Bollettino_Salesiano_201901

Bollettino_Salesiano_201901



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IL
GENNAIO
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
La scalinata di
Porta Palazzo
La storia
Don Bosco non aveva paura di dire «Ti voglio bene» ai
ragazzi. La vita di don Bosco è un inno all’amicizia. “Ta-
lora accadeva questo fenomeno, che un giovane udita la
parola di don Bosco, non gli si staccava più dal fianco,
assorto quasi in un’idea luminosa...
Altri vegliavano di sera alla sua porta, picchiando legger-
mente ogni tanto, finché non venisse loro aperto, perché
non volevano andare a dormire col peccato nell’anima”.
(MB III, 171-172)
Sono la scalinata della regia Basilica
dei Santi Maurizio e Lazzaro. Quasi
duecento anni fa, qui si fermavano tanti
ragazzi più o meno sbandati. Erano
spazzacamini, selciaioli, garzoni mura-
tori, servi torelli, roba così.
Ricordo bene un pomeriggio di allora. E un
piccolo tenero duello.
Un giovanissimo lustrascarpe vedendo passare
un giovane prete per Via Milano, brandì la
spazzola ed esclamò: «Oh don Bosco, venga
qui da me: voglio lustrarle le scarpe».
«Ti ringrazio, mio caro, ma ora non ho tempo».
«Le pulisco in un momento, sa!»
«Un’altra volta; ho premura».
«Ma io gliele lustro e lei non mi darà niente. È
solamente per avere il piacere e l’onore di farle
questo servizio».
A questo punto uno spazzaca-
mino bruscamente l’inter-
ruppe. «Lascia un po’
andare la gente per la
sua strada». «Oh bella!
parlo con chi voglio».
«Ma non vedi che ha
premura?» «Che cosa
c’entri tu? Io conosco
don Bosco, sai?» «Ed io
pure lo conosco». «Ma io
sono suo amico». «Ed io
pure». «Ma io gli voglio
più bene di te». «No;
sono io che gli voglio
più bene». «Sono io!»
«Sono io!» «Vuoi tacere sì o no?» «No, no! Io
voglio parlare». «Guarda che ti pesto il grugno».
«Tu? fa la prova». «Sei una bestia». «Lo sei tu!».
Ed uno si slanciò sull’altro, e incominciarono
una tempesta di pugni e calci. Si presero per
i capelli, si gettarono per terra, si rovesciò la
cassetta del lustrascarpe, e spazzole e lucido
andarono qua e là. Don Bosco si mise in mezzo:
«Pace, pace, amici miei, non fate così!»
A stento furono divisi, ma si guardavano sempre
inviperiti uno contro l’altro:
«Ti dico e lo sostengo che gli voglio più bene io!
Io sono andato a confessarmi». «Io pure». «A me
ha dato una medaglia». «A me un libretto!»
«Dica Lei, don Bosco, non è vero che vuol più
bene a me?» «No, ti dico!... A me!» «Ma dica
Lei, a chi vuol più bene fra noi due?» «Ebbene»
esclamò don Bosco «sentite! Voi mi proponete
una questione molto difficile. Vedete voi la mia
mano?» E mostrava loro la destra; «Vedete voi il
mio dito pollice e l’indice? A quale dei due cre-
dete voi che io voglia più bene? Lascerei tagliarmi
più uno che l’altro?» «Vuol bene a tutti e due!»
«Così io voglio bene a voi due; siete come due dita
della mia stessa mano. Nello stesso modo amo
tutti gli altri miei giovani... E quindi non voglio
che vi battiate; venite con me: non facciamo
scene. Sono figure poco belle, queste, venite».
E s’incamminò tenendosi vicini i due con-
tendenti. Intorno a lui camminavano gli altri
spazzacamini e lustrascarpe, e dietro una piccola
folla che si era radunata a quel tafferuglio. Così
si fermarono chiacchierando fino a sedersi al sole
sulla mia bellissima gradinata.
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Gennaio 2019

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IL
IL
GENNAIO
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GENNAIO 2019
ANNO CXLIII
Numero 01
In copertina: Il Papa e i giovani:
un affetto autentico e ricambiato
(disegno di Stefano Pachì).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Bolivia
8
12 LE CASE DI DON BOSCO
Bra
16 FMA
Polonia
18 A TU PER TU
André Van Der Sloot
21 AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
Valdocco raccontato
ai bambini
25 CHIESA
Panama
18
28 L’INVITATO
Óscar Rodríguez Maradiaga
32 TEMPO DELLO SPIRITO
Dieci propositi per un anno felice
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
28
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Antonio Carriero,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández
Artime, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Progetto grafico: Andrea Morando
Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il volto multicolore
di don Bosco oggi
Tante stupende storie che ci consolano e incoraggiano.
Miei carissimi lettori del Bol-
lettino Salesiano, questo è
il mio messaggio per il mese
di gennaio. Nei giorni della festa
di don Bosco sarò a Panama City,
una città che sente una esplosiva de-
vozione per don Bosco: nel giorno della sua festa
almeno settecentomila persone partecipano alla
processione. Un cartellone proclama: San Juan
Bosco tan panameño como el Canal! (Don Bosco è
panamense come il canale!). Qualche giorno pri-
ma avremo partecipato con i giovani e papa Fran-
cesco alle Giornate Mondiali della Gioventù.
Scrivo proprio mentre inizia la sessione del
Consiglio Generale e i consiglieri si raccolgono
intorno al Rettor Maggiore, dopo quattro mesi
in cui hanno seguito e accompagnato nei cinque
continenti l’una o l’altra delle 1936 presenze del
mondo salesiano.
Per prima cosa abbiamo dedicato un po’ di ore a
condividere le sensazioni e le vicissitudini di que-
sti mesi; e il mio pensiero volava e volava nell’a-
scoltare testimonianze tanto varie e belle, talvolta
anche stimolanti e provocatorie.
Per questo ho dato questo titolo al mio messag-
gio. Don Bosco oggi ha veramente un volto mul-
ticolore.
Ho sentito il consigliere raccontare come in Yaku-
tia, nella città di Yakutsk, in piena Siberia russa,
seimila chilometri a nord di Mosca, la comunità
salesiana ha costruito la sua casa in mezzo a quei
residenti, pochissimi dei quali sono cristiani-catto-
lici (e di fatto c’erano quindici fedeli all’Eucaristia
dell’ultima domenica), e continua a condividere la
vita, le gioie e le difficoltà del suo piccolo gregge.
Ho ascoltato con profonda commozione le traver-
sie tragiche di molte famiglie povere e i crudeli
ostacoli che martirizzano i migranti ai valichi
di frontiera messicani di Nuevo Laredo, Ciudad
Juarez, Tijuana e tanti altri. I salesiani sono lì, per
confortare le famiglie, tentare percorsi formativi
con i ragazzi e le ragazze, cercare di tenerli liberi
dalle reti della droga e del commercio sessuale.
Mi ha impressionato quello che raccontava un
altro dei miei fratelli salesiani dopo la visita in
Nigeria, Ghana e Sierra Leone. In quest’ultimo
paese, seguiamo i giovani che sono nelle carceri,
proprio come faceva don Bosco da giovane prete
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170 anni fa con i giovani delle prigioni torinesi.
Un’esperienza che lo segnò a tal punto da essere
colpito da fortissimi dolori allo stomaco per quel-
lo che aveva visto. Per questo prese la decisione
di spendere la vita per evitare che altri giovani
finissero in quei gironi orribili. Oggi, in questa
parte del mondo la realtà non è migliore di quella
incontrata da don Bosco. Ma questi giovani han-
no la visita e il conforto quotidiano di un amico
salesiano.
In un altro paese africano, sono stato ospite in
una casa salesiana dove accogliamo bambini e
adolescenti traumatizzati dal rapimento da parte
di orrendi personaggi che volevano vendere i loro
organi vitali. Fortunatamente salvati dalla poli-
zia, vengono consegnati a noi per cura e assisten-
za, finché non ritroviamo le loro famiglie. Spesso
restano con noi per anni.
Io stesso ho condiviso la bella esperienza della vi-
sita di diverse case salesiane in Corea dove vivono,
sentendosi davvero come in famiglia, ragazzi, in
genere adolescenti e giovani, che il tribunale ha
giudicato colpevoli per “crimini minori”. Invece
di essere internati in carceri minorili, vivono per
mesi o anche un anno nella casa salesiana, seguen-
do un serio e amorevole programma di ricupero. È
stata una gioia sentire da tre dei giudici che oltre
l’85% di questi ragazzi si reinserisce nella società in
modo permanente e non torna a commettere atti
criminosi. Ecco un altro volto di don Bosco oggi.
Questa volta, con tratti asiatici-coreani.
Mentre ascoltavo queste storie belle e commoven-
ti pensavo a don Bosco. A quanto deve sentirsi
felice per i suoi figli e la sua Famiglia Salesiana,
che continuano così bene ad essere fedeli alla vo-
cazione che Dio ha loro donato.
Impossibile non richiamare alla memoria il sogno
di don Bosco del 1876, quando salì su un’alta roccia
e vide «uomini d’ogni nazione, d’ogni vestito, d’o-
gni colore. Vidi tanta gente che non so se il mondo
tanta ne possegga. Io conoscevo quelli delle prime
file: vi erano tanti Salesiani che conducevano come
per mano squadre di ragazzi e di ragazze. Poi veni-
vano altri con altre squadre; poi ancora altri e altri
che più non conoscevo e più non potevo distingue-
re, ma erano in numero indescrivibile. Nelle prime
file li conoscevo sempre; poi andando avanti non
conoscevo più nemmeno i missionari. Allora la
mia Guida prese di nuovo la parola e disse: – Tutto
questo che hai visto è tutta messe preparata per i
Salesiani. Vedi quanto è immensa la messe? I Sale-
siani non solo in questo secolo, ma anche nei secoli
futuri lavoreranno nel proprio campo...».
E mi ha fatto piacere sentire che tutte queste noti-
zie sono solo la “punta dell’iceberg” del gran bene
che viene fatto da tutti noi. E penso che oggi don
Bosco ha quel volto multicolore che probabilmen-
te avrebbe solo sognato.
Condivido con voi queste riflessioni, cari lettori
del Bollettino Salesiano, perché penso che dob-
biamo comunicare le tante cose belle che esisto-
no e che vengono realizzate. Qualche tempo fa
ho imparato questa massima: «L’albero che cade
è più rumoroso della foresta che cresce in silen-
zio». Mi pare assolutamente vero. E quello che ho
condiviso con voi, è solo una minuscola parte di
quella foresta che cresce silenziosamente.
Vi auguro una felice festa di don Bosco. Ci ri-
corderemo tutti a Panama, nel bel mezzo di una
moltitudine di giovani “da sogno”.
Selfie di famiglia
per il poster
della Strenna di
quest’anno.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
L’opinione dei giovani Dio sia l’autore della vita e, quindi,
nessuno ha il diritto di uccidere un
essere umano vulnerabile nel grem-
bo. Penso che la debba essere
sull’aborto
difesa a tutti i costi e in ogni mo-
mento nella società di oggi. Viviamo
in una società in cui “va bene” uc-
cidere una vita non ancora nata ma
“non va bene” uccidere gli animali.
Diritto esistenziale o atto criminale?
E dico questo non perché sia favo-
revole all’uccisione degli animali,
ma perché esistono leggi che pro-
teggono meglio gli animali piuttosto
Barbara, 22 anni
volte servirebbe la guida di un adul- che i bimbi vulnerabili non ancora
«Una donna che sa di non
essere pronta ad assumersi
la responsabilità della
maternità, deve sapere che
c’è un’alternativa».
È un argomento sul quale mi sono
più volte informata per pura curiosità
personale, ma ritengo che nella
società in cui vivo non venga data la
dovuta importanza a tale argomento.
to che conosca l’argomento in modo
da poter guidare i giovani verso una
consapevolezza di ciò che tale scelta
comporta.
Lis, 25 anni
«Credo fermamente che l’aborto
sia un atto criminale che deve
essere punito nella maggior
parte dei casi».
nati. Questo, per me, è il problema.
Spendiamo più soldi per sostenere la
ricerca di pianeti su cui cercare “se-
gnali di vita”, mentre i governi non
spendono abbastanza per protegge-
re il miracolo della vita che avviene
davanti ai nostri occhi, nel grembo
di una madre. Alcune donne abor-
tiscono sostenendo di non avere ab-
bastanza soldi per mantenere la vita
che cresce nel loro grembo; pertanto,
Ritengo che l’aborto sia un diritto Questo argomento è molto im- la soluzione è uccidere il bambino.
dovuto e fondamentale per la donna. portante per me perché, in quanto Io penso però che una soluzione mi-
Tutti nella società dobbiamo godere Cattolica, difendo la Vita. Credo che gliore all’aborto, in questi casi, sia,
della possibilità del libero arbitrio,
quanto meno sul personale. Una
Sono troppo convinta che la vita sia bella donna che sa di non essere pronta
ad assumersi la responsabilità della
anche quando è brutta, che nascere maternità, deve sapere che c’è un’al-
sia il miracolo dei miracoli, vivere: ternativa. Ritengo che non ci siano
né casi né eccezioni, ogni persona
il regalo dei regali. Anche se si tratta prende scelte personali che non sono
uguali a quelle degli altri. Ognuno
ha la sua motivazione. Questo è un d’un regalo molto complicato,
argomento molto vicino ai giovani,
poiché oggi la sessualità non è più un
tabù e fin da ragazzini si argomenta
su questo. Ma la maggior parte delle
molto faticoso, a volte doloroso
(Oriana Fallaci - “Lettera a un bambino mai nato”)
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Antonella, 27 anni
«Considero l’argomento molto
importante per la società
in generale, ma soprattutto
per i giovani che spesso sono
inconsapevoli delle proprie
scelte».
per esempio, impiegare le risorse
rivolte a sostenere la ricerca nello
spazio basata su un’incerta speranza
di trovare vita, per invece garantire
un futuro a questi bambini non an-
cora nati, concedendo almeno loro
di vedere la luce. Credo fermamen-
te che l’aborto sia un atto criminale
che deve essere punito nella maggior
parte dei casi. Dico “nella maggior
parte dei casi”, perché sono ben con-
sapevole dell’esistenza degli abor-
ti naturali dove il bambino muore
per problemi di salute e incompati-
bilità biologica con la vita, non per
volontà della madre. Quando inve-
ce la madre decide volontariamente
di abortire, lei, insieme ai dottori e
agli infermieri coinvolti, diventano,
a mio parere, criminali di macella-
zione umana. Trovo ridicolo come
le leggi in difesa dei diritti umani
siano contorte. Quando una donna
incinta viene uccisa, il criminale vie-
ne processato per duplice omicidio,
ma se una donna uccide il proprio
bambino, questa non ha colpe. Un
omicidio è un omicidio in qualsiasi
circostanza perché le conseguenze
sono le medesime. Non credo, in-
fatti, vi siano dei casi in cui l’aborto
sia accettabile poiché una vita è una
vita indipendentemente da come è
stata concepita. Questo argomen-
to tocca i giovani molto da vicino.
I giovani credono che vada bene
esplorare liberamente la loro sessua-
lità senza doversi preoccupare delle
conseguenze, tanto l’aborto risolve
ogni problema. L’aborto però non
cancella una gravidanza: una donna
che abortisce non evita di diventare
madre, diventa solo la mamma di un
bambino morto.
Si tratta sicuramente di un argomen-
to molto delicato e lo è ancora di più
quando si vive una situazione delicata
e ci si trova di fronte ad una decisio-
ne! L’aborto esiste ed è anche regolato
dalla legge (legge 194); ciò non toglie
che è per me un vero e proprio atto
criminale, dal momento che viene
ad essere soppressa la vita di un es-
sere umano nelle prime fasi della sua
esistenza. Sono comunque del parere
che bisogna trovarsi nella situazione
per poter veramente parlare, non è
facile giudicare dall’esterno. Ci sono
casi in cui l’aborto potrebbe costituire
l’unica via d’uscita, essendo a repenta-
glio sia le condizioni del nascituro sia
quelle della gestante; questa potreb-
be essere forse l’unica condizione in
cui giustificherei l’ (Interruzione
Volontaria di Gravidanza). Conside-
ro l’argomento molto importante per
la società in generale, ma soprattut-
to per i giovani che spesso sono in-
consapevoli delle proprie scelte. Alte,
infatti, sono le percentuali di giovani
ragazze che effettuano l’aborto senza
grandi consapevolezze. Per questo
credo che sia necessario, per esempio,
affrontare seriamente l’argomento con
loro, organizzando giornate formative
sull’educazione sessuale e sull’aborto,
senza trascurare anche il significato
morale e psicologico di essi.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org Fotografie Ester Negro
Bolivia
Le lacrime
degli Incas
Ovunque arrivano questi figli di don Bosco,
la gente saluta cordialmente e li avvicina
per chiedere qualcosa. A volte sono madri
e spose, solo per uno sfogo e una parola
di conforto rispetto alla situazione
di violenza che subiscono...
Siamo arrivati in Bolivia, a Santa Cruz
de la Sierra, che si trova nella regione
orientale del paese, caratterizzata dal cli-
ma caldo sub tropicale tipico della conca
amazzonica.
Abbiamo visitato le opere salesiane di
questa regione, alcune delle quali fondate da mis-
sionari salesiani italiani provenienti da Veneto e
Friuli. A Montero, una cittadina a 40 chilometri
da Santa Cruz, abbiamo una grande scuola agri-
cola “La Muyurina” e una bella parrocchia “La
floresta”. A San Carlos e a Sagrado Corazon, ani-
miamo pastoralmente un vasto territorio con de-
cine e decine di comunità sparse nella vasta area
agricola di quel territorio.
La pioggia dal tetto
A Yapacani abbiamo un convitto scolastico che
ospita circa cinquanta ragazzi provenienti da zone
lontane e con gravi difficoltà di collegamenti a
causa dei fiumi che nel periodo delle piogge si
ingrossano improvvisamente impedendo il pas-
saggio da una sponda all’altra, anche per lunghi
periodi. La particolarità di questo convitto di Ya-
pacani è che a gestirlo non siamo direttamente
noi salesiani, ma un gruppo di cinque volontari
colombiani. Il più grande di questi ha 43 anni, poi
viene uno di 33 anni e gli altri sono davvero molto
giovani: 19 e 20 anni! Sono un piccolo gruppo di
volontari missionari fondati da un sacerdote co-
lombiano che si è ispirato a don Bosco. Il loro è un
servizio di volontariato che sta maturando verso
una vocazione di speciale consacrazione religio-
sa. Hanno accettato di vivere ed animare questo
convitto che si trova in condizioni davvero pre-
carie dal punto di vista logistico. I servizi igienici
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sono in condizioni pietose. Non hanno un luogo
protetto dalla pioggia dove permettere ai ragaz-
zi di lavare la biancheria e stenderla ad asciugare.
L’unica sala grande, che durante il giorno diventa
refettorio, sala studio, sala di ricreazione a secon-
da delle attività che vi si svolgono, necessita di un
tetto nuovo perché quello esistente in paglia è or-
mai marcito e lascia passare la pioggia.
Noi di Missioni Don Bosco, grazie ai numerosi
benefattori che quotidianamente ci sostengono,
li abbiamo aiutati negli ultimi tre anni con un
progetto di sostegno alimentare. Di questo non
finivano di ringraziarci e ci hanno nuovamente
presentato la domanda di un sostegno per garan-
tire ai giovani ospiti del convitto una nutrizione
completa (quando non hanno soldi a sufficienza
il pasto quotidiano si ferma ad un piatto di riso...).
Bastano 50 centesimi al giorno per far mangiare
un ragazzo in maniera sana e completa.
È sempre un’esperienza toccante quando i mis-
sionari mi chiedono di poterli aiutare a sfamare
i giovani. Non è la stessa cosa che ci chiedano
di poter sostenere un’attività formativa, come può
essere l’acquisto di un macchinario per la scuola
professionale, e che invece ci raccontino esperien-
ze in cui si patisce la fame e i ragazzi non hanno
da mangiare a sufficienza!
Giovanni Bosco, orfano di padre a due anni,
quando diventa prete si dedica proprio ai ragazzi
di periferia che non hanno più una famiglia. Lui
diventa un padre per tanti altri ragazzi e giovani
soli ed abbandonati che vivono di stenti nella pe-
riferia torinese di metà Ottocento. Padre Ottavio
Sabbadin ha rivissuto e messo in pratica proprio
la prima esperienza pastorale di don Bosco: essere
padre di tantissimi ragazzini, bambine, giovani
che un padre e una madre non l’hanno più. Dare
una casa e un clima di famiglia dove ognuno vie-
ne accolto così com’è, con tutte le sue povertà e
miserie ed è aiutato a crescere, a riscattarsi dal-
la condizione nella quale si trova, non per causa
sua. È bellissimo vedere come i ragazzi, appena
scorgono padre Ottavio, ormai prossimo agli
ottant’anni, entrare in una di queste case a loro
dedicate, gli corrano incontro per abbracciarlo
chiamandolo “padre”.
Sulle terre altissime
La nostra seconda tappa in Bolivia è Kami, un
piccolo villaggio sulla cordigliera andina a 3800
metri di quota. Passare da Santa Cruz, che si tro-
va a 400 metri sul livello del mare, a Cochabamba
Qui tutto è
un problema.
I missionari
condividono la
vita dei più poveri.
Basterebbero
cinquanta
centesimi al giorno
per far mangiare
un ragazzo in
maniera sana e
completa.
L’Hogar Don Bosco
L’ultima opera salesiana che abbiamo visitato in
Santa Cruz è stato l’Hogar Don Bosco, fondato e
ancora diretto da padre Ottavio Sabbadin, nativo
di Ramon di Loria in provincia di Treviso. Si trat-
ta di una vera e propria cittadella della gioventù
povera, con una pluralità di servizi per gli orfani, i
ragazzi di strada, i portatori di handicap. La città
di Santa Cruz attrae popolazione dalla campagna
e dalle montagne boliviane dove la vita è sempre
più dura. Non che arrivando in periferia di questa
grande città le condizioni di vita migliorino, anzi.
Le famiglie facilmente si disgregano e a patirne le
conseguenze sono, come sempre, i più piccoli.
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SALESIANI NEL MONDO
Don Serafino
Chiesa, a metà
strada fra
don Bosco e
Indiana Jones,
ha elettrificato
tutta la zona
portando l’energia
elettrica grazie
a una centrale
idroelettrica che
ha costruito.
che è a 2800 metri e infine a Kami, a quota 3800
metri, è stato uno shock fisico non indifferente.
Mi viene un forte mal di testa, la bocca dello sto-
maco che si chiude, il battito cardiaco accelerato...
in poche parole sto proprio male. Mi misurano la
pressione del sangue e con sorpresa ho la mini-
ma a 110 e la massima a 170. Un po’ troppo alta!
Una pastiglia per abbassare la pressione e un po’
di foglie di coca da masticare aggiustano la situa-
zione. Non misuro più la pressione per evitare di
spaventarmi ulteriormente, comunque il mal di
testa si attenua, anche se resta un senso di grande
spossatezza, e fatico a respirare.
Fino a Cochabamba arriviamo in aereo, dove ci
viene a prendere don Serafino Chiesa con la sua
Toyota Land Rover e percorriamo in cinque ore
la strada fino a Kami. Metà della strada la percor-
riamo sul greto di un fiume, risalendone il per-
corso... sembra di essere in un Camel Trophy con
il buon padre Serafino che guida fra sassi, buche
e il fiume da guadare, più e più volte. Usciti dal
greto del fiume iniziamo altre due ore abbondanti
di salita su una strada sterrata che si arrampica
sui fianchi di montagne altissime e brulle. Non
c’è alcun parapetto e lo strapiombo perenne che
arriva fino a 500/600 metri, una volta sul lato
destro e l’altra sul sinistro, fa davvero impressione.
Finalmente arriviamo a Kami stanchi e prova-
ti, ma felici di essere giunti alla meta del nostro
viaggio in Bolivia.
A Kami i missionari salesiani provenienti dal
Piemonte sono arrivati nel 1974 ed hanno inizia-
to un’opera salesiana di tipo parrocchiale fra gli
abitanti di queste terre alte che in gran parte sono
minatori, soprattutto nel cento di Kami, ma che
nelle numerose comunità sparse nelle montagne
circostanti, sono invece contadini.
Don Serafino Chiesa, partito dall’oratorio sale-
siano di Torino-Agnelli nel 1985, è una forza del-
la natura. Con una folta barba bianca da Babbo
Natale ed uno sguardo sincero e furbo, in testa
porta sempre un berretto di lana colorata tipico
delle popolazioni andine. A metà strada fra don
Bosco e Rambo, o se preferite Indiana Jones, que-
sto prete salesiano ha dedicato tutta la vita alla
povera gente e ai giovani di questa terra mera-
vigliosa, ma tanto difficile e isolata. Passa con
naturalezza dal celebrare l’Eucaristia a guidare
una ruspa o il camion. Dal parlare dei problemi
educativi dei giovani alla procedura da fare per ri-
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2.1 Page 11

