Bollettino_Salesiano_201807

Bollettino_Salesiano_201807



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IL
LUGLIO
AGOSTO
2018
Salesiani
nel mondo
India
Le case
di don
Bosco
Caserta
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don Riccardo
Castellino

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il nastro nei
capelli
Sono un nastro
celeste come
il cielo, ormai
dimenticato
in un vecchio
armadio tarlato
nella bicocca che per
un certo periodo ospitò
una famiglia magnifi-
ca: la famiglia Bosco.
Una madre forte e dol-
ce, tre figli vivaci e una
nonna sempre all’opera.
Margherita, la mamma,
oltre l’ordine e la bellezza nell’anima dei figli e
la docile e costante allegria (quanto cantavano
tutti!), esigeva l’ordine e la pulizia nelle loro
persone.
Alla domenica specialmente, adattava alla loro
persona i vestiti più belli da festa, ravvivava i loro
capelli, che naturalmente erano ricciuti e folti, e
per tenerli raccolti usava un piccolo nastro. Pro-
prio me. Li prendeva per mano e tutti insieme
andavano alla Messa. Bella lei e belli loro.
Coloro che s’imbattevano in quella famigliola,
specialmente le madri, si fermavano a congratu-
larsi con Margherita.
«Ma che bei bambini!» esclamavano. «Sembrano
proprio angioletti!»
Margherita era raggiante per questi elogi. Per
lei i figli erano tutto. Li amava più di se stessa.
E il piccolo Giovanni stringeva più forte la sua
mano.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nelle Memorie Biografiche (I, 73-74), si racconta che
Mamma Margherita ebbe sempre una grande attenzione
per la pulizia interiore ed esteriore dei figli. In particolar
modo alla domenica: «Perché la pulizia del corpo sia im-
magine della bellezza della vostra anima».
Nel piccolo corteo che s’infoltiva nel tragitto
verso la chiesa, i bambini vedevano degli anziani
che a quel tempo portavano ancora un lungo
codino, lucido, legato con il nastro.
Indicandoli con il dito, esclamavano: «Mamma!
Guarda quelli! Quand’è che anche noi potremo
portare la treccia lunga dietro alla testa?»
«A voi bastino i ricci, che vi ha regalato il buon
Dio».
Ma per Margherita ogni momento era buono
per educare.
«Vi piace fare una bella figura, non è vero?»
«Certo, mamma».
«Or bene: ascoltatemi. Sapete perché vi metto
i vestiti più belli? Perché è domenica ed è cosa
giusta che mostriate esternamente la gioia che
deve provare ogni cristiano in questo giorno, e
poi perché desidero che la pulizia dell’abito sia
la figura della bellezza delle vostre anime. Che
importerebbe aver bei vestiti, se poi l’anima fosse
brutta per il peccato? Cercate di meritarvi le lodi
di Dio e non quelle degli uomini, che servono
solo a farvi diventare ambiziosi e superbi. Dio
non può soffrire gli ambiziosi e superbi, e li
castiga. Vi hanno detto che sembrate angioletti;
e angioletti dovete essere sempre, specialmente
adesso che andiamo in chiesa, e state in ginoc-
chio, senza voltarvi attorno, senza chiacchierare,
e pregate con le mani giunte. Gesù Cristo in Sa-
cramento sarà contento di vedervi devoti innanzi
al suo tabernacolo e vi benedirà».
Giovanni era quello più attento. Anche queste
lezioni di pulizia e di compostezza, il rispetto
per se stessi e per gli altri gli rimarranno dentro.
Fino alla più tarda età, affascinerà tutti per la
pulizia esteriore, per il garbo del tratto e l’ele-
ganza dell’anima.
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IL
LUGLIO-AGOSTO 2018
ANNO CXLII
Numero 7
IL
LUGLIO
AGOSTO
2018
Salesiani
nel mondo
India
Le case
di don
Bosco
Caserta
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
L’invitato
Don Riccardo
Castellino
In copertina: L’estate è il tempo migliore
per ascoltare le voci della natura
(Foto Sunny studio/Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
India
12 LE CASE DI DON BOSCO
Caserta
16 LA RICETTA 5
L’autocontrollo
18 L’INVITATO
Don Castellino
22 POSTER
24 A TU PER TU
Duy-Duy Josef Trinh
28 FMA
Nitra
30 PASSEGGIATE SALESIANE
La Terra dei Santi
32 I NOSTRI EROI
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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18
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Antonio D’Angelo,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández
Artime, Anna Giuliano, José J.
Gómez Palácios, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Christine
Wendel, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
«Non ti dimenticare di noi»
... mi hanno detto in Siria
Da un’esperienza indimenticabile
nasce un messaggio d’amore
e riconoscenza che vola
a Damasco e ad Aleppo.
A Damasco, una delle
città martiri del-
la Siria, mi hanno
fatto un regalo sem-
plice e gentile, dopo
che avevo liberato
una colomba bianca che aveva
preso il volo, in un pomeriggio di
festa oratoriana. In quel momento
un terrificante colpo di mortaio ave-
va squassato l’aria e devastato la stessa
piazza in cui il pomeriggio precedente
avevamo festeggiato insieme, salesiani e giovani
animatori.
Eravamo tutti felici perché la pace sembrava vi-
cina. Da quindici giorni non si parlava di morti
e sembrava che tutto fosse finito. Non era così.
Più di cinquecento ragazzi e ragazze e giovani
gridavano esultanti in quel pomeriggio di festa.
Tra loro, un gruppo di circa 150 animatori, gio-
vani studenti universitari che sono la vita e l’a-
nima in quell’oratorio che riunisce più di mille
ragazzi e giovani dai luoghi più distanti di Da-
masco. Lo stesso accade ad Aleppo (con la dif-
ferenza che la città di Aleppo è quasi totalmente
distrutta).
Il dono, che mi fu consegnato al termine dell’Eu-
caristia a Damasco, era una bella “stola”. Me
l’avevano data esprimendo il desiderio che la in-
dossassi quando celebravo l’Eucaristia. Sulla stola
avevano ricamato, in arabo, “Non dimenticarti di
pregare per noi”.
Quel dono e quella frase mi toccarono il cuore.
Al punto che, da allora, ho indossato quella sto-
la in tutte le Messe dei luoghi dove sono stato:
Messico-Tijuana, Chaco Paraguayo, Uruguay e
Rjeka in Croazia.
E ovunque ho raccontato questo incontro, questo
dono e la richiesta che mi hanno fatto. E nello
stesso tempo ho testimoniato quello che ho sco-
perto in quei Salesiani e in quelle Sorelle Figlie
di Maria Ausiliatrice con cui ho condiviso quei
giorni, e ciò che ho notato in quei giovani anima-
tori sereni e incantevoli, e in tante famiglie colpite
dal dolore e dalle perdite, ma piene di forza e di
speranza.
Occhi pieni di fierezza
Ecco che cosa ho visto.
1. Ho visto dignità. La dignità dei poveri, la di-
gnità di coloro che si sentono sopraffatti da una
situazione che non hanno creato, in cui non han-
no scelto di partecipare, ma nella quale si sentono
immersi, sprofondati completamente senza poter
scegliere nient’altro, senza poter riaffiorare fin-
ché altri non decidano che tutto è finito. Ma sul
volto di tutti brillavano fierezza e compostezza, e
il loro sguardo saldo e coraggioso diceva più delle
parole.
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2. Ho visto dei bellissimi e affettuosi sorrisi.
I sorrisi di quei giovani animatori che li dona-
no forti e intensi perché vogliono che i bambini
dell’Oratorio abbiano una piccola oasi nelle ore
della giornata in cui possono dimenticare la paura
di guerra, mortai, distruzione.
3. Ho visto tanta speranza. Questa è la paro-
la giusta e il sentimento che suscitavano in me
quando mi dicevano: «Don Ángel, non abbiamo
paura, perché siamo pieni di Fede e Speranza.
L’ultima parola non sarà la guerra o la distruzio-
ne, ma la vita, le nostre vite e la fede che abbiamo,
e il desiderio di vivere e di fare di questa nostra
terra un paese bellissimo». E quelli che parlavano
così erano giovani che in molti casi avevano per-
so la casa, e un padre o un fratello uccisi da un
proiettile sparato a caso.
4. E ho scoperto che il senso di comunione e fra-
ternità era molto profondo in loro e in me. Posso
assicurarvi che mi sono sentito vicino con tutto il
cuore a quei miei fratelli salesiani e a quei giovani
magnifici, dopo averli incontrati, dopo aver visto
i loro sorrisi e sentito la stretta affettuosa del loro
abbraccio che esprimeva una fiducia sincera.
E poi, con tristezza e dolore, ci mettemmo in
viaggio verso Aleppo, mentre altri missili cade-
vano su Damasco, con il loro carico di morte.
E ad Aleppo trovammo altri fratelli salesiani, al-
tre sorelle e quei meravigliosi giovani e fa-
miglie, figli dell’Oratorio che, come a Damasco,
continuavano a essere motivo di speranza.
Toccanti le promesse dei tredici nuovi Coopera-
tori Salesiani (giovani e madri di famiglia). E ho
sperimentato di nuovo il dolore della perdita di
persone care e della distruzione, qui reale, tota-
le, di quella che era stata una bella città. Ma ho
trovato di nuovo dignità, forza, speranza e fede.
A completare la magnifica opera, questa volta
non fu una bella stola con la frase in arabo, ma
qualcosa che mi colpì con un’emozione tale da
lasciarmi senza parole: il direttore mi consegnò
tutto ciò che i bambini, i giovani e le famiglie
avevano raccolto per un lungo periodo di tempo
perché io lo facessi arrivare ad altre località più
povere e sofferenti della loro.
Mi hanno dato tutto ciò che avevano potuto ot-
tenere, privandosi ancora di qualcosa in quel ge-
nerale sfacelo. Erano duecento dollari, che per me
valevano una fortuna e come tale l’hanno ricevu-
ta nell’Oratorio Salesiano di una frontiera ferita,
Tijuana, in Messico, ai quali li ho consegnati. E
subito i due oratori si misero in comunicazione.
I poveri tra di loro si capiscono magnificamente
bene, perché parlano lo stesso linguaggio, quello
della vera umanità.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Che cosa ti aspetti
dal nuovo governo?
Il popolo italiano ha da
poco fatto valere il potere
della democrazia. Che
cosa si aspettano i giovani
da questo nuovo governo
e quali sono, secondo loro,
i punti in cima alla lista?
Saverio, 26 anni
«Oggi più che mai si avverte
l’esigenza di interventi statali
volti a fornire una maggiore
occupazione giovanile
e tutelare maggiormente
i diritti del lavoratore».
Infatti, con l’art. 1 della Costituzione
si è affermato che l’organizzazione
politica, economica e sociale della Re-
pubblica ha per fondamento essenziale,
con la partecipazione effettiva di tutti
i lavoratori, il lavoro, in ogni sua forma
di espressione. A fondamento, quindi,
di un’efficace ed effettiva riforma del
lavoro, nello specifico, vi potrebbe es-
sere la maggior possibilità di stipulare
contratti a tempo indeterminato con
diminuzione di eccessive imposizioni
fiscali a carico del datore di lavoro. È
necessario, inoltre, incoraggiare il da-
tore di lavoro ad una maggiore assun-
zione di lavoratori subordinati conte-
stualmente all’abbassamento del tetto
minimo dell’età pensionabile. Altro
aspetto importante è
l’intervento volto a migliorare la pub-
blica sanità, ottimizzando l’efficienza
dei servizi e delle prestazioni medico/
sanitarie, poiché il diritto alla salute
è un diritto garantito anch’esso dalla
Costituzione all’art. 32: diritto dell’in-
dividuo ed interesse della collettività.
Necessario è anche l’intervento dello
Stato in materia ambientale e, soprat-
tutto, in tema di energie rinnovabili.
La creazione di impianti di autopro-
duzione di energia, non solo potrebbe
preservare una più salubre condizione
dell’ambiente, ma addirittura farebbe
diminuire eccessive spese a carico dello
Stato per l’acquisto di energia prodotta
da fonti fossili, così creando una propria
forma di auto-sostentamento energeti-
co. L’incentivazione in favore dei pri-
Il Presidente del Consiglio dei Mi-
nistri, quale guida dell’esecutivo, do-
vrebbe concentrarsi prioritariamente
su interventi in materia di lavoro, sa-
nità pubblica ed ambiente. Oggi più
che mai, si avverte l’esigenza di inter-
venti statali volti a fornire una mag-
giore occupazione giovanile e tutelare
maggiormente i diritti del lavoratore,
ottemperando, così facendo, al diritto/
dovere sancito all’articolo 1 della Co-
stituzione della Repubblica Italiana.
Immagine Shutterstock.com
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vati investitori poi, della produzione
di grossi impianti di energia rinnova-
bile, avvicinerebbe la nostra Nazione a
quell’auspicabile livello di autonomia,
rispetto alle fonti energetiche di tipo
tradizionale dannose per l’ambiente.
Tutto ciò sarà possibile se le forze po-
litiche, attualmente rappresentate in
Parlamento, riusciranno a trovare le
intese per formare un Governo stabile.
Jessica, 23 anni
«Una scuola dove ogni ragazzo ha
il tempo di conoscere e di mettere
in pratica ogni lavoro e, un giorno,
di scegliere con consapevolezza
quello che sarà il suo sogno».
Se potessi davvero decidere che cosa
fare e se si mettesse in atto, chiederei
come prima cosa di eliminare, o quan-
to meno ridurre, i vitalizi ai parlamen-
tari che ancora potrebbero andare a
cercare lavoro. I soldi ricavati verreb-
bero messi da parte per le famiglie che
non riescono ad arrivare a fine mese.
Come seconda proposta penserei alla
scuola e al suo miglioramento secondo
il modello della Svizzera per esem-
pio: una scuola dove ogni ragazzo ha
il tempo di conoscere e di mettere in
pratica ogni lavoro e, un giorno, di
scegliere con consapevolezza quello
che sarà il suo sogno. I ragazzi devono
andare a scuola perché gli piace, non
perché costretti o obbligati. Hanno bi-
sogno anche di tempo per fare pratica
e non solo di teoria. Infine, sarebbe
fantastico se in ogni ordine di scuola,
con modalità diverse, si inserisse un’o-
ra di microbiologia. Un’ora al mese
per permettere ai ragazzi di farsi una
cultura in ambito sanitario, per quanto
riguarda la batteriologia e la virologia.
L’obiettivo è quello di rendere i ragazzi
coscienti e critici per quanto riguarda
l’argomento “vaccini”, oggi prioritario.
Non si può nel 2018 mettere in atto
pratiche per scatenare epidemie virali,
l’umanità sta tornando agli albori. Ser-
ve la cultura, e in particolare la cultura
scientifica!
Giovanni, 18 anni
«Ci vorrà del tempo per attuare
questi provvedimenti, perché
ovviamente non si cambia
dall’oggi al domani, soprattutto
essendo non solo una questione
politica ma anche culturale».
Questa è una domanda difficile cui
rispondere ma credo che i primi tre
passi siano questi: riacquisto della
propria sovranità in modo da battersi
in Europa per gli interessi nazionali
italiani; riattivazione, tramite rifor-
me e manovre economiche di grosso
