Bollettino_Salesiano_201806

Bollettino_Salesiano_201806



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IL
GIUGNO
2018
Salesiani
nel mondo
Egitto
Le case
di don Bosco
Bardolino
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don Crisafulli
Iniziative
MEM
Gli invisibili
Queen
of Katwe

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La cascina Moglia
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Dal febbraio 1828 al novembre del 1929, Giovannino
Bosco lavorò come garzone nella cascina (fattoria) dei
Moglia (MB I, 191-206). Oggi, la cascina è stata ristrut-
turata ed è meta di incontri giovanili.
Ero una delle più belle fattorie dei dintorni.
Un giorno, arrivò quel ragazzo dal gran
ciuffo ricciuto.
Giovanni aveva tredici anni e il volto
segnato dalle lacrime. Aveva pianto molto
quel giorno. Era arrivato nell’aia di quella
grande cascina nel pomeriggio, dopo aver prova-
to per giorni a cercare lavoro come garzone nelle
altre cascine dei dintorni.
Il primo che aveva incontrato era uno dei Mo-
glia. Tremava per il freddo e la stanchezza, sulle
spalle portava un piccolo fagotto di biancheria,
che conteneva quanto possedeva di più prezio-
so: due libri. Era entrato nell’aia, dove tutta la
famiglia Moglia, era intenta a preparare i vimini
per legare le viti. Il padrone appena lo vide: «Chi
cerchi, ragazzo?» gli chiese.
«Cerco Luigi Moglia». «Sono io. Che cosa vuoi?»
«Mi manda mia madre. Mi ha detto di venire da
voi a fare il garzone di stalla».
«Ma povero ragazzo, siamo d’inverno, e chi ha
vaccari in casa, li licenzia; noi li prendiamo solo
alla fine di marzo. Abbi pazienza e ritorna a
casa tua». Giovanni chinò la testa avvilito. La
stanchezza e il peso della giornata lo piegarono.
Ruppe in pianto: «Io mi siedo qui per terra e non
mi muoverò più... No, non vado via!»
E si mise a raccogliere cogli altri i vimini sparsi
per l’aia.
Dorotea Moglia, commossa a quelle lacrime,
persuase il marito a tenere in casa almeno per
pochi giorni quel povero fanciullo.
Quella sera, Giovanni rimase stupito quando la
Signora Dorotea gli mostrò la sua camera da letto.
«Una stanza tutta per me?»
Il letto era buono, ma dormire era difficile. Sol-
tanto io lo sentii sospirare: «Mama…»
Lo capisco perfino io. È dura sentirsi tagliato
fuori dalla famiglia. Aveva un cuore sensibilissi-
mo, quel ragazzo. Il giorno dopo, era già all’ope-
ra. Maniche rimboccate, pulì la stalla, diede da
mangiare alle mucche e le portò all’abbeveratoio.
Nei mesi seguenti, tutti gli altri lavori tipici del
mondo agricolo del tempo, come curare le viti,
zappare, tagliare l’erba, rivoltare il fieno e ra-
strellarlo, raccogliere le foglie di gelso per i bachi
da seta, fare fascine nei boschi, battere il grano,
spannocchiare e scartocciare il mais. Giovanni
era amato e godeva ampia autonomia, un po’ di
tempo libero per le sue letture e le sue preghiere.
Ogni domenica si recava alla prima messa nella
parrocchia di Moncucco e radunava i ragazzi
della borgata. Giocava con loro, li faceva pregare
e raccontava magnifiche storie. Quando pioveva
li portava sul mio fienile.
Un vecchio burbero lo vide pregare, un giorno e
lo prese in giro. Con calma, Giovanni rispose:
«Mia madre mi ha insegnato che quando si pre-
ga, da due grani nascono quattro spighe; se invece
non si prega, da quattro grani nascono due spighe
sole. È meglio che preghiate anche voi!»
Sarebbe diventato un grand’uomo, sicuramente.
Parola di Cascina Moglia.
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Giugno 2018

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IL
GIUGNO 2018
ANNO CXLII
Numero 6
IL
GIUGNO
2018
Salesiani
nel mondo
Egitto
Le case
di don Bosco
Bardolino
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don Crisafulli
Iniziative
MEM
Gli invisibili
Queen
of Katwe
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: L’amicizia e la gioia sono
tra i fondamenti della pedagogia salesiana
(Foto Monkey Business Images / Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Egitto
12 LE CASE DI DON BOSCO
Bardolino
16 LA RICETTA 4
La responsabilità
18 L’INVITATO
Don Jorge Crisafulli
22 5 × MILLE
24 INIZIATIVE
Museo Etnologico Missionario
28 GLI INVISIBILI
Queen of Katwe
30 FMA
Collegi universitari
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Paolo
Balter, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Elisabetta
Gatto, José J. Gomez Palacios,
Claudia Gualtieri, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Marcella Orsini,
Pino Pellegrino, Giampietro
Pettenon, O. Pori Mecoi, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Ho visto e vissuto
Il sogno
missionario
Cari amici e fratelli, vi scrivo da Asun-
ci n, la capitale del Paraguay. Un’ora fa,
ero ancora nel Chaco paraguayano, dove
ho passato tre giorni molto intensi, belli,
pieni di esperienze.
Ho potuto salutare e condividere con mol-
ti popoli nativi. Questo era il mio obiettivo. Questo
è quello che ho chiesto. Volevo andare a incontrare
e salutare i popoli originari con i quali i miei fra-
telli e sorelle salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice,
hanno condiviso la vita in alcuni casi per 70 anni.
Ho passato alcune ore nella città di Chamacocos
nell’Alto Paraguay, nella regione vicino a Fuerte
Olimpo. Dopo un lungo viaggio abbiamo rag-
giunto la città di Carmelo Peralta, dove ho potu-
to trascorrere un’intera mattinata con le comunità
della città di Ayoreo. E infine, dopo una gita in
canoa di tre ore sul fiume Paraguay, che fa da
confine tra Paraguay e Brasile, e un avventuroso
viaggio attraverso le strade allagate di Puerto Ca-
sado, siamo stati in grado di incontrare le comu-
nità del popolo Maskoy.
Sento il cuore traboccante di felicità e di autentica
emozione. E posso confidarvi con assoluta sin-
cerità che il sogno missionario che ha occupato
tante notti di don Bosco e che per un’incantevole
di don Bosco
ispirazione è iniziato proprio dalla Patagonia è
ancora vivo. L’ho visto e vissuto. Potrei dire: sono
entrato nel sogno di don Bosco.
Ne ho visto il riflesso negli occhi e nel sorriso
delle persone che ho incontrato: manifestavano
la sincera gratitudine per gli oltre settant’anni di
presenza tra loro dei salesiani e delle salesiane.
Mi pareva di risentire il racconto del sogno fatto
da don Bosco com’è riportato nelle Memorie Bio-
grafiche: «Volevo farli tornare indietro, quando
vidi che il loro comparire riempì di gioia gli abi-
tanti di quel luogo che abbandonarono la loro ag-
gressività e accolsero i nostri Missionari con ogni
segno di cortesia. E vidi che i nostri Missionari
si avanzavano verso quelle popolazioni, li istrui-
vano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce;
insegnavano ed essi mettevano in pratica le loro
ammonizioni. Stetti a osservare, e mi accorsi che
i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre
i nativi, correndo da tutte le parti, facevano ala
al loro passaggio e di buon accordo rispondeva-
no a quella preghiera. Dopo un poco i Salesiani
andarono a disporsi al centro di quella folla che
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li circondò, e s’inginocchiarono. Quegli uomini,
deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari,
piegarono essi pure le ginocchia. Ed ecco uno dei
Salesiani intonare: “Lodate Maria, o lingue fede-
li...”, e tutte quelle turbe, a una voce, continuare il
canto della lode, così all’unisono e con tanta for-
za di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno fece molta impressione sul mio
animo, ritenendo che fosse un avviso celeste».
Posso assicurarvi che vivere nel Chaco è molto
difficile. Lo è oggi, figuratevi come doveva es-
sere cinquanta e più anni fa. Ho potuto dare un
abbraccio fraterno e pieno di orgoglio a diversi
confratelli salesiani che hanno lavorato nel Chaco
Paraguayo per 40, 42, 51 anni. A volte con tem-
perature di 45 gradi e con un’umidità sfiancante.
E la loro scelta per Gesù ha preso semplicemente
il nome di Chamacoco, Ayoreo, Maskoy.
Sono stato profondamente colpito al cuore quan-
do i loro leaders, i Caciques, mi hanno detto che
gli unici bianchi che hanno accettato di stare con
loro e condividere la loro vita sono stati i nostri
missionari, perché non li consideravano pericolosi
e intravedevano la loro leale umanità.
Questi nostri fratelli e sorelle, trent’anni prima
che l’educazione pubblica statale prendesse in
considerazione i popoli nativi, avevano già fon-
dato delle scuole per loro e li avevano portati agli
esami delle scuole statali e di là avevano potuto
entrare nelle scuole superiori.
Tra gli Ayoreo di María Auxiliadora a Puerto Ca-
sado, il direttore della scuola, Óscar, è stato uno di
quei giovani. Oggi è un felice padre di famiglia.
Anche tra i Maskoy, il capo o Cacique ha studiato
nella scuola salesiana di Puerto Casado. E anche
i suoi figli. Due di loro attualmente frequentano
l’università di Asunción. Sorridendo, mi ha detto
che quando era bambino il suo primo insegnante
era stato il missionario salesiano padre Martin. E
dopo tanti anni, Martin era lì, con me.
Come non pensare quanto don Bosco sarebbe
fiero dei suoi figli e delle sue figlie?
Hanno combattuto a fianco delle popolazioni na-
tive per ricuperare la terra che era loro. Alcuni
anni fa, i missionari salesiani mossero cielo e terra
per ottenere duemila ettari di terra da congiun-
gere a quelli già ottenuti dagli Ayoreo. E la stessa
lotta è stata fatta con il popolo Moskoy, che ora è
riuscito a recuperare le terre che aveva perso.
Tutto questo ho rivissuto, insieme alla forte fede
di queste persone semplici, una fede nella Vergine
e nel buon Dio. Una fede in Papà Dio e in Gesù.
E una speranza: c’è chi crede che questi popoli sia-
no in estinzione. Ci sono quelli che sarebbero felici
della loro estinzione. Grazie a Dio, invece, sono
popoli che continuano a riprendersi e aumentano
di numero. I bambini crescono buoni e studiano e
sono educati ad essere più liberi e nessuno può, mai
più, violare i loro diritti o sottoporli all’inganno.
Per questo affermo, oggi: credo nel Sogno Mis-
sionario di don Bosco.
.
Auguro a voi tutto il bene possibile, anche a questi
popoli che con la loro vita ci insegnano tanto.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Se i tuoi amici rifiutano Dio
Tu, che faresti?
Spesso, le persone a
noi più vicine rifiutano
la dimensione spirituale
e teologica. Come si
comportano i giovani
credenti in questi casi?
Renato, 24 anni
«La parola d’ordine deve essere
ascoltare in profondità l’amico
che pone questi dubbi e rifiuti».
Mi sono reso conto che alcuni metto-
no in dubbio la dimensione religiosa
perché la conoscono poco o altri, pur
avendo una grande sete della propria
dimensione spirituale, non riescono
a rispondere alle proprie domande e
quindi mettono in dubbio la sua im-
portanza o addirittura la sua esisten-
za. Personalmente, sono convinto che
le troppe parole servano a poco e pri-
ma di tutto, di fronte ad un amico che
non ha fatto esperienza come me, non
devo avere giudizi sulla sua posizione,
ma aiutarlo a fare esperienza. Questo,
per il semplice fatto che le domande o
i dubbi che il mio amico si pone po-
trei averli avuti anche io o addirittu-
ra ero nella sua stessa posizione, ma
vivendo a pieno questa dimensione
lasciandomi accompagnare ho capito
che la dimensione spirituale è parte
costitutiva di me e ha trovato dimora
nella persona di Gesù di Nazareth.
La parola d’ordine deve essere ascol-
tare in profondità l’amico che pone
questi dubbi e rifiuti, perché a volte
capita che si parli per sentito dire;
oppure si hanno avuto esperienze
spiacevoli da questo punto di vista;
o ancora non si riflette sulla propria
dimensione spirituale. Dopo l’ascol-
to, penso che accogliere con serenità
e familiarità l’amico sia veramente
di grande aiuto, perché così facendo
si sente a suo agio nell’esprimere la
sua interiorità, piuttosto che lanciar-
si nella battaglia di “chi è più tosto
vince”. Dico questo perché prima di
tutto sono stato trattato a mia volta
in questo modo quando avevo i miei
dubbi e posso dire che mi ha aiutato
tanto a scoprire, o meglio a conoscere
in profondità la mia dimensione spi-
rituale. Per ultimo mi viene da dire
che sarebbe bello far fare esperienze
che aiutino i propri amici a vivere la
propria dimensione spirituale; a far
suscitare domande e a cercare di ri-
spondere insieme.
Se Dio non c’è ed io
ho creduto in Lui,
ho perso poco. Ma
se Dio c’è e voi non
avete creduto in Lui,
avete perso tutto
(Blaise Pascal)
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Mery, 24 anni
«Non si può “costringere”
nessuno a credere in qualcosa,
come nessuno può costringere
me a fare il contrario».
Mi è successo molte volte, soprattut-
to quando ero più piccola, di sentire
dai miei amici che per loro la religio-
ne era un “no” a prescindere e soprat-
tutto mi è capitato che ridessero del-
la mia scelta di credere. Ho sempre
lasciato passare, ho sempre provato
a capirli, poi, però, sinceramente
crescendo ho iniziato a fregarme-
ne perché credo che la decisione di
fare parte o meno della comunità,
nel mio caso quella salesiana, sia
una mia scelta e che le altre persone,
come in tutti gli ambiti, possano solo
esprimere la loro opinione, darmi dei
consigli, ma sicuramente non hanno
il permesso di deridermi. Io la prima
cosa che ho fatto, quando mi sono
trovata in una situazione del genere,
è stata quella di portare quella per-
sona nel contesto religioso in cui vi-
vevo e vivo tutt’oggi e cioè la realtà
dell’oratorio. Ho provato a farla inte-
grare, a farle conoscere quella realtà
raccontandole la mia esperienza, fa-
cendole vedere quello che faccio, e
soprattutto ho iniziato a parlarle e ho
cercato di trovare quei “punti” su cui
poter far leva per far scattare in lei
domande che la facessero distogliere
dal suo pensiero negativo. Il dialogo
e l’ascolto sono sempre stati i punti
di partenza che ho usato per affron-
tare situazioni del genere. Non si può
“costringere” nessuno a credere in
qualcosa, come nessuno può costrin-
gere me a fare il contrario. Bisogna
essere capaci di accettare l’opinione
altrui. Io accetterei il punto di vista
dell’altra persona e le esporrei il mio,
senza nessun pregiudizio, tentando
di farle capire perché la penso così.
Poi sarà lei stessa a trarre le conclu-
sioni.
Gianluca, 27 anni
«Cerco di far capire prima
di tutto la mia posizione di fede,
portando quella che è la mia
esperienza concreta».
Mi è capitato diverse volte di trovar-
mi in situazioni simili, e la prima cosa
che faccio, generalmente, è cercare di
capire la situazione della persona con
cui interagisco: a grandi linee mi sono
trovato con due diverse tipologie. La
prima tipologia è quella che definisco
“credente comodo” cioè quelli che si
definiscono cattolici e che credono
in qualcosa, ma che per “comodità”
o perché “i preti sono tutti uguali”
non vanno a messa, non frequentano
gruppi o luoghi come oratori, parroc-
chie e altri di stampo “religioso”, vi-
vono la loro vita in maniera tranquilla
e senza fare del male o dare fastidio a
nessuno, o almeno senza esagerazioni
ma allo stesso modo non fanno nem-
meno niente per l’altro che li scomodi
troppo; la seconda tipologia invece
la definisco “ateo alla moda” perché
“fa figo” essere libero da una religio-
ne che ti vincola e ti incatena a cose
da fare e cose da non fare; ci sarebbe
poi una terza tipologia di persone cioè
gli atei, anzi agnostici convinti e che
vivono la loro condizione rispettando,
delle volte anche invidiando, la posi-
zione di un credente.
A prescindere dalla tipologia, quello
che cerco di fare in un confronto di
idee con chi mi trovo di fronte è di
far capire prima di tutto la mia po-
sizione di fede, portando quella che
è la mia esperienza concreta e il per-
corso fatto da diverse tappe che solo
ora, a 27 anni, mi ha portato ad avere
una posizione matura e ben definita,
ma che è ancora in continua crescita
e cambiamento. Per spiegare la mia
“dimensione teologica” evito catego-
ricamente di portarmi in una posizio-
ne di superiorità verso l’altro.
Uno dei primi insegnamenti di Gesù
è stato quello di portare la Parola a
tutti ed è questo quello che cerco di
fare, quanto più possibile, con i miei
atteggiamenti e le mie scelte di vita.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidon bosco.org Foto Ester Negro
Salesiani d’Egitto
Nel tempo e nelle diverse vicissitudini storiche,
sociali e politiche che ha attraversato l’Egitto
in questi cento e vent’anni, i salesiani non hanno
mai smesso di fare scuola, prima agli italiani
e poi ai giovani egiziani. Oggi la Scuola Don
Bosco di Alessandria d’Egitto è quotidianamente
frequentata da circa 900 allievi ed allieve.
Al Cairo i salesiani hanno una grande scuola
tecnica frequentata da quasi ottocento allievi.
Siamo arrivati in Egitto, ad Alessandria.
La città si trova nel basso Egitto, pro-
prio all’estremità occidentale della vasta
area del delta nel Nilo, affacciata sul Mar
Mediterraneo.
I salesiani vantano una presenza più che
centenaria. L’opera è stata fondata da don Rua,
primo successore di don Bosco, nel 1896. Ben 121
anni fa! A quel tempo la presenza di coloni italia-
ni era molto fiorente nell’Egitto, prima territorio
dell’Impero Ottomano e poi protettorato inglese,
fino a raggiungere le oltre venticinquemila presen-
ze nel periodo fra le due grandi guerre. Da subito
i salesiani hanno aperto un grande collegio in cui
si faceva scuola in italiano. Nei registri della scuo-
la troviamo anche il nome di Giuseppe Ungaretti,
poeta e scrittore che tutti abbiamo studiato nella
letteratura del Novecento, che qui conseguì la Li-
cenza Elementare nell’anno scolastico 1900/1901.
Nel tempo e nelle diverse vicissitudini storiche,
sociali e politiche che ha attraversato l’Egitto in
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questi cento e vent’anni, i salesiani non hanno mai
smesso di fare scuola, prima agli italiani e poi ai
giovani egiziani. Oggi la Scuola Don Bosco di
Alessandria d’Egitto è quotidianamente frequen-
tata da circa 900 allievi ed allieve che vanno dalla
scuola dell’infanzia all’istituto professionale che
rilascia qualifiche triennali nei settori meccanico
ed elettrico.
Quasi tutti musulmani
Elemento peculiare di questa opera è quello di
essere frequentata quasi esclusivamente da gio-
vani musulmani (i cristiani iscritti sono circa
25 in tutto) i quali riconoscono, assieme ai loro
genitori, che don Bosco ed il suo sistema edu-
cativo sono un grande dono anche per loro.
Inoltre vi è la particolarità della scuola superiore
professionale che viene svolta in lingua italiana,
perché si tratta di una scuola italiana all’estero ri-
conosciuta, e parzialmente anche finanziata, dal
nostro Ministero degli Affari Esteri. I ragazzi che
desiderano frequentarla sono ben di più dei posti
disponibili, ed ogni anno, dopo l’iscrizione viene
svolto durante il periodo delle vacanze scolastiche
estive un corso di italiano intensivo che risulta es-
sere un buon sistema di “selezione naturale”...
Un certo numero di questi si scoraggia davanti
allo scoglio della lingua e ripiega sulla scelta di
una normale scuola superiore egiziana. I diplomati
sono circa ottanta ogni anno e tutti trovano lavo-
ro, soprattutto dopo la leva militare che è obbliga-
toria per tutti in questo paese, per l’elevata qualità
formativa appresa negli anni di studio. Non po-
chi lasciano il settore professionale meccanico o
elettrico perché trovano occupazione nel turismo,
data la competenza approfondita nella lingua ita-
liana, visto che l’Egitto continua ad essere una
meta turistica ancora molto forte per gli italiani.
I cortili della casa salesiana, quando nel pomerig-
gio sono lasciati liberi dagli studenti, non restano
silenziosi e vuoti perché a portare vita e sana alle-
gria sono i ragazzi dell’Oratorio quotidiano che si
trovano insieme per la classica partita a pallone.
Il calcio è lo sport sovrano in questo paese e un
bel cortile ampio e aperto a tutti è il luogo ideale
per i ragazzi di città che sono costretti a vivere in
appartamenti piccoli e assolati.
Interessante è il gruppo degli animatori, tutti
musulmani... tra di loro qualcuno ha pure ma-
nifestato il desiderio di farsi salesiano! Ma il pre-
supposto per essere salesiani è almeno quello di
essere cristiani. Tutti si sentono di casa al Don
Bosco di Alessandria e vivono gli insegnamenti
di don Bosco in armonia e rispetto reciproco.
Un modello per le altre scuole
Ci siamo spostati da Alessandria al Cairo, la ca-
pitale dell’Egitto.
Al Cairo i salesiani hanno una grande scuola
tecnica frequentata da quasi ottocento allievi che
vengono da tutto il paese. Un buon numero di
questi viene dall’alto Egitto, cioè da centinaia di
chilometri di distanza e trovano un alloggio pres-
so parenti e organizzazioni di accoglienza, pur
di poter frequentare il Don Bosco che sorge nel
quartiere di Shubra, sulle rive del Nilo. La parti-
colarità della scuola tecnica è che anch’essa, come
la scuola salesiana di Alessandria, è riconosciuta
dallo Stato Italiano. Alla fine del percorso tecnico
La scuola di
Alessandria è
frequentata quasi
esclusivamente da
giovani musulmani
(i cristiani iscritti
sono circa 25
in tutto) i quali
riconoscono,
assieme ai loro
genitori, che don
Bosco ed il suo
sistema educativo
sono un grande
dono anche per
loro.
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SALESIANI NEL MONDO
Al Cairo i salesiani
hanno una grande
scuola tecnica
frequentata da
quasi ottocento
allievi che vengono
da tutto il paese.
e professionale tutto svolto in lingua italiana, gli
studenti conseguono una qualifica o un diploma
di valore legale sia in Egitto, sia in Italia. Il sogno
di molti di questi, soprattutto dell’istituto tecnico
industriale meccanico ed elettrico, è di frequen-
tare l’università di ingegneria in Italia, al Poli-
tecnico di Torino, come alla Statale di Milano.
Il valore e la preparazione professionale di questa
scuola sono riconosciuti non solo dalle famiglie
che ci tengono molto ad iscrivere i figli al Don
Bosco, ma dallo stesso governo egiziano che, su
specifica richiesta del primo ministro del governo
in carica, ha chiesto ai salesiani di coordinare e
socializzare il proprio modello formativo a tutte
le scuole tecniche del paese.
Quando al pomeriggio termina la scuola, e nei
giorni di venerdì e domenica in cui non ci sono
lezioni, gli stessi ambienti sono usati dai ragazzi
del quartiere che frequentano l’oratorio. L’orato-
rio pomeridiano è aperto ai soli ragazzi e giovani
cristiani. Uno spazio tutto per loro, in cui poter
crescere insieme nella vita sociale e nella fede
cristiana, in un paese nel quale sono minoranza,
spesso emarginata dai musulmani.
«Padre, ho fame. Ho tanta fame»
La terza opera presente in Egitto, in un quartiere
periferico del Cairo, si trova a Zeitun. I salesia-
ni sono presenti da poco più di trent’anni con un
oratorio e un centro giovanile a cui ora si aggiun-
ge anche la parrocchia. Per arrivarci attraversia-
mo un labirinto di strade piene di buche. Polvere
e sabbia ovunque. Gli edifici sono grigi, le stra-
de sono grigie, grigie anche le auto. Il paesaggio
è monocolore! Persino le foglie dei pochi alberi
striminziti che si trovano ai bordi della strada
sono coperte di una patina grigia: chissà se anche
questi alberi hanno ancora la forza di assorbire
anidride carbonica e rilasciare ossigeno. A guar-
darli si direbbe che si sono arresi da un bel po’....
Il compito che si sono assunti i salesiani in questo
quartiere è delicato e difficile da portare avanti.
Hanno orientato il proprio ministero pastorale
ai rifugiati sudanesi e ai ragazzi di strada. L’ora-
torio aveva solo facce nere, nere nere. I sudanesi
sono alti e snelli (snelli anche a causa del fatto che
il cibo a disposizione è sempre troppo poco) ed
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hanno un portamento elegante nel camminare.
Nella chiesa parrocchiale, costruita dai francesi
nella prima metà del secolo scorso e ora sapien-
temente restaurata da mani locali che fanno vero
servizio di volontariato, i battesimi sono nume-
rosi, la catechesi è seguita da tutti i ragazzi e la
S. Messa domenicale dura non meno di due ore,
fra canti e danze accompagnate dai tradizionali
tamburi.
Ci sono poi i ragazzi di strada. Questi sì che sono
egiziani. Per ora in casa salesiana ne sono accolti
solo un numero ristretto, anche perché lo spazio
è davvero poco, ma quelli che vengono seguiti nel
quartiere dall’équipe educativa sono in tutto circa
una settantina.
Il cortile dell’Oratorio è piccolo e circondato dai
soliti palazzoni grigi. Per questo, i ragazzi in
oratorio possono andare a turno. Nel primo po-
meriggio, dalle tre alle cinque ci vanno i piccoli
fino alla quinta elementare, dalle cinque alle sette
quelli delle medie e dalle sette in poi i più grandi.
In questo modo non ci sono atti di bullismo verso
i più piccoli che possono giocare e divertirsi con
i ragazzi della propria età. Ai rifugiati sudanesi
il governo egiziano non garantisce praticamente
nulla. Chi può si adatta a compiere i lavori più
umili, senza alcuna tutela lavorativa, a servizio
delle famiglie egiziane o dei commercianti della
zona. A causa dell’estrema povertà in cui versano
queste famiglie almeno il primo turno di oratorio,
quello dei più piccoli, termina con la preghiera e
una merenda per tutti.
Padre Dany, il direttore della casa, ci ha raccon-
tato due fatti che gli sono accaduti e che lo hanno
particolarmente toccato, come uomo e come prete
salesiano.
Un giorno, poco dopo l’apertura dell’Oratorio,
una bambina si avvicina timidamente a padre
Dany e gli chiede quando ci sarà la preghiera. Il
don dell’Oratorio gli risponde che la preghiera
è come al solito alle ore 17.00. Dopo un po’ di
tempo la bambina torna dal padre e gli chiede
quanto manchi alla preghiera in chiesa. Il don
replica che la preghiera sarà alle 17.00, ma invita
la bambina ad andare in chiesa anche prima, se
desidera rivolgere una sua preghiera personale a
Gesù. La bambina allora, abbassando gli occhi,
gli rivela il motivo della sua insistenza: “Padre,
ho fame. Ho tanta fame e voi dopo la preghiera
in chiesa ci date da mangiare. Quanto manca?”.
Il secondo episodio che padre Dany ci ha rac-
contato è accaduto la vigilia dello scorso Nata-
le. Un uomo, un padre di famiglia con tre figli
piccoli, va a confessarsi dal prete dell’Oratorio.
Padre Dany, conoscendo la profonda miseria in
cui vive quella famiglia, al termine della confes-
sione invita l’uomo a seguirlo. Vanno nella cucina
dei salesiani. Il don apre il congelatore, prende un
pezzo di carne rossa congelata e la dona all’uomo,
augurandogli di passare così un buon Natale con
la sua famiglia. L’uomo non crede ai propri occhi.
Prende con timore il pezzo di carne congelata,
ma sembra che fra le mani quel cibo scotti come
un lingotto d’oro appena fuso. Guarda il prete e
gli chiede se davvero può portarsi a casa quel ben
di Dio, se non sia uno scherzo. Padre Dany gli
conferma il dono e l’augurio a trascorrere sere-
namente il Natale. Il padre cade in ginocchio ai
piedi del don e comincia a baciargli le mani come
segno di ringraziamento.
“Avevo fame e mi avete dato da mangiare... ogni
volta che avrete fatto questo ad uno di questi fra-
telli più piccoli l’avete fatto a Me”.
Ogni altro commento è davvero superfluo.
Un giovane
musulmano
particolarmente
bravo e sensibile
ha detto a un
salesiano:
“Padre io confido
che almeno in
Paradiso potremo
stare insieme
senza diversità”.
Giugno 2018
11

2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
PAOLO BALTER
L’Istituto Salesiano
Don Bosco “Tusini”
a Bardolino
«La guerra ci ha portato grossi disastri, però
ci ha portato anche la grazia di avere i Salesiani»
diceva il generale Tusini che donò la villa e i terreni,
su uno dei quali oggi sorge la sede di una scuola
dinamica e all’avanguardia.
L’Istituto Salesiano Don Bosco “Tusini”
è situato su uno splendido balcone che
si affaccia sulla città di Bardolino e sul
lago di Garda.
Qui vive una Comunità composta da
una decina di Salesiani: alcuni operano
all’interno dell’Istituto, altri svolgono un mini-
stero per la Chiesa locale e nazionale, altri ancora
in favore di realtà religiose e per un servizio di as-
sistenza, sostegno e aiuto nei confronti di giovani
e famiglie del territorio.
La casa è in
una magnifica
posizione che si
affaccia sul lago
di Garda.
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Giugno 2018

2.3 Page 13

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La storia
Nel 1938 i conti Giuliari si erano rivolti al diret-
tore dell’Istituto Don Bosco di Verona, per avere
un sacerdote, che in certe occasioni celebrasse la
S. Messa nella loro chiesetta di Albarè. Il nucleo
familiare dei Giuliari era costituito dalla contessa
madre Margherita Revedin Giuliari, dalla figlia
Elena, sposata al generale Camillo Tusini e dalla
figlia Vittoria. Nell’autunno del 1943, s’inten-
sificarono le incursioni aeree alleate su Verona.
Anche l’Istituto Don Bosco era in pericolo. La
contessa madre Margherita, venuta a conoscenza
della situazione, invitò i Salesiani ad occupare la
loro villa sul lungolago di Bardolino affinché non
venisse requisita dal governo per i militari o per i
profughi del zona del fronte.
Le traversie della guerra, il vociare festoso dei ra-
gazzi nella loro casa avevano affezionato i Giuliari
ai Salesiani che più volte avevano preso le difese
dei conti contro le arroganze dei tedeschi. Diceva
il generale: “La guerra ci ha portato grossi disastri,
però ci ha portato anche la ‘grazia’ di avere i Salesiani”.
Nel frattempo, il 3 dicembre 1959, il Generale
Pier Camillo Tusini moriva e qualche anno dopo
il Consiglio Ispettoriale del 27 dicembre 1961,
dopo un sopralluogo, approvò il progetto di co-
struire una scuola di Avviamento Professionale.
La benedizione e la posa della prima pietra ebbe-
ro luogo l’11 marzo del 1962, alla presenza di don
Renato Ziggiotti, Rettor Maggiore dei Salesiani.
La nuova opera avrebbe portato il nome di Ca-
millo e Gualtiero Tusini.
Il 6 ottobre 1969 inizia l’attività scolastica per un
totale di 83 allievi tra esterni ed interni. L’edificio
di tre piani, più un interrato, si trova in posizione
panoramica, quasi una terrazza sul lago di Gar-
da; è attorniato da case coloniche, vigneti e uliveti
che si adagiano sul pendio che scende fino alla
cittadina di Bardolino e il lago. Il corpo centrale
dell’istituto è adibito ad uffici, aule scolastiche e
camerate, a sinistra, si trovano i refettori e le ca-
mere dei salesiani. A destra una spaziosa palestra
teatro con sopra una bella chiesa che nel 1974 fu
magistralmente decorata dal coadiutore salesiano
professor Luigi Zonta.
Il CFP: risposta al disagio
e risorsa del territorio
Dal 1994 iniziò il Centro di Formazione Professio-
nale, come sezione staccata dell’Istituto San Zeno
La bella chiesa fu
magistralmente
affrescata dal
coadiutore
salesiano
professor Luigi
Zonta.
In alto: Don Bosco.
Sotto: La pesca
miracolosa.
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
La “Scuola di
Formazione
Professionale”
è frequentata da
circa 250 allievi
suddivisi in tre
qualifiche triennali.
È stimatissima
dalle famiglie.
di Verona. Il Centro era stato fortemente voluto dal
sindaco di Costermano, un comune vicino che fece
analizzare le condizioni culturali, sociali ed occu-
pazionali della zona. «La situazione fotografava
una discreta descolarizzazione» concluse «così ab-
biamo, pensato fosse necessario avere un Centro
di Formazione Professionale, per qualificare la
manodopera e poter offrire la possibilità a questi
ragazzi di non perdersi, di non andare a costituire
una sacca di disagio, facilmente prevedibile, vista
la situazione. Così, mobilitai e coinvolsi tutti i
sindaci di ben quindici comuni della zona attor-
no. Le domande erano volte a capire se anche nel
loro territorio emergeva una condizione giovanile
analoga e se potevamo metterci insieme per fare
qualche cosa di utile per i giovani. Abbiamo avuto
la conferma e l’interesse di tutti, così ci mobilitam-
mo, insieme, affinché la Regione si potesse attivare
per far fronte comune con i Salesiani nell’imbastire
una risposta soddisfacente».
La risposta fu più che incoraggiante. Negli anni
seguenti, ci fu un progressivo aumento di iscri-
zioni.
Un’ipotesi che potrebbe spiegare la positività
di questo trend, la potremmo ricondurre a due
fattori: il primo è il ‘passaparola’ delle famiglie
che vedono nel modello organizzativo e metodo-
logico proposto, un modo per rispondere alle esi-
genze formative dei figli, con attenzione, dispo-
nibilità all’ascolto e volontà di superare assieme
le difficoltà. Sono questi, infatti, i commenti che
ci arrivano da famiglie, consigliate da altre per la
scelta del Tusini. Un altro fattore, invece, potreb-
be essere riconducibile a una sempre più intensa
sinergia con gli istituti comprensivi e i servizi so-
ciali del territorio che, attraverso il lavoro con-
giunto per la gestione di progetti, finalizzati alla
prevenzione della dispersione scolastica, vedono
nel Tusini una possibilità progettuale e gestionale
adeguata a questi interventi.
Oggi, la “Scuola di Formazione Professionale”
è frequentata da circa 250 allievi suddivisi in tre
qualifiche triennali. La prima è quella di Operato-
re Elettrico, che prevede l’acquisizione di compe-
tenze elettriche e termoidrauliche orientate all’uso
di tecnologie finalizzate al risparmio energetico e
al basso impatto ambientale; la seconda è quella
di Operatore Meccanico che punta a far acquisire
competenze nell’ambito della meccanica industria-
le e della motoristica nautica; la terza qualifica è
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Giugno 2018

2.5 Page 15

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quella di Operatore Addetto ai Servizi di Vendita:
fa sì che i ragazzi apprendano competenze nell’am-
bito aziendale e commerciale attinenti alla com-
pravendita e alla logistica di beni e servizi.
Quest’ultimo aspetto è
spiegato da don Paolo Bal-
ter direttore dell’Istituto:
«Gli studenti acquisteran-
no le competenze per in-
serirsi in contesti aziendali
con mansioni commerciali
attinenti alla Compraven-
dita e allo scambio di Beni e servizi». Aggiunge la
Direttrice del , Speranza Gandolfi: «Saranno
formati ad organizzare un punto vendita, a curar-
ne gli spazi rendendo interessante il luogo a cui si
rivolge il cliente, sapendolo accogliere nel modo
più adatto e fornendogli, se necessario, eventuali
suggerimenti. Riceveranno inoltre competenze
per offrire assistenza postvendita, svolgere adem-
pimenti amministrativi e suggerimenti per gesti-
re la vendita online. Riceveranno anche abilità
aggiuntive relative soprattutto alla logistica mer-
ci, settore che crea ancora occupazione nonostan-
te la crisi».
Non sono dimenticati neanche gli adulti. «La
Regione», annuncia Gandolfi, «ha deciso di fi-
nanziare percorsi per il conseguimento della qua-
lifica professionale Eqf (European Qualification
Framework) di “Operatore addetto ai servizi di
accoglienza turistica” rivolti ad adulti disoccupati,
inoccupati o che abbiano un diploma poco spen-
dibile in una situazione di crisi come l’attuale».
Oltre alla Scuola di Formazione Professionale,
l’Istituto offre corsi per l’istruzione o la forma-
zione superiore continua e post diploma. Il Tusini
si avvale del Sistema Duale, per favorire l’occu-
pabilità giovanile, promuovendo l’incontro tra
domanda e offerta di lavoro, nonché contrastare
la dispersione scolastica. Gli studenti spenderan-
no in azienda buona parte del monte ore, mentre
un’altra parte sarà destinata allo studio ordinario.
Un’oasi di accoglienza
Data la splendida posizione geografica, l’Istituto
“Tusini”, è anche Centro di Ospitalità per gruppi,
Parrocchie e Associazioni che vogliano passare
uno o più giorni di incontro e soggiorno. Sono
a disposizione una decina di camere doppie con
servizi, quattro camerate per i ragazzi e giovani,
ognuna con una ventina di posti letto, cucine e
sala da pranzo. Due grandi aule dove si possono
svolgere attività o assemblee. Infine grandi spazi
all’aperto attrezzati per il gioco del calcio, palla-
volo e basket, e un ampio portico esterno dedicato
ai giochi, tra cui calcetto, ping-pong e altri sport
in ambienti a disposizione per giornate indimen-
ticabili.
La qualifica
di Operatore
Addetto ai Servizi
di Vendita fa sì
che i ragazzi
apprendano
competenze
nell’ambito
aziendale e
commerciale.
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2.6 Page 16

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LA RICETTA SALESIANA
B.F.
Ipe6r
ingredienti fondamentali
formare un “uomo”
Con il primo ingrediente, la saggezza, abbiamo guardato in faccia
il “punto di partenza”. Questa umile rubrica proporrà sei obiettivi essenziali
(uno per puntata: La saggezza, Il coraggio, L’amore, La responsabilità, La temperanza,
La trascendenza), a loro volta suddivisi in tante altre “potenzialità”, da educare.
4 La responsabilità Esistonodueformedirespon-
sabilità:
La responsabilità sociale è
Come succede nella scuola-guida, quando l’allievo
è pronto, l’istruttore gli deve cedere il volante
e lasciare che prenda il controllo della propria vita.
quella che abbiamo l’uno verso l’al-
tro: in famiglia, nelle comunità, nella
società e nel mondo. È una qualità
che permette alla società o a gruppi
costituiti da un certo numero di per-
sone di funzionare correttamente. La
E ducare la responsabilità è la
vera sfida educativa del seco-
lo. Un sociologo da tutti citato
definisce “liquida” la nostra
società. Sono tentato di ag-
giungere “e anche un po’ pa-
La maggioranza dei conflitti tra figli
e adulti, come tra gli adulti stessi, si
sviluppa in modo distruttivo proprio
perché le parti non sono capaci, o non
vogliono, prendersi la responsabili-
tà di se stessi e sprecano energie in-
responsabilità sociale si può imparare
solo dai genitori e dagli insegnanti.
La responsabilità personale
è quella che ciascuno di noi ha per
la propria vita, per la propria salute e
lo sviluppo fisico, psicologico e men-
ludosa”. Sappiamo tutti che un fiume colpandosi l’un l’altro.
tale. I figli devono vivere con adulti
senza argini diventa una palude. Par-
lare di educazione della responsabilità
significa parlare di “argini”, o anche
delle “impalcature” necessarie per co-
struire una vita bella, utile, orientata
e forte.
Ecco alcune semplici considerazioni:
Il punto di partenza è essere
responsabili di se stessi. Troppi
adulti tra i venti e i quarant’anni non
sono veramente in grado di prender-
si la responsabilità della propria vita.
Gli Indiani Cherokee del Nord America hanno un magnifico “rito” per significare il passaggio
dall’adolescenza all’età adulta.
Quando un ragazzo compie gli anni prescritti per dimostrarsi adulto, il padre lo porta nel fol-
to della foresta e gli benda strettamente gli occhi, poi lo lascia da solo seduto su un tronco.
Il ragazzo deve stare sul tronco tutta la notte e non togliersi la benda fino al mattino. Non può
chiedere aiuto a nessuno. Se resiste, al sorgere del sole sarà proclamato uomo.
Di solito, la notte è paurosa: ci sono rumori strani, sibili e scricchiolii, animali che strisciano,
lupi che ululano, fruscii e grugniti, combattimenti feroci tra i cespugli.
Il ragazzo è armato solo del suo coraggio. Stringe i pugni e resiste, seduto sul tronco, con il
cuore che batte all’impazzata.
Finalmente, dopo quella notte orribile, il sole appare e il ragazzo si toglie la benda.
Allora scopre suo padre poco lontano, seduto su un tronco accanto al suo.
Il padre non se n’è andato, è rimasto tutta la notte in silenzio, per proteggere il figlio da ogni
possibile pericolo, senza che il ragazzo potesse accorgersene.
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2.7 Page 17

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che salvaguardino la loro integrità
personale e intervengano quando i
figli dimostrano comportamenti au-
todistruttivi. L’intervento dei genitori
deve essere fatto in modo da assicura-
re ai figli lo sviluppo di una sana au-
tostima e un alto grado di autonomia.
I genitori devono abbandonare
il “risponditore automatico”, lo
strumento che, appena i figli sono a
portata di orecchio, attacca con i soliti
commenti educativi, di aiuto o di con-
siglio. È evidente che la maggior parte
dei figli già all’età di tre anni smette di
ascoltare la macchina parlante. Il mes-
saggio sottostante è distruttivo: «Tu
non sei in grado di funzionare come
un figlio decente, responsabile, bene-
ducato e collaborativo se io non ti met-
to in testa ogni minuto quello che devi
fare!». E quanto più il nastro
lo ripete, tanto più il messag-
gio viene registrato.
I genitori devono es-
primere chiaramente
“quello che pensano”
ed aiutare i figli a fare
altrettanto. Ricordandosi
sempre che i bambini hanno
il diritto di essere bambini.
Per esempio, il perenne con-
flitto “svegliarsi in tempo
al mattino” dovrebbe essere
risolto con un discorso af-
fettuoso ma fermo del tipo:
«Ascoltate, ragazzi. Quando
eravate più piccoli, ci piace-
va svegliarvi la mattina, dato
che la responsabilità che vi
preparaste per la scuola era
nostra. Ma ora pensiamo che
non sia più necessario, anche
perché con questa storia finisce che bi- dall’essere controllati dall’esterno a
sticciamo quasi ogni giorno. Quindi un controllo interiore. Un bambino
abbiamo deciso di lasciare a voi questa semplicemente ubbidiente si abitua ad
responsabilità. Se poi vi capiterà troppo una forma di controllo esterno. Que-
spesso di andare a letto tardi, e avrete sto può danneggiare la sua autostima
paura di non sentire la sveglia, basta e lo sviluppo della sua responsabilità
che ce lo diciate e vedremo di aiutar- personale e genera sensazioni di iso-
vi. A parte questo, d’ora in poi dovrete lamento, inferiorità o vergogna. Con
pensare voi ad alzarvi ogni mattina». il tempo si metterà in qualche com-
I bambini sanno quello che pagnia che assumerà potere su di lui
vogliono, ma non sanno quello come hanno fatto i suoi genitori: «Se
che è necessario per loro. I figli fai come noi, sei dei nostri, altrimenti
che ricevono tutto quello che voglio- sei fuori!»
no non sono amati, ma trascurati. I genitori devono dimostrare,
Se i bambini hanno tutto quel- non insegnare. A questo scopo de-
lo che chiedono o devono solo vono modificare e rendere più auten-
“ubbidire” non saranno mai tico il loro modo di essere.
responsabili. L’ubbidienza pura I figli devono avere qualche “do-
e semplice non è la responsabili- vere” e qualche compito pratico
tà! Responsabilità significa passare in casa. Negli ultimi dieci o quindici
anni è aumentato il numero
di genitori che invece di chie-
dere ai figli di fare qualcosa,
li servono docilmente. Sono
nati così quelli che vengono
chiamati “i piccoli tiranni”.
I genitori dovrebbero defini-
re la situazione all’incirca in
questi termini: «Siamo tutti
sulla stessa barca e l’equipag-
gio è composto da quattro
membri. Su questa barca tutti
sono bene accetti. Ma non
abbiamo nessuna intenzione
di tenere a bordo un clande-
stino».
I ragazzi che vivono in casa
devono sapere esattamente
cosa ci si aspetta da loro. E
i genitori devono continuare
a tenere saldamente in mano
Foto Shutterstock.com la guida della famiglia.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Un missionario dinamico
e appassionato in Sierra Leone
Don Jorge
Crisafulli
Traduzione di Marisa Patarino
“Una cosa è vedere
la povertà in televisione
e sulle riviste e un’altra
è sentire il suo odore
e toccarla”.
stini, Stefenelli e Fagnano. La vita di
Ceferino Namuncurá, di Artemide
Zatti e della giovanissima Laura Vi-
cuña mi appassionavano.
Può presentarsi?
Mi chiamo Jorge Mario Crisafulli.
Sono un sacerdote argentino salesia-
no e missionario. Sono entrato a far
parte della Congregazione Salesiana
38 anni fa, sono sacerdote da 28 anni
e missionario nell’Africa occidentale
anglofona da 22. Sono nato nel 1961
a Bahía Blanca, nello stesso ospedale
in cui dieci anni prima era mancato
il beato Artemide Zatti. È una coin-
cidenza interessante nella storia della
mia vita, poiché sono un Salesiano
della Patagonia. Sono cresciuto nella
terra dei sogni di don Bosco, leggen-
do i libri di don Entraigas e ascoltan-
do le esperienze di grandi missionari
come Cagliero, Milanesio, De Ago-
Perché ha deciso
di diventare religioso
e salesiano?
In un’ottica di fede, penso che la mia
non sia stata tanto una decisione quan-
to una scelta “dall’alto” e una chiamata
interiore. Secondo la logica, mio fratel-
lo Alejandro sarebbe dovuto diventare
religioso e salesiano. Io ero più giovane
ed ero il più “disordinato e distratto” di
tutta la famiglia. Ogni volta in cui c’e-
ra trambusto, a scuola, nel cortile, per
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2.9 Page 19

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strada... io ero pronto a dire “presente”.
I parenti e gli amici stentavano a crede-
re che fossi io a frequentare il noviziato
(pensavano che ci andasse mio fratel-
lo!), ma questa è la logica di Dio: chia-
ma chi vuole, quando vuole e per il fine
che vuole. Fui invitato io a rispondere
a quella chiamata interiore. Alla base
di questa chiamata ci sono stati diversi
segni che hanno costellato la mia stra-
da: il mio servizio come animatore tra
gli scout di don Bosco, il Liceo Don
Bosco che frequentavo, un gruppo di
discernimento vocazionale, un gruppo
missionario, la testimonianza di Sale-
siani che erano veri santi: don Renato
Razza, il coadiutore Juan Espinardi e
molti altri. Mi è stato di grande aiuto
avere un amico sacerdote molto vicino,
il mio direttore spirituale, con cui par-
lavo della mia vita e della mia vocazio-
ne. Penso che lui abbia sempre visto in
me i segni di una potenziale vocazione
religiosa e missionaria.
Ero anche affascinato da don Bosco,
dalla sua vita, dalla sua missione e dal-
la sua attività instancabile per salvare i
bambini più poveri. Don Bosco era di-
verso da tutti gli altri santi di cui avevo
letto la vita: un santo vicino, amiche-
vole e affascinante. Dissi a me stesso:
«Voglio essere come don Bosco. Non
è tanto difficile essere come lui». Per
la mia mente di bambino e adolescen-
te, si trattava di un ideale realizzabile.
«Sarò un nuovo don Bosco, voglio es-
sere don Bosco», pensavo.
Perché ha scelto di essere
missionario in Africa?
Per la stessa ragione: alla base della
mia vocazione missionaria c’è stato
Dio, che ha tessuto la sua chiamata
con fili sottili e delicati, con sussurri,
suggerimenti, persone concrete, sen-
timenti forti...
Nel 1975, in occasione del centenario
delle missioni salesiane, al cinema del-
la scuola Don Bosco furono proiettati
molti film sulle attività missionarie.
Avevo quattordici anni e dissi a me
stesso: «Un giorno andrò in missione.
Voglio essere missionario in Africa».
A sedici anni entrai in un gruppo mis-
sionario che lavorava tra i Mapuche
nella Linea Sud della provincia argen-
tina del Rio Negro (dipartimento della
Sierra Colorada). Ricordo che scrivem-
mo in un promemoria che “una cosa è
vedere la povertà in televisione e sulle
riviste e un’altra è sentire il suo odore
e toccarla”. Quel contatto con la mise-
ria e con l’ingiustizia fu un momento
decisivo. Avvenne una “metanoia”, un
cambio di direzione nella mia vita. Fu
come se uscissi da me stesso: scoprivo
e sentivo il dolore e la sofferenza del-
la gente e avvertivo un fuoco interiore
che mi chiamava a lasciare tutto per
seguire Gesù, per essere vicino alle
persone che soffrono e combattere
contro le ingiustizie, le realtà che op-
primono, che rendono schiavi i nostri
fratelli. Sognavo, ma certamente Dio
mi chiamava e mi formava per la mis-
sione. Alla fine del Noviziato Salesia-
no chiesi di essere mandato in mis-
sione. Le testimonianze dei Salesiani
che lavoravano in Africa mi offrirono
un’altra motivazione importante. Dio
però ha i suoi tempi, che non sono i
nostri. Sarebbero trascorsi quattordici
anni, prima che i superiori mi dessero
il loro assenso per la mia partenza per
le missioni, la terra promessa, l’Africa
dei miei sogni.
«Sto sempre in mezzo ai giovani, vado loro
incontro, li ascolto, li incoraggio, propongo
loro ideali alti per la vita. Posso dire: “Sono
felice qui tra voi”. Anche con “Don Bosco sulle
ruote”, l’autobus che di notte percorre le strade di
Freetown alla ricerca di quelli rifiutati dalla città».
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
Quali sono state
le sue esperienze
come salesiano?
La mia esperienza fondamentale è
stata quella di sentirmi a mio agio,
felice ovunque Dio mi abbia manda-
to: il tempo della formazione, i primi
anni come sacerdote in Patagonia,
lavorando nella pastorale giovanile e
vocazionale, insegnando, celebrando i
sacramenti, impegnandomi nei quar-
tieri più poveri, negli oratori salesiani.
Sto sempre in mezzo ai giovani, vado
loro incontro, li ascolto, li incoraggio,
propongo loro ideali alti per la vita.
Posso dire: «Sono felice qui tra voi».
In Africa la mia esperienza più bel-
la è stata l’evangelizzazione: non c’è
niente di più bello che dire a un gio-
vane che Dio lo ha creato, lo ama e
si prende cura di lui. È anche impor-
tante invitare i giovani a ripetere tutte
le mattine, quando si alzano: «Dio mi
ha creato, Dio mi ama, Dio si prende
cura di me». Nel corso di una “buo-
nanotte”, una volta ho espresso que-
sto messaggio ai ragazzi di strada che
partecipano al progetto “Don Bosco
sulle ruote”, realizzato con l’auto-
bus che di notte percorre le strade di
Freetown. Dopo la preghiera finale,
un bambino mi si avvicinò e mi disse
che era la prima volta in cui qualcu-
no gli diceva che Dio lo amava e si
prendeva cura di lui, perché fino a
quel giorno aveva sempre sentito che
Dio si era dimenticato di lui. Penso
che sia l’esperienza più bella che noi
Salesiani viviamo: dire ai giovani che
Dio li ama infinitamente, incondizio-
natamente.
Quali sono le caratteristiche
dell’opera che gestisce ora
a Freetown?
È un’opera molto bella, nel cuore del-
la missione salesiana e in linea con
l’invito di papa Francesco per una
Chiesa missionaria e in uscita. Ab-
biamo avviato otto programmi per
i bambini in situazione di rischio:
un rifugio per ragazzi di strada, un
rifugio per ragazze che hanno subi-
to abusi, un rifugio per minorenni
sottratte alla prostituzione, il pro-
gramma “Don Bosco sulle ruote”,
un autobus che percorre le strade
per individuare casi di bambini in
condizioni di vulnerabilità, un pro-
gramma per orfani a causa del virus
Ebola, una linea telefonica gratuita,
riservata e anonima che opera 24 ore
su 24, 7 giorni su 7, e che si occupa
di bambini in situazioni critiche; un
programma per giovani detenuti nel
carcere di Pademba e il programma
“Esperanza Plus” che offre opportu-
nità di istruzione e formazione pro-
fessionale a ragazzi e ragazze che vi-
vono in strada. Quattro Salesiani, me
compreso, si occupano della gestione
e abbiamo 106 operatori sociali. Forse
alcuni ci considerano come una ,
ma continuiamo a dire a noi stessi e
agli educatori che siamo molto di più,
che abbiamo qualcosa che altre
non hanno: l’amore di Dio e la grazia
di Dio. Questo fa la differenza. Il ser-
vizio sociale aiuta, la grazia e l’amore
trasformano dall’interno!
A livello sociale com’è la
situazione in Sierra Leone?
La Sierra Leone è un paese prevalen-
temente musulmano, ricco di risorse
naturali (chi non ricorda il film “Dia-
manti di sangue” di Leonardo Di
Sono diversi i progetti per il salvataggio e
l’inserimento dei ragazzi e delle ragazze abusati
e a rischio.
20
Giugno 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Il programma “Esperanza Plus” offre opportunità
di istruzione e formazione professionale a ragazzi
e ragazze che vivono in strada.
Caprio?): diamanti, ferro, rame. Ulti-
mamente sono state scoperte miniere
di Coltan, materiale utilizzato nella
produzione di batterie per telefoni
cellulari. Il Paese dispone di legno,
terra fertile e acqua in abbondanza.
Purtroppo la Sierra Leone è stata ge-
stita molto male e subisce ancora le
conseguenze di undici anni di guerra
civile, una tra le peggiori del mondo
in termini di crimini di guerra com-
messi. C’è molta povertà, oserei dire
miseria. Molte persone, soprattutto
ragazzi e ragazze, mangiano solo una
volta al giorno. C’è molta corruzio-
ne nella classe politica. E quelli che
soffrono di più sono i poveri, che qui
costituiscono la maggioranza della
popolazione. Donne, ragazze e bam-
bine ne sono le vittime principali:
maltrattamenti in giovanissima età,
matrimoni precoci, mutilazioni ge-
nitali femminili e abusi sessuali sono
all’ordine del giorno. Il virus Ebola e
disastri naturali come le inondazioni
del 2017 hanno contribuito a mette-
re in ginocchio un Paese che voleva
risollevarsi dopo la fine della guerra.
Il livello di istruzione è basso, con un
alto tasso di dispersione scolastica, e
l’istruzione professionale e tecnica
è praticamente inesistente. La man-
canza di formazione professionale e
di opportunità di lavoro determina
la presenza di giovani nullafacenti,
che possono essere facilmente ma-
nipolati da gruppi politici e religiosi
fondamentalisti. La questione etnica
è un’altra grande sfida, specialmente
quando i gruppi etnici si identificano
con un determinato partito politico.
A quali progetti state
lavorando?
Ne abbiamo in mente diversi. Un
progetto in corso è il rifugio per le
ragazze che vivono nel mondo della
prostituzione. Le ragazze che vivono
e lavorano nelle strade di Freetown
sono più di 2500. Il nostro sogno è
toglierne dalla strada il maggior nu-
mero possibile: offrire loro una casa,
vitto, abiti, cure mediche, rintracciare
e riunire le loro famiglie, permettere
loro di frequentare la scuola e corsi di
formazione professionale. Da quando
abbiamo iniziato, a luglio del 2017,
siamo già riusciti a offrire un aiuto
concreto a 146 di loro. Il sogno con-
tinua e proseguiamo con la nostra at-
tività.
Un altro sogno è realizzare un pro-
gramma per i giovani che vivono nel-
le strade di Freetown e hanno forma-
to bande violente: vorremmo favorire
il loro recupero attraverso lo sport e
soprattutto la boxe professionale.
Un altro sogno è un programma eco-
logico globale che comprenda un per-
corso di formazione, la raccolta dei
rifiuti e il riciclo. Se educheremo le
nuove generazioni con un’ottica eco-
logica, assegneremo un impegno ai
giovani inattivi e libereremo la città e
le sue spiagge da tonnellate di plastica
e di altri materiali che possono essere
riciclati. Stiamo già scrivendo questo
progetto!
Il sogno più bello e che è già in corso
di realizzazione è la costruzione di un
centro di riabilitazione per ragazzi e
ragazze che hanno subito traumi nel-
la periferia di Freetown, sulla peni-
sola, tra le montagne e il mare. È un
luogo molto adatto per questo tipo di
missione. L’attenzione si concentrerà
sul recupero profondo dai traumi con
l’aiuto della psicologia, della psicope-
dagogia e della spiritualità. Abbiamo
già acquistato il terreno, stiamo co-
struendo un muro e il primo edificio
residenziale per le ragazze che vivo-
no nel mondo della prostituzione. Il
complesso disporrà di diversi edifici
residenziali, scuola, cortili e campi
sportivi, uffici amministrativi, came-
re per la sistemazione dei volontari,
una clinica, ecc. Fa parte di questo
progetto la realizzazione di un cen-
tro di ricerca e di formazione profes-
sionale per i nostri assistenti sociali
nell’ambito psicologico, antropologi-
co, sociale, pedagogico, ecc. L’ope-
ra di riabilitazione e cura dei trau-
mi profondi che i nostri ragazzi e le
nostre ragazze hanno subito avrebbe
così un fondamento più scientifico e
professionale. Questo sogno e questo
progetto sono già in corso, ma la loro
attuazione è di lunga durata e abbia-
mo bisogno del sostegno di varie per-
sone per completarlo.
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3.2 Page 22

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Dona il tuo 5×1000
Il 5×1000 è lo strumento che tutti abbiamo
per prendere parte all’opera che i missionari
salesiani realizzano per le popolazioni più
bisognose di tutto il mondo.
Fornire cibo, riparo, cure mediche, istruzione
e formazione professionale ai bambini e ai
ragazzi in situazione di disagio, contribuire alla
riduzione degli effetti delle emergenze sulla
popolazione più vulnerabile è il nostro obiettivo.
La Tua firma permetterà alla Fondazione DON
BOSCO NEL MONDO di essere al fianco dei
Salesiani di Don Bosco nei paesi in cui operano
con amore e dedizione per proteggere l’infanzia
più vulnerabile e a rischio, guidati dall’esempio
e dall’insegnamento di don Bosco.
A te non costa nulla, a tanti cambia la vita.
PARTECIPA ANCHE TU!
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel. 06.65612663 - Fax 06.65612010
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
web: www.donbosconelmondo.org
ERRATA CORRIGE “BOLLETTINO SALESIANO MAGGIO 2018”
Il progetto di restauro della casa di san Domenico Savio non è stato realizzato con i fondi provenienti dal 5x1000 (che la Fondazione DON
BOSCO NEL MONDO utilizza per progetti missionari), ma attraverso fondi istituzionali dell’ente.
L'articolo, inoltre, non è stato redatto da Marcella Orsini.
22
Giugno 2018

3.3 Page 23

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REALIZZAZIONI
MARCELLA ORSINI
Prima i bambini!
Tutela dei minori e 5×1000
ISalesiani di Don Bosco delle Pro-
vince India Bangalore e Africa
Congo-Congo operano ogni gior-
no per impedire che venga negata
l’infanzia a migliaia di minori in
difficoltà esposti alla violazione
dei loro diritti umani attraverso ac-
coglienza, istruzione, forma-
zione umana e professionale e
protezione dalle peggiori forme di
violenza e di sfruttamento.
In India, nello Stato del Karnataka,
la Fondazione con il 5×1000 ha deciso
di continuare il suo impegno intra-
preso nella lotta al fenomeno dei ma-
trimoni precoci e forzati nei distretti
di Bidar, Gulbarga, Raichur e Yadgir
e di estendere le attività al distretto
di Bellary, cittadina di Hospet, inclu-
dendo nelle azioni collettive e mul-
tilivelli di denuncia e potenziando
strutture e programmi per l’accesso di
bambine, bambini e adolescenti vul-
nerabili a un’istruzione di qualità.
Obiettivo del progetto è ridurre l’ab-
bandono scolastico, una delle cause
principali di esposizione alla pratica
dei matrimoni precoci e forzati e allo
sfruttamento dei minori nelle minie-
re, attraverso la costruzione di una
scuola per ciascun grado composta da
dieci aule, stanze per lo staff, una bi-
blioteca, campi per le attività ludico-
La Fondazione DON BOSCO NEL
MONDO quest’anno ha destinato
il 5×1000 a due progetti in tre
paesi differenti, ma uniti dalla condizione di estrema
vulnerabilità di bambine, bambini e adolescenti. Si tratta
dell’India, della Repubblica Democratica del Congo
e della Repubblica del Congo (o Congo Brazzaville).
sportive e laboratori per la formazione
professionale.
Per i bambini e i ragazzi dei villaggi
più distanti sarà possibile a fine pro-
getto usufruire anche di un mini-bus
per raggiungere la scuola. In aggiunta
all’edificio grazie al 5×1000 è possi-
bile realizzare un’ala per l’accoglien-
za residenziale dei ragazzi più poveri
della scuola secondaria provenienti
dai villaggi più distanti ai quali verrà
fornito anche il materiale scolastico.
Insieme al progetto “Istruzione di
qualità per i minori svantaggiati e
vulnerabili” con il 5×1000, la Fonda-
zione
sta
anche realizzando il progetto “Tutela
dei minori a rischio” nella Repubblica
Democratica del Congo e nella Re-
pubblica del Congo.
Obiettivo del progetto è la protezio-
ne di bambine, bambini e adolescenti
che frequentano le 11 opere salesiane
(centri di accoglienza, scuole e oratori)
di Kinshasa e di Brazzaville ai quali
povertà, marginalizzazione e vita di
strada negano le condizioni minime
per una vita dignitosa e inclusiva.
Con una sola firma da parte dei so-
stenitori è possibile costruire tre aule
per 250 alunni della scuola primaria
di Lukunga che accoglie più di mille
bambini, dotare di attrezzature ade-
guate i laboratori della scuola profes-
sionale di Masina ed equipaggiare con
materiale per lo sport e l’animazione
10 oratori frequentati da 1674 bambini
e ragazzi a Kinshasa e a Brazzaville.
Inoltre è possibile fornire cibo, riparo,
vestiario e cure mediche ai bambini e
ai ragazzi di strada per i quali i Sale-
siani in e sono gli unici punti
di riferimento in 3 centri di prima ac-
coglienza.
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3.4 Page 24

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INIZIATIVE
ELISABETTA GATTO
MEM Con la sua collezione di oltre diecimila oggetti,
raccolti dai missionari salesiani a partire dalla prima
spedizione in Patagonia del 1875, il MEM - Museo
Etnologico Missionario di Colle Don Bosco costituisce
una delle più importanti raccolte missionarie in Italia
per il volume e il carattere eterogeneo delle collezioni.
L’ingresso del museo, che permette visite
didattiche e a tema, ed è ricco di contenuti
multimediali.
La storia del museo
Il Museo trova le sue origini nelle
mostre e nelle esposizioni missionarie
allestite a partire dalla fine dell’Otto-
cento e nel corso del Novecento.
Gli oggetti furono portati in Italia con
l’esplicito intento di illustrare al pub-
blico italiano la varietà dei contesti
geografici, ambientali e culturali con
cui i missionari erano entrati in con-
tatto e gradualmente diventano testi-
monianza della presenza e dello svi-
luppo storico delle missioni salesiane.
All’Esposizione generale d’Arte Sa-
cra del 1898 a Torino i Salesiani par-
tecipano con le Missioni d’America,
principalmente Patagonia e Terra
del Fuoco: in quell’occasione la com-
missione incaricata di valutare l’e-
sposizione assegna il primo premio
alle missioni salesiane e al missiona-
rio don Maggiorino Borgatello una
menzione onorevole per le conferenze
tenute. Gli oggetti portati per quel-
la sede costituiscono il primo nucleo
della raccolta oggi presente in museo.
A contribuire a far conoscere la cul-
tura e lo stile di vita delle popolazio-
ni avvicinate dai missionari e la loro
importante opera intervengono due
eventi: l’Esposizione Missionaria Va-
ticana del 1925 e la Mostra sul Cin-
quantenario delle Missioni Salesiane
nel 1926, a Torino.
La partecipazione all’Esposizione in
Vaticano fu sollecitata dall’invito del
Papa, Pio XI, rivolto a tutti gli Isti-
tuti Religiosi. Il contributo salesiano
fu molto apprezzato e l’Osservatore
Romano del 31 agosto 1925 pubbli-
cò un lungo articolo sul contributo
delle missioni salesiane d’America
all’Esposizione Missionaria Vaticana.
La Mostra Missionaria allestita a To-
rino Valdocco nel 1926 aveva lo scopo
di celebrare il lavoro delle Missioni di
Don Bosco a cinquant’anni dalla pri-
ma spedizione del 1875.
Dopo la chiusura dell’esposizione to-
rinese, il 6 ottobre 1926, gli oggetti
vengono conservati in un museo-de-
posito a Valdocco. Nel 1941 tutta la
collezione, affinché fosse protetta dai
bombardamenti della seconda guer-
ra mondiale, viene trasferita al Colle
Don Bosco.
L’allestimento, in locali rinnovati, è
riordinato nel 1988, centenario della
morte di don Bosco.
Nel gennaio 2000, in occasione del
Giubileo, viene inaugurato l’attuale
allestimento, arricchito nel 2016 di
nuovi contenuti multimediali.
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INDICAZIONI PRATICHE
Le collezioni
Il materiale esposto – ogget-
ti di uso domestico e rituale,
armi, arredi, abiti, ornamen-
ti – documenta le pratiche e i
costumi che caratterizzano le
culture in cui i missionari sale-
siani hanno operato e operano
nelle diverse parti del mondo.
Il percorso del museo è concepito per
aree geografiche, evidenziate dall’uso
di colori diversi per ciascuno dei con-
tinenti extraeuropei.
Si può inoltre approfondire la visita
scegliendo gli itinerari tematici pro-
posti nei totem multimediali lungo il
percorso che, a partire dagli oggetti
esposti, invitano a compiere un’esplo-
razione della collezione per soggetto:
il gioco, il lavoro, la bellezza, il cibo,
la natura, la famiglia, la musica, la
maschera, l’acqua, i rituali di inizia-
zione e quelli funebri.
La collezione sudamericana, con cir-
ca 4000 oggetti, costituisce il nucleo
centrale e più antico della raccolta,
con numerosi manufatti provenienti
da diversi gruppi indigeni di Brasile,
Venezuela, Ecuador, Paraguay, Pata-
gonia e Terra del Fuoco.
In particolare, il materiale raccolto tra
i Bororo del Mato Grosso, in Brasi-
le, rappresenta la collezione numeri-
camente più ricca ed è la seconda al
mondo, dopo quella conservata presso
il Museu das Culturas Dom Bosco di
Campo Grande: manufatti di fibra
intrecciata, di ceramica ma soprattut-
to di arte plumaria di grande bellezza
ed equilibrio cromatico. Si può consi-
derare unico, dato che si tratta di po-
polazioni estinte, il materiale raccolto
in Patagonia e Terra del Fuoco da don
Borgatello nel 1911 e don Alberto De
Agostini nel 1932.
Il museo possiede inoltre una ric-
ca collezione di oggetti degli Yano-
mami del Venezuela raccolti grazie
al lavoro paziente del missionario
don Luigi Cocco, e oltre 400 ma-
MEM - Museo Etnologico Missionario di
Colle Don Bosco
Frazione Morialdo 30, Colle Don Bosco
14022 Castelnuovo Don Bosco
www.memcolledonbosco.it
museo@colledonbosco.it
tel 011 9877229 - 011 9877168
fax 011 98 77 240
Orari di apertura
da martedì a sabato: 10.00 - 12.00 / 14.30
- 18.00 (17 con l’ora solare)
domenica: 10.30 - 12.30 / 14.00 - 18.00
(17.30 con l’ora solare)
Giorni di chiusura
Lunedì/ 1° Gennaio, Pasqua, 15 Agosto,
1° Novembre, 8 Dicembre, 25 - 26 Dicembre
L’ingresso al museo è gratuito. Sono offer-
te ai visitatori visite guidate gratuite e alle
scuole e ai gruppi percorsi didattici e di
educazione alla mondialità su prenotazione.
Il museo garantisce l’accessibilità alle per-
sone con disabilità fisica e motoria.
nufatti degli Shuar dell’Ecuador.
In museo sono esposte anche le col-
lezioni provenienti dal Rio Negro
(Brasile), dal Gran Chaco (Para-
guay), quelle degli Xavante del Mato
Grosso (Brasile), dei Carajá dell’isola
Bananal (Brasile) e di diversi gruppi
dell’Orinoco e della Bolivia.
La collezione americana, con circa 4000 oggetti, costituisce il nucleo centrale
e più antico della raccolta.
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3.6 Page 26

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INIZIATIVE
La collezione
africana riflette la
storia recente delle
missioni salesiane
nel continente.
La collezione africana riflette la sto-
ria relativamente recente delle mis-
sioni salesiane nel continente e pro-
viene in gran parte dal Kenya. Fatta
eccezione per alcuni oggetti prove-
nienti dall’Angola e dalla Repubbli-
ca Democratica del Congo, inviati in
occasione delle esposizioni del 1925
e 1926, il museo conserva poche te-
stimonianze materiali delle missioni
più antiche.
Più che un percorso distinto per
nazioni, per le vetrine africane
si è scelto di sviluppare alcuni
grandi temi che si ritrovano – sia
pure con notevoli variazioni locali
– in diverse parti del continente: og-
getti di uso quotidiano, ornamenti,
musica e maschere, i segni di distin-
zione e la cosiddetta “Africa in vali-
gia”, ovvero l’artigianato destinato
al mercato turistico.
Le collezioni asiatiche compren-
dono oggetti di uso rituale e
domestico provenienti da Cina,
Giappone, alcuni paesi del
Sud-est asiatico (Vietnam, Tailandia,
Myanmar) e India, con particolare
attenzione alla cultura materiale delle
popolazioni indigene del nord-est, te-
stimonianza significativa di tradizio-
ni in rapida trasformazione.
La collezione raccolta in Oceania è
costituita da un centinaio di oggetti
provenienti dal Kimberley australiano
e dalla Papua Nuova Guinea, che
documentano il primo tentativo dei
missionari di operare a fianco delle
popolazioni indigene.
Interessanti oggetti delle culture
di Asia e Oceania.
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3.7 Page 27

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Una grande e magnifica vocazione
nata nel museo missionario
Mario Bordignon salesiano
di 71 anni, che da oltre
trent’anni vive in mezzo
agli indigeni Bororo del
Mato Grosso, in Brasile,
racconta la sua storia.
«F requentavo la scuola
professionale salesia-
na dei Becchi, dove
nacque don Bosco.
Come carpentieri fa-
cevamo la manuten-
zione al Museo Missionario che è lì
fino ad oggi. Quelle figure di persone
diverse e cose che c’erano provocava-
no molto la mia fantasia adolescen-
ziale. Il desiderio di essere missio-
nario è stato rafforzato dal fatto che
diversi laici salesiani, oltre ad essere
i miei idoli come modello di vita, si
sono messi in viaggio per le missio-
ni. Ho completato tutte le tappe della
formazione e a 25 anni sono stato in-
viato in Mato Grosso, Brasile, prima
a Cuiabá, a Coxipó e nel 1980 a Me-
ruri, tra l’etnia Bororo.
La missione è iniziata nel 1902. La
mia prima attività è stata quella di
guardare alla realtà delle persone, che
era molto diversa da tutte le mie fan-
tasie e dei miei piani adolescenziali,
preparati in anticipo. L’indio di cui si
parlava nei libri e nelle riviste non esi-
steva e la sua cultura era quasi finita.
Superata la delusione iniziale, osser-
vavo molto le cose e ascoltavo le per-
sone. Così ho cercato di dare il mio
contributo all’economia, al funziona-
mento della scuola, alla difesa della
terra e a salvare quella loro bellissima
cultura. Ho cercato di mettere in pra-
tica l’educazione integrale. Mi han-
no aiutato l’esempio di don Rodolfo
Lunkenbein che era stato poco tempo
prima ucciso per difendere la terra dei
Bororo e di P. Gonzalo Ochoa, gran-
de conoscitore della storia e della cul-
tura Bororo. Ma la cosa più bella che
ho fatto è stata l’avere preso un anzia-
no Bororo come mio padrino. Questo
mi ha aiutato molto a vivere e a capire
la cultura, non più come osservatore
ma come attore. Fortunatamente per
me, a pochi chilometri dalla vecchia
missione c’era un villaggio in cui i
rituali tradizionali venivano praticati
molto bene. Il mio padrino è stato il
mio insegnante fino alla sua morte.
La conoscenza della cultura Bororo
ha arricchito notevolmente la mia spi-
ritualità e il mio essere. Ho compreso
in pratica le parole dell’arcivescovo
Helder Camara: “I poveri ci evangeliz-
zano”. Ho cercato, come salesiano, di
trasmettere ai giovani ciò che impa-
ravo dal mio padrino. È stato un pro-
cesso lento ma molto bello. I rituali
e le bellissime penne d’ornamento
gradualmente riapparvero; qualche
inculturazione della liturgia cristiana
è stata fatta; gli studenti a scuola co-
minciarono a usare i testi che abbiamo
elaborato insieme al mio padrino e a
padre Ochoa. Tra i Bororo riapparve
l’orgoglio della loro identità culturale.
Abbiamo iniziato la formazione degli
insegnanti di Bororo e oggi la scuola
è completamente nelle loro mani. Un
gruppo si è laureato all’università e al-
tri si stanno laureando. Due processi
di recupero del territorio del Bororo
sono ben avanzati grazie alla lotta che
abbiamo iniziato e che facciamo con
loro. Le cose cambiano in fretta an-
che nei villaggi tradizionali. La glo-
balizzazione arriva sia con le sue cose
buone sia con quelle cattive. Oggi più
che mai la missione ha un grande sen-
so».
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3.8 Page 28

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GLI INVISIBILI
B.F.
Queen of Katwe
AKatwe, un sobborgo di terra
sporca e stomaco gonfio che
funge da entrata per il mon-
do sotterraneo di Kampala,
capitale dell’Uganda, vivere
è morire un po’ ogni giorno.
Di fame, di , di occhi infetti. Ma
contro la disperazione hanno trovato
un rimedio. Un gioco.
“Essere nato africano significa es-
sere un emarginato nel mondo. Es-
sere nato in Uganda significa essere
un emarginato in Africa. Nascere in
Katwe è essere un reietto in Ugan-
da. Nascere donna significa essere un
reietto in Katwe”, ha scritto l’ame-
ricano Tim Crothers, autore di The
Queen of Katwe (La Regina di Katwe),
il libro che ha fatto scoprire al mondo
questo metodo singolare.
È cominciato tutto in un modo mol-
to salesiano, grazie ad un giovane
ingegnere civile, Robert Katende,
cresciuto anche lui nei bassifondi di
Kampala, che ha voluto dedicarsi al
volontariato tra i ragazzi “condanna-
ti” delle periferie. Anche il suo motto
ha sapore salesiano: «Ognuno ha un
seme di eccellenza che ha bisogno di
essere coltivato per far crescere le abi-
lità date da Dio».
Robert Katende aveva solo una scac-
chiera e con essa pensò di insegnare
ai bambini i principi della vita e col-
tivare il carattere. «Era un’alternativa
al pallone: un modo come un altro per
tenere lontani i giovani dalla strada»
confessa.
Quel sabato mattina c’erano quasi 40
bambini nella chiesa. Nessuno di loro
conosceva il nome di quel gioco che li
aveva catturati. Almeno non in Lu-
ganda, la loro lingua madre. Questo
era un gioco di bianchi. Così lo chia-
marono come loro: scacchi.
Mentre suo fratello Brian stava en-
trando nella chiesa, una ragazzina di
nove anni piena di curiosità decise di
andare a buttare un’occhiata. Si chia-
mava Phiona Mutesi e non immagi-
nava quanto quell’occhiata avrebbe
cambiato la sua vita.
Veniva dall’inferno di lamiere, fan-
go e immondizia. Quando aveva tre
anni, l’Aids le aveva portato via il
padre; a cinque anni aveva dovuto
La “Regina di Katwe”
è la storia incredibile
di una ragazzina che,
grazie ad un giovane
volontario e ad un gioco,
fa conoscere al mondo
l’esistenza e i sogni di
uno dei sobborghi più
derelitti del mondo.
Una specie di favola,
molto salesiana.
abbandonare la scuola per aiutare la
madre e sfamare i fratellini. L’infan-
zia la passava vendendo sulla strada
pannocchie di mais abbrustolito.
«Non sapevo cosa fossero gli scacchi,
né ero interessata a scoprirlo. Mi basta-
va sapere che i partecipanti avrebbero
avuto per un giorno il pranzo gratuito.
Mi presentai con mio fratello. Quan-
do vidi la prima scacchiera rimasi a
bocca aperta. C’erano tanti pezzi di
legno dalle forme curiose: alfieri, tor-
ri, cavalli, regine... Mi feci spiegare le
regole del gioco e provai a muoverli».
Da quel giorno Phiona non ha più
smesso di giocare. Per mesi si è eser-
citata assieme agli amici, ogni sera
dopo il lavoro, al lume di una lampa-
da a petrolio. Poco alla volta ha capito
l’importanza della disciplina, della
pazienza e della concentrazione. E
ha imparato ad ascoltare il suo intuito
vincente. «Ha un talento straordina-
rio», assicura Robert Katende, «Ho
dovuto persino lottare per iscrivere
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Giugno 2018

3.9 Page 29

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Phiona e i suoi amici ai primi tornei.
Gli organizzatori non volevano che
i bambini di una baraccopoli gareg-
giassero con gli studenti dei college
più prestigiosi di Kampala».
Diventare come Phiona
A 11 anni, Phiona fu proclamata mi-
glior giovane giocatrice di scacchi del
paese. Lo fu per tre anni. Nell’agosto
2009, la Federazione ugandese inviò
tre ragazzi a partecipare a un tor-
neo in Sudan. Era la prima volta che
Phiona poteva usare un rubinetto e
un lavandino. La prima volta che po-
teva scegliere cosa voleva mangiare.
Gareggiarono contro altre 16 squadre
africane, ma i ragazzi di Katwe non
persero neanche una partita. Al loro
ritorno, furono ricevuti come eroi.
Per i ragazzi che avevano scoperto un
altro mondo, tornare a Katwe era un
cambiamento difficile da spiegare.
Non per Phiona. Qualcuno le chiese:
«Qual è la prima cosa che dirai a tua
madre?», «Le chiederò se abbiamo ab-
bastanza cibo per colazione», rispose.
In due anni divenne campionessa na-
zionale nella categoria juniores. «La
notizia ha fatto il giro del mondo e
ha provocato un salutare terremoto
nel nostro sport», commenta Godfrey
Gali, segretario della Federazione
Scacchi Ugandese «Prima gli scacchi
venivano considerati uno sport élita-
rio, per bianchi e ricchi, come il golf.
Oggi centinaia di giovani si avvicina-
no alla scacchiera perché sognano il
successo ottenuto da Phiona».
Anno dopo anno, Phiona divenne una
delle migliori scacchiste del mondo.
«La dimostrazione vivente che negli
scacchi non importa da dove vieni, ma
come ragioni. I figli delle baraccopoli
hanno una propensione stupefacente
per questo gioco: malgrado non abbia-
no potuto frequentare la scuola, dimo-
strano di avere una mente brillante e
attenta ai particolari. Ciò che serve per
primeggiare sulla scacchiera».
La soddisfazione più grande la otten-
ne a Kampala, al ritorno, trionfando ai
campionati nazionali assoluti di scac-
chi. Si aggiudicò il premio di mezzo
milione di scellini, più
di 150 euro. «Non ave-
vo mai visto tanti soldi
in vita mia, e nemme-
no mia madre». Usò il
montepremi per com-
prare quattro materas-
si e due letti a castello:
«Così non ero più co-
stretta a dormire per
terra».
“Voglio prendermi
cura di loro”
Mira Nair, la regista del film che
racconta la storia di Phiona spiega:
«Per una storia vera che sembra una
favola come questa serve un villaggio,
un allenatore che veda il coraggio e
l’intelligenza di una ragazza come
Phiona, una madre che inizialmente
non vuole che la sua bambina sogni
per paura che resti delusa, ma poi è
trascinata dalla determinazione della
figlia, tanto da convincersi che ha una
possibilità e per questo è pronta a sa-
crificare tutto. Questa non è solo la
storia dell’ascesa di Phiona, ma di una
comunità».
Phiona intanto vuole continuare la
sua missione: progetta di studiare so-
ciologia per poter lavorare con i bam-
bini in Uganda e aiutarli a uscire dalla
povertà e dare loro un futuro. “Voglio
solo salvarli, prendermi cura di loro,
stare con loro”, ha detto.
Robert Katende, Phiona Mutesi e la sua famiglia alla première di “Queen
of Katwe” al Toronto International Film Festival il 10 settembre 2016.
Foto di Brian Patterson / REX / Shutterstock
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3.10 Page 30

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
“Con te o senza te
non è la stessa casa
Milano, Pisa, Torino, Pavia,
Napoli, Catania, Roma,
Varese, Udine, Cagliari.
Diversi i luoghi geografici
dove le FMA hanno le
residenze universitarie. In
tutte abbiamo sentito parole
di grande soddisfazione.
«Qui, si respira un’aria
di famiglia, pronta sempre
ad accogliere e consigliare,
ma soprattutto educare
e contribuire alla nostra
formazione di giovani
donne».
Sfatare una leggenda
«La parola collegio molto spesso su-
scita scetticismo e smarrimento in
molti. Se poi, si aggiunge a questa
peccaminosa parola, il complemento
di specificazione, di suore, l’espres-
sione si tinge di giallognolo e gli oc-
chi di tutti si colmano di angoscia. Si
collega il luogo a un ambiente carat-
terizzato principalmente da: rigidità,
clausura e religione. Tuttavia, cerche-
rò di sfatare questa leggenda priva di
fondamenta, fornendo una piccola
testimonianza sulla mia esperienza.
Essendo il mio primo anno da uni-
versitaria, ho deciso di andare alla ri-
cerca di una sistemazione che mi des-
se una sensazione di familiarità e allo
stesso tempo riuscisse a rassicurarmi
in una città grande e nuova come Mi-
lano. Mi sono rivolta alle suore sale-
siane del collegio di via Timavo. Qui,
si respira un’aria di famiglia, pronta
sempre ad accogliere e consigliare, ma
soprattutto educare e contribuire alla
nostra formazione di giovani donne,
capaci di essere cittadine responsabili
e donne attente non solo nei confronti
dell’altro, ma anche verso noi stesse.
Inoltre, attraverso momenti di rifles-
sione e preghiera, è possibile appro-
fondire e rafforzare il nostro rapporto
con la fede, forse sempre troppo tra-
scurata durante le giornate impegna-
tive e frenetiche dell’università”.
Un’altra studentessa aggiunge: “Vi-
vere in un collegio universitario è un
dono, un privilegio, sia per le persone
che si incontrano, con le quali poter
condividere non solo i pasti ma anche
serate trascorse a discutere di qualun-
que argomento, sia per i momenti di
festa e la possibilità di confrontarsi
con ex-studentesse, per ciò che si ap-
prende: rispetto, condivisione, umil-
tà. Incontri ed iniziative, confronti su
idee, opinioni ed esperienze mi per-
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Giugno 2018

4 Pages 31-40

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mettono di approfondire la conoscen-
za non solo accademica ma soprattut-
to personale. Il Collegio mi sta dando
quel valore aggiunto necessario per
coniugare vita universitaria e percorso
di vita spirituale: cambiare ed adat-
tarsi conformemente ad un mondo
nuovo che non si ferma mai, in cui è
fondamentale trovare un equilibrio,
effettuare una ricerca incessante di
un senso di chiarezza rispetto ai miei
obiettivi, con un approccio differente
verso il futuro. Personalmente posso
dire che dopo il mio ingresso ho ac-
quisito sicurezza e indipendenza. Alla
base c’è però una sfida all’interdisci-
plinarietà che si rende concreta nella
rete di rapporti di complementarie-
tà ed integrazione offerti nelle varie
occasioni formative e soprattutto nel
vivere nella e della collegialità, nel
condividere la quotidianità che di-
venta un elemento chiave per una cre-
scita culturale, personale e spirituale:
ognuno è al centro dell’attenzione ma
allo stesso tempo ha il cuore proteso
verso gli altri».
Milano, Pisa, Torino, Pavia, Napo-
li, Catania, Roma, Varese, Udine,
Cagliari. Diversi i luoghi geografici
dove le hanno le residenze uni-
versitarie, alcune dal 1954! Dal 2012
sono anche tra i soci fondatori della
più grande Associazione nazionale
(Associazione Collegi e Resi-
denze Universitarie) ma soprattutto
ciò che conta è che hanno un unico
progetto: accompagnare le giovani
che affrontano lo studio universitario
verso la realizzazione di quel progetto
di vita che da sempre è stato sognato
per loro e che la loro leader, suor Ma-
ria Mazzarello, ha tracciato nel 1872,
affascinata dalla persona e dal proget-
to di vita di un prete: don Giovanni
Bosco! Ascoltiamo le voci provenienti
dai vari territori.
Le collegiali di Pisa ci dicono: “Un
ringraziamento importante va alle
che ci seguono e ispirano ogni
nostra decisone. Con loro ho condivi-
so gioie e dispiaceri che però all’inter-
no di questo ambiente riescono a non
essere completamente negative, tanto
che alla fine della giornata riusciamo
ad addormentarci con il sorriso e con
il pensiero che domani sarà migliore.
Questo mondo mi ha permesso an-
che di essere più forte di fronte alle
sconfitte perché so che il Signore per
ognuna di noi ha un disegno ben pre-
ciso e quello che a noi sembra ingiu-
sto per Lui è solo un ulteriore passo
verso il destino che ha in serbo per
noi e che sicuramente sarà migliore.
Sono contenta di aver potuto vivere
gli anni universitari in questo modo
così tranquillo e felice perché ho po-
tuto concentrarmi con tutte le mie
forze sullo studio. “Che bello il fatto
che non sei mai solo! Ma organizzate
spesso qualcosa?”. Domanda frequen-
te dopo che si è parlato delle solide
amicizie che si sono strette.
Le ragazze del Collegio
Universitario di Pisa.
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4.2 Page 32

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FMA
#dovenessunoèescluso
Sei un’universitaria? Cerchi un posto
dove sentirti a casa? Allora il Collegio
“Casa della giovane” a Torino fa per te!
Siamo situate vicino al centro della cit-
tà, tutte le facoltà sono raggiungibili in
poco tempo e comodamente. Giorno
dopo giorno, insieme ad una prepara-
zione culturale proviamo ad imparare
a crescere insieme, a diventare adulte
capaci di prenderci delle responsabili-
tà importanti per cambiare il piccolo
mattoncino di mondo che ci è affidato
#dovenessunoèescluso.
Alle ragazze di Torino fanno eco le
studentesse di Pavia: il nostro Col-
legio è un ambiente familiare e sale-
siano in cui ciascuna di noi cerca di
costruirsi un progetto di vita in dialo-
go e confronto con la cultura odierna.
Decidere di vivere qui significa as-
Sotto: Momenti di studio a Pavia.
In alto: La “Casa della giovane” a Torino.
sumere un preciso atteggiamento nei
confronti della vita e della cultura:
l’atteggiamento dell’impegno serio e
costruttivo, dell’accoglienza della vita
in tutti i suoi aspetti, della gioia e del-
la serenità. Quello che per don Bosco
si traduce in ragione, religione e amo-
revolezza. Il Collegio offre un dono
che non ha prezzo, perché riguarda la
dimensione dello spirito, e coerente-
mente al suo essere dono, interpella la
libertà di ciascuna di noi: i momenti
formativi.
Frequentare economia
a Cagliari
Da Cagliari la voce che giunge evi-
denzia che spostarsi da casa per fre-
quentare l’università non è sempre
facile perché vuol dire lasciare il
proprio paese, la propria famiglia, i
propri amici e cominciare una nuo-
va esperienza. Lo sa bene Jessica che
è arrivata dall’Angola a Cagliari per
frequentare la facoltà di economia:
“Ho scelto di venire nel collegio Ma-
ria Ausiliatrice perché ero certa che
avrei trovato un ambiente accogliente
e sicuro. Quando sono arrivata non
parlavo l’italiano, non conoscevo la
città, non sapevo quasi niente dell’u-
niversità, quindi avevo bisogno di tro-
varmi in un posto tranquillo.”
Un breve profilo del Collegio ‘Maria
Ausiliatrice’ di Varese ci parla ancora
di familiarità: piccola città, Varese,
piccola Università (non per valore)…
piccolo Collegio, ma familiare e di
‘casa’ è il clima che si respira. La fa-
coltà più frequentata è quella di Me-
dicina, segue Economia ed Ingegne-
ria della sicurezza che, in Italia, ha
un’altra unica possibilità a Roma.
Scendiamo al sud, dove ci accoglie Na-
poli, una città viva, accogliente, spesso
al centro della cronaca, ma disarmante
quando offre la sua amicizia. È proprio
nel cuore di questa meravigliosa città
che è situato il nostro Collegio Don
Bosco. Sì, nell’antico decumano infe-
riore della città romana, proprio lungo
l’asse viario che “spacca” la città anti-
ca in due parti (detto appunto Spac-
canapoli) siamo presenti noi Figlie di
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Giugno 2018

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Maria Ausiliatrice. Attualmente ospi-
tiamo 32 giovani universitarie prove-
nienti da diverse regioni del Centro-
Sud dell’Italia, iscritte a facoltà diverse
dalla vicina “Orientale” all’Accademia
delle Belle Arti, ma anche a Lettere,
Giurisprudenza e Medicina. Alla do-
manda: “Perché hai scelto il nostro
Collegio?”, Mara sorridendo risponde:
“Perché Napoli mi faceva paura… ora
la paura c’è sempre, ma ho imparato
ad amare questa città”; Cecilia, invece,
prima con gli occhi e poi con la voce
mi dice: “Veramente sono qui perché i
miei genitori lo hanno voluto… ma ora
sono contenta di esserci per le amicizie
che ho trovato”.
“Allevamento e salute
animale” a Udine
«Sono Veronica, frequento il primo
anno di università e studio “Alle-
vamento e salute animale” a Udine.
Vivendo in provincia di Trento e stu-
diando a Udine, ho deciso di allog-
giare in un convitto e sono felicemen-
te stata accolta dalle suore Salesiane.
Mi sono trovata da subito molto bene,
tanto che dopo soli due giorni già lo
chiamavo “casa”. Mi sono sentita ac-
colta, accettata subito. Tra noi univer-
sitarie si è creata una bella amicizia.
Vivendo un po’ lontana trascorro
spesso in convitto anche i weekend
e sono grata della disponibilità delle
suore, che sono sempre presenti e cor-
diali. Il giovedì sera poi c’è sempre un
momento di incontro che salesiana-
mente chiamiamo “Buonanotte”, è un
momento breve, di riflessione, ogni
mese ha un tema diverso e spesso ci
vengono proposte significative testi-
monianze di vita.
Le giovani studentesse di Catania
scrivono così: siamo 73 ragazze, dai
19 anni in su, appartenenti ai 43 mila
studenti, iscritti all’Università di Ca-
tania. Proveniamo da ogni parte della
Sicilia con l’unico obiettivo di seguire
e portare a termine il nostro percorso
di studi che ci permetterà di crescere
come donne e future professioniste.
In tale contesto abbiamo deciso, vo-
lontariamente o mediante un click,
di vivere l’esperienza universitaria
nel “Pensionato Madre Morano” di
Catania, da sempre rinomato per la
sua posizione strategica rispetto alle
diverse sedi universitarie e per il suo
elevato profilo educativo, formativo e
di accompagnamento.
«Ker Maria
vuol dire casa”
E continuando a sentirsi a casa, ecco
quanto ci dicono da Roma: «Ker Ma-
ria vuol dire casa”. Con queste parole
accogliamo tutte le ragazze che per la
prima volta arrivano da noi. In effetti
il nome del collegio, fondato da una
comunità di suore bretoni della Con-
gregazione delle Suore Figlie di Gesù
negli anni Sessanta, significa proprio
Casa di Maria… e per uno “strano
caso”, proprio qui da qualche anno
sono giunte le Figlie di Maria Ausi-
liatrice. Il Ker Maria accoglie circa 70
studentesse dell’università Cattolica
del Sacro Cuore di Roma, appar-
tenenti a diversi percorsi di studio e
provenienti da diverse parti dell’Italia
e del mondo.
Quanto afferma una ragazza è una
sintesi di quanto ogni studentessa ha
testimoniato con sfumature diverse:
“L’esperienza del collegio salesiano
arricchisce, insegna a crescere e a ma-
turare con uno sguardo più attento
e pieno d’amore nei confronti della
realtà e degli altri”.
La residenza “Madre Morano” a Catania.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
6 Salviamo l’essere
contro l’apparire
Lo scrittore Michele Serra (1954)
ha fatto centro: “Oggi si può es-
sere mascalzoni, mediocri, anche
scemi, ma la cravatta giusta al
momento giusto, aggiusta tutto.
Chi non si firma è perduto!”.
Ormai tutto è spettacolo, tutto è
look! “Appaio, dunque sono!”. “Luccico,
dunque esisto!”.
La mania esibizionistica è arrivata
persino nella scuola. Ormai la cartella
è scomparsa: ora c’è lo zainetto con
tutto il seguito di astucci profumati,
colori, penne, quaderni griffati da
uno stilista di fama.
Non è tempo di salvarci (siamo in
tema!) dalla civiltà del guscio, del lu-
strismo?
Siamo arrivati a leggere sui giornali fatti
come questo: a Genova Pegli una figlia
si avventa contro la madre, la strattona
e la ferisce. La madre, sbalordita, non
capisce il perché di tanta furia.
Ad un tratto, la figlia le urla: “Perché
mi hai fatta brutta! ”. È chiaro: oggi è
meglio non esserci che apparire brutti.
Urge salvarci dalla civiltà del guscio!
Salvarci perché lo spostamento
dall’interiorità all’esteriorità è una trap-
pola, un inganno, un tranello. L’appa-
renza può portare a solenni truffe.
Vesti una colonna e ti parrà una bella
donna, recita il proverbio.
In Spagna dicono: “Benché di seta la
scimmia si vesta, scimmia resta”.
Noi diciamo: “L’asino non diventa sag-
gio quando porta un carico di libri”.
Insomma, senza spessore interiore
si è di carta pesta, come dice, a tut-
to tondo, il noto Antonio Mazzi: “I
ragazzi d’oggi non hanno dentro niente.
Non sono ragazzi cattivi, ma sono fatti
di carta pesta”.
Salvarci dal look, poi, perché il do-
minio dell’apparire genera malesseri
incalcolabili.
Qualcuno ha detto che se si dipinges-
sero di verde tutti gli adolescenti am-
malati di scontentezza, le nostre città
sembrerebbero piene di alberelli che
camminano.
Ammalati di scontentezza!
Il 73% dei genitori italiani è dispo-
sto a sostenere qualsiasi spesa, pur di
migliorare l’aspetto del figlio! Alme-
no ventimila ragazze italiane, ogni
anno, si sottopongono alla chirurgia
facciale per rifarsi il naso… Davvero:
l’apparire messo al vertice della scala
dei valori annebbia il cervello: vi sono
persone che lavorano anni per appiat-
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4.5 Page 35

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RAPPORTO ALL’AQUILA CHI CONTA DI PIÙ
L’aquila, regina degli uccelli, sentiva da
tempo magnificare le grandi qualità dell’u-
signolo. Da brava sovrana, volle rendersi
conto se quanto si diceva era vero e, per
sincerarsene, mandò a controllare due
dei suoi funzionari: il pavone e l’allodola.
Avrebbero dovuto valutare la bellezza e il
canto dell’usignolo.
I due adempirono la loro missione e torna-
rono dall’aquila.
Il pavone riferì per primo: «L’usignolo ha
una livrea così modesta da rasentare il
ridicolo: questo fatto mi ha talmente in-
fastidito, che non ho prestato la minima
attenzione al suo canto».
L’allodola disse: «La voce dell’usignolo mi
ha letteralmente incantato, tanto che mi
sono completamente scordato di badare al
suo vestito».
tirsi la pancia e non fanno niente per
imparare ad essere felici!
Salvarci dal look, infine, perché vo-
gliamo essere intelligenti: superare lo
smalto e andare al cuore. Questo si-
C’era una volta un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regala-
vano. Un giorno pensò: «Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero intoccabile».
Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri dell’India.
Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.
Andò al mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta: si mise un bel vestito bianco,
un turbante di seta e una giacchetta ricamata. La gente lo salutava e gli dava denaro per lui
e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si inchinò profonda-
mente. Poi disse: «Oh! Fortunati voi, vestiti! Fortunati! Sulla terra ciò che è certamente più
onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è sotto».
gnifica esattamente essere intelligenti
(da intus legere): oltrepassare la crosta
esteriore e arrivare al paese dell’ani-
ma! Questo è ciò che conta!
Socrate era basso di statura, calvo,
faccione da rana, naso a palla… e fu
un grandissimo filosofo!
Il caso di Socrate è quello di mille altri.
Pensiamo a Schubert (154 cm di al-
tezza!), a Andersen, il noto danese,
scrittore di fiabe, brutto come l’ana-
troccolo di una sua famosa fiaba, ap-
punto.
Pensiamo a san Francesco d’Assisi
(uno scricciolo d’uomo: 43-45 chili), a
Einstein, a Giotto, anche lui piccolo e
grasso (ma quale tavolozza!).
Insomma, davvero, la forma non fa la
salsiccia, il camice non fa il medico…
Il ricercatissimo Bernardo Provenzale
non cessò d’essere un pericoloso ma-
fioso quando si vestì da vescovo per
sfuggire alla cattura.
Abbiamo compreso che sostenere il
salvataggio dell’uomo interiore è tifa-
re per la vittoria dell’intelligenza sulla
stupidità.
LE CHICCHE DEL MESE
L’Italia è una Repubblica fondata sul la-
voro, non sulla statura.
Se bastasse la bellezza, la rosa dovreb-
be fare la minestra più buona del cavolo.
È meglio non avere il pettine che non
avere idee.
Benché di seta la scimmia si vesta,
scimmia resta.
La bellezza dura fino alla porta, la bontà
fino alla morte.
Se fosse sufficiente crescere dal di fuo-
ri, un elefante potrebbe essere preside
della Facoltà di zoologia.
Non è da saggi giudicare un uomo dalla
piega dei pantaloni.
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Tutti in gioco,
niente eroi!
Una vita “in attesa”. Nel grande e com-
plicato cruciverba dell’esistenza, in cui
spesso facciamo fatica a trovare rispo-
ste adeguate alle tante domande che la
quotidianità ci pone e, ancor più, a co-
struire incroci sensati tra il nostro per-
corso e quelli delle persone che ci circondano, il
Come mai sono venuto stasera?
Bella domanda...
C’ho una spina in gola che mi fa male, fa male;
fammi un’altra domanda, che non riesco a parlare...
È certo che è proprio strana la vita, ci somiglia;
è una sala d’aspetto affollata e di provincia.
C’è un bambino di fianco all’entrata che mi guarda
e mi chiede perché,
perché passiamo le notti aspettando una sveglia,
ci prendiamo una cotta per la prima disonesta,
complichiamo i rapporti come grandi cruciverba.
E tu mi chiedi perché;
fammi un’altra domanda, che non riesco a parlare...
Sai quanta gente sorride alla vita e se la canta
aspettando il domani.
Intanto i giorni che passano accanto
li vedi partire come treni che non hanno i binari,
eppure vanno in orario.
E quanti inutili scemi, per strada o su Facebook,
che si credono geni, ma parlano a caso,
mentre noi ci lasciamo di notte e piangiamo,
e poi dormiamo coi cani...
Di fronte alla difficoltà di tracciare
con mano decisa un itinerario
di senso che assecondi il nostro
bisogno di sicurezza e felicità,
tendiamo a mettere in pausa ogni
nostro progetto, a rimandare
indefinitamente ogni scelta
importante e definitiva.
cammino verso l’adultità è, non di rado, segnato
da infiniti punti di sospensione, da caselle tem-
poraneamente lasciate vuote nella speranza che
prima o poi qualcuno possa aiutarci a riempirle,
da interrogativi irrisolti che ci costringono a tor-
nare sui nostri passi e a rimettere in discussione le
nostre (poche) certezze.
Di fronte alla difficoltà di tracciare con mano de-
cisa un itinerario di senso che assecondi il nostro
bisogno di sicurezza e felicità, tendiamo a mette-
re in pausa ogni nostro progetto, a rimandare in-
36
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definitamente ogni scelta importante e definitiva,
restando prigionieri di un perenne senso di ina-
deguatezza che diviene nostro compagno fedele
e smorza sul nascere ogni proposito di cambia-
mento. E mentre siamo sopraffatti dallo scorrere
inarrestabile dei giorni, dei mesi, degli anni, che
non aspetta i nostri tempi e non perdona le no-
stre esitazioni, sperimentiamo tutte le contraddi-
zioni di una condizione che, in ossequio ai miti
dominanti dell’efficienza, della perfezione, del
successo a tutti i costi, ci vuole competitivi, de-
terminati, aggressivi. Una condizione che, dietro
la maschera di un’ostentata sicurezza, nasconde
tutta la fragilità e la solitudine di tanti giovani
adulti, schiacciati tra la legittima ricerca di auto-
realizzazione e la paura di «non essere all’altez-
za dei propri sogni» e di doversi accontentare di
un’esistenza mediocre.
Ma è proprio vero che solo gli “eroi” hanno di-
ritto ad essere felici? Che la sola felicità possibile
è quella dei vincenti, dei fuoriclasse, dei “numero
dieci”? Come se esistesse una definizione uni-
voca di felicità che coincide con la popolarità e
l’incontrastata affermazione di sé, per cui meglio
Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli,
tutti col numero dieci sulla schiena
e poi sbagliamo i rigori.
Ti sei accorta anche tu
che, in questo mondo di eroi,
nessuno vuole essere Robin...
Come mai sono venuto stasera,
come mai sono venuto stasera?
Bella domanda...
(Cesare Cremonini, Nessuno vuole essere Robin, 2017)
vagheggiare in eterno una felicità “visibile”, che si
nutre dei riconoscimenti e dell’approvazione degli
altri, che rimboccarsi le maniche e costruire infa-
ticabilmente piccoli mattoni di felicità quotidia-
na, fatti di impegno, costanza e fatica!
Ma il lieto fine non è appannaggio esclusivo dei
“primi attori”. Nella trama intricata dell’esisten-
za ciascuno è protagonista della sua storia e ha la
possibilità, se solo riesce a trovare il coraggio per
rompere gli indugi ed essere il migliore se stesso,
di realizzare le proprie aspirazioni e conquistare
la felicità. E magari scoprirà anche che, nel suo
piccolo, ha il potere di rendere felici anche gli al-
tri e dare il proprio contributo fattivo alla costru-
zione di un futuro migliore.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Esattamente 9giugno1868:
solennissima consacrazione
della chiesa di Maria Ausiliatrice.
centocinquanta anni fa
(continua dal numero di maggio)
Nel gennaio 1868 don Bosco
si diede da fare per comple-
tare l’arredamento interno
della chiesa di Maria Ausi-
liatrice.
A Valdocco la situazione si
presentava comunque piuttosto seria.
Scriveva don Bosco a Roma al cav.
Oreglia: “Qui continuiamo con un
freddo molto intenso: oggi toccò 18
gradi; malgrado il fuoco della stuffa
(sic) il ghiaccio in mia camera non
poté fondere. Abbiamo ritardato la le-
vata dei giovani, e siccome la maggior
parte è vestita ancora da estate, così
ciascuno si pose in dosso due camicie,
giubba, corpetto, due paia di calzo-
ni, cappotti militari; altri si tengono
le coperte del letto sulle spalle lungo
la giornata e sembrano proprio tante
mascherate da carnevale”.
Fortunatamente una settimana dopo
il freddo diminuì ed il metro di neve
cominciò a sciogliersi.
Intanto a Roma si stava preparando la
medaglia commemorativa. Don Bo-
sco, avutala in mano, fece fare delle
correzioni nella scritta e dimezzare
lo spessore onde risparmiare. Il pur
tanto denaro raccolto era sempre in-
feriore al bisogno. Così la colletta per
la cappella di S. Anna promossa dalle
nobildonne fiorentine, in particolare
dalla contessa Virginia Cambray Di-
gny, moglie del ministro di Agricol-
tura, Finanza e Commercio, a metà
febbraio era ancora ad un sesto del
totale (6000 lire). Don Bosco comun-
que non disperò e invitò la contessa
a Torino: “Spero che Ella in qualche
occasione potrà farci una visita ed os-
servare co’ propri occhi questo per noi
maestoso edifizio, di cui si può dire
che ogni mattone è una offerta fatta da
quanti ora vicini ora lontani ma sempre
per grazia ricevuta”.
E così era veramente, se ad inizio pri-
mavera lo ripeté al solito cavaliere (e
lo avrebbe stampato poco dopo nel li-
bro commemorativo Maraviglia della
madre di Dio invocata sotto il titolo di
Maria Ausiliatrice): “Io sono ingolfa-
to nelle spese, note molte da saldare,
tutti i lavori da ripigliare; faccia quel
che può ma preghi con fede. Credo
tempo opportuno per chi vuole grazia
da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno
una”.
I preparativi della festa
A metà di marzo l’arcivescovo Ric-
cardi fissò la consacrazione del-
la chiesa per la prima quindicina di
giugno. Tutto era ormai pronto: i due
campanili della facciata sormontata
da due arcangeli, la grande statua do-
rata sulla cupola già benedetta dall’ar-
civescovo, i cinque altari di marmo
con i rispettivi quadri, fra cui quello
meraviglioso di Maria Ausiliatrice
con il bambino in braccio, circondata
da angeli, apostoli, evangelisti, in un
tripudio di luce e colori.
Scattò allora un piano eccezionale per
la preparazione. Anzitutto si tratta-
va di trovare il vescovo consacrante;
poi di contattare vari vescovi per le
solenni celebrazioni della mattina e
della sera di ogni giorno dell’ottava-
rio; inoltre di diramare gli inviti per-
sonali a decine di insigni benefattori,
sacerdoti e laici di tutta Italia, molti
dei quali da degnamente ospitare in
casa; infine di preparare centinaia di
ragazzi sia a solennizzare con canti i
pontificali e le cerimonie liturgiche,
sia a partecipare ad accademie, giochi,
sfilate, momenti di gioia ed allegria.
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Finalmente il gran giorno
Tre giorni prima della fatidica data del
9 giugno, a Valdocco arrivarono i ra-
gazzi del collegio di Lanzo. Domenica
7 giugno “L’Unità Cattolica” pubblicò
il programma delle celebrazioni, lune-
dì 8 giugno giunsero i primi invitati e
si annunciò la venuta del duca d’Aosta
in rappresentanza della Famiglia Rea-
le. Arrivarono pure i ragazzi del colle-
gio di Mirabello. Ecco allora i cantori
passare ore ed ore a fare le prove della
nuova Messa del maestro De Vecchi e
del nuovo Tantum ergo di don Caglie-
ro nonché della solennisssima antifona
Maria succurre miseris dello stesso Ca-
gliero che si era ispirato al polifonico
Tu es Petrus della basilica vaticana.
Il mattino seguente, 9 giugno alle
5,30 passando tra una duplice fila di
1200 ragazzi festosi e canterini, l’arci-
vescovo compì il triplice giro attorno
alla chiesa e poi con il clero entrò nel-
la chiesa per compiere a porte chiuse
le previste cerimonie di consacrazione
degli altari. Solo alle 10,30 la chiesa
venne spalancata al pubblico che as-
sistette alla messa dell’arcivescovo e a
quella successiva di don Bosco.
L’arcivescovo ritornò di pomeriggio
per i vespri pontificali, solennizzati
dal triplice coro dei cantori: 150 te-
nori e bassi ai piedi dell’altare di S.
Giuseppe, 200 soprani e contralti
sulla cupola, altri 100 tenori e bassi
sul posto dell’orchestra. Don Caglie-
ro li diresse, anche senza vederli tutti,
attraverso un marchingegno elettrico
studiato per l’occasione. Fu un trionfo
di musica sacra, un incantesimo, un
qualcosa di paradisiaco. Indescrivibi-
le fu la commozione dei presenti, che
all’uscita della chiesa poterono pure
ammirare l’illuminazione esterna
della facciata e della cupola sormon-
tata dalla statua di Maria Ausiliatrice
pure illuminata.
E don Bosco? Tutto il giorno circon-
dato da una folla di benefattori ed
amici, commosso oltre ogni dire, non
fece altro che lodare la Madonna. Un
sogno “impossibile” si era realizzato.
Un ottavario
altrettanto solenne
Celebrazioni solenni si alternarono
mattina e sera lungo l’ottavario. Fu-
rono giornate indimenticabili, le più
solenni che Valdocco avesse mai visto.
Non per nulla don Bosco se ne fece
propagatore subito con la robusta pub-
blicazione Rimembranza di una solen-
nità in onore di Maria Ausiliatrice.
Il 17 giugno a Valdocco tornò un po’ di
pace, i ragazzi ospitati tornarono ai loro
collegi, i devoti alle loro case; la chiesa
mancava ancora di rifiniture interne,
di ornamenti, suppellettili… Ma la
devozione all’Ausiliatrice dei Cristia-
ni, ormai diventata la “Madonna di
don Bosco” gli sfuggì rapidamente di
mano e dilagò per il Piemonte, l’Italia,
l’Europa, l’America Latina. Oggi nel
mondo si contano a centinaia le chiese
a lei dedicate, a migliaia i suoi altari, a
milioni i quadretti e le immaginette.
Don Bosco ripete a tutti oggi, come a
don Cagliero in partenza per le mis-
sioni nel novembre 1875: “Confidate
ogni cosa in Gesù Cristo Sacramenta-
to ed in Maria Ausiliatrice e vedrete
che cosa sono i miracoli”.
Il 9 giugno la cerimonia cominciò alle 5,30. Solo
alle 10,30 la chiesa venne spalancata al folto
pubblico che assistette alla Messa dell’arcivescovo
e a quella successiva di don Bosco.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Grazie a monsignor Cimatti
Il 26 dicembre 2016 mi è capita-
to un “terribile” (l’aggettivo non è
esagerato) incidente d’auto. In au-
tostrada ero quasi arrivato a Porto-
gruaro (Ve) quando una delle due
ruote di sinistra è scoppiata. Non
sono più riuscito a tenere sotto
controllo l’auto che è sbandata im-
provvisamente a sinistra ed è finita
contro il muricciolo della carreg-
giata di marcia, capovolgendosi
sulla stessa di traverso. Ho invo-
cato, in un primo momento Dio e
subito dopo monsignor Vincen-
zo Cimatti, che ho imparato a co-
noscere fin dal 1968 quando ero in
noviziato ad Albarè di Costermano
(Vr): ho interpretato, assieme ad
altri miei compagni novizi, due sue
operette: “Marco il pescatore” e
“Una gara in montagna”. Alla figu-
ra di questo originale e simpatico
missionario salesiano mi sono da
subito affezionato. Più di qualche
volta, da parroco, ho affidato alla
sua intercessione, e fatto pregare,
diversi malati, persone bisognose
ed in difficoltà.
Per tutto il tempo della degenza
è continuato, da parte mia, il rin-
graziamento a Dio e l’invocazione
a monsignor Cimatti. Dopo un-
dici giorni di ricovero sono stato
dimesso con il gesso sulla mano
destra e con addosso il busto, che
ho portato per due mesi. Durante
la convalescenza mi sono sot-
toposto ad accertamenti di con-
trollo che deponevano a favore di
una graduale e positiva ripresa: e
così è stato. Riconoscente al Si-
gnore per lo scampato pericolo,
non smetto di ringraziare anche
monsignor Cimatti per avermi as-
sistito con la sua intercessione ed
il suo aiuto (ne sono fermamente
convinto!) in tutte le fasi di questo
terribile incidente.
don Agostino Pieretti - Nave
Ringraziano
Grazie all’intervento di san Do-
menico Savio il 16 gennaio
2018 è nato Davide dopo due ten-
tativi andati a vuoto. Lo ringrazia
nonno Pier Luigi, ex allievo sale-
siano dal 1956 al 1959 a Genza-
no di Roma, il fratellino Diego e la
mamma Emanuela.
Grazie Minot
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Il 17 gennaio 2018 è nato il nostro
nipotino Lorenzo. Sin dall’inizio
della gravidanza ho affidato mia
figlia e il piccolo sotto la prote-
zione di san Domenico Savio
che ringraziamo pubblicamente.
Margherita Viglietti
Borgo San Dalmazzo (CN)
Desideriamo ringraziare con tutto
il cuore san Domenico Savio,
san Giovanni Bosco e Maria
Ausiliatrice per la nascita della
nostra secondogenita Ludovica,
avvenuta il 25/12/2016, a seguito
di una gravidanza difficile carat-
terizzata da due emorragie nelle
prime settimane di gestazione. La
preghiera ci ha aiutato molto nei
momenti difficili, quando le cose
sembravano non andare per il
verso giusto. Abbiamo custodito
l’abitino di san Domenico Savio e
pregato con devozione; affidiamo
alla Loro protezione la vita delle
nostre figlie.
Giulia Nardi
Castel San Pietro Romano
A maggio 2015 ho avuto un abor-
to ed un’amica che ne aveva avuti
5 e poi è finalmente riuscita ad
avere una bimba mi ha parlato di
san Domenico Savio. A No-
vembre 2015 ho ricevuto l’abitino
e sono rimasta incinta a Dicem-
bre ma l’ho perso di nuovo. Mal-
grado tutto non ho perso la fede
ed abbiamo continuato a pregare
e finalmente il 29 agosto 2017 è
arrivato Andrea.
Donatella Astone
Ringraziamo san Domenico
Savio per la nascita di Gabriele:
una grande gioia per tutti.
Donatella e Marco Banfi
Albenga (SV)
Ringrazio il Buon Dio che, per
l’intercessione del servo di Dio
monsignor Oreste Marengo,
ha dato a noi la gioia di risollevar-
ci da una grande preoccupazione
per la salute di nostro genero.
Claudia A. - Ranica
Desidero ringraziare san Do-
menico Savio per aver aiutato
mia cugina Valeria in questi due
anni di dolori atroci e sofferenze.
Dopo tanto dolore alla fine è nata
Elisabeth.
Alessia Giordano - Cinquefrondi
Un ringraziamento dal profon-
do del cuore a san Domenico
Savio e a sant’Anna, protettori
delle madri, delle partorienti e dei
bambini. Hanno vegliato su di me
e sulla mia bimba tanto amata, mi
hanno protetta e, insieme a tut-
te le persone che mi sono state
vicine con la Preghiera e ai miei
quattro nonni in Paradiso, mi
hanno fatto vivere una gravidan-
za meravigliosa, un percorso non
sempre semplice ma unico; di-
ventare mamma è stata una gioia
indescrivibile. Un dono divino,
una piccola vita vivente nella mia
vita di cui sono stata cocreatrice.
Sofia è un miracolo, mi ha reso
una persona privilegiata, miglio-
re e strumento dell’amore del
Signore. A loro continuo ad affi-
darmi.
Eleonora
Torino
Desidero segnalare una duplice
grazia, ottenuta per intercessio-
ne di san Domenico Savio
e di san Giovanni Bosco. La
preghiera per la mia numerosa
famiglia è sempre stata piena
di speranza ed esaudita. Anche
questa volta il Signore ha fatto
dono a mio figlio di un meravi-
glioso bimbo, proprio quando, a
causa dell’età della madre, non
ci speravamo più. Oltre a questa
grazia, ho ottenuto che un altro
mio figlio trovasse lavoro, dopo
una lunga attesa.
Collu Giovanna
Cagliari
Ringrazio la venerabile Mam-
ma Margherita, mamma di
don Bosco perché ha esaudito la
mia preghiera. Durante i mesi di
luglio, agosto e settembre 2017
soffrivo di una forte anemia;
avevo ormai perso la fiducia di
poterla superare. Ma ho invoca-
to Mamma Margherita ed ora sto
meglio.
Pastore Giorgio
Torino
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Giugno 2018

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ROSARIO MAIORANO
Quarto Coordinatore Mondiale
dei Salesiani Cooperatori
Morto a Roma il 1° gennaio 2018, a 62 anni.
Nel pomeriggio del 1° gennaio,
dopo aver cristianamente sop-
portato una terribile malattia,
è andato alla Casa del Padre il
62enne Rosario Maiorano, Coor-
dinatore Mondiale Emerito dei
Cooperatori Salesiani dal 2001
al 2012. Sarà ricordato per la
preziosa eredità del Suo amore
all’associazione, a don Bosco
e ai giovani. Il suo servizio di-
screto, umile ma brillantissimo
rimane soprattutto legato ai due
Congressi Mondiali del 2006 e
del 2012, nei quali ha trasfuso la
passione per il carisma insieme
alla sua grande capacità di visio-
ne del futuro, nella piena fedeltà
allo spirito del Fondatore. Molto
attivo nel servizio della società
civile, ha partecipato al Congres-
so regionale di Cebu (2001) nella
regione EAO. Rosario Maiorano
lascia la moglie Laura e i figli
Gabriele e Maria Laura.
Nato a Circello (BN) il 24 settem-
bre 1956, incontrò don Bosco
come allievo del Collegio Sale-
siano di Caserta e non lo lasciò
mai più.
L’intera adolescenza lontana dalla
sua famiglia fu una prova difficile
per lui, che sopportò con quello
spirito di abnegazione e dedi-
zione al dovere che in seguito lo
contraddistinse.
Compiuti con altrettanta eccel-
lenza gli studi universitari a Ge-
nova, dimostrò fin da allora la
sua predilezione per gli ultimi ed i
deboli, che concretizzò, una volta
trasferitosi a Roma, nell’aiuto al
“Centro minori” in via Marsala
fondato da don Alfonso Alfano,
già suo insegnante nel collegio.
Maturò in quegli anni operosi, in
cui iniziava la sua carriera profes-
sionale nell’ambito del FORMEZ,
la sua vocazione a Salesiano Co-
operatore, ricoprendo nell’Asso-
ciazione incarichi a vario livello
fino al servizio di Coordinatore
mondiale, e la sua vocazione ma-
trimoniale.
Pur sapendo della sua malattia,
la notizia ci ha lasciati dolorosa-
mente colpiti: Rosario era, per
noi che avevamo condiviso con
lui un lungo tratto di vita, un ri-
ferimento sicuro, un amico a cui
rivolgersi con cuore aperto, un
fratello sempre disponibile all’a-
scolto e al sostegno.
Il suo amore per l’Associazione
e la passione salesiana per i
giovani appresa fin dai banchi
di scuola, sono trasfusi in quello
che rappresenta un grande dono
di Rosario ai Salesiani coopera-
tori: il “Progetto di Vita Aposto-
lica” di cui ha curato con com-
petente dedizione la revisione,
l’integrazione e aggiornamento,
la stesura, fino alla definitiva ap-
provazione.
Don Pascual Chavez V. sdb, 9°
successore di don Bosco, nel
ricordo di Rosario così definisce
quell’impegno:
“un lavoro molto intenso e fati-
coso, ma molto fecondo che ha
portato ad una migliore identità
carismatica e ad una sempre
crescente dedizione alla missio-
ne nella specificità dei laici.”
Rosario Maiorano era anche un
uomo dello Stato, nel più alto
e pieno senso della parola. Ha
portato nel suo lavoro di Diri-
gente, il rigore morale e l’im-
parzialità che sono nella nostra
Costituzione, ma anche una fede
limpidissima e mai ostentata di
“buon Cristiano e onesto citta-
dino”.
Onorava con ogni sua azione
l’impegno a servire lo Stato con
l’attenzione ai bisogni degli altri,
l’indifferenza al potere e all’inte-
resse, l’umiltà e la competenza
che sono la cifra degli uomini
veri.
Ha affrontato le inevitabili dif-
ficoltà della vita, fino all’ultima
battaglia con la malattia, dotato
della serena certezza di chi si ri-
conosce figlio di un Padre amo-
revole, consapevole di avere in
Maria Ausiliatrice e don Bosco
dei teneri protettori celesti.
Per noi, suoi amici e per la sua
carissima famiglia, se ne è an-
dato troppo presto, ma, come
scrive Roberto Lorenzini, suo
predecessore alla guida mon-
diale dei Salesiani cooperatori,
“sei stato veloce nella tua corsa
verso la meta e, come dice S.
Paolo, ora non ti resta che ac-
cogliere nella gioia del Cielo la
corona di giustizia che il Signore
consegna a tutti coloro che han-
no atteso con amore operoso la
sua manifestazione. (2Tm)”
Noemi Bertola, è la Coordinatrice
Mondiale dei Salesiani Cooperatori
Noemi Bertola è la prima
donna alla guida dell’As-
sociazione. Dal ’90, anno
del suo ingresso tra i
cooperatori, si è sempre
spesa nel locale prima,
poi nella segreteria e infine
prendendo le redini conse-
gnate dall’uscente Rosario
Maiorano.
Giugno 2018
41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
SEGNI STRABILIANTI
L’opera straordinaria di don Bosco non fu solo quella che
realizzò in Italia e nel mondo a favore della gioventù biso-
gnosa con la fondazione delle congregazioni dei Salesiani e
delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Altri segni mirabolanti della
sua grandezza hanno condotto alla fede una moltitudine di
gente perché tramite la sua intercessione si verificarono molti
XXX. Vi furono moltiplicazioni prodigiose: castagne per sei-
centocinquanta giovani, da un solo sacchetto; pagnotte per
sfamare i numerosi ragazzi dell’oratorio; ostie consacrate per
poter comunicare centinaia di presenti benché ve ne fossero
in numero esiguo. E inoltre, la guarigione inspiegabile di una paralitica e di Carlo, un giovane dell’o-
ratorio caduto gravemente ammalato e un bambino, figlioccio di Gerolama Uguccioni, marchesa.
Infine, la sospensione a mezz’aria di don Bosco durante la messa, avvenuta tre volte davanti a
testimoni. Ma ai fini della beatificazione la Chiesa cattolica ritiene necessari due eventi miracolosi
distinti posteriori alla morte del Santo e approvati secondo una severa procedura. Nel caso di don
Bosco furono ritenute miracolose le guarigioni di Teresa
Callegari e Provina Negro. La prima, giovane ventitreenne
ammalatasi di polmonite prima e poi di poliartrite infettiva.
Ella era in fin di vita e durante una novena a don Bosco
vide il Santo ai piedi del letto che le ordinava di alzarsi: si
alzò e si ristabilì completamente dal suo male. La seconda
donna, suor Provina Negro, guarì improvvisamente da una
gravissima forma di ulcera allo stomaco e il suo caso, esa-
minato insieme al precedente di Teresa Calligari, fu rite-
nuto decisivo per la beatificazione di san Giovanni Bosco.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Importante
via torinese - 10. Baronetto inglese -
13. È un cereale - 14. Ci seguono in
cinese - 15. Viene dopo il Do - 16.
Compiti in classe di Italiano - 17.
Un bacino come il Trasimeno - 18.
Separazione di una parte dal tutto
- 22. Punto vendita con sistema di
pagamento mediante “carte” - 23. I
fratelli dei genitori - 24. Distrugge
immagini sacre - 26. Sono dispa-
ri nell’aroma - 27. XXX - 28. È,
per lunghezza, il terzo fiume d’Euro-
pa - 30. Ai lati del terminal! - 31.
Un vasto dominio - 32. La banca
vaticana - 34. Il comando che arre-
sta - 35. Unione Europea - 36. Un
codice postale (sigla) - 38. La Via
, galassia in cui si trova il nostro
pianeta - 40. È formato da due can-
nocchiali accoppiati - 43. La scritta
sulla Croce - 44. Il Babà che derubò
i 40 ladroni - 45. Un variopinto pap-
pagallo - 46. L’isola della maga Circe
- 47. Nel caso in cui.
VERTICALI. 1. Lo è una scarpa
qualsiasi - 2. Galline che fanno molte
uova - 3. Si loda quella di un buon
film - 4. Sono pari nell’Isonzo - 5.
In Olanda e in Scozia - 6. Le gettano
in mare le navi - 7. Uno dei massimi
geni di tutti i tempi - 8. Avvengono in
seguito ai sismi - 9. Fanno e vendono
candele - 10. Coniugi… divisi - 11.
Situato in profondità - 12. Distingue-
re, evidenziare - 18. Il furto per strada
con strattone - 19. È giù di voce - 20.
Pari nel pacco - 21. Iniziali di Sharif,
indimenticato attore egiziano - 24. Di
enorme portata, smisurato - 25. Si dà
tra amici - 29. Incitamento da tifoso
- 31. Fu sostituito dall’IMU - 33.
Gracidano negli stagni - 37. Il titolo
di Pampurio - 39. L’ottava preposizio-
ne - 40. In mezzo alla cabina - 41.
Cagliari (sigla) - 42. Non qua.
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Giugno 2018

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Un piccolo gesto gentile Nonsottovalutate
mai il potere delle
vostre azioni.
Un giorno, quando andavo alle
superiori, vidi un ragazzo
della mia classe che stava
rientrando a casa dopo la
scuola. Il suo nome era
Alberto e sembrava stes-
se portando tutti i suoi libri a casa.
Pensai: «Perché mai uno dovrebbe
portarsi a casa tutti i libri di Venerdì?
Deve essere un ragazzo strano».
Durante il tragitto vidi un gruppo
di ragazzini che correndo lo spinsero
facendolo cadere nel fango. I suoi
occhiali volarono via, li vidi cadere
nell’erba un paio di metri più in là.
Lui guardò in su e vidi una terribile
tristezza nei suoi occhi. Mi commos-
se. Così mi incamminai verso di lui
mentre stava cercando i suoi occhiali.
Raccolsi gli occhiali e glieli diedi.
Alberto mi guardò e disse: «Grazie!»
C’era un grosso sorriso sul suo viso,
era uno di quei sorrisi che mostrano
vera gratitudine. Lo aiutai a raccoglie-
re i libri e gli chiesi dove abitava. Sco-
prii che viveva vicino a me. Parlammo
per tutta la strada e lo aiutai a portare
alcuni libri. Restammo in giro tutto
il week end e più lo conoscevo più
Alberto mi piaceva, così come piaceva
ai miei amici.
Nei successivi quattro anni, io e
Alberto diventammo amici per la
pelle. Una volta adolescenti comin-
ciammo a pensare all’Università.
Alberto sarebbe diventato medico
mentre io mi sarei occupato di scuole
di atletica. Alberto era il primo della
nostra classe e io l’ho sempre preso
in giro per essere un secchione. Devo
ammetterlo. Qualche volta ero un po’
geloso!
Alberto doveva preparare un discorso
per il diploma. Io fui molto felice di
non essere al suo posto sul podio a
parlare. Leggevo nei suoi occhi un po’
di tensione per via del discorso che
doveva fare. Così gli diedi una pacca
sulla spalla e gli dissi: «Forza, ragazzo
te la caverai alla grande!» Mi guardò
con uno di quegli sguardi pieni di
gratitudine e sorrise mentre mi disse:
«Grazie».
Iniziò il suo discorso schiarendosi
la voce: «Nel giorno del diploma si
usa ringraziare coloro che ci hanno
aiutato a farcela in questi anni duri.
I genitori, gli insegnanti, gli allena-
tori ma più di tutti gli amici. Sono
qui per dire a tutti voi che essere
amico di qualcuno è il più bel regalo
che voi potete fare». Guardai il mio
amico Alberto incredulo non appena
cominciò a raccontare il giorno del
nostro incontro. Lui aveva pianifica-
to di suicidarsi durante il weekend.
Raccontò di come aveva pulito il suo
armadietto a scuola, in modo che la
madre non dovesse farlo in seguito.
Ecco perché quel giorno rientrava a
casa con tutti quei libri. Alberto mi
guardò intensamente e fece un pic-
colo sorriso. «Fui salvato da un
amico, che mi sorrise».
Udii un brusio tra la gente a queste
rivelazioni. Il ragazzo più popo-
lare ci aveva appena raccontato il
suo momento più debole. Vidi sua
madre e suo padre che mi guarda-
vano con gli occhi pieni di lacrime
e mi sorrisero, lo stesso sorriso di
Alberto. Non avevo mai compreso
la profondità di quel sorriso. Fino a
quel momento.
Giugno 2018
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
India
La galassia salesiana
si espande
La ricetta salesiana 5
L’autocontrollo
Il nome nuovo
della temperanza
L’invitato
Don Riccardo Castellino
Missione “Tappita”
Le case di don Bosco
Caserta
Il sorriso dell’Immacolata
La linea d’ombra
Lo stato sociale
L’importanza del lavoro
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.