Bollettino_Salesiano_201904

Bollettino_Salesiano_201904



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IL
APRILE
2019
Salesiani
nel mondo
Angola
Salesiano
martire
Padre
Antonio
César
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Bova
Marina

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
La pentola
del signor Olive
Sono un nobile e grosso “chaudron”, un
pentolone per voi, fatto di ottimo rame
luccicante, che faceva una figura nobile
ed emozionante nella cucina della villa
dei signori Olive a Marsiglia.
Avevo fatto bollire anche un intero cin-
ghiale, debitamente e squisitamente insaporito,
per un pranzo di nobili gentiluomini con le loro
consorti.
Venivo usato solo nelle grandi occasioni, natural-
mente. Una di queste, grazie alla mia capienza, era
l’annuale visita dei ragazzi dell’Oratorio Salesiano
San Leone di Marsiglia. Molti ragazzi erano
orfani, poveri e venivano dai dintorni della città.
All’Oratorio imparavano il mestiere di falegnami,
calzolai e sarti. Erano sempre allegri, chiassosi e
soprattutto affamati.
La storia
L’opera salesiana di Marsiglia ha una storia gloriosa di
educazione e pastorale. Oggi è gestita in collaborazione
con una fondazione. Fu proprio don Bosco che nel 1878
fondò la Scuola Tecnica di Rue Stanislas Torrents, dove
si trova ancora (MB XVII, 55-56).
Per questo, ogni tanto, i buoni signori Olive
invitavano tutti gli allievi del San Leone a fare
una scampagnata nel parco della loro villa.
In quell’occasione, tutta la famiglia Olive, padre,
madre e figli si vestivano da camerieri e serviva-
no una buona cena a tutti i ragazzi.
Io venivo riempita fino all’orlo da una superba
zuppa, ricca di profumo e di prelibatezze varie.
Ricordo polpettine, funghi, frutti di mare e
sapori davvero stuzzicanti.
Ma una volta, nel 1884, proprio mentre don
Bosco era a Marsiglia, mi accadde un terribile
incidente. Mentre i ragazzi giocavano nei giar-
dini, la cuoca che doveva prepararmi, lavandomi
ben bene, improvvisamente emise uno strillo
e poi corse tutta affannata dalla signora Olive,
gridando: «Signora, la pentola dove cuoce la
minestra per i giovani, perde largamente e non
riesco in nessun modo a rimediarvi. Dovranno
stare senza minestra».
Era vero, purtroppo. Me n’ero accorta, ma non
pensavo che la cosa fosse così grave. Avevo una
brutta ferita e certamente avrei perso buona
parte della zuppa.
La padrona, che aveva gran fede in don Bosco,
ebbe un’idea. Mandò a chiamare tutti i giova-
ni e: «Sentite, disse loro, se volete mangiare la
minestra, inginocchiatevi qui e recitate un Pater,
Ave e Gloria a don Bosco, perché faccia ristagna-
re la pentola».
I ragazzi ubbidirono con doppia devozione.
Avvertii una piccola scossa e la mia ferita si
rimarginò immediatamente.
Ho sentito dire che quando gli raccontarono il
fatto, don Bosco rise di gusto, dicendo: «Così,
d’ora in avanti chiameranno don Bosco protetto-
re degli stagnini (gli aggiusta pentole)!».
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Aprile 2019

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IL
APRILE 2019
ANNO CXLIII
Numero 04
IL
APRILE
2019
Salesiani
nel mondo
Angola
Salesiano
martire
Padre
Antonio
César
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Le case di
don Bosco
Bova
Congregazione
Marina Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: «La musica dei ragazzi e
dei giovani è una delle caratteristiche
più belle e importanti del sistema
educativo di don Bosco
(Foto Valua Vitaly/ Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 I NOSTRI SANTI
Padre Antonio César Fernández
6 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
8 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
10 SALESIANI NEL MONDO
Angola
14 L’INVITATO
Gilles Novizio salesiano
18 LE CASE DI DON BOSCO
Bova Marina
21 LUOGHI SALESIANI
La cupola
25 OSPITALITÀ A VALDOCCO
26 A TU PER TU
Padre Pappy Reddy
28 FMA
30 ANNIVERSARIO
32 CREATIVITÀ SALESIANA
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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14
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Gilles
Boieru, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Monica Falcini, Ángel
Fernández Artime, Claudia Gualtieri,
Martin Lasarte, Sophie Lauringer,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Mariagrazia Nucera, Pino Pellegrino,
Alban Pelletier, Giampietro Pettenon,
O. Pori Mecoi, Renato Valera,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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Registrazione: Tribunale di Torino
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Periodica Italiana

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I NOSTRI SANTI
MARTÍN LASARTE
Li ha amati fino alla fine
Padre Antonio César Fernández Salesiano martire
È un venerdì ed è la nona ora (ore 15,00). È il suo
venerdì santo. Come il Salvatore, invece di 3 chiodi,
ci sono stati 3 colpi.
Una giornata calda, il 15 feb-
braio 2019, a Nohao, nel-
la provincia di Boulgou, in
Burkina Faso. Tre salesiani
arrivano alla dogana, prove-
nienti da Lomé, Togo, per la
missione di Ouagadougou. Un grup-
po armato di guerriglieri arriva sul
sito, uccidendo cinque funzionari go-
vernativi. Gli aggressori controllano
l’auto dei salesiani. C’è un religioso,
già anziano; l’hanno messo da parte. I
terroristi parlano tra loro a bassa voce.
Conducono l’onorato sacerdote nella
foresta. Si sentono tre colpi. Tornano
soltanto i guerriglieri; mettono le loro
motociclette in rumoroso movimento
e lasciano dietro di loro una nuvola di
polvere.
E sulla terra del Burkina Faso giace
il corpo del salesiano Antonio César
Fernández. È un venerdì ed è la nona
ora (ore 15,00). È il suo venerdì santo.
Come il Salvatore, invece di 3 chiodi,
ci sono stati 3 colpi; non sulle mani e
sui piedi, ma 2 sullo stomaco e uno
sulla testa. Come per Cristo, il Cal-
vario era il culmine del suo itinerario,
del suo sì al Padre e della sua dedizio-
ne per l’umanità, così padre César ha
trovato la fine del suo pellegrinaggio
nelle terre africane, dopo 72 anni di
vita, 55 come salesiano di don Bosco,
46 come sacerdote e 37 come missio-
nario. È la fine di un viaggio d’amore
per il Signore e per i giovani africani.
Don Bosco ha detto che quando un
salesiano soccombe nel lavoro è un
giorno di gloria per la Congregazio-
ne; dunque quanto più, se soccombe
dando la sua vita nel martirio.
Il 25 febbraio la Chiesa celebra i Santi
protomartiri salesiani Versiglia e Ca-
ravario, che hanno amato il loro po-
polo adottivo, dando la vita per esso;
anche loro sono stati portati in una
foresta e lì fucilati. Padre César è il
proto-martire sacerdote del 2019.
Nel 2018, la violenza ha preso la vita
di 39 altri sacerdoti della Chiesa.
A don César piaceva essere il primo.
Fu nel primo gruppo di salesiani a
fondare la fiorente presenza di don
Bosco in Togo. Voleva essere il primo;
ma con gli occhi di Gesù: primo nel
servire, primo nel fare il passo iniziale,
primo nell’essere l’ultimo. “Chiunque
vuole essere il primo diventi servo di
tutti. Perché il Figlio dell’uomo non è
venuto per essere servito, ma per servi-
re e dare la sua vita come riscatto per
una moltitudine” (Mc 10, 44-45).
La morte di padre César è stata mol-
to sentita dalla sua famiglia e dai suoi
compatrioti di Pozoblanco in Spa-
gna. Egli è rimpianto dai suoi fratelli
salesiani che sentono la perdita di un
caro confratello di riferimento nella
provincia, che ha saputo inculturare il
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carisma di don Bosco in quel-
le terre, essendo stato maestro
dei novizi per 10 anni. Lo piange la
gente semplice e i giovani del Burkina,
del Togo, del Benin, del Senegal, del
Mali, della Guinea, della Costa d’A-
vorio e di altri luoghi dove è andato
facendo del bene.
Come ha detto padre Faustino: “È
stato il punto di arrivo di una vita of-
ferta per amore e con amore... Ha dato
tanto frutto nella vita che continuerà
dopo la sua morte”. Ci ricorda le parole
di Gesù: “Se il chicco di grano che cade
sulla terra non muore, rimane solo; ma se
muore, porta molto frutto” (Gv 12,24).
In questo modo la sua testimonianza
sarà un vangelo permanente annun-
ciato. La sua gioiosa vita salesiana
sarà una chiamata ai giovani a vive-
re una vita piena e felice amando con
tutto il cuore.
È emozionante la sua testimonianza
di consacrato che ci lascia in quel
Immagine Shutterstock.com
piccolo video che circola sulla rete.
Parole spontanee, semplici e profonde
che riassumono una vita di donazione:
“Ho 50 anni di salesiano, sono profes-
so perpetuo. Quello che posso dirti è che
vivere la vita salesiana, la vocazione
salesiana, è una grazia del Signore, una
serie di ringraziamenti concatenati. L’u-
nica cosa che posso dire è che ho ricevuto
molti benefici dal Signore, in contatto
con i giovani. Sono i giovani nei diver-
si luoghi in cui sono stato quelli che mi
hanno insegnato a essere salesiano e a
essere quello che sono adesso. È un’azio-
ne di ringraziamento perché non merito
questa vocazione, una vocazione che mi
supera. Quindi, grazie mille al Signore.
Incoraggio coloro che sentono questa vo-
cazione a realizzarla veramente. Seb-
bene non sia facile, è una gioia essere in
grado di servire la Congregazione e i
giovani. Grazie mille”.
«In Europa non ci torno!»
Don Eusebio Muñoz, Delegato del
Rettor Maggiore per la Famiglia Sa-
lesiana, è stato tra i più intimi amici e
collaboratori di don Fernández. Nati
nello stesso paese, a Pozoblanco, han-
Don Antonio César (ultimo a destra in piedi)
in una delle ultime foto con alcuni confratelli
dell’Ispettoria e il Rettor Maggiore.
In alto: Mappa del Burkina Faso.
no frequentato lo stesso liceo e hanno
compiuto il noviziato ad un anno di
distanza. Don Muñoz fu il primo a
verificare il discernimento missiona-
rio di don Fernández, quando questi,
nei primi anni ’80, manifestò il suo
desiderio di andare a servire i giova-
ni africani. Qualche anno più tardi,
in qualità di Ispettore, fu sempre don
Muñoz ad assegnare a don Fernández
l’incarico di Maestro dei Novizi in
quella regione d’Africa.
“Era un uomo di eccezionale bontà e
di grande intelligenza, convinto della
sua vocazione – ricorda don Muñoz –.
Quando studiavamo nella comunità
di Ronda i compagni di corso dice-
vano che a lui bastava una settimana
per fare quello per cui a loro serviva
un anno”.
“Era consapevole dei rischi che cor-
reva – continua don Muñoz –. Una
volta mentre ero andato in visita alle
comunità africane venimmo ferma-
ti insieme da alcuni miliziani, che
ci minacciarono e aggredirono. Ma
lui voleva restare lì e mi ripeteva: ’In
Europa non ci torno’. Condivideva
tutto con i giovani africani: dormiva
per terra, beveva l’acqua dai ruscel-
li… Non c’era verso di farlo cambiare,
voleva testimoniare ai giovani la sua
donazione completa”.
Ha trasmesso il carisma salesiano agli
africani, in qualità di Maestro dei No-
vizi per 10 anni ha formato generazioni
di Salesiani africani. E oggi non è un
caso se l’Ispettore di è autoctono.
Era felice, la sua era una vita realizza-
ta nel servizio ai giovani. Il servizio e
la disponibilità erano i suoi tratti di-
stintivi.
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Le beatitudini della
Famiglia Salesiana
A gennaio abbiamo
celebrato le
Giornate di Spiritualità
della Famiglia Salesiana
con persone provenienti da
28 nazioni. È un incontro
di formazione che si svolge da 37 anni
e che è sempre più significativo.
Frutto della riflessione condivisa
in quei giorni sono state queste
Beatitudini della Famiglia Salesiana.
Ecco le nostre sette Beatitudini.
1. Beata la Famiglia Salesiana che trova
gioia nella povertà. Colmata dalla grazia
di Dio farà miracoli fra i giovani più poveri
ed emarginati. Questa è santità!
Posso assicurarvi, per tutto quello che ho vissu-
to e visto in questi cinque anni di animazione in
tutto il mondo salesiano (in 85 nazioni, fino ad
oggi), che certamente Dio continua ogni giorno
a fare veri “miracoli di vita” nell’esistenza di tanti
ragazzi, ragazze e giovani, specialmente i più po-
veri ed emarginati.
Sono miracoli che non hanno nulla a che fare con
i mezzi finanziari ma con un trattamento perso-
nale pieno di autenticità, affetto, accoglienza e
vero ascolto della situazione di ogni giovane, non
di rado pesantemente drammatica.
2. Beata la Famiglia Salesiana che, con la
mansuetudine e la carità del Buon Pastore,
accoglie e accompagna amorevolmente i
giovani, educandoli al dialogo e all’accoglienza
del diverso. Questa è santità!
Quanto mi sembra importante educare i giova-
ni al dialogo e all’accoglienza di chi è diverso!
Durante una delle mie ultime visite in Europa,
un adolescente ha pregato in pubblico per poter
“perdere la paura degli stranieri”. E mi chiedevo:
che cosa stiamo seminando noi adulti e autorità
di queste società, per far sì che una quindicen-
ne abbia paura di qualcuno che è semplicemente
diverso?
3. Beata la Famiglia Salesiana che, stando
accanto agli altri, cura le ferite di chi soffre e
ridona speranza a chi l’ha perduta, portando
la gioia di Cristo Risorto. Questa è santità!
La Speranza è una delle grandi virtù cristiane
e una parola talismano che oggi ci manca tanto.
A volte non si possono risolvere i problemi del-
le persone, ma si può stare al loro fianco, si può
trasmettere accoglienza e rispetto, si può aiutare
a guarire le ferite. Chi non porta una ferita nell’a-
nima e nel cuore, e chi non apprezza un gesto,
anche il più piccolo, che lenisca il dolore delle fe-
rite della vita?
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4. Beata la Famiglia Salesiana che, avendo
fame e sete di giustizia, accompagna i
giovani a realizzare il loro progetto di vita
piena nella famiglia, nel lavoro, nell’impegno
politico e sociale. Questa è santità!
Ho chiesto a tutti i giovani del mondo che ho
incontrato se hanno ideali di vita, sogni, progetti,
perché una vita senza sogni, senza progetti, sen-
za ideali corre il rischio di abituarsi solo a “so-
pravvivere”, non a vivere pienamente. Per questo
una delle cose più belle della missione salesiana è
quella di accompagnare i giovani, tutti i giovani,
qualunque sia la loro situazione, a farsi strada nel
loro piccolo o grande, semplice, fragile o solido
progetto di vita. Accompagnarli ad ancorare la
loro vita a colonne che li rendano forti e robusti
per resistere a tutte le tempeste.
5. Beata la Famiglia Salesiana che fa esperienza
viva della misericordia, apre gli occhi e il cuore
all’ascolto, al perdono, rendendosi casa che
accoglie. Questa è santità!
Una delle parole meno usate oggi è “misericor-
dia”. Anche per questo, quando papa Francesco
parla così spesso di misericordia, arrivano subi-
to i “profeti di calamità” a blaterare che queste
sono sciocchezze e forme di debolezza. E che in
questo modo non si realizzano validi percorsi di
vita cristiana. Invece, amici miei, il nostro modo
di intendere la vita e l’educazione passa prima di
tutto attraverso uno sguardo di comprensione, di
compassione, di misericordia. Nasce dall’acco-
glienza e dall’ascolto.
senza discriminazioni, alle persone che credono
nell’autenticità, nella trasparenza, nell’onestà, che
agiscono secondo un solo amore e una sola fede.
Vogliamo appartenere alla schiera di coloro che
sono trasparenti e sanno meravigliarsi dinanzi a
Dio e alla sua parola.
Ai giovani vogliamo donare un cuore retto, tra-
sparente e chiaro, interamente aperto a Dio e agli
altri, a costo anche di essere trafitto.
7. Beata la Famiglia Salesiana che, a partire
dalla verità del Vangelo, fedele al carisma
di don Bosco, si fa lievito per un’umanità
nuova, accettando con gioia anche la croce
per il Regno di Dio. Questa è santità!