spessore, dell’ascensore sociale, con-
centrandosi soprattutto nell’aumen-
tare gli investimenti sull’istruzione e
sulla ricerca; blocco dell’immigrazione
clandestina e del business che vige in-
contrastato dietro tale fenomeno. Ri-
tengo che questi siano i provvedimenti
cui riservare un posto in cima alla lista
per diversi motivi. Innanzitutto, senza
il riacquisto della sovranità, l’Italia di-
venterà sempre più una Nazione schia-
va della Germania e dell’Europa. Poi,
senza l’ascensore sociale, i ricchi conti-
nuano a restare ricchi mentre i poveri
non hanno le possibilità di migliorare
le loro condizioni di vita. Inoltre, solo
investendo sull’istruzione e sulla ricer-
ca ritengo che l’Italia possa seriamente
ripartire. Per quanto riguarda l’immi-
grazione, sono convinto sia diventata
la nuova e moderna tratta degli schia-
vi e ciò è nient’altro che il sintomo di
un serissimo degrado sociale. Ci vorrà
del tempo per attuare questi provvedi-
menti, perché ovviamente non si cam-
bia dall’oggi al domani, soprattutto
essendo non solo una questione poli-
tica ma anche culturale. È necessario
riscoprire i vecchi valori insieme alla
capacità di tutelarli e conservarli. Lo
Stato deve difendere la propria cultura
e coadiuvare il popolo nel processo di
riscoperta di questi valori e delle pro-
prie radici culturali.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org Foto Ester Negro
Calcutta
In India, i Salesiani di don Bosco iniziarono
il loro lavoro con una scuola professionale
e un ostello per bambini poveri a Thanjavoor
nel 1906. Oggi, il governo indiano
ha riconosciuto che i Salesiani di don Bosco
sono la più grande impresa non governativa
di istruzione tecnica del paese.
A rrivare a Calcutta, India-Bengala Occi-
dentale, è come sbarcare su un altro pia-
neta per noi italiani, torinesi, abituati ai
grandi viali dove tutti corrono ordinati
rispettando la precedenza ai semafori e
agli incroci stradali.
Le strade di Calcutta sono un “caos in movimen-
to” dove si spostano tutti: uomini ed animali.
Le mucche passeggiano tranquillamente sulle
tangenziali e non si preoccupano affatto delle
auto che le schivano di pochi centimetri. I cani
si muovono in branchi, a volte numerosi, in cerca
di qualcosa da mangiare. La gente va a piedi, in
bicicletta, con i vecchi taxi degli anni ’60 di co-
lore giallo, oppure ammassati all’inverosimile su
sgangherati e pluriammaccati autobus dai colori
sgargianti. Abbiamo visto qualche rarissimo ri-
sciò tirato a mano, molti ciclo risciò e ormai la
gran parte a motore con l’Ape della Piaggio che
domina la scena dei trasporti urbani. Il frastuono
assordante dei clacson è il sottofondo continuo di
chi percorre le strade. Tutti suonano, non tanto
per protestare con l’autista indisciplinato come
capita di solito dalle nostre parti, quanto piutto-
sto per avvisare del proprio arrivo.
Scuole magnifiche
Siamo venuti a far visita alle opere salesiane di
questa città. Abbiamo visitato centri di formazio-
ne professionale, scuole primarie e scuole secon-
darie, case di accoglienza per i ragazzi di strada,
parrocchie e oratori. Ovunque siamo rimasti sba-
lorditi dalle dimensioni delle case di don Bosco.
Sono enormi ed accolgono un numero esagerato
di bambini, ragazzi e giovani.
Le scuole sono molto pulite ed ordinate, dei
veri college inglesi con il convitto annesso, per dar
modo anche ai più lontani di poter frequentare la
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scuola dei salesiani. Un vero must in questo mo-
mento in India.
L’India ha una popolazione giovane in continua
crescita, economicamente ha uno sviluppo tu-
multuoso, i poveri sono tantissimi, ma anche la
classe media nelle grandi città sta crescendo mol-
to, ed ha fame di cultura. Lo Stato cerca come
può di dare l’istruzione di base a tutti, ma sappia-
mo bene quanto sia difficile offrire un servizio di
qualità quando le risorse sono poche... Per questo
le scuole private sono molto ricercate e, quelle
cattoliche tenute da suore e preti, particolarmente
scelte dai genitori che possono pagare una retta
scolastica ed assicurare una solida formazione ai
propri figli.
Sono belli da vedere al mattino i ragazzi e le ragaz-
ze arrivare a scuola tutti con la divisa uguale, com’è
tipico del sistema scolastico di tradizione anglosas-
sone, riunirsi nel grande cortile della scuola per
la cerimonia dell’alza bandiera al suono dell’Inno
Nazionale Indiano e poi il breve ma incisivo pen-
siero mattutino del “Buongiorno salesiano”.
Gestire scuole, in questo momento, per noi sale-
siani è forse il servizio educativo più semplice che
possiamo fare nelle grandi città dell’India. Sono
scuole buone in cui chiediamo una retta economica
alle famiglie. Queste la pagano e con il ricavato
manteniamo tutto il servizio scolastico ed anche
un certo numero di allievi poveri che non possono
pagare nulla, ma che non vogliamo escludere.
Un pochino più complicato è invece gestire i
numerosi centri di formazione professionale che
preparano i giovani ad imparare un mestiere. Le
attrezzature di laboratorio ed i materiali di con-
sumo per le esercitazioni sono costosi. L’evolu-
zione tecnologica ci chiede di stare al passo con
le attrezzature più avanzate per poter insegnare
ai giovani ad utilizzare strumenti che effettiva-
mente troveranno nelle aziende in cui andranno
a lavorare. Il tutto è possibile grazie ai beni che
nei laboratori si producono, nelle ore in cui i la-
boratori non sono occupati dai ragazzi. Nelle fa-
legnamerie si producono banchi di scuola, tavoli e
sedie, mobili da cucina e camere da letto che poi
vengono venduti a prezzo di mercato alla gente.
Nelle officine meccaniche ho visto lavorare in-
granaggi commissionati dalle Ferrovie dello Stato
per le locomotive dei treni. Nei laboratori elettrici
rifasano motori elettrici e fanno premontaggi di
quadri elettrici industriali. Insomma un lavoro
febbrile che serve per garantire entrate econo-
miche che mantengano il centro di formazione
professionale. I ragazzi che frequentano i centri
di formazione sono anche qui, come in molte al-
tre parti del mondo, quelli che nella scuola non
hanno raggiunto risultati tali da poter permettere
loro di accedere all’università. Grazie al cielo, il
Ovunque siamo
rimasti sbalorditi
dalle dimensioni
delle case di
don Bosco.
Sono enormi e
accolgono un
numero esagerato
di bambini, ragazzi
e giovani.
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SALESIANI NEL MONDO
Gestire scuole, in
questo momento,
per noi salesiani
è forse il servizio
educativo più
semplice che
possiamo fare
nelle grandi città
dell’India.
grande sviluppo economico e produttivo di cui è
protagonista l’India assorbe in gran numero i no-
stri giovani appena qualificati.
Cani, mucche e bambini
Decisamente più complesso è il lavoro che i sale-
siani portano avanti ogni giorno con i ragazzi di
strada. Siamo stati nel centro di coordinamento
salesiano dei 23 presidi della città di Calcutta che
accolgono i ragazzi di strada. Questi ragazzi sono
proprio gli “ultimi”, quelli che la scuola l’han-
no vista solo per un breve tempo, quelli che non
hanno nulla a cui aspirare, quelli che spesso non
hanno nemmeno una famiglia presso cui trovare
un poco di calore umano. Sono in strada, come
in strada ci sono i cani e le mucche (che in India
girano liberamente ovunque). Purtroppo è facile,
quando si è poveri ed in città, diventare un ra-
gazzo di strada. Se uno dei due genitori muore o
lascia la famiglia, per formarsene un’altra, quello
che rimane solo con i figli – e capita il più delle
volte alle madri – non riesce più a mantenerli tut-
ti. Se fosse in campagna potrebbe contare sulla
solidarietà del villaggio, o della famiglia allarga-
ta. Ma se sei da sola in città e hai tre o quattro
figli, non ce la puoi fare. I più grandicelli li lasci
andare da soli sulla strada ad imparare a cavarsela
da soli. Ed è dura per questi ragazzi!
Se incontrano un amico che di loro si prende cura
come un padre o una madre, vi si affidano subito.
È così che in 23 punti dell’enorme metropoli di
Calcutta, che conta circa 16 milioni di abitanti, i
figli di don Bosco hanno dei centri di accoglienza
con diverse caratteristiche per poter rispondere al
meglio e secondo quelli che sono i veri bisogni dei
ragazzi che vi si recano.
Accogliere un ragazzo di strada è come accogliere
un figlio che nasce: ora è tuo e devi provvedere a
tutto. Non solo il cibo e un letto. Ma la cura della
salute, i vestiti, l’istruzione... e, non ultimo, l’af-
fetto che come un collante tiene insieme tutti gli
elementi della personalità del ragazzo che cresce.
Senza l’affetto di un padre e di una madre, le no-
stre strutture per ragazzi di strada non potrebbero
chiamarsi “case”, sarebbero degli orfanotrofi, dei
collegi, delle caserme. Invece abbiamo incontrato
dei salesiani e degli educatori ed educatrici che
pazientemente e con vera dedizione si prendono
cura dei ragazzi, gli vogliono bene davvero.
Don Bosco era solito dire che in ogni giovane,
anche il più disgraziato, vi è un punto accessibile
al bene. Compito dell’educatore è scoprire questo
punto e farvi leva per educare al meglio i giova-
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ni, anche i più difficili. Questo abbiamo visto a
Calcutta, dai salesiani che operano fra i ragazzi
di strada.
Dove vive ancora
santa Madre Teresa
In questa originale città dell’India, capitale della
vecchia colonia britannica delle Indie Orientali,
abbiamo visitato i luoghi di Madre Teresa di Cal-
cutta.
Siamo stati nel collegio delle suore di Loreto da
dove è partita la missione di Madre Teresa. Que-
sto grande collegio femminile, che tutt’ora accoglie
più di mille allieve, fu il convento nel quale visse
per quasi vent’anni Madre Teresa, che ne fu an-
che la direttrice. Noi salesiani lo conosciamo bene,
perché proprio le suore di Loreto negli anni ’70 ci
hanno venduto un pezzo del loro enorme giardino
con orto e peschiera, sul quale abbiamo costrui-
to una delle opere salesiane in Calcutta. Siamo
quindi confinanti con questo istituto di suore e
nel quartiere gestiamo la parrocchia che in gran
parte comprende lo slum dove ebbe inizio il ser-
vizio di Madre Teresa, ai più poveri fra i poveri.
Lo slum sta’ lentamente cambiando volto. Le ba-
racche, le casupole addossate una all’altra e le tet-
toie di fortuna stanno lasciando il posto ai palazzi.
Ci sono gli impresari edili che convincono i piccoli
proprietari del suolo a cederlo. Una volta ottenuto
il consenso da tutti quelli di un isolato, buttano
giù tutto e costruiscono un alto palazzo con decine
di appartamenti. Ai piccoli proprietari della ter-
ra danno in cambio un mini locale al piano terra
ed una piccola somma di denaro. Loro in cambio
fanno affari d’oro vendendo tutti gli appartamenti
dei piani superiori. Non finisce qui però il processo
di cambiamento del quartiere, perché i poveri che
si trovano a vivere in condominio finiscono con il
non pagare le spese condominiali, quindi vengono
sfrattati ed il loro piccolo appartamento requisito
per far fronte ai debiti accumulati. La povera gente
lascia così il proprio quartiere divenuto ormai un
quartiere residenziale e si porta nella nuova perife-
ria della città, dove si sta creando un nuovo slum.
In questo modo la povertà non viene eliminata, ma
solo spostata un po’ più in
là, così da non disturbare la
vista della gente per bene!
Nella casa madre delle suo-
re Missionarie della Prov-
videnza, dove è vissuta per
più di quarant’anni Madre
Teresa, abbiamo visitato la
sua tomba. La semplicità e
la povertà regnano assolu-
te e sono in perfetta con-
tinuità con colei che in quell’ambiente ora viene
venerata come santa. La sua tomba di cemento
bianco, come bianco era il suo vestito, non ha un
fronzolo, un elemento architettonico che la possa
ingentilire. Un sarcofago costruito con un mate-
riale povero, come povera era Madre Teresa, con
sopra una scritta di san Giovanni: “Amatevi come
io ho amato voi”. Monito di Gesù ai suoi disce-
poli, ma anche di Madre Teresa a tutti noi che la
veneriamo.
I salesiani
gestiscono la
parrocchia che
in gran parte
comprende lo
slum dove ebbe
inizio il servizio
di Madre Teresa,
ai più poveri fra i
poveri.
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
ANTONIO D’ANGELO
I salesiani a IlsuccessoredidonBosco,
don Rua, che ha sempre avuto
un rapporto privilegiato con
Caserta
Caserta, profetizzò: “In essa
non mancheranno mai i giovani
e saranno molti i fedeli che
affolleranno il santuario”. In questi
più di cento anni dalla fondazione,
l’opera ha riscosso consensi
e ammirazione in tutta Italia.
L’oratorio e la scuola continuano a
essere una presenza significativa
sul territorio per schiere
innumerevoli di giovani.
CVeduta dall’alto
dell’opera salesiana
di Caserta. Riveste
il ruolo del Faro
per tutta la città.
on l’arrivo di Garibaldi, Francesco II di
Borbone lascia Napoli insieme alla regi-
na, Maria Sofia d’Austria. Il 14 febbraio
1861, con la conquista di Gaeta da parte
dei piemontesi, i reali borbonici si rifu-
giano nello Stato Pontificio, accolti be-
nevolmente da Pio IX nel palazzo del Quirinale.
Tra i membri della famiglia reale c’è anche la so-
rellastra di Francesco II, Maria Immacolata Luisa
di Borbone, di soli sei anni, ispiratrice dell’opera
salesiana di Caserta. Nel 1873 a Parma, la prin-
cipessina sposa Enrico, Conte di Bardi. Purtrop-
po il matrimonio dura poco, perché Immacolata
muore a soli 19 anni.
Gli inizi dell’Opera
Alla corte dei nobili di Parma lavora, come
dama di compagnia, Marie Lasserre, che si lega
con affetto sincero a Immacolata di Borbone.
L’istitutrice, una volta ritornata a Pau, nei bas-
si Pirenei, capitalizza i frutti dei suoi risparmi,
maturati in 23 anni alla corte dei Bardi, e decide
di far erigere una chiesa, con istituto annesso, a
Caserta, perché è la città preferita e il luogo di
nascita di Maria Immacolata. La Lasserre de-
cide di immortalare il ricordo della principes-
sa, dedicando la chiesa al Cuore Immacolato di
Maria e realizzando un’opera di beneficenza per
i giovani.
Il ricordo di don Bosco era vivo nella casa du-
cale di Parma, per questo, nel 1895, la Lasserre
si rivolge ai salesiani. Don Rua accoglie favore-
volmente la richiesta della benefattrice e prende
subito contatto con il vescovo di Caserta, monsi-
gnor Gennaro Cosenza. Dopo un anno di ricer-
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Luglio / Agosto 2018