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fasare un motore elettrico. È un ottimo allevatore
di maiali dai quali ricava prosciutto crudo e sala-
mi di qualità sopraffina, che vende nei supermer-
cati di Cochabamba. Se ne intende di miniere e
di coltivazioni di alta quota. Ha elettrificato tutta
la zona portando l’energia elettrica grazie ad una
centrale idroelettrica che ha costruito e che sta
espandendo per poter autofinanziare, con l’ener-
gia messa in rete, le attività educative di Kami e
di altre opere salesiane povere della Bolivia.
Con lui visitiamo una miniera. È un’esperienza
da brivido, letteralmente! Ci arrampichiamo quasi
in vetta ad una montagna sui 4200 metri che sta
alle spalle del villaggio e incontriamo i minatori
al lavoro. Sono giovani. Hanno dai 15 anni ai 40,
massimo 45 anni. Oltre non ce la fanno proprio
più a lavorare. Sembra un termitaio di formiche in
azione, che bucano la montagna e vi si arrampica-
no all’esterno e all’interno in un labirinto di cuni-
coli e fori sulle pareti verticali di roccia. Anche noi,
caschetto in testa e pila in mano, ci avventuriamo
nelle numerose gallerie. Incontriamo i carrelli ca-
richi di roccia ricca di minerale prezioso, la wolfra-
mite, da cui si ricava il tungsteno.
Le condizioni di lavoro di questi poveri uomini
sono quasi disumane. Rischiano la vita in ogni
momento, dentro e fuori la montagna. L’aria è
umida. Il buio totale, rischiarato solo dalle pile
elettriche, isola le persone dal mondo. Fuori non
è molto migliore la situazione. Su pareti verticali
questi uomini sono riusciti a ricavarsi dei piccoli
terrazzamenti in cui lavorano la roccia per sepa-
rarla dal minerale. Frequenti sono le cadute nel
vuoto, dovute anche al fatto che per ingannare la
fatica, spesso i minatori bevono.
Condizioni di lavoro così dure rendono i minatori
persone estremamente irascibili e violente. A pa-
garne le conseguenze sono i famigliari. Quando
rientrano a sera tarda, basta che un bimbo pian-
ga, perché scatti la violenza domestica di cui sono
vittime la moglie e gli stessi figlioletti.
In questo ambiente così difficile i quattro sale-
siani della comunità di Kami si danno da fare
come pastori che animano la vita cristiana e am-
ministrano i sacramenti in un percorso continuo
da una comunità all’altra su strade, a volte sono
poco più che una pista, pericolosissime. Gestisco-
no inoltre un convitto scolastico con 50 ragazzi
che vengono dalle comunità più lontane. Hanno
iniziato corsi di formazione professionale com-
plementari al percorso scolastico della scuola se-
condaria offrendo in questo modo ai giovani dei
quattro anni conclusivi delle superiori (dai quat-
tordici ai diciotto anni) la possibilità di acquisire
una qualifica professionale.
Ovunque arrivano questi figli di don Bosco, la
gente saluta cordialmente e li avvicina per chie-
dere qualcosa. A volte sono madri e spose, solo
per uno sfogo e una parola di conforto rispetto
alla situazione di violenza che subiscono dai ma-
riti, altre sono gli stessi minatori che avvicinano
padre Serafino per fargli vedere il compressore o
la pompa idraulica che non funzionano, trovano
in lui un tecnico esperto in grado di aggiustare
tutto, o quasi. I giovani sono i destinatari del loro
servizio educativo, senza trascurare i loro genito-
ri, che in forme diverse abbisognano di altrettante
attenzioni e cure.
I quattro salesiani
della comunità
di Kami si danno
da fare come
pastori e animano
la vita cristiana
in un cammino
continuo da una
comunità all’altra
su strade e piste
pericolosissime.
Gestiscono
inoltre un convitto
scolastico con
50 ragazzi che
vengono dalle
comunità più
lontane.
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Tutti amano Bra
L’Opera Salesiana compie
60 anni in forma smagliante
Allegria, studio,
attività fisiche,
amicizia: tutta
la gamma degli
“essenziali”
salesiani è
presente qui.
L’Istituto “San Domenico Savio”
è un’opera molto vivace,
amata e apprezzata dalla gente,
con una gamma ricca di attività.
È la città di Cheese, della Salsiccia di Bra,
di Slow Food e del Barocco piemontese.
Un luogo magico tra Langhe e Roero. Lì
vicino c’è il complesso monumentale di
Pollenzo con il castello e la parrocchiale
che si affacciano lungo la piazza centrale
dell’antica città romana. L’Unesco, l’organizza-
zione delle Nazioni Unite che si occupa del patri-
monio culturale ed artistico mondiale, ha inserito
Pollenzo nel “World Heritage” tra i beni patri-
monio dell’umanità. Dal 2004 ha sede a Pollenzo
l’Università degli Studi di scienze gastronomiche,
gestita sotto l’egida di Slow Food.
Bra è centro artigianale e di scambi, luogo di in-
termediazione nel commercio delle produzioni
orticole autoctone, delle produzioni vitivinicole,
zootecniche e della ricca filiera agroalimentare
delle zone di Langa, Roero e pianura cuneese.
Tra i tanti uomini celebri del mondo delle scien-
ze, delle lettere, della politica e della religiosità
che a Bra sono nati o hanno trovato terreno fertile
per le loro iniziative spicca il santo della carità per
eccellenza, san Giuseppe Benedetto Cottolengo
che a Bra è nato a fine Settecento.
Quando arriva
san Domenico Savio
Qui compie 60 anni l’opera salesiana, intitolata
alla memoria del «Santo giovane» della Congre-
gazione, san Domenico Savio. La posa della prima
pietra dell’edificio – che ai braidesi è caro chiamare
«vecchio» – avvenne il 14 marzo 1958, ma l’inau-
gurazione del palazzo fu fatta l’8 settembre 1959.
E proprio in quell’anno, infatti, la locale Cassa di
Risparmio di Bra affida ai salesiani il compito di
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Gennaio 2019