Continuiamo a credere che il carisma di don
Bosco, sia un dono di Dio per la Chiesa e per il
mondo, tanto attuale e necessario com’è sempre
stato. Crediamo umilmente che al mondo di oggi
mancherebbe qualcosa se non esistessero il cari-
sma salesiano e le migliaia di presenze salesiane
diffuse nel mondo in 134 nazioni e tra milioni di
giovani e le loro famiglie.
E continuiamo a credere che se un albero che
cade fa più rumore della foresta che cresce in si-
lenzio, vogliamo essere una foresta che cresce in
silenzio ma che riparerà tanti sotto la sua ombra.
Vi auguro perciò di essere beati e benedetti.
6. Beata la Famiglia Salesiana che cerca di
essere autentica, integra e trasparente,
coltivando uno sguardo che va al di là delle
apparenze e riconoscendo in ogni persona
la grazia operante di Dio. Questo è santità!
In un mondo dove dominano gli opportunisti,
i raccomandati, gli specialisti della carriera, gli
ossessionati dal piacere, disposti a calpestare an-
che i legami più sacri, noi ci uniamo agli uomini
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Io mi confesso (ancora)
Che rapporto hanno i giovani con il Sacramento
della Confessione e che valore ha per loro?
Maria Giovanna, 29 anni
“Se le scuse sono sincere, tutto
torna come prima, ovviamente
cercando di non ripetere più
l’errore commesso”.
Sono cresciuta e continuo a stare in
un ambiente salesiano, dove mi han-
no sempre insegnato che la confessio-
ne è un momento di confidenza con il
Signore, ed io lo credo. Penso che nel
momento in cui ci si confessa, ci sia
un senso di “libertà”, non solo da ciò
che consideriamo peccato, ma anche
libertà nel modo di parlare sincera-
mente, sapendo che il Signore non ci
giudica mai. Proprio per questo credo
che sia indispensabile.
Dopo essermi confessata, mi sento
meglio, più serena, ovviamente diversa
rispetto a prima. È come quando chie-
di scusa a tuo padre o a tua madre, ad
un amico, senti di aver fatto qualcosa
di sbagliato e vai da lui/lei per chiedere
scusa. E se le scuse sono sincere, tutto
torna come prima, ovviamente cercan-
do di non ripetere più l’errore commes-
so. Tutto qui. Riguardo i miei coetanei,
non credo di dire qualcosa che già non
si sappia. Purtroppo mi ritrovo sempre
più circondata da ragazzi che non cre-
dono, sia nel mondo del lavoro sia al
di fuori. Forse perché non hanno mai
avuto la fortuna, come me, di crescere
in un ambiente in cui ti insegnano ad
amare il Signore e i sacramenti, tra cui
la confessione. Perciò, credo che se do-
vessi parlare di questo sacramento con
loro, riceverei solo risposte negative.
“A che cosa serve confessare un pec-
cato per poi commetterlo di nuovo?”:
bella domanda! Sinceramente mi sono
posta anche io questo interrogativo,
ma credo che non siamo perfetti e
questo include ricadere di nuovo nello
stesso peccato. Non è una giustifica-
zione, però credo che la gravità invece
stia nel commettere lo stesso peccato
e dire “tanto poi lo confesso”. Ma nel
momento in cui lo ricommettiamo, se
la confessione era sincera, sentiremo
la vocina della coscienza dire “lo stai
facendo di nuovo, pensaci due volte!”.
Noelle, 17 anni
“Ciò che ci deve fare forza
è sapere che Dio ci ama ed è
sempre pronto a perdonarci”.
Ricordo ancora il giorno in cui, attra-
verso la parabola del Padre Misericor-
dioso, iniziavo a comprendere real-
mente che cosa il sacramento della
Confessione volesse davvero signifi-
care: sapere di avere un “Padre” sem-
pre pronto ad accogliermi, compren-
dermi e accettarmi con i miei difetti,
perdonando i miei errori. Adesso, a
distanza di nove anni, ho preso ancor
più consapevolezza del valore di que-
sto sacramento, che considero fonda-
mentale nella mia vita da cristiana, e
della presenza di Lui, sempre pronto
lì per me. Provo addirittura difficol-
tà a parlarne o a descriverlo poiché lo
vivo come un momento estremamen-
te intimo e personale tra me e Dio.
Subito dopo essermi confessata mi
sento l’anima molto più leggera e li-
bera, oserei dire
. È come se
un peso che prima gravava sul mio
cuore, scomparisse improvvisamente,
lasciandomi più tranquilla e serena. È
doveroso ammettere che i giovani di
oggi, purtroppo, vivono un momen-
to di grande sfiducia e lontananza da
quella che è la Chiesa. Si precludono
perciò la bellezza di vivere l’essenza
di tutti i sacramenti in generale; giu-
dicano, forse perché non conoscono,
la Confessione, in particolar modo,
come inutile e superflua.
Si dice: “Sbagliare è umano”. Siamo
uomini, ognuno con il proprio carat-
tere, le proprie convinzioni e abitu-
dini. È normale che le diverse situa-
zioni che affrontiamo ogni giorno ci
inducano a reagire sempre allo stesso
modo, anche se si deve specificare che
ogni caso è diverso dagli altri. Ciò che
ci deve fare forza è sapere che Dio ci
ama ed è sempre pronto a perdonarci.
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Durante la GMG di Panama papa Francesco
ha confessato molti giovani. «A chi si chiede
perché non confessarsi direttamente con Dio
invece di parlare con un prete, risponderei con
un’altra domanda: se siamo malati ce la vediamo
direttamente con Dio o passiamo prima dal
medico?»
Barbara, 29 anni
“Se partiamo dal presupposto
che i Sacramenti sono
segni tangibili dell’Amore
e della Misericordia di Dio,
la confessione è sicuramente
quello che incarna
perfettamente questi doni”.
La prima volta che mi approcciai al
sacramento della confessione, facevo
la quarta elementare, avevo quin-
di nove anni. Ricordo chiaramente
l’esempio pratico ma molto efficace
che la catechista ci fece: attraverso la
Confessione si eliminano i pesi che
non consentono alla mongolfiera di
volare liberamente. Credo che il sa-
cramento della Confessione sia tutto
questo, e molto altro. Se partiamo
dal presupposto che i Sacramen-
ti sono segni tangibili dell’Amore e
della Misericordia di Dio, la confes-
sione è sicuramente quello che incar-
na perfettamente questi doni.
Oggigiorno, se litighiamo con un
amico non è così scontato venire per-
donati per gli errori commessi, anche
involontariamente. Lui, invece, da
sempre, ci dona la possibilità di rico-
noscere, innanzitutto a noi stessi, le
mancanze e poi di chiedere perdono.
Per-Dono, un dono per qualcuno di
speciale, che è amato da sempre, vo-
luto e pertanto creato, un dono per i
figli di Dio, fratelli di Cristo, che te-
stimonia l’Amore vero, che prescinde
da quello che facciamo, dagli errori
che commettiamo, ma riparte da chi
siamo: potenziali santi.
Come potremmo, dunque, da gio-
vani cristiani, non trovare la carica
e l’energia necessaria, quando tutto
va male, nella riconciliazione con il
Signore, per poter tornare a sorridere
colmi di gioia?
Da bambina non percepivo alcuna
differenza tra prima e dopo essermi
confessata, ma tutto è relativo all’in-
tensità con cui si vive il Sacramento.
Mi rendo conto invece che ora av-
verto la necessità di confessarmi e
che per me è un po’ come ritingere
la veste bianca indossata durante il
Battesimo, o quantomeno sbiancar-
la un po’! Quindi, è avere la certezza
che, nonostante gli errori, il rapporto
è più saldo e fortificato.
Il mondo dei giovani, oggi, è abba-
stanza controverso. Ognuno di noi fa
esperienze diverse, e della stessa cosa
ne fa esperienza diversa. Nella mia
parrocchia i miei coetanei sono quasi
totalmente assenti, e quei pochi su-
perstiti che ci sono, noto che non si
accostano molto frequentemente al
Sacramento. Se mi si chiedesse a che
cosa serve confessarsi nonostante si
ricada sempre nello stesso errore ri-
sponderei che uno dei propositi della
Confessione è proprio la promessa
di non ripetere il peccato e pregando
l’“Atto di dolore” chiedo al Signore
la forza di “fuggire occasioni prossi-
me di peccato”, quindi mi confesso
con l’intenzione di non ricadere nel-
lo stesso peccato.
A chi si chiede invece, come ho fatto
anche io, perché non confessarsi di-
rettamente con Dio invece di parlare
con un prete, risponderei con un’altra
domanda: se siamo malati ce la ve-
diamo direttamente con Dio o pas-
siamo prima dal medico?
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - FOTO DI ESTER NEGRO
Angola
A Luanda, i salesiani trovano i loro diamanti
in baraccopoli estesissime dove si mescolano
rifiuti, animali randagi, bambini scalzi, gente
indaffarata a trovare qualcosa da mangiare.
I diamanti nei rifiuti
Siamo arrivati a Luanda la capitale dell’An-
gola. Fa molto caldo e, vicini al mare, è
anche umido. I salesiani sono presenti in
Angola dai primi anni ’80, quando all’ap-
pello del Rettor Maggiore – don Egidio
Viganò – risposero con generosità al Pro-
getto Africa numerosi giovani salesiani del Sud
America: Argentina, Brasile, ma anche Paraguay
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e Uruguay. Ora la presenza dei figli di don Bosco
conta 110 salesiani, di cui 40 sono attivi nel mini-
stero pastorale e 70 sono in formazione iniziale. Le
vocazioni dunque in Angola non mancano.
I primi anni di presenza salesiana furono molto
difficili a causa della guerra civile che dall’indi-
pendenza dal Portogallo (di cui era una Colonia
fino al 1975) insanguinò il paese per ben 27 anni,
fino ai primi anni del ventunesimo secolo. Dal
2002 la pace e le relazioni internazionali aperte
con molti paesi stranieri hanno fatto dell’Ango-

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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la uno dei paesi con il maggior tasso di sviluppo
economico del continente africano.
Le contraddizioni e i contrasti economici e so-
ciali, quando si visita un paese in via di sviluppo,
sono sempre presenti e balzano subito all’occhio.
A Luanda questo fenomeno è ancor più accentua-
to perché il centro della città si presenta come una
metropoli che vuol fare concorrenza alle grandi
città, meta di turismo internazionale. Il lungo-
mare è sullo stile di Copacabana di Rio de Janei-
ro. Lo skyline del centro è un susseguirsi di grat-
tacieli scintillanti che si specchiano sulle acque
dell’oceano Atlantico. Tutto molto bello e curato,
tutto che luccica... ma basta allontanarsi un poco
dal centro e i barrios (i quartieri periferici), che
continuano a crescere in periferia, mostrano una
realtà ben diversa.
Circa otto milioni di abitanti vivono in baracco-
poli estesissime dove si mescolano rifiuti, animali
randagi, bambini scalzi, gente indaffarata a tro-
vare qualcosa da mangiare... il tutto su strade pra-
ticamente inesistenti, case fatte con ogni tipo di
materiale: plastica, mattoni cotti al sole, lamiere
bucate, eternit.
Un girone infernale infinito
In uno di questi barrios, nella zona che fino
all’indipendenza dal Portogallo era la discarica di
Luanda – in portoghese “Lixeira” – e che negli
anni è venuta sempre più popolandosi fino a spo-
stare completamente le immondizie da altre parti
e occupare tutto il territorio con case, baracche,
lamiere, abitano più di 250 000 persone.
E qui troviamo le opere salesiane più belle e si-
gnificative di Luanda. Un dato per tutti ci dice
come si vive: non esiste la fognatura in questo
enorme agglomerato urbano!
In centro a Luanda uno dei grattacieli è chiamato
il “Palazzo dei diamanti” perché l’Angola è uno
dei massimi produttori di diamanti, oltre ad esse-
re insieme alla Nigeria il più grande produttore di
petrolio dell’Africa. Anche nel barrio di Lixeria
c’è un bel palazzo dei diamanti ed è dei salesiani!
Il nostro palazzo dei diamanti lo si può vedere
Circa otto milioni
di abitanti vivono
in baraccopoli
estesissime dove
si mescolano
rifiuti, animali
randagi, bambini
scalzi, gente
indaffarata a
trovare qualcosa
da mangiare... il
tutto su strade
praticamente
inesistenti, case
fatte con ogni tipo
di materiali.
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2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
vogliono imparare un mestiere e spendersi con
una professione concreta. Sono stati appena av-
viati i corsi di carpenteria, frigorista, alberghiero,
saldatore, segreteria d’azienda, informatica. C’è
l’enorme parrocchia con cinque cappelle dislocate
nelle località più lontane, dove i ragazzi che fre-
quentano la catechesi sono più di cinquemila. Ci
sono infine le strutture della rete di solidarietà
sociale a vantaggio dei ragazzi di strada. Purtrop-
po anche in questa enorme città i ragazzi soli ed
abbandonati continuano a crescere. Scappano di
casa perché i genitori si sono divisi, oppure ven-
gono allontananti dai parenti quando combinano
qualche guaio in famiglia. Spesso sono orfani,
con nessuno che possa o voglia occuparsi di loro.
La mitica “zia
Berta”. Una
cinquantina d’anni
ben portati, ha
cinque figli suoi e
ne ha adottati altri
tre. Il marito se
n’è andato di casa
da un bel po’. Qui,
con il primo figlio
adottivo, Carlos,
che ora ha diciotto
anni ed è più alto
di sua madre.
da tutto il quartiere e anche ben oltre. Si trova
sulla sommità più alta del pendio ed è alto cinque
piani. Spicca nettamente in mezzo alle casupo-
le e alle baracche che lo circondano. È la scuola,
che accoglie quotidianamente seimila allievi dalla
primaria alle superiori che danno accesso all’u-
niversità. Nella sede centrale gli allievi si susse-
guono in tre turni, non ci sono aule per tutti e
dunque si comincia alle 7.30 del mattino con i
più piccoli, si continua con quelli delle medie al
pomeriggio e si finisce alla sera alle 22.30 con
gli allievi delle superiori. Ogni cinque ore miglia-
ia di ragazzi e ragazze si alternano sui medesi-
mi banchi di scuola. Ma la scuola non è l’unica
risposta dei salesiani a questa gente che non ha
nulla, da nessuno. C’è il presidio sanitario porta-
to avanti da due brave suore brasiliane e c’è l’asilo
per i piccoli che non hanno nessuno che possa
accudirli e che razzolerebbero nella spazzatura
insieme ai cani se non ci fossero i salesiani a dar
loro un cortile e delle educatrici che li tengono
impegnati durante l’orario di lavoro dei genitori.
C’è la formazione professionale per i giovani che
Un pianto irrefrenabile
Visitiamo un centro di accoglienza che nel per-
corso di recupero costituisce la seconda tappa.
Dopo il primo aggancio con i salesiani, i ra-
gazzi che vivono in strada sono invitati a “stare
con don Bosco”, cioè ad abbandonare la banda
di amici e i rifugi di fortuna dove vivevano, per
essere accolti in una casa famiglia. Non è facile
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Aprile 2019

2.3 Page 13

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per un ragazzo che ha imparato ad arrangiar-
si da solo per mesi, a volte per anni, accetta-
re di vivere in una casa con regole da rispettare.
Quando arriviamo, i ragazzi ci accolgono con un
canto preparato per noi dai loro educatori. Ma in
un angolo un ragazzino con la maglietta rossa,
non aveva più di dieci anni, non cantava. Teneva
la testa sulle ginocchia e si vedeva che stava male.
Il responsabile di questo servizio di prima acco-
glienza, un giovane angolano di trentatré anni,
novello don Bosco, lo avvicina, gli alza il volto che
resta fisso a terra, e gli chiede come va. Questa
domanda scatena nel piccolo un pianto irrefrena-
bile e lacrime che sgorgano a fiumi e corrono ve-
loci sulle guance nere. L’educatore non dice nulla,
ma lo stringe a sé come un padre e gli accarezza la
testa e le spalle, finché il bimbo smette di piange-
re, si asciuga gli occhi e con un sorriso si inserisce
nel gruppo dei compagni. È proprio vero che la
miglior medicina per guarire la sofferenza è avere
il coraggio e la forza di condividerla con qualcuno.
La sofferenza e il dolore, quello interiore che fa
più male, non ce li può togliere nessuno. Ma qual-
cuno può condividerli con noi, e questo ci basta
per rendere il tutto più sopportabile, per asciugarsi
le lacrime e per ricominciare.