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che, sondaggi e trattative, il 21 febbraio 1896, si
acquista il terreno al prezzo di 22 440,25 lire.
I lavori di costruzione
Per seguire i lavori da vicino, don Rua manda a
Caserta il salesiano don Antonio Buzzetti, pro-
veniente da una famiglia di costruttori. Il 14 giu-
gno 1896, alla presenza del Rettor Maggiore e
del vescovo, ha luogo la cerimonia della posa della
prima pietra. Al rito, che durò due ore, assiste una
folla entusiasta di cittadini, allietata dal suono
della banda musicale di Caserta e di Falciano. I
lavori procedono celermente sotto la direzione di
Domenico Santangelo. Il giovane ingegnere non
solo dirige gratuitamente la costruzione del fab-
bricato, ma per oltre due anni ospiterà pure don
Buzzetti nella sua casa.
Il 9 maggio 1897 si benedice la cappella provvi-
soria; il 1° novembre si inaugurano le scuole ele-
mentari per gli alunni esterni; l’8 dicembre, festa
dell’Immacolata, inizia l’oratorio festivo. Il 15
dicembre 1898, don Rua, che due giorni prima
era stato ricevuto da Leone XIII, è a Caserta per
l’inaugurazione del tempio, delle scuole Ginna-
siali e del Convitto.
sviluppato, che in piedi e sospinto dalle braccia
materne, si stacca dalla Madre per venire incon-
tro ai giovani e ai fedeli che lo invocano. Il viso
di Maria è velato di lacrime, come di una donna
che abbia pianto e che ora, rasserenata, conserva
ancora nel sorriso, soave e mesto, il ricordo di
quelle lacrime. Tra Maria e Gesù c’è una sor-
prendente somiglianza. Ma qui si invertono i
rapporti, perché non è il figlio simile alla madre,
ma è la Vergine che rassomiglia a Gesù, perché
– come ci ricorda il sommo poeta – è Figlia del
Suo Figlio.
La tragedia della guerra
Tra agosto e settembre 1943, durante il con-
flitto mondiale, si abbattono sull’opera salesia-
na sette bombe. La mattina del 28 settembre,
un gruppo di salesiani, che ha trovato rifugio
nella villa Santoro, sulle colline tra Caserta e
Maddaloni, è sterminato per vendetta contro
gli italiani, a causa dell’uccisione di un soldato
tedesco da parte di un gruppo di partigiani, che
difendono i Ponti della Valle dai guastatori della
Wehrmacht. Don Francesco Coratella, don Do-
menico Borgiattino, don Tommaso Chiappello,
Una conferenza
in un salone
della casa. Sullo
sfondo il ritratto
di don Rua, primo
successore di don
Bosco che sempre
amò l’opera di
Caserta.
Il Cuore Immacolato di Maria
Dal punto di vista architettonico, il santuario di
Caserta imita quello del Sacro Cuore di Gesù
in Roma. Non è una casuale coincidenza, ma
un’esplicita volontà del rettor maggiore. Per don
Rua, infatti, la vicinanza stilistica sta a signifi-
care l’unione che hanno le due devozioni nella
spiritualità salesiana. Nel presbiterio è situato il
quadro raffigurante il Sacro Cuore di Maria e di
Gesù, commissionato dallo stesso don Bosco al
pittore torinese Bonetti, nel 1869, per la basilica
di Maria Ausiliatrice e, successivamente, donato
da don Rua alla casa di Caserta. Fu lo stesso
don Bosco a suggerire a Bonetti di dipingere
il Sacro Cuore non sul petto del Cristo adulto,
ma su quello di Gesù bambino, grazioso e ben
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LE CASE DI DON BOSCO
dei suoi viaggi compie un prodigio che, nella cro-
naca della casa, è ricordato come il miracolo delle
ostie. Secondo la testimonianza del direttore, don
Emanuel Federico, per distrazione del catechi-
sta, nella pisside non ci sono che una dozzina
di ostie. Ma don Rua, senza scomporsi e senza
spezzare le particole, distribuisce la comunione a
più di duecento giovani che affollano la cappella
interna dell’istituto. Quando il catechista ripone
la pisside nel tabernacolo, un nodo gli stringe la
gola e gli occhi si bagnano di lacrime, perché con
stupore si accorge che il numero delle particole
rimaste non è diminuito al termine della comu-
nione. Quando il discorso è ripreso al momento
del pranzo, don Rua, con sguardo amabile e sor-
ridente, gli fa intendere che non desidera parlarne
e distrae l’attenzione dei presenti cambiando abil-
mente argomento.
Il magnifico quadro
del Sacro Cuore
di Maria e di Gesù
commissionato
dallo stesso don
Bosco per la
Basilica di Maria
Ausiliatrice e
donato poi all’opera
di Caserta.
insieme ad altri civili e militari, sono vittime in-
nocenti della mostruosa ferocia nazista. Ad essi,
il comune di Caserta dedicherà una strada, quel-
la dei Martiri salesiani.
I terribili bombardamenti seminano lutti e ro-
vine. Il santuario è squarciato in modo orribile,
ma la desolazione dura poco. Infatti, terminata la
guerra, i confratelli e i fedeli si prodigano subito
per la ricostruzione. Le pitture sono rifatte dallo
stesso artista, Luigi Taglialatela da Giugliano.
Don Rua e Caserta
Don Rua ha sempre mantenuto un rapporto par-
ticolare con Caserta, per la devozione al Cuore
Immacolato di Maria che si stava diffondendo
come raggio di sole su tutto il territorio. In uno
Il sogno continua
Nell’ultima visita alla casa di Caserta, don Rua
profetizza: “in essa non mancheranno mai i giovani
e saranno molti i fedeli che affolleranno il santua-
rio”. In questi più di cento anni dalla fondazione
dell’opera, il collegio, ora scomparso, ha riscos-
so consensi e ammirazione in tutto il meridione
d’Italia. L’oratorio e la scuola continuano tuttora
a essere una presenza significativa sul territorio
per schiere innumerevoli di giovani. Gli indirizzi
scolastici attualmente riguardano le elementari, le
medie, il liceo classico, scientifico e sportivo.
Da qualche anno è stata aperta anche una comu-
nità di accoglienza per minori, “la casa Pinardi”, e
un’associazione, intitolata a don Rua, che si pren-
de cura dei ragazzi poveri che hanno bisogno di
un supporto didattico. La famiglia salesiana, con
i cooperatori e gli exallievi, è pienamente inserita
nel progetto educativo dell’opera. L’ultimo regalo
fatto da Maria è quello della traslazione delle spo-
glie mortali di don Adolfo L’Arco nel santuario.
Questo grande salesiano così descrisse il dipin-
to del Cuore Immacolato: “Il quadro è realmente
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un sorriso di luce, un’armonia di colori, un ritmo
di spazi”. Ora anche lui, che di Maria è stato un
figlio innamorato ed entusiasta, partecipa della
luce e dei colori di quel paradiso promesso da don
Bosco ai suoi figli.
«Sempre un passo in avanti»
Essere direttore dell’Opera salesiana di Caserta è
sicuramente un incarico di notevole responsabili-
tà per la centenaria presenza che la Casa vanta sul
territorio ma soprattutto per la secolare attività
che essa ha svolto come luogo di incontro, forma-
zione e crescita per i tanti giovani che hanno ani-
mato i suoi cortili vivendo la bellezza del carisma
di don Bosco. Ancora oggi l’Opera non smette di
essere un punto di riferimento e tante sono state
le soddisfazioni raggiunte. «La casa salesiana di
Caserta continua a rivestire il ruolo di faro per
tutta la città. Nel tempo si sono susseguiti sa-
cerdoti salesiani significativi che hanno creduto
nelle potenzialità dei giovani tanto della scuola
quanto dell’oratorio. Molti di essi sono diventati
importanti professionisti nel campo della politica,
della medicina, dello spettacolo e hanno portato
nei loro ambienti di lavoro quello spirito salesia-
no mai perso ma diventato loro segno distintivo.
Sempre “un passo in avanti” e attenta alle emer-
genze sociali, l’Opera ha fatto dell’educazione
come “cosa di cuore” il suo punto forte insegnan-
do quei valori, unanimemente riconosciuti da
tutti: il vero, il buono, il bello». Queste le parole
del direttore in carica, don Gino Martucci che
di progetti e sogni futuri ne vede ancora tanti.
«Don Bosco non è affatto un santo del passato. Il
modo rivoluzionario con cui ha dato voce ai gio-
vani deve essere sempre d’esempio, ecco perché
bisogna in primis puntare su di essi non solo come
semplici destinatari bensì come presenza attiva in
prima linea attraverso iniziative sociali e proget-
ti a lungo raggio. Si può far ciò solo mettendo-
si in rete, curando le relazioni, vivendo “il noi”,
piuttosto che “l’io”, sentendosi corresponsabili di
un unico obiettivo: essere una risposta concreta,
creativa e significativa in una cultura vigente che
si nutre del disagio morale, spirituale, affettivo e
lavorativo». «La ricetta – continua don Gino – per
la nostra Opera salesiana è quella di essere “spe-
cialisti” nell’educazione dal docente, all’animato-
re, dall’allenatore al sacerdote stesso, professiona-
lizzandosi sempre di più per dare qualità e alto
valore a quanto si fa». Risuonano così le parole di
don Bosco: «In ognuno di questi ragazzi, anche il
più disgraziato, v’è un punto accessibile al bene.
Compito di un educatore è trovare quella corda
sensibile e farla vibrare».
Il direttore don
Gino Martucci.
«La ricetta per
la nostra opera
salesiana è
quella di essere
“specialisti”
nell’educazione».
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LA RICETTA SALESIANA
B.F.
I 6 ingredienti fondamentali per formare un “uomo”
5 L’autocontrollo
Il nome moderno della temperanza
L’arte di avere cura di se stessi e degli altri.
Un tempo, questa essenziale
qualità umana si chiamava
“temperanza”. Un nome tri-
ste, che richiama alla mente
altri verbi sgradevoli: rinun-
ciare, mortificarsi, castigare
tutti i desideri.
In realtà temperanza significa invece
l’inebriante gioia di essere padroni di
se stessi. È l’equilibrio, la saggezza
pratica, la libertà autentica, che non
va oltre i limiti, ma li rispetta. È l’arte
di avere cura di se stessi e degli altri.
È forse la virtù più difficile in questo
mondo che premia l’esagerazione. Lo
spreco e l’eccesso hanno causato al pia-
neta problemi analoghi a quelli di un
individuo, le cui abitudini sono ecces-
sive e smodate. I risultati tangibili sono
malattie, esaurimento delle risorse e
povertà, egocentrismo, avidità e divisio-
ni. La vecchia virtù della temperanza si
rivela invece un baluardo contro la ma-
rea del comprare, possedere e sprecare che
caratterizza le nostre società sviluppate.
La nostra società soffre di più per il
troppo mangiare, correre, agitarsi che
per la mancanza di qualcosa di vita-
le. La temperanza è una forza contro
avarizia, lussuria, gola e accidia; direi
anche contro la rabbia e l’orgoglio. È
come una guida saggia che mette a
tacere le voci strepitanti che chiedono
tutto ciò che è eccessivo e superfluo,
ed è una guida affidabile alle buone
maniere spirituali.
C’è un luogo in cui è sempre più ur-
gente imparare l’autocontrollo: la fa-
miglia.
In famiglia
Nella maggioranza delle famiglie, si
litiga sempre per gli stessi motivi, tra-
sformando la vita familiare in un fra-
gile armistizio tra un litigio e l’altro.
È così facile farsi trascinare quoti-
dianamente in conflitti familiari!
Perché? Semplice, è sempre diffi-
cile amare.
Il rischio è che tutta l’impostazione
familiare finisca per essere basata sulla
legge del più forte. Una grande percen-
tuale di persone è ancora convinta che
le sberle siano una punizione accettabi-
le. Dicono: «I miei genitori mi hanno
dato qualche schiaffo e ha funzionato
benissimo». La sculacciata è un siste-
ma che serve a scaricare le frustrazioni
e la rabbia, mascherando il fatto che i
genitori non riescono ad affrontare la
situazione. Dopo tutto non è difficile
picchiare un bambino. È molto più dif-
ficile spiegargli le cose...
Autocontrollo
per grandi e piccoli
1) Addomesticare la collera.
Ecco alcune tecniche che permettono
di identificare la propria collera e rea-
gire senza peggiorare la situazione. La
prima è riconoscere e dare un nome
ai sentimenti di rabbia, utilissima
per l’alfabetizzazione emotiva. Anche
i bambini comprendono espressio-
ni come “ribollire di rabbia”, “sto per
scoppiare”, “sono esploso”. Quando il
bambino è consapevole di essere ar-
rabbiato, ha la possibilità di farlo sape-
re agli altri. I genitori hanno difficoltà
a comprendere che l’ira in qualche
modo non può essere completamente
repressa. La seconda è concentrarsi
sulle cause della rabbia e non
sulla rabbia. L’ira è come una di
quelle spie intermittenti sul cruscotto
dell’automobile che ci avvertono che
qualcosa ha bisogno di particolare
attenzione. L’esplosione rabbiosa è il
sintomo, non la malattia. È essenziale
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Luglio / Agosto 2018