2.3 Page 13

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istituire una «scuola di avviamento professionale»
con duplice indirizzo: meccanica e falegnameria.
Gli allievi degli inizi erano un centinaio. Con la
riforma del 1962 questa si trasforma in Scuola
Media; l’anno seguente nasce l’Istituto profes-
sionale, mentre vanno estinguendosi i mobilieri.
Inizia la costruzione del «palazzo nuovo» e della
prima officina, che sarà poi abbattuta ed intera-
mente rifatta nel 2013. In seguito, l’Istituto pro-
fessionale si trasforma in «Centro di formazione
professionale», che attualmente conta 5 indirizzi.
Nel 2013 – dopo una lunga esperienza formativa,
che ha sfornato centinaia di «periti industriali»
che ancora oggi operano nelle diverse aziende del
territorio – chiude l’Iti con indirizzo meccanico,
avviato nel 1964. Oggi l’opera è molto vivace,
avendo al suo interno diversi canali nei quali svol-
ge il suo servizio educativo-pastorale in mezzo ai
giovani: la scuola media, il centro di formazione
professionale, l’oratorio-centro giovanile, l’asso-
ciazione dei Salesiani cooperatori e l’associazione
exallievi.
L’istituto comprende anche una Chiesa pubblica
per il servizio religioso del quartiere Oltreferrovia
molto frequentata dai residenti.
La scuola media
La scuola media, presieduta dal prof. Teresio
Fraire salesiano laico, conta attualmente 110 al-
lievi seguiti da insegnanti giovani e motivati. È
ben attrezzata con in tutte le classi, con vari
iPad, una capiente sala studio, ampi cortili e pa-
lestra. Viene curata molto la formazione umana
e cristiana tipica della mission salesiana: buon-
giorno quotidiano, confessioni e Messa mensili,
giornate di ritiro spirituale, tematiche formati-
ve, associazionismo, iniziative di solidarietà. La
scuola è apprezzata sul territorio per la validità
della preparazione scolastica. In particolare fa-
vorisce la competenza linguistica. L’inglese è
potenziato con più ore di lezione, il madrelin-
gua, le certificazioni di livello superiore e il City
Camp estivo. Obbligatorio il francese, mentre il
tedesco o lo spagnolo sono facoltativi. Anche la
L’oratorio è dotato
di strutture per
lo svolgimento
di svariate attività:
il campo da calcio
in erba sintetica
e gli annessi
spogliatoi offrono
ampie possibilità
di attività sportive.
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Il centro di
formazione
professionale
propone corsi
di formazione
triennali nei settori
di meccanica
industriale,
meccanica auto,
benessere-
acconciatori,
agroalimentare-
panetteria,
pasticceria,
pizzeria e un
percorso duale
per operatore
termoidraulico.
competenza digitale viene potenziata con vari
corsi obbligatori ed opzionali, grazie alla di-
sponibilità del laboratorio con trenta in rete.
Favorite sono anche la musica e l’attività fisica.
Accanto alle eccellenze, la scuola segue con cura
i ragazzi con difficoltà di vario tipo. L’attenzio-
ne al singolo si manifesta con i colloqui perso-
nali e la presenza tra i ragazzi nei vari momenti
della giornata. La scuola è aperta al territorio e
partecipa a svariate iniziative. Le famiglie sono
coinvolte in attività formative e ricreative, oltre
ai momenti istituzionali strettamente scolastici.
L’associazione Agesc opera in sinergia con la
scuola per il coinvolgimento delle famiglie, che
rispondono in modo assai soddisfacente.
Il Centro di Formazione
professionale
Continuo risulta anche essere il lavoro extrasco-
lastico (incontri sociali e politici, tornei sportivi,
partecipazione a manifestazioni pubbliche ecc.),
organizzato dal collegio docenti del che vede
coinvolti, in modo trasversale, gli allievi del Centro.
I docenti del Centro – tutti molto motivati e ap-
passionati del loro operare in mezzo ai giovani,
partecipano in modo significativo alla Comunità
Educativa Pastorale dell’Opera salesiana, pro-
gettando e sviluppando iniziative di pertinenza
di tale organismo. La possibilità di operare in
convenzione con la Regione Piemonte ha deci-
samente ampliato la fascia di utenza che, con un
minimo aggravio economico, riesce a frequentare
un percorso di formazione professionale. Oggi
l’offerta formativa è davvero ampia: accanto ai
corsi dell’obbligo e del duale, abbiamo percorsi di
, percorsi di (formazione continua indi-
viduale) e percorsi a libero mercato. Molto opera-
tivo il settore (servizi al lavoro) che si occu-
pa, in team con lo staff dell’apprendistato, di una
fascia d’utenza che vede nell’istituzione salesiana
un «porto sicuro» nel quale attraccare, almeno
per un certo periodo della vita.
Oratorio-Centro giovanile
L’oratorio salesiano di Bra, facente parte della più
complessa opera salesiana fondata nel 1959, nasce
ufficialmente nel 1976 ed è oggi coordinato da
Il centro di formazione professionale Cnos Fap,
diretto dal prof. Valter Manzone salesiano coope-
ratore, propone corsi di formazione triennali or-
dinamentali nei seguenti settori: meccanica indu-
striale, meccanica auto, benessere-acconciatori,
agroalimentare-panetteria-pasticceria-pizzeria e
un percorso duale per operatore termoidraulico.
Il Centro fruisce di due cortili, di campi da cal-
cio, calcetto, basket e pallavolo; esiste un salone
palestra ed una mensa interna, il cui uso è facol-
tativo e a carico della famiglia.
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Gennaio 2019

2.5 Page 15

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un team comprensivo del direttore dell’opera don
Vincenzo Trotta, coadiuvato da don Livio Sola
e da due educatori laici. Alle sue varie attività
collaborano, a diverso titolo, i confratelli dell’o-
pera stessa, volontari giovani e adulti, volontari
del servizio civile e genitori. Dal 1995 la struttura
dispone di uno stabile a tre piani con aule e sale
ampie per lo svolgimento di svariate attività (dal-
la catechesi al doposcuola, formazione giovanile,
estate ragazzi, laboratori musicali e teatrali, feste
di compleanno e attività ludico ricreative); dotato
di un campo da calcio in erba sintetica e di an-
nessi spogliatoi, offre ampia possibilità di attività
sportive.
Dal 2004 all’interno dell’oratorio opera un Cen-
tro di Aggregazione Minorile in convenzione con
il Consorzio socio-assistenziale.
L’oratorio salesiano di Bra si ispira al sistema
preventivo di don Bosco, che si basa sui tre
principi di Ragione, Religione e Amorevolezza.
Obiettivo di don Bosco e dei salesiani è quello
di mirare alla formazione integrale dei giovani
e alla prevenzione del disagio sociale, riassumi-
bile nell’espressione “educare evangelizzando
ed evangelizzare educando”. Come tutti, anche
quello braidese persegue la formazione di “buo-
ni cristiani e onesti cittadini” (secondo un’e-
spressione cara a don Bosco), per questo l’attività
non si limita solo alla catechesi e alla formazione
cristiana, ma svolge un progetto più ampio pri-
vilegiando la collaborazione con le altre agenzie
educative del territorio.
Il direttore dell’Opera
Don Vincenzo Trotta ricopre la carica di Diret-
tore dell’Opera Salesiana «San Domenico Savio»
da 5 anni. La Comunità Salesiana è costituita da
12 confratelli (alcuni dalla fondazione dell’O-
pera) tutti ancora molto attivi in tanti ambienti
pastorali; tra questi confratelli vi è il Mago Sales
fondatore del grande Museo della Magia a Che-
rasco.
Don Vincenzo afferma: «Sono contento di poter
celebrare il sessantesimo compleanno di una casa
salesiana molto attiva, nella quale si respira nel-
lo spirito di famiglia la presenza di don Bosco.
La città stessa vuole molto bene ai Salesiani e il
nostro rapporto con il territorio è molto positi-
vo. Tantissimi i giovani che frequentano la nostra
opera, tantissime le famiglie che vedono nei figli
del grande Santo piemontese, un punto di riferi-
mento. Anche la recente visita di don Josè Mi-
guel Nunez, incaricato dal Rettor Maggiore, ha
sottolineato la vivacità di questa opera, esortando
tutti a continuare l’animazione dei vari ambienti
pastorali che la contraddistinguono».
I salesiani e
i formatori
dell’opera hanno
un ottimo rapporto
con la città, che
appoggia con
entusiasmo le loro
iniziative.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
“...E factaepnoelaunvoro!
Le audaci suore salesiane della Polonia.
“Chi guarda dentro
si sveglia”
Conoscendo bene il suo popolo ha
provato a risvegliare quanto si era
addormentato; ha guardato al cuore
della persona e alla ricchezza della
sua umanità; ha scommesso sul prota-
gonismo dei laici sia nella Chiesa sia
nella società, in particolare ha rivolto
uno sguardo ottimista ai giovani, non
in tempo di pace ma nel corso della
guerra, quando i sogni, a confronto
con la realtà, erano pura utopia.
Un uomo venuto da lontano, così vi-
cino, non si è arreso, sicuro che “Chi
guarda fuori, sogna. Chi guarda den-
tro, si sveglia”, come affermava lo psi-
canalista Carl Gustav Jung.
L’indimenticabile Giovanni Paolo
II resterà tale non solo per il popolo
polacco, per il mondo, ma anche per
la Congregazione Salesiana la quale,
dopo gli anni ’90, è tornata ad esse-
re attiva nell’ambito dell’educazione:
le scuole si sono di nuovo aperte, le
attività pomeridiane sono riprese con
creatività: una fioritura graduale ed
incessante.
Attualmente in Polonia le Figlie di
Maria Ausiliatrice sono 386, vivono in
43 comunità, gestiscono 4 case fami-
glia, 19 scuole dell’infanzia e 6 relative
a diversi ordini e gradi; ogni opera è
riconosciuta dallo Stato. Tante suore
lavorano nelle scuole statali come in-
segnanti di catechesi, altre sono impe-
gnate in attività parrocchiali e collabo-
rano con i Salesiani, particolarmente
per l’educazione dei giovani.
Le attività proposte per il tempo libero
sono lo spazio privilegiato per incon-
trare bambini e giovani, i centri giova-
nili li accolgono per svolgere le attività
del doposcuola, dello sport e quelle
dei vari gruppi giovanili. Ma ciò che è
importante è il dinamismo che anima
quanto si vive: lo spirito di famiglia,
elemento peculiare della spiritualità
salesiana. Le suore affermano che è
il clima ottimale per suscitare il pro-
tagonismo dei giovani, così che non
restino solo destinatari ma diventino
sempre più soggetti attivi dell’educa-
zione e dell’evangelizzazione, sia per la
propria crescita sia per quella dei loro
coetanei. Quindi, i ragazzi imparano
a conoscere il carisma salesiano e ad
assumerlo come stile di vita, anche ed
oltre gli ambienti delle suore.
Vivere da protagonisti
Comprendendo tale realtà, le Figlie
di Maria Ausiliatrice si sono orga-
nizzate per inventare ancora nuove e
differenti modalità con la finalità di
formare protagonisti e collaboratori, a
tal punto da iniziare dai piccoli della
scuola dell’infanzia e dai loro genito-
ri, felici dell’offerta di poter educare
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i propri figli secondo un progetto di
crescita integrale.
Rendere i giovani protagonisti della
propria vita, e non spettatori, non è
uno slogan ma è la singolare esperien-
za di pastorale giovanile. A Wroclaw,
dal 2007, la collaborazione tra suore e
giovani impegnati è il nucleo anima-
tore all’insegna della creatività, anche
per quanto riguarda le iniziative vo-
cazionali da proporre ai vari ambienti
salesiani. Figlie di Maria Ausiliatrice
e ragazzi costituiscono il gruppo :
Inspektorialna Rada Mlodych, ovvero
il Consiglio Ispettoriale dei Giovani, il
quale ogni mese si incontra per ap-
profondire la spiritualità salesiana,
inventare eventi per l’attività pastora-
le dell’evangelizzazione, sia locale sia
ispettoriale; per preparare gli incontri
per gli allievi delle scuole e, in base ai
tempi, la festa dell’Immacolata, il mese
di maggio. La pagina di Facebook
e di altri social network è continua-
mente aggiornata, specialmente con la
freschezza che caratterizza i ragazzi.
I giovani appartenenti al gruppo
sono i rappresentanti delle diverse co-
munità locali, pertanto, conoscendo
bene i loro ambienti di provenienza,
sono in grado di captare le attese dei
loro coetanei e di rispondervi con sva-
riate attività. Ma ragazzi così attiva-
mente impegnati, che cosa hanno da
dire?...
Martyna, Julita, Julia
“Il protagonista è qualcuno di cui la
Chiesa di oggi ha bisogno. Non mi
sento una persona importante solo una
matita nella mano di Dio”. (Martyna)
“Durante gli incontri dei giovani
sento lo spirito salesiano e come ani-
matore cerco di testimoniare la mia
fede, l’amore che ho per il Signore.
Sono consapevole che tanti ragazzi
mi guardano, mi osservano, forse si
interrogano. Voglio dire loro che è
possibile essere giovane, piena di fede
e di vita, anche con l’attività della
danza che permette a me e a loro di
lodare il Dio della gioia!” ( Julita)
“Il nostro gruppo cerca in modo
creativo ed interessante di testimo-
niare ai propri coetanei come è gran-
de e bello l’amore che il Signore ha
per ciascuno di noi. Cerchiamo di far
capire loro che vivendo con Lui pos-
siamo realizzare grandi cose. Sento
dentro il mio cuore la grande gioia di
appartenere al gruppo!” (Julia)
Martyna, Julita, Julia: voce di quanti
condividono la stessa esperienza e che,
come Giovanni Paolo II augurava,
hanno deciso di “prendere in mano la
propria vita e farne un capolavoro”.
Rendere i giovani protagonisti della propria vita,
e non spettatori, non è uno slogan ma è
la singolare esperienza di pastorale giovanile
delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Polonia.
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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Traduzione di Marisa Patarino
Dall’Ispettoria Francia − Belgio Sud
Evangelizzare è dire:
«Anche tu sei amato»
Incontro con padre André Van Der Sloot.
Carissimo padre André,
può autopresentarsi?
È sempre difficile parlare di se
stessi... Sono nato nel 1944 a
Bruxelles, in una famiglia con cin-
que figli. Io sono il più giovane. La
nostra famiglia era semplice, di ceto
sociale piuttosto modesto, profon-
damente cristiana: tutti noi abbiamo
conservato la fede, il mio fratello
maggiore è un sacerdote della dio-
cesi di Malines-Bruxelles e nostro
padre fu ordinato diacono nel 1971.
Nostra madre aveva una grande de-
vozione per Maria. Dopo aver fre-
quentato la scuola elementare presso
i Fratelli Maristi, ho chiesto di pro-
seguire i miei studi al ginnasio Don
Bosco-Woluwé di Bruxelles. Ho in-
contrato qui i Salesiani per la prima
volta. Durante l’infanzia e l’adole-
scenza ho fatto parte del movimento
scout, che in Belgio è molto diffuso.
Nel 1963 sono entrato nel noviziato
di Farnières, nelle Ardenne belghe,
e il 25 agosto 1964 ho emesso i pri-
mi voti. Ho poi seguito il percorso
In cinquant’anni di vita salesiana
ho potuto vivere molti momenti
di felicità e gioia
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Gennaio 2019
di formazione normale dell’epoca:
due anni di filosofia ad Andrésy,
in Francia, il tirocinio di tre anni a
Tournai, in Belgio, come educatore
e insegnante, il servizio militare nel
reparto sanitario, gli anni di teologia
a Lione e, infine, il tirocinio nella
parrocchia San Francesco di Sales
a Liegi, dove ho ricevuto l’ordina-
zione sacerdotale il 30 giugno 1973.
A Liegi sono stato impegnato come
insegnante di religione, con allievi
di età compresa tra i sedici e i di-
ciannove anni, poi come viceparro-
co, quindi parroco, direttore della
comunità... nel 2002 sono stato no-
minato Ispettore a Bruxelles e nel
2008 la nostra Ispettoria salesiana
dal Belgio del sud si è aggregata a
quella della Francia e io sono torna-
to a Liegi al servizio della comuni-
tà come direttore. Negli ultimi due
anni sono stato responsabile della
comunità di Binson, nella regione
della Champagne. Ora faccio parte
della comunità di Woluwé e sono
impegnato a Bruxelles nell’ambito
dell’immigrazione.