Zia Berta
Fra le diverse esperienze di accoglienza, merita
di essere raccontata quella della signora Alberta,
“zia Berta” per tutti. Questa donna angolana, di
una cinquantina d’anni ben portati, ha cinque fi-
gli suoi e ne ha adottati altri tre. Il marito se n’è
andato di casa da un bel po’. Non che questo le
manchi, visto che creava più problemi lui dei suoi
numerosi figli. Zia Berta è un generale d’armata
che con il solo sguardo tiene a bada questa nume-
rosa famiglia, a cui ora si è aggiunta anche la ni-
potina, figlia della sua figlia maggiore. Zia Berta
è anche nonna!
Ci ha raccontato com’è cominciata l’avventura
con il primo figlio adottivo, Carlos, che ora ha
diciotto anni ed è più alto di sua madre. Era un
bambino di 27 giorni quando i salesiani le hanno
chiesto se se la sentiva di fargli da mamma per-
ché la madre naturale era morta delle conseguen-
ze del parto. Il padre del piccolo si era scusato
ma non se la sentiva di prendersi cura di questa
creatura fragile e denutrita. Zia Berta prende il
fagottino in braccio (respirava affannosamente e
si vedeva che la madre nei pochi giorni di vita
non aveva avuto latte a sufficienza per sfamarlo)
e dice fra sé: “Io faccio la mia parte e Dio farà la
sua, vediamo che cosa succede”. Succede un au-
tentico miracolo! I primi giorni sono stati difficili
e incerti. Vive o muore questo scricciolo? Passa
una settimana, poi un mese, infine tre mesi ed è
ancora vivo. Zia Berta non teme più per Carlos.
Vivrà e diventerà grande, si ripete fra sé. E così
l’abbiamo incontrato noi. Un ragazzo buono, mite
e servizievole che fa parte di una grande famiglia
dove figli naturali e adottivi sono tutti uguali e
tutti condividono quel poco che zia Berta riesce
a procurare per tutti. Zia Berta, una forza della
natura, che ti accoglie sempre con il sorriso e ti
stampa due grossi baci sulla faccia quando ti in-
contra. Che portento!
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
GILLES BOIERU con ALBAN PELLETIER
Paso doble
con Cristo e don Bosco
La magnifica storia
di Gilles che oggi è
Novizio salesiano.
Che bambino sei stato?
Sono nato in un’epoca in cui i computer
ed i selfie non esistevano per i comuni
mortali. Mio padre era uno studen-
te di ingegneria audiovisiva e la mia
mamma una studentessa di chirurgia
traumatica. Amavano far spesso festa,
allora siccome volevo partecipare, sono
nato prematuramente, in piena festa,
tre giorni prima della data prevista.
A tre o quattro anni, mio papà mi in-
vitò a fare una lettera a Babbo Natale.
Mi ha raccontato che, non sapendo
scrivere, gli avevo dettato la lettera.
“Allora, Gilles, come si comincia? gli
risposi: «Scrivi: Carissimo Babbo Na-
tale» Allora scrisse, a grandi lettere,
poi mi disse: «Che cosa vuoi chieder-
gli?» gli risposi: «Voglio tutto!». Tentò
di spiegarmi, senza successo, che bi-
sognava pensare agli altri... eccetera...
Secondo quello che mi ha raccontato,
l’ho guardato fissamente, aggrottan-
do le sopracciglia e rispondendo sec-
camente: «Allora, togli Carissimo
Religiosamente, com’era
la tua famiglia?
Tutta la mia famiglia è atea. I miei
genitori, loro, erano agnostici. Ma
una tradizione rimaneva tra noi. Ogni
anno mia madre decorava un grande
abete che saliva fino al soffitto e mio
padre costruiva un immenso presepio
con almeno due centinaia di santoni
(statue del presepio) della Provenza,
ereditati da suo nonno. Per fare la
neve, prendeva della farina. Per fare la
paglia, prendeva degli spaghetti. Per
la terra prendeva polvere di cioccola-
to. Così, ogni mattina, si ritrovavano
tracce di zampe tra i personaggi: era il
gatto che aveva fatto baldoria durante
la notte. Infine, ogni sera di Natale,
mio Padre metteva un disco: era il
racconto della Pastorale dei santoni
della Provenza.
Come hai incontrato Dio?
Avevo probabilmente 4 o 5 anni.
Passavo le vacanze con la mia nonna
paterna, Lucie, che andava a riposarsi
alle Terme di Vichy. Per me, la nonna
è la persona più formidabile al mondo.
Lei è l’unica che mi ha accompagna-
to nella mia vita di Fede e che mi ha
educato. Non era facile, vivendo in un
ambiente familiare ateo con genitori
agnostici, ma mi lasciavano libero.
Avevamo ogni estate la stessa camera
d’albergo, il cui balcone si apriva pro-
prio di fronte ad una chiesa dove le
porte erano spalancate. E dal balcone
si vedeva da lontano nel fondo nero
qualcosa che brillava. Supplicai non-
na di andare a vedere che cos’era, e lei
mi spiegò che era una croce. Questa
immagine mi è sempre rimasta.
I tuoi primi studi?
Ho fatto i miei primi studi al Colle-
gio St Nicolas: ho fatto così la cresima
all’età di dieci anni, come si faceva
all’epoca. Comunque, ricevei a die-
ci anni il più bel regalo che i miei
genitori mi abbiano offerto: il libro
del «Milione» di Marco Polo. Ancora
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oggi c’è un passaggio che mi sconvolge
e che, credo, ha dato il “la” a tutta la
mia vita. È il passaggio in cui Marco è
incaricato nel nome del legato del Papa
di rimettere all’imperatore mongolo
Kublaï Khan una croce, decorata di
pietre preziose. (Proprio ciò che dete-
sto). Al ricevere questo regalo, l’impe-
ratore si stupisce: “Come è strano, che
voi cristiani abbiate fatto di un oggetto
di supplizio fatto per dare la morte, un
oggetto bello da guardare e che dà la
vita.” Ouah! Proprio lui, che non co-
nosceva il Dio di Gesù Cristo e mai
aveva sentito parlare di Lui, aveva ca-
pito che cos’era la risurrezione!
A pagina precedente : Gilles sorridente e davanti
all’altare della chiesa di San Francesco di Sales.
Sotto: Un momento dello spettacolo della
compagnia di danza di cui faceva parte.
L’incontro con la Chiesa,
com’è avvenuto?
Aspettavo con impazienza le vacanze
scolastiche; perché partivo per i cam-
pi estivi con la “Città dei Giovani”,
un’associazione cattolica molto aperta
già all’epoca: di quel tempo ho anco-
ra amici e amiche. Mi ricordo che nei
campi divoravo spesso la collezione
«belle storie e belle vite», ogni album
raccontava la vita di un santo.
Ho avuto la fortuna di avere incontrato
donne e uomini di ogni età: catechiste,
animatori, laici, religiosi, preti, vescovi
che sempre mi hanno presentato un
viso «felice» della chiesa.
Come sei entrato
nel mondo della Danza?
Non ho mai voluto essere balleri-
no: volevo essere direttore di orche-
stra. Verso i dieci anni, come molti
bambini, avevo un inizio di scoliosi.
Mia madre, in quanto medico, non
poteva trattare lei stessa il mio caso.
Un pediatra amico suo le suggerì di
farmi fare danza classica. Allora ini-
ziai i primi corsi di danza, e ci presi
gusto. Un’insegnante mi iscrisse ad
una selezione internazionale. Comin-
ciò così la mia carriera di “ballerino”
professionista, in una grande e celebre
compagnia, sempre in tournée per il
mondo.
Dovunque andavamo, avevamo 120
persone che si occupavano di noi. Era
una vita comunitaria senza noviziato.
Arrivato nel 1983, ero stufo dei giri,
perché questa vita frenetica è tanto
estenuante. Ho quindi smesso di
ballare, e ho iniziato studi teologici.
Nel 1986, accettai la proposta del mio
capo, divenendo part-time uno dei
suoi assistenti e, promosso coreogra-
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L’INVITATO
fo, sono entrato “nella vita degli altri”
in più di 80 paesi del mondo.
Però hai visto il mondo!
Molti mi chiedono: “Tra tutti i paesi
che hai visitato, qual è il più bello per
te?” Ho sempre risposto: tutti. Ogni
paese, anche il più povero ha la sua
propria ricchezza e, come un cerca-
tore d’oro, mi sento chiamato a rac-
cogliere altrettante pepite da portare
all’altare, rendendo grazie perché co-
noscano la Sua Salvezza. Questo mi
fa ricordare una frase che attraversa
di parte in parte tutta la Bibbia: «Dio
è qui, ed io non lo sapevo»! (Genesi
28,16)
Un ricordo dal tuo scrigno…
Una volta in un paese dell’Africa
equatoriale, ero ancora in tour con il
balletto e piuttosto arrabbiato, non so
perché. Avendo tre giorni liberi, an-
dai a trovare nella boscaglia un pre-
te amico che gestiva un lebbrosario.
C’era nel recinto di quest’opera una
piccola cappella fatta di fango, non
molto grande. La sera, sono venuto
a sedermi su una delle assi che era-
no usate come panchina. Ho sentito
la porta aprirsi e un fruscio come se
un corpo si stesse lentamente trasci-
nando verso l’altare. Era un lebbroso
che, con quello che restava delle sue
gambe, si stava sedendo all’altare e
diceva: «Ah! Gesù, sono felice per-
ché stamattina qualcuno mi ha det-
to “buongiorno”. Sono qui per dirti
grazie e buona notte, Gesù». E se n’è
andato via. Non so chi fosse, ma mi
ha fatto la più bella omelia della mia
vita. E non ero più arrabbiato.
In Madagascar, un sacerdote, amico
mio, mi disse: “Guarda quell’anziana:
non sa né leggere né scrivere, eppure,
guarda bene, porta sempre una Bib-
bia nella tasca del suo grembiule. Vai
a chiederle perché, dato che è anal-
fabeta”. Mi avvicinai a lei e le feci la
domanda. La donna mi rispose: “Non
ho studiato, non so leggere o scrivere,
sono considerata un po’ pazza. Non
importa! La sera, quando mi stendo
sul mio giaciglio, metto la mia Bibbia
sotto la testa come un cuscino, perché
forse la Parola di Dio mi entrerà nella
testa e questo è abbastanza per me e
mi fa felice.”
Una celebrazione liturgica è sempre una
coreografia dello spirito.
Come hai conosciuto
don Bosco?
Durante i campi con la Città dei Gio-
vani, diventai animatore. Là, credo
di aver fatto “il don Bosco” senza
saperlo, perché una sera, al “quinto
pasto” che si prendeva tra animatori
alla fine della giornata, il nostro Di-
rettore ci annunciò che sarebbe stato
il suo ultimo campo estivo con noi.
Grande smarrimento di tutti: non ce
l’aspettavamo. Poi dopo questo triste
annuncio, venne ad appostarsi dietro
di me, pose le sue due mani sulle mie
spalle ed esclamò a voce alta: “Ma vi
propongo di prendere Gillou come
nuovo direttore”. In quel preciso mo-
mento, non sentivo più niente: né gli
applausi, né gli auguri. Mi tornava
in testa tutto quello che avevo fatto
subire ai precedenti direttori: quante
sciocchezze avevano dovuto soppor-
tare!
Quali sono stati i tuoi studi
preferiti?
Ho iniziato gli studi di teologia all’i-
stituto Cattolico di Parigi. La teolo-
gia mi ha reso libero. Non per trovare
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VORREI DIRVI...
la Fede, ma per appoggiarla su basi
solide ed elaborare il mio proprio di-
scorso su Dio. All’epoca del primissi-
mo corso di teologia dogmatica, in-
titolato “Mistero cristiano”, il nostro
professore ci diceva: “Il giorno in cui
saprete tradurre il vostro discorso teo-
logico nel linguaggio di un bambino
di 8 anni, là potrete dire che siete pa-
stori; perché se siete degli apprendisti
teologi, dovete essere anche degli ap-
prendisti pastori».
Quando mi sono impegnato a scrivere
la mia tesi di dottorato non sapevo che
ci sarebbero voluti tredici anni della
mia vita per scrivere 1628 pagine...
L’ho scritta per tre quarti sull’aereo.
L’ho sostenuta in Svizzera, nel campo
della storia dell’arte e della teologia,
con il titolo: “Dal Signore della danza
al Cristo coreografo”. Ho fatto par-
te di diverse commissioni liturgiche
per più di 35 anni (parrocchie, eventi
diocesani, nazionali e internazionali,
accompagnamento di gruppi di gio-
vani, formazione di animatori...), e ho
partecipato all’organizzazione della
di Parigi del 1997. Mi ricordo
che, dopo la di Parigi, tutti i
Nel seno della Danza come coreografo e come animatore liturgico, sono stato portato a
riflettere sull’affermazione del filosofo Friedrich Nietzsche: “Non saprei credere in un Dio
che non sapesse danzare”. Quando percorro la Bibbia, l’arte più citata è la Danza. In Ebraico
esistono otto verbi per indicare l’atto del danzare. Mi ricordo di quello che diceva il profeta
Sofonia – è Dio che parla: “Verrò in mezzo al mio popolo e ballerò per lui, e finalmente cono-
scerà la gioia” (Sof. 3,17). Dio danza di gioia, non all’esterno ma all’interno del suo popolo,
che conoscerà la gioia!
Oggi, in questo tempo di noviziato in comunità salesiana, ho scoperto e testimonio: quando
don Bosco incontrava uno dei suoi fratelli o educatori stanchi e tristi, lo invitava ad andare
alla “fontana”. Nel cortile di Valdocco in quel tempo, i giovani facevano la fila per “bagnare”
la loro pagnotta e ammorbidirla. La lunga fila diventava di fatto una liturgia della parola. I
ragazzi parlavano del loro quotidiano, fatto di gioie e di fatiche. La pompa sostituiva la corda
e la puleggia del pozzo della “Samaritana”. Quanti urli hanno cantato, quante parole dette
o non dette hanno proclamato una liturgia della Parola incarnata che invitava alla condivi-
sione! Ecco! Far circolare questa Parola plasmata delle nostre umanità celebrando il Dio di
Gesù Cristo “pane spezzato per un mondo nuovo”. Don Bosco ci invita oggi a riprendere
questo cammino di Emmaus, nel quotidiano e per domani, per rompere il pane duro delle
nostre realtà. Ha bisogno di noi per “intenerirlo” attraverso la nostra azione che diventa
Parola di Dio.
È arrivato il tempo che le nostre liturgie riscoprano questa presenza sempre in
cammino, dove Colui che accompagna elemosina un po’ d’acqua sul bordo dei nostri
pozzi di Samaria. In Genesi 1,1 “lo Spirito del Signore danzava sulle acque”. Quindi conservo,
come inciso su una piastra di bronzo” (Job 19, 23-27), nel silenzio del mio cuore, questo
sorriso pacificato di tanti giovani che tengono in mano il loro pezzo di pane, fatto di tanti
momenti di vita che sono tanti grani da macinare nei Mulini delle nostre “Galilee”. Adesso, in
Chiesa, nelle nostre comunità Salesiane, nello stile di Giovanni BOSCO, posso testimoniare:
so su quale piede danzare!
vescovi di Francia, specialmente i più
duri, erano in una nuvola di elogi. Ma
io non dimentico che sono stato co-
stretto a portare fuori della sacrestia
a forza un vescovo, paralizzato dalla
paura. Infatti, non aveva mai parlato
ai giovani in pubblico... e c’erano più
di 2000 giovani che aspettavano la
catechesi.
E adesso?
Non è un caso se mi trovo in don Bo-
sco e in voi. Don Bosco è stato sopran-
nominato in Francia “il San Vincenzo
de’ Paoli dei giovani poveri”. Dopo
aver condiviso sei anni con i lazzaristi
(i preti di San Vincenzo), loro mi han-
no consigliato di andare dai salesiani
per rispondere a ciò che il Signore mi
chiedeva: sei fatto per camminare e ac-
compagnare i giovani...
Signore, rileggendo la mia storia, in-
sisti e trovi sempre nuovi mezzi per
dirmelo: quindi, ok, mi sento sconfitto,
eccomi, hai sempre l’ultima parola, ma
sei tu ad averlo voluto! Le mie mani
sono vuote ma sono calorose. Tu vuoi
che io presenti a Dio ogni giovane come
il tuo Cristo mi ha presentato a te, Pa-
dre, così che io possa essere il suo amico.
E a mia volta, Gesù mi chiede di anda-
re a cercare altri più giovani ancora in
modo che possano essere accettati come
amici del Signore. È una tradizione dei
secoli scorsi in Francia. Quando qual-
cuno voleva che un ragazzo diventasse
il suo amico, doveva prima presentarlo
a suo padre e quest’ultimo doveva dare
la sua approvazione: sì, accetto che tu
sia l’amico di mio Figlio: ti riconosco e
mi fido di te.
Questo è bellissimo!
