In settantacinque anni a dirigere la
comunità salesiana dentro le mura leonine si sono
avvicendati dieci direttori e settantacinque sale-
siani molti tra i quali coadiutori esperti e compe-
tenti professionisti nell’arte della stampa.
Il Pontefice voleva avvalersi di collaboratori e di
mezzi che lo aiutassero a far risuonare il più lar-
gamente possibile la Parola di Dio. I salesiani,
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UNO STRAORDINARIO IMPEGNO
La “Stamperia Vaticana” risale al periodo di papa Sisto
V, 1587. L’edificio di oggi è stato costruito nel 1908 sotto
il pontificato di Pio X e Benedetto XV. La comunità sa-
lesiana che vi abita è presente dal 2 agosto 1937 nella
Città del Vaticano con il compito di dirigere la Tipografia
Vaticana, di curare l’amministrazione e la diffusione de
l’Osservatore Romano e, dal 2008, la gestione del Ser-
vizio Fotografico diventato un settore indipendente dal
giornale.
L’attuale comunità religiosa è composta da sei confratelli
salesiani (un sacerdote e 5 coadiutori). Uno ha terminato
il suo servizio presso il Governatorato ed un altro presta
servizio esclusivamente presso la Segreteria di Stato. I
dipendenti di tutto l’Ente “Tipografia Vaticana Editrice
L’Osservatore Romano” attualmente sono 188.
invitati ad operare con la loro competenza, con il
loro genio, con le capacità manageriali nel cam-
po della comunicazione sociale che stava in quel
tempo acquistando rilevanza, offrirono il loro
contributo per diffondere in modo più capilla-
re la Parola di Dio e i documenti del Magiste-
ro pontificio. Queste pubblicazioni, ben curate
tipograficamente e tradotte in più lingue, sono
state sempre molto apprezzate.
«Vorrei mettere in risalto che questa presenza in
Vaticano evidenzia due dimensioni caratteristi-
che della salesianità» ha dichiarato il cardinal
Bertone. «La prima è la dimensione ecclesiale.
Il senso della ecclesialità di don Bosco e della
sua opera, l’inserimento con un forte senso di
appartenenza nella Chiesa universale e l’impe-
gno concreto nella Chiesa particolare, trovano
qui una visibilità che li fa corresponsabili della
grande missione comune di salvezza. La secon-
da dimensione è la laicità: nella comunità sale-
siana del Vaticano hanno speciale rilevanza la
vocazione e la professionalità del salesiano “coa-
diutore” che fu una grande intuizione di don
Bosco e che anche oggi caratterizza la presenza
salesiana in tutto il mondo».
Buona stampa e amore al papa
Sull’esempio del loro fondatore, i salesiani han-
no sempre considerato di importanza vitale per
l’educazione dei giovani sia la buona stampa sia
l’amore al papa. Un anniversario come i settanta-
cinque anni di presenza attiva al suo servizio che
coincide con una ricorrenza altrettanto importan-
te per l’Osservatore Romano, induce a rivisitare
l’attualità e la lungimiranza delle due consegne
affidate da don Bosco ai suoi salesiani.
Siamo in una comunità che è la nostra forza e la
nostra famiglia. Occorre essere uniti, sereni, viva-
ci, accoglienti; una comunità integrata nella gran-
de famiglia vaticana, aperta alla comunicazione
con le autorità e con gli amici e benefattori, dove
tutti quelli che vi entrano si sentono a casa. Una
comunità cosciente della responsabilità di portare
il nome salesiano, esposti come siamo alla valuta-
zione continua del nostro operato, soppesati nelle
parole, negli atteggiamenti, nella gestione, nei
rapporti con le persone e nell’amministrazione
dei beni non nostri».
Don Sergio
Pellini, direttore
della comunità,
il salesiano
coadiutore
Giuseppe
Canesso, con
le insegne da
cavaliere e il
cardinale Raffaele
Farina.
Il Cardinal
Bertone presiede
la celebrazione
del settanta-
cinquesimo della
presenza salesiana
in Vaticano.
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3.10 Page 30

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SANTITÀ SALESIANA
LUCA PELLICCIOTTA
Semplicemente santo
Il Venerabile don Giuseppe Quadrio
Quando si sente parlare di un cristiano di cui è in corso la causa di
canonizzazione, ci si attende abitualmente il racconto di avventure
straordinarie e di fatti eclatanti, proporzionati alla sua fama. Quella
di don Giuseppe è però semplicemente la storia di un salesiano
sacerdote, tutto raccolto nella contemplazione e nello studio e tutto
dedito alla sua missione.
Giuseppe Quadrio nacque il 28
novembre 1921 a Vervio, un
paesino addossato alle pen-
dici di una montagna della
Valtellina, da Agostino e
Giacomina Robustelli: una
famiglia contadina, povera ma ricca
di valori. A otto anni Giuseppe si era
già dato un piccolo regolamento di
vita che consisteva semplicemente nel
proposito di farsi santo, un proposito
che lo accompagnò per tutta la vita.
Si avvicinò a don Bosco leggendone
la vita. Ne fu colpito a tal punto che
sentì molto forte che quella salesiana
sarebbe stata la sua famiglia. A 10
anni, senza consigliarsi con nessuno,
fece alla Madonna il voto di vergini-
tà completa e l’anno successivo, nel
1933, entrò all’Istituto Missionario
card. Cagliero di Ivrea. In questo isti-
tuto tutti i ragazzi, Giuseppe com-
preso, bruciavano di ardore missio-
nario ascoltando anche le vicende e le
avventure di qualche missionario che
Il sorriso di un santo. Spesso don Quadrio
scriveva nel suo diario: «Vivere sorridendo».
passava da quelle parti. Ma il Signore
aveva deciso altro per lui. I superiori
vollero che rimanesse in Italia. Giu-
seppe, con il cuore in pena, vide tutti i
suoi compagni partire per le missioni.
Ma già allora la volontà di Dio do-
minava la sua giovane esistenza. Così
scrive al suo ispettore, don Giovanni
Zolin, in quell’occasione: “Ora però
che son convinto essere volontà di Dio che
rimanga in Italia, mi metto totalmente
nelle mani sue, amatissimo Signor Ispet-
tore. Faccia pur di me ciò che vuole: desi-
dero solamente che mi possa maneggiare
come un fazzoletto, che mi faccia tanto e
tanto buono” (Ivrea, 14-VI-1936).
Nel 1937, dopo il noviziato a “Villa
Moglia” di Chieri, Giuseppe divenne
salesiano assumendo il nome di Ma-
ria, in onore della Madonna. Per la sua
intelligenza precoce, fu scelto per fre-
quentare la Facoltà di Filosofia presso
la prestigiosa Università Gregoriana di
Roma. Durante questo periodo (1938-
1941), il giovane salesiano dedicava i
momenti liberi all’Oratorio annesso al
Sacro Cuore. Ma lo studio era la sua
passione e furono anni in cui scoprì la
spiritualità della beata Elisabetta della
Trinità. Conseguita la licenza a pieni
voti, a soli venti anni iniziò ad inse-
gnare filosofia a Foglizzo Canavese tra
i chierici studenti. Professore esigente
e serio, si sentiva però fratello tra i fra-
telli. Ripeteva spesso: “Io non presumo
avere allievi, ho soltanto ascoltatori pa-
zienti”. Durante gli anni terribili del-
la guerra mondiale, fu realmente un
sostegno spirituale e morale per tutti
i 150 chierici dello studentato filoso-
fico. In quegli anni spesso scriveva nel
suo diario: “Vivere sorridendo”.
Finito il tirocinio, verso la fine di set-
tembre 1943, don Quadrio è di nuo-
vo a Roma presso il Sacro Cuore. In
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4.1 Page 31

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questa basilica, il 28 novembre emette
i voti perpetui. Scrive nel suo diario:
Si avvicina l’ora del mio Battesimo. O
Gesù, seppellirmi nella tua morte; mo-
rire per la tua morte all’empietà, alla
lussuria, all’avarizia, alla superbia; ri-
sorgere di nuovo”. Inizia lo studio della
teologia sempre alla Gregoriana. Ma
il 28 maggio del 1944 arriva per lui
un momento decisivo per la sua vi-
cenda spirituale. Egli lo chiama la sua
Pentecoste: un Battesimo nello Spiri-
to che lo segnò per tutto il resto della
sua vita. Da quella memorabile Pen-
tecoste anche lo studio della teologia
divenne contemplazione e la contem-
plazione gaudio nello Spirito Santo.
In quel giorno scrisse nel suo diario:
Eccoti, o Sposo Divino, la mia mano,
il mio Sì sincero, completo, definitivo.
Voglio assumere anche il tuo nome… mi
chiamerò con il tuo dolcissimo nome, il
nome che tu mi hai dato in questo nuovo
Battesimo: Docibilis a Spiritu Sancto”.
«Ti ho sentita
al mio fianco»
Alla Gregoriana riceve tutti gli ordini
minori, tonsura, ostiariato, lettorato,
esorcistato e accolitato. Prima dell’or-
dinazione diaconale e presbiterale,
Don Quadrio in un momento di fraternità
salesiana.
il 12 dicembre 1946 alla presenza di
nove cardinali, compreso il futuro
Paolo VI, difese in una solenne di-
sputa teologica la definibilità dogma-
tica dell’Assunzione di Maria in cie-
lo. Ottenne un successo che gli diede
celebrità nell’ambiente romano, ma
i successi nello studio e la superiorità
intellettuale non diminuirono la sua
giovialità umile e servizievole, priva
di qualsiasi manifestazione d’orgoglio.
Scrive sul suo diario in quel giorno:
La Madonna ci ha messo le mani e si
è fatta veramente onore… O mamma,
grazie per avermi concesso la gioia e la
gloria di lodarti e di difenderti… ti ho
sentita al mio fianco”. Il 2 febbraio 1947
riceve il diaconato da mons. Traglia
nella chiesa dei Signori della Missione
a Roma. Il 16 marzo dello stesso anno
viene ordinato presbitero nella Basilica
del Sacro Cuore a Roma, sempre da
mons. Traglia. Ecco il suo stato d’ani-
mo di quel giorno, direttamente dalle
sue parole: “Mio Dio, non ti so dire nul-
la! Mio Dio, non capisco nulla. Sono cose
troppo grandi. Sono schiacciato, intontito
e smarrito davanti a tanta incommen-
surabilità … fa Tu, non secondo quel che
chiedo e quel che capisco, ma secondo quel
che Tu sai e vuoi”. In questo modo si
prepara ad essere il vicario dell’amore
di Dio.
Dopo la laurea, si trasferisce al Pon-
tificio Ateneo Salesiano di Torino,
presso la Crocetta, il 15 ottobre 1949,
per iniziare l’insegnamento della teo-
logia dogmatica. In questo Ateneo fu
anche Decano della Facoltà di Teolo-
gia dal 1954 al 1959, quando lasciò la
carica per la sua salute cagionevole. Il
4 giugno 1960 difatti vi fu la diagnosi
di un linfogranuloma maligno. Era
l’inizio del suo calvario. Tra insegna-
mento, accompagnamento spirituale
e trasfusioni di sangue, sempre più
frequenti negli anni, don Giuseppe
continua la sua povera esistenza “nella
pace immeritata e soavissima, che rende
questi giorni di attesa prolungata i più
belli e felici della mia vita”. Così scri-
veva al Rettor Maggiore il 6 marzo
1963. Il 23 settembre dello stesso
anno fu colpito da una paralisi che
gli tolse l’uso della parola e di metà
del corpo. Il giorno dopo si era già
riavuto, ma era il segnale della fine
che giunse la sera del 23 ottobre del
1963 alle 22,40. Così, all’età di 42
anni, don Giuseppe Quadrio muore,
lasciando nei suoi occhi luccicanti il
riflesso di quel Padre che ha tanto
amato nella sua vita terrena.
PREGHIERA
per impetrare
la Beatificazione
O Spirito Santo che con l’intervento
della Vergine Ausiliatrice hai ispirato
a don Giuseppe Quadrio il proposito
efficace di farsi santo alla scuola di
don Bosco e lo hai reso un modello di
sacerdote e di educatore, conforme a
Gesù Sommo Sacerdote e Maestro, fa’
che il suo esempio e il suo insegnamen-
to attirino molti giovani alla vita re-
ligiosa e apostolica, e concedi a noi che
ne imploriamo la glorificazione, la
grazia... che ti chiediamo interponen-
do la sua intercessione.
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Natale: una
scuola speciale
Non canteremo
la ninna nanna,
non suoneremo
la cornamusa.
Di un Natale
sdolcinato
non sappiamo
che farcene.
Natale è una Festa
squillante,
ma seria;
è una Festa dolce,
ma impegnativa.
Natale è una scuola,
una cattedra
che parla chiaro:
lancia messaggi
che possono
ribaltare la nostra
arte di educare.
Tutto inizia da bambino
Natale è la prova della preziosità del
bambino. Primo messaggio.
Se Dio stesso ha voluto iniziare da
bambino, diventa chiaro che essere
bambino non è un difetto, non è un
peccato, non è un bel gioco per i grandi!
Essere bambino è un’occasione unica
che non si ripeterà mai più per la vita
intera!
Ecco: se c’è oggi un punto fermo sul
quale concordano tutti i pedagogisti e
tutti gli psicologi è quello dell’impor-
tanza basilare dell’infanzia.
Due sole conferme tra mille: la prima
è quella dello psicologo e psichiatra
statunitense Arnold Gesell (1880-
1961): “La maturità psicologica che vie-
ne raggiunta nei primi cinque anni di
vita è prodigiosa”.
La seconda è quella del maestro scrit-
tore Mario Lodi (1922): “Nei primissi-
mi anni dell’infanzia il bambino impa-
ra l’80% di quanto gli servirà per tutta
la vita”.
Le citazioni potrebbero comodamen-
te occupare tutto lo spazio a disposi-
zione.
Qui per essere concreti ci limitiamo a
dire che, dunque, sporcare l’infanzia
è sporcare la sorgente.
Ci limitiamo a richiamare un paio di
belle osservazioni che hanno tutto il
sapore natalizio.
La prima è dello psichiatra austriaco
Bruno Bettelheim (1903-1990): “Non
puntate ad avere il bambino che piace-
rebbe a voi. Abbiate rispetto per ciò che
il bambino è”.
La seconda è del nostro più famoso
pediatra del secolo scorso Marcel-
lo Bernardi (1922-2001): “Il bambino
non è un animaletto da addomesticare:
insegnargli a fare riverenze, salutini, è
ridicolo ed inutile. Non manchiamogli di
rispetto. Anche se piccolissimo, il bambino
ha la sua dignità!”.
La scialuppa
di salvataggio:
la tenerezza
Non è una novità dire che in quella
grotta manca tutto: non vi sono pan-
nolini, non vi è il frullatore, il trita-
carne, non vi sono le creme di rei-
dratazione delle prime rughe, non vi
sono i vetri fumé…
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Dicembre 2012

4.3 Page 33

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CARO GESÙ BAMBINO SIGNORE, CHE GUAIO NASCERE PICCOLI!
Non voglio farti perdere tempo, per questo
vengo subito al motivo della presente.
Qui in terra le cose potrebbero andare
meglio. Abbiamo un gran bisogno del tuo
intervento!
Caro Gesù, donaci un cielo azzurro per un
occhio e un prato verde per l’altro.
Mandaci la coperta che riscalda il mondo:
la tenerezza.
Fa che le mamme tengano sempre la pa-
zienza nella borsetta per non perderla troppe
volte e fa che i papà facciano i papà non solo
quando il campionato del calcio è finito.
Togli la vaselina e metti sangue nelle vene
dei ragazzi.
Spruzza di umorismo l’intelligenza degli
insegnanti.
Fa che d’ora in poi i sacerdoti non diano
più l’impressione che diventare preti signi-
fichi diventare noiosi.
Caro Gesù Bambino, lo so che è tanto
quello che ti chiedo!
Se è troppo, non darmi niente, dammi una
faccia allegra solamente!
In quella grotta manca tutto, eccetto
la tenerezza.
Persino gli animali, secondo la dolce
tradizione, si danno da fare per coc-
colare il Bambino.
Ed eccoci al secondo messaggio peda-
gogico della cattedra di Betlemme: si
può vivere senza cose, ma non senza
dolcezza.
Il cervello non basta: ci vuole calore.
La tecnica non è sufficiente: ci vuole
pietà.
È ormai scientificamente assodato:
per il bambino la mancanza di tene-
rezza è più insidiosa della fame.
Dunque appuntiamolo ben in vista
sul frigorifero della cucina: “L’indif-
ferente non dà niente!”.
Sia chiaro: è vero che il bambino non
può pretendere tutto, ma l’essenziale, sì!
La tenerezza gli è essenziale!
La psicologa Katlees Keating ha sti-
lato questa legge: “Quattro abbracci al
Signore, che guaio nascere piccoli! Nessuno ci ascolta, nessuno ci dà importanza. Tutti
hanno qualcosa da insegnarci, tutti vogliono comandarci!
Ci dicono: “Quando sarai grande… domani! ”. “Quando sarai cresciuto… domani! ”.
Domani, sempre domani!
Ma Tu puoi averci creati per aspettare che arrivi domani? E quelli che muoiono prima di
diventare grandi? Noi siamo vivi da oggi!
Perché, allora, Signore, non ci lasciano essere bambini, vivere da bambini?
Anche Tu hai iniziato da bambino. Grazie, Signore, per averci inventati!
Per andare avanti il mondo ha soltanto noi: i bambini di oggi!
giorno per la sopravvivenza. Otto ab-
bracci al giorno per il mantenimento.
Dodici abbracci al giorno per la crescita”.
Una legge eccessiva? Può darsi. Ma
una legge che ci ricorda che non si
può escludere il verbo ‘coccolare’
dall’arte di educare.
Coccolare non è viziare: è usare il
linguaggio praticato da Gesù quando
parlava ai bambini che gli correvano
incontro (Mc 10,16).
La storia comincia
dagli ultimi
Anche qui nessuna novità: sulla scena
di Natale non sommuovono perso-
naggi da Guinnes, da libro dei primati.
A Betlemme tutto è dimesso, tutto è
umile: la Madonna, san Giuseppe, i
pastori… non danno spettacolo.
Ebbene, da tanta piccolezza inizia
la più grande rivoluzione della storia
umana!
La lezione è chiara: si può essere no-
tevoli, senza essere notati! Siamo alla
terza lezione pedagogica della cattedra
di Betlemme.
Il Verbo di Dio è figlio di un carpen-
tiere, il Trono della Sapienza è una
madre di famiglia che allatta il figlio
e lo fa crescere.
Proprio qui volevamo arrivare: Natale
riqualifica il lavoro dei genitori che,
senza testimoni e senza elogi, impe-
discono al mondo di andare in fran-
tumi.
Messaggio prezioso ed urgente.
Lo notava già alcuni anni fa Piero
Angela: “Immersa nei pannolini, nelle
pappe e nei rigurgiti, la mamma si sente
spesso frustrata; ma può ritrovare una
diversa prospettiva se è consapevole che
la sua intelligenza, il suo talento, la sua
sensibilità sono praticamente le sole cose
che permettono a quel batuffolo umano
di emergere dalla notte animale e di di-
ventare un essere pensante. Il figlio è in
buona parte sua ‘composizione’”.
Il dovere di nascere
Non canteremo la ninna nanna, dice-
vamo iniziando.
Sì, perché Natale non è una Festa per
cullarci, ma per scuoterci.
A conti fatti, Natale ci ricorda il do-
vere di nascere!
È per questo che siamo nati: per fio-
rire, per darci alla luce, per crescere
fino all’ultima sera della vita. “Siamo
tutti sottosviluppati”, diceva lo psico-
logo René Zazzo (1910-1995).
Esatto! Nessuno esaurisce mai il vo-
lume totale dell’Uomo!
La preziosità del Natale sta qui: nel
ricordarci che c’è qualcosa che è peg-
gio del morire: è smettere di nascere!
I genitori che smettono di nascere
smettono di educare. Diventano inu-
tili come una piscina senz’acqua.
Dicembre 2012
33

4.4 Page 34

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Un salesiano al
Sinodo dei Vescovi
Incontro con monsignor Enrico dal Covolo
Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense
Che cosa ha significato per
Lei essere padre sinodale
della XIII Assemblea
Generale Ordinaria
del Sinodo dei Vescovi?
Sono il vescovo di più giovane no-
mina tra coloro che il Papa ha voluto
accanto a Sé durante questo Sinodo.
Considero questa “investitura” come
un dono straordinario del Signore
e come un’opportunità significativa
di incontro e confronto, di arricchi-
mento personale, che ho il dovere di
condividere con tutti coloro che ogni
giorno accompagnano il mio cammi-
no pastorale: prima di tutto i giovani
e la comunità accademica che ho il
privilegio di guidare.
Che cosa l’ha colpita di più?
La felice concomitanza dell’assise si-
nodale con il 50° anniversario del
Concilio Ecumenico Vaticano II, l’in-
ternazionalità del Sinodo, l’intercul-
turalità, la sollecitudine ecumenica…
Continuano a sorprendermi la curiosi-
tà intellettuale della Chiesa e il suo de-
siderio di indagare la contemporaneità,
al servizio della fede e dei fedeli.
Che cosa rappresenta
un Sinodo dei Vescovi
per la Chiesa?
Il Sinodo dei Vescovi è un’iniziativa
sorta a seguito del Concilio Ecume-
nico Vaticano II, per una decisione
sovrana di papa Paolo VI che volle,
attraverso questa formula, prolunga-
re nella Chiesa gli effetti benefici del
Concilio. Da allora, ogni quattro anni,
si celebra l’Assemblea ordinaria dei Ve-
scovi che mette a tema un argomento
di particolare interesse per la Chiesa in
un preciso momento storico. Di nor-
ma, tale argomento viene annunciato
al termine del Sinodo precedente.
La fede
è testimonianza
personale
A livello di Chiesa
Universale quali sono
oggi le grandi sfide
dell’evangelizzazione
e della missione?
Credo che l’impegno della trasmis-
sione della fede, così ben espresso dal
tema del Sinodo, sia centrale nel di-
battito attuale, relativo alle sfide che la
Chiesa deve intraprendere. Tra queste,
un’efficace “comunicazione della fede”
nel senso più ampio, che comprenda la
trasmissione dei contenuti oggettivi,
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Dicembre 2012

4.5 Page 35

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da una parte, e dall’altra la testimo-
nianza personale a livello soggettivo.
Noi uomini di cultura abbiamo pur-
troppo una sorta di “deformazione
professionale”, per cui battiamo molto
su tutto ciò che è oggettivo, tralascian-
do spesso la testimonianza, che invece
siamo chiamati ad offrire con la nostra
vita.
Quali sono stati i punti più
caldi del dibattito?
Certamente una progressiva scristia-
nizzazione della vecchia Europa e dei
paesi cosiddetti progrediti (lo “tsuna-
mi” del secolarismo…). Con questo
Sinodo e con l’Anno della Fede si
vuole rispondere efficacemente a que-
sta sfida.
Qual è il dono di questo
Sinodo alla Chiesa?
Intravedo due doni. Il primo rispec-
chia l’essenza stessa della Chiesa, ossia
quella di essere un’istituzione univer-
sale, veramente “cattolica”. L’assemblea
sinodale è uno scenario intercultura-
le, composto da uomini e donne con
identità, esperienze, provenienze geo-
grafiche diversissime. E proprio que-
sta trasversalità rappresenta il secondo,
straordinario dono: un’osmosi nella
differenza, che si fa luogo di crescita
spirituale e umana.
Attualmente Lei è Rettore
magnifico della Pontificia
Università Lateranense.
Qual è il suo compito?
Il Rettore è la più alta autorità acca-
demica, ed è nominato direttamente
dal Papa. Il Rettore ha la responsabi-
lità dell’Università, presiede il Senato
accademico e i Consigli di facoltà e di
istituto. Nello stesso tempo, promuo-
ve la convergenza dell’azione di tutte
le componenti della comunità uni-
versitaria per il conseguimento degli
scopi dell’istituzione. Ma accanto a
questi compiti accademici e gestio-
nali, il Rettore rimane un professore
che continua le sue ricerche e la sua
attività didattica. Infine, credo ci sia
una terza dimensione, altrettanto im-
portante: quella pastorale. Il Rettore è
pastore e testimone, è guida e padre.
Come sono i giovani
che frequentano questa
“strana” Università?
Sono circa cinquemila, uomini e don-
ne, laici, ecclesiastici, religiosi, diver-
sissimi per età e luogo di provenienza,
coscienti e calati nell’oggi. I giovani
(al cinquanta per cento laici e sacer-
doti/seminaristi/consacrate/religiosi)
frequentano quattro Facoltà (Teologia,
Filosofia, Diritto Canonico e Diritto
Civile: quest’ultima Facoltà conferisce
titoli riconosciuti a tutti gli effetti dalla
Repubblica Italiana) e due Istituti.
Mi sia consentito, però, di precisare
Monsignor dal Covolo con alcuni giovani della
sua Università, l’Università del Papa.
l’aggettivo “strano”.
Se per “strano” si intende stravagante
o eccentrico, la Pontificia Universi-
tà Lateranense è tutt’altro che stra-
na. Essa si contraddistingue per un
approccio rigoroso allo studio e alla
ricerca, per un management compe-
tente e professionale, per una visione
internazionale e per un accompa-
gnamento completo dello studente
dal primo fino all’ultimo giorno. Se
“strano”, invece, fa riferimento all’u-
nicità, beh…, allora sì, l’Università
Lateranense è unica. Basta ricordare
le parole che il beato Giovanni Paolo
II proferì durante la sua visita in La-
teranense il 16 febbraio 1980: “Voi
dunque costituite, a titolo specia-
le, l’Università del Papa”. Questo
non è un motto o uno slogan, ma
riflette quello che è l’Università
Lateranense: una frontiera di avan-
guardia nella formazione e nella ricer-
ca scientifica che riflette la missione
universale della Chiesa, garantendo
agli studenti una crescita culturale,
umana e pastorale completa.
Dicembre 2012
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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Quando il
bilancio non
quadra...
Fine anno. Tempo di bilanci, tem-
po per tutti di tirare le somme, di
fare il punto con se stessi e con la
propria condizione esistenziale.
Non soltanto per ricapitolare mo-
menti ed esperienze significative
vissute nel corso dell’anno, ma anche
per cercare di scorgere un senso unitario
nel cammino finora percorso ed interro-
garsi sulle scelte fatte e sugli esiti da esse
prodotti.
Perché se è vero che nella vita non si può torna-
re indietro, che non esiste il tasto “rewind” per
riavvolgere il nastro e, magari, dare un taglio
diverso alla storia, modificando il montaggio
ed eliminando le scene venute male, non gua-
sta ogni tanto soffermarsi per qualche mo-
mento a riflettere sui passi compiuti,
sugli obiettivi raggiunti e portati a
buon fine e su quelli, invece, di-
sattesi o smarriti lungo il tragitto.
Certo, l’esigenza di stilare un
bilancio al termine di un anno
intenso e ricco di eventi è un bi-
sogno che accomuna un po’ tut-
ti, ma sembra essere una tappa
obbligata soprattutto per chi,
come gli adolescenti, sta vi-
vendo una fase della propria
vita segnata da cambiamen-
ti profondi, dalla confusa e travagliata ricerca di
una propria identità, dalla difficoltà di trovare la
propria strada e di orientarsi in una realtà circo-
stante spesso avvertita come ostile o, comunque,
complessa da decifrare.
Ed ecco che diventa ancor più ineludibile, per i più
giovani, domandarsi non solo che cos’è cambiato
nella propria vita, ma anche che cos’è cambiato
dentro di loro, nel passare attraverso successi e de-
lusioni, lasciandosi trasformare in profondità dalle
esperienze vissute, dalle relazioni intrecciate, dagli
ostacoli incontrati ed, eventualmente, superati.
Fare un bilancio dell’anno appena trascorso non
significa, infatti, soltanto soppesare perdite e
guadagni (in termini di amicizie smarrite o con-
servate, di investimenti affettivi rivelatisi più o
meno vincenti, di traguardi raggiunti o falliti,
di occasioni colte al volo o mancate). Significa
anche, come ogni azienda che si rispetti, fare il
punto del proprio “stato patrimoniale”, di quel che
si è messo a frutto e tesaurizzato per accrescere e
consolidare il proprio capitale fisso.
Anche se il bilancio è in perdita, anche se gli in-
vestimenti arrischiati nel corso dell’anno non sono
andati tutti a buon fine e i risultati conseguiti non
sono stati all’altezza delle aspettative iniziali, que-
sto non significa che il capitale di partenza non
abbia registrato un incremento netto, che non si sia
cresciuti e maturati, che non si siano ampliate le
proprie competenze affettive ed esistenziali e che
anche gli errori e le delusioni non abbiano contri-
buito a far compiere ulteriori passi avanti nella ri-
cerca e nella costruzione della propria identità. E,
a differenza di quello delle aziende, che è sempre a
rischio di deprezzamento e può essere perso in un
baleno, questo è un capitale che nessuno potrà mai
alienare, un patrimonio di esperienze e competen-
ze umane che si sedimenta una volta per tutte nel
cuore degli adolescenti e che, anche se non spen-
dibile nell’immediato, andrà a costituire la solida
base su cui edificare il proprio futuro e far germo-
gliare le proprie speranze.
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4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
Il bi-lancio concretizza la consape-
volezza che ogni azione di orienta-
mento consiste oggi in aiuto concreto
ai figli e a tutti i ragazzi che hanno
diritto alla cura della genitorialità
diffusa della società perché possano
compiere scelte sensate.
Com’è diverso il clima del Natale e quello del
Capodanno! Passando dalla gioia della natività
all’inevitabile bilancio di fine d’anno, sembra
che le famiglie siano costrette a smentire quel che
hanno creduto e celebrato, nella fiduciosa con-
nessione fra la fede e la vita. La consapevolezza
degli affanni quotidiani che non trovano ricom-
posizione e, soprattutto, ragioni di speranza,
sembra schiacciare qualsiasi entusiasmo verso il
futuro che si fa presente: soprattutto nelle case
dove bisogna fare i conti con il problema nebuloso
dell’avvenire dei figli.
È il dolore quotidiano di tanti genitori: toccare con
mano ogni giorno come le aspettative dei giova-
ni sono deluse da una scuola che istruisce ma non
prepara al futuro, le relazioni sono segnate dalla
logica del consumo piuttosto che da quella di un
progetto affettivo durevole, il mondo del lavoro
nega ogni possibilità di inserimento duraturo e
consente soltanto precarietà e sfruttamento.
Tutto questo avviene non soltanto perché incom-
be su tutti una grave crisi economica e sociale,
ma perché molte famiglie credono di fare bene se
ragionano come se fossero un’azienda, abituata a
calcolare in modo asettico costi e benefici delle
proprie attività. Ma per fortuna, le famiglie non
sono aziende: gli affetti, le speranze, le difficoltà,
le esperienze che prendono forma e si sviluppano
nel corso di un anno non sono riconducibili sol-
tanto ai loro risultati immediati.
Tanti genitori stanno imparando ad affrontare
con saggezza e intelligenza la transizione dal bi-
lancio di fine d’anno alla redazione di un bi-lancio
per quello nuovo. Si fa a poco a poco strada
la convinzione che il compito primario
Il bi-lancio
di fine d’anno
della famiglia, oggi, è quello di riaccen-
dere la fiducia verso il domani: con i figli,
per i figli, attraverso i loro smarrimenti e la soli-
darietà con tutti i giovani.
In questo sta l’autorevolezza educativa degli adul-
ti: nell’incentivare, investire, valorizzare, bilan-
ciare tutte le passioni dei giovani che rivelano la
loro attitudine a stare nel mondo e a impegnarsi
per un servizio che possa contribuire alla sua cre-
scita.
Se nell’immediato questo significa una vicinanza
perché non perdano la bussola, non accettino un
adattamento passivo alla realtà sociale, non ce-
dano alla disperazione, sul lungo periodo impli-
ca la comunicazione di una verità fondamentale:
per ogni traguardo ci sono molteplici strade, che
possono essere scoperte attraverso quotidiane re-
lazioni di fiducia, condivisione, solidarietà fra le
generazioni.
LA MADRE
Dicembre 2012
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
E con queste
fanno mille
(lettere inedite)
In libreria il V volume
dell’epistolario di
don Bosco (1876-1877)
Con le 134 lettere di don Bo-
sco comprese nel V volume
dell’Epistolario appena pub-
blicato da chi scrive si è ar-
rivati a mille lettere inedite,
praticamente il 60% in più di
quelle comprese negli analoghi volu-
mi di 50 anni fa. Basterebbe solo que-
sto per dire che una storia completa
di don Bosco è ancora da scrivere, se
si tiene conto di quanto tale ampia
corrispondenza può farci meglio co-
noscere il personaggio che scrive. Il V
volume, che raccoglie 424 lettere del
biennio 1876-1877, vale a dire 4 let-
tere per settimana, permette infatti di
seguire senza soluzione di continuità
lo svolgersi della vita quotidiana di
don Bosco, di seguirlo cioè passo pas-
so nei suoi numerosissimi impegni,
enormi interessi spirituali, continui
viaggi (in Italia e Francia sud), gran-
di successi e forti delusioni. Oltre la
metà delle lettere sono originali auto-
grafi, custoditi in varie località d’Ita-
lia, Francia, Portogallo, Svizzera, Ar-
gentina, Santo Domingo e Uruguai.
Un biennio di “successi”
Gli anni 1876-1877 hanno visto don
Bosco impegnatissimo nel rafforzare
la decina di opere salesiane aperte in
precedenza, nell’aprirne quasi il doppio
in Italia, Francia e America Latina, nel
lanciare nelle stesse aree geografiche le
FMA. Bastino due citazioni. “Il card.
Bilio per mezzo del S. Padre chiede
nostri maestri pel suo Seminario in
Sabina, idem il card. Franchi per Aric-
cia, idem il card. Di Pietro pel piccolo
Seminario di Albano; idem il Munici-
pio di Albano pel suo ginnasio; idem il
Seminario di Novara a Miasino. Vuoi
sapere tutto? In questo anno apriamo
20 case tra l’uno e l’altro mondo, cal-
colando anche quelle delle Figlie di
Maria A.”. “Monsig. Lacerda Vescovo
di Rio Janeyro non partirà più dall’O-
ratorio se non quando avrà con sé al-
meno cinque Salesiani. È stabilito che
D. Cagliero va a fare una perlustrazio-
ne agli ultimi confini della Patagonia
e Santa Crux. Oggi è il Card. Arci-
vescovo di Malines che a nome del S.
Padre chiede che si vada ad aprire una
casa nostra in sua diocesi. Idem il Card.
Sim[e]oni per Palestrina; idem pel Ca-
nadà etc. Non so come ce la caveremo”.
Vi si aggiungano i progetti missionari
spesso citati, ma mai realizzati, in In-
dia, Sri Lanka ed Australia.
Moltissimo ovviamente fu il lavoro di
don Bosco per formare religiosamen-
te ed educativamente i Salesiani e le
Figlie di Maria Ausiliatrice, nel con-
solidare giuridicamente i due istituti
da lui fondati, nel celebrare il primo
Capitolo Generale della società sale-
siana. Nello stesso brevissimo lasso di
tempo ha messo a punto documenti
personali che passeranno alla storia,
ha istituito l’Opera di Maria Ausi-
liatrice per le vocazioni ecclesiastiche
adulte, ha proceduto alla fondazione
dell’associazione dei Cooperatori sa-
lesiani e del fortunato mensile il Bol-
lettino Salesiano, ha stretto personal-
mente relazioni private e pubbliche,
ecclesiali e civili, indispensabili per
tutta questa multiforme attività.
Ma a quale prezzo!
Scriverà a metà agosto 1876 all’amico
Francesco Faà di Bruno: “Ella preghi
anche per me che mi [trovo] in mare di
affari interminabili” e nel maggio 1877
a don Bodrato: “Sono più mesi da che
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Dicembre 2012

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mi metto al tavolino alle due pomeri-
diane e mi levo alle otto e mezzo per
andare a cena”. Così anche da Marsi-
glia due mesi dopo scriverà a don Rua:
“Sono stanco a non plus ultra”. Talora
si sentì sopraffatto anche da profonde
angosce. “Ho molte paternali” confes-
sava all’amico teologo Margotti nel
luglio 1876. “I son mes ciouc
ma niente importa, Dio ci
ajuta ed ogni cosa procede in
modo, che i profani direbbero
che ha del favoloso, e noi di-
ciamo che ha del prodigioso”.
Le rose non furono dunque
senza spine. Fra queste gli
attriti con il suo arcivescovo
mons. Gastaldi, che nel bien-
nio in questione si moltiplica-
rono, si acuirono, si ripercos-
sero sul clero dell’arcidiocesi,
su vescovi piemontesi, sulla
santa sede, sul papa Pio IX
in persona, su laici e preti di
buona volontà, oltre che, pe-
santemente sul suo alter ego
don Rua, sul vicedirettore di
Valdocco don Lazzero e su
altri salesiani. Problemi d’ac-
cettazione di novizi, d’ordi-
nazioni sacerdotali, di visti di
pubblicazioni, di celebrazioni
liturgiche, d’invio di missio-
nari all’estero: tutto sembrava congiu-
rare contro un auspicabile accordo tra
i “contendenti”, tanto da costringerli
a cercare “giustizia” rivolgendosi alla
Santa Sede e andando personalmen-
te a Roma. Quasi 4 mesi la presenza
complessiva in Roma di don Bosco in
questi due anni nel corso di 5 faticosis-
simi viaggi.
Altro motivo di grave sofferenza in-
teriore per don Bosco fu l’“affare del
Concettini” (o “Fratelli ospedalieri”
di Roma) che lo tenne impegnato per
oltre un anno e che si concluse in ma-
niera opposta ai desideri e alle speran-
ze che in lui aveva posto Pio IX, e per
di più senza potersi spiegare in udienza
privata, nonostante il comune deside-
rio di entrambi. Don Bosco rimase
con l’amaro in bocca e Pio IX venne a
morire poco dopo con il rimpianto di
non avere rivisto l’“amico”, don Bosco.
Inutile aggiungere le enormi preoc-
cupazioni, non solo economiche, per
tante nuove fondazioni in Italia e
Francia, per le due nuove spedizioni
missionarie, per le malattie e la morte
di confratelli, per inaspettate opposi-
zioni ad iniziative culturali, sociali e
religiose ecc.
Tutto scritto, tutto documentato, con
minute su minute, correzioni su cor-
rezioni, copie su copie, originali auto-
grafi o con sola firma autografa, cir-
colari a stampa o manoscritte,
indirizzate a persone del clero
secolare o religioso (oltre la
metà di tutte le lettere), a be-
nefattori (72 lett.), ad autorità
civili (37 lett.). Estremamente
ridotto invece è il numero di
quelle a coadiutori salesiani, a
chierici e singoli giovani; una
sola alle FMA: si può suppor-
re che la massima parte delle
missive a tali singoli corri-
spondenti sia andata perduta.
Di tutto
Fra le lettere pubblicate nel
volume ve ne sono pure alcu-
ne scritte in simpatici versi,
altre che contengono espres-
sioni umoristiche; con i sale-
siani don Bosco talora si fa
scherzoso, con i benefattori
si autodefinisce spesso e vo-
lentieri poverello, capo dei mo-
nelli, scapestrato, chiedendo
magari scusa per la brutta calligrafia.
Insomma di tutto e di più: lettere
che fanno conoscere don Bosco e il
mondo attorno a lui, lettere che fanno
pensare, che fanno sorridere, che fan-
no soffrire; lettere da studiare, com-
parare, approfondire, talora da gu-
stare, non da leggersi semplicemente
pagina dopo pagina.
Dicembre 2012
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Salvato dal licenziamento
Ero molto preoccupata per nostro
figlio Paolo, che era da un anno in
Cassa integrazione, avendo a suo
carico una figlia di sette anni. Infat-
ti da un dirigente dell’Azienda dove
lavorava ero venuta a conoscenza
del fatto che quasi sicuramente
sarebbe stato licenziato. Tutte le
domande di lavoro presentate in
quel periodo da Paolo avevano
dato esito negativo. Allora ho
pregato tanto il Signore affinché,
per l’intercessione del Servo di
Dio Attilio Giordani, lo aiutasse.
Dopo circa due mesi Paolo è stato
richiamato al lavoro dalla stessa
Azienda. La sensazione che porto
in cuore è di aver avuto un aiuto da
parte di questo Servo di Dio, che
tante volte ho invocato. Nel corso
di questi ultimi tre anni ho avuto
altre testimonianze, non meno im-
portanti, della sua vicinanza come
quella di un fratello maggiore a cui
posso rivolgermi e dal quale sono
protetta.
Testolin Gian Carla,
Sesto Calende - VA
Protezione prodigiosa
Sono un anziano exallievo salesia-
no dell’oratorio di Faenza. Qui nel
1947 ho conosciuto personalmen-
te mons. Vincenzo Cimatti. Sono
nato anch’io nello stesso borgo di
Faenza, oltre il fiume, ove pure lui
nacque. Sono convinto che il caro
mons. Cimatti, quasi coetaneo di
mio padre e da lui ben conosciuto,
con il suo provvidenziale interven-
to mi abbia salvato la vita. Il 26
maggio 2012, alla guida della mia
auto, rientravo da solo in Faenza
verso la mia abitazione. Giunto
in prossimità della “Rotonda dei
Cappuccini”, a 400 metri da casa,
preso da un colpo di sonno, ho
urtato frontalmente contro la base
in cemento della rotonda. L’urto fu
violentissimo, tanto che la batte-
ria, sfondando tutto, è volata a 10
metri di distanza; solo la cintura di
sicurezza mi ha evitato di essere
sbalzato fuori. Sbattuto contro il
volante, non ho perso conoscen-
za, ma ho riportato fratture costali
e vertebrali, e una lieve ferita al so-
pracciglio destro. Emorragie diffu-
se in tutto il corpo mi resero una
maschera blu. Rimasi in ospedale
per tre settimane, ma potei poi
uscire guarito. Le vicende belliche
che ho vissuto come combattente
in Jugoslavia, sul fronte Greco-
Albanese, passando indenne fra
mille pericoli e quest’ultimo inci-
dente a cui sono sopravvissuto
mi convincono che il venerabile
mons. Vincenzo Cimatti continue-
rà ad avere un posto d’onore tra i
miei documenti personali. Io gli
sono eternamente grato.
Piazza Antonio, Faenza - RA
Nuove tenere storie
per avvicinare
piccoli e grandi al
mistero del Natale.
BRUNO FERRERO
È Natale!
Raccontami una storia
Il pozzo di Giacobbe
GRAZIE SEGNALATE
Per intercessione di Maria Ausiliatrice:
– Rocca Riccardo, Genova
– Arcaini Lodovica, Lodi
– Caudana Maria Grazia, Torino
Per intercessione di san Giovanni Bosco:
– A.P., Udine
– Sagone Luigi, Roma
– López Ochoa Victor M., Guadalajara - Jal (Messico)
– Garola Giuseppina, Collegno - TO
Per intercessione di san Domenico Savio:
– Marcone Anna, Foggia
– I nonni e la mamma Arianna, per la nascita di Matteo
– Reale Fazzina Lucia, per la nascita di Bruna e Claudia
– Scali Francesca, per la nascita della sua bambina
– Meloni Graziella, per la nascita del nipote Christian Domenico
– Rossi Adriana, per la nascita del nipote Giacomo
– Gomes Daniela V. (Brasile)
– Di Bona Maria, Campobasso
– Nonna Zaccone Federica e la mamma Sonia, per la nascita di
Emanuele
– C. Schiavon, per la nascita della nipotina Elisa, Gonnesa (CA)
– Cronzigt S. (Sud-Africa)
– Prato Clara, Scarnafigi (CN)
– Una nonna, per la guarigione da bronchite del nipotino F., Caserta
– Per la nascita della sua bambina Sophie, mamma Pacifica
– Per la guarigione della nipotina Lucia, Bussino Olga, Torino
– Per i suoi bambini protetti, Letizia Laura
– Per la nascita di Teresa il 07.01.2012, Pedon Alice
– Per la nascita del nipotino Stefano il 23.07.2012, Frosoni Luciana
– Per la nascita della piccola Giulia, Cristin Chiara, Monfalcone (GO)
– Per la protezione sul secondo bambino Mattia, Guerra Paola, Milano
– Lopez Gaetana, Vasto (CH).
Per intercessione dei santi salesiani (don Bosco, Domenico
Savio, Mazzarello…):
– Bianco Pasquina, Magdaleno (Aragua) Venezuela
– Gremmo Sandra, Biella
– D’Eredità Carmela, per la nascita della nipotina
– T.C., Imperia
– Per la nascita di Emanuele, Ferrari Anna, Massagno (Svizzera)
– Per la nascita del nipotino, Claudia, Ranica (BG)
– A.G.T., Cuneo
Per intercessione della venerabile Margherita Occhiena:
– M.A., Asti
– Signorelli Ausilia, Melilli (SR)
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
40
Dicembre 2012

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Una vera casa... come a Betlemme
È nei luoghi in cui don Bosco iniziò la sua opera,
dove pregò, dove creò la Comunità salesiana e dove
accolse ed educò tantissimi giovani, è in quei luoghi
santificati dalla sua presenza che si può dire risieda il
cuore della Casa Madre salesiana di Torino-Valdocco.
Quei luoghi sono le Camerette di don Bosco: alcune
stanze di un edificio del complesso in cui vi è anche la
Basilica di Maria Ausiliatrice e che ancora oggi è pos-
sibile visitare così com’erano. Le prime due stanze,
una adibita ad economato e l’altra a biblioteca, furono costruite nel 1853 e già un anno dopo erano nati
i Salesiani: il primo fu il giovane Michele Rua, poi ne vennero tanti altri. Come il piccolo san Domenico
Savio che fu allievo fino alla morte prematura. La prima cosa che vide fu un cartello: Da mihi animas
coetera tolle (Dammi le anime, prenditi tutto il resto). Don Bosco gli spiegò che era il motto della sua
prima messa. L’edificio si ingrandì presto, per le ovvie esigenze di gestire gli impegni accresciuti enor-
memente. Si possono vedere ancora l’altarino dell’estasi, la camera da letto di don Bosco, la piccola
cappella. Nei pressi della scala che porta alle Camerette vi
è un pannello con scritto XXX, indovinata espressione per
indicare le similitudini tra i luoghi della Natività e questi di
Valdocco come la povera stalla per Gesù e la tettoia per i
ragazzi di don Bosco o la vivacità di questi ragazzi e quella
del bambino Gesù. Come il Salvatore anche i ragazzi di don
Bosco crescono buoni e pronti ad entrare nella vita e nel-
la società: ognuno con la sua missione e ognuno sotto lo
sguardo attento delle due mamme, la mamma di don Bosco,
Margherita, e l’Ausiliatrice.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Un undici ma-
drileno - 5. Celebre romanzo di Cha-
teaubriand - 10. Si suona pizzicandola
- 14. XXX - 16. Più che rara - 17.
Cioè - 18. Il nome di Capirossi, cam-
pione di motociclismo - 19. Diminu-
zioni - 21. Lo zio in Spagna - 23. Il
segnale che blocca! - 24. La dea scac-
ciata dall’Olimpo - 25. Il... Bang su cui
dibattono i cosmologi - 27. Il modulo
spaziale che allunò 6 volte - 29. È
scritto sul dollaro di taglio minore -
30. Mezza Roma - 31. È costituita da
grossi calibri - 35. La serie televisiva
in cui debuttò George Clooney - 36.
Fa perdere le staffe - 37. Solcare la ter-
ra con l’aratro - 38. Il formato targa di
alcune immagini digitali (sigla) - 40.
La schedina che si inserisce nel tele-
fonino - 42. Nidiata - 44. Il Monsù
della commedia di Bersezio - 46. La
geniale intuizione del matematico di
Samo morto a Metaponto.
VERTICALI. 1. Guttuso, pittore “so-
ciale” - 2. Un radicale derivato dall’eta-
no - 3. Quadrupedi delle latitudini fred-
de - 4. Il centro di Orleans - 5. Lo na-
sconde l’esca - 6. Lo sostiene il candi-
dato per l’ammissione - 7. Tormentati
- 8. Edipo l’uccise inconsciamente - 9.
Appendice mobile degli uccelli - 10.
Azienda Sanitaria Locale - 11. Fiumi
do Brasil - 12. È doloroso per le don-
ne - 13. Ione con carica elettrica ne-
gativa - 14. La capitale rumena - 15.
Scabrosità - 20. Il wagon... per dor-
mire - 22. Il titolo di Lancillotto - 25.
Fuoco... senza fiamma - 26. È l’isola
più popolosa al mondo - 27. Tommy
... Jones - 28. Arma che spara a raffica
- 31. Un po’ artista! - 32. Vuol dire
città nelle lingue slave - 33. Imposta
sulle attività produttive - 34. Biblico re
sconfitto da Saul - 36. Che è in fondo
- 39. Antenato - 41. Vie senza inizio -
43. Officine Meccaniche - 44. Iniziali
del Tasso - 45. Articolo romanesco.
Dicembre 2012
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5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don ALVINO BEBER
Morto a Luanda il 26 agosto 2012, a 89 anni
Don Alvino Beber è stato il primo
missionario salesiano in Angola.
Fondatore di nuove opere, soc-
corritore degli ultimi, abile inse-
gnante e infine confessore, don
Beber ha incarnato nella sua vita
lo spirito del missionario e del
pioniere.
«La sua morte ci conforta» ha
scritto l’ispettore ai salesiani
d’Angola, «perché la morte di un
battezzato, di un religioso sale-
siano, di un sacerdote fedele e
dinamico è sempre un momento
di gloria per la Congregazione e
per la Chiesa. Chi dona un bic-
chiere d’acqua per il Vangelo avrà
la ricompensa. Don Alvino a 55
anni donò tutto: famiglia, ami-
ci, confratelli, patria per iniziare
un’avventura missionaria in una
terra sconosciuta e immersa in
una guerra fratricida, che aveva il
bisogno assoluto della luce e del-
la forza del Vangelo e del carisma
salesiano per essere ricostruita e
riconciliata. La sua risposta gene-
rosa e pronta al “Progetto Africa”
è all’origine dell’attuale realtà sa-
lesiana in questa terra benedetta
d’Angola. Don Alvino ha dato la
sua vita per la causa del Vangelo
sulle orme di don Bosco. Anche
di don Alvino si può dire: non ha
mosso passo, non ha fatto nulla
che non avesse in vista la gloria
di Dio, la salvezza delle anime e il
bene della Congregazione».
Don Alvino Beber era nato il 3
agosto 1923 a Rio do Sul, stato di
Santa Catarina, Brasile. Aveva in-
contrato i salesiani sin da giovane e
frequentato l’aspirantato ad Ascur-
ra (SC) e Lavrinhas (SP) e il novi-
ziato a Pindamonhangaba (SP).
Il 31 gennaio 1945 emise la prima
professione e dopo gli studi in
filosofia e teologia venne ordina-
to sacerdote l’8 dicembre 1954 a
San Paolo. Manifestò ben presto
le sue qualità manuali e il suo sen-
so pratico, che gli fruttarono varie
nomine ad economo nelle opere in
cui veniva inviato; oltre ad essere
un buon insegnante di matemati-
ca, aveva solide conoscenze da
autodidatta in fisica, edilizia, agri-
coltura e impianti elettrici.
Quando iniziò il “Progetto Africa”,
nel 1978, si offrì come missiona-
rio, pur avendo già 55 anni. Fu
il primo salesiano dell’America
Latina a mettere piede in terra
angolana, il 1° settembre 1981,
fondatore della prima casa sale-
siana in Angola a Dondo.
Si occupò direttamente dei lavori
alle strutture, preoccupandosi
soprattutto della loro funziona-
lità apostolica. Al suo arrivo, a
Dondo, c’era soltanto una casetta
delle suore del Ss. Salvatore. Don
Alvino si sistemò nella minuscola
sacrestia della cappella. Comin-
ciò subito a costruire la futura
casa per la comunità salesiana,
che oggi è il prenoviziato, la
chiesa, varie cappelle nei villag-
gi lungo il fiume, l’aspirantato a
Viana. Don Alvino non dava sem-
plicemente ordini ai muratori:
saliva sulle impalcature, teneva
d’occhio tutto e verificava la fun-
zionalità delle strutture.
L’opera di Dondo divenne la “casa
madre”, una casa accogliente per
tutti, anche i religiosi di altre con-
gregazioni. Come il cuore di don
Alvino. Qui, don Beber visse anni
densi di soddisfazioni, ma anche
di grandi problemi.
Si prese particolarmente a cuo-
re “Isolamento”, un villaggio di
famiglie di lebbrosi. Scrive, nel
1988: «Andiamo da loro ogni pri-
ma domenica del mese. Portiamo
non solo il conforto spirituale, ma
tutto quello che serve alla loro vita
materiale. Il tutto è aggravato dalla
mancanza d’acqua e dalla minac-
cia della guerriglia. È un gregge di
pecore malate, disperse e impau-
rite. Sono i più poveri tra i poveri.
È un’altra sfida per noi. Non si può
stare a guardare: sono centinaia
di persone che hanno bisogno di
indumenti caldi e una mano per
costruire le loro capanne. Han-
no bisogno di produrre il proprio
cibo, strumenti. Questo è ciò che
la Missione si propone di fare con
l‘installazione di piccoli laboratori
extrascolastici per la lavorazione
del legno e del ferro».
L’apice del suo cuore missionario
e la sua capacità di dare divenne
ancora più evidente durante la
ripresa tragica della guerra civi-
le nel 1992. In quel momento di
follia fratricida, di odio, vendette
e violenza, don Alvino con sa-
crificio e rischio per la propria
vita si prodigò con fermezza,
con saggezza e lungimiranza e
salvò molte vite umane. La casa
salesiana divenne il rifugio per
centinaia di persone di tutte le
razze, di entrambe le parti, sen-
za alcuna distinzione sociale o
religiosa. Non fu facile, quando
mancava tutto, nutrire tutte que-
ste persone per diversi mesi,
prestare assistenza sanitaria ai
feriti, mantenere i rapporti con
le autorità militari, per prevenire
gli abusi e impedire il furto e la
violenza. Ci riuscì il grande cuore
di don Alvino.
Don Guillermo Basañes, Consiglie-
re Regionale per l’Africa, ricorda:
«È stato lui che mi ha portato nella
casa salesiana dove ho dormito la
prima notte in Africa: a Dondo, il
29 aprile 1992. Mani forti, cuore
tenero, sguardo da bambino, voce
ferma, volto premuroso, orecchio
abituato ad ascoltare. Per me il caro
don Alvino è stato il volto dell’Afri-
ca, l’abbraccio dell’Angola. E que-
sta esperienza si è ripetuta durante
tutti gli anni che seguirono».
Grazie alle sue capacità di co-
struttore i superiori gli affidaro-
no la ristrutturazione della Casa
della Visitatoria, nel quartiere di
Valódia, e la costruzione della
Casa di Viana dos Munlevos,
Luanda. Negli ultimi anni, data
l’età e le sue doti di guida spiri-
tuale, venne nominato confesso-
re della comunità degli studenti.
42
Dicembre 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Una scelta di classe
«Se non me lo lasci
fare non potrò
andare a scuola!
Mi vergognerei
troppo... È terribil-
mente importante,
mamma!». Elena scoppiò a piangere.
Era la sua arma più efficace.
«Uffa, fa’ come vuoi...» brontolò la
madre, sbattendo il cucchiaino nel
lavello. «Sembrerai un mostro. Peg-
gio per te».
In altre 23 famiglie stava avvenendo
una scenetta più o meno simile. Era-
no i ragazzi della Seconda B della
Scuola Media «Carlo Alberto di Sa-
voia». Per quel giorno avevano preso
una decisione importante. Ma gli
allievi della Seconda B erano 25. In
effetti, solo nella venticinquesima
famiglia, le cose stavano andan-
do in un modo diverso. Eli-
sabetta era un concentrato
di apprensione, la mamma
e il papà cercavano di
incoraggiarla. Era la
quindicesima volta
che la ragazzina
correva a guardarsi
allo specchio.
«Mi prenderanno
in giro, lo so. Pensa a
Marisa che non mi sopporta
o a Paolo che mi chiama “canna
da pesca”... Non aspetteranno
altro». Grossi lacrimoni salati rico-
minciarono a scorrere sulle guance
della ragazzina. Cercò di sistemarsi
il cappellino sportivo che le stava un
po’ largo.
Il papà la guardò con la sua aria
tranquilla: «Coraggio Elisabetta. Ti
ricresceranno presto. Stai reagendo
molto bene alla cura e fra qualche
mese starai benissimo».
«Sì, ma guarda!». Elisabetta indicò
con aria affranta la sua testa che si
rifletteva nello specchio, lucida e
rosea. La cura contro la leucemia
che l’aveva colpita due mesi prima le
aveva fatto cadere tutti i capelli.
Disegno di Fabrizio Zubani
La mamma la abbracciò: «Forza
Elisabetta. Si abitueranno presto,
vedrai...».
Elisabetta tirò su con il naso, si
infilò il cappellino, prese lo zainetto
e si avviò.
Davanti alla porta della Seconda B,
il cuore le martellava forte. Chiuse
gli occhi ed entrò.
Quando riaprì gli occhi per cercare
il suo banco, vide qualcosa di strano.
Tutti, ma proprio tutti, i suoi com-
pagni avevano un cappellino in testa!
Si voltarono verso di lei e sorridendo
si tolsero il cappello esclamando:
«Bentornata Elisabetta!».
Erano tutti rasati a zero, anche Ma-
risa così fiera dei suoi riccioli, anche
Paolo, anche Elena e Giangi e
Francesca... Tutti. Si alzarono
e abbracciarono Elisabetta
che non sapeva se piangere
o ridere e mormorava
soltanto: «Grazie...».
Dalla cattedra, sorride-
va anche il professor
Donati, che non si
era rasato i capelli,
perché era pelato di
suo e aveva la testa
come una palla da
biliardo.
La con-passione è amare con
il cuore di Dio.
Dicembre 2012
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Prendiamo lezione
da ciò che ci accade
Salesiani nel mondo
Una piroga sul Chary
La spericolata pensione
di don Franz
L'invitato
Olga Krizova
Responsabile Maggiore
delle VDB
Le case di don Bosco
Chiari San Bernardino
Con i Salesiani il convento
è diventato la casa di tutti
Arte salesiana
Il Tempio di don Bosco
a Roma
La storia sconosciuta
di don Bosco
Come trovare
le risorse per
costruire una chiesa
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.