2.9 Page 19

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Com’è nata la sua
vocazione salesiana?
Non ho mai sentito una chiamata
pressante alla vita religiosa, come for-
se accade ad alcuni, ma riesco a indi-
viduare con chiarezza alcuni elementi
importanti che hanno indubbiamente
orientato il mio cammino: una fami-
glia cristiana che ci ha guidati verso la
Fede e la preghiera. Pur senza essere
particolarmente devoto, sentivo una
chiamata, un interesse per la religio-
ne. Un secondo aspetto è stato l’espe-
rienza con il movimento scout, grazie
alla quale ho davvero imparato ad as-
sumermi responsabilità e a incontrare
giovani della mia età, non necessaria-
mente molto vicini alla religione; la
vita in gruppo insieme a loro mi ha
fatto comprendere il mio desiderio di
prendermi cura dei più piccoli. Infine
l’incontro con don Bosco: l’accoglien-
za nella scuola in cui mi sono subito
sentito a mio agio e considerato; l’e-
sempio dei Salesiani sempre presenti
per accompagnarci, organizzare i mo-
menti di svago e di festa: il canto, il
teatro, le ricreazioni. Ero colpito dallo
“spirito di famiglia” che regnava. La
scuola non era solo un luogo di stu-
dio, ma un ambiente di vita in cui
trascorrevamo il tempo. A diciassette
anni ho cominciato a pensare a qua-
le indirizzo io potessi dare alla mia
vita. «Perché non con i Salesiani?», mi
sono chiesto. La domanda era quasi
ovvia. Ne ho parlato con i miei geni-
tori, naturalmente. Mi hanno chiesto
se fossi sicuro e ho risposto: «No, ma
mi piacerebbe». Mi hanno detto: «Va’
e se vedi che non fa per te, c’è sempre
posto per te in famiglia». Comprendo
che è un grande sollievo sentire che la
scelta compiuta a diciotto anni possa
non essere quella giusta... ma per me
era giusta! In questo ambiente ricco
di rispetto e libertà, la vocazione può
prendere il tempo necessario per il di-
scernimento e la maturazione, a poco
a poco e senza angoscia!
Quali sono state le sue
esperienze più felici?
Non so se io sia stato particolarmen-
te fortunato, ma in cinquant’anni di
vita salesiana ho potuto vivere molti
momenti di felicità e gioia. Sono stato
lieto di insegnare, ma anche di lavo-
rare come viceparroco e animatore dei
giovani: in occasione dei soggiorni a
Taizé in preparazione della Cresima
dei giovani di diciassette anni, dei
pellegrinaggi di 300 km a Composte-
la o ad Assisi con i giovani. I momen-
ti che mi hanno segnato? Ancora oggi
sono sempre felice quando incontro le
famiglie per preparare un battesimo,
perché il battesimo è molto ricco di
segni che esprimono l’amore e la vi-
cinanza di Dio e i genitori, anche se
sono lontani dalla pratica religiosa,
sono spesso attenti e sensibili, per-
ché si parla della vita del loro bambi-
no. Un’altra esperienza forte è quella
che ho vissuto ultimamente: per sette
anni, ogni settimana mi sono recato
nel carcere di Lantin, vicino a Liegi,
per celebrare l’Eucaristia e incontrare
i detenuti. Ho imparato molto cercan-
do di portare loro una presenza fra-
terna, uno sguardo di umanità, soli-
darietà in un ambiente difficile, in cui
le relazioni umane sono basate sulla
forza e sulla diffidenza. In prigione
vale la legge del più forte. Contribui-
re a far vivere una comunità cristiana
è una missione straordinaria ed è pie-
namente salesiana, perché purtroppo
un numero significativo di detenuti
ha un’età inferiore a venticinque anni.
Pensa che la Congregazione
salesiana abbia ancora un
compito in questa Europa?
Finché ci saranno giovani, i Salesia-
ni avranno un posto anche nei nostri
Paesi “privilegiati”, ma dobbiamo cer-
tamente imparare a lavorare insieme
ai laici e spesso in sinergia con altre
organizzazioni civili, dello Stato o
degli enti locali. Forse le nostre ope-
re sono troppo rigide, occorre essere
flessibili. Le situazioni sociali pos-
sono cambiare molto rapidamente:
ad esempio, trent’anni fa non si par-
lava dei migranti. Oggi assistiamo
all’impoverimento di parte del “ceto
medio”. Anche il numero di persone
che vivono sotto la soglia di povertà è
aumentato rispetto a qualche anno fa.
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
E poi dobbiamo affrontare la sfida di
proporre un senso per la vita, prima
di tutto attraverso la nostra testimo-
nianza di vita. La stessa concezione
della vita è in pericolo: penso a tutte
le questioni etiche legate al rispetto
della vita, alle famiglie in situazioni
difficili, all’instabilità sociale, alla
disoccupazione, al lavoro precario
ecc... Sì, abbiamo una grande mis-
sione, quella di evangelizzare infon-
dendo nuova speranza. Ce lo dice
don Bosco: «Educare evangelizzando
ed evangelizzare educando». Questo
suggerimento è più che mai attuale,
perché è effettivamente in corso una
scristianizzazione, se consideriamo
la pratica religiosa e i riferimenti alla
Chiesa. Questa è la sfida della secola-
rizzazione, ma non la si può affronta-
re con la nostalgia di una Chiesa forte
e potente; non si tratta di tornare in-
dietro, di agire come prima o di fare
come don Bosco nel diciannovesimo
secolo. E non si tratta nemmeno in
primo luogo di fare, ma di essere noi
stessi artefici e testimoni, di vivere e
tracciare percorsi di vita e di fede per
i giorni nostri, con i giovani. Nono-
stante l’invasione di nuove tecnologie
di comunicazione, molti giovani si
sentono soli o sperduti, ma sono alla
ricerca di relazioni vere, di amore,
tenerezza, amicizia, rispetto, di un
ideale... in sintesi, di ciò che è essen-
ziale per crescere e diventare adulti.
La presenza salesiana trova qui la
sua specificità e qui può annunciare
il Vangelo, la Bella Notizia per oggi.
Riprendo spesso questa frase del libro
“La sapienza di un povero” di Eloi
Leclerc: Evangelizzare è dire: “An-
che tu sei amato...”. Questo è il cuore
della Bella Notizia da annunciare: i
giovani hanno bisogno di credere in
un Dio che li ama perché sentano e
sperimentino che noi li amiamo, vo-
gliamo la loro felicità e desideriamo
che incontrino il Signore. Possiamo
aiutarli a scoprire Gesù lungo il loro
cammino. Tutto ciò deve alimentare
la nostra preghiera.
I Salesiani in Belgio
e in Francia, nonostante
le difficoltà, manifestano
sempre grande creatività.
Quali sono le opere
più belle? E quelle con
maggiori prospettive
future?
Non so se io sia la persona più adat-
ta per rispondere a questa domanda,
ma è vero che la creatività è presente.
Posso citare i significativi progressi in
quelle che definisco “opere di servi-
zio”, che propongono attività per le
opere salesiane esistenti: centri giova-
nili, scuole, parrocchie...
C’è uno sviluppo della comunica-
zione sociale con la Casa della Co-
municazione a Parigi (Don Bosco
Aujourd’hui, cioè Don Bosco oggi, il
Laboratorio multimediale e la Casa
Editrice Éditions Don Bosco... e
vari programmi educativi). C’è poi il
percorso di formazione presso il “Cen-
tro Jean Bosco” di Lione, per i Salesia-
ni, i laici, gli operatori della pastorale,
ecc. Si riscontra anche un notevole svi-
luppo della pastorale giovanile, con il
“Movimento Giovanile Salesiano”, il
“Campo Bosco”, “Ephata Don Bosco”.
C’è pure la Rete delle “opere con una
dimensione sociale”: i Centri “Val-
docco” di Argenteuil, Nizza, Lilla,
Lione. E anche il Centro Télé-Ser-
vice di Bruxelles, che offre servizi di
animazione e sostegno per lo studio a
favore dei ragazzi, centri di accoglien-
za a Hornu e Blandain, in Belgio.
Anche il “Reseau salésien”, la Rete sa-
lesiana a tutela delle opere nelle scuo-
le, è in una fase di grande sviluppo.
Varie scuole superiori “non salesiane”
chiedono di entrare a far parte della
Rete o già vi appartengono. Questo
è indicativo di una bella realtà sale-
siana nella nostra provincia, che è al
servizio dei giovani e dà un’anima alle
opere esistenti, proponendo attività,
momenti di riflessione e incontri.
La scuola superiore dei salesiani
di Woluwe-Saint-Pierre, Belgio.
20
Gennaio 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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AVVIENE a
MARIA
AUSILIATRICE
DISEGNI DI LUIGI ZONTA
Piazza Maria Ausiliatrice
Sei arrivato in un luogo strano. Di solito i posti famo-
si sono in alto. Questo è in basso. Scendendo per questa
piazza devi mettere in moto la tua fantasia. Duecento anni
fa qui c’erano solo cespugli, boscaglia, prati e qualche rara
casupola. Era pure umido, tanto che lo chiamavano Val-
docco, che suona un po’ come valle delle oche. Allora, tan-
ti anni fa, scendeva di qui un giovane prete con un gruppo
di ragazzini scalmanati.
Il tuo itinerario comincia dove erano diretti quel prete che
si chiamava don Giovanni Bosco e i suoi ragazzi. Erano
felici perché, dopo essere stati cacciati via per cinque anni
da altri posti di Torino, lui aveva trovato
un angolo tutto per loro.
Fai finta di non vedere gli edifici qui
intorno e vai diritto verso quella casa
dall’aria vecchiotta. La storia che ti
voglio raccontare comincia di lì.
Gennaio 2019
21

3.2 Page 22

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AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
Il cortiletto Pinardi
Non proprio dalla casa. Solo da un angolino dietro la
casa. Guarda quella piccola lapide. La prima cosa che
don Bosco ha voluto è un cortile: il più bel posto per
dei ragazzi e dei bambini, per essere allegri, correre e
saltare e soprattutto essere felici.
Un ragazzo di quel tempo racconta: «Don Bosco era
sempre il primo nei giochi, l’anima delle ricreazioni.
Non so come facesse, ma si trovava in ogni angolo del
cortile, in mezzo a ogni gruppo di giovani. Con la
persona e con l’occhio ci seguiva tutti. Noi eravamo
scarmigliati, talvolta sudici, importuni, capricciosi.
Ed egli provava gusto a stare con i più miseri. Per i
più piccoli aveva un affetto da mamma».
trovato l’oratorio! A Pasqua ci andremo: è là, in
casa del signor Pinardi!». Il 12 aprile era domenica
di Pasqua. Tutte le campane della città squillarono
a festa. Alla tettoia non c’era nessuna campana, ma
c’era il cuore di don Bosco che chiamava tutti quei
ragazzi, che arrivarono a centinaia.
L’atrio della cappella
Tornando davanti alla casa, puoi osservare sul muro
di fondo, un dipinto che descrive come diventerà la
casetta, appena don Bosco riuscirà a trovare i soldi
per comprarla. Diventerà sua e dei ragazzi poveri e
abbandonati che comincerà a ospitare proprio qui.
Ora prova a dargli uno sguardo.
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Gennaio 2019
La cappella Pinardi
Pinardi è il nome di un signore che affittò a don Bosco
il cortile e un pezzo di casa. Era solo una tettoia, povera,
bassa, appoggiata al lato nord della casa. Un muretto tut-
to intorno la trasformava in una specie di baracca o stan-
zone. Misurava metri 15 × 6. Don Bosco disse: «Troppo
bassa, non mi serve». Ma Pinardi: «Farò abbassare il pa-
vimento di mezzo metro, farò il pavimento di legno, met-
terò porte e finestre. Ci tengo ad avere una chiesa». Don
Bosco pagò 300 lire per un anno: per lo stanzone-tettoia e
la striscia di terra intorno, dove far giocare i suoi ragazzi.
Tornò di corsa ai suoi ragazzi e gridò: «Allegri! Abbiamo

3.3 Page 23

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La casa Pinardi
Era una casupola davvero povera. Don Bosco affittò tre
stanzette prima dell’inverno e si trasferì qui con la sua
Mamma Margherita. Don Bosco era senza impiego e sen-
za alcun introito. Ma nulla spaventava don Bosco, che il
primo dicembre prese in affitto tutta la casa Pinardi, con
il terreno circostante. La casa aveva la facciata rivolta a
mezzogiorno, e solo da questo lato aveva porte e finestre.
La parte ad uso abitazione era composta di un piano terre-
no e di un piano superiore molto bassi. L’altezza della casa
non oltrepassava i sette metri. La casa aveva una dozzina
di stanze. Un ballatoio di legno correva per tutta la lun-
ghezza della facciata.
La vecchia e povera casa Pinardi con la storica tettoia fu
abbattuta nel 1856 e sostituita con l’edificio che vediamo
oggi.
La fontana del cortile
Un pezzo di quella vecchia casa è rimasto qui. Guarda
quella vasca di pietra fissata al pilastro. Allora aveva una
pompa che gettava acqua abbondante e fresca. È l’umile
testimone, oggi malridotto e mortificato, dei primi tempi
e dei primi ragazzi di don Bosco. Lui stesso scrisse: «But-
ta acqua abbondante, freschissima e salubre». Ora butta
quella dell’acquedotto torinese. Qui i ragazzi venivano a
«bagnare la pagnotta» della colazione e della merenda.
L’acqua era il solo companatico.
Il fienile
Accanto alla casa Pinardi, sul luogo ove ora sta l’androne
che immette dal primo al secondo cortile, c’era un altro
poverissimo locale più basso che occupava quasi tutto il
fianco della casa (all’estrema destra nei disegni). Com-
posto di due vani uguali, uno serviva da stalla e l’altro da
legnaia. Sopra c’era lo spazio per il fienile. Fu proprio in
questo fienile che una sera d’aprile del 1847, don Bosco
mise a dormire alcuni poveri giovani senza tetto,
che il mattino dopo se la svignarono por-
tando via anche le lenzuola e le coperte che
aveva loro dato Mamma Margherita. Altri,
dopo di loro, fecero anche peggio: «La stes-
sa paglia fu involata e venduta» scrisse
don Bosco, che naturalmente nean-
che questa volta si scoraggiò. Anzi.
Trasformò questa tettoia in una sola
stanza abbastanza vasta, da servire
per le accademie e per le recite tea-
trali, specialmente nella cattiva sta-
gione, quando non poteva servire il
palco che veniva collocato all’aper-
to, nel cortiletto accanto alla cappella.
Fu il primo teatrino dell’Oratorio!
Gennaio 2019
23

3.4 Page 24

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AVVIENE A MARIA AUSILIATRICE
L’interno della cappella
Entrando nella cappella, vediamo sulla destra la statua di
Maria Consolatrice. È la prima statua che don Bosco com-
però per la sua prima chiesa. Non è di legno né di metal-
lo, troppo cara. È di cartapesta. Gli costò 27 lire (la paga
di un operaio meccanico in quel tempo era di due lire al
giorno). La statua originale si trova nelle camerette. Nelle
feste, i ragazzi portavano quella statua in
processione «nei dintorni».
I dintorni erano vastissimi prati
e campi, pochissime casupo-
le, e due osterie dove gli operai della periferia si ubriacavano regolarmente nel pomeriggio
di ogni domenica. Questo fatto disturbava, specialmente d’estate quando bisognava tenere
aperte le finestre della chiesetta. Durante la predica si sentivano i canti e gli urli degli ubria-
chi. A volte risse furibonde coprivano la voce del predicatore. Qualche volta don Bosco perdeva
la pazienza, scendeva dal pulpito, si toglieva cotta e stola e correva all’osteria a pestare pugni sul
tavolo e a gridare che adesso chiamava i carabinieri. Otteneva un silenzio sbigottito. Uscendo
dalla Cappella Pinardi, si sfiora con il braccio destro la minuscola sacrestia. È il locale strettissi-
mo in cui, nel 1853, don Bosco collocò il primo laboratorio dei calzolai: due deschetti e quattro
seggioline. Don Bosco si sedette al deschetto e martellò una suola davanti a quattro ragazzini.
Poi disse: «Adesso provate voi».
Il segreto della buonanotte
Sotto il portico, davanti alla cappella c’è una lapide che dice: «Qui c’era la cattedra donde per molti anni don Bosco parlò
ai giovani nel sermoncino della Buonanotte…». Quella della “Buonanotte” è una bella tradizione salesiana che è diffusa
in tutto il mondo e che è nata qui.
Una sera di maggio, un ragazzo bagnato e intirizzito, sui 15 anni, bus-
sò alla porta della casa di don Bosco. «Sono orfano. Ho freddo e non so
dove andare...». Mamma Margherita gli preparò un po’ di cena e gli disse:
«Dormirai qui, caro. E rimarrai finché ne avrai bisogno. Don Bosco non
ti manderà mai via». «Di poi» racconta don Bosco «fecegli un sermoncino
sulla necessità del lavoro, della fedeltà e della religione». I Salesiani han-
no affettuosamente visto in questo sermoncino
di Mamma Margherita la prima «buona not-
te» (una breve parola del capo della casa)
con cui si è soliti chiudere la giornata
nelle case salesiane, e che don Bosco
giudicava «chiave della moralità, del
buon andamento e del successo». Un
segreto magnifico per la vita familia-
re. Perché le ultime ore della giornata
devono essere le più belle.
Continua
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Gennaio 2019