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LE CASE DI DON BOSCO
MARIAGRAZIA NUCERA
Un faro salesiano brilla
a Bova Marina da 120 anni
Storia di un’opera salesiana amata
e salvata più volte dalla gente.
La chiesa.
I Salesiani per
i bovesi sono
un porto sicuro
e un faro nella
notte, metafora
significativa per
una cittadina in
riva al mare.
Bova Marina 1898. Non esiste ancora un
comune ma solo un esiguo numero di po-
vere case di pescatori disseminate lungo
le sponde del torrente Siderone e lungo il
litorale del mar Jonio, ma lo spirito di don
Bosco e il carisma salesiano già aleggiano
nell’aria nel piccolo centro della Magna Grecia.
Si può ben immaginare che la realtà bovese di
fine ’800, appaia molto simile a quella che ispirò
l’operato di don Bosco a Torino: una realtà in-
trisa di povertà spirituale e materiale, costituita
da gente umile, da pescatori e uomini della terra,
analfabeti e con difficoltà sociali dovute alla real-
tà del tempo.
L’attenzione dei Salesiani si rivolge alla Calabria
con don Rua che sentiva forte il desiderio di apri-
re qualche Casa nel nostro territorio e l’occasione
fu offerta da monsignor Raffaele Rossi, vesco-
vo di Bova (comune dell’entroterra e distinto da
Bova Marina), una Diocesi piccola ma antica.
Monsignor Rossi, per rinnovare il clero bovese
e incrementare gli studi ecclesiastici in Diocesi,
oltre che per offrire un’opportunità di crescita alla
popolazione, pensò ai Salesiani di don Bosco.
Don Rua visitò la Calabria ben due volte, nel
1900 e nel 1906; in questa seconda occasione,
accompagnato dall’Ispettore don Francesco Pic-
collo, durante un viaggio in treno raccomandò:
Don Francesco apri più case che puoi in Calabria.
Ce n’è un gran bisogno”; don Rua infatti intuiva
i gravi problemi della Calabria ed aveva a cuore
questa regione.
Un santo vescovo salesiano
Tuttavia la gioia della presenza salesiana viene
turbata dieci anni più tardi a seguito del terre-
moto di Reggio-Messina del 1908 che distrus-
se interamente le città dello Stretto, causando
molte vittime. Il terremoto danneggiò anche il
Seminario distruggendone un’ala. L’Ispettore
dell’epoca, viste le condizioni in cui vivevano
i Salesiani – assenza di acqua potabile, strada
dissestata che portava al paese – era deciso a
chiudere la casa. L’amore che univa i bovesi ai
Salesiani era però molto forte. La popolazione
si impegnò in prima persona per migliorare il
Seminario e le condizioni dei suoi sacerdoti e la
partenza dei Salesiani, per la gioia dei bovesi, fu
scongiurata.
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2.9 Page 19

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Nel 1933 papa Pio XI decise di assegnare un Ve-
scovo Salesiano, monsignor Giuseppe Cognata ad
una Diocesi dove dal 1898 i Salesiani dirigevano
il Seminario Vescovile e le Figlie di Maria Au-
siliatrice l’Orfanotrofio “Caterina Marzano” dal
1919.
Le peripezie dei Salesiani in terra bovese non sono
però concluse. Siamo nel secondo dopoguerra e
Bova ha subito dei pesanti bombardamenti. Non
mancavano i disagi e le difficoltà e c’era una con-
dizione oggettiva di grande povertà. L’Opera di
Bova Marina necessitava di una svolta e l’artefi-
ce fu don Luigi Alessi; viste le disastrose condi-
zioni dell’edificio del Seminario urgeva prendere
una decisione per modificare la situazione. Con
il consenso dei Superiori, nell’autunno del 1947 il
Seminario viene chiuso. Sorge quindi il dubbio se
chiudere definitivamente l’Opera o trasferirla in
un nuovo edificio, lo spettro della chiusura ritorna.
Ancora una volta la popolazione si mobilita, viene
creato un Comitato femminile pro erigenda ope-
ra, per dare una casa ai Salesiani nel centro della
cittadina. Nell’aprile del 1949 si avviano i lavori
per la costruzione della nuova casa salesiana con
la posa della prima pietra fatta da monsignor An-
tonino Lanza.
In quella circostanza, lo stesso ispettore don An-
tonio Toigo riconoscerà pubblicamente che “lo
sviluppo dell’Opera è tutto merito della cittadinan-
za, la quale si è stretta attorno ai salesiani, i quali
con l’aiuto di Dio hanno potuto realizzare quello che
sembrava impossibile”.
Sembra proprio che Bova Marina e i suoi Salesiani
siano sotto la protezione di don Bosco e don Rua
(che oggi è cittadino onorario di Bova Marina).
Da questo momento in poi i Salesiani a Bova
Marina sono come un faro luminoso: con la
Scuola Media e ginnasiale (chiusa nel 1964) e con
l’Oratorio, forgiando le menti di generazioni di
bovesi, i quali ancora oggi testimoniano che, se
non fosse stato per l’apostolato dei Salesiani e per
l’istruzione fornita alla gioventù bovese, di cer-
to non sarebbero potuti diventare adulti istruiti,
professori, giudici, dottori.
Un’altra musica
In 120 anni l’Opera Salesiana di Bova Marina
è cresciuta! Nonostante le difficoltà economiche
della terra di Calabria, è forte l’impegno salesia-
no per offrire ancora un pezzo di paradiso alle
nuove generazioni. Numerose sono le attività che
i Salesiani svolgono a favore dei giovani di Bova
Marina e dei paesi limitrofi, diventando un punto
di aggregazione sociale e
culturale per l’intera area
Grecanica.
Le attività sportive di
calcio e pallavolo, so-
prattutto in questo anno
in cui la festeggia il
35° anno di fondazione,
attirano la partecipazio-
ne di numerosi ragazzi,
grazie anche agli appun-
tamenti annuali in ono-
re di don Rua “Don Rua
Day” e di don Bosco
“Together for Don Bo-
sco” che vedono i cortili
e i campi popolarsi di
giovani sportivi prove-
nienti anche delle squa-
dre del circondario. Un
appuntamento atteso è la Festa della Comunità,
nei giorni di maggio in cui si celebra la Festa di
Maria Ausiliatrice. Una settimana ricca di ap-
puntamenti, la DB. Bike, una passeggiata eco-
logica in bicicletta per le vie del paese, la Mary’s
Cup, tornei di calcio, volley e dama e il Festival
della Canzone Oratoriana che vede avvicendar-
si sul palco giovani cantanti ma anche genitori
intraprendenti.
Come diceva don Bosco “un Oratorio senza mu-
sica è come un corpo senz’anima” e nell’Orato-
Numerose sono
le attività che i
Salesiani svolgono
a favore dei
giovani di Bova
Marina e dei
paesi limitrofi,
diventando
un punto di
aggregazione
sociale e culturale
per l’intera area
Grecanica.
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19

2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
La biblioteca
promuove cultura
con il prestito
dei libri e i caffè
letterari con la
presenza degli
autori.
rio di Bova Marina la musica la fa da padrone,
grazie all’intuizione saggia dei Salesiani che
sono stati nella nostra Opera e che da sempre
hanno educato le generazioni alla musica. Na-
sce così nel maggio 2005, con la collaborazione
del musicista Tony Cercola, il progetto “Inventa
un’altra musica” per aiutare le popolazioni del
Madagascar: un cd di canti per l’animazione
composti dal giovane direttore dell’Oratorio,
don Natalino Carandente, cantati e suonati da-
gli abili animatori.
La Bibliopedìa
Un’altra importante attività svolta nell’Oratorio è
quella di Biliopedìa (biblio=biblioteca, e pedìa=
bambini in greco). La Biblioteca Salesiana nasce
negli anni ’70-’80 da un gruppo di Giovani Sale-
siani Cooperatori e riprende vita nel 2015 sempre
sulla spinta di giovani Salesiani Cooperatori. Bi-
bliopedìa, oltre al prestito libri e ai caffè letterari
con la presenza degli autori dei testi presentati,
si fa promotore del progetto annuale #IoCiCre-
doIoCiSono, arrivato alla seconda edizione, in
collaborazione con gli Istituti superiori e con le
Associazioni del territorio. Avvalendosi della
partecipazione di professionisti, nella sua prima
edizione “Percorso di legalità per dare un senso al
futuro” ha trattato temi di bullismo, legalità, vio-
lenza di genere; in quella attuale “Vivere lo sport
per prepararsi alla vita” tratta l’importanza dello
sport nell’educazione, nella crescita e nella salute
dei giovani, sulla scia del 35° anniversario della
dell’Oratorio.
Bibliopedìa è inoltre partner di Nati per Legge-
re, un programma nazionale di promozione della
lettura rivolto alle famiglie con bambini in età
prescolare, di cui Bova Marina è il secondo Punto
Lettura in tutta la Calabria.
Iamu ntè previti
Arriviamo ai nostri giorni e la paura della chiusu-
ra riappare. Siamo nel novembre 2017, la Comu-
nità di Bova Marina viene posta a discernimento
per un anno: ancora una volta bisognerà decidere
se i Salesiani hanno, dopo più di un secolo, si-
gnificatività per la cittadinanza. I bovesi e tut-
ti i membri della Famiglia Salesiana (Salesiani
Cooperatori, l’Unione Ex-Allievi ed Ex-Allieve,
l’ ), ancora una volta non si danno per vinti.
Forti del legame con i Salesiani e dell’amore per
don Bosco, si uniscono, fanno squadra o meglio
fanno Famiglia, e riescono a far parlare il loro
cuore, trovando il cuore attento all’ascolto dell’I-
spettore don Angelo Santorsola e del Consiglio
Ispettoriale.
In un territorio non semplice come quello cala-
brese, in un piccolo comune commissariato dove
davvero non c’è quasi nulla, i Salesiani hanno an-
cora significatività! I Salesiani per i bovesi sono
un porto sicuro e un faro nella notte, metafora
significativa per una cittadina in riva al mare. I
momenti difficili del nostro paese, come lo scio-
glimento del Comune e le difficoltà che giornal-
mente viviamo nella nostra bella Calabria, come
la disoccupazione giovanile, non hanno fatto al-
tro che legare, ancora di più, i Salesiani ai bovesi
perché in Oratorio ci sarà sempre un volto amico,
una parola di incoraggiamento, una pacca sulla
spalla e perché… “iamu ntè previti” (andiamo dai
Salesiani) resterà sempre la più bella conclusione
di una giornata!
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Aprile 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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MARIA AUSILIATRICE
LUOGHI
SALESIANI
L’affresco
della cupola
MAGGIORE
della Basilica
MARIA AUSILIATRICE
VALDOCCO
Ogni mattone di questo santuario
ricorda una grazia della Madonna.
La cupola potrebbe rivendicare il primato
della serie. Per almeno due motivi.
Don Bosco era povero. Lo fu per
tutta la vita. Ma la mancanza
di mezzi gli provocò giorni di
trepidazione e di pena, soprat-
tutto quando, nel corso dei
lavori per la costruzione della
Basilica di Maria Ausiliatrice, si vide
quasi costretto a sospendere l’innalza-
mento della cupola progettata dall’ar-
chitetto Spezia. Un giorno, aveva deci-
so di rinunciare, sostituendola con una
semplice volta; ne diede in realtà ordine
al suo economo e al capomastro. Que-
sti, dolorosamente sorpresi, disubbidi-
rono. Don Bosco non insistette; taceva
e pregava.
La Madonna intervenne. Un riccone
in fin di vita fece chiamare don Bo-
sco per gli ultimi conforti religiosi.
Don Bosco andò e, al termine della
visita, disse all’infermo: «Che cosa
farebbe se Maria Ausiliatrice le ot-
tenesse la grazia di guarire?». «Pro-
metto, rispose l’infermo, di fare per
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MARIA AUSILIATRICE
sei mesi consecutivi una generosa of-
ferta per la chiesa in Valdocco». Don
Bosco accettò la promessa; pregò,
benedisse l’infermo e ritornò al suo
Oratorio. Tre giorni dopo, gli fu an-
nunziata la visita d’un vecchio signo-
re. Era il banchiere Antonio Cotta,
Senatore del Regno, di anni ottan-
tatré, perfettamente guarito dopo la
promessa fatta e la benedizione rice-
vuta da don Bosco. «Sono qui, disse
lieto e sorridente: la Madonna mi ha
guarito contro l’aspettazione di tutti,
con stupore e gioia della mia fami-
glia. Ecco la prima offerta per questo
mese».
E la cupola fu innalzata e coronata
dalla grande statua di Maria, solen-
nemente benedetta il 21 novembre
1867 dal nuovo Arcivescovo di Tori-
no monsignor Riccardi di Netro, suc-
cesso a monsignor Fransoni.
Don Bosco avrebbe tanto desidera-
to, prima di morire, vedere decorato
tutto il santuario e particolarmente la
cupola. Non fu possibile. Ma la Ma-
donna intervenne di nuovo.
Alla morte di don Bosco, don Mi-
chele Rua, vedendo sorgere gravi
difficoltà per ottenere dalle autorità
La gloria dell’Ausiliatrice in cielo
e l’opera di don Bosco in terra
Per osservare le principali figure di questo gran quadro, bisogna collocarsi a giusta
distanza, e guardare innanzi tutto la parte della cupola che è verso l’altar maggiore. È
tutta una visione luminosa di Paradiso.
Nel centro, l’Ausiliatrice, Regina del cielo, siede sul suo trono e tiene ritto sulle ginoc-
chia il Bambino che ha le braccia aperte in atto di richiamo. Sopra il capo della Vergi-
ne, la figura maestosa dell’Eterno Padre ha sul petto splendente una candida colomba,
simbolo dello Spirito Santo. Intorno alla Vergine si librano a volo e fanno corona
angeli e arcangeli; Gabriele inginocchiato e chino presso il trono, come lo pensiamo
nell’umile casa di Nazareth il giorno memorando dell’Annunciazione quando rivolse
alla Vergine il saluto Ave, gratia plena; Michele in alto, sfolgorante con la spada e con
la bilancia. In piedi, con il bastone fiorito in mano, san Giuseppe alla destra di Maria.
Sotto i cumuli delle bianche nubi si apre un lembo di terra, dove la cara e sorridente
figura di don Bosco ci appare in mezzo ai suoi figli, con le opere del suo apostolato
nei paesi civili e tra i popoli selvaggi. Monsignor G. Cagliero, Vicario Apostolico
della Patagonia, presenta a don Bosco un gruppo di Patagoni, alcuni inginocchiati,
uno, di statura gigantesca, in piedi con le braccia aperte in atteggiamento di stupore,
di gioia, di riconoscenza verso colui che mandò i Missionari per la loro redenzione.
Accanto sono due Suore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che nelle scuole, negli
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civili il permesso di seppellire don
Bosco presso qualcuno degli Istituti
salesiani, e temendo di vederlo por-
tato nel cimitero comune, promise
che se Maria Ausiliatrice avesse
concesso la grazia di poter conser-
vare la tomba di don Bosco a Val-
docco, o almeno nel vicino Colle-
gio di Valsalice, si sarebbero subito
iniziati i lavori di decorazione del
santuario, come ringraziamento del
favore ottenuto.
Neanche a farlo apposta era Capo del
Governo il ministro Crispi, che, men-
tre era esule a Torino, era stato aiutato
da don Bosco, e la salma poté esse-
re sepolta nel Collegio di Valsalice. I
lavori di decorazione furono iniziati
l’anno dopo e inaugurati l’8 dicembre
1891, nella ricorrenza del primo cin-
quantenario dell’Opera salesiana.
Il grandioso affresco della cupola è
opera del pittore Giuseppe Rollini
che, da ragazzo, era stato allievo di
don Bosco. Egli lasciò nella chiesa
dell’Ausiliatrice un artistico e splen-
dido documento della sua ricono-
scenza verso don Bosco e la gloriosa
Regina del Cielo.
Ecco una sintesi dell’opera.
ospizi, negli asili, negli
ospedali compiono la loro
santa missione fra le povere
donne e le fanciulle della
Patagonia.
Più in alto, sopra le Suore, è
collocato un gruppo di Santi
cari a don Bosco: san France-
sco di Sales, san Filippo Neri,
san Luigi Gonzaga e dinanzi a
loro, inginocchiato, san Carlo
Borromeo. Più in alto ancora
sono riconoscibili san Gio-
vanni Battista, santa Teresa
con la freccia in mano, e, se-
duti, san Pietro con le chiavi e
san Paolo con la spada.
A destra delle Suore, due Mis-
sionari salesiani. A sinistra di
don Bosco, sono raffigurati i
Salesiani con le loro scuole.