2.7 Page 17

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eliminare le cause ma anche agire sui
sintomi, soprattutto per far capire che
la rabbia non è mai una soluzione, ma
che di solito peggiora la situazione.
2) Fermarsi. Purtroppo la causa
più comune è che la rabbia si prende
come il morbillo: per i virus che cir-
colano nell’ambiente dove si vive. E il
nostro è un mondo di arrabbiati. Vi-
vere in un’atmosfera aggressiva fa sen-
tire i bambini vulnerabili. Perdiamo
la calma e spesso siamo più nervosi
proprio quando la famiglia si riunisce
la sera, stanca e affamata. Altre cause
comuni sono le ingiustizie, le frustra-
zioni, gli insuccessi, le vergogne, le
umiliazioni, i sentimenti feriti.
Per fermare l’aggressore interrompen-
done il comportamento con decisione
e fermezza è bene stabilire alcune re-
gole ferree:
«Usare le parole, non le mani».
Le prime volte si possono aiuta-
re i bambini con delle domande: Sei
arrabbiato con qualcuno? Ti senti così
perché non vuoi fare qualcosa? Come ti
senti? Trattato ingiustamente? Triste?
Esporre con energia i principi che si
vogliono insegnare, anche se il bambi-
no li conosce già: «Non si devono pic-
chiare gli altri». «Dobbiamo trattare gli
altri nello stesso modo in cui vogliamo
che gli altri trattino noi».
3) Perdonarsi. Quan-
do torna la calma si deve
aiutare il bambino a esa-
minare ciò che è accadu-
to, che cosa è andato storto.
Come si può evitare che la
stessa cosa si ripeta in futu-
ro? Aiutatelo a comprendere
la propria responsabilità e a
credere nella sua capacità di
controllarsi, dicendogli
che siete convinti che ce la farà. Stabi-
lite delle conseguenze adatte al “reato”,
ma costruite un clima di perdono:
accettare le scuse del bambino è un
modo per ridargli la convinzione nella
sua “bontà”.
4) La lotta per l’autocontrollo.
Si tratta di una lotta, e la forza di vo-
lontà è un muscolo: si può potenziare
con l’esercizio quotidiano. Si tratta
quindi di insegnare ai bambini
le “buone abitudini”, quelle del
tipo «conta fino a venti prima di ar-
rabbiarti, non si mangia fuori pasto,
alle ventuno si va a dormire, ecc.».
Costruire un’architettura del-
la scelta. Questo dipende dalla “vi-
sione”: l’autocontrollo consiste nel riu-
scire a guardare oltre l’oggi, a rinviare,
se necessario, la gratificazione istanta-
nea per perseguire la realizzazione di
obiettivi più importanti.
Immagine Shutterstock.com
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Don Riccardo Castellino
Missione Tappita
Perché hai deciso di farti
salesiano? E partire
per l’Africa?
Quando si dice che la vocazione è un
mistero, uno non ci crede finché non
lo prova. È solo guardando indietro
che scopri il sentiero per cui Dio ti ha
guidato e che tu hai percorso… Con
tutto ciò ancora non riesci a capirne
tutte le implicazioni.
La vocazione “salesiana” è nata “per
osmosi”: a contatto con l’ambiente se-
reno, ricco di iniziative, di spirito di
pietà e di accompagnamento spiritua-
le della comunità dell’aspirantato di
Peveragno.
La vocazione “missionaria” è nata…
dopo alcuni anni di missione!!! Al-
quanto strano, perché in genere si
pensa che uno va in missione perché
ha sentito la chiamata. Il Progetto
Africa mi ha offerto l’opportunità di
fare un’esperienza salesiana diversa da
quella avuta nell’Ispettoria in cui ero
cresciuto. Dopo tutto si trattava solo
di una comunità dell’Ispettoria…
geograficamente un po’ più lonta-
na (Akure-Nigeria). Vivendo questa
nuova esperienza è maturata la con-
vinzione che ciò che era iniziato come
una nuova avventura era qualcosa di
più! Con il passar del tempo si è fatta
sempre più chiara l’idea che il Signore
mi chiamava a rimanere. E quando è
giunto il momento di scegliere se rien-
trare in Ispettoria o rimanere e diven-
tare parte della nuova realtà africana la
risposta non si è fatta attendere.
Come sei finito in Liberia?
Ho vissuto tutti gli anni di missione
principalmente in Nigeria e Ghana,
anche se con molti contatti con Li-
beria e Sierra Leone. Mi sono stati
richiesti servizi di generi molto di-
versi: dalla pastorale diretta dei primi
anni (Parrocchia, oratorio e villaggi)
alla formazione (animatore voca-
Castellino Riccardo,
cuneese, classe 1949.
Salesiano da 52 anni,
sacerdote da 41,
in Africa dal 1982.
«Ti abitui al silenzio della
notte, al polverone della
strada ogni volta che esci,
ai terribili sobbalzi e i
tempi lunghi per fare pochi
chilometri e alle bestiole
che trovi nel piatto all’ora
dei pasti».
zionale, Noviziato e Postnoviziato)
all’animazione e governo (Delegato e
Ispettore). Con il crescere dell’Ispet-
toria ho visto che alcuni ruoli
potevano essere coperti sempre più
e meglio dai confratelli africani. Ho
capito che il tempo era arrivato per un
cambio, un’esperienza diversa che mi
aiutasse a rinnovarmi. In questi ulti-
mi anni l’Ispettoria ha aperto nel suo
interno alcune nuove presenze “mis-
sonarie”. Il mio desiderio di distacco
dalle esperienze passate è stato accol-
to dall’Ispettore, che mi ha inserito
nel gruppo di tre confratelli inviati a
riaprire la Missione di Tappita in Li-
beria.
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È stato duro “ricominciare”?
Ci siamo sistemati nella casa che era
la residenza delle Suore della Conso-
lata fino a quando anche loro hanno
dovuto lasciare la missione a causa
della guerra. In questi ultimi 20 anni
la struttura è stata usata in parte dal
prete che visitava la missione di tanto
in tanto e negli ultimi anni come re-
sidenza permanente. La manutenzio-
ne è stata minima e il deterioramento
progressivo e veloce.
Per viverci si sono dovuti fare alcuni
adattamenti “tecnici”, del tipo: scor-
darti di aprire il rubinetto ogni volta
che devi lavarti le mani, i denti o fare
la doccia, ma prendere il tuo secchiel-
lo e il mestolino!
Scordarti di premere l’interruttore
quando ti svegli al mattino, ma accen-
dere la candela e muoverti con la pila!
Non dimenticarti di ricaricare il te-
lefonino, il computer e la pila nelle
sole tre ore della sera quando accen-
di il generatorino. E poi imparare a
usarli con discrezione… sapendo che
quando sono scarichi, sono scarichi…
fino a sera!
Ti abitui al silenzio della notte, al
polverone della strada ogni volta che
esci, ai terribili sobbalzi e i tempi lun-
ghi per fare pochi chilometri e alle
bestiole che trovi nel piatto all’ora dei
pasti.
Devi avere un po’ di pazienza se la
comunicazione con la gente, special-
mente con gli anziani, non è diretta,
perché conoscono solo la lingua locale
(il Ghio, il Mano o il Bassa).
Due mesi sono stati sufficienti a fare
questi adattamenti e adesso trovi tut-
to questo “normale” e scopri che puoi
fare tutto lo stesso!!! Sono stati due
mesi di “rodaggio” e adesso la mac-
china procede normalmente. Il tempo
è passato lentamente, ma senza il pe-
ricolo di annoiarsi, perché ogni gior-
no presentava qualche novità. Adesso
il tempo ha preso il solito ritmo inar-
restabile che presto, senza accorgersi,
ci porterà al termine dell’anno… ap-
pena iniziato.
C’è in cantiere qualche piano per mi-
gliorare la situazione: portare la cor-
rente elettrica alla Missione, riattivare
i pozzi e rifare gli impianti idraulici,
rifare il tetto prima della prossima
stagione delle piogge, ristrutturare la
casa per renderla funzionale alle esi-
genze di una comunità religiosa. Una
cosa alla volta; è questione di tempo
e di mezzi finanziari. E la priorità va
alle necessità per il lavoro pastorale.
È facile parlare
con la gente?
Nella prima parte del mese di gennaio
abbiamo incontrato tutti i gruppi del-
la parrocchia, uno per uno: Consiglio
Pastorale, Commissione Economica,
Uomini, Donne, Giovani, Chieri-
chetti, Corale, le varie Associazioni.
Tutte le sere dalle 17 in avanti ci sia-
Don Riccardo nella sua missione.
«La mia parrocchia ha 24 stazioni missionarie
nei villaggi».
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
mo “messi in ascolto”. Lo scopo prin-
cipale era sentire come sono andate
avanti le cose in questi ultimi tempi
per capire dove ci troviamo e come
continuare. Gli incontri sono avve-
nuti seduti su panche di recupero,
nel cortiletto dietro casa, perché per
il momento non abbiamo altro posto
né salone né sale di incontro. Grazie
a Dio è la stagione secca… ma prima
delle piogge, dovremo trovare qual-
che soluzione.
Gli incontri sono stati molto utili, la
gente parla volentieri e liberamente.
Sono emerse le difficoltà nel tene-
re viva la comunità parrocchiale in
mancanza di un’adeguata assistenza
pastorale; una comunità un po’ alla
deriva, ma sostanzialmente sana. È
stata una lunga “maratona”, ma ades-
so abbiamo un’idea più chiara della
situazione e con il prossimo anno po-
tremo programmare insieme con loro
un piano pastorale completo.
È grande la Missione?
La Parrocchia ha anche 24 stazioni
missionarie nei villaggi. Con l’inizio
del nuovo anno abbiamo cominciato
a visitarli. Ogni domenica uno di noi
rimane in parrocchia e gli altri due
raggiungono due villaggi circonvi-
cini, dal momento che abbiamo un
solo mezzo di trasporto. A tuttora
ne abbiamo visitati una quindicina e
speriamo di raggiungerli tutti prima
della stagione delle piogge. Alcuni
sono molto distanti, le strade sono
problematiche adesso e intransitabili
durante la stagione delle piogge; alcu-
ni villaggi sono raggiungibili solo con
la motocicletta.
Com’è il villaggio
di Tappita?
Il villaggio ha una sua fisionomia ti-
pica e standard, sarei tentato di dire…
“visto uno, visti tutti”.
La gente è semplice e povera, vive di
agricoltura, non manca di cibo, ma
non girano soldi.
Tutte le comunità con le loro for-
ze, poco per volta, si sono costruite
(o stanno costruendo) una chiesetta,
piccola, di mattoni di fango e tetto di
lamiera, per banchi panche di legno o
due blocchi con un asse.
Tutte le comunità da diversi anni (al-
cune da tempo immemorabile!) non
hanno visto un prete. Alcuni ragazzi
Don Riccardo con alcuni dei suoi “gioielli”.
Nella pagina seguente : Un Battesimo
vigorosamente speciale.
non hanno mai visto una Messa. In
genere non sanno rispondere in ingle-
se alle parti della messa e rispondono
nella loro lingua, cantano, danzano e
sono felici.
Un “community leader” (responsabile-
animatore-coordinatore) tiene la co-
munità unita e la convoca ogni dome-
nica per la liturgia e in altri momenti
per la preghiera. Organizza le raccolte
di fondi per le spese necessarie a man-
tenere o creare le piccole strutture ne-
cessarie.
20
Luglio / Agosto 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Tanti sono i bambini e gli anziani, è
ovvio: i giovani che possono, cercano
un futuro in città. Commoventi sono
gli anziani, quelli che hanno fondato
queste comunità e mantenuto viva la
fede nonostante questa trascuratezza
pastorale. Ricordano i Salesiani degli
inizi e non riescono a credere ai loro
occhi nel vederli di nuovo in mezzo a
loro! Sembrano tanti Simeone e Anna
che adesso possono morire tranquil-
li perché hanno visto il Salvatore. Ti
commuovono e ti fanno sentire picco-
lo piccolo. Quando lasci il villaggio,
per quanto sia grande la macchina,
triboli a farci stare i caschi di banana,
patate dolci, zucche.
C’è tanto lavoro da fare e questo com-
porta un grande dispendio di energie
e mezzi materiali. Ma anche loro sono
figli di Dio e meritano tutta la nostra
attenzione. E pensare che bastano
poco più di 500 euro per costruire o
rinnovare la chiesetta, attrezzarla con
banchi decenti, fornire il messalino,
qualche libretto di preghiere, un pic-
colo catechismo, una corona del rosa-
rio.
giungono una prolungata e devastan-
te guerra civile e il recente flagello
dell’ebola si capisce facilmente come
il paese presenti una faccia un po’ di-
versa da quelli che la circondano.
I tradizionali valori culturali africani
sono oscurati e sfidati dai sogni del
mondo occidentale. Il senso di iden-
tità e di unità nazionale è debole. La
povertà nel mezzo dell’abbondanza,
che è comune a tanti paesi africani,
crea nella gente un senso di rasse-
gnazione, mancanza di prospettive,
volontà di lottare per un cambiamen-
to della situazione. Non mancano i
disagi sociali, la corruzione, l’iniqua
distribuzione delle ricchezze, il dete-
rioramento delle strutture educative e
sanitarie.
La grande sfida per i Salesiani ri-
guardo i giovani in particolare è l’e-
ducazione per prepararli a diventare
protagonisti del loro futuro nella ri-
costruzione del paese e l’evangelizza-
zione per ricostruire una solida scala
di valori etici e cristiani.
Quali prospettive,
progetti e sogni hai?
All’inizio tutto appare strano e ti do-
mandi: “Dove sono capitato? Da che
parte cominciare?”. Ti prende un po’ di
ansia per l’incognita che ti sta davanti;
hai tante idee, ma ti chiedi se qui fun-
zionano, come hanno funzionato in tan-
te altre parti. Sai bene che devi prima di
tutto stare a guardare e cercare di capire.
Sai già che ti devi adattare a tante cose e
ti domandi quanto tempo ci vorrà.
Le prospettive sono molto modeste e
chiare: continuare a servire i confratelli
e la gente nell’ambito delle mie capacità
se e fino a quando il Signore lo vor-
rà e non sarò di peso all’Ispettoria. Si
dice che il coronamento della chiamata
missionaria è “diventare suolo” del pae-
se in cui hai lavorato. Ma questo è un
sogno che è nelle mani di Dio!
Com’è la gente di lì?
E i giovani?
La Liberia è geograficamente parte
dell’Africa Occidentale, ma ha una
sua storia tutta particolare e di con-
seguenza anche una fisionomia tutta
sua particolare. Nata “libera” e in-
dipendente 170 anni fa, la Liberia è
cresciuta e vissuta nell’ambito dell’in-
flusso americano da cui è dipesa e
dipende fortemente tuttora… e di cui
ha assorbito valori e attitudini non
del tutto ‘africane’. Se a questo si ag-
Luglio / Agosto 2018
21

3.2 Page 22

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OGGI DEDICHERÒ DIECI MINUTI
A SEDERE IN SILENZIO
Corpo Tempo
Dio
Vita
Ascolto
Anima

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DEL MIO TEMPO
ASCOLTANDO DIO,
RICORDANDO CHE COME IL CIBO
È NECESSARIO
ALLA VITA DEL CORPO,
COSÌ IL SILENZIO
E L’ASCOLTO
SONO NECESSARI
ALLA VITA
DELL’ANIMA
(SAN GIOVANNI XXIII)

3.4 Page 24

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A TU PER TU
CHRISTINE WENDEL - Foto: LISA-MARIA GRIEF (DAL DON BOSCO MAGAZIN) Traduzione di Marisa Patarino
Non sono stato chiamato tardi
ho solo riflettuto a lungo
A nove anni, Duy-Duy Josef Trinh (36 anni) sentì
il desiderio di diventare sacerdote. Diventò ingegnere
ed esercitò per alcuni anni con successo questa
professione, ma qualcosa continuava a chiamarlo.
A trentatré anni decise di cambiare vita. Ora è
salesiano e a Vienna si prepara a diventare sacerdote.
Duy-Duy Josef Trinh potreb-
be lavorare otto ore al gior-
no in ufficio, esercitando la
sua professione di ingegnere
meccanico. Non sarebbe una
brutta vita. Ora potrebbe
possedere una casa, essere sposato e
avere bambini. A volte pensa a come
potrebbe essere la sua vita, ma è con-
vinto che lasciare quel mondo con le
possibilità che lo accompagnavano e
diventare Salesiano di don Bosco sia
stata la scelta giusta per lui. «Nulla è
più nobile che accompagnare le perso-
ne perché edifichino una vita costrut-
tiva», afferma con decisione. A oltre
trent’anni di età, è tornato a essere uno
studente e si prepara per il sacerdozio.
Trinh frequenta le lezioni, appren-
de ampie conoscenze, si impegna nel
servizio nell’Istituto di formazione dei
Salesiani di don Bosco a Vienna, dove
vive con altri Salesiani, elabora propo-
ste di spiritualità e coordina le lezioni
di tedesco per i rifugiati.
Trinh aiuta il diciannovenne siriano
Laith Edwards con la grammatica.
Gli posa amichevolmente una mano
sulla spalla e gli dice sorridendo:
«Dobbiamo esercitarci ancora un po’.
Purtroppo non c’è un modo miglio-
re». Laith ride. Sorridono anche gli
altri studenti che fanno parte del pic-
colo gruppo, mentre sono seduti al
tavolo con Trinh. «Ha un modo spe-
ciale di insegnare argomenti nuovi»,
dice il ventunenne Khalil Kobesi. «È
molto cordiale. Mi aiuta a imparare
la grammatica e ad apprendere nuo-
ve parole», dichiara Sarah Alahmad,
una ventottenne. Trinh si gira verso
di lei, la guarda negli occhi e dice:
«Una parola per te: opinione». Poi le
dà un foglio di carta. «È meglio che
tu la scriva. Così la ricorderai più fa-
cilmente».
24
Luglio / Agosto 2018

3.5 Page 25

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Trinh riesce a comprendere bene i ri-
fugiati che arrivano al Salesianum di
Vienna. I suoi genitori si lasciarono
tutto alle spalle per cominciare una
nuova vita. Suo padre aveva combat-
tuto nella guerra a fianco dei vietna-
miti del sud contro il Vietnam del
nord comunista.
Su una barca
verso l’ignoto
Dopo l’esito del conflitto a favore del
Vietnam del nord, il padre di Trinh
subì dure rappresaglie. Anche sua
madre non poteva più vivere la sua
fede come cattolica.
Insieme a Baby, la sorella maggiore di
Trinh, nel 1980 la famiglia salì su una
barca verso un destino incerto. I Trinh
furono fortunati. Molti morirono nel
mar Cinese Meridionale, ma loro si
salvarono. La famiglia arrivò a Rati-
sbona (Regensburg) in Germania. Qui
alla fine del 1981 nacque Duy-Duy Jo-
sef Trinh e all’inizio del 1983 venne al
mondo la sua sorella minore. La gio-
vane famiglia ricevette un importante
aiuto da varie famiglie tedesche.
«Non posso dimenticare la loro bon-
tà», dice Trinh ricordando i suoi primi
anni di vita. Tanti manifestarono una
grande disponibilità nei loro confron-
ti: li aiutarono a districarsi tra i vari
uffici per il disbrigo delle pratiche ne-
cessarie, a cercare una casa e un lavo-
ro, a occuparsi dei bambini. Offriro-
no loro anche giocattoli. I genitori di
Trinh lavorarono molto, con grande
impegno. Nel corso degli anni acqui-
starono una piccola casa alla periferia
di Ratisbona. E si sono sempre impe-
gnati nella comunità ecclesiale. Trinh
è dunque cresciuto in un ambiente
cattolico. «Dopo la messa, spesso in-
sieme alle mie sorelle giocavo a rein-
terpretare la funzione», ricorda Trinh.
Interpretava il ruolo del parroco. «Già
all’epoca era presente l’idea del servi-
zio sacerdotale», riflette oggi.
Trinh è cresciuto contemporaneamen-
te in mondi diversi. «Per i vietnamiti
sono tedesco, in qualche modo. Per i
Tedeschi non sembro tedesco», dice.
Desidero accompagnare i giovani,
dare loro il mio tempo e rendere
forse così il mondo un po’ migliore
Duy-Duy Trinh, Salesiano di don Bosco
«Ha un modo speciale di insegnare argomenti
nuovi», dice il ventunenne Khalil Kobesi, a destra,
parlando del corso di tedesco tenuto da Trinh
(al centro della foto). Laith Edrs (19 anni) è dello
stesso parere.
Si considera un Bavarese vietnamita.
Per Trinh, costituivano due mondi
anche i valori cattolici che viveva da
casa e la vita dei suoi compagni di
scuola, che spesso non conoscevano
molto bene la religione. E poi avver-
tiva un contrasto tra due stili di vita,
seguire la chiamata al sacerdozio o co-
struire una vita da professionista con
un impiego ben remunerato.
«Recitiamo
un Padre Nostro»
Da bambino Trinh era timido, a
scuola non osava intervenire, anche
se aveva capito gli argomenti trattati.
Sapeva però che se voleva diventare
sacerdote avrebbe dovuto conseguire
un diploma liceale. Si impegnò dun-
que per potersi iscrivere al liceo. «Se
ci riuscirò, diventerò sacerdote», disse
a Dio. «Ma non fui ammesso», ricor-
da Trinh, che interpretò quell’insuc-
cesso come un segno.
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25

3.6 Page 26

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A TU PER TU
Dopo la scuola media, frequentò un
istituto tecnico, conseguì il relativo
diploma e poi prestò il servizio mili-
tare. Si trasferì quindi a Norimberga
per proseguire gli studi. Spesso stu-
diava insieme a un suo amico.
Dopo una lunga notte di impegno sui
libri, Trinh propose: «Recitiamo un
Padre Nostro». E sempre più spesso
i due giovani tennero conversazioni
sulla fede, su Dio e sul mondo. Dopo
la laurea, questo amico, che in passato
non si era occupato molto della fede,
con il sostegno di Trinh, decise di
entrare in seminario. «Mi domandai
allora: ho fiducia negli altri; ho fidu-
cia in me stesso?», ricorda Trinh. Il
giovane si laureò nel 2008. Seguì un
altro lungo periodo di dubbi. Trinh
parlava spesso con la madre della sua
vocazione. Lei aveva potuto conoscere
e apprezzare il lavoro dei Salesiani in
Vietnam e gli aveva trasmesso un’im-
magine positiva della Congregazione.
A sedici anni Trinh aveva letto un li-
bro su don Bosco che aveva suscitato
una profonda impressione in lui. «Ha
compiuto molte opere nel mondo. Mi
sentivo in sintonia con lui», ricorda
Trinh. Il giovane fu anche colpito da
un Salesiano vietnamita molto cordia-
le, sempre gioioso e sorridente. Da ra-
gazzo Trinh frequentava anche la co-
munità cattolica vietnamita e animava
un gruppo giovanile che a volte incon-
trava i Salesiani a Ratisbona. Trinh
ricorda soprattutto il biliardino. «Gio-
care e fare del bene» pensava che fosse
una buona scelta. Un Salesiano gli dis-
se che non aveva denaro in tasca. «Ma
non importa: dove mi trovo, Dio mi dà
tutto», precisò. Quel pensiero rimase
impresso nella mente di Trinh. Dopo
l’entusiasmo per la Giornata Mondiale
della Gioventù tenutasi a Colonia nel
2005, Trinh collaborò alla fondazio-
ne del gruppo , un’associazione
di giovani vietnamiti con l’obiettivo
di crescere nella fede e nella Chiesa
cattolica. «Lavorando con i giovani ho
potuto offrire spunti di riflessione alle
persone che ho incontrato. E il lavoro
con i giovani mi ha aiutato a riflette-
re», spiega il giovane Salesiano.
«L’importante è che la
tua vita sia realizzata»
Prima che Trinh decidesse di diven-
tare Salesiano, passò un certo periodo
di tempo.
«Non sono stato chiamato tardi, ma
ho riflettuto a lungo», dice Trinh par-
lando del percorso che lo ha portato a
vivere la sua vocazione. E sfruttò quel
periodo per riflettere sulla sua voca-
zione: contattò l’allora responsabile
delle vocazioni della Congregazio-
ne salesiana, che lo avrebbe accom-
pagnato nel suo cammino nel corso
degli anni. Trinh visitò diverse realtà
salesiane. A Benediktbeuern incontrò
«Lavorare con i giovani mi appassionava», dice
Trinh ricordando l’epoca in cui si impegnava nei
gruppi giovanili cattolici. Ancora oggi vive questa
esperienza con lo stesso entusiasmo come
Salesiano di don Bosco.
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Luglio / Agosto 2018

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l’attuale vescovo Stefan Oster, che
gli disse: «Non importa quale sia la
tua vocazione; l’importante è che la
tua vita sia realizzata». Queste paro-
le colpirono Trinh, perché comprese
che lo riguardavano personalmente.
Il giovane volle acquisire una certa
esperienza lavorativa come ingegnere.
Sapeva che Dio ha un progetto per
tutti. «Ma non sapevo quale progetto
avesse per me», ricorda. Cinque anni
dopo, Trinh comprese che qualcosa
doveva cambiare nella sua vita. Gli
sembrava che l’esistenza che conduce-
va gli stesse stretta. Dovette passare
un anno, prima che dicesse a se stes-
so: «Sì, voglio provarci. Altrimenti
sarò in dubbio per sempre». Alla fine
del 2013, Trinh annunciò la sua deci-
sione. «Ho sudato», ricorda. Due set-
timane dopo entrò nell’aspirantato di
Calhorn, dove avrebbe trascorso un
periodo di un anno e mezzo per il di-
scernimento vocazionale. I confratelli
gli furono di grande aiuto.
«Ho poi seguito il percorso passo
dopo passo», continua Trinh. All’a-
spirantato seguirono il prenoviziato e
il noviziato. Trinh volle continuare il
cammino. Comprese che era la stra-
da giusta per lui. Nel 2015, lo stesso
anno in cui le sue due sorelle si sono
sposate, Trinh ha emesso la prima
professione religiosa. Il giovane è
soddisfatto della sua decisione. «De-
sidero accompagnare i giovani, dare
loro il mio tempo e rendere forse così
il mondo un po’ migliore», spiega. È
molto felice quando vari giovani si
riuniscono per una serata di preghie-
ra nella cappella della Casa salesiana.
Dà il benvenuto a ognuno, prima di
avviare la meditazione della Parola di
Dio con accompagnamento di canti
eseguiti con la chitarra.
Un PROGETTO di EDUCAZIONE DIA2019XPRESS_Layout1 15/01/18 18.53 Pagina14
alla MONDIALITÀ S E V UOI C ONOS C E R E C HI E
UognnDi IdAisRcrICiIOmLOLTiMnOpUBaePNOAzArTNiCGAoCeNANnOlOROiemODinI are
e condividere il diario PUOI SCEGLIERLO TRA CHI NELLE SCUOLE
IVORIANE - LIBERIANE - BOLIVIANE - PAKISTANE
con un compagno lontano. HA RICEVUTO IN DONO IL TUO STESSO DIARIO NELLA SUA LINGUA
E HA SCRITTO E MANDATO FOTO
PER RINGRAZIARE
Per infoMrmAaNziOonNi: B AS T A
michelenovelli45.sdb@gmail.com SONO MOLTI DI PIU’ I BAMBINI LONTANI CHE RICEVONO IL DIARIO
DI QUELLI ITALIANI CHE LO DONANO
ADOT T A UNA S C UOL A
27 CREA UN CIRCUITO DI AMICI CHLEugVliOo G/ ALgIOosNtoO2A01N8DARE OLTRE
E FINANZIARE LA STAMPA DI PIU’ DIARI

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Un angelo
per i più piccoli
Nitra è una splendida
città slovacca.
Nella periferia, le Figlie
di Maria Ausiliatrice
hanno deciso di prendersi
cura della comunità Rom.
Si dedicano alle attività
del doposcuola,
del tempo libero
e collaborano per la
realizzazione di alcune
imprese socio-culturali.
Il significato etimologico del ter-
mine ròm, spiega il dizionario,
indica il nome generico con cui ven-
gono indicati gli appartenenti alla
popolazione nomade degli zingari,
spostatasi nel corso dei secoli dall’In-
dia settentrionale in regioni dell’Asia e
dell’Europa orientale e occidentale.
Non indica che anche per loro si può
inventare una pastorale, nonostante i
molteplici luoghi comuni dicano che
sono persone particolari con le quali
non si può entrare in contatto perché
hanno una cultura discutibile; ma sono
anche musicisti, danzatori, veri artisti,
talenti che restano perlopiù nascosti!
Le Figlie di Maria Ausiliatrice desi-
derano far scoprire non solo i talenti
artistici ma anche i doni più grandi
già insiti nella loro cultura: vita, amo-
re, famiglia, dignità, responsabilità,
capacità di dialogo, assunti mediante
l’educazione integrale dei bambini (0-
15 anni) e delle loro mamme.
Questo avviene a Košice, nel quartie-
re Lunik IX (dal 2008) e a Nitra, nel
quartiere Orechov Dvor (dal 2012).
Per comprendere qualcosa in più di
una pastorale così singolare, ci trasfe-
riamo nella città di Nitra, alle pendici
del monte Zobor, lungo la valle solca-
ta dal fiume Nitra. A Orechov Dvor
le suore sono giunte dopo un lungo
discernimento e svariati incontri con
i rappresentanti della città, dove vive
una comunità di zingari. Suor Mária
Snopková, suor Monika Foltýnová,
suor Františka Martinková e suor
Eva Pullmannová sono approdate in
un ambiente totalmente nuovo: in un
appartamento vicino alla Chiesa par-
rocchiale.
Orechov Dvor potrebbe essere defini-
to un possedimento fuori della città di
Nitra, là dove vivono circa 400 zinga-
ri. Le suore lavorano in team: con una
religiosa Missionaria serva dello Spi-
rito Santo, nel Centro materno; con i
laici insegnanti della scuola materna
e con altri specializzati nel lavoro so-
ciale. Insieme discutono le situazioni,
cercano soluzioni, prendono decisioni,
organizzano le attività, ad esempio la
giornata dei rom. Due suore lavorano
al Centro materno, disponibili per le
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Luglio / Agosto 2018

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mamme che hanno bambini piccoli.
Una Figlia di Maria Ausiliatrice la-
vora nella scuola elementare statale ed
un’altra in una classe di bambini con
bisogni speciali. Si dedicano alle atti-
vità del doposcuola, del tempo libero
e collaborano per la realizzazione di
alcune imprese socio-culturali. Den-
tro ogni attività un unico desiderio:
far sentire a ciascuno che è amato in
quanto essere umano.
Classe zero
Spesso alle mamme viene ricordato
che i loro bambini sono un grande
dono di Dio, sono belli ed hanno un
futuro davanti, ma concretamente,
come realizzarlo? Le suore, accor-
gendosi che molti bambini e ragazzi
non frequentavano la scuola sia per la
distanza sia perché erano tanto tra-
scurati, e questo creava un disagio
emotivo, hanno fondato a Orechov
Dvor una classe zero per prepararli alla
prima ed avviarli così ad un corso re-
golare di studi.
Le suore ci dicono: Non guardiamo ai
risultati, questi sono misurati in Alto,
ma guardiamo alle piccole cose della quo-
tidianità: il bambino che non butta più
la carta per terra, che riordina i giocatoli,
che sa affrontare i compiti più difficili,
che impara a suonare. Anche gli adulti
migliorano personalmente e nella capa-
cità di saper gestire una casa, così anche
i figli respirano un clima di famiglia che
consente loro di andare bene a scuola e di
vivere serenamente.
In collaborazione con le sorelle del-
la Congregazione Missionarie serve
dello Spirito Santo, le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice svolgono anche alcu-
ni corsi dal titolo: Scopri Cristo; molti
giovani lo hanno trovato, altri lo stan-
no scoprendo. Le suore cercano di
far ricevere i sacramenti ai bambini,
pregano con loro, vivono la bellezza
della vita cristiana e ne testimoniano
la gioia mettendosi con semplicità a
servizio, intercettando le necessità
della gente con la quale condividono
l’esistenza.
L’angelo suor Maria
Le Figlie di Maria Ausiliatrice dico-
no di realizzare l’intera missione edu-
cativa perché hanno un angelo che
dal cielo le protegge e le guida: è suor
Mária Futejová, la quale ha lavorato a
Nitra più di un anno e mezzo. A 35
anni ha concluso la sua missione sul-
la terra lasciando un’orma sulla quale
tanti continuano a camminare. Suor
Maria è stata una brava insegnante
della classe zero, benvoluta dai bambi-
ni a cui ha insegnato tanto. Ma una
Salesiana ama anche il gioco, infatti
a suor Maria piaceva giocare a cal-
cio con i ragazzi, tanto da diventarne
l’allenatore! Dopo la sua morte, ogni
anno si organizza una partita di calcio
che ha come premio la Coppa di suor
Maria. Nella scuola dove ha insegna-
to è affissa una sua fotografia perché
maggiormente si mantenga viva la sua
memoria; molti dicono che suor Ma-
ria continua ad essere qui con noi... Cer-
tamente dal Paradiso prosegue l’inse-
gnamento e l’allenamento, altrimenti
come si spiega il prodigio che dalla
classe zero molti arrivano a laurearsi?
Chi ha un angelo per allenatore non
può che fare tanti goal e vincere la
partita più grande: la vita!
Le Figlie di Maria Ausiliatrice si dedicano
alle attività del doposcuola, del tempo libero
e collaborano per la realizzazione di alcune
imprese socio-culturali.
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3.10 Page 30

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PASSEGGIATE SALESIANE
ILLUSTRAZIONE DI ANNA GIULIANO
TERRA DI SANTI DonBoscoèl’inventore
del «trekking» per ragazzi.
Li portava per giorni nella
sua terra natia. Una terra
di buon vino e di santi.
È un ottimo suggerimento
2 Mons.
Francesco Cagliero
5 San
Domenico Sav
per una passeggiata
“santa” e distensiva.
3 Beato
Giuseppe Allamano
1. Cardinale
Giovanni Cagliero
Nato a Castelnuovo d’Asti
l’11 gennaio 1838.
Morto a Roma il 28 febbraio 1926.
Sacerdote salesiano. Vescovo e
Vicario Apostolico della Patagonia
(1884). Cardinale (1915) Vescovo
di Frascati (1926).
Fu allievo dell’Oratorio del Valdocco,
e seguì l’esempio di don Bosco
diventando sacerdote e salesiano.
Fu il primo salesiano a diventare
vescovo e cardinale.
1 Card.
Giovanni Cagliero
4 San
Giuseppe Cafasso
7 Beata
Maddalena Morano
2. Monsignor
Francesco Cagliero
Nato a Castelnuovo d’Asti
il 6 febbraio 1875.
Sacerdote dell’Istituto dei Missionari
della Consolata Prefetto Apostolico
di Ingra, Tanzania (1922).
3. Beato Giuseppe Allamano
Nato a Castelnuovo d’Asti
il 21 gennaio 1851.
* Pilone dell’apparizione della Madonna alla veggente
Sacerdote Fondatore dell’Istituto dei
Maria Baj (1803) e Fonte dell’acqua miracolosa.
Qui, Mamma Margherita accompagnò varie volte
Missionari della Consolata e delle
il figlio “Giovannino”. Pregando la Madonna e bevendo
Suore Missionarie della Consolata.
l’acqua miracolosa lo guarì dalla crosta lattea (ruffa).
*
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Luglio / Agosto 2018
1 Cardinale
Giovanni Cagliero
2 Monsignor
Francesco Cagliero
3 Beato
Giuseppe