3.5 Page 25

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CHIESA
O. PORI MECOI
Don Bosco a Panama
Una magnifica avventura
ISalesiani arrivarono a Panama nel 1907, ma
già il 2 gennaio 1888, due lettere erano arri-
vate sul tavolo di don Bosco. Una era del go-
verno della Colombia, a cui Panama apparte-
neva, e la seconda era del vescovo, monsignor
Peralta, che in buon italiano scriveva: «Oggi,
ho avuto il piacere di incontrare i cari sacerdoti
che vanno in Ecuador e avrei tanto desiderato,
per un momento, poter avere l’autorità che lei ha
su di loro, e poterne disporre a mio piacimento.
Dopo che ho conosciuto questi buoni padri e fra-
telli, non ho potuto fare altro che innamorarmi
di loro e desiderare che fossero il mio soccorso e
un grande rinforzo per questa diocesi». Il vescovo
si riferiva alla spedizione dei missionari destinati
all’Ecuador, guidati da don Luigi Calcagno. Fu
l’ultima spedizione inviata da don Bosco, che per
telegramma ricevette la notizia che i primi sale-
siani erano arrivati a Guayaquil, Ecuador, la sera
della sua morte. Raccontano le Memorie Biografi-
che (XVIII, 469): «Dalla Repubblica dell’Equato-
re giunse un telegramma che annunziava l’arrivo
dei nostri a Guayaquil. Don Rua glielo disse, par-
lando come si fa con chi è duro d’orecchi. Sembrò
a taluno di vedere ch’egli aprisse gli occhi e rivol-
gesse le pupille al cielo».
La risposta di don Rua fu negativa per la scarsità
di personale.
Quattordici anni dopo, poco prima della sepa-
razione di Panama dalla Republica colombiana,
fu proprio il governo di Bogotà che con la me-
diazione dell’ispettore salesiano della Colombia,
don Aime, sollecitò la fondazione di una scuola
professionale in Panama. Don Rua incaricò l’i-
La XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù
si terrà a Panama dal 22 al 27 gennaio 2019
e avrà come santo patrono don Bosco.
Panama ha un amore molto particolare
per don Bosco.
Durante la novena, in preparazione
al 31 gennaio, la gente canta: “Don Bosco
è di Panama e Panama è di don Bosco”.
spettore di prendere informazioni, ma scoppiò la
rivoluzione che avrebbe portato all’indipendenza.
Il governo della nuova Repubblica rinnovò la ri-
chiesta e don Rua designò nuovamente don Aime
come “esploratore” e il suo parere fu assolutamen-
te favorevole.
Finalmente, dopo tante vicissitudini, il Bollettino
Salesiano di ottobre 1909 poté orgogliosamente
annunciare: «Panama: il 15 agosto, grazie l’attivi-
tà di apposito Comitato di Cooperatori Salesiani,
si collocò la prima pietra di un Orfanotrofio in
La Basilica di Don
Bosco a Panama
City frequentata
annualmente da
molte migliaia di
fedeli.
Gennaio 2019
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CCHHIEIESASA
IL LOGO DELL’EVENTO
Alla GMG 2019
di Panama i
gruppi del MGS
s’incontreranno
mercoledì 23
gennaio presso
l’Istituto Tecnico
Don Bosco.
L’obiettivo
dell’incontro è
vivere la festa,
un’esperienza
di famiglia,
di fraternità
mondiale, di
protagonismo
giovanile e di
grazia.
quella importantissima città del centro Ameri-
ca. Era presente alla cerimonia l’eccellentissimo
signor Presidente della Repubblica. Il verbale,
posto nella prima pietra, venne firmato dalle Au-
torità e dai più ragguardevoli signori presenti; la
benedizione fu impartita, in assenza di Monsi-
gnor Vescovo, dal reverendissimo Vicario della
Diocesi. Anche la banda della repubblica, pre-
sente in grande uniforme, con gli accordi dell’in-
no nazionale aggiunse solennità alla cerimonia».
L’anno dopo, l’ispettore don Misieri, scriveva: «E
di Panama che dirò ? Qui don Bosco ha fatto veri
prodigi, muovendo anche il cuore dei più riottosi,
di maniera che in meno di sei mesi si vide sor-
gere uno splendido edificio capace di contenere
cento e più giovani. Costò cinquantamila scudi
e si è terminato senza un centesimo di debito. I
cooperatori, specialmente il papà dei Salesiani, il
sig. Nicanore Obarrio, riguardano l’opera nostra
come opera loro, e provvedono quanto è necessa-
rio per il suo sviluppo. Quanto bene potremo fare
se i Superiori ci daranno il personale necessario!».
Qualche salesiano arrivò e l’opera salesiana comin-
ciò a svilupparsi. Insieme alle scuole professionali
arrivò naturalmente un frequentatissimo oratorio
festivo e il 30 gennaio del 1949, fu collocata la pri-
ma pietra del Tempio di don Bosco, che in poco
tempo divenne centro di devozione nazionale.
A disegnare il logo scelto
dagli organizzatori come
simbolo dell’evento è
stata una giovane stu-
dentessa di architettura,
la ventenne Amar Calvo,
dell’Università di Panama. Nel suo intento c’è l’idea di
rappresentare la tenerezza e l’abbandono di Maria nel suo
“Fiat”. Diversi gli elementi che lo compongono: la forma
della M di Maria e del cuore che rappresenta il suo amore
di madre; la strada, ad indicare che lei è il sentiero per
l’incontro con Gesù; la stilizzazione dell’immagine di Maria
come segno di tenerezza; il profilo dell’istmo di Panama
per ricordare il luogo; i cinque puntini bianchi che formano
la corona di Maria simboleggiano i cinque continenti; e
infine la croce, che è il simbolo delle GMG dalla loro
nascita nel 1985. Anche i colori hanno il loro significato:
il rosso indica l’amore e la passione di Cristo e ricorda il
rosso della bandiera di Panama, così come pure il blu, che
è il colore della Vergine Maria e fa riferimento anche all’O-
ceano Pacifico, mentre il celeste, oltre ad indicare Maria è
anche il colore del Mare dei Caraibi.
Oggi, i Salesiani di Panama animano due grandi
opere, la Basilica di Don Bosco, frequentata an-
nualmente da migliaia di persone e che ospita l’ur-
na con un’insigne reliquia di don Bosco. Questo
santuario è diventato un focolaio di iniziative di
pastorale giovanile.
Poi l’Istituto tecnico Don Bosco, un centro fedele
alla sua missione di offrire istruzione tecnica ai
giovani panamensi. L’istituto ha un livello altissi-
mo ed è stimato in tutta la nazione.
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Gennaio 2019

3.7 Page 27

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“LA GMG È PER I CORAGGIOSI!
Le opere salesiane possono anche contare sull’am-
mirevole aiuto dei gruppi della famiglia salesiana
che lavorano mano nella mano con i figli di don
Bosco in questo paese.
Il centro della gioventù
d’America
Alla 2019 di Panama i gruppi del s’in-
contreranno mercoledì 23 gennaio presso l’Istitu-
to Tecnico Don Bosco. L’obiettivo dell’incontro
“è vivere la festa, un’esperienza di famiglia, di
fraternità mondiale, di protagonismo giovanile
e di grazia”. Sul sito della giornata viene speci-
ficato anche che “durante la festa il tuo gruppo
può partecipare con un programma artistico che
mostri la cultura del tuo Paese o diffonda la gioia
della salesianità”, e si può pure “presentare un’i-
niziativa, un’opera salesiana, un apostolato o un
programma giovanile alla Fiera Salesiana di in-
formazione e visibilità dei giovani”.
Il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime,
ha visitato Città di Panama nel 2016. E dall’affetto
e dalla devozione dei panamensi per don Bosco ha
trovato ispirazione per lanciare il progetto di trasfor-
mazione della Basilica di Don Bosco di Panama nel
“Valdocco d’America”: un centro che irradi la devo-
zione a don Bosco a tutti i giovani del continente.
Non per giovani che cercano solo la comodità e che si tirano indietro
davanti alle difficoltà. Accettate la sfida?” (Papa Francesco)
I Salesiani hanno organizzato tutto per accogliere il Rettor Maggiore, don
Ángel Fernández Artime, e le migliaia di giovani del Movimento Giovanile Sa-
lesiano (MGS). Don Rómulo Gallegos, dal Santuario di Don Bosco a Città di
Panama, fa il punto della situazione.
Che cosa significherà per voi la GMG di Panama?
Per noi è davvero un onore ospitare la GMG! Panama è un Paese in via di
sviluppo, con molte opportunità geografiche ed economiche. La sua gente è
una miscela di etnie e culture, è un popolo aperto, che allarga le braccia verso
il mondo ed è felice di accogliere il Papa e i pellegrini della GMG.
Come vi siete preparati, a livello di Chiesa panamense?
La Chiesa ha fatto grandi sforzi per prepararsi alla GMG. C’è un coordina-
mento centrale che riunisce tutti gli agenti pastorali coinvolti e c’è una com-
missione per l’accoglienza dei pellegrini. Va ricordato che sia il Coordinatore
Generale della GMG, sia molti membri del Comitato Centrale sono exallievi di
don Bosco o comunque facevano parte dei gruppi giovanili salesiani.
Quali cambiamenti state organizzando?
Da quando abbiamo appreso che la GMG sarebbe stata a Panama, noi Sa-
lesiani del Centroamerica abbiamo riflettuto sulla nostra presenza in questa
nazione, che ama così tanto don Bosco. Si stanno riformando le strutture della
Basilica di Don Bosco, il tempio è in fase di restauro, le strutture vengono
riadattate… Panama ha un amore molto particolare per don Bosco. Durante
la novena, in preparazione al 31 gennaio, la gente canta: “Don Bosco è di
Panama e Panama è di don Bosco”.
L’Ispettoria salesiana del Centro America ha
presentato il progetto “Panama, Valdocco d’A-
merica”, che mira a rendere il paese un centro di
devozione a don Bosco in tutta l’America Latina.
Il progetto avrà la sua base nella Basilica di Don
Bosco, situata nel quartiere popolare di Calido-
nia, a Città di Panama e, oltre a promuovere il
turismo religioso, mira a rafforzare l’educazione
integrale dei giovani, specialmente di quelli in
difficoltà e a rischio.
Il progetto è iniziato nel 2017 e continuerà fino al
2021.
L’affetto e la
devozione dei
panamensi per
don Bosco sono
straordinari.
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L’INVITATO
ANTONIO CARRIERO
Óscar Rodríguez Maradiaga
I salesiani non sono
passati di moda
Chi è Óscar Andrés
Rodríguez Maradiaga
secondo… Maradiaga?
Sono un figlio di don Bosco. Il mio
primo incontro con lui è iniziato mol-
to presto. Avevo sei anni quando mio
padre mi portò nel collegio salesiano
dove viveva il suo confessore. Rimasi
colpito ed entusiasta nel vedere tanti
bambini e giovani giocare in cortile.
Mio padre se ne accorse e mi disse:
«Tu verrai a studiare qua». Per me,
quello fu il regalo più grande che po-
tessi ricevere. L’anno seguente ero già
in prima elementare e il collegio di-
venne la mia seconda casa.
Non molto tempo fa, ho incontrato
l’ambasciatore della Colombia presso
la Santa Sede, il quale fu salesiano e
studente di filosofia, poi abbandonò
la Congregazione salesiana e andò in
Germania a conseguire un dottorato
in filosofia: insieme abbiamo parlato
dello spirito di famiglia che si vive
negli ambienti salesiani. E lui mi ha
detto: «La casa salesiana era la nostra
famiglia». Io e lui avevamo a casa i
nostri genitori, sorelle, fratelli… però,
per noi, la casa era la scuola salesiana.
C’era la musica, si giocava, c’erano i
colori, c’erano le “Compagnie”, l’an-
tica formula dell’associazionismo mo-
derno. Mi sentivo veramente bene in-
sieme agli amici, tanto che dovevano
pregarci di tornare a casa nostra, per-
ché non volevamo andarcene. Lo spi-
rito di famiglia era una componente
essenziale. Il direttore salesiano che
ebbi dalla mia quarta elementare fino
al penultimo anno fu per me come
don Bosco. In seguito divenne un
«Mio padre mi disse
che ero troppo birichino
per diventare sacerdote
e che sicuramente
mi avrebbero cacciato
il giorno dopo che fossi
entrato in seminario».
arcivescovo. Un altro salesiano – un
tedesco, un tipo forzuto a cui sarò per
sempre riconoscente – fu colui che mi
fece innamorare della chimica e della
fisica, tant’è che anni dopo decisi di
studiare entrambe le materie per poi
insegnarle a mia volta agli studenti.
La veste rossa da cardinale
non le ricorda forse quella
da chierichetto?
È così. Quella che indossai per la
prima volta a 8 anni era la divisa del
“piccolo clero” con cui salivamo attorno
all’altare. Per fare il chierichetto mi
dovevo alzare alle 5 e, senza aver fatto
colazione perché allora esisteva la nor-
ma del digiuno dalla mezzanotte, cor-
revo in chiesa. Mi vestivo e servivo la
messa in latino che, a dire il vero, allo-
ra non capivo granché. Recitavamo il
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rosario e ascoltavamo qualche lezione
di catechismo. Poi di corsa a colazione
e alle 7.30 ero in classe. Qualche volta,
il direttore della scuola, diventato poi
mio arcivescovo, mi portava a servire
la messa nella scuola delle suore. Noi
ragazzi facevamo a gara per andarci,
perché era l’unico modo per vedere le
ragazze. Una volta, tornando a casa,
mi chiese se mi sarebbe piaciuto di-
ventare prete. Risposi subito «sì». Ne
parlai con mia mamma che cominciò
a piangere, dicendomi che ero ancora
troppo piccolo per decidere, che non
avevo abbastanza salute e che avrei
dovuto chiedere il permesso a mio pa-
dre. Lui mi disse che ero troppo bi-
richino per diventare sacerdote e che
sicuramente mi avrebbero cacciato il
giorno dopo che fossi entrato in se-
minario. E comunque, prima di de-
cidere avrei dovuto finire il liceo. Ci
rimasi malissimo. Fu per me una vera
delusione. Accantonai il mio sogno e
pensai di diventare pilota come lo era-
no stati altri miei parenti. Mi piaceva
volare e alimentavo quest’altra mia
Il cardinal Óscar Rodríguez è dotato di una
magnifica capacità comunicativa.
A pagina seguente: la copertina del libro di
Antonio Carriero con l’intervista completa.
passione leggendo libri di aviazione,
studiando l’inglese, la lingua dei pilo-
ti, disegnando aerei e trasformandoli
in modellini.
Lei coltiva due “passioni”
importanti: la scienza e la
musica. Da dove arrivano?
La prima mi è stata instillata da un
sacerdote salesiano, un vero genio.
La seconda, invece, in famiglia. Mio
papà, rientrando dal lavoro, metteva
sempre su dischi, mentre mia sorel-
la maggiore era pianista. Anch’io
cominciai a strimpellare qualcosa.
Così mio padre mi iscrisse alla scuo-
la di musica. Ho resistito solo due o
tre mesi, perché non mi andava che
il sabato pomeriggio, mentre i miei
fratelli giocavano, io dovessi andare
a solfeggiare. Per fortuna, arrivò in
collegio un giovane salesiano spagno-
lo che suonava benissimo la fisarmo-
nica. Avevo 14 anni e mi innamorai
subito di quello strumento. L’anno
seguente il salesiano cambiò istituto e
io continuai per conto mio.
Con la fine del liceo si
presentò a suo padre per
riprendere il discorso
lasciato aperto anni
prima…
Eravamo verso la metà di gennaio del
1960. Mi presentai da mio padre e gli
chiesi: «Ti ricordi la promessa che mi
hai fatto a proposito del farmi prete?».
Non ci fu bisogno di molte parole. Mi
fece salire in macchina, con la valigia
e la mia fisarmonica, e ci presentam-
mo dai salesiani per entrare in novi-
ziato. Scelsi loro perché desideravo
tantissimo insegnare e diventare edu-
catore. E i salesiani erano specialisti
in questo.
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3.10 Page 30