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MARIA AUSILIATRICE
Gli ordini religiosi dei Trinitari e dei Mercedari
Più a sinistra sono raffigurati gli ordini religiosi dei Trinitari e dei Mercedari, che
operarono per la liberazione dei cristiani caduti schiavi dei Musulmani. La figura
che è più in alto, inginocchiata sulle nubi, con la croce sul petto, le braccia aperte,
rapita nella contemplazione della Vergine, è quella di san Giovanni di Matha, che
fondò nel 1198 l’Ordine della SS. Trinità, con san Felice di Valois, rappresentato più
in basso mentre invita gli schiavi liberati a rivolgere le loro preghiere di ringrazia-
mento alla Madonna. Tra san Giovanni di Matha e san Felice di Valois è collocato
san Pietro Nolasco, che nel 1218 fondò l’Ordine dei Mercedari. II personaggio che è
più a sinistra, con un povero schiavo inginocchiato ai suoi piedi e nell’atto di pagare
la mercede per riscattare alcuni poveri cristiani fatti schiavi e incatenati, è san Rai-
mondo Nonnato, che fu il secondo generale dell’Ordine della Mercede.
Presso l’Arabo che riceve i soldi, c’è un cartello con la firma del pittore e la data dell’anno
in cui fu terminato il lavoro: G. Rollini, 1891.
La battaglia di Lepanto
Nella parte della cupola che è di fronte al trono della Vergine Ausiliatrice, un gruppo di An-
geli con le ali spiegate, di mirabile finezza e perfezione, sostiene un grande arazzo sul quale
è rappresentata la scena della battaglia di Lepanto, che decise dei destini d’Asia e d’Europa.
Accanto, a destra, il papa Pio V col braccio teso indica la Vergine Ausiliatrice, per il cui
materno intervento fu ottenuta la vittoria.
A ricordo di questa insigne vittoria, il papa Pio V, fissò nel giorno 7 ottobre la festa del
santo Rosario.
I vincitori di Lepanto
A destra della grandiosa rappresentazione della battaglia, il pittore Rollini ritrasse accanto
al pontefice san Pio V, i principi cristiani che contribuirono con le loro armate e con il loro
braccio, ad ottenere la vittoria di Lepanto. È un gruppo di dieci slanciate figure di cavalieri
sfarzosamente vestiti secondo il costume del tempo, raccolti intorno al re di Spagna, Fi-
lippo II.
Sobieski e la liberazione di Vienna dall’assedio dei Turchi
Procedendo sempre verso sinistra si presenta sul bianco destriero, il re di Polonia Giovanni
Sobieski che liberò Vienna dall’assedio dei turchi. Al suo fianco un altro cavaliere abbassa
a terra, in segno di omaggio alla Vergine, la grande bandiera del profeta, strappata ai Turchi.
Pio VII e la festa di Maria
Aiuto dei Cristiani
L’ultimo gruppo che completa la decorazione
e chiude l’anello del quadro grandioso di-
pinto dal Rollini nella cupola, rappresenta il
Pontefice Pio VII solennemente vestito degli
abiti pontificali e con la tiara in capo. Tiene
in mano un foglio che è la Bolla con cui egli
istituì la festa di Maria Auxilium Christiano-
rum, nel 1815, proprio l’anno in cui nacque
don Bosco. Una colonna tronca gli sta accan-
to con la data «1815», a ricordo dell’avveni-
mento; da essa pendono le spezzate catene
della tirannide napoleonica.
Il papa Pio VII istituì la festa di Maria Ausilia-
trice da celebrarsi il 24 maggio.
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neI grande cuore di
VAL DOCCO OSPITALITÀ a
VALDOCCO
c’è aria di famiglia
Da tutto il mondo vengono per conoscere don Bosco, la sua storia,
il suo primo oratorio, le chiese da lui costruite, la “culla” dei Salesiani.
TQRUOI VATE
Ospitalità familiare e accurata
per singoli, famiglie, parrocchie,
scuole e gruppi
Camere, aree di ristoro e saloni
per tutte le esigenze
Per una giornata o per più giornate
Sito: http://basilicamariaausiliatrice.it

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Noi abbiamo visto
Testimonianza di P. Pappy Reddy sdb
Don Pappy Reddy è un
giovane missionario
salesiano, proveniente
dall’Ispettoria di Gwahati,
India (ING). Subito
dopo la sua ordinazione
sacerdotale è stato
inviato per l’apertura
della presenza salesiana
nell’insediamento di
rifugiati a Palabek,
Uganda, nel 2017.
Attualmente è missionario
nel Sud Sudan.
Sono padre Pappi Reddy. So-
no Indiano e sono venuto in
Uganda a lavorare nel campo
profughi di Palabek. Vengo
dall’Ispettoria nord-orientale
che si chiama Ispettoria di
Guwahati. Sono un prete novello;
sono stato ordinato 3 mesi fa e sono
venuto come nuovo missionario.
Il luogo si chiama “Don Bosco Palabek
refugee settlement” e si trova al confine
tra Uganda e Sud Sudan, nel distretto
di Lamwo. Dal confine ugandese al
Sud Sudan ci sono solo 40 km. Nel
campo ci sono 43 000 persone.
Qualche mese fa, queste persone men-
tre stavano lavorando nei loro campi
hanno sentito degli spari e non sapeva-
no esattamente che cosa fare nelle loro
case. Hanno preso i pochi bambini che
c’erano intorno e sono corse nella fore-
sta per due giorni senza nulla.
Ci sono persone che arrivano anche
ora per problemi di sicurezza, fami-
liari, soprattutto per l’educazione e il
cibo.
La mia esperienza nel campo in que-
sto breve tempo è stata forte e arric-
chente. Ci sono stati momenti in cui
mi sedevo con le persone e piangevo,
perché le loro storie erano così toc-
canti e commoventi. Non hanno cibo,
vestiti, sono preoccupati per i figli
sparsi nel campo, alcuni loro fami-
gliari sono morti lungo la strada. Era
molto duro ascoltare questi racconti.
Una cieca
Dopo due mesi che ero nel campo,
una domenica ho battezzato trenta
persone in una piccola cappella. Dopo
la messa una donna cieca è venuta da
me e mi ha chiesto: «Padre per favore
apri il Vangelo di Giovanni e sotto-
linea i versi in cui dice “Dio infatti
ha tanto amato il mondo da dare il
Figlio unigenito”». Rimasi sorpreso
che lei fosse cieca, non poteva leggere
né vedere. Ho fatto ciò che mi ave-
va chiesto; ho aperto il Vangelo, ho
sottolineato le parole e gliel’ho dato.
Dopo un po’ ha preso la Bibbia ed è
andata all’entrata della chiesa. Dato
che la Messa era finita, le persone
passavano di lì, lei le fermava e invi-
tava ogni persona a unirsi in gruppo,
dicendo: “Dio infatti ha tanto amato
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il mondo da dare il Figlio unigenito”.
Le persone si sedevano, l’ascoltavano
e le parlavano.
Lei era cieca; e noi non ci aspettava-
mo che una persona cieca potesse fare
qualcosa di grande. Questa donna era
piena della forza di Dio e andava in
giro a diffondere la buona novella.
È stata una delle esperienze più belle
che mi ha permesso di vedere che Dio
mi aveva mandato qui con uno scopo:
fare qualcosa per queste persone, anche
in situazioni devastanti. Questo è stato
un incoraggiamento enorme per me.
«Potevo solo piangere»
Io non uso mai la macchina nel cam-
po perché le persone non pensino
che esistano Padri ricchi. Per questo
prendo la bici, vado, mi siedo, parlo
con loro, giro.
Dopo 3 mesi e mezzo della mia per-
manenza ho creato, nel campo, il
gruppo dei giovani. Ci sono stati al-
cuni giovani che sono venuti da me e
mi hanno detto: “Padre noi abbiamo
bisogno di parlarti”. E io ho risposto:
“Certo, non c’è nessun problema”.
Mi hanno preso da parte e mi hanno
chiesto: “Possiamo farti una confi-
denza?”. E io ho detto: “Sì, sono qui
per aiutarvi”. Mi hanno detto: “Visto
che tu aiuti i giovani vogliamo por-
tarti in un posto dove ci sono due
ragazzi che stanno molto male”. E io
ho detto: “Ok”. Mi hanno portato in
un posto in cui io ho aperto una cap-
pella che si chiama Domenico Savio.
Quando sono arrivato lì, c’erano due
ragazzi giovani sdraiati. Ho chiesto:
“Cos’è successo? Com’è possibile che
loro siano in queste condizioni?”. “Pa-
dre, loro non hanno nessuno. Sono
arrivati qui dopo due giorni di cam-
mino nella foresta. Non hanno cibo,
non hanno vestiti e sono praticamente
in punto di morte”. Sono andato im-
mediatamente a casa a prendere qual-
cosa da mangiare per loro. Ho preso
alcuni vestiti dal container e li ho dati
loro. Io mi sono seduto, li ho ascoltati
e ho parlato loro.
Mentre ascoltavo le loro storie su
come erano scappati dalla guerra,
dalla situazione che c’è in Sud Su-
dan, come erano arrivati qui, io non
sapevo davvero che cosa fare. Ero
seduto e piangevo. Dopo un pochino
mi hanno detto: “Padre, grazie, gra-
zie per essere venuto. Tu sei venuto
da noi come Dio per aiutarci”. Ed io
ero molto toccato. Ho davvero sentito
perché Dio mi ha mandato in questo
posto. Io credo che ci sia uno scopo
per ogni cosa.
Questa esperienza drammatica, ma
bellissima, mi ha aiutato a rafforzare
il legame con i giovani. Adesso quan-
do vado in giro i ragazzi mi chiama-
no “Abuna, ciao! Abuna, ciao! Vieni,
vieni!”. E sono felice di aver imparato
la loro lingua. Celebro la Messa nella
loro lingua. Riesco a conversare ad un
livello base nella loro lingua.
Per me è bellissimo e ringrazio Dio
per questo e per l’esperienza che ho
fatto. Dico ai miei superiori: Per favo-
re non mandatemi via troppo in fretta
da qui.
Vivere qui mi ha permesso di capire che Dio mi ci
aveva mandato con uno scopo: fare qualcosa per
queste persone, anche in situazioni devastanti.
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FMA
MONICA FALCINI
Ferrante Aporti e Mazzarello
Un pomeriggio di
primavera del 2014
Insieme è più bello! MarioTagliani,
“Il maestro dentro”
del carcere minorile di
miglia e si rientra sotto lo stesso tetto.
Ai liceali del Mazzarello regala la sua
Torino Ferrante Aporti,
varca la soglia del liceo
testimonianza. Segue un fuoco di fila
Mazzarello per incontrare di domande, qualche foto, firme sul
i ragazzi, che hanno letto libro fino a che tutti hanno la loro
copia autografata. Poi, quasi inavver-
titamente, salutando gli insegnanti
soddisfatti, risuona un “Organizzia-
mo qualcosa insieme…”.
il suo libro nell’ambito
del programma di italiano
e sono ben contenti di
Torneo serio,
conoscerne l’autore.
ma poco regolare
volta, tornano e ritornano ancora.
Detto fatto. Dal maggio 2015 parte Gratuitamente. Offrono la loro com-
il torneo calcistico È più bello insieme, petenza e riempiono occhi e cuore di
giocato una o due volte all’anno da un cose buone, se non sempre belle. Sugli
gruppo dei ragazzi del liceo, in ora- spalti, ad applaudire, sorvegliare ed
E ntra e stringe la prima mano
della professoressa che lo at-
tende all’ingresso, passando
velocemente dalla destra alla
sinistra un oggetto non me-
glio identificato. Poi, con un
rio rigorosamente extrascolastico, e
i minori (poi anche i giovani adulti)
del Ferrante Aporti. Il torneo prevede
partite in campo e abbondante me-
renda in una sala apposita, offerta dai
“mazzarellini” ai loro sfidanti. E, pri-
incoraggiare, insegnanti “dentro” e
“fuori”, educatori ed anche, impegni
permettendo, il direttore dell’Istituto
penale, la dottoressa Gabriella Picco.
Il torneo è serio ma poco regolare. E
va bene così. Si gioca a 5, a 8, a 11,
bel sorriso per nulla imbarazzato, si ma delle partite, un incontro in aula, dipende da quanti sono i ragazzi del
scusa: “Mi tocca sempre ritirare i tem- con personaggi del calibro di Roberto Ferrante a disposizione. Con tempi di
peramatite dei miei ragazzi… Non ne Rosetti, ex arbitro internazionale di venti, trenta, anche solo quindici mi-
fanno un uso molto appropriato!”. calcio ed oggi responsabile del pro- nuti, nel rispetto degli orari imposti
Già… I suoi ragazzi sono quel ciuf- getto , o Giancarlo Camolese e dai regolamenti. A squadre miste, se
fetto di minori che non hanno avuto Silvano Benedetti, ex calciatori gra- necessario, con divise improvvisate
il dono della normalità, come lo chia- nata di serie A ed oggi sempre impe- e palloni sgangherati, perché quel-
ma il maestro: una famiglia normale, gnati nel variegato mondo del calcio. li nuovi finiscono presto “in terra di
un’educazione normale, una scuola Arbitrano gli incontri giovanissimi nessuno”; si corre all’aperto o al co-
normale, una routine normale, fatta di professionisti, puntuali, seri, capaci perto, ma solo se fuori diluvia. Ma si
anni in cui si mangia con la stessa fa- e… molto affezionati. Vengono una gioca davvero, se il senso del gioco è
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sfidarsi, segnare, difendere e soprat-
tutto divertirsi. Sempre nel rispetto
delle regole e all’insegna di un vero
fair play.
Di edizioni ne sono passate
già cinque, perché i ragazzi del
Mazzarello aspettano il torneo
almeno quanto i detenuti del
Ferrante, che pur cambiano
perché… escono.
“Prof., ma perché noi di quinta a
maggio non possiamo più venire?”,
chiedono con dispiacere i maturan-
di… Ma intanto subentrano freschi
freschi i ragazzi delle seconde, pronti
ad entrare in squadra almeno per una
manciata di minuti. E i primini at-
tendono con pazienza il permesso di
partecipare…
Un giorno, al liceo, il maestro Taglia-
ni ha detto, in forma quasi provocato-
A pagina precedente: Il professor Tagliani, ideatore
del torneo del liceo Mazzarello, dove gambe e teste
al servizio di crimini efferati o ribalderie di periferia
si mescolano a gambe e teste preoccupate per
l’interrogazione del giorno dopo.
ria: “Sta scritto che una delle opere di
misericordia è visitare i carcerati. Ma
i carcerati non si visitano. Si fa qual-
cosa con loro e per loro, qualcosa che
li faccia sentire come gli altri almeno
per breve tempo, che regali speranza
di riscatto e lasci buoni esempi”.
Entrare in un carcere minorile non è
cosa facile. E non solo per il cumulo
di pratiche da espletare, secondo la
miglior tradizione burocratica. È l’in-
contro con il controllo, il divieto, la
perquisizione, la limitazione della li-
bertà e la fame di normalità che scon-
quassa il cuore, non solo dei ragazzi
del liceo, ma anche dei professori,
degli arbitri, degli ospiti. Zaini all’in-
gresso, via chiavi, cellulari, orologi.
Un passaggio sotto gli occhi della po-
lizia penitenziaria e un altro al metal
detector. E poi corridoi, sbarramenti,
porte chiuse, lunghe attese. Ma anche
muri colorati, banchi di scuola, labo-
ratori e una piccola cappella, perché
don Bosco è arrivato da tempo anche
al Ferrante Aporti.
Foto Shutterstock.com
“Gambe molli, correte!”
Quando finalmente arrivano gli sfi-
danti, i ragazzi della Mazzarello sono
già in campo a scaldarsi… Privilegio
della loro libertà, seppur vigilata dagli
attenti professori. È al fischio di ini-
zio che comincia non solo la partita,
ma anche la commozione. I ragaz-
zi, posti nelle medesime condizioni,
sono molto simili, se non tutti uguali.
Gambe e teste al servizio di crimini
efferati o ribalderie di periferia si me-
scolano a gambe e teste preoccupate
per l’interrogazione del giorno dopo,
annoiate dall’ultima ora di lezione
che sembrava non finire più, magari
un po’ assonnate perché la sera prima
s’era fatto tardi, prima una pizza e poi
sui libri di letteratura o filosofia. Per
tre ore… tutti uguali. Tutti insieme.
Perché è più bello così.
Non si fa in tempo a diventare amici.