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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L’illustrazione originale si trova al Santuario Beata Vergine delle Grazie - Madonnina a Villanova d’Asti
4. San Giuseppe Cafasso 5. San Domenico Savio Allievo di don Bosco nell’Oratorio
Nato a Castelnuovo d’Asti
Nato a San Giovanni di Riva
del Valdocco.
il 15 gennaio 1811.
presso Chieri il 2 aprile 1842.
Fu fraterno amico e consigliere
Morto a Mondonio di Castelnuovo 6. Venerabile Cardinale
di don Bosco.
d’Asti il 9 marzo 1857.
Guglielmo Massaia
Nato a Piovà d’Asti l’8 giugno 1809.
6 Card.
vio
Guglielmo Massaia
Morto a San Giorgio a Cremano
(NA) il 6 agosto 1889.
Frate cappuccino, sacerdote.
Vescovo e Vicario Apostolico
dei Galla (Etiopia) (1846).
Arcivescovo (1881) e Cardinale
(1884).
8 San
Giovanni Bosco
9 Mamma
Margherita
7. Beata
Maddalena Morano
Nata a Chieri il 15 novembre 1847.
Morta a Catania il 26 marzo 1908.
Suora delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Istitutrice e fondatrice di scuole
femminili.
Chierese di nascita, visse
a Buttigliera d’Asti.
8. San Giovanni Bosco
Nato a Castelnuovo d’Asti
il 16 agosto 1815.
10 Papa
Francesco
9. Mamma Margherita
Nata a Capriglio il 1° aprile 1788.
Madre di san Giovanni Bosco.
10.Papa Francesco
Le origini astigiane di papa
Francesco le raccontano i
documenti conservati all’Anagrafe
di Asti. Il registro degli atti
di nascita del 1884, quando
Portacomaro Stazione era già parte
del Comune di Asti, conserva l’atto
di nascita del nonno del Papa.
o
Allamano
4 San
Giuseppe Cafasso
5 San
Domenico Savio
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4.2 Page 32

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I NOSTRI EROI
PIERLUIGI CAMERONI
Don Fuchs e don Sacilotti martiri
Uniti nell’amore
per gli indios
Xavante
Il 1° novembre 1934, in un tentativo
di accostamento della nuova tribù degli
Xavante, in Brasile, venivano massacrati
i salesiani missionari don Giovanni Fuchs
e don Pietro Sacilotti.
Don Giovanni Fuchs, un vete-
rano delle missioni, era nato
a Pfaffnau, cantone di Lucer-
na, in Svizzera, l’8 maggio
1880. A vent’anni, sentita la
vocazione alla vita religio-
sa, era passato in Italia e nell’istituto
salesiano di Penango Monferrato si
era preparato a seguire decisamente la
voce del Signore. Vestito l’abito reli-
gioso per le mani del beato Michele
Rua, nel 1906 era partito per il Brasi-
le, dove, compiuti gli studi nelle case
salesiane di Lorena (SP) e di Niterói
(RJ), riceveva l’ordinazione sacerdota-
le il 4 febbraio 1912. Sacerdote, conti-
nuò ad insegnare, per quasi due anni,
fisica e matematica nello stesso istitu-
to, finché sorpreso da malattia, dovet-
te tornare in Europa per ristabilirsi in
salute. Grazie a Dio si rimise in salute
e, ritornato dopo la guerra in Brasile,
il 15 agosto 1920 raggiungeva la “Co-
lonia Sacro Cuore” (Mato Grosso)
per dedicarsi tutto all’evangelizzazio-
ne degli Indi Bororo con ammirabi-
le abnegazione e spirito di sacrificio.
Quando don Fuchs raggiunse la sua
residenza, parecchie fibre di valorosi
missionari già si erano logorate non
tanto nella cura dei civilizzati, disper-
si nella vasta zona, quanto nella ricer-
ca delle tribù di Indi confinati nelle
immense foreste vergini, con discreta
corrispondenza da parte dei Bororo.
Ogni fatica era invece stata scaltra-
mente frustrata dalla tribù degli Xa-
vante.
Don Pietro Sacilotti era nato a Lo-
rena-SP (Brasile) da genitori italiani
l’11 maggio 1889. Cresciuto ed edu-
cato nell’istituto salesiano della sua
città natale, aveva risposto con slancio
alla voce del Signore e, vestito l’abito
religioso a Lavrinhas (SP), aveva per-
corso gli studi filosofici con brillante
successo, tanto che i superiori pensa-
rono di premiare la sua virtù ed il suo
amore allo studio mandandolo in Ita-
lia a compiere gli studi teologici nello
Studentato Internazionale Don Bosco
di Torino-Crocetta. Nella Basilica di
Maria Ausiliatrice ricevette l’ordina-
zione sacerdotale il 12 luglio 1925. Ri-
32
Luglio / Agosto 2018

4.3 Page 33

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tornato in patria, addetto all’assisten-
za ed all’insegnamento negli istituti
della sua Ispettoria, nel 1928 fu fatto
direttore del collegio di Registro di
Araguaya. Ma non era questa la vita
che egli sognava. La sua anima arden-
te anelava all’apostolato missionario
e fu felice soltanto quando i superiori
gli assegnarono l’ardua missione degli
Xavante.
La terribile tribù che da secoli face-
va parlare di sé in Brasile viveva in
villaggi disseminati in una fascia del
Mato Grosso che abbracciava centi-
naia di chilometri quadrati fra il Rio
das Mortes e il Kuluene, il braccio
maggiore del fiume Xingu. Il loro
habitat era la foresta vergine, senza
cammino, dove si muove con sicu-
rezza solo l’indio che vi nasce. Dal
1932 don Fuchs aveva programmato
un piano di penetrazione. Rimon-
ta a quell’anno la prima croce, alta
5 metri, che egli piantò sul Rio das
Indios Xavante durante una danza tradizionale.
Sotto il titolo: Una rara fotografia di don Fuchs e
don Sacilotti accanto alla croce alta cinque metri
piantata sul Rio das Mortes.
Mortes. Don Sacilotti ne condivideva
i piani e lo zelo appassionato per la
conversione degli Xavante.
«Si sta avvicinando
l’ora degli Xavante
e anche la nostra»
Nel 1934 don Fuchs, rimasto solo in
Santa Teresina, pensò bene di trasfe-
rirsi a Mato Verde, quasi sul limite
estremo della Prelatura, dove al prin-
cipio di settembre lo raggiunse un’al-
tra volta don Sacilotti, che veniva da
Araguaya portando con sé medicine,
viveri e personale. Là in poco più di
un mese di lavoro febbrile potevano
avere la soddisfazione di vedere pron-
ta una residenza tanto per i Salesia-
ni, come per le Figlie di Maria Au-
siliatrice. Ma avendo saputo che nel
Rio das Mortes vi era gran numero
di jangadas (zattere), segno evidente
della presenza degli Xavante, si af-
frettarono a risalire fino a S. Teresi-
na, dove giunsero il 24 ottobre. Don
Fuchs scrisse di là l’ultima lettera. In
essa diceva: “Si sta avvicinando l’ora
degli Xavante e anche la nostra ora...”.
Il presentimento rispondeva esatta-
mente alla realtà. Poiché gli Xavan-
te si nascondevano e fuggivano, era
necessario andare alla loro ricerca; ed
ecco i missionari partire un’altra vol-
ta, dopo pochi giorni, da S. Teresina.
Fu l’ultimo viaggio. Erano già da
qualche ora oltre São Domingos e
discendevano il fiume, quando avvi-
starono sul margine destro due ‘xa-
vantes’. Don Sacilotti e un bororo che
l’accompagnava, spento il motore per-
ché procedesse lentamente per la cor-
rente, saltarono su una piccola barca
che rimorchiavano per raggiungere il
margine, che era ben alto e scosceso.
Giunto lassù, don Sacilotti non vide
nessuno; arrampicatosi su di un albe-
ro, intravide nel folto della foresta una
cinquantina di ‘xavantes’. Chiamò don
Fuchs che venne, parlarono agli Indi
in ‘carajá’, ma questi risposero da lon-
tano in tono minaccioso; poi, mentre
i compagni dei missionari tornavano
alla barca per prendervi doni e regali,
risonò improvviso un grido di guerra,
cui seguì fulmineo l’assalto degli Xa-
vante. Nessuno poté testimoniare di
presenza quanto accadde in quei pochi
minuti. I due missionari, rimasti soli,
furono finiti con le tremende clave
degli Xavante, che li lasciarono l’uno
accanto all’altro con il cranio spaccato.
Nelle mappe del Brasile quel luogo è
ora denominato «Barranco dos Már-
tires»: i due salesiani avevano percorso
insieme più volte il Rio das Mortes in
cerca degli Xavante; insieme avevano
sospirato, sofferto e pregato per la loro
conversione; insieme affrontarono la
morte per la loro redenzione.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
7 Salviamo il pudore
C’era una volta il pudore.
Era un’evidenza e un mi-
stero, una virtù, una for-
za, una risorsa. Il pudore
è un istinto di autocon-
servazione, di protezione
contro tutto ciò che può minacciare
l’intimità e la dignità dell’individuo.
Non si riferisce soltanto alla sessuali-
tà, ma a quelle pareti che consentono
di distinguere l’interiorità dall’este-
riorità, la parte “discreta”, “singolare”,
“privata”, “intima” di ciascuno di noi.
La sentinella
È insomma la sentinella della pic-
cola fortezza interiore, del giardino
segreto dove la persona è veramente
se stessa. Prendere a prestito il ger-
go militare per descrivere il proces-
so psicologico dell’adolescente non
è eccessivo. Sia a livello fisico sia a
livello psicologico, il ragazzo sco-
pre in sé forze contraddittorie, che
spingono in direzioni opposte e lo
costringono a rimanere in bilico tra
desideri e paure, tra voglia di rischia-
re e ripiegamento su di sé. E poiché
queste forze sono caratterizzate da
pari intensità, bisogna assolutamente
imparare a contrastarle e a incana-
larle nella direzione voluta, per non
lasciarsi sopraffare dal loro vigore. Il
pericolo maggiore è la capitolazione,
che spinge il giovane a lasciarsi an-
dare alla deriva, alla ricerca di solu-
zioni di ripiego. In questo passaggio
si sente irrimediabilmente esposto
allo sguardo degli altri: il pudore è
un tentativo di mantenere la propria
soggettività, in modo da essere se-
gretamente se stessi in presenza degli
altri.
La ‘privatezza’ si trova, ormai, solo
più sui vocabolari. È la stagione della
volgarità!
Marco Belpoliti, autore di un libro
dal titolo significativo “Senza vergo-
gna” si domanda: «Il tempo della vergo-
gna è forse finito?» La nostra domanda
è un’altra: «Non è tempo di bonifica?».
Noi vogliamo reagire, non già per
moralismo o puritanesimo, ma perché
continuiamo a credere che il pudore
resta sempre un Valore che profuma
l’uomo.
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IL SEGRETO
MIRACOLO PEDAGOGICO
C’era una volta un bambino, che andando
e stando a scuola teneva sempre chiuso
il pugno della mano sinistra. Quando era
interrogato dalla maestra, si alzava e ri-
spondeva tenendo il suo pugno chiuso;
scriveva, con la destra, e conservava il
pugno sinistro ben chiuso.
Un giorno la maestra, anche per dare sod-
disfazione a tutti gli alunni, gli chiese il
perché di questo atteggiamento.
Il bambino non voleva rispondere, ma
poi, dietro le insistenze della maestra e
soprattutto per accontentare i suoi com-
pagni di scuola, decise di svelare il se-
greto.
«Quando ogni mattina parto da casa per
venire a scuola, mia madre mi stampa sul
palmo della mano sinistra un forte bacio
e poi, chiudendomi la mano, mi dice sor-
ridendo: “Bambino mio, tieni sempre ben
chiuso qui nella tua mano il bacio di tua
madre!”. Per questo tengo sempre il pu-
gno chiuso: c’è il bacio della mia mamma
dentro».
Abbiamo tutti un bacio da conservare nel
nostro intimo. Sembra un niente, ma è la
forza della vita.
Il pudore preserva il nostro spazio in-
timo e personale dalla sfera pubblica.
Certo, perché il pudore è la difesa del
nostro ‘intimo’. Non è cosa da repres-
si, né, tanto meno, questione di glutei
al vento.
Il pudore è la protezione della mia
interiorità. È non svendermi al mer-
cato dell’apparire. Ecco: il pudore
protegge la mia bolla fisica e psichi-
ca, perché, se è vero che il cuore deve
amare tutti, non è detto che debba
aprirsi a chiunque. Il corpo non è un
fatto pubblico, ma un bene privato.
Il pudore protegge la dignità del
corpo umano e la sua sessualità. Il
nostro corpo non è gomma da ma-
sticare, come la sessualità non è un
esercizio fisico al pari delle pertiche o
della cyclette.
Insomma, il pudore salva l’Amore. È
Oggi, parlando dell’educazione
sessuale, troppe volte si gioca
al ribasso.
Noi preferiamo invitare a volare
alto. Sì, perché il gioco vale la
candela!
Non è forse una meraviglia un
ragazzo limpido, trasparente,
solare?
Un ragazzo che mai si lascia
soverchiare dalla bestia?
In tempi di veline, di esibizione
sfacciata di carne umana, un
tale ragazzo è un miracolo pe-
dagogico!
Non è disinibito, non è sfrontato. È un ragazzo che profuma di pulito!
Una strada che porta a tale altezza è, sicuramente, quella che consiste nello spalancare la
porta principale di casa nostra al pudore, anche a costo di apparire casi clinici!
il giusto retroterra mentale per difen-
derci dal sesso allo stato brado.
Il pudore fa sì che la persona uma-
na non sia guardata come oggetto di
desiderio, ma come persona, appunto.
Il pudore non è roba per gente con la
testa fasciata, non è un sottoprodotto
da prendersi sottogamba. Il pudore è
cosa seria, tanto più quando si è da-
vanti agli occhi dei piccoli.
La bellezza interiore
Non è facile aiutare i ragazzi della
generazione del «Grande Fratello» a
ricuperare il significato di intimità e
vita interiore.
È necessario aiutarli prima di tutto a
percepire la bellezza e la grandezza
dei sentimenti “normali”: l’amore per
i genitori e per la famiglia, la fedel-
tà, l’amicizia, l’impegno, la religione.
E insieme il valore dell’interiorità,
dell’essere profondamente presenti
a se stessi, saldi nella propria identi-
tà, che nessuno può violare. Occorre
aiutare i figli ad essere fieri della loro
originalità, di qualcosa che sia tut-
to loro, a non sentirsi in obbligo di
“sembrare” o “appartenere”. È impor-
tante insegnare ai ragazzi il rispetto
per l’intimità propria e altrui: la di-
gnità della persona è un valore asso-
luto. In una società sempre più “sbra-
cata”, è vitale ritrovare, soprattutto in
famiglia, il senso della discrezione e
della delicatezza. Solo i genitori pos-
sono realmente far comprendere ai
figli che il riguardo per i sentimenti
e le emozioni, ma anche per le ferite
altrui, non è affatto “ipocrisia”.
C’è un esercizio con un nome sim-
patico che può essere utile a grandi
e piccoli: si chiama raccoglimento.
Consiste proprio nel “raccogliere” i
pezzi di sé, che esperienze e situazio-
ni quotidiane possono aver disperso,
e rimettere in sesto il proprio baricen-
tro. Molti adolescenti lo fanno quasi
istintivamente tenendo un diario che
raccoglie confidenze, rabbie, lacrime,
gioie e sfoghi, altri hanno bisogno di
un adulto che li accolga semplicemen-
te, ma sinceramente, senza giudicarli
e senza dare consigli. Perché possano
formulare e capire tutto ciò che si ac-
cumula “dentro”.
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il lavoro vi renderà...
uomini! «Faiilmotivatore,ildemotivato,
la risorsa umana, il disoccupato.
Perché lo fai? Perché non te
ne vai? Vivere per lavorare
Il tema del rapporto tra giovani adulti e lavo-
ro non potrebbe essere più attuale in un mo-
mento storico come quello presente, in cui
l’universo lavorativo appare attraversato da
profonde contraddizioni e la ricerca di un’oc-
cupazione si trasforma spesso in un percorso
o lavorare per vivere?»
Tutti gli studi più recenti concordano nel mette-
re in luce una certa disaffezione dei giovani nei
confronti del mondo del lavoro, la tendenza a
proiettare altrove le proprie aspettative di realiz-
deludente e faticoso che lascia ben poco spazio zazione umana, come se il lavoro non fosse più
alla gratificazione personale e alla valorizzazione ritenuto una dimensione centrale dell’esistenza e
delle competenze.
un’esperienza che contribuisce in modo crucia-
le e significativo alla costruzione dell’identità.
E fai il cameriere, l’assicuratore,
Spesso stremati dalla lunga ricerca di un’occu-
il campione del mondo, la baby pensione.
pazione e dal continuo peregrinare da un lavoro
Fai il ricco di famiglia, l’eroe nazionale,
il poliziotto di quartiere, il rottamatore.
Perché lo fai?
E fai il candidato, poi fai l’esodato,
qualche volta fai il ladro o fai il derubato.
E fai opposizione, e fai il duro e puro,
e fai il figlio d’arte, la blogger di moda.
Perché lo fai?
Perché non te ne vai?
Una vita in vacanza,
una vecchia che balla,
niente nuovo che avanza,
ma tutta la banda che suona e che canta,
per un mondo diverso,
libertà e tempo perso,
e nessuno che dice se sbagli sei fuori...
Foto Shutterstock.com
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all’altro, delusi dall’accettazione di un’attività
non congruente con i loro interessi, preoccupati
che una certa professione non offra possibilità di
autorealizzazione, né assicuri dignità e sicurez-
za di vita, molti giovani finiscono con il vivere
l’esperienza del lavoro come un’ingrata fatica,
come una gravosa necessità fatta di sacrifici e
vuota monotonia, coltivando frustrazioni e ste-
rili sogni di fuga.
Sul versante opposto, non sono pochi i giovani
che, sotto le incalzanti pressioni di una socie-
tà efficientistica e competitiva, fanno del lavoro
la loro unica ragione di vita, convogliando nella
dimensione professionale ogni energia e investi-
mento di tempo e, di fatto, “vivendo per lavorare”.
E a farne le spese è, non di rado, la stessa qualità
della vita, deprivata di spazi importanti di libertà
e relazione, nonché della leggerezza di momenti
preziosi vissuti all’insegna del riposo e della spen-
sieratezza.
In entrambi i casi, il rapporto con il lavoro ap-
pare segnato da una profonda ambiguità, dalla
difficoltà di restituire all’esperienza lavorativa il
giusto peso all’interno del proprio progetto di vita
e della propria biografia esistenziale, interrogan-
Foto Shutterstock.com
E fai l’estetista, e fai il laureato,
e fai il caso umano, il pubblico in studio.
Fai il cuoco stellato, e fai l’influencer,
e fai il cantautore, ma fai soldi col poker.
Perché lo fai?
E fai l’analista di calciomercato,
il bioagricoltore, il toyboy, il santone.
Fai il motivatore, il demotivato,
la risorsa umana, il disoccupato.
Perché lo fai?
Perché non te ne vai?
Vivere per lavorare
o lavorare per vivere?
Fare soldi per non pensare,
parlare sempre e non ascoltare,
ridere per fare male,
fare pace per bombardare,
partire per poi ritornare...
(Lo Stato Sociale, Una vita in vacanza, 2018)
dosi costantemente su obiettivi e motivazioni che
orientano e conferiscono senso ad azioni e scelte
quotidiane.
Ma, per quanto talvolta possa apparire compli-
cato e persino “utopistico”, un modo diverso per
rapportarsi al lavoro è possibile.
Al di là di ogni generalizzazione – per forza
di cose riduttiva e ingenerosa – accanto ai tan-
ti giovani adulti che fanno fatica a restituire
significato ad un lavoro spesso avvertito come
dispotico e avvilente, ce ne sono molti altri che
invece affrontano la propria professione suppor-
tati da entusiasmo e curiosità instancabile, dal
desiderio di dare un apporto fattivo alla colletti-
vità e alla vita sociale, dalla consapevolezza che
attraverso quest’esperienza hanno la possibilità
di crescere e mettersi alla prova, avendo compre-
so che svolgere con passione e responsabilità il
proprio lavoro è il modo migliore per affermare
la propria dignità umana e per contribuire al mi-
glioramento della società in modo competente
ed efficace.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
“Noi saremo
sempre amici”
Un emozionante ricordo del santo don Orione.
Chi fra i lettori del non co-
nosce il canto “Giù dai colli,
un dì lontano con la sola madre
accanto”? Penso molto pochi,
visto che tuttora è cantato
in decine di lingue in oltre
100 paesi del mondo. Altrettanto
pochi però penso che conoscano il
commento fatto dall’anziano don
(san) Luigi Orione durante la messa
(cantata!) del 31 gennaio 1940 dagli
Orionini di Tortona alle ore 4,45
(esattamente l’ora in cui era morto
don Bosco 52 anni prima). Ecco le
sue precise parole (tratte dalle fonti
orionine):
«L’inno a don Bosco che comincia
con “Giù dai colli” è stato composto e
musicato per la beatificazione di don
Bosco. La spiegazione della prima
strofa è questa. Alla morte del santo,
dal governo di quei tempi, nonostan-
te che tutti i giovani lo desideravano
e tutta Torino lo desiderasse, non fu
concesso che don Bosco, la sua salma,
venisse sepolta in Maria Ausiliatrice
e parve grande favore che la cara sal-
ma venisse sepolta a Valsalice… una
bella casa!... La salma dunque venne
portata a Valsalice e là, tutti gli anni
fino alla Beatificazione, andarono
gli alunni salesiani, nel giorno della
morte di don Bosco, a trovare il Pa-
dre, a pregare. Dopo che don Bosco
fu beatificato, il suo corpo venne por-
tato in Maria Ausiliatrice. E la strofa
che avete cantato “Oggi, o Padre, torni
ancora” ricorda anche questo. Celebra
don Bosco che ritorna fra i giova-
ni ancora, da Valsalice – che è posta
sopra una collina al di là del Po – a
Torino che è al piano».
I suoi ricordi
di quella giornata
E continuava don Orione: «Il Signo-
re mi ha dato la grazia di trovarmi
presente, nel 1929, a quel trasporto,
che fu un trionfo in mezzo a Torino
in festa, fra una gioia ed un entusia-
smo indicibile. Anch’io fui vicino
al carro trionfale. Il tragitto fu fatto
tutto a piedi da Valsalice all’Oratorio.
E, insieme con me, subito dietro il
carro, c’era uno in camicia rossa, un
Garibaldino; eravamo vicini, a fianco
a fianco. Era uno dei più antichi dei
I miei anni più
belli sono stati
quelli passati
nell’Oratorio
salesiano.
primi alunni di don Bosco; quando
seppe che si trasportava il corpo di
don Bosco, anche lui c’era dietro il
carro. E tutti cantavano: “Don Bosco
ritorna fra i giovani ancor”. In quel
trasporto tutto era gioia; i giova-
ni cantavano e i Torinesi agitavano
fazzoletti e gettavano fiori. Si passò
anche davanti al Palazzo Reale. Ri-
cordo che al balcone c’era il Principe
di Piemonte, circondato da generali;
il carro si fermò un momento ed egli
fece cenno di compiacenza; i superio-
ri Salesiani chinarono il capo, come a
ringraziarlo di quell’atto di omaggio
a don Bosco. Poi il carro raggiunse
Maria Ausiliatrice. E di lì a qual-
che minuto venne anche il Principe,
circondato da personaggi della Casa
Reale, a rendere atto di devozione al
nuovo Beato».
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“I miei anni più belli”
Il ragazzo Luigi Orione era vissuto
con don Bosco tre anni, dal 1886 al
1889. Li ricordava quarant’anni dopo
in questi commossi termini: «I miei
anni più belli sono stati quelli passati
nell’Oratorio salesiano». «Oh, potessi io
rivivere anche pochi di quei giorni vis-
suti all’Oratorio, vivente don Bosco!».
Aveva amato tanto don Bosco che gli
era stato concesso, in via eccezionalis-
sima, di confessarsi da lui anche quan-
do le forze fisiche erano al lumicino.
Nell’ultimo di tali colloqui (17 dicem-
bre 1887) il santo educatore gli aveva
confidato: “Noi saremo sempre amici”.
Un’amicizia totale, la loro, per cui non
meraviglia che poco dopo il quindicen-
ne Luigi si iscrivesse subito nella lista
dei ragazzi di Valdocco che offrivano
al Signore la propria vita per ottenere
la conservazione di quella dell’amato
Padre. Il Signore non accolse la sua
eroica richiesta, ma ne “ricambiò” la
generosità con il primo miracolo di
don Bosco da morto: al contatto con la
sua salma si riattaccò e rimarginò l’in-
dice della mano destra che il ragazzo,
mancino, si era tagliato mentre in cu-
cina preparava dei pezzettini di pane
da posare proprio sulla salma di don
Bosco, esposta nella chiesa di S. Fran-
cesco di Sales, per distribuirli come
reliquie ai tantissimi devoti.
Ciononostante il giovane non si fece
salesiano: anzi ebbe la certezza che il
Signore lo chiamava ad un’altra voca-
zione, proprio dopo essersi “consul-
tato” con don Bosco davanti alla sua
tomba di Valsalice. Così la Provvi-
denza volle che vi fosse un salesiano
in meno, ma una Famiglia religiosa
in più, quella orionina, che irradiasse,
per nuove e originali vie, l’“impronta”
ricevuta da don Bosco: l’amore al
Santissimo Sacramento e ai sacra-
menti della confessione e comunione,
la devozione alla Madonna e all’a-
more al Papa e alla Chiesa, il sistema
preventivo, la carità apostolica verso i
giovani “poveri ed abbandonati” ecc.
E Don Rua?
L’amicizia sincera e profonda di don
Orione con don Bosco divenne poi
amicizia altrettanto sincera e profon-
da con don Rua, che continuò fino
alla morte di questi nel 1910. Infatti
appena saputo dell’aggravamento del-
la sua salute, don Orione ordinò su-
bito una novena e si precipitò al suo
capezzale. Con particolare commo-
zione avrebbe poi ricordato quest’ulti-
ma visita: “Quando si ammalò, essen-
do io a Messina, telegrafai a Torino
per chiedere se, partendo subito, avrei
ancora potuto vederlo vivo. Mi fu ri-
sposto di sì; presi il treno e partii per
Torino. Mi accolse, sorridendo, don
Rua e mi diede la sua benedizione
specialissima per me e per tutti quelli
che sarebbero venuti alla nostra Casa.
Urna di don Bosco quando questa, il 9 giugno
1929, fu trasportata da Valsalice alla Basilica
di Maria Ausiliatrice. Accanto all’urna (con il
rocchetto bianco) camminava san Luigi Orione.
Vi assicuro che era la benedizione di
un santo”.
Giuntagli poi la notizia della morte
inviò un telegramma a don (beato) F.
Rinaldi: “Antico alunno del venerabi-
le don Bosco mi unisco ai Salesiani
nel piangere la morte di don Rua che
mi fu padre spirituale indimenticabi-
le. Qui preghiamo tutti, Sac. Orione”.
I salesiani volevano seppellir don Rua
a Valsalice, accanto alla tomba di don
Bosco, ma vi erano difficoltà da par-
te delle autorità cittadine. Immedia-
tamente con un altro telegramma, il
9 aprile, don Orione offrì allo stesso
don Rinaldi il suo aiuto: “Se sorges-
sero difficoltà per deporre don Rua a
Valsalice, voglia telegrafarmi, facil-
mente potrei aiutarli”.
Fu un grande sacrificio per lui non
potere attraversare l’Italia da Messina
a Torino per partecipare ai funerali di
don Rua. Ora però sono tutti, Bosco,
Rua, Orione, Rinaldi, in cielo, l’uno
accanto all’altro nell’unica grande fa-
miglia di Dio.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
È venerabile il cardinale Hlond, SDB,
perseguitato da nazisti e comunisti
Ringraziano
Dopo aver superato un’ischemia,
si è resa necessaria un’operazio-
ne all’anca e al femore: un inter-
vento molto, molto rischioso. Ho
girato alcuni ospedali, ma i medi-
ci, viste le mie patologie, non se
la sentivano di prendersi una re-
sponsabilità così grande, anche
perché a loro parere con l’ope-
razione difficilmente avrei potuto
recuperare. Ho pregato Maria
Ausiliatrice, don Bosco e
Domenico Savio di intercede-
re per me presso il Signore per
ottenere la grazia ed aiutarmi a
guarire e riuscire nuovamente a
camminare. Finalmente si decide
di operare. Grazie a Dio l’opera-
zione è andata bene, così come il
recupero, con stupore dei medici.
Ora con un appoggio riesco nuo-
vamente a camminare. Un rin-
graziamento a Maria Ausiliatrice,
don Bosco e Domenico Savio per
avermi aiutata a ricevere dal Si-
gnore una grazia così grande.
Maria Lina Bellone
San Giorgio di Susa (TO)
Ringrazio Maria Ausiliatrice,
don Bosco, san Domenico
Savio e la beata Laura Vi-
cuña per la guarigione di mia
nipotina. Essendole stata riscon-
trata una meningite, fu sottoposta
ad esami. Dopo alcuni giorni ri-
sultò che si trattava di meningite
virale, ma occorrevano altri cin-
que giorni per verificare il tipo di
virus. Anche se dagli esami non
derivò alcuna risposta precisa,
il medico dichiarò che si trattava
comunque di meningite, come
era scritto nel referto di dimis-
sione dall’ospedale: meningo-
encefalite. La bimba rimase in
ospedale dieci giorni; ma fin
dalla prima diagnosi cominciai
una novena a Maria Ausiliatrice e
a don Bosco. Il giorno seguente
un sacerdote salesiano si rivolse
alla beata Laura Vicuña ed un
altro sacerdote a san Domenico
Savio. Dimessa dall’ospedale, la
bimba presentava coliche biliari.
Riportata in ospedale le vengono
riscontrati calcoli biliari. Qualora
non si fossero sciolti si sarebbe
dovuto ricorrere ad un intervento.
Per questo iniziai una nuova no-
vena a Maria Ausiliatrice, mentre
il sacerdote salesiano prega-
va san Domenico Savio. Dopo
questo sono cessate le coliche e
dall’ecografia non sono più risul-
tati calcoli. Io sono sicuro di aver
avuto l’aiuto di Maria Ausiliatrice
e dei santi invocati, che non ces-
serò mai di ringraziare.
Guidi Renzo, Fiorentino
Repubblica di San Marino
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Il 19 maggio scorso papa Francesco, ricevendo in udienza il cardi-
nale Angelo Amato, SDB, Prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi, ha autorizzato la medesima Congregazione a promulgare,
insieme ad altri, il Decreto riguardante le virtù eroiche del servo di
Dio Augusto Giuseppe Hlond, della Società Salesiana di San Gio-
vanni Bosco, arcivescovo di Gniezno e Varsavia, Primate di Polonia,
cardinale di Santa Romana Chiesa, Fondatore della Società di Cristo
per gli Emigrati della Polonia; nato il 5 luglio 1881 a Brze˛czkowice
(Polonia) e morto a Varsavia (Polonia) il 22 ottobre 1948.
Secondo di 11 figli, suo padre era un operaio delle ferrovie. Ricevu-
ta dai genitori una fede semplice ma forte, si fa Salesiano. Ordinato
sacerdote nel 1905, si prende cura dei giovani, in particolare di
quelli poveri, con il carisma di don Bosco. Vive in mezzo alla gente,
condivide gioie e sofferenze delle persone più semplici. Ma viene
notato anche da papa Pio XI che gli affida la missione di provvedere
alla sistemazione religiosa della Slesia polacca: dalla sua mediazio-
ne tra tedeschi e polacchi nasce nel 1925 la diocesi di Katowice, di
cui diventa vescovo. Nel 1926 è arcivescovo di Gniezno e Poznan´ e
primate di Polonia. L’anno successivo il Papa lo crea cardinale. Nel
1932 fonda la Società di Cristo per gli emigrati polacchi, volta ad
assistere i tanti compatrioti che hanno lasciato il Paese.
Nel marzo del 1939 partecipa al Conclave che elegge Pio XII. Il pri-
mo settembre dello stesso anno i nazisti invadono la Polonia: inizia
la Seconda Guerra Mondiale. Il cardinale alza la voce contro le vio-
lazioni dei diritti umani e della libertà religiosa compiute da Hitler.
Costretto all’esilio si rifugia in Francia, presso l’Abbazia di Haute-
combe, denunciando le persecuzioni contro gli Ebrei in Polonia. La
Gestapo penetra nell’Abbazia e lo arresta, deportandolo a Parigi. Il
porporato si rifiuta categoricamente di appoggiare la formazione di
un governo polacco filonazista. Viene internato prima in Lorena e poi
in Westfalia. Liberato dalle truppe alleate, nel 1945 torna in Patria.
Nella nuova Polonia liberata dal nazismo, trova il comunismo. Con
coraggio difende i Polacchi dall’oppressione atea marxista, scam-
pando anche ad alcuni attentati. Muore il 22 ottobre 1948 a causa
di una polmonite, all’età di 67 anni. Ai funerali accorrono
migliaia di persone.
Il cardinale Hlond fu un uomo virtuoso, un luminoso esem-
pio di religioso salesiano e un pastore generoso, austero,
capace di visioni profetiche. Obbediente alla Chiesa e fermo
nell’esercizio dell’autorità, dimostrò umiltà eroica e inequi-
vocabile costanza nei momenti di maggiore prova. Coltivò
la povertà e praticò la giustizia verso i poveri e i bisognosi.
Le due colonne della sua vita spirituale, alla scuola di san
Giovanni Bosco, furono l’Eucaristia e Maria Ausiliatrice.
Nella storia della Chiesa di Polonia, il cardinale Augusto
Hlond è stato una delle figure più eminenti per la testimo-
nianza religiosa della sua vita, per la grandezza, la varietà e
l’originalità del suo ministero pastorale, per le sofferenze che
affrontò con intrepido animo cristiano per il Regno di Dio.
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Luglio / Agosto 2018

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Monsignor ANDRIY SAPELYAK Salesiano
Vescovo Missionario per gli Ucraini in Argentina e in Ucraina
Morto a Lviv-Vynnyky il 6 novembre 2017, a 98 anni
Andriy Sapelyak nacque nel
1919 in Polonia in una famiglia
ucraina. Manifestò la vocazione
sacerdotale e nel 1937 partì per
l’Italia e studiò dai Salesiani. Nel
1949 fu ordinato sacerdote. Nel
1952 il vescovo Ivan Buchko or-
ganizzò per la gioventù ucraina il
Seminario minore a Luri (Fran-
cia), e lo affidò ai Salesiani. Poi
il Seminario fu trasferito a Roma,
dove don Andriy divenne il primo
Rettore. Nel 1956 fu istituita la
prima comunità salesiana ucrai-
na che divenne il germe della fu-
tura Ispettoria. Primo Superiore
fu nominato don Sapelyak.
Il 14 agosto 1961 don Andriy
Sapelyak fu eletto Vescovo de-
gli Ucraini di Argentina. Ai primi
di dicembre il giovane Vescovo
partì per Argentina, affidando se
stesso ed i suoi figli spirituali
sotto il Patrocinio di Santa Vergi-
ne Maria. I primi mesi in Argen-
tina li dedicò ai viaggi attraverso
questo immenso paese, volendo
visitare le comunità degli ucraini
disperse dappertutto.
Allora vi erano circa 300 mila
ucraini. Effettivamente il nuovo
Vescovo stava creando la Chiesa
Ucraina. Egli iniziò con la costru-
zione di scuole, la formazione
dei preti e il catechismo. Sette
anni dopo la sua venuta in Ar-
gentina a Buenos Aires fu finita
la costruzione della Cattedrale di
Santa Maria del Patrocinio. Dopo
trentasei anni di ministero vesco-
vile iniziò la nuova tappa della
migrazione degli ucraini ed ogni
famiglia, che veniva in Argentina,
trovava nel Vescovo un padre
amorevolissimo.
Nel 1987 riuscì a far venire in Cat-
tedrale Sua Santità Giovanni Paolo
II, che stava visitando l’Argentina.
Ciò attirò l’attenzione della comu-
nità mondiale ai problemi della
diaspora ucraina. Dopo il Vescovo
raccontò: “II Papa incoronò l’icona
della Madonna nella Cattedrale...
In più, proprio in Argentina, iniziò
i festeggiamenti del millenario del
Battesimo dell’Ucraina...”.
Dopo una vita missionaria inten-
sa in Argentina gli fu proposto di
rimanervi, però nel 1997 egli de-
cise di ritornare in Patria. «Il pen-
siero del ritorno in Patria sempre
riempiva il mio cuore. Purtroppo
dopo essere partito per l’Italia per
studiare e diventare prete, non
ebbi più la possibilità di tornare in
patria, giacché l’Ucraina divenne
terra dei comunisti. Adesso l’U-
craina è libera e il mio desiderio
si è realizzato. Per questo io vorrei
unirmi al mio popolo».
Nel 1998, monsignor Sapelyak
raggiunse i confratelli salesiani
presenti a Leopoli, però notava la
necessità di diffondere le idee di
don Bosco in Ucraina Orientale.
Per questo, nel 2002, iniziò
il lavoro missionario a Verk-
nyodniprovsk (Regione di Dni-
propetrovsk). Istituì la minuscola
parrocchia di Pokrov, divenendo
parroco. Poi costruì un piccolo
centro giovanile (l’Oratorio). Nel
2011 comprò la casa a Dnipro,
dove i salesiani poi hanno aperto
la presenza. Poco dopo il Vesco-
vo comprò il terreno per la chiesa
e il centro giovanile. Fino al 2014
egli visse a Verknyodniprovsk, e
poi tornò a Leopoli ed entrò nella
comunità salesiana di Vynnyky.
Il suo desiderio più grande era
vivere nella comunità salesiana
assieme ai confratelli.
Riguardo al centro giovanile a
Verknyodniprovsk, il Vescovo
raccontava: «L’Oratorio è una
specie di club. Un club giova-
nile, religioso e ricreativo. Sono
contento che tanti giovani ven-
gano da noi. Sono arrivati i gio-
vani salesiani, che si preparano a
continuare quest’opera. Io cerco
di trasmettere a loro le mie idee.
Oltre l’unione di tutti gli ucrai-
ni in una Chiesa io ho un altro
desiderio che riguarda la Con-
gregazione Salesiana e i giovani
sacerdoti: educhino la gioventù
cristiana e patriottica».
Nel 2014, monsignor Sapelyak
rinunciò alla cittadinanza argenti-
na, ricevendo il passaporto ucrai-
no. Affermò di fare quella scelta
per amore della Patria. «Ormai
da quindici anni vivo in Ucraina
e sono contento di poter vivere e
morire qui. All’estero sempre la-
voravo per gli ucraini, vivevo per
l’Ucraina e volevo entrare proprio
nel suo cuore. Per questo ho de-
ciso si diventare cittadino ucrai-
no». D’allora in poi egli visse
nella casa salesiana di Vynnyky,
dove pregava e dava un’eccezio-
nale testimonianza di amore per
la vita, poiché desiderava vivere
almeno cent’anni. Per tutta la vita
fu sempre ospitale ed amichevo-
le con tutti quelli che venivano a
visitarlo. Lavorava molto e con
entusiasmo, seguendo i principi
di don Bosco: educare buoni cri-
stiani ed onesti cittadini.
Il 6 novembre 2017, a 98 anni,
tornò nella Casa del Padre. Ebbe
i funerali degni di un “padre della
Chiesa”.
Durante l’omelia monsignor
Shevchuk, arcivescovo mag-
giore di Kiev-Halych, ricordò
alcune pagine della vita del Ve-
scovo, permeata dalla mortifi-
cazione e dall’amore di Dio e del
suo popolo: «II carisma di don
Bosco, un grande missionario e
apostolo della gioventù, è fiorito
nella persona del primo Vescovo
degli ucraini dell’Argentina... Il
vescovo Andriy diceva: “II futu-
ro dell’Ucraina si forgia all’Est
e proprio questo futuro sono i
giovani dell’Ucraina Orientale...
E il futuro della nostra Chiesa si
trova proprio lì...” – Tante volte
me lo diceva... Io penso, che noi,
Vescovi, dobbiamo comprendere
bene quelle parole e risponde-
re a quest’appello profetico del
nostro confratello». Alla fine
monsignor Svyatoslav recitò le
parole da un canto mariano, che
gli era stato insegnato da monsi-
gnor Sapelyak.
Lui stesso aveva scritto: «La mia
vita è stata molto dinamica. Non
mancavano né salite né cadute. In
un giorno io avevo degli incontri
con i Vescovi e subito dopo anda-
vo dalla gente comune... Ho visto
tanti miracoli nella mia vita. Ho
visto un paralitico, il quale dopo
la preghiera subito guarì. Un altro
è nato cieco e dopo qualche anno
ha ritrovato la vista. La potenza del
Signore guarisce. Personalmente
con me non c’è stato nessun mi-
racolo, però delle grazie non ne
mancavano mai... La mia morte
la immagino come una strada che
porta a Dio Padre».
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UNA VITA COSTELLATA DI OPERE LUMINOSE
Don Bosco, lo sappiamo, era un uomo dotato di molte qualità;
aveva una memoria prodigiosa (poteva ripetere parola per parola
intere pagine di libri dopo averle lette una sola volta appena),
era eccezionalmente intelligente (tanto che il papa Pio IX, non
di rado si consultava con lui per esserne consigliato). Era dotato
anche di grande sensibilità verso i deboli e gli indifesi, qualità
innate in lui che lo portarono a fondare la Società Salesiana di
san Giovanni Bosco e la Congregazione femminile delle figlie di
Maria Ausiliatrice. Ma tra queste opere, che potremmo dire di rilevanza mondiale, egli compì tante
altre azioni minori ma altrettanto utili ed importanti, tra cui il primo contratto di “apprendizzaggio”, più
vecchio anche dell’Unità d’Italia. Nella casa dell’oratorio San Francesco di Sales, il giovane apprendista
falegname Giuseppe Odasso lo firmò l’8 febbraio 1852, in carta bollata da 40 centesimi, garante don
Giovanni Bosco. Conservato nell’archivio della congregazione salesiana insieme con altri contratti, tra
cui uno precedente del novembre 1851 ma in carta semplice, obbligava il datore di lavoro a impiegare il
giovane lavoratore solo nel suo mestiere e non in servizi estranei alla professione, correggendolo solo
a parole senza percosse, rispettandone salute, età, capacità,
riposo festivo e i doveri di allievo della casa dell’oratorio. Lo
stipendio settimanale doveva essere progressivo nel corso
dei due anni di apprendistato. Il giovane si impegnava a com-
portarsi «come dovere di buon apprendista richiede». Due i
garanti per il ragazzo: il padre e il direttore della casa dell’ora-
torio, ossia don Bosco. Don Bosco venne dichiarato venera-
bile nel 1907, beato nel 1929 e santo nel giorno di Pasqua del
1934. Il 31 gennaio 1958 Pio XII, su proposta del Ministro del
Lavoro, lo ha dichiarato Patrono degli XXX.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. L’ultimo degli
Hohenstaufen decapitato a Napoli a 16
anni - 14. Altare pagano - 15. Bi-
sogna impararla… e metterla da parte
- 16. Delimitano il corso del fiume -
17. È celebre lo Stabat… di Pergole-
si - 20. Sono pari nei sintomi - 22.
Le seguono le navi - 24. XXX - 27.
Viene dopo il bis - 28. La settima
preposizione - 29. La capitale dell’A-
rabia Saudita - 30. XXX - 33. Un
romano senza mano! - 34. A te - 35.
Un Bennato della canzone (iniz.) - 37.
Precede il “… ne va plus” del croupier
- 38. I Carabinieri (sigla) - 39. La
Geografia della volta celeste - 44. Ci
si ormeggia la barca, gavitello - 45.
Strada - 46. È noto quello … musqué
- 47. I confini dell’Eritrea - 48. Sacca
in pelle per liquidi - 50. Così si pro-
nuncia la chiocciola “@” informatica -
51. Né centrale, né meridionale.
VERTICALI. 1. L’architetto della
Città delle Arti e delle Scienze di Valen-
cia - 2. Adesso in breve - 3. Collega
due pianerottoli - 4. Un sedile situato
davanti nell’auto - 5. Il metro degli in-
glesi - 6. Nota Redazionale (sigla) - 7.
Il Redding celebre cantante di musica
soul - 8. Frasi memorabili - 9. Sigla
di senior - 10. Aggressivo come certi
microrganismi o germi - 11. Il Medio
durò mille anni - 12. Cercano di rag-
giungerla gli alpinisti - 13. Lo sono
brasiliane e canadesi - 18. Il Ricci di
“Striscia” (iniz.) - 19. Lo fondò Enrico
Mattei - 21. Un’arma che può sparare
raffiche - 23. Un grande cantautore ita-
liano che si tolse la vita durante il San-
remo del ’67 - 25. Si augura alzando il
bicchiere - 26. Allo stesso modo - 31.
Le vocali dei sardi - 32. Dentro - 34.
Il centro di Montreal - 36. È bene per i
francesi - 40. Si ripetono nella retata -
41. Un famoso Pinkerton - 42. Ottimo
a metà - 43. Gatto a Londra - 44. Le
ha dispari la boema - 48. La fine degli
eroi! - 49. Royal Navy (sigla).
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LA BUONANOTTE
B.F.
I capelli verdi
Disegno di Fabrizio Zubani
In un parco cittadino, una vec-
chietta è seduta su una panchina,
composta, apparentemente sere-
na, le mani in grembo. Guarda
i passanti che camminano in
fretta, i piccioni che becchettano
qua e là tra la ghiaia, un cane che
trascina il padrone.
Lei guarda. Nessuno guarda lei.
Arriva una ragazza. È giovane, ha
l’aria un po’ strafottente, i jeans
strappati con grossi squarci slabbrati
sulle ginocchia e sul sedere e soprat-
tutto i capelli di uno sfacciato colore
verde fosforescente.
La ragazza si guarda intorno e poi
si siede sulla panchina accanto alla
vecchietta.
Stanno in silenzio, tutte e due.
Ad un tratto, la vecchietta, con la sua
voce sottile, rompe il silenzio: «Un
colore audace, il tuo!»
«Già!» borbotta la ragazza.
«E quanti orecchini sulle orecchie!
Ti hanno fatto male quando te li
hanno messi?»
«Solo un pochino» dice la ragazza.
Cala di nuovo il silenzio.
L’anziana sembra curiosa e chiede:
«E quel bullone nella guancia, ti fa
male a mangiare?»
«No».
È di nuovo silenzio.
Lo interrompe la vecchietta. Con la
domanda più importante: «Perché lo
fai?»
La giovane alza gli occhi: «Perché
si accorgano di me. Vorrei essere
guardata».
Fa una pausa e aggiunge dolcemente:
«E magari un po’ amata».
Torna il silenzio.
Dopo un po’, la vecchietta dice:
«Domani uscirò anch’io con i capelli
verdi».
Tu che sei al di sopra di noi, Tu che sei uno di noi, Tu che sei anche in noi:
che tutti ti vedano, anche in me, che io prepari la strada per te,
che io ti renda grazie per tutto ciò che mi accade.
Che io non scordi i bisogni altrui.
Conservami nel tuo amore, come vuoi che altri restino nel mio.
Dammi un senso puro, affinché io ti veda,
un senso umile, affinché io ti ascolti,
un senso di carità, affinché io ti serva,
un senso di fede, affinché io resti in te.
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Sud Sudan
L’interminabile calvario di
un popolo
L’invitato
Don Valentino Favaro
Missione a Pointe Noire
Testimonianze
Che cos’è per te
la vocazione?
Un sogno nascosto
nel mistero di Dio
Le case di don Bosco
Ivrea
Di qui partirono in tanti
Eroi invisibili
Caterina M.
Ha davvero donato tutto
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.