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L’INVITATO
Che cosa l’affascinava di
più del carisma salesiano?
L’allegria, la qualità della vita comu-
nitaria in sé; soprattutto mi colpì che
ci fossero salesiani di tante nazionali-
tà e che tuttavia lavorassero uniti a un
unico progetto, e che tutti seguissero
don Bosco con amore. La mia ispet-
toria è quella del Centroamerica ed è
formata da confratelli di sei nazioni; a
questa varietà straordinaria si aggre-
gavano i confratelli missionari giunti
dall’Austria, dalla Germania, dall’I-
talia, dall’Ungheria, dalla Spagna
ecc., eppure eravamo tutti uniti nel
lavoro e allegri nella vita comunitaria.
Quell’esuberanza di gioia ci faceva in-
namorare del Vangelo, dell’ideale sa-
lesiano. Trascorrevamo tutto il giorno
all’interno della casa salesiana, al pun-
to che dovevano staccarci e mandarci
alle nostre case al tramonto e noi ce ne
andavamo con molta tristezza e con il
desiderio di tornare il giorno dopo.
Poi allargò i confini
della sua vita.
Nel 1961 – anno in cui presi i voti defi-
nitivi – andai all’università dedicando-
mi agli studi filosofici. Dopo gli studi
di teologia morale lasciai Sant’Anna e
tornai come incaricato degli studi del
teologato e dopo quattro mesi venne il
nuovo superiore che mi disse: «Doma-
ni lei va come direttore al filosofato».
Com’è possibile? Avevo solo trent’an-
ni. Come avrei fatto? Ho obbedito. Fu
la penultima obbedienza perché l’ulti-
ma non fu verso la Congregazione sa-
lesiana ma verso il Papa stesso, accet-
tando di diventare vescovo ausiliare di
Tegucigalpa.
Dopo tanti incarichi
importanti in America
Latina venne… precettato
dal Vaticano.
È vero, il Vaticano non mi ha mai
lasciato in pace… Prima mi hanno
nominato “consultore del clero”, poi
membro del “Cor unum” dove sono
rimasto 4 anni; ho lavorato nel pon-
tificio consiglio “Giustizia e pace” per
20 anni; quindi sono diventato mem-
bro del Pontificio Consiglio delle
comunicazioni sociali fino a quando
è stato chiuso il dicastero; sono stato
segretario del Sinodo e nella commis-
sione dell’America Latina. Non ho
avuto tempo di annoiarmi. Quando
pensavo di aver già dato abbastanza,
papa Francesco, nel 2013, mi ha no-
minato coordinatore del “consiglio dei
nove” incaricato di coadiuvare il Papa
nel compito di riforma del governo
della Chiesa e della Curia romana.
Pensa che don Bosco
sia ancora attuale?
Don Bosco è sempre attuale perché
ha fondato i salesiani per educare la
gioventù povera e abbandonata. Pur-
troppo, i giovani poveri sono dapper-
tutto e l’educazione, specialmente l’e-
ducazione dello Stato, è carente, per
non dire che non serve a niente: per
questo noi siamo necessari come al
tempo di don Bosco. Ahimè, ci sono
molti posti al mondo dove a tanti preti
diocesani non interessa affatto la gio-
ventù; alcuni si sono arresi prima del-
la battaglia, pensando che la gioventù
sia perduta e non ci sia più niente da
fare; altri invece hanno paura o non
sanno come trattare i giovani. Don
Bosco è un santo a cui la gente di tut-
to il mondo vuol bene. Panama, per
esempio, è un paese speciale per l’a-
more che nutre nei confronti di don
Bosco, e la storia è avvincente. All’i-
nizio del secolo, quando si costruiva il
canale di Panama, c’erano tanti operai
e tanti orfani a causa di un’epidemia
di febbre gialla.
C’era un salesiano italiano, padre Do-
menico Soldati, inviato dal Cile a Pa-
nama, e che cosa trovò? Tanti bambi-
ni orfani a causa dell’epidemia. Allora
aprì un piccolo ospizio per orfani. Poi
una scuola tecnica, dove quasi tutti
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Gennaio 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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LA MARCIA DEI DISPERATI
gli operai di Panama impararono un
mestiere. Dunque don Bosco è nell’a-
nima del popolo di Panama.
Ogni anno, in occasione della festa
di don Bosco il 31 gennaio, si fanno
tre novene al giorno per nove giorni
fino al 31 gennaio, una alle cinque
del mattino, una alle sei e mezza e
l’altra alle sette; poi per tutta la gior-
nata la Basilica rimane aperta per le
confessioni. C’è gente, addirittura,
che fa la confessione pasquale per la
festa di don Bosco! Io sono stato in-
vitato una decina di volte a predicare
quelle novene: è una fatica enorme,
perché il clima è caldissimo e umido,
così, quando dalla Basilica passano
quotidianamente circa milleduecento
persone a ogni novena, uno ne esce
esausto. Il giorno della festa c’è una
processione di circa quattrocentomila
persone e la città è letteralmente para-
lizzata. Neppure a Torino c’è questo.
Adesso, a Panama, c’è anche l’urna di
don Bosco perché il Rettor Maggiore
dei salesiani ha deciso di destinarla a
questa terra.
I giovani ci aspettano. Noi salesiani
non siamo passati di moda. Siamo di
grande attualità. E di questo dobbia-
mo convincere tanti confratelli i quali
sono già “pensionati”, e questo è tri-
ste. Ma è la mentalità del mondo, vo-
Circa 2300 bambini, che
viaggiano con la carovana di
migranti partiti da El Salva-
dor, Guatemala e Honduras,
hanno bisogno di protezione
e accesso a servizi essenzia-
li come assistenza sanitaria,
acqua pulita e servizi igienici
adeguati. Lo afferma l’Uni-
cef, presente sul campo con
i propri operatori per portare
aiuto e assistenza alle decine
di migliaia di persone che si
trovano ora nel Messico me-
ridionale. Il lungo e faticoso
viaggio ha lasciato i bambini esposti alle intemperie, comprese le temperature pericolo-
samente calde, con accesso limitato ad un riparo adeguato. Alcuni si sono già ammalati o
hanno sofferto di disidratazione. Molti dei bambini e delle famiglie della carovana stanno
fuggendo da bande e da violenze di ogni genere, estorsioni, povertà e accesso limitato a
un’istruzione di qualità e a servizi sociali nei loro Paesi d’origine. In Messico, Unicef sta
lavorando con il governo e altri partner per garantire che i bambini sradicati ricevano il
sostegno e i servizi di cui hanno bisogno e che i loro diritti siano rispettati. Ciò include la
fornitura di assistenza tecnica alle autorità in materia di nutrizione e protezione dei bambini
e l’ampliamento dell’accesso al sostegno psicosociale. Unicef e i suoi partner forniscono
inoltre ai bambini e alle famiglie della carovana oltre 20 000 litri di acqua potabile sicura, kit
igienico-sanitari, sali per la reidratazione orale, protezione solare e sapone. In tutto il Nord
dell’America Centrale e in Messico, Unicef continua inoltre a fornire sostegno psicosociale
ai bambini e alle famiglie che hanno subito violenza, sfruttamento e abusi in diverse fasi del
viaggio migratorio. L’invito dell’Unicef a tutti i governi è quello di dare priorità all’interesse
superiore dei bambini nell’applicazione delle leggi e delle procedure sull’immigrazione, a
tenere unite le famiglie e a trovare alternative alla detenzione dei bambini.
ler lavorare poco. Invece don Bosco ci
raccomandava lavoro e lavoro… non
possiamo dimenticare questo.
Che cosa cercano i giovani,
oggi, negli adulti?
Per me, uno dei problemi è il diso-
rientamento dei giovani. Abbiamo
tecnologie avanzate per orientarci,
come il gps, grazie al quale uno può
arrivare in qualsiasi parte del mondo,
ma ci manca un “gps spirituale”. Tanti
giovani sono vuoti dentro, non cono-
scono Dio, perché nessuno gliene ha
parlato, e cercano ma non trovano.
Penso che questo sia un guaio. Un
altro punto è che molti adulti dicono
che questi giovani non servono, dun-
que si tengono a distanza da loro. Poi,
in molte famiglie hanno dimenticato
che cosa significhi la parola “giovane”,
perché non si fanno più figli, e questa
è una questione sociale. Per questo
una Chiesa “in uscita” è necessaria.
Noi dobbiamo uscire dalle sacrestie
per trovare i giovani, trovarli lì dove
sono, e non aspettare che vengano da
noi. I giovani vogliono sentirci loro
amici, che stiamo con loro, in mez-
zo a loro, non per condannarli ma per
essere amici, e questo è elementare.
Alla mia età non ho nessun proble-
ma a incominciare un nuovo rapporto
con i giovani. Se comincio a cantare,
tutti cantano e sono felici, e poi dopo
possiamo parlare.
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4.2 Page 32

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TEMPO DELLO SPIRITO
B.F.
Dieci propositi
per un anno felice
«Non sempre si è felici quando si è buoni; bene», abbracciate e baciate le persone care. Salu-
ma si è sempre buoni quando si è felici» tate sempre con cordialità e chiamate le persone
per nome. Non intestarditevi nelle discussioni.
1. Fate quello che “dovete” fare!
Mettete più energia in tutto e risolvete finalmen-
te le piccole seccature. Affrontate con decisione
l’aspetto fisico e quello mentale. Camminate di
più e andate a dormire prima. Mettete ordine
nei cassetti e buttate via tutte le cose e i vestiti
che non usate più. Sbrigate le faccende antipati-
che che state rimandando. Rispondete a tutte le
email.
2. Date dimostrazioni d’amore
Non esiste l’amore; esistono solo le dimostrazioni
d’amore. La gentilezza è l’amore dato a buffetti.
Ingoiate la voglia di criticare tutto e non scaricate
sugli altri le vostre tensioni. Dite spesso «Ti voglio
3. Mettete entusiasmo nel lavoro
La tecnica migliore consiste nell’organizzare me-
glio le giornate. Proponetevi un compito ogni
giorno e tenete duro finché non l’avete portato
al termine. Ogni lavoro ha qualche aspetto gra-
devole.
4. Sorridete di più
In una giornata ci sono tante preoccupazioni o
situazioni spiacevoli, ma ci sono anche tanti mo-
menti divertenti e piacevoli. Decidete di ricordare
soprattutto questi. Giocate di più in famiglia e
festeggiate tutti i compleanni, gli anniversari e gli
onomastici con un po’ di fantasia. Raccontate a
figli e nipoti i ricordi della vostra giovinezza.
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4.3 Page 33

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5. Trovate tempo per gli amici
Ricordate le date importanti. “Fatevi vivi”: invita-
te gli amici e accettate volentieri i loro inviti. Non
spettegolate. Più spesso vedete una persona, più
la troverete interessante e intelligente. Ascoltate
volentieri i ricordi degli altri. Consolate gli amici
nei momenti difficili.
6. Tenete in forma e in buona
salute il vostro corpo
Che tenersi in esercizio faccia bene è dimostrato
da un numero incredibile di prove. Oltre a gode-
re di altri benefici, chi fa movimento è più sano,
ragiona più lucidamente, dorme meglio e mostra
un’insorgenza della demenza senile ritardata. Al-
lenarsi regolarmente accresce il livello di energia;
nonostante qualcuno pensi che sia semplicemente
stancante, in realtà tenersi in esercizio incrementa
l’energia, specialmente negli “animali da divano”.
Camminare aiuta a pensare. Anche Nietzsche
scrive: «Tutte le idee veramente grandi si concepi-
scono camminando».
7. Stimolate la mente
in modo nuovo
Conquistate l’abitudine alla consapevolezza.
Prestate attenzione al momento presente: vive-
telo pienamente e gioiosamente. Non tornerà
mai più. Le giornate sono lunghe, ma gli anni
sono brevi.
Un poeta latino, Orazio, scrisse: «A mano a mano
che passano, gli anni ci tolgono una cosa dopo
l’altra». Aggiornatevi sulla tecnica, la musica, i
libri, il cinema. Cercate sempre almeno cinque
alternative ad ogni problema o difficoltà.
8. Siate tolleranti
La flessibilità è una forma di saggezza pratica,
è l’intelligenza che vive nel presente e che ha la
disponibilità e la fluidità necessarie per adattarsi
al nuovo. Chi non cede mai e vuole essere il più
forte a tutti i costi è in realtà il più debole, e appa-
re spesso ridicolo e patetico. Accettate le piccole
contrarietà di cui la vita ogni giorno è piena.
9. Partecipate
Il senso di appartenenza, cioè la convinzione di
essere parte di un’entità più grande di noi, con
cui abbiamo un coinvolgimento fisico, emotivo,
mentale e spirituale, è un fattore necessario al
nostro benessere. Se manca ci sentiamo male. La
quasi totalità degli studiosi sostiene che quando
questo bisogno non è soddisfatto siamo più vul-
nerabili alla depressione. Ricordate spesso, quan-
do incontrate degli sconosciuti, che «sono tutte
persone come noi».
Leggete molto, tenetevi informati e guardate la
televisione con intelligenza critica.
10. Aprite la porta all’Infinito
Pregate ogni giorno. Nel profondo del nostro
essere c’è una fonte inesauribile di felicità. Pen-
sate alla tenera testimonianza di un uomo: «Mia
moglie morì durante l’attentato dell’11 settembre
2001. Ricordo che quando tornai a casa buttai
tutto ciò che le apparteneva e che mi faceva pen-
sare a lei. L’unica cosa che decisi di tenere fu una
palla gonfiabile da spiaggia. Perché lì dentro c’era
ancora il suo respiro».
Dice la Bibbia: «Dio, il Signore, prese dal suolo
un po’ di terra e, con quella, plasmò l’uomo. Gli
soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo diventò
una creatura vivente» (Genesi 2,7).
Non dimenticatelo mai: in voi, e in ogni persona
che incontrate c’è il respiro di Dio.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
1 La dinamite non serve,
bastano le idee specieviventi,chel’uomoha–alme-
no entro certi limiti – acquisito il po-
tere di dominare il mondo.
Il tracollo morale che è sotto gli occhi di tutti,
La selezione naturale, ossia il processo
per cui tutte le specie viventi si evolvo-
è la logica conseguenza del tracollo mentale. no, è stata definita «la sopravvivenza
del più adatto»; ma sarebbe più esatto
Q uando si dice ‘ragionare’, si
parla di un verbo incande-
scente, dirompente. Non è
un’affermazione d’un cervello
a corto di ossigeno: quando
diagnosticando che le loro idee critiche
nei confronti dell’utopia comunista
erano sintomi di disturbi mentali.
Chiaro, no? Le idee mettono paura. È
naturale che sia così: I pensieri fanno
parlare di «scomparsa del meno
adatto», dal momento che la natura
non favorisce le specie più riuscite
ma porta a rapida estinzione quelle
incapaci di adeguarsi alle mutate
la mente è sotto pressione nascere le cose.
esigenze ambientali.
(quando ‘ragiona’, appunto) produce Forse non l’abbiamo mai pensato, ma I dinosauri vissero e prosperarono
‘materiale’ che lascia il segno o nel i pensieri sono i veri protagonisti di per milioni di anni, eppure, a quanto
bene o nel male.
tutto.
pare, scomparvero nel giro di una ge-
Una cosa è certa: fino a questo mo-
nerazione quando il clima cambiò e le
mento non si è ancora trovato il pen- I piedi vanno dove
siero inutile.
Ne era convinto, ad esempio, lo stesso
li porta il cervello
loro risorse alimentari incominciarono
a scarseggiare. Lo sfortunato uccello
dodo, con il suo corpo goffo e le sue
Benito Mussolini, il quale, parlando “Quelle che conducono il mondo non sono ali inservibili, sopravvisse felicemente
del pensatore e uomo politico Anto- le locomotive, ma le idee”, notava già, a nelle isole Mauritius fino all’arrivo di
nio Gramsci era tassativo: «Bisogna suo tempo, lo scrittore francese Victor predaci esseri umani che lo trovarono
impedire a quel cervello di pensare!». Hugo.
buono da mangiare. Incapace di lottare
In Russia (ci spiace portare un secondo Saper risolvere problemi nel più o di volare, la povera bestia scomparve,
esempio per nulla piacevole), dopo la ampio senso della parola: in questo divorata via, dalla faccia della terra.
morte di Stalin (1953) i dissidenti non consiste concretamente l’intelligenza. L’intelligenza, ovvero la capacità di
venivano più spediti nei campi di con- È per questa capacità di risolvere imparare e di adattarsi; di fare scelte
centramento, come prima, ma veni- una più vasta serie di problemi più piuttosto che subirle; di risolvere e
vano rinchiusi in ospedali psichiatrici rapidamente ed efficacemente di altre vedere i problemi, si è dimostrata la
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più efficace strategia di sopravvivenza
mai conosciuta su questa terra. Essa
potrà, certo, non risultare la strategia
vincente a tempo indefinito, perché
non appare troppo improbabile la
possibilità di un autoannientamento
della razza umana. Ma per quanto ri-
guarda il passato, e per un futuro più
ottimisticamente previsto, si tratta di
un metodo indubbiamente efficacissi-
mo per affrontare ogni sorta di mu-
tamenti. Mutamenti così spettacolari
che una specie dotata di minor flessi-
bilità intellettuale sarebbe stata ormai
da tempo sopraffatta.
Così la tragedia assurda, allucinan-
te, dello squarciamento delle Torri
Gemelle di New York (11 Settembre
2001) non l’hanno provocata gli aerei,
ma la follia di cervelli plagiati.
Ecco; le idee fanno nascere le cose!
Sta qui il loro potere dirompente.
Le camere a gas le hanno inventate
coloro che le hanno pensate. Hitler
ha solo aperto il rubinetto e acceso il
fiammifero.
Insomma (e siamo al punto cui mira-
vamo) la mancanza di teste ben fatte
porta alla malora perché è pericoloso
lasciar vincere i folli e gli stupidi.
A questo punto possiamo scoprire
qual è la nostra interpretazione del
mondo d’oggi: il tracollo morale che
è sotto gli occhi di tutti, è la logica
conseguenza del tracollo mentale!
In altre parole vogliamo dire che il
dramma di fondo dell’oggi è il fatto
che mentre le teste ben piene sono cre-
sciute a dismisura, sono paurosamente
diminuite le teste ben fatte.
Ecco perché quest’anno ci proponia-
mo di utilizzare queste pagine per
chiamare in causa la mente dei lettori
stimolandoli a ragionare.
La rana distratta
C’era una volta una rana che saltella-
va lieta tra fossi, risaie e fresche fo-
glie di ninfea. Inseguendo un paio di
ronzanti insetti volanti, arrivò
balzo dopo balzo nell’aia di un casci-
nale. In un angolo discreto e riparato,
la rana curiosa scoprì un pentolone.
Saltò sull’orlo e vide che era pieno di
acqua limpida e fresca.
«Una magnifica piscina tutta per
me!» pensò.
Si tuffò con una elegante piroetta e,
alternando tutti gli stili di nuoto in
cui eccelleva, cominciò a sguazzare
allegra e spensierata.
Ma una mano distratta accese il fuo-
co sotto la pentola. L’acqua si riscaldò
pian piano. Presto divenne tiepida. La
rana trovò la situazione piacevole: «Di
bene in meglio! La piscina è riscalda-
ta» e continuò a nuotare.
La temperatura cominciò a salire.
L’acqua era calda, un po’ più calda di
quanto piacesse alla rana, ma per il
momento non se ne preoccupava più
di tanto, soprattutto perché il calore
tendeva a stancarla e stordirla.
L’acqua ora era davvero calda. La rana
cominciò a trovarla sgradevole ma era
talmente indebolita che sopportava, si
sforzava di adattarsi e non fece nulla.
La temperatura dell’acqua continuò
a salire progressivamente, senza bru-
schi cambiamentì, fino al momento
in cui la rana finì per cuocere e mori-
re senza mai essersi tirata fuori dalla
pentola.
Immersa di colpo in una pentola d’ac-
qua a cinquanta gradi, la stessa rana
sarebbe schizzata fuori con un saluta-
re salto da record olimpico.
Di questi tempi, la temperatura della
stupidità sta pericolosamente aumen-
tando. Saltiamo fuori finché siamo in
tempo. Per farla breve: non c’è alter-
nativa: o bolliti o pensanti!
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La paura di
volare
«Il mondo corre ed io fermo distante,
sognatore di grandi promesse,
io ancora scappo dall’essere grande.
Come Peter Pan».
Diventare adulti spesso fa paura. A pre-
scindere dall’età anagrafica e dai diversi
itinerari esistenziali che ci siamo ritrovati
a percorrere, ci spaventa l’idea di dover
farci carico di nuovi impegni e respon-
sabilità, di essere chiamati a compiere
scelte importanti e decisive per il nostro futuro,
di dover fare affidamento solo sulle nostre forze,
imparando a danzare in equilibrio sul filo sotti-
le della complessità senza alcuna rete di prote-
zione ad attutire eventuali cadute. Soprattutto,
ci terrorizza la prospettiva di ritrovarci a vivere
un’esistenza in cui tutto ci sembra già scritto, in
cui abbiamo la sensazione di essere condanna-
ti a rivestire rigidi ruoli predefiniti, prigionieri
di sentieri obbligati in cui non c’è spazio per le
deviazioni, per la creatività, per l’improvvisazio-
ne. Forse perché istintivamente avvertiamo che
la vita che abbiamo ricevuto in dono è un bene
troppo raro e prezioso per rinunciare così presto
a inseguire i nostri sogni più grandi e ambiziosi,
barattandoli con un po’ di stabilità e qualche cer-
tezza malferma.
Gli psicologi la chiamano “sindrome di Peter
Pan” poiché, a volte, questa fisiologica paura di
Ho di nuovo invertito le rotte,
il mondo corre ed io fermo distante,
sognatore di grandi promesse,
io ancora scappo dall’essere grande.
Ho provato a nuotare tra gli altri e
vivere il giorno tra impegni e ritardi,
avere un ruolo fra i tanti di tutti,
sentirmi parte di un gruppo.
Vuoi volare con me?
Vuoi volare con me?
Come Peter Pan,
Peter Pan,
Peter Pan,
come Peter Pan...
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crescere si traduce in un’eterna fanciullezza se-
gnata dalla tendenza a vivere schiacciati nel qui
ed ora del presente, dall’incapacità di fare progetti
realistici per il futuro, da una profonda immatu-
rità che si ripercuote negativamente anche sulla
sfera affettiva e relazionale. Ma, al di là dei casi
patologici in cui il rifiuto di ogni dovere o re-
sponsabilità connessi con la condizione adulta si
trasforma in una vera e propria fuga dalla realtà,
si tratta – a ben guardare – di un passaggio inelu-
dibile nel cammino verso l’adultità, nella misura
in cui ognuno di noi si trova prima o poi a con-
frontarsi con la paura di superare i propri limiti e
di spiccare il volo.
Ma diventare adulti non significa necessariamen-
te rinunciare a realizzare le proprie ambizioni per
farsi carico del fardello opprimente della respon-
sabilità. Non significa neppure lasciarsi alle spalle
Mi sento appeso ad un filo lontano che,
che se lo seguo non so dove arrivo e
ho chiesto al vento di essere bravo,
portarmi altrove per sentirmi vivo.
Io provo a vivere quello che trovo, ma poi,
ma poi mi pento e ritorno di nuovo
in questo posto in cui volano stelle,
e se alzi il braccio puoi prenderle tutte,
qui dove non potrò perdere il sogno perché
è troppo vero per esser distrutto.
Io no, io non ci torno – ho giurato a fatica – ,
io resto qui fino alla prossima vita!
Intanto volo e c’è un fiume qui sotto,
mi porta verso il tuo atteso ritorno,
ti seguo e tu sei già pronta a volare,
ti prendo e siamo parte del mare.
Vuoi volare con me?
Vuoi volare con me?
Come Peter Pan,
Peter Pan,
Peter Pan,
come Peter Pan...
(Ultimo, Peter Pan – Vuoi volare con me?, 2018)
quella spensieratezza e quella leggerezza proprie
dell’adolescenza per adattarsi a vivere un’esistenza
fatta solo di obblighi e sacrifici.
Se è vero che il percorso verso l’adultità compor-
ta impegno, fatica, capacità di resilienza, ciò non
vuol dire che diventare adulti non possa rivelarsi
anche la più travolgente ed appagante delle av-
venture. Crescere è, infatti, il dinamismo pro-
prio di chi riesce a esprimere il meglio di sé, di
chi ha imparato a dare pienezza alla propria vita
anche in una quotidianità talvolta monotona e
ripetitiva, di chi compie le proprie scelte con
consapevolezza, di chi non ha paura di spiegare
le ali e di volare, non già per fuggire da se stesso
e dalla realtà che lo circonda in direzione di una
fantomatica “isola che non c’è”, ma per puntare
con coraggio e decisione verso il futuro che ha
progettato per sé.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Un immenso tesoro...
sfuggitogli subito di mano
Don Bosco erede di 10 milioni di lire (44 milioni di Euro).
Una bufala? Una fake news come si usa dire oggi?
Oppure no?
Una sorpresa dall’Archivio Segreto Vaticano.
La caccia al tesoro
dei Goti
Alarico I, re dei Visigoti nel 410 aveva
permesso ai suoi soldati di saccheg-
giare tutte le case di Roma. Carico di
bottino, si diresse a Reggio con l’in-
tenzione di invadere la Sicilia e poi
l’Africa. Alla fine vi rinunciò, riprese
la via del continente, ma quando era
nei pressi di Cosenza, improvvisa-
mente morì.
Secondo la leggenda venne seppellito
con i suoi tesori nel letto del fiume Bu-
sento. Il luogo esatto della sua tomba
rimase un mistero e del leggendario
tesoro si favoleggiò per secoli. La feb-
bre del possibile bottino scatenò a più
riprese intellettuali, studiosi, politici
e gente comune. La più recente “cac-
cia al tesoro” è quella avviata alcuni
anni fa dal sindaco di Cosenza, che
ha coinvolto nella campagna di sca-
vi la Sopraintendenza Regionale dei
Beni culturali. Immediato è giunto lo
stop del Ministero, che ha imposto di
sospendere i lavori appena iniziati.
E don Bosco?
Mentre frugavo alla ricerca di lettere
di don Bosco nell’Archivio Segreto
Vaticano, in un faldone di una ven-
tina di documenti ho scoperto che
nel settembre 1881 il marchese se-
nese Alessandro Richi Ruspoli aveva
autorizzato l’imprenditrice perugina
sig.ra Ida Torelli a cercare un tesoro,
da lei supposto, sotterrato nei ter-
reni della propria tenuta in località
Ponte Felcino (periferia di Perugia).
La signora era decisamente convin-
ta dell’esistenza di un “tale tesoro
depositato da un “tesoriere di un re
dei Goti”: valutabile in 60 milioni di
lire, una cifra impressionante (265
milioni di Euro).
Secondo un accordo sottoscritto,
metà di esso sarebbe rimasto nel-
le mani del marchese, l’altra metà
dell’imprenditrice, che comunque si
impegnava a condurre gli scavi a sue
spese e ad adempiere agli obblighi di
legge. Ad assistere ai lavori previsti
fra il 20 ottobre e il 10 novembre ed
eseguiti dai contadini locali, ci sa-
rebbe stato anche un fiduciario del
marchese.
Per imprecisati motivi il progetto fu
temporaneamente sospeso e l’anno
successivo il 17 aprile, con il parere
favorevole dell’arcivescovo di Peru-
gia, il marchese ammalato cedette i
suoi diritti per un terzo a papa Leone
XIII, a favore e tutela delle “sorelle
dei Poveri”, di cui il religiosissimo
marchese era benefattore e protettore,
per un terzo al nipote Luigi Piccolo-
mini e per un terzo “a favore di don
Bosco per un Istituto da erigersi in
Siena a favore dei poveri bambini”.
Un ricchissimo lascito
testamentario
Il marchese morì improvvisamente.
Pubblicato il testamento, il 25 aprile
don Bosco venne informato del lasci-
to in suo favore (10 milioni di lire).
Si premurò di contattare le autori-
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tà pontificie che immediatamente
chiesero all’Uditore papale, monsi-
gnor C. Laurenzi, vescovo di Amata,
di condurre un’indagine al riguardo.
Il 4 maggio dal parroco don A. Foti
ebbe tutte le precisazioni del caso:
non si tratta di vero testamento ma
di un foglio ad esso allegato, il nipo-
te Piccolomini non sapeva del “fatto
cupo ed incertissimo” delle suddette
disposizioni del marchese, la signora
Ida insisteva nel cominciare i lavo-
ri di scavo, don Bosco aveva “già in
mano tanto da potere agire gagliar-
damente” (cosa intendesse con tale
espressione non è chiaro). Aggiunge-
va anche che lo stesso Piccolomini,
in attesa di “vedere le carte”, aveva
adottato la tattica di far scavare l’im-
prenditrice qua e là, burlandosi del-
la cosa, temporeggiando per evitare
molestie e per “spegnere le speranze
occulte e meditate”.
Don Bosco dal canto suo, su richie-
sta della curia romana, già il 30 aprile
aveva a sua volta chiesto al succitato
don Foti conferma dell’avvenuto ap-
palto stipulato dal marchese con l’im-
prenditrice per la ricerca del “suppo-
sto tesoro”. Il Foti lo confermò pure a
monsignor Laurenzi il 9 maggio.
Pronti per gli scavi
Cosicché a metà maggio 1882 il nipo-
te del marchese scrisse direttamente
al pontefice che era disposto ad avvia-
re i lavori di scavi “insieme con don
Bosco e con la signora Ida Torelli”.
La Santa Sede allora, informata che
l’appaltatore degli scavi, un certo Lui-
gi Buzzonetto, era affidabile perché
“buon lavoratore,” anche se “grezzo
e di meschina fortuna” e che l’arci-
vescovo di Perugia era disponibile a
trovare la persona che ne sorvegliasse
i lavori, sembrò dare il suo beneplaci-
to ai lavori.
La dura realtà
C’erano dunque tutte le condizioni
per avviare la caccia al tesoro. Invece,
a quanto pare, i lavori non iniziarono
mai e il sogno di don Bosco di ere-
ditare un bel capitale – se mai l’aves-
se seriamente coltivato – svanì nello
Nel grande dipinto del pittore Mario Bogani,
recentemente scomparso, sono rappresentati
i veri “tesori” di don Bosco.
spazio di un mese. Se avesse avuto a
disposizione la leggendaria somma,
che uso ne avrebbe fatto? Non si sa.
Ognuno è libero di avanzare le sue
ipotesi; io ho la mia, quello che però
è certo è che la storia non si fa con i
“se”.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo
il beato Tito Zeman nel cinquantesimo
della sua morte (8 gennaio 1969).
O Dio, che hai ispirato al beato Tito, sacerdote
e martire,
il coraggio di obbedire senza timore al Vangelo,
e di esporre la vita per i fratelli,
aiuta anche noi, per sua intercessione,
ad avere cura del nostro prossimo,
fedeli e perseveranti nella vocazione cristiana.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio,
che è Dio e vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.
Ringraziano
Vogliamo ringraziare il Signore
per un fatto che è successo il 17
maggio 2015, a Mario Campa-
gnolo, il quale si trovava in gra-
vissime condizioni all’Ospedale
di Treviso in conseguenza di un
incidente stradale in moto. Noi
famigliari e amici abbiamo offerto
la nostra preghiera per interces-
sione del beato Luigi Variara
per la sua guarigione, e dopo 40
giorni in coma Mario si è sveglia-
to e ha incominciato a ricordare le
cose piano piano. Di questo fatto
ringraziamo il Signore perché
sappiamo che le cure mediche e
i professionisti che l’hanno fatto
tornare in piedi sono stati indi-
spensabili, certo, e pure tutti bra-
vissimi, però le preghiere sono
state importantissime, perché
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
alle preghiere abbiamo affidato
la causa e le premure dei medici.
Come cristiani ringraziamo il Si-
gnore e il beato Luigi Variara che
ci hanno aiutato.
Io e mio marito ci siamo affidati
alla Madonnina e a san Dome-
nico Savio per la grazia di poter
avere un bimbo, ed è nato con un
parto molto complicato durante
il quale mi sono affidata a san
Domenico di cui portavo l’abi-
tino, il nostro Nicolò Filippo. In
altre occasioni problematiche di
salute ci siamo sempre affidati a
san Domenico e alla Madonnina e
abbiamo ricevuto sempre grandi
grazie.
Gianpaola Scramuzza, Prizzi (PA)
Dopo 5 anni di matrimonio tra
lotte e speranze che andavano in
frantumi, grazie all’intercessione
di san Domenico Savio sono
rimasta incinta di mia figlia. Sono
andata anche a Torino nella me-
ravigliosa basilica santa Maria
Ausiliatrice come mio eterno rin-
graziamento. Da sette anni vivo il
mio miracolo di nome Eva.
Maria Teresa, Reggio Calabria
Alcuni anni fa ho letto la biogra-
fia di suor Eusebia Palomino,
non ancora beata. Sono rimasta
affascinata da questa conoscenza
e da allora mi sono sempre rivolta
a lei. Lo scorso anno sulla rivista
della Mondadori “Il mio Papa”
ho letto la motivazione della sua
beatificazione e mi sono confer-
mata nella venerazione per lei.
Alcuni anni fa ho avuto due sue
immagini con una piccola reli-
quia: una la tengo sul comodino
da notte, affidandomi sempre a
lei con questa piccola preghie-
ra: “Suor Eusebia prega per me”.
L’altra l’ho data ad una ragazza
che aveva difficoltà in famiglia:
nel giro di due giorni tutto si è
appianato.
Eloisa de’ Santis, Chieri
Ho 86 anni, e tutta la mia vita è
stata caratterizzata da tanti fili in-
visibili che, in un modo o nell’altro,
alla fine mi hanno sempre portato
a don Bosco e all’Ausiliatrice.
Sono un exallievo dei Salesiani di
Cisternino. Ho mosso i miei primi
passi, come falegname, proprio in
questo Istituto. Anni dopo emigrai
a Torino, città tanto cara a don Bo-
sco, e anche lì mi ritrovai a lavora-
re, come falegname, proprio pres-
so i Salesiani. Alla scuola di don
Bosco ho imparato ad amare l’Au-
siliatrice, amore che, con gli anni,
non ha fatto altro che crescere. Il
27 maggio 2018, festa dell’Ausilia-
trice, dopo aver partecipato, come
ogni anno, alla straordinaria pro-
cessione, facevo ritorno a casa,
o almeno questo è quello che
credevo. Quella sera, però, a casa
non arrivai perché, pochi metri
prima, una macchina mi venne
addosso, facendomi fare un volo
di più di venti metri. I medici non
si spiegano come io possa essere
uscito vivo dalla macchina, tutta
accartocciata, talmente accartoc-
ciata che, per tirarmi fuori, hanno
dovuto chiamare i vigili del fuoco.
Io non sono un uomo di scienza,
e se dovessi trovare una spiega-
zione logica a tutto questo, non
saprei cosa dirvi... Posso però
dirvi quello che ho sentito: “Qual-
cuno che mi prendeva in braccio, e
dolcemente mi adagiava dall’altro
lato della strada. Io non ho dubbi
che quelle braccia, che mi hanno
protetto, siano state le braccia del-
la Nostra Mamma Celeste, proprio
nel giorno della Sua festa”. Grazie
Maria! W Maria!
Ciro Molendini, Cisternino (BR)
Desideriamo ringraziare il Si-
gnore, Maria Ausiliatrice e
san Domenico Savio per la
nascita di Simona avvenuta il
20/08/2018. L’abitino è appeso
alla culla affinché protegga bim-
ba e genitori negli anni a venire.
A. e F., Bergamo
Mio figlio di 21 anni ha avuto un
infortunio alla caviglia, durante
un allenamento di calcio. Si rifiu-
tava di andare al pronto soccorso
per timore di essere ingessato
e non poter così guidare l’auto
per andare all’università. Sono
riuscita a convincerlo ad andare
dal medico, che gli ha consigliato
una radiografia per escludere la
frattura. Mi sono raccomandata
a Mamma Margherita che già
in un’altra occasione simile aveva
favorito una conclusione positi-
va. Abbiamo fatto la radiografia
e fortunatamente è stata esclusa
la frattura: mio figlio potrà re-
cuperare con il riposo ma senza
dover immobilizzare l’arto. Sono
molto sollevata perché sono sola
a dovermi occupare di mio figlio
poiché sono vedova da 14 anni.
Lorena Colla, Parma
Vorrei ringraziare san Dome-
nico Savio per averci donato
Caterina a marzo 2018. Dopo vari
tentativi falliti, ho ricevuto in dono
il vestitino di san Domenico e affi-
dato alla sua protezione la mia pic-
cola durante la gravidanza. Questa
volta tutto è andato bene.
Manuela
40
Gennaio 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don Ugo de Censi
Morto in Perù, il 3 dicembre 2018, a 94 anni
Alle prime ore del mattino del 3
dicembre si è iniziata a diffondere
la notizia della morte di un grande
salesiano, un uomo di Dio, che ha
dedicato tutta la sua vita ai giovani:
don Ugo de Censi Scarafoni, per
tutti, semplicemente, “don Ugo”.
La sua vita intensa, sacrificata,
piena di affetto offerto e ricevuto,
è un esempio che ha influito sul-
le scelte di vita di molti giovani.
Ha animato migliaia di ragazzi,
fondato centri, parrocchie, scuo-
le, laboratori, ospedali, case di
accoglienza, istituti, seminari, un
monastero… Ma soprattutto, si è
preoccupato dei poveri, dei giova-
ni in difficoltà. All’età di 94 anni ha
raggiunto la Casa del Padre.
Don Ugo era nato il 26 gennaio
1924 a Polaggia, un paesino in
provincia di Sondrio. Proveniente
da una famiglia umile e semplice,
fu educato, insieme con i suoi
cinque fratelli, all’amore per Dio e
per il prossimo, tanto che, quan-
do era ancora molto giovane, lui e
suo fratello Ferruccio decisero di
entrare in seminario.
Nel 1940, quando aveva 16 anni,
gli morì la madre Ursula. Nel
1949 contrasse la tubercolosi os-
sea, che lo costrinse a trascorre-
re un lungo periodo all’ospedale
Santa Corona, in Liguria. Tre anni
dopo, l’8 marzo 1952, fu ordinato
sacerdote salesiano e la sua vita
divenne un lungo pellegrinaggio
di predicazione del Vangelo, cari-
tà e amore per il prossimo.
Nel 1955 prese a lavorare con i
ragazzi del Centro Salesiano di
Arese, una casa per giovani in
difficoltà, senza famiglie e con
problemi comportamentali. Fu
una tappa fondamentale della sua
vita, perché stare tra quei ragazzi
temprò il suo carattere.
Nel 1960 venne nominato assi-
stente spirituale degli oratori del-
la Lombardia e dell’Emilia e, con-
vinto di non poter lavorare con i
ragazzi in un ufficio, durante le
vacanze convocava i catechisti
per scalare le montagne della
Val Formazza, per farli studiare
e prepararli a una visione e a un
mondo che avrebbero capito solo
molto più tardi.
Nel 1966 incontrò don Pietro Me-
lesi, il quale, rientrando in Italia
dopo dieci anni di permanenza
missionaria in Brasile, gli rac-
contò le difficoltà incontrate nel
suo lavoro per i poveri del Mato
Grosso. Don Ugo lanciò allora
la sua proposta: “Perché non lo
aiutiamo?” Era l’8 luglio 1967
quando il primo gruppo di giova-
ni missionari partì per il Brasile.
“Fu come accendere una fiamma
in mezzo a questi giovani – scris-
se più tardi don Ugo –. Nacque
così l’‘Operazione Mato Grosso’”.
“Don Bosco è stato per don Ugo
un padre, un amico, un maestro
di carità, una guida della grande
opera a beneficio degli oratori –
dice di lui don Umberto Bolis,
SDB, che partecipò alla prima
spedizione dell’Operazione Mato
Grosso –. Don Ugo non pensò
ad alcuna opera senza l’oratorio.
Ogni settimana, sulle alture delle
Ande di Huaraz, radunava oltre
20 000 adolescenti e giovani per
parlare loro di Dio, di Maria Ausi-
liatrice e di don Bosco”.
Mario Vargas Llosa, uno dei mas-
simi scrittori attuali, ha scritto:
«Don Ugo de Censi, un sacerdote
italiano, ha un’energia contagiosa
e una fede che può spostare le
montagne. In 37 anni che è stato
qui, ha trasformato questa regio-
ne, una delle più povere del Perù,
in un mondo di pace e di lavoro,
di solidarietà umana e di creatività
artistica. La parola che pronuncia
più spesso, con accenti poetici,
intrisi di tenerezza, è carità. Cre-
de, e ha dedicato la vita a dimo-
strare che la povertà deve essere
combattuta dalla stessa povertà,
identificandosi con essa e viven-
dola con i poveri e che la miglior
maniera per attirare i giovani ver-
so la religione e Dio, dai quali tutto
nel mondo d’oggi tende ad allon-
tanarli, è proporre loro di vivere
la spiritualità come un’avventura,
impegnando il loro tempo, le loro
braccia, le loro conoscenze, la loro
vita per combattere la sofferenza
umana e le grandi ingiustizie subi-
te da tanti milioni di esseri umani.
Gli utopisti e i grandi sognatori
sociali sono solitamente vanitosi
e autoreferenziali, don Ugo invece
è la persona più semplice della
Terra e quando, con quella scin-
tilla di umorismo che sempre gli
brilla negli occhi, dice: “Mi sento
un bambino, ma penso di essere
soprattutto un rivoluzionario e uno
stupido” dice esattamente quello
che pensa».
“Si è spenta la fiamma della cari-
tà che bruciava sulla Cordigliera
Blanca delle Ande – commenta
don Bolis –; ma quella fiamma
continuerà a bruciare nelle mi-
gliaia di giovani che ha formato”.
La campana di don Ugo
«Avevo un amico. Quando pregava
con i ragazzi aveva sempre le mani
giunte. Muore. Aveva messo da
parte dei soldi, i suoi genitori mi
hanno scritto: “Ugo, i soldi di
Francesco li regaliamo a te”. Va
bene – dico –, ma io che cosa
faccio adesso di questi soldi?
Faccio su un pezzo di ospedale?
Compro una macchina per
l’ospedale? Faccio un piccolo
asilo? Erano sufficienti per fare
una roba così. Però non mi
andava. Ancora cose. E mi dico
“No no… Ah! Una campana,
voglio fare una campana. Una
campana enorme”. E in questi
giorni sto cercando di farmi fare
una campana più bella, da mettere
qua vicino. Questa campana, in
mezzo alla valle, dalan dalan...
Sai cosa dice? “Solo Dios... Solo
Dios... Solo Dios...” E tutti, quando
muore qualcuno, verranno a suo-
nare. Qui ci sono tanti protestanti,
evangelisti, un misto, però vado
d’accordo con tutti, non ci sono
problemi. E quando muore qual-
cuno andranno a suonare questa
campana in mezzo alla valle. Que-
sto è un modo per far capire alla
gente, sarà una stupidaggine se
vuoi, però è proprio la cosa che
dice: che conta solo Dio».
Gennaio 2019
41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
MADRE, PADRE, FRATELLI… E UN SANTO
Nei primi anni dell’’800, precisamente nel 1812, Margherita
Occhiena, che per tutti diventò “mamma” Margherita, era una
ragazza di 24 anni nel fiore degli anni e con tanti pretendenti.
Il paese in cui viveva, Capriglio, è in Piemonte, dichiarato da
Napoleone regione francese e anche da qui i giovani venivano
arruolati per la campagna che si sarebbe combattuta in Russia.
In quell’anno si sposò con Francesco Bosco, un giovane vedovo
(aveva perso la moglie e una figlia a distanza di pochi giorni) e
si trasferì nella frazione dei Becchi, ben sapendo di andare a vivere in una famiglia più povera di quella
da cui proveniva e che sarebbe stata sposa e madre da subito. Francesco, infatti, era padre anche di
Antonio, primogenito di 3 anni. Iniziò così per lei una nuova vita. Francesco aveva un sogno: diventare,
da mezzadro, un piccolo proprietario con le proprie terre e la propria casa. Per questo acquistò alcuni
campi, una striscia di vigna, e una casupola che trasformò in stalla. Nel 1813, nacque Giuseppe e ad
agosto del 1815 Giovanni, che diventerà don Bosco. La XXX del piccolo Giovannino perse la guida
del padre: Francesco si ammalò di una grave polmonite e morì. Il rapporto di mezzadria tra i padroni Bi-
glione e i Bosco cessò e Margherita, fortificata dalla sua fede,
dovette rimboccarsi le maniche e ricominciare a lavorare. Lo
zio Michele li aiutava, aggiustò la stalla, la rese abitabile e lì
la famigliola si trasferì. A Giovanni non mancò mai l’amore
dolce e fermo della madre ma con Antonio il rapporto non fu
altrettanto sereno tanto che, dopo la prima comunione, per
sottrarsi alle prepotenze del fratellastro, dovette andarsene
da casa, lavorando come garzone alla cascina Moglia. Fu lì
che conobbe il cappellano di Morialdo don Calosso, che lo
aiutò nei primi studi.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Concentrazio-
ne di negozi e supermercati in un’unica
struttura - 15. La Jai pelota basca
che ebbe notorietà qualche decennio
fa - 16. Antica nave mossa a remi da-
gli schiavi - 17. Scrisse Il vecchio e
il mare (iniz.) - 18. Reparto speciale
di carabinieri antimafia - 19. Uno dei
doni portati dai Re Magi - 21. Rendono
triplo il tipo - 22. Si gioca sui campi
di Wimbledon - 24. Commissione con
rappresentanti con uguali poteri - 27.
Il “mal sottile” - 28. Indica parità di
dosi - 29. XXX - 31. Lo è la terra che
ci ha visto venire alla luce - 34. Vasco
da … esploratore che per primo giun-
se in India via mare - 35. Il “Diavolo”
Michele Pezza, bandito di Itri - 37. Al
centro della Grecia - 38. Misurano
tre piedi nei paesi anglosassoni - 40.
Donna, quand’è sposata - 42. Il nome
di Tolstoj - 44. I denti più aguzzi - 46.
Grosso rapace delle Ande - 47. Com-
piti scritti - 48. Le isole con Tenerife.
VERTICALI. 1. Torreggia accan-
to alla chiesa - 2. Nome della Miglio
attrice - 3. Genere letterario in prosa
- 4. Si indirizzano verso il bersaglio -
5. Sono uguali in Borgogna - 6. Città
punica in Spagna fondata da Asdruba-
le - 7. Al centro del sole - 8. Traffi-
ci illeciti e riprovevoli - 9. Vi nacque
Picasso - 10. Modifica, correzione -
11. Il nomignolo di Guevara - 12. La
cassetta delle api - 13. Lane fidanzata
di Superman - 14. Prosciugare, disi-
dratare - 20. Le iniziali di Toscanini,
grande direttore d’orchestra - 23. Nuo-
vo Testamento - 25. Poco efficace! -
26. Posta in profondità - 30. Uno dei
gas nobili - 32. La fine della via! - 33.
Senza quello non si scoccano frecce -
36. Il nome dell’indimenticata Magna-
ni - 37. Compiono gesta straordinarie
- 39. Il contrario di aver - 41. Sondare
senza dispari - 43. L’il degli spagnoli -
45. Italia in Internet.
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Gennaio 2019

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il campicello
Disegno di Fabrizio Zubani
Un giovane inge-
gnere decise di
impiegare in
agricoltura il
denaro ricevu-
to in eredità,
e comprò un piccolo
campo in una pia-
nura fertile. Dal
momento che
non era proprio
esperto di coltiva-
zioni, decise di chie-
dere informazioni a
un vecchio contadi-
no che abitava nei
pressi.
«Hai visto, Battistin,
il mio campicello?»
«Ma certo. Confina con i miei»
rispose il vecchio.
«Vorrei chiederti una cosa, Battistin,
credi che il mio campicello potrebbe
darmi del buon orzo?»
«Orzo? No, signore mio, non credo
che questo campo possa dare orzo.
Da tanti anni vivo qui e non ho mai
visto orzo in questo campo».
«E mais?» insistette il giovane «Credi
che il mio campicello possa darmi
del mais?»
«Mais, figliolo? Non credo che
possa dare mais. Per quanto ne so,
potrebbe fornire radici, cicorie, erba
cipollina e meline acerbe. Ma mais
no, non credo proprio».
Benché sconcertato, il giovane inge-
gnere replicò: «E soia? Mi potrebbe
dare soia il campicello?»
«Soia, dice? Non voglio fare il mena-
gramo, ma io non ho mai visto soia
in questo campo. Al massimo, erba
alta, un po’ di stoppie da bruciare,
ombra per le mucche e qualche ce-
spuglio di bacche, non di più».
Il giovane, stanco di ricevere sempre
la stessa risposta, scrollò le spalle e
disse: «Va bene, Battistin, ti ringra-
zio per tutto quello che mi hai detto,
in ogni modo voglio fare una prova.
Seminerò del buon orzo e vediamo
che cosa succede!»
Il vecchio contadino alzò gli occhi e,
con un sorriso malizioso, disse: «Ah,
beh. Se lo semina… È tutta un’altra
cosa, se lo semina!».
Ciò che conta di più è ciò che stai seminando:
Oggi seminerò un sorriso, affinché la gioia cresca.
Oggi seminerò una parola di consolazione, per donare serenità.
Oggi seminerò un gesto di amore, perché l’amore domini.
Oggi seminerò una preghiera, affinché l’uomo sia più vicino a Dio.
Gennaio 2019
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Papà Ricky
Un’avventura africana
Salesiani nel mondo
“Il milione”
di don Bosco
Nel silenzio degli angeli
A tu per tu
Don Franz-Ulrich Otto
Il fondatore di Villa Lampe
La nostra storia
Morte del cacico
«major»
Perché i Bororos
non attaccarono
Speciale
“Maria Ausiliatrice”
Valdocco
Raccontato i bambini
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.