Bollettino_Salesiano_201805

Bollettino_Salesiano_201805



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IL
MAGGIO
2018
Salesiani
nel mondo
Venezuela
Le case
di don Bosco
Rimini
In prima linea
Abba
Filippo Perin
I protagonisti
L’architetto
del sogno
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
La cupola
La storia
I lavori della cupola, sempre in mezzo a molte difficoltà,
terminarono nell’estate del 1866. La domenica 23 set-
tembre, il marchesino Emanuele Fossati, accompagnato
da don Bosco, collocava il mattone che chiudeva l’ultimo
anello della cupola.
(che non doveva esserci)
E sisto per miracolo. Faccio la mia bella
figura e, modestamente, sono ammirata
da tutti i visitatori della basilica di Maria
Ausiliatrice di Torino. Sono la cupola
maggiore e non dovevo neppure esistere.
La storia me l’hanno raccontata alcuni
piccioni amici miei, che sono sempre in giro a
curiosare e a spettegolare.
Il sant’uomo a cui devo tutto, don Bosco, aveva
finito i soldi per terminare la basilica. Prese la
ferale decisione di sostituirmi con una semplice
volta. Ma gli occorrevano subito quattromila lire,
una grossa somma. Se non le avesse trovate il 16
novembre, io non esisterei e voi non avreste la
mia sublime bellezza. Quel giorno, due salesiani
uscirono, al mattino presto, per trovare il dena-
ro. A mezzogiorno posarono nelle mani di don
Bosco mille lire, raggranellate con infiniti stenti.
Fu quello un momento di sconforto per tutti; uno
guardava l’altro, senza pronunciar parola.
Solo don Bosco, con il volto ilare e con il cuore
pieno di fede e di confidenza, disse loro: «Co-
raggio, a tutto v’è rimedio; dopo pranzo andrò a
cercare il resto».
All’una, don Bosco uscì dall’Oratorio e, con il suo
passo placido cominciò a girovagare senza una
meta precisa. Si trovò vicino alla stazione di Porta
Nuova. Da quelle parti non conosceva nessuno.
Stava chiedendosi com’era arrivato là, quando un
domestico con una bella livrea dai bottoni dorati
lo interpellò: «Reverendo, è forse lei don Bosco?»
«Sì, per servirla».
«Oh! Provvidenza!» continuò. «Il mio padrone è
gravissimo infermo e mi ha mandato a pregar-
la di aver la bontà di venirgli a fare una visita,
perché la desidera tanto».
Don Bosco lo seguì nel palazzo del banchiere
e senatore Antonio Cotta che era già stato dato
per spacciato dai medici. A malapena riusciva ad
aprire gli occhi e con un filo di voce mormorò:
«Ancora pochi minuti, poi bisogna partire per
l’eternità».
«Oh no, commendatore» gli aveva risposto don
Bosco. «E che cosa farebbe, se Maria Ausiliatri-
ce le ottenesse la grazia di guarire?».
«Se guarisco prometto di pagare per sei mesi due
mila franchi al mese per la chiesa di Valdocco».
Dopo un’Ave Maria, il commendatore si alzò dal
letto. Rientrato all’Oratorio, don Bosco trovò
l’impresario che l’aspettava per il pagamento.
Sorridendo, il santo gli consegnò i soldi e gli
ordinò di continuare i lavori.
La domenica dopo, io ero qui.
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Maggio 2018

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ANNOTAZIONI SULLA PRIVACY
GDPR - General Data
Protection Regulation
Televisioni e giornali hanno portato alla
ribalta alcuni scandali che riguardavano
l’abuso e il commercio che viene fatto
con i dati che le persone affidano a quel
mondo immenso formato dai mezzi di
comunicazione digitale.
In questo modo tutti hanno scoperto che i dati
sensibili delle persone (per esempio il nome e
l’indirizzo di casa) sono una specie di “nuovo pe-
trolio”, una merce inestimabile e preziosa.
Il Regolamento europeo sulla protezione dei dati
è molto severo e chiede “il contrassegno dei dati
personali conservati con l’obiettivo di limitarne il
trattamento in futuro”.
Chi cede quindi dei dati personali, per esempio
quelli necessari per un abbonamento, deve essere
sicuro che saranno usati solo per quello scopo e
per nient’altro.
La Fondazione Don Bosco nel Mondo
in qualità di editore del Bollettino
Salesiano è a conoscenza del
Regolamento Europeo 2016/679.
Stiamo già lavorando all’adeguamento
del Regolamento.
Per eventuali chiarimenti è possibile contattarci all’indirizzo
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org – biesse@sdb.org
o al numero telefonico 06/65.61.26.63
Possibilità di trovare Info Extra:
Sito: http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/
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PDF Regolamento: http://194.242.234.211/documents/10160/0/Guida+all+applicazione
+del+Regolamento+UE+2016+679.pdf
Il BOLLETTINO SALESIANO si stampa nel mondo in 57 edizioni, 29 lingue diverse e raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Claudia Gualtieri, Cesare
Lo Monaco, Natale Maffioli, Alberto Martelli,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Pino Pellegrino, Bernardo Penoucos,
Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi, Licia
Rimello, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
In copertina: La Madonna del Colle
(Foto di Pierino Gilardi).
Diffusione e Amministrazione: Tullio
Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino n. 403
del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Stabat mater. «Dove c’è don Bosco, c’è
Maria!» si diceva allora.
«Dove ci sono i Salesiani,
La madre c’è.
c’è Maria Ausiliatrice!»
si può dire, oggi.
Da Beirut a Valdocco,
si sente la concreta
Sempre.
presenza della Madonna
nelle opere dei Salesiani.
di avere, finalmente, una casa «tutta per loro».
Da quella domenica di Risurrezione fino ad oggi
sono stati così tanti gli interventi della Provvi-
Ieri, primo aprile, abbiamo celebrato la Pasqua
del Signore. Vi sto scrivendo da Beirut, Li-
bano, e penso con gratitudine a quanto siano
significative queste date per la famiglia sale-
siana.
Il 5 aprile del 1846, nelle «basse» di Valdoc-
denza e della Vergine.
Don Bosco fu proclamato santo il primo aprile
1934, una piovosa domenica di Pasqua. Quest’an-
no, il primo aprile, i salesiani di tutto il mondo
celebrano la Santa Pasqua nei luoghi e nei posti
più diversi del mondo. In incantevoli chiese, in
co, proprio sotto la sinistra immagine del Rondò basiliche solenni o sotto un albero come nel cam-
della Forca, un giovane prete correva verso una po di rifugiati di Palabek o di Juba in Sud Sudan,
massa di ragazzi stipati in un prato gri- dove le comunità salesiane condividono pane e
dando: «Allegri, figlioli! Abbiamo tro- povertà con gli ultimi e i respinti dal mondo “ci-
vato l’oratorio! Avremo chiesa, scuola e vile”. Ringraziamo Dio per questi segni di Vita e
cortile per saltare e giocare. Domenica di Risurrezione, perché nella loro povertà e nel
ci andremo. È là, in casa Pinardi!».
loro dolore sono i preferiti di Dio. Siamo noi a
Era la domenica delle Palme. La dome- permettere queste situazioni ingiuste.
nica seguente era Pasqua di Risurrezione. E sempre in questi giorni riecheggiava l’antico
I ragazzi arrivarono a ondate. Stiparono la magnifico canto: «Stabat Mater». Un latino quasi
tettoia, trasformata in cappella, la striscia intraducibile: «La Madre era presente». Nelle la-
di terreno accanto, i prati intorno.
crime del Venerdì Santo e nel gaudio della Risur-
In un silenzio com- rezione. La Madre c’era!
mosso assistettero Si diceva «Dove c’è don Bosco, c’è Maria!». Si
alla Messa che don può dire «Dove c’è un Salesiano, c’è Maria Au-
Bosco celebrò per siliatrice!».
loro. Poi, afferrando al Insieme ai salesiani di Beirut, sono stato al San-
volo la pagnotta, sciamarono tuario della Madonna del Libano. Un incantevo-
nei prati, e la gioia esplose. La gioia le posto sulla montagna, dove una grande statua
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della Vergine ha le braccia aperte per abbracciare
la città di Beirut. Siamo andati a pregare in una
piccola cappella. C’erano diverse persone che pre-
gavano. Molti erano giovani. Questo mi ha colpito
profondamente. E il mio sguardo si è fermato an-
che su una giovane madre e suo figlio di circa 14
anni. La madre pregava con gli occhi chiusi e con
profonda concentrazione e devozione. Il ragazzo
era al fianco della madre. Mi sembrava un po’ spa-
zientito per la posizione e il silenzio, ma guardava
la sua mamma e io guardavo tutti e due, perché era
una scena splendida. Quanta fede ispirava. Sicura-
mente i battiti del cuore di quella giovane madre
pulsavano all’unisono con il cuore dell’altra madre,
la Madre di Gesù, la Madre di tutti noi.
E questa scena si confondeva con tante altre uguali
che avevo visto e vedo in tanti posti, a tutte le lati-
tudini. La Vergine suscita tanta tenerezza, affetto
e amore nei suoi figli e figlie in tutto il mondo.
Quest’anno a maggio, celebriamo il 150° anniver-
sario dell’inaugurazione della Basilica di Maria
Ausiliatrice a Torino, la risposta di don Bosco al
desiderio della Vergine. Luogo sacro dove le paro-
le della Madre si sono avverate: «Questa è la mia
casa. Di qui si irradierà la mia gloria».
Noi abbiamo portato il suo nome e la sua “glo-
ria” in tutto il mondo salesiano. In 134 nazioni.
Un mondo costellato di santuari, templi, santuari
mariani, basiliche, dove la Madre continua a in-
vitare i suoi figli di tutte le culture e di tutti i co-
lori per prenderli nel suo immenso cuore e tenerli
vicino al Figlio tanto amato.
Sono certo che scene come quella della Mamma
con il figlio a Beirut, si moltiplicano migliaia e
migliaia di volte in tutto il mondo ogni giorno.
Non possiamo dimenticare il sogno di don Bo-
sco, fatto a Marsiglia, quando infuriava la per-
secuzione contro gli ordini e le congregazioni
religiose: «Mi vidi davanti la Vergine SS. posta in
alto, proprio come si trova sulla cupola di Maria
Ausiliatrice. Aveva un gran manto che si stendeva
tutto attorno a Lei e formava come un salone im-
menso; e lì sotto vidi tutte le nostre case di Fran-
cia. La Madonna guardava con occhio sorridente
tutte queste case, quand’ecco successe un tempo-
rale orribile, o meglio un terremoto con fulmini,
grandine, mostri orribili di ogni forma e figura,
fucilate, cannonate, che riempirono tutti del più
grande spavento. Tutti quanti questi mostri, ful-
mini e palle erano rivolti contro i nostri che sta-
vano sotto il manto di Maria; ma nessuno recò
danno a coloro che stavano sotto una così potente
difensora: tutti i dardi andavano a spuntarsi nel
manto di lei e cadevano nel vuoto. La Beata Ver-
gine, in un mare di luce, con la faccia raggiante e
un sorriso di paradiso, disse molte volte in questo
frattempo: “Io amo chi mi ama”».
Oggi, come allora, la Madonna ci tiene tutti sotto
il suo manto e per questo non abbiamo nulla da
temere.
Con sguardo salesiano riconosciamo, come don
Bosco, che “Maria ha fatto tutto” e continua a farlo!
Vi auguro una felice festa di Maria Ausiliatrice.
Il 23 maggio, a Valdocco, inaugureremo solen-
nemente il centocinquantesimo anniversario della
Basilica di Maria Ausiliatrice: sarà una preziosa
occasione per unirci con tutti i santuari, cappelle,
basiliche del mondo in cui Lei, la Madre, conti-
nua ad irradiare la sua tenerezza materna. Come
oggi a Beirut.
Ne sono testimone: da Beirut a Valdocco, in Afri-
ca, in Asia, Australia, Maria è sempre presente.
Anche a Damasco
è presente Maria
Ausiliatrice.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Legge di fine vita
Il tema della morte assistita e del biotestamento
è da tempo al centro di un ampio e partecipato dibattito
all’interno del quale è difficile prendere una posizione.
Anche i giovani hanno un’opinione riguardo un tema
così delicato.
Eleonora, 19 anni
Da credente vedo la vita come
il dono più immenso e prezioso
che il Signore abbia potuto farci.
In Italia è ormai possibile, tramite le
(Disposizioni Anticipate di Trat-
tamento), esprimere le proprie prefe-
renze e il proprio consenso o rifiuto
su trattamenti sanitari in previsione
di un’eventuale futura incapacità di
autodeterminarsi. Davanti a questo
scenario, si innesca in me una serie
di opinioni discordanti. Posso sicu-
ramente definirmi un’amante della
vita, in tutte le sue forme, sfumature e
sfaccettature; amo la vita e amo viverla
pienamente, cogliendo ogni emozione,
sia essa positiva o negativa. Credo for-
temente che ogni attimo della propria
vita sia prezioso, colmo di significato,
di insegnamenti. La cosa che più mi fa
stare male è perdere il tempo, sprecar-
lo, non metterlo a frutto, non viverlo
completamente, questa è sicuramente
una delle mie più grandi paure. Da
credente vedo la vita come il dono più
immenso e prezioso che il Signore ab-
bia potuto farci e cerco di prenderne
ogni pezzetto, per non perdermi nulla.
Sono convinta che Dio ha per ognuno
di noi un disegno, che ogni esistenza
è in funzione di uno scopo, che ognu-
no di noi ha un fine da raggiungere.
Ma è proprio il mio amore per la vita
che davanti a tematiche come quelle
dell’eutanasia, della “dolce morte”, del
biotestamento, mi spinge a riflettere.
Che cosa porta un uomo a considerare
l’idea di mettere fine alla propria vita
autonomamente? Quanta sofferenza si
nasconde dietro certe decisioni? Spes-
so ho sentito di persone che hanno
fatto questo tipo di scelta, che hanno
scelto di morire. Le parole che accom-
pagnano quel gesto spesso sono le stes-
se: “questa non è vita”. Lo ribadisco, io
amo la vita; ma che vita è quella che
continua solo grazie a delle macchi-
ne? Che vita è quella che ti costringe
a letto? Quella che ti toglie la possibi-
lità di uscire all’aria aperta, andare al
lavoro, abbracciare i tuoi figli o i tuoi
genitori, ballare, fare sport, mangiare
il tuo piatto preferito? Che vita è quel-
la condannata dall’attesa della scoperta
di una nuova terapia, una cura speri-
mentale che possa farti stare meglio?
Che vita è quella che ti regala poche
gioie e troppe sofferenze? Riuscirei ad
amarla anche così? In questi casi è così
difficile riuscire a vedere la vita come
un dono, è così difficile capire quale
sia in nostro fine, il disegno di Dio per
noi. Non so che cosa penserei, come
mi sentirei, cosa farei in una situazione
del genere, o che cosa vorrei che faces-
sero i miei famigliari qualora io non
dovessi più essere capace di intendere e
volere, qualora la malattia mi togliesse
anche la capacità di essere cosciente;
non so se riuscirei ancora ad amare la
vita, non so se riuscirei ancora a vedere
uno scopo alla mia esistenza, non so se
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riuscirei a vedere ancora la vita come
un meraviglioso dono di Dio, ma allo
stesso modo non so se riuscirei ad ave-
re il coraggio di porre fine a tutto, di
andarmene consapevolmente, di sce-
gliere di morire.
Roberta, 20 anni
È giusto che ogni individuo,
nel limite delle proprie facoltà
cognitive, possa decidere
sul proprio avvenire.
“Oggi è più insidiosa la tentazione di
insistere con trattamenti che produco-
no potenti effetti sul corpo, ma talora
non giovano al bene integrale della
persona”: persino papa Francesco, em-
blematica figura religiosa, apre così
il dibattito circa la legge di fine vita.
Risulta, dunque, impossibile rimanere
inerti davanti a tale questione, in bilico
tra l’individualità e la spiritualità etica.
Si tratta, infatti, di una scelta che as-
sume il limite della condizione umana
mortale, accettando di non impedirla,
all’atto di non poterlo più contrastare.
Personalmente, da credente cattoli-
ca, penso che tale legislatura preveda
un’inversione nella precedente rela-
zione tra medico e paziente. Le cure
mediche, difatti, non saranno più un
dovere del primo ma un diritto del
secondo. Parlando di biotestamento,
secondo me le domande fondamentali
da porsi sono due. Fino a che punto
siamo realmente liberi di scegliere? Si
è realmente in grado di scegliere in
una simile condizione? In prima per-
sona sono assolutamente favorevole al
trattamento, poiché lo stesso si disco-
sta molto da una forma di accanimento
terapeutico lesivo per la dignità della
persona. È giusto che ogni individuo,
nel limite delle proprie facoltà cogniti-
ve, possa decidere sul proprio avvenire.
Non è sbagliato sostenere che l’uomo
non abbia il controllo della propria
vita e non possa decidere quando sia
arrivato per lui il momento di lasciare
il mondo terreno, piuttosto credo sia
necessario liberare la felicità di un ma-
lato, schiava di un corpo infermo che
non gli appartiene.
Mirko, 25 anni
Compiere una determinata
scelta può essere considerato
come “abbracciare” con dignità
e rispetto la morte come fase
della vita.
Non decidiamo noi il momento di
morire altrimenti sarebbe considerato
un suicidio. Ritengo che, in deter-
minate condizioni limite, si dovreb-
be fare il possibile per preservare la
vita della persona, ma ove ciò non sia
possibile, riducendo quella persona
a sofferenze, a una vita non vissuta,
compiere una determinata scelta può
essere considerato come “abbracciare”
con dignità e rispetto la morte come
fase della vita. Oggi noi possiamo far
“vivere” una persona che cinquant’an-
ni fa sarebbe morta di sicuro grazie
a un’evoluzione in campo medico di
macchinari e farmaci, ma questo ci ha
spinto a un’esasperazione delle cure.
Una persona che non riesci a curare, o
che comunque dovrà essere mantenuta
in vita da macchinari, quantità imma-
ni di farmaci, rischia di diventare un
fenomeno vittima del fanatismo del-
la medicina. Per spiegare meglio che
cosa intendo uso questo esempio: un
malato terminale di tumore può vive-
re fino alla fine perché nei mesi che
rimangono riesce a condurre una vita
dal punto di vista fisico normale; una
persona che ha invece subito un inci-
dente e non ha più la facoltà di respira-
re autonomamente, di camminare, di
parlare, di svolgere almeno le funzioni
principali, per alcuni versi ha sola-
mente una vita biologica addirittura
parziale. Nelle condizioni di salute in
cui sono oggi, sono portato a dire che,
trovandomi in una situazione sfortu-
nata, sceglierei di vivere perché non
riuscirei mai a immaginarmi i moti-
vi e le sofferenze per cui dovrei fare
un’altra scelta. Allo stesso tempo però,
direi che vorrei abbracciare la morte in
maniera dignitosa solamente se le cure
prestate non procurassero un miglio-
ramento effettivo della condizione di
“non vita” che potrei affrontare.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org / Foto di Ester Negro
Venezuela
Era il Paese più ricco dell’America
Latina. Negli ultimi tre anni, tre
milioni di venezuelani, un decimo
della popolazione totale, l’hanno
La silenziosa agonia lasciato. L’anno scorso ci sono
state oltre 26 600 morti violente.
di un gigante
C’è una drammatica crisi di
malnutrizione e di povertà diffusa.
Come vivono i Salesiani, presenti
in Venezuela da più di cento anni?
“Non capisco se
siamo in un paese
in via di sviluppo
oppure no. Lo
skyline di Caracas
è impressionante,
con i suoi
palazzi in vetro
e i numerosi
grattacieli, ma c’è
qualcosa che non
va...”.
Siamo arrivati a Caracas, in Venezuela, per
incontrare i salesiani di quella terra, dove
la presenza dei figli di don Bosco è molto
radicata. I primi missionari infatti arriva-
rono nel 1894 e dunque vantano una pre-
senza più che centenaria nel paese.
Salendo lungo la strada che dall’aeroporto porta
alla capitale, fino alla casa salesiana dove siamo
ospiti, guardandomi intorno provo una sensazio-
ne strana. Non capisco se siamo in un paese in
via di sviluppo oppure no. Lo skyline di Cara-
cas è impressionante, con i suoi palazzi in vetro
e i numerosi grattacieli, ma c’è qualcosa che non
va... Il traffico è scorrevole per essere in una me-
tropoli con diversi milioni di abitanti, anzi direi
proprio che le auto non sono proprio tante in
giro. Mancano quasi del tutto i camion e i fur-
goni; ecco che cosa manca! Non ci sono mezzi
commerciali che girano, come se non ci fosse
nulla da consegnare o da trasportare lontano...
mancano anche le persone in giro per la strada,
lungo i marciapiedi. Ma dove sono finiti tutti?
Immaginavo un formicaio di vita, che invece non
trovo nel centro della città. Alzo gli occhi sui ri-
pidi pendii delle colline che circondano Caracas
e vedo un alveare di case che si aggrappano alla
montagna come una cozza allo scoglio. Sono i
barrios, i quartieri poveri super popolati della ca-
pitale. Le abitazioni sono costruite con mattoni
rossi e tetti in lamiera, non hanno intonaco e non
hanno i vetri alle finestre. Le inferriate però ci
sono, e sono robuste. Lì la vita è brulicante e...
pericolosa, molto pericolosa. Furti e omicidi sono
all’ordine del giorno.
Non ci sono più medicine
Prima di arrivare nella casa salesiana che si tro-
va al centro della città, comincio a vedere perso-
ne, sono in fila. Saranno circa una cinquantina e
lungo il marciapiede sono in fila davanti ad un
panificio. Appena arrivati a destinazione deposi-
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tiamo i bagagli, ci diamo una veloce rinfrescatina
e, curiosi di capire meglio che cosa sta capitando
in Venezuela, accogliamo volentieri l’invito ad un
breve giro a piedi nel quartiere, accompagnati da
don David Marin, un sacerdote salesiano.
Passiamo davanti a un supermercato aperto. Sì,
aperto. Perché la maggior parte delle serrande dei
negozi sono abbassate. Sarebbe normale se fosse
domenica, ma siamo solo a mercoledì pomeriggio
e quasi tutto è chiuso. Entriamo nel supermer-
cato. Gran parte degli scaffali sono vuoti, vuoti.
Dove ci sono prodotti in vendita, questi sono in
numero assai ridotto. Una bottiglia di acqua mi-
nerale costa circa 5 centesimi. Poco, diciamo noi.
Ma il salesiano ci fa osservare che lo stipendio di
un operaio ora è di circa 1,5 euro al mese. Siamo
increduli e stupiti.
Come è possibile? Divertito, vedendo il nostro
disorientamento, ci snocciola il prezzo di alcuni
prodotti: per acquistare un pneumatico dell’au-
tomobile ci vogliono quaranta mesi di stipendio
(sono circa 60 euro). Per un chilo di carne di man-
zo ci vogliono venti giorni di lavoro (costa circa
1 euro al chilo). La benzina e il gasolio invece
sono praticamente gratis (un pieno di benzina co-
sta circa mezzo centesimo di euro!). Le farmacie
che incontriamo hanno lo stesso aspetto desolato
e vuoto del supermercato. Non ci sono medicine
per curarsi. Ci viene raccontato di un giovane di
25 anni, della nostra parrocchia, morto qualche
settimana prima del nostro arrivo perché affetto
da diabete e, mancando i medicinali per compen-
sare il diabete, ha incontrato la morte. Ufficial-
mente è deceduto per cause naturali, ma in un
paese che fino a qualche anno fa vantava un siste-
ma sanitario valido e medici altamente prepara-
ti, fra i migliori dell’America Latina, potremmo
quasi denunciare il fatto come omicidio di stato.
Sì, perché la situazione economica del paese, or-
mai al caos totale, è figlia delle politiche econo-
miche e sociali dissennate, attuate in questi ulti-
mi anni dal governo militare di stampo marxista
che sta riducendo il paese alla fame. L’inflazione
galoppa a tre cifre, quindi il valore della moneta
locale – il bolivar – è pressoché nullo e non serve
per nessuno scambio con l’estero. La gente so-
pravvive mangiando sempre meno e comprando
prodotti alimentari di scarso valore economico,
come la iuca, un tubero simile alla patata ma più
grande e che costa meno. Gli alimentari scarseg-
giano perché il Venezuela in passato ha puntato
tutto il proprio sviluppo economico sul petrolio,
di cui è detentore dei più grandi giacimenti al
mondo, ma non ha diversificato i settori produt-
Politiche
economiche e
sociali dissennate,
attuate in questi
ultimi anni dal
governo stanno
riducendo il paese
alla fame.
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SALESIANI NEL MONDO
Spesso i genitori
non mandano più
i figli a scuola
perché i mezzi di
trasporto costano
troppo. Questa poi
è l’ultima disgrazia
provocata
dall’inflazione
impazzita per
cui ogni giorno i
prezzi aumentano
e la gente rinuncia
progressivamente
a tutto!
tivi, come avrebbe dovuto fare con l’agricoltura.
Per il fabbisogno alimentare della popolazione
il Venezuela importa quasi tutto. Assurdo, in un
paese tropicale ricco di acqua e di terra fertile e
coltivabile.
La sicurezza personale poi è una vera e pro-
pria emergenza. Camminando per la strada
non dobbiamo mai tirare fuori il cellulare per
guardarlo, men che meno per rispondere ad
una chiamata. Verrebbe quasi subito strappato
di mano e rubato da bande di ragazzi che gira-
no per la città in cerca di qualcosa da rivendere
al mercato nero e così comprarsi da mangiare.
Le finestre delle case hanno tutte, anche ai piani
alti, le inferriate. I muri di cinta, alti tre metri,
sulla sommità hanno cocci di vetro e ancora sopra
c’è la recinzione con il filo elettrico ad alta tensio-
ne. Anche in casa salesiana!
Chiudiamo la prima giornata frastornati dalla
realtà che vediamo con i nostri occhi, e da quello
che ci viene raccontato dai missionari salesiani.
Vitelli e galline a Barinas
Viaggiando in auto da Caracas lungo la base della
cordigliera andina del Venezuela siamo arrivati
nella città di Barinas, a circa cinquecento chilo-
metri a sud ovest della capitale.
Qui i salesiani hanno un’opera davvero speciale. È
una scuola agricola situata in una “finca”, cioè una
grande azienda agricola con un’estesa campagna, i
pascoli e l’allevamento di animali. La frequenta-
no circa 200 allievi dai quindici ai diciotto anni.
Tutti sono convittori. Un clima fraterno e giova-
nile straordinario. Si respira un’aria di confidenza
e grande rispetto per i salesiani della comunità da
parte dei ragazzi. Sono giovani semplici, che ama-
no la natura ed il lavoro dei campi.
A contatto con gli animali che vi si allevano:
galline ovaiole, maiali, capre e pecore, caval-
li, vitelli e tori, mucche da latte. Ogni giorno,
e per i tre anni di durata del corso di studio, i
ragazzi hanno mezza giornata di lavoro e mez-
za di lezione teorica. È bellissimo vederli al
mattino divisi a metà: chi con la tuta da lavo-
ro e gli stivali da campo, pronti per le lezio-
ni pratiche, e chi invece con la divisa scolasti-
ca per le lezioni teoriche di cultura generale,
di agronomia e di allevamento degli animali.
Vengono da tutto il Venezuela per frequentare la
nostra scuola, la più rinomata del paese. Un ra-
gazzo ci ha raccontato che lui viene proprio dalla
foresta amazzonica. Suo padre per accompagnar-
lo a scuola ha compiuto con lui ben nove giorni
di cammino a piedi nella foresta amazzonica pri-
ma di arrivare a Puerto Ayacucho, la prima città
dove poter trovare un mezzo di trasposto che li
portasse a Barinas, distante ancora non meno di
altri mille chilometri. Incredibile! Noi nemmeno
riusciamo ad immaginare come si possa cammi-
nare per nove giorni. Lui ce lo ha raccontato con
il sorriso stampato sul volto e la soddisfazione di
poter essere in questa bella scuola che è anche, e
io dico soprattutto, una scuola di vita.
I segreti della Dolorita
Nel barrio “la Dolorita”, quartiere periferico e
molto popolare di Caracas, noi salesiani abbia-
mo una bella opera pastorale con la parrocchia,
l’oratorio e due centri di formazione professiona-
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Maggio 2018

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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le. La Dolorita è famosa a Caracas per essere il
luogo dove i delinquenti nascondono le persone
nei “sequestri lampo”, ormai all’ordine del giorno
nel centro della capitale. Alcuni banditi rapisco-
no una persona del ceto medio-alto e chiedono
un riscatto abbastanza basso, tale da poter essere
consegnato in giornata dai famigliari del rapito,
e così chiudere questa spiacevole esperienza, che
però diventa drammatica se non viene pagata la
somma richiesta subito.
L’oratorio sembra un fortino di guerra. Dove non
ci sono i muri perimetrali a difendere gli spazi
interni, in ogni porta, finestra, varco aperto c’è
una pesante inferriata con sopra il filo spinato ar-
rotolato, come quello che usa l’esercito! Per entra-
re in oratorio si varca un piccolo cancello sempre
presidiato da un genitore volontario che controlla
gli accessi... Non si sa mai! Nonostante tutte le
precauzioni, solo perché era rimasto un piccolo
spazio aperto di circa 30 centimetri sopra un can-
cello, di notte sono riusciti ad entrare nel cortile
dei salesiani dove erano parcheggiate le auto e a
rubare le gomme e la batteria ad una di esse. Ora
la macchina è là, sospesa in aria con sotto una
panchina a sorreggere l’automezzo, come l’han-
no lasciata i ladri, in attesa di avere di soldi per
ricomprare pneumatici e batteria. I pezzi di ri-
cambio delle auto sono infatti merce rara e che si
trova soprattutto al mercato nero. Per questo nes-
suno lascia le auto parcheggiate lungo le strade.
Rischi di non trovare che i resti inutili di quella
che era la tua auto...
Accanto alla parrocchia e all’oratorio ci sono i
due centri di formazione professionale che ero-
gano corsi brevi, di qualche mese, per giovani
che non hanno concluso gli studi e invece corsi
regolari della durata di un anno per quelli che
vogliono acquisire una qualifica professionale.
Purtroppo però la situazione economica del pae-
se sta provocando una emorragia nella frequenza
dei ragazzi ai nostri centri professionali, ed an-
che alle scuole.
«Domani non abbiamo
più nulla da mangiare»
La vita in Venezuela diventa ogni giorno più dura
da affrontare. La gente si adatta finché può e
come può, ma quando arriva la fame allora si è
disposti a tutto: furti, omicidi, imbrogli, corru-
zione, emigrazione, contrabbando....
Sembra non avere fine la caduta libera nella quale
è precipitato il Venezuela, che fino a pochi anni
fa era uno fra i più ricchi e sviluppati stati dell’A-
merica Latina. I salesiani sono in prima linea nel
cercare di portare sollievo ai più bisognosi, nel
garantire l’apertura delle nostre case ai giovani
che frequentato scuole, oratori, parrocchie, cen-
tri professionali. Distribuiscono centinaia di pasti
ai poveri che quotidianamente affollano le men-
se dei poveri. Consolano e incoraggiano a tener
duro, a sperare in un futuro migliore. Pregano
perché questo incubo possa finire e riprendere la
vita normale. Ma è dura. La fatica e lo scoraggia-
mento tentano di insinuarsi negli animi anche dei
figli di don Bosco. Loro stessi ci hanno confidato
che più volte si sono trovati con la dispensa vuo-
ta. “Domani non abbiamo più nulla da mangiare”
ha detto un giorno don Miguel Angel, l’economo
della comunità di Barinas al suo direttore, don
Bernardo. La Provvidenza è venuta loro in aiuto
e hanno trovato qualcosa da mangiare il giorno
seguente e anche quelli successivi.
I salesiani sono
in prima linea nel
cercare di portare
sollievo ai più
bisognosi, nel
garantire l’apertura
delle nostre
case ai giovani
che frequentano
scuole, oratori,
parrocchie, centri
professionali.
Distribuiscono
centinaia di pasti
ai poveri che
quotidianamente
affollano le mense
dei poveri.
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2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Le perle salesiane
di Rimini
«Qui mi hanno trattato come
un principe» esclamò don Bosco
dopo la visita a Rimini. Qui trovò
benefattori, tanta gente affezionata,
i Salesiani fondarono scuole e una
parrocchia e un oratorio, in cui
crebbe il beato Alberto Marvelli.
A Rimini avvenne il miracolo per
la canonizzazione di don Bosco.
Oggi, tutto continua e presto
nascerà “Porto Sales”.
La parrocchia di
Maria Ausiliatrice
con l’annesso
oratorio quotidiano
si colloca in
una posizione
strategica.
Tutto cominciò nel 1881 con un novizio
di San Benigno in punto di morte. Era
già prete e veniva da Rimini. Si chiamava
Francesco Cagnoli. Invitarono don Bosco
per raccogliere il suo ultimo respiro. Don
Bosco gli posò invece la mano sul cuore
dicendo: «Non è tempo di andarsene. C’è ancora
tanto bene da fare, mio caro don Cagnoli! Domani
se mai, potrà alzarsi un pochino; poi la mande-
remo a Rimini per la convalescenza». Gli impartì
la benedizione di Maria Ausiliatrice. Era la vigilia
dell’Immacolata. Da quell’istante, senz’altra cura
di medici e di medicine, don Cagnoli migliorò
rapidamente, sicché una settimana dopo si mise
in viaggio per Rimini. Tutti quei di casa sua, che
sapevano del suo stato, avvertiti della sua prossima
venuta, gridarono all’imprudenza; ma don Bosco
gli disse: «Vada pure. Confidi in Maria Ausiliatri-
ce e stia tranquillo, che non avrà alcuna stanchezza
del viaggio». E così fu. Godette sempre di buona
salute e poté succedere nel 1887 a don Dalmazzo
come parroco del Sacro Cuore a Roma.
A Rimini, il nome di don Bosco era già ben co-
nosciuto e tutta la città aspettava una sua visita.
Don Bosco li accontentò l’anno seguente. L’acco-
glienza fu trionfale. Dovunque passava, don Bosco
era assediato dalla folla di gente entusiasta. Molti
s’inginocchiavano, chiedendo di essere benedetti.
Nell’ospedale maggiore incontrò un giovanetto,
che, orfano già di padre, aveva perduta là dentro da
poco la mamma, ed egli stesso ci era stato infermo
di broncopolmonite. La Superiora delle suore,
impietositasi di lui, gli prolungava quel soggiorno,
occupandolo in lavoretti adatti alla sua età e alla
debolezza della sua costituzione. Un bel mattino
lo chiama, lo veste a festa e lo presenta a un sacer-
dote in parlatorio. Era don Bosco! Questi gli parla
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Maggio 2018

2.3 Page 13

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DON ANTONIO GAVINELLI, FONDATORE DELL’OPERA (1885-1968)
Figura eminente di Salesiano, di sacerdote, di organizzatore e di costruttore di opere. Chi gli era vicino
ammirava facilmente la sua opera prudente, instancabile, sostenuta da una grande fede, a sua volta fatta
di semplicità di rapporti con il soprannaturale, sicura sempre nei mezzi e nello scopo altamente spirituale.
Fu realizzatore felice e ammirato di opere di zelo a Rimini, ad Ancona, e soprattutto a Bologna con la prima
e seconda ricostruzione del Tempio del Sacro Cuore. A lui si deve l’ampliamento dell’Istituto Salesiano e dei
Laboratori Professionali di quella città, dell’Orfanotrofio di Castel de’ Britti, infine la coraggiosa costruzione
dell’opera Salesiana e del Tempio di S. G. Bosco di via Bellaria, sempre a Bologna.
Ma dobbiamo osservare che le sue affermazioni nel campo delle realizzazioni pratiche non sono altro che la
manifestazione esterna, rivelatrice dell’intima carica della sua anima sacerdotale.
come un papà e domanda alla Superiora: «Quanti
anni ha?». «Dieci e qualche cosa» risponde la suo-
ra. «Già!» ripigliò don Bosco. «Troppo piccolo! Ha
bisogno ancora di mangiare qualche pagnotta di
più. Se sarà buono, lo prenderò l’anno venturo».
Don Bosco manteneva sempre le promesse e l’an-
no dopo scrisse realmente alla Superiora dell’o-
spedale, che, se quel tal ragazzino era ancora di-
sposto ad andare con lui, egli lo poteva accettare.
Il ragazzo fu condotto fino a un certo punto del
viaggio da un canonico, il quale, lasciandolo, gli
disse: «Alla stazione di Torino sventola il tuo faz-
zoletto bianco. Ti verrà incontro un signore alto
e magro, che si chiama Garbellone: tu andrai con
lui». Così venne all’oratorio Pietro Cenci, il mae-
stro dei sarti, che formò una legione di allievi e
che, com’egli si compiaceva di ripetere, vestì don
Bosco da vivo, da morto e da beato.
Le impressioni di Rimini accompagnarono don
Bosco fino a Torino; poiché, incontrato nell’ora-
torio lo studente Francesco Tomasetti, poi Procu-
ratore generale della Congregazione a Roma, gli
disse: «Sono stato dalle tue parti, a Rimini. Che
brava gente ho trovato là! Hanno trattato il po-
vero D. Bosco come se fosse stato un principe!».
A Rimini avvenne anche il miracolo richiesto nel
processo di canonizzazione che fece salire agli al-
tari don Bosco. La signora Anna Macolini, nel
1933, si era gravemente ammalata di una forma
di flebite che i medici non riuscivano in nessun
modo a curare, e quando ormai sembrava che
ogni speranza fosse perduta, dopo aver pregato
e chiesto la grazia a don Bosco, guarì completa-
mente in modo inspiegabile.
I salesiani a Rimini
La storia dei salesiani a Rimini ha umili inizi e
racconta della povertà e dei sacrifici, ma soprat-
tutto della loro grande dedizione e passione per i
giovani.
Quando nel 1919 giunse il primo salesiano, don
Antonio Gavinelli, il vescovo di Rimini, mon-
signor Vincenzo Scozzoli, affidò alle sue cure la
zona dei “Trai” prospiciente al mare. Qui vi erano
poche case, ed era stato eretto nel 1912 un piccolo
e disadorno edificio sacro, detto “Chiesa Nuova”
privo di attrezzature e di abbellimenti. Vi erano
praticamente solo i muri, ma mancava di tutto,
persino del pavimento. Anche l’abitazione dei sale-
siani era molto semplice, non vi erano le porte e le
persiane e aveva solo pochi e poveri tavoli e armadi.
I salesiani fin dal loro arrivo si diedero un gran
daffare per raccogliere i giovani: nacque subito l’o-
ratorio con il cortile e il campo di calcio e si avvia-
rono diverse iniziative attorno alla piccola chiesetta
dedicata a Maria Ausiliatrice. In poco tempo sor-
La casa per ferie
e il bel campanile
svettante e
armonioso che
offre con la sua
verticale solennità
un messaggio
celeste a chi si
trova in mare.
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Sotto: L’interno
della bella
chiesa di Maria
Ausiliatrice.
In alto: La lapide
che ricorda il beato
Alberto Marvelli.
sero una scuola, un convitto per orfani, laboratori,
teatro, una sala cinematografica e naturalmente
anche una banda. Nel 1923 arrivarono le Figlie di
Maria Ausiliatrice che diedero inizio all’oratorio
femminile e alla scuola elementare.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale la
città di Rimini subì una devastazione terribile,
la città fu colpita da più di 300 bombardamenti,
l’82% delle abitazioni vennero distrutte.
Il beato Alberto Marvelli
Tra i tanti che si prodigarono a far fronte alle ferite
di devastazione e di morte, c’era anche un giovane
oratoriano, Alberto Marvelli (1918-1946), morto
prematuramente in un incidente stradale e la cui
santità di vita è stata riconosciuta con la beatifica-
zione da parte di Giovanni Paolo II nel 2004.
Alberto Marvelli è cresciuto nei cortili dell’O-
ratorio Salesiano di Rimini, frequentato assi-
duamente anche da tutti i suoi fratelli, mentre la
mamma ne era catechista.
Alberto era un giovane grintoso, pieno di vita,
una fucina di iniziative: tornei di calcio, uscite
in bicicletta, scalate in montagna e animatore di
molti giovani nei gruppi di Azione Cattolica del
nostro oratorio, ma non mancava di coltivare an-
che una profonda spiritualità.
Nel 1933 vennero riconosciute le virtù eroiche di
Domenico Savio e nel 1934 venne canonizzato
don Bosco. Allora Alberto Marvelli era un giova-
ne dell’oratorio, aveva 14 anni, questi avvenimen-
ti ebbero grande eco nell’oratorio e sicuramente
contribuirono a far prendere la ferma decisione di
farsi santo e di crescere coltivando la virtù della
purezza, come compare da diverse pagine del suo
diario.
Don Marino Travaglini, già Direttore e Parroco
della presenza salesiana di Rimini, ormai anzia-
no, ricordava con profonda nostalgia la sua espe-
rienza riminese: «Io, nella mia vita ho avuto due
cose importanti che mi hanno riempito il cuore
di gioia: la costruzione dello svettante e armo-
nioso campanile della bella chiesa di Maria Au-
siliatrice, che offre con la sua verticale solennità
un messaggio celeste a chi si trova in mare… e
un giovane molto buono… molto buono (e qui si
commuoveva fino alle lacrime), pronunciandone
il nome, Alberto Marvelli».
Era con don Travaglini infatti, che Alberto Mar-
velli celebrava ogni settimana il sacramento del-
la riconciliazione, quotidianamente partecipava
dell’Eucaristia e animava, da vero leader carisma-
tico dell’Azione Cattolica, i giovani della città,
con il metodo aperto e generoso appreso nei cor-
tili dell’Oratorio salesiano di Rimini.
Anche i turisti hanno un’anima
In una guida del 1874, la zona occupata dalla par-
rocchia salesiana è definita «un lembo di spiaggia
ameno e ridente perché su quella spiaggia terra ed
acqua vanno d’accordo per farti bella compagnia».
La parrocchia di Maria Ausiliatrice con l’annes-
so oratorio quotidiano si colloca in una posizione
strategica.
È sul lungomare nel tratto principale della riviera
di Rimini costellata di alberghi e spazi vacanzie-
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Maggio 2018

2.5 Page 15

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ri, con una presenza annuale di circa 2 500 000
turisti.
La chiesa offre un servizio prezioso con la presen-
za continua di uno o due confessori, che svolgono
il loro ministero per i tanti che non sono della
parrocchia ma che appartengono al territorio, che
usufruiscono della possibilità del sacramento del-
la riconciliazione.
Nel periodo estivo sono molti i fedeli che accedo-
no alla chiesa per una visita nei giorni feriali; nei
giorni festivi si celebrano 8 messe di cui due dopo
le ore 21. È un servizio molto apprezzato.
La casa per ferie
Rimini è una delle capitali del turismo interna-
zionale. La comunità salesiana ha realizzato una
speciale casa di ospitalità per le vacanze familiari
con un taglio di forte spiritualità.
Dal 2016 il precedente edificio scolastico, a causa
della sospensione dell’attività per più di un decen-
nio, è stato trasformato in Casa per Ferie per l’ac-
coglienza di gruppi e di famiglie. Tutta la struttura
è stata rinnovata secondo gli ultimi dettami della
logistica: camere a 2 o 4 letti per oltre 100 posti;
un ampio salone per la ristorazione supportata da
una cucina “casalinga e familiare”; ambienti per
riunioni e incontri. Il vicino cortile e i campi da
gioco dell’oratorio e la chiesa di Maria Ausiliatri-
ce completano l’offerta di un servizio ricreativo e
religioso in stile salesiano. Una presenza salesiana
riconosciuta e stimata per la molteplicità di servizi
e proposte in sintonia con il territorio, fortemente
marcato di identità turistica di accoglienza, nello
stile ricettivo del clima familiare della Romagna.
Non è per nulla indifferente il fatto che qui ri-
sieda stabilmente una comunità religiosa, formata
da cinque confratelli sacerdoti. Ecco dunque da
dove proviene la grande possibilità di realizzare
l’obiettivo proposto: nel contributo specifico di
ciascuno di loro nell’offrire un accompagnamento
spirituale (S. Messe, confessioni, preghiera, dire-
zione spirituale), di accoglienza (attenzione alle
esigenze di ciascuno, appoggio in caso di necessi-
tà), organizzativo (con animazioni, suggerimenti,
proposte).
Per questo sono programmati tempi adeguati per
Incontri, Ritiri ed Esercizi Spirituali, per giovani
e adulti, da realizzarsi in autunno, inverno e pri-
mavera, con apertura a livello nazionale, guidati
da persone competenti, capaci di fare assaporare
le dolcezze della miniera spirituale che è appunto
il beato Alberto Marvelli, miniera generosamen-
te imbevuta dalla concretezza della spiritualità
salesiana.
È per lo stesso motivo che si sta progettando lo
spazio-cortile, come punto di incontro del sentire
giovanile, della ricerca di senso e come punto di
approdo sicuro… di casa: Portosales.
Ulteriori informazioni: www.salesianirimini.it
La Casa per Ferie
per l’accoglienza
di gruppi e
di famiglie è
vicinissima alla
spiaggia ed è stata
completamente
rinnovata.
Maggio 2018
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2.6 Page 16

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I NOSTRI LIBRI
Main
Maria Domenica Mazzarello
di Luca Desserafino
il sogno della mela
di Bruno Ferrero
È il ventesimo libretto della fortunatissima serie “Piccole
storie per l’anima”.
DA DOVE VENGONO LE STORIE?
Il maestro insegnava per lo più mediante parabole e storie.
Qualcuno domandò a un discepolo dove prendesse queste sue storie.
«Da Dio», fu la risposta. «Quando Dio vuole fare di te un guaritore,
ti manda dei pazienti; quando fa di te un insegnante, ti manda allievi;
quando ti destina a essere un mae-
Bruno Ferrero
stro, ti manda storie».
Questa la dedica: Queste piccole
storie, prendile come un dono.
Lascia che piano piano si sciolgano
nella tua anima.
Come lo zucchero nel caffè.
Se doneranno un attimo di dolcez-
za alla tua vita,
io ne sarò immensamente felice.
Main è una bambina come tutte: ama correre all’aria
aperta, giocare con i suoi fratelli e sorelle, mangiare
il pane appena sfornato e ridere insieme alle amiche.
Ma nel suo cuore c’è già un amore grandissimo,
quello per Gesù, che la chiama a una missione spe-
ciale: diventare una madre per tante ragazze.
Nello store della basilica
Stilista
di me stesso
di Pino Pellegrino
ASTEGIANO EDITORE
16
Maggio 2018
Pagine stimolanti e avvincenti per
imparare a diventare imprenditori
di se stessi e formarsi una grande
personalità.

2.7 Page 17

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CRONACA
BERNARDO PENOUCOS
Un bambino
Lo sguardo attento e compassionevole
di un grande giornalista argentino si ferma
su una scena purtroppo frequente in un
momento qualunque di una grande città.
Il bambino ha 10 anni e ha smesso di essere un
bambino perché ha rubato, o almeno così de-
finiscono questo passaggio ruvido dall’infan-
zia all’età adulta, quegli uomini che si sono
scagliati su di lui colpendolo a calci e pugni.
Dal naso del bambino il sangue sgorga, fin
quasi a soffocarlo.
È così che imparerà, gridano i grandi, in una sor-
ta di pedagogia della violenza.
Il bambino, ora adulto secondo altri adulti, è nel
bel mezzo delle urla e dei pugni in un angolo
della città di Córdoba, gli adulti che giudicano
il bambino adulto, lo accolgono così nel mondo
della maturità, lo ricevono a colpi e insulti.
Un mulinare spietato di pugni pesanti si abbatto-
no sul corpo del bambino che trema, con le brac-
cia magre si protegge la testa e piange, piange da
bambino. Viene sbattuto da una parte all’altra, da
dozzine di mani che si contendono il suo corpo,
mentre la maglietta sfilacciata come uno straccio
si macchia di rosso.
Il bambino era solo un bambino quando implora-
va una moneta per la strada, era solo un bambino
che dormiva in mezzo ai treni della stazione e
sognava al freddo. Allora nessuno ci badava, nes-
suno lo vedeva.
Ma, come in un passaggio imposto e terrificante,
l’età adulta lo accoglie. Molti lo riprendono con
il telefonino, altri lo additano come un ladro e lo
insultano. Solo qualcuno tenta di sottrarlo al lin-
ciaggio di quelle belve infuriate. È la politica del
linciaggio che abbiamo inaugurato noi.
Passa un’ambulanza, ma non lo prende. Lo carica
un’auto della polizia. Il bambino sanguina e tre-
ma di paura.
Che cosa succede in questo angolo di Terra, per-
ché l’infanzia delle lenzuola di cartone venga ar-
restata a causa di adulti brutali? Che cosa succede
da questo lato del dolore, perché il bambino cono-
sca l’auto della polizia prima di andare a scuola?
Quali saranno i ricordi di quel bambino, come
organizzerà la sua vita? Che cosa sarà per lui, per
esempio, l’amore?
Che tipo di adulto sarà quel bambino, che soffe-
renze porterà con sé, che lotte e che paese?
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2.8 Page 18

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INVISIBILI
LICIA RIMELLO / FOTO DI ANTONIO GREGOLIN
Tempo di pellegrinaggi
Emma Morosini
La “nonna pellegrina”
Le incredibili avventure di Emma Morosini, 94 anni,
pellegrina da venti anni in giro
per il mondo sempre e solo a piedi.
«A lla fine, che fac-
cio di così specia-
le?» chiede. Ride,
quasi non capendo
perché generi tan-
to stupore in chi la
incontra. Un po’ “speciale” lo è.
Cappellino per difendersi dal sole,
un gilet catarifrangente e un trolley
legato su un carrello. Sta tutto qui il
mondo che Emma si porta dietro nel
suo peregrinare per luoghi sacri. Una
vera donna avventura, che viaggia
sempre sola.
Ha macinato più di 34mila chilome-
tri in 25 anni e ha visitato i princi-
pali santuari del mondo. Ogni anno
riparte. Si mette in cammino. Senza
satellitari di ultima generazione, ma
affidandosi solo alla preghiera e alla
Provvidenza. A 94 anni Emma Mo-
rosini, sospinta dalla fede, non ha al-
cuna intenzione di fermarsi. Trascina
una piccola valigia su due ruote con
il minimo indispensabile: il foglio di
presentazione del parroco, un sacco
a pelo, un cambio di biancheria, una
macchina fotografica, l’acqua, il pane
secco e il latte in polvere.
Questa piccola grande donna cammi-
na in risposta a una promessa fatta alla
Madonna. Prima di entrare, nel 1992,
in sala operatoria per una peritonite
perforante fa il voto alla Vergine, in
caso di guarigione, di andare a Lour-
des: e così copre, la prima volta in
bici, 1350 chilometri in 11 giorni. Da
lì nasce la sua nuova missione: pregare
per la pace nel mondo, raggiungendo
ogni angolo della terra. Non è rima-
sta certamente una pia intenzione. In
questi anni è stata in Russia, in Porto-
gallo, in Francia, in Brasile, in Israele,
in Messico, a Cuba, negli Stati Uniti
e in Argentina. Proprio nella terra
che ha dato i natali a Bergoglio è di-
ventata un volto popolare – la «abue-
la peregrina» – quando, nel febbraio
2015, si è fatta nuovamente 1300 chi-
lometri per andare, da San Miguel de
Sulla copertina del suo libro, Emma è
rappresentata nella sua “divisa” normale: scarpe
da ginnastica, giubbotto fluorescente e trolley.
Tucumán, al santuario di Luján dove
c’è la Vergine patrona del Paese.
Papa Francesco:
«Ciao, campiona!»
Tra i suoi ammiratori, occupa un po-
sto privilegiato anche papa Francesco
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Maggio 2018

2.9 Page 19

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che in Piazza San Pietro ha salutato
con un «Ciao campiona» questa esile
donna di 42 kg. Se, inizialmente, riu-
sciva a coprire anche una cinquantina
di chilometri al giorno, oggi si accon-
tenta di farne venti e, se le pendenze
lo consentono, anche trenta.
Rigorosamente, però, dal lunedì al
sabato. La domenica è dedicata al Si-
gnore.
Indimenticabile il suo incontro con il
Papa: «È il 25 maggio 2016, è passato
un anno da quando ci siamo incon-
trati. Io sono appoggiata alla balau-
stra, la gente dietro preme, ma i miei
quarantadue chili reggono alla gran-
de (ah, quanto conta l’entusiasmo
nella vita!). Il Papa cambia direzione,
scende le scale del sagrato, sì, viene
proprio verso questa vecchietta, con
il viso semicoperto da un cappello a
falde e con il suo metro e cinquan-
ta soverchiato dall’entusiasmo della
folla. Il mio cuore sembra uscire dal
petto. Il contagioso sorriso di Fran-
cesco, diventato un simbolo univer-
sale, è via via sempre più nitido. È a
un metro da me: “Ciao campiona!”.
Mentre lo dice, alza il pollice e poi
mi abbraccia».
L’entusiasmante abbraccio fra papa
Francesco ed Emma Morosini con-
clude idealmente un percorso devo-
zionale cominciato una notte di tanti
anni fa, in un piccolo ospedale della
Lombardia, precisamente sulla barel-
la che conduce la protagonista di que-
sta storia in sala operatoria. Prima di
abbandonarsi alle mani del chirurgo,
Emma fa un voto alla Madonna: se
la aiuterà a superare questa prova, an-
drà a piedi a Lourdes. Sopravvissuta
all’intervento, Emma mantiene fede
alla sua solenne promessa.
Poi, però, non si è più fermata.
«La prossima volta
dove andrai?»
Emma Morosini è nata a Castiglio-
ne delle Stiviere (Mantova) nel 1924,
secondogenita di quattro figli, tre dei
quali morirono in tenera età. A quel
tempo il padre si curava di un gregge
e ogni giorno portava al pascolo un
discreto numero di capre che costi-
tuivano l’unica fonte di reddito per il
sostentamento della famiglia.
La vita era dura ed Emma se ne rese
ulteriormente conto quando, alle
scuole elementari, veniva presa in
giro e dileggiata dai compagni a cau-
sa del suo povero abbigliamento, op-
pure perché ancora camminava con
gli zoccoli. All’età di otto anni venne
ammessa alla Prima Comunione e
con gran gioia trascorse la straordina-
ria giornata, anche se la veste, le scar-
pe e il velo erano state prese a prestito.
Purtroppo alla cerimonia era presente
solo la mamma, in quanto il padre,
per le tristi vicissitudini politiche ed
economiche che continuamente lo as-
sillavano, era così affranto e depresso
che non gli riuscì di partecipare. La
mamma le era molto vicina e sugge-
riva alla sua bambina di chiedere a
Gesù di diventare buona e solleva-
re il papà dalle sue pene, ma Emma
ricorda anche di aver aggiunto una
preghierina personale: “Voglio restare
sempre povera come Gesù Bambino”.
Dopo una vita di veri sacrifici, oggi è
pensionata. Quando la mamma morì,
all’età di novantadue anni, Emma ri-
prese il lavoro di assistenza ai malati,
nei quali scopre l’immagine di Cristo
sofferente, e che continua tutt’oggi
con la stessa premura, senza alcuno
scopo di lucro.
Per molti anni il suo mezzo di tra-
sporto è stato unicamente la biciclet-
ta, con la quale è andata a Lourdes
due volte, ma dopo una peritonite,
superata per miracolo, fu costretta a
camminare a piedi e da allora non si
è più fermata e ogni anno, appena è
possibile, “scappa” sulle strade con il
suo carrello, la sua valigia su ruote,
la sua casa ambulante, per onorare la
Madre di Gesù e s’incammina, inos-
sidabile e tenace, in preghiera, verso
gli amati Santuari. Un vescovo ame-
ricano l’ha definita “Vagabonda della
Madonna”. E inevitabilmente la do-
manda che sorge spontanea è questa:
«La prossima volta dove andrai?».
Maggio 2018
19

2.10 Page 20

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IN PRIMA LINEA
O. PORI MECOI
Abba Filippo,
Pugnido
Don Filippo Perin da tre
anni vive e lavora nella
parrocchia di Pugnido,
assieme ad Abba Gorgio
(Pontiggia di cognome,
originario della provincia
di Como, da 27 anni
in Etiopia).
Tre leoni e un coccodrillo
«Prima i nostri incontri» racconta don
Filippo. «Una mattina presto andan-
do a Pochalla a prendere la barca per
andare nel fiume, ci piombano davan-
ti alla macchina tre leoni, venuti fuori
da una strada laterale. Subito fermia-
mo la macchina e li lasciamo andare
un po’ distante. All’inizio sembrava-
no delle mucche, tanto grandi erano,
poi vedendoli correre e saltare come
gatti, abbiamo realizzato che erano
leoni. Hanno camminato per circa
un’ora davanti a noi, 50 o 60 metri,
andando nella nostra stessa direzio-
ne. Noi cercavamo con il clacson,
o i fari, o il rumore del motore