Ma l’esperienza del torneo al Ferran-
te rimane uno dei progetti più belli e
grandi del liceo Mazzarello. Grazie
ai professori Duranti, Musso, Risso-
ne che, insieme a chi scrive, hanno
avuto l’onore di esserci, di conoscere
e di imparare da una bella e mista
gioventù, diventando per poche ore
“costruttori di pena”, come li defi-
nisce il maestro Tagliani, chiama-
ti a ricordare che la pena non è per
sempre e che nei tempi supplemen-
tari della vita fuori dal carcere ci
sono ancora buone azioni di gioco
possibili. Il maestro Tagliani sarà in
pensione nella prossima edizione del
torneo. Ma c’è da scommettere che
ci sarà accanto sugli spalti, a tifare
per i suoi ragazzi e urlare ai nostri:
“gambe molli, correte!”.
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ANNIVERSARIO
RENATO VALERA
Il volto giovane dell’ADMA
150 anni dopo
Organizzatore nato, don Bosco non
lasciò alla sola devozione spontanea
il culto per Maria Ausiliatrice.
Fondò un’Associazione che da Lei
prendeva nome. È una delle
iniziative più care a don Bosco e
di più vasta risonanza dopo quella
delle due congregazioni religiose e
dell’associazione dei cooperatori.
Qual è il suo volto attuale?
NLa bellissima
famiglia di Renato
Valera (primo a
sinistra) presidente
dell’ADMA
Primaria.
e parliamo con il Presidente Renato
Valera.
Puoi autopresentarti?
Mi chiamo Renato, ho 46 anni, sono
di origine napoletana anche se dall’età
di 10 anni vivo a Piossasco (To) dove la mia fa-
miglia si è trasferita nel 1984. Sono sposato da 18
anni con Barbara. Il Signore ci ha fatto incontrare
e scoprire di essere proprio fatti l’uno per l’altra.
Ci ha donato quattro splendidi figli – Matteo di
17 anni, Caterina di 15 anni, Sara di 10 anni e
la piccola Margherita di 5 anni – e con questa
piccola truppa proviamo a vivere la quotidianità,
mettendoci alla scuola di Maria e riscoprendo
ogni giorno la gioia del Vangelo. Siamo membri
dell’Associazione di Maria Ausiliatrice dal 2013
e alla fine del 2017 in occasione del rinnovo del
consiglio dell’associazione sono stato nominato
presidente dell’
Primaria. Questa nuova
esperienza è per me un modo ed un’occasione per
restituire un po’ di tutti i doni che ho ricevuto in
tanti anni di cammino e sentirmi parte viva della
famiglia Salesiana e della Chiesa tutta.
Perché sei entrato nell’ADMA?
Per dire grazie! Entrare a far parte dell’associazio-
ne è stato per me e per Barbara allo stesso tempo il
culmine di un percorso e il principio di un nuovo
cammino. Da tempo infatti – insieme ad altre fa-
miglie e accompagnati da sacerdoti salesiani – se-
guivamo un percorso di formazione cristiana, per
provare a vivere il progetto e la vocazione che il Si-
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Aprile 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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gnore ha voluto per noi come individui, come sposi
e come genitori. Questa esperienza ci ha aperto gli
occhi, ci ha aiutati e negli anni ci ha trasformati, è
stata una benedizione! Ogni volta che ci fermiamo
a pregare e facciamo silenzio, possiamo riconoscere
come la grazia di Dio ha operato nella nostra vita e
come giorno dopo giorno, anche con fatiche, prove
e cadute, scopriamo un pezzetto in più della mera-
vigliosa tela che il Signore sta tessendo. Far parte
dell’associazione è stato allora come dire grazie a
Maria, che silenziosamente e in punta di piedi è
entrata in casa nostra. E poi è stato il principio di
un nuovo cammino fatto di affidamento, di pre-
ghiera, di restituzione e di servizio.
Che cosa significa “ADMA Primaria”?
L’ – Associazione di Maria Ausiliatrice – è
stata fondata proprio da don Bosco centocinquan-
ta anni fa – il 18 aprile del 1869! Don Bosco l’ha
voluta come modo concreto per difendere la fede
tra la gente semplice, promuovendo l’amore per
Gesù Eucarestia e la devozione alla Vergine, sotto
il titolo di Ausiliatrice. Il termine “primaria” vuol
richiamare proprio la prima
costituita da
don Bosco a Valdocco e sottolinea il particolare
legame dell’Associazione con la Basilica di Ma-
ria Ausiliatrice: don Bosco, infatti, un anno dopo
la consacrazione del Santuario (1868), accanto
all’edificio fatto di mattoni ha eretto un santua-
rio costruito con «pietre vive», fondando l’Asso-
ciazione perché stupito dalle innumerevoli grazie
e miracoli che la gente attribuiva all’intercessione
dell’Ausiliatrice. Tutti i gruppi del mondo oggi
sono “aggregati” alla Primaria di Valdocco.
L’
è una forma semplice di appartenenza
alla Famiglia Salesiana. “Semplice” perché non
richiede in realtà particolari impegni o condi-
zioni, ma solo il desiderio di provare a vivere e
promuovere l’amore per Gesù Eucaristia e la
devozione a Maria Ausiliatrice, imitando i suoi
atteggiamenti: affidarsi, glorificare il Signore e
“stare” nelle prove e difficoltà della vita. “Appar-
tenenza” perché crea relazioni fra le persone, le
famiglie, i giovani, le diverse generazioni, i vari
stati di vita; relazioni che, come diceva don Bo-
sco, sono necessarie perché “l’essere fra molti che
fanno il bene ci anima senza avvedercene”.
L’ADMA com’è diffusa nel mondo?
Nel corso di questi primi 150 anni la nostra asso-
ciazione si è diffusa in tutto il mondo, grazie alla
risposta generosa di tante persone che nonostante
le difficoltà e le alterne vicende della vita hanno
continuato a tenere viva la loro devozione, affidan-
dosi all’Ausiliatrice con semplicità. Siamo oggi più
di 100 000, in oltre 50 paesi e con 800 gruppi locali
eretti e aggregati all’ Primaria di Valdocco.
Progetti per il futuro
Cercheremo ancora di affidarci e confidare nel
Signore e promuovere in modo semplice la devo-
zione a Maria Ausiliatrice.
Cercheremo di farci interpreti dei segni del no-
stro tempo e sappiamo che difendere la fede oggi
vuole dire porre molta attenzione alla famiglia,
come culla della formazione umana e spirituale
dei giovani. Vorremmo allora continuare a pro-
muovere l’evangelizzazione nell’educazione, nelle
famiglie e in tutti gli ambiti della vita, non solo
con l’impegno apostolico, ma con una testimo-
nianza concreta di vita, senza lasciarci ingannare
dalle logiche dell’indifferenza e dell’egoismo, in
uno stile familiare, semplice e pratico.
Aprile 2019
31

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CREATIVITÀ SALESIANA
SOPHIE LAURINGER TESTO E FOTO DA DON BOSCO MAGAZIN
(Traduzione di Marisa Patarino)
Il Don Bosco di Mattersburg
e il Bar Savio
Nella regione del
Burgenland, in Austria,
c’è un Salesiano che non
è un Salesiano. E la sua
vita è un grande dono
per tanti giovani nel nome
di san Domenico Savio.
Don Günther Kroiss, nato nel
1970, lavora da diciassette
anni a Mattersburg, una cit-
tadina di 7300 abitanti vici-
no a Eisenstadt, il capoluogo
della regione. Vienna dista
poco meno di un’ora d’auto. Qui don
Günther Kroiss, che naturalmente
tutti conoscono, ha trovato il senso
della sua vita.
La felicità di aiutare i giovani. E a
Mattersburg ci sono tanti bambini
e giovani che hanno bisogno di aiu-
to. Günther è qui per loro. Ha fon-
dato l’Associazione Savio e coordina
l’attività socio-educativa a favore dei
giovani insieme a molti collaboratori.
Che ruolo ha qui don Bosco? Per un
anno Günther ha seguito un percorso
di formazione con i Salesiani a Bene-
diktbeuern, in Baviera. La pedagogia
della ragione, della religione e dell’a-
morevolezza di don Bosco, il San-
to dei giovani di Torino, lo ha subito
convinto. Perché non è entrato nella
Congregazione Salesiana? «Monsignor
Iby, che all’epoca era il nostro vesco-
vo, mi chiese di assumere l’incarico
di direttore spirituale dei giovani della
diocesi e dunque avrei potuto lavorare
secondo la tradizione di don Bosco».
E Günther prese sul serio questo im-
pegno.
Oggi visitiamo l’Associazione Sa-
vio nella cittadina di Mattersburg.
Il nome ricorda uno degli allievi più
famosi di don Bosco: il giovane Do-
menico Savio è stato un buon amico
per tanti e ha offerto un grande aiuto
(si veda il riquadro). I progetti dell’As-
sociazione cercano di seguire questo
esempio: il “bar-studio” è aperto tre
giorni la settimana. Quando lo visitia-
mo, i locali sono freddi. Günther non
ha tempo per un saluto più prolunga-
to, perché per circa venti minuti cerca
di organizzare la riparazione dell’im-
pianto di riscaldamento per domani.
Thomas, un ragazzo di vent’anni,
assume il ruolo di guida e presenta il
progetto del “bar-studio” con com-
petenza e pazienza. I bambini stanno
consumando uno spuntino salutare:
mangiano carote e bevono tè caldo. «I
ragazzi, le ragazze e i loro genitori ci
sono molto grati per la nostra presen-
za qui», dice Thomas. «Fungiamo da
collegamento tra la scuola e i genitori.
Il tempo che trascorriamo qui è il mi-
glior contributo che possiamo offrire».
Un responsabile dell’Associazione aiu-
ta una studentessa a calcolare il volume
di una piramide a base quadrata. Un
ragazzo corregge il suo tema, in cui al-
cuni errori sono contrassegnati in ros-
so. L’obiettivo del lavoro in questo cen-
tro, il “bar-studio”, consiste nell’aiutare
i ragazzi a terminare l’anno scolastico
con un risultato positivo, ad apprende-
re valori come la pulizia, la cortesia e
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l’attenzione. I ragazzi più grandi aiu-
tano i più giovani: anche questo è un
principio di don Bosco. Inoltre, l’Asso-
ciazione Savio contribuisce all’integra-
zione di bambini e giovani provenienti
da tutto il mondo. Thomas esamina
l’elenco dei giovani iscritti e spiega:
«Assistiamo allievi provenienti dalla
Turchia, dalla Bulgaria, dall’Unghe-
ria, dall’Iran, dalla Slovacchia, dall’E-
gitto, dalla Macedonia, dalla Georgia,
dalla Siria e dalla Thailandia».
Il bar-studio si trova a pochi minuti
di distanza a piedi dal Centro Savio.
L’Associazione ha rilevato cinque anni
fa un bar ubicato in una vecchia casa
ebraica nel centro di Mattersburg. Il
bar è un luogo di incontro per i giovani
L’obiettivo del lavoro in questo centro, il “bar-
studio”, consiste nell’aiutare i ragazzi a terminare
l’anno scolastico con un risultato positivo, ad
apprendere valori come la pulizia, la cortesia e
l’attenzione. I ragazzi più grandi aiutano i più
giovani, come faceva san Domenico Savio.
I pilastri dell’associazione Savio
sono sostenibilità, fratellanza, carità,
consapevolezza . Günther Kroiss
ed è utilizzato per vari eventi. L’arre- glietti per la lotteria di Natale.
damento è gradevole e colorato: solo il Ricorda il ritiro con il Salesiano don
ritratto del guerrigliero comunista Che Rudi Osanger e Maria Theres Welich
Guevara non è più visibile. È stato so- della Casa Don Bosco di Vienna a cui il
stituito da uno stendardo di don Bo- gruppo è invitato fra tre settimane. Du-
sco, che Günther stesso si è procurato rante la visita guidata dell’ampio loca-
dai Salesiani. Dieci giovani gestiscono le, Günther spiega: «Abbiamo qualche
il bar e sono visibilmente contenti. Per problema per la nostra Associazione, la
loro è un’opportunità per mettere a cui soluzione non sarà immediatamente
frutto i loro talenti e per acquisire com- affrontata a livello regionale. I pilastri
petenze nell’ambito della gastronomia. dell’associazione Savio sono sostenibili-
Il tè allo zenzero è servito insieme a un tà, fratellanza, carità, consapevolezza».
biscotto al farro. Il menu dei cocktail Dove è nata l’attenzione per il mon-
è inappuntabile, il vino naturalmente do del sociale a cui il sacerdote si sen-
proviene dalla regione e piccoli snack te chiamato? «Penso di averne fatta
sono preparati nel bar stesso. Günther esperienza a casa, nella mia famiglia di
parla con i ragazzi della vendita dei bi- origine. I miei genitori hanno sempre
offerto il loro aiuto. Quando c’erano
profughi bisognosi di aiuto, trovava-
no ospitalità da noi». La peculiarità
dell’Associazione di Mattersburg è cer-
tamente la partecipazione dei giovani:
«Come avveniva al tempo di don Bo-
sco e del suo allievo Domenico Savio,
affrontiamo insieme le varie situazioni
e restiamo uniti anche quando si pre-
sentano difficoltà». È questa la ragione
per cui i due Santi sono stati scelti come
protettori dell’istituzione, cui è stato
dato il loro nome. Günther spiega che
i nomi sono stati scelti per il loro signi-
ficato: «Per don Bosco era anche molto
importante la fiducia in Maria. Qui è
più difficile stimolare l’attenzione per la
Madre di Dio. Ci sto ancora lavoran-
do», dice Günther sorridendo.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
4 «Morte» non è una
brutta parola
Don Bosco aveva inventato un
bell’esercizio per i suoi ragaz-
zi: una giornata di riflessione,
di gioco e di festa chiamata
“Esercizio della Buona Mor-
te”. Era un momento molto
bello in cui i ragazzi pensavano soprat-
tutto alla vita!
Le domande sulla morte e il lutto, su
Dio e il Paradiso sono normali per
i bambini. Gli adulti spesso hanno
difficoltà a rispondere perché quelle
domande toccano temi repressi, ne-
gati. Quanto più la morte è cancella-
ta dalla quotidianità, dalla vita degli
adulti, quanto più questi si sentono
impotenti di fronte a tali esperienze
limite, tanto più i bambini si sentono
lasciati soli, nelle esperienze che li op-
primono, dalle persone di riferimento
più vicine. Avvertono la mancanza di
sostegno e orientamento. E poi le do-
mande dei bambini sulla morte non
riguardano soltanto la fine. I loro in-
terrogativi contengono anche dei desi-
deri; il desiderio di risposte a domande
fondamentali circa il senso della vita.
La parola morte è tra le più intelligenti
del vocabolario. Porta in sé due pen-
sieri che toccano il vertice della sag-
gezza.
Il primo pensiero che ci arriva alla
mente riflettendo sulla morte è quello
del crollo di tutte le montature.
Prima di tutto la montatura di chi
imposta la sua via esclusivamente
sulla carriera.
Oggi non si ‘muore’ più,
oggi si ‘scompare’,
si ‘viene a mancare’,
ci ‘si spegne’, si ‘passa
dal letto al cielo’...
Oggi si può dire tutto,
tranne ‘è morto’. La
parola ‘morte’ disturba.
No, così non va!
Il pensiero della morte ci fa ridere
della feroce serietà con cui alcuni
si attaccano alla propria posizione.
Anche senza di noi, il mondo va
avanti benissimo! Eppure i cimi-
teri sono pieni di persone che si
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HANNO DETTO
ritenevano indispensabili! È vero
che le persone non sono intercam-
biabili, ma i ruoli sì. Il pensiero
della morte ce lo ricorda: è il suo
primo grande servizio di igiene
mentale.
La seconda montatura che crol-
la davanti al pensiero della morte
è l’impostazione della vita sulla
fama. Facciamo un ragionamento
quasi banale, tanto è ovvio. Tra
qualche anno moriremo. Passerà
un po’ di tempo e moriranno pure
i nostri compagni, gli abitanti del
paese, della città, della regione.
Chi si ricorderà ancora di noi?
Perché, dunque, far ruotare la vita
sugli altri, su quello che possono
dire o pensare di noi?
Ecco: il pensiero della morte mi af-
franca dall’opinione. Passa il giudi-
zio degli altri, passa il loro ricordo,
passa la fama: solo la mia coscienza
non passa. Solo di essa è da intelli-
gente interessarmi.
La terza montatura che crolla da-
vanti a tale pensiero è l’imposta-
zione della vita sulla ricchezza,
sull’“avere”. Ha senso vivere per
diventare l’uomo più ricco del ci-
mitero? Se vi è cosa perfettamente
inutile negli abiti dei defunti sono
le tasche!
Tutti più buoni
Il pensiero della morte è positivo per
una seconda ragione: perché ci fa di-
ventare tutti più buoni!
È impossibile parlare della morte
senza parlare di Dio.
Quando arriva il pensiero della mor-
te, anche il più satanico aguzzino
Bisogna parlare della morte ai piccoli, certo. Se qualcuno della famiglia muore, è impor-
tante non privare mai il bambino della notizia di questa morte. Non dirglielo vuol dire trat-
tarlo come un gatto o un cane, escluderlo dalla comunità degli esseri parlanti”. (Françoise
Dolto, psicanalista)
“Non sono d’accordo con chi pensa che i bambini sono da tener lontani e all’oscuro del
pensiero della morte”. (Marcello Bernardi, pediatra)
“Ritengo giusto parlare di morte ai bambini. Parlare con calma e dolcezza”. (Tilde Giani
Gallino, psicologa)
“Penso alla possibilità della morte ogni giorno, è un buon esercizio”. (Sigmund Freud,
fondatore della psicanalisi)
davanti al quale tremò tutta la terra,
si ferma e medita. Il pensiero della
morte impedisce d’esser distratti, ci
concentra; fa entrare in noi stessi, crea
silenzio e ci spinge a guardare in alto.
Dicono che, quando gli esseri umani
si trovino appesi alla vita per un filo,
sentano scaturire in fondo al cuore
la volontà di «agire per gli altri». È
la volontà di compiere la «missione»
di realizzare la felicità di tutti, senza
preoccuparsi dei propri desideri.
Quando al signor Son, fondatore di
un impero bancario mondiale, fu an-
nunciato che gli sarebbero rimasti 5
anni di vita, capì qual era lo «scopo
della sua vita»: avrebbe, cioè, voluto
vivere non per ottenere fama, né ric-
chezza, bensì per far sorridere le per-
sone a lui care.
Esiste un istinto particolare che è
tipicamente umano: quello di «essere
felici rendendo felici gli altri».
Ciascuno di noi è costretto a risponde-
re ad alcune domande: Di recente, per
che cosa sei stato ringraziato? Ti è stato
detto «grazie»? La tua vita, finora, ha
reso felici gli altri? C’è qualcuno che
è felice grazie a te? Qual è la cosa più
importante per te? Perché allora non la
fai? Chi vorresti far sorridere? Quando
ti si accende il cuore al pensiero di far
sorridere qualcuno, a chi stai pensan-
do? Quale tipo di felicità, per quante
sono le tue possibilità, saresti in grado
di far provare agli altri?
Aprile 2019
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
In cerca di...
domande!
Come diceva Carl Gustav Jung, «io sono
una domanda per il mondo». Per quanto
possiamo, talvolta, lasciarci sopraffare da
quell’arida indifferenza che sembra di-
ventata la cifra distintiva del tempo pre-
sente, non potremo mai mettere comple-
tamente a tacere il nostro bisogno di interrogare
la realtà che ci circonda. La bellezza mozzafiato
di un tramonto, la profondità degli spazi siderali,
il mistero della vita che rinasce, il senso ultimo
del nostro essere nel mondo: ogni cosa intorno a
noi accende la nostra curiosità, interpella la nostra
intelligenza, suscita in noi domande irriducibili
che si scontrano con l’imperscrutabilità dell’esi-
A tutto quello che non basta,
a tutti gli alibi, alla verità,
a quello che non hai mai chiesto,
ad ogni dubbio che si accenderà.
Al cielo azzurro dietro a un vetro,
ad uno sguardo che si è perso ormai,
all’innegabile paura
che questa vita non mi basterà...
Gli alberi, le foglie, il sole, un temporale
e io cerco una risposta,
cerco una risposta.
La strada dove ogni cosa va a finire
troverò tra le tue braccia...
La strada dove ogni cosa può cambiare
troverò, troverò.
Cerco una risposta...
Alle domande più frequenti,/
alla paura, alla necessità,/
alla bellezza di un tramonto, /
al mio bisogno di semplicità /
A quello che non so capire, /
a tutto quello che verrà... /
Gli alberi, le foglie, il sole,
un temporale / e io cerco una
risposta.
stenza. Un’insaziabile attitudine interrogante che
è propria dell’uomo nella sua stessa essenza e che
lo ha accompagnato lungo i secoli, alimentando il
suo desiderio di sapere e di conoscenza.
Eppure nella presente fase storica, in cui pure
sembrano moltiplicarsi le possibilità di accesso
alle risposte, si ha spesso l’impressione che siamo
sempre meno abituati a porre e a porci doman-
de che siano davvero audaci e significative. Ciò è
vero soprattutto per i giovani adulti che, a dispet-
to dell’inquietudine profonda che non di rado
sperimentano nella loro quotidianità, sembrano
aver rinunciato a portare il peso di un interro-
garsi cui non riescono a dare uno sbocco positivo.
Di fronte alla complessità crescente e alla scarsa
intelligibilità della realtà che li circonda, in molti
faticano a costruire ipotesi e schemi interpretativi
efficaci, e preferiscono pertanto evitare di solle-
vare quesiti di cui non conoscano già a priori la
risposta, confermandosi nella convinzione che
l’esercizio del dubbio è un’azione pericolosa e de-
stabilizzante.
Questo dipende, forse, dalla difficoltà a formu-
lare le proprie domande in modo corretto e co-
struttivo, giacché il modo in cui gli interrogativi
vengono posti è determinante per la possibilità
di pervenire ad un risultato convincente. Ma, so-
prattutto, è il frutto dell’incapacità di tanti gio-
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vani di accogliere la propria inquietudine come
il segnale di una ricerca di senso matura ed esi-
gente, protesa ad andare alla radice delle cose per
illuminare l’esistenza nel suo complesso.
Se è vero, infatti, che la realtà è irriducibile ad
una spiegazione univoca e schematica e che i
quesiti fondamentali che agitano il cuore sono
spesso privi di una soluzione definitiva e pacifi-
cante, non si può però dimenticare che una delle
conquiste più impegnative dell’adultità è proprio
la consapevolezza che le sole risposte realmente
utili sono quelle che propongono nuove domande.
Ogni risposta rappresenta sempre, che ci piaccia o
meno, un protendersi verso un’ulteriore domanda,
un affacciarsi su ipotesi nuove ed impensate, un
proiettarsi su un diverso sistema di significato. E
anche se questo può apparire un cammino proble-
matico e faticoso, costituisce altresì uno stimolo a
non accontentarsi mai di spiegazioni affrettate e
superficiali e a riattivare il desiderio di allargare
i propri orizzonti di senso e mettersi in mar-
cia nella ricerca della verità.
Come ha ammonito qualcuno un po’ di
tempo fa: «Vivi le domande ora. Forse
poi, in qualche giorno lontano nel futu-
ro, inizierai gradualmente, senza neppure
accorgertene, a vivere a tuo modo nella ri-
sposta».
A tutto quello che non resta,
a quello che poi si dimentica,
ad un’idea che gira in testa,
a cosa chiede il mio DNA.
Alle domande più frequenti,
alla paura, alla necessità,
alla bellezza di un tramonto,
al mio bisogno di semplicità.
A quello che non so capire,
a tutto quello che verrà...
Gli alberi, le foglie, il sole, un temporale
e io cerco una risposta,
cerco una risposta.
La strada dove ogni cosa va a finire
troverò tra le tue braccia...
La strada dove ogni cosa può cambiare
troverò, troverò.
Cerco una risposta...
(Samuel, La risposta, 2016)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Una scoperta continua
Sono centinaia le lettere di
don Bosco recentemente scoperte
Di don Bosco si potrebbe pensare di sapere già tutto,
tante sono le migliaia di pagine scritte da lui e su
di lui. E invece no; ci sono ancora tante sue pagine
sconosciute in cui si manifesta come uomo di Dio,
educatore, direttore di spirito, ricercatore di offerte,
difensore dei propri diritti, viaggiatore instancabile.
A nche le sole lettere inedite
del volume ottavo delle let-
tere appena uscito (Roma,
2019), ricco di qua-
si 400 testi per il biennio
1882-1883, offrono inte-
ressante materiale per tracciare un
rinnovato profilo di don Bosco. Verrà
il momento per farlo; per ora limi-
tiamoci ad alcune interessanti infor-
mazioni, in dialogo con l’infaticabile
don Francesco Motto, curatore della
ricerca.
Lontano da casa
D. Per scrivere tante lettere, quanto
è stato lontano da Torino nel biennio
considerato?
R. Più o meno un intero anno: sei
mesi, di cui quattro continuativi, nel
1882 e altri sei mesi nel 1883, di cui
quattro continuativi nella sola Francia.
D. Perché tanto tempo in Francia?
R. Per visitare le case salesiane del
sud, per cercare sostegno economico
presso l’Opera della Propagazione
della Fede a Lione, per fondare una
nuova casa salesiana a Parigi e a Lilla
e infine per trovare nuovi benefattori
nelle città per cui passava.
D. Ha realizzato gli obiettivi del suo
viaggio?
R. Direi di sì, anche se gli è costato
moltissimo.
D. In che senso?
R. Don Bosco non ha mai viaggia-
to per turismo. I suoi lunghi trasfe-
rimenti furono sempre in seconda o
terza classe di scomodissimi treni;
appena arrivato a destinazione era
travolto dalla gente che voleva ve-
derlo, toccarlo, essere da lui ricevuto
e magari guarito. Una conferenza di
qua, una visita privata ad una famiglia
di là, un ricevimento dal vescovo, una
celebrazione in seminario, un discor-
setto ad una comunità religiosa e così
via… insomma non aveva un minuto
di riposo.
D. E la salute?
R. Ne ha risentito certamente. Anco-
ra mesi dopo il ritorno ne portava le
conseguenze, eppure dovette far un
altro lungo ed estenuante viaggio fino
in Austria per dare una benedizione
ad un conte seriamente ammalato.
I corrispondenti
D. Ma con chi don Bosco intrattene-
va corrispondenze epistolari?
R. I destinatari delle sue lettere era-
no diversissimi per estrazione socia-
le, ruoli esercitati nella società e nella
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Aprile 2019

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chiesa, età, interessi, nazionalità, luo-
ghi di residenza ecc. Un 40% di loro
erano benefattori laici, altrettanto gli
esponenti del clero; gli altri erano
giovani, suore, autorità civili, fami-
glie, singole persone.
D. E gli argomenti che trattava?
R. Di tutto ciò che interessava a lui
– e sappiamo bene quali erano le sue
preoccupazioni di ogni giorno! – ma
anche ciò che interessava i destinatari:
preoccupazioni materiali e spirituali,
condizioni di salute, successi e insuc-
cessi di varia natura, lutti e disgrazie,
onomastici e viaggi, esami scolastici e
carriere dei figli ecc.
D. E come trattava questi argomenti?
R. Si felicitava, augurava ogni bene,
condivideva sofferenze, invitava alla
fiducia in Dio, sollecitava alla fedel-
tà alla propria vocazione, ad una vita
virtuosa, alla speranza nella vita eter-
na. Con semplici parole rasserenava i
cuori, asciugava le lacrime, esortava
alla preghiera. Oltre al sincero grazie
per l’eventuale obolo inviatogli, as-
sicurava preghiere da parte sua e dei
suoi giovani.
D. Nelle lettere entrava in problemi
di coscienza?
R. Ne accennava appena. Anche per
le delicate scelte vocazionali normal-
mente preferiva un colloquio perso-
nale, anziché esprimersi per iscritto,
visto anche che la posta non garantiva
la necessaria riservatezza.
D. Don Bosco è famoso per le previ-
sioni di futuro e per i sogni missiona-
ri. Ce ne sono nelle lettere del volume
ottavo?
R. Non mancano, e invero sollevano
più di una perplessità.
D. A chi ha mandato più lettere don
Bosco in questo biennio?
R. Sembrerà strano, ma per la prima
volta si tratta di un laico, anzi, di una
donna, francese, con la quale intreccia
un fitto carteggio di indole spiritua-
le continuato praticamente fino alla
morte.
D. Ma don Bosco scriveva in francese?
R. Sì, ma un po’ a suo modo; un fran-
cese molto italianizzato e più parlato
che scritto correttamente.
Leggere l’epistolario
D. Ma come si fa a leggere un simile
tomo di lettere?
R. In due modi. Il primo è quello di
chi è interessato a conoscere la vita
di don Bosco giorno dopo giorno e
allora può leggere l’epistolario come
qualsiasi altro libro. Il filo rosso che
collega fra loro le singole lettere è in-
fatti la quotidianità della vita di don
Bosco, intessuta di grandi eventi ma
anche di una mole di impegni quo-
tidiani.
Poi c’è una lettura di studio e allora
non si può che partire dai numerosi
indici che sono stati approntati ap-
posta a questo scopo.
Sopra: La copertina dell’ottavo volume
dell’Epistolario di don Bosco.
Accanto: Una delle numerose lettere confidenziali
di don Bosco alla signorina Claire Louvet,
benefattrice e cooperatrice francese.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di aprile preghiamo per la Causa di Cano-
nizzazione della Beata Teresa Cejudo Redondo, martire,
salesiana cooperatrice e socia dell’ADMA
Teresa Cejudo Redondo nacque in Pozoblanco (Cordoba - Spagna)
il 15 ottobre del 1890, in una famiglia dalle profonde radici cristiane.
Frequentò il collegio delle Religiose Concezioniste della città. Ancora
giovane perse la madre e pertanto dovette abbandonare il collegio
per curare i suoi fratelli più piccoli. Nel 1925 andò sposa all’architetto
Giovanni Battista Caballero e il Signore benedisse questa unione con
la nascita di una figlia. Fin da giovane fece parte dell’Azione Cattolica,
delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli, di Confraternite religiose.
Quando i Salesiani giunsero in Pozoblanco, si fece entusiasta Coope-
ratrice e alla fondazione del gruppo locale dell’Associazione di Maria
Ausiliatrice fu eletta segretaria. Seppe essere una cattolica attiva nella
vita del suo paese: Dio, Patria e Famiglia erano i principi che la ani-
mavano. L’impegno diligente e lo spirito di sacrificio caratterizzarono
la sua vita fino alla testimonianza suprema del martirio. Quando Po-
zoblanco cadde in potere del regime repubblicano Teresa fu arrestata
a motivo della sua militanza cattolica. In carcere, mentre incoraggiava
gli altri, fu udita pronunciare questa giaculatoria: “Gesù sull’altare,
Gesù sulla croce, Gesù nell’anima, mille volte Gesù! ”. Uscendo dal
carcere per affrontare il supplizio, disse alle sue compagne di pri-
gionia: “Arrivederci in cielo! ”. Era il 15 settembre 1936. Al cimitero,
luogo dell’esecuzione, volle morire per ultima per animare tutti i suoi
16 compagni con la speranza della vita eterna. Fu fucilata perdonan-
do i suoi uccisori. È stata beatificata a Roma il 28 ottobre 2007 con
altri 497 martiri spagnoli.
Preghiera
O Signore, Padre nostro, accogli le nostre preghiere
nel ricordo della Beata Teresa Cejudo Redondo,
e come un giorno accettasti il suo glorioso martirio
quando morì gridando: “Viva Cristo Re!,
fa che siamo fedeli alla nostra vocazione cristiana.
Per Cristo nostro Signore. Amen!
Ringraziano
Dal 1993 condizioni atmosferiche
umide e fredde mi causavano do-
lori forti e generalizzati a tutti gli
arti della parte destra del corpo e
all’area lombo-sacrale, mentre le
dita della mano si gonfiavano e
arrossavano. La deambulazione
ne risultava compromessa e il
respiro si faceva affannoso, così
come il parlare. Questo compro-
metteva la mia qualità di vita.
A metà ottobre 2017 ho ricevuto
da una collaboratrice della Postu-
lazione Generale Salesiana una
decina del Rosario che era stata a
contatto con le reliquie del beato
don Titus Zeman, martire per
la salvezza delle vocazioni. Da
quel giorno, oltre a continuare a
recitare il Rosario – come già in
precedenza facevo – porto il “Ro-
sario di Titus” nella tasca destra
dei pantaloni, a contatto con la
gamba così spesso malata.
Sono ormai trascorsi 8 mesi, in
cui spesso si sono ripresentate
le medesime condizioni atmo-
sferiche precedentemente causa
di forti dolori: umidità, freddo,
pioggia e neve... anche a Roma
dove abito! E non ho più attestato
alcuno dei problemi di salute che
mi avevano afflitto per i prece-
denti 25 anni, senza che i medici
potessero mai fare nulla.
Ora le mie condizioni di salute
sembrano non risentire più di
quella umidità e freddo che lo
stesso beato Titus patì quando
mise in salvo i suoi seminaristi.
Paolo Labate, Roma
Sono italiano, abruzzese, e vivo
qui a Barcellona (Spagna) da
25 anni, ero senza lavoro da
due anni. A metà di gennaio di
quest’anno (2018) entrai nella
chiesa parrocchiale Maria Ausi-
liatrice di Barcellona, dove tro-
vai un foglietto informativo del
processo di canonizzazione del
beato Stefano Sándor. Mi
misi a leggerlo davanti al San-
tissimo e davanti al Signore mi
sono messo a pregarlo di aiutar-
mi a trovare lavoro. Fu così che
appena uscito della chiesa mi è
arrivata una telefonata per fare un
colloquio di lavoro. La bella sor-
presa è che ho iniziato a lavorare
giovedì 1° febbraio. Ho dato lode
a Dio per donarci al nostro amico
Stefano Sándor.
Mauro Gentile, Barcellona (Spagna)
Siamo una coppia di 47 anni lui e
42 lei sposati da circa un anno e
mezzo. Abbiamo incontrato delle
difficoltà per il dono di un figlio,
superate per grazia di Dio e per
intercessione di san Domeni-
co Savio in pochissimo tempo
e magnificamente. Io (Ornella)
avevo letto che san Domenico
è protettore delle mamme e del-
le culle; cercavo il suo abitino e
non ero riuscita a trovarlo fino al
giorno in cui conobbi don Gianni
ai Salesiani di Caserta, mi fece
leggere delle testimonianze sul
Bollettino Salesiano e mi regalò
l’abitino di san Domenico. Imme-
diatamente lo misi al collo con
fede e devozione e con Claudio
ci recammo in pellegrinaggio a
Fatima. Dopo circa un mese ero
miracolosamente una mamma in
attesa. Il 28 luglio 2018 è arriva-
to Domenico e ci ha cambiato la
vita. Lode e gloria a Dio con i suoi
angeli e i suoi santi.
Claudio e Ornella, Caserta
Nel periodo natalizio ho ricevuto
un assegno per provvedere, l’an-
tivigilia di Natale, alla cena dei
poveri, organizzata dal gruppo
“Divina Misericordia”, al quale
appartengo. Purtroppo mi capitò
di perdere il suddetto assegno;
per oltre una settimana continuai
a cercarlo, in tutti gli angoli della
casa. Alla fine, angosciata per la
perdita, avendo casualmente tro-
vato un’immagine del venerabi-
le Attilio Giordani, mi rivolsi a
lui promettendo di comunicare la
grazia se avessi ritrovato l’asse-
gno. Non feci neppure in tempo
a terminare questa preghiera, che
prendendo in mano una borsa
vidi nel suo fondo un pezzo di
carta: era l’assegno. Provai un
grande sollievo nel constata-
re una così immediata risposta
alla mia preghiera. Continuerò
ad invocare questo Venerabile a
beneficio dei miei cari ed a farlo
conoscere ad altre persone.
Tropeano Mimma - Milano
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Aprile 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
B.F.
DON TERESIO BOSCO
Morto a Torino, l’11 febbraio 2019, a 87 anni
«Ora mi raccomando a qualche-
duno di voi che abbia buona me-
moria, perché raccolga in iscritto
quello che ho detto» ripeteva
spesso don Bosco. Conosceva
bene la forza positiva e costrut-
tiva della memoria. Nella nostra
storia ci sono sempre stati dei
salesiani che hanno custodito i
fatti e le parole di don Bosco.
Don Teresio Bosco è uno di questi.
In apertura di tutti i suoi libri
avrebbe potuto scrivere come
l’evangelista Luca «Ti scrivo tutto
con ordine, e così potrai renderti
conto di quanto sono solidi gli
insegnamenti che hai ricevuto»
(Luca 1, 4).
Don Teresio Bosco è nato nel
paese di uno dei più simpatici e
pittoreschi miracoli di don Bosco:
quello quasi veterotestamentario
della pioggia invocata e ottenuta
dopo una lunga siccità, per in-
tercessione di Maria Ausiliatrice.
A Montemagno Monferrato, le
stesse colline dove il buon vino si
è trasformato in sangue salesiano.
Nato nel 1931, il piccolo Teresio
passò alcuni anni anche presso
uno zio parroco in Liguria, poi
l’aspirantato salesiano a Penan-
go. Dimostrò subito vivacità e in-
telligenza, insieme ad una bontà
naturale.
Anche se ricorderà sempre la forte
nostalgia per la famiglia, special-
mente per la mamma. Leggendo
la sua Vita di Mamma Margherita
si respira questo amore tenace e
tenero. Che era di don Bosco e
soprattutto suo. Proprio come
don Bosco negli ultimi anni della
mamma starà vicino a lei.
Percorse con entusiasmo, e con
successo, gli anni della formazio-
ne, noviziato, filosofia e teologia.
Terminata con la licenza al Pon-
tificio Ateneo Salesiano. Divenne
sacerdote il primo luglio del 1957.
Intanto si era manifestata una
sua dote spiccata e geniale: una
straordinaria fantasia comunica-
tiva con le parole e soprattutto
con gli scritti. Le sue qualità non
sfuggirono ai superiori che lo
affiancarono a don Carlo Fiore
e a don Gigi Zulian nell’avven-
tura delle Compagnie salesiane.
Qui don Teresio rivela una vena
felice di narratore. Le sue pagine
sono divorate dai ragazzi e anche
dagli adulti. Ha un suo segreto:
è come scrivesse con una cine-
presa. I personaggi, santi ed eroi
sconosciuti, sono vivi e in azione
ed è come se il lettore li vedesse
davvero. Il ritmo della sua scrittu-
ra è televisivo. Come le sue leg-
gendarie cronache delle partite di
calcio dei campi scuola.
Con l’editrice SEI fu protagonista
di un gruppo di riviste moderne e
molto diffuse: Meridiano 12, Di-
mensioni e Ragazzi Duemila.
Scriveva come se avesse davanti
un pubblico di ragazzi. Per loro co-
minciò alcune Collane che ebbero
immediato e duraturo successo:
«Campioni» ed «Eroi» e poi i sette
volumi della Collana «Un’avventu-
ra per ogni giorno», e i cinque della
Collana «Diamanti», il primo vero
tentativo, riuscito molto bene, di li-
bri di meditazione per adolescenti.
Anche in questo era come se con-
tinuasse, aggiornata nel tempo,
l’opera di don Bosco.
Per la scuola pubblicò numerosi
libri che già nei titoli dicono la
dinamicità del testo, come Terra
pianeta che sanguina, Tempi che
scottano, II mondo mia patria,
Viaggio verso la vita, Uomini di
pace-uomini di guerra e Di pro-
fessione uomini. Generazioni di
adolescenti li hanno conosciuti.
Per tre anni, diresse il Bollettino
Salesiano, rivista ufficiale del-
la Famiglia Salesiana. Mentre
continuava a sfornare opere di
divulgazione, con la sua ricetta di
“alta leggibilità”, quella che don
Bosco voleva per le sue “letture
cattoliche”.
Con la sua voce forte e chiara
riusciva anche a comunicare con
una vasta platea popolare attra-
verso Radio Maria.
Ma il lavoro a cui teneva di più e
che costituiva il suo vero orgo-
glio era la vita di don Bosco. A lui
dedicò molti anni della sua vita e
molti libri. Soprattutto quel “don
Bosco. Una biografia nuova” che
fu tradotto in tutte le lingue della
Congregazione ed è ancora il li-
bro che fa conoscere don Bosco
al mondo.
All’inizio di uno dei tanti libri de-
dicati a don Bosco, don Teresio
scrive la sua convinzione: «Io
sono convinto che don Bosco è
il nostro grande e specifico teso-
ro. Se ai salesiani si toglie don
Bosco, che cosa rimane a loro
di prezioso, di specifico, che li
distingue da tutte le altre famiglie
religiose? Dobbiamo quindi di-
fenderlo. Chi ci ruba don Bosco,
ci ruba l’unico tesoro che rende i
salesiani ricchi nella Chiesa e nel
mondo.
Io cercherò di avere come guida
don Bosco. Con lui ascolteremo
la parola di Dio, con lui rinnove-
remo la nostra radicale volontà di
essere segni e portatori di Gesù
ai giovani. Ascoltando le sue pa-
role purificheremo il nostro cuore
e l’orientamento della nostra vita.
Quando ricorderò e narrerò fatti
e parole di don Bosco, cercherò
di leggerci dentro in profondità, e
spero di rafforzare la convinzio-
ne che egli è per ciascuno di noi
veramente il Padre e Maestro, e
che a lui ci ha affidato la Vergine
Maria.
Egli con delicatezza ci prenderà
per mano e ci porterà alla Ma-
donna, la grande Madre dell’ope-
ra salesiana e di ogni vocazione
salesiana. Don Bosco ci ricor-
derà che dalla Madonna siamo
stati condotti per mano alla Con-
gregazione salesiana, e che la
Madonna non conduce mai a un
fallimento».
Il giorno in cui si ricordano le
apparizioni di Lourdes, Maria
Ausiliatrice ha preso per mano
don Teresio e lo ha portato nella
Casa del Padre, dove certamente
ha sentito, come è successo a
san Tommaso, le parole di don
Bosco: «Tu hai parlato bene di
me, Teresio».
Aprile 2019
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
STORIA DI UN PRODIGIO
Nonostante le tante preghiere recitate fino ad allora, i bravi
ragazzi di don Bosco stavano per perdere lo spazio in cui si
radunavano: un bel prato fatto apposta – così pareva – per
giocarvi. Don Bosco aveva ricevuto la disdetta all’accordo per
usare quell’area e il diritto sarebbe scaduto proprio la Dome-
nica delle Palme, che quell’anno cadeva il 5 aprile. Don Bosco
non si diede per vinto e, per lo stesso giorno in cui avrebbero
dovuto andarsene, organizzò un piccolo pellegrinaggio per
assistere alla funzione, fino al convento della Madonna di Campagna, un paio di chilometri da Torino.
Avrebbero così avuto modo sia di pregare sia di giocare. Formarono tutti insieme, quindi, una colonna
festosa di quasi 400 ragazzi, tra canti e lodi al Signore, e in breve giunsero in vista del convento. Lì nei
pressi, tra lo stupore di tutti, ricevettero un benvenuto come nessuno prima di allora. Furono accolti da
un sonoro ed allegro scampanio proveniente dal campanile del convento, le campane rintoccavano a
distesa. Accorsero le persone del borgo e tutti i frati. Don Bosco, stupito e rinfrancato, si diresse subito
verso padre Fulgenzio, il frate guardiano, per ringraziarlo di tale accoglienza. Questi però, altrettanto
stupito, ammise di non averle suonate e di non aver dato a
nessun altro l’ordine di farlo. Il buon frate, incuriosito dalla
cosa, fece una breve ricerca, ma ben presto dovette conclu-
dere, alla presenza di don Bosco e di altri, ciò che sembrò
inverosimile, ossia che, semplicemente: “XXX”. Il prodigio,
piccolo o grande che fu, alimentò e moltiplicò gli sforzi per
la ricerca di un nuovo prato e don Bosco, sempre fiducioso e
ottimista, ne trovò un altro e poi, poco tempo dopo, riuscì ad
acquistare una fatiscente tettoia da Francesco Pinardi e lì vi
inaugurò l’Oratorio stabile di Valdocco.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Musicò Il bar-
biere di Siviglia - 14. Frazione della
libbra - 15. Eduardo De Filippo diceva
che non finiscono mai - 16. Una del-
le Piccole Donne - 17. XXX - 21.
L’Aykroyd attore - 22. Il … ton degli
educati - 23. Esclamazione di esul-
tanza - 24. Luoghi circostanti - 26.
Congiunzione inglese - 27. XXX
- 29. Con bastoni, spade e coppe -
30. Il dio greco dell’amore - 32. Lo è
una Domenica televisiva - 33. Aero-
nautica Militare - 34. Ripetuto indica
frivolezza - 35. Sono sette quelli dello
Spirito Santo - 37. Lo Stagno in chi-
mica - 39. XXX - 42. Situato all’in-
terno - 46. A te - 47. La Rossellini
(iniz.) - 48. Scrisse anche l’Adelchi e
Il conte di Carmagnola.
VERTICALI. 1. La scanzonata al-
legria degli studenti universitari - 2.
Inebriato all’inizio! - 3. La “parte” di
Impero romano che cadde nel 476 d.C.
- 4. Lo spiazzo del casolare - 5. Lo è
un naso dalla forma piatta e schiacciata
- 6. Sono pari nelle intese! - 7. Sha-
rif (iniz.) - 8. L’elemento scoperto dai
coniugi Curie - 9. Confina con lo Ye-
men - 10. Deve interpretarlo il medico
- 11. In geografia, il bacino dove, per
conformazione, convergono le acque
piovane - 12. Un gas fluorescente -
13. Così sono detti i materiali resisten-
ti al fuoco - 18. Storica regione della
Germania - 19. La pianta detta anche
pan di serpe - 20. Accolsero Bianca-
neve nella loro casetta - 24. Cambiano
il vanto in danno - 25. In mezzo al coro
- 28. Ancona - 31. Al, noto pubbli-
citario americano - 33. La figlia del
regista Argento - 36. Le ha pari la don-
nola - 38. Una valle del Trentino - 40.
Sportello per il prelievo automatico di
contanti - 41. La celebre Taylor - 43.
Ha scritto Gomorra (iniz.) - 44. Rada
senza eguali - 45. Articolo romanesco.
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Aprile 2019

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LA BUONANOTTE
B.F.
La porta aperta
Disegno di Fabrizio Zubani
Una ragazza che viveva in
una tranquilla cittadina, si
stancò delle costrizioni che
vivere con i genitori com-
porta, come spesso succede
ai giovani di oggi.
Quella figlia rifiutava anche le regole
religiose della sua famiglia e un gior-
no disse: «Non voglio il vostro Dio.
Non ce la faccio più. Me ne vado!».
Così lasciò quella casa decisa a
diventare una donna di mondo. Ma
dopo poco tempo si ritrovò abbattuta
e scoraggiata perché non riusciva a
trovare un lavoro. Allora cominciò a
vagare per le strade della città viven-
do di espedienti e lavoretti malpa-
gati. Dopo qualche anno, suo padre
morì, sua madre rimase da sola, ma
quella figlia era sempre più trincerata
nel suo stile di vita.
Non ci fu nessun contatto tra madre e
figlia durante quegli anni. La madre,
avendo saputo dove poteva trovarsi sua
figlia, andò a cercarla nei bassifondi
della città. Entrò in tutti i centri di
soccorso che trovava chiedendo sem-
plicemente: «Posso appendere questa
foto?». Si trattava di una sua foto in
cui quella donna dai capelli grigi sorri-
deva. Sotto la foto c’era un messaggio
scritto a mano che diceva: «Ti voglio
ancora bene... torna a casa!».
Passò qualche altro mese e non
successe niente. Poi un giorno la
figlia entrò in un centro di soccorso
per chiedere qualcosa da mangiare.
Mentre stava lì seduta e ascoltava di-
strattamente la Messa, il suo sguardo
cominciò a vagare sulla bacheca degli
annunci senza un motivo preciso.
Allora vide la foto e pensò: «Ma
quella è mia madre!».
Non aspettò la fine della Messa. Si
alzò e andò a guardare la foto da
vicino. Era proprio sua madre e vide
anche quello che aveva scritto: «Ti
voglio ancora bene. Torna a casa!».
Mentre era lì in piedi, davanti alla
bacheca, cominciò a piangere. Era
troppo bello per essere vero.
Era già tardi e si era fatto scuro, ma
quel messaggio l’aveva commossa
così tanto che si mise a camminare
per andare a casa. Quando arrivò
era mattina presto. Aveva paura e si
avvicinò timidamente alla casa non
sapendo bene che cosa fare.
Appena bussò, la porta si aprì.
Pensò che forse erano entrati dei
ladri in casa. Preoccupata per sua
madre, la giovane donna corse in
camera da letto e la trovò ancora ad-
dormentata. Allora la svegliò e disse:
«Sono io! Sono io! Sono tornata!».
La madre non riusciva a credere ai
propri occhi. Le asciugò le lacrime e
l’abbracciò. La figlia disse: «Ero così
preoccupata! La porta era aperta e ho
pensato che fossero entrati dei ladri!».
Ma la madre le disse dolcemente:
«No, cara. Da quando sei andata via
non ho mai chiuso quella porta».
Aprile 2019
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Jorge Crisafulli
Un “Don Bosco”
del secolo XXI
Figlie di
Maria Ausiliatrice
Il cielo nella zona grigia
Tre suore in prima linea
La nostra Basilica
L’altare di don Bosco
Il capolavoro
dell’architetto Ceradini
Salesiani nel mondo
Senegal e Gambia
Orti nella savana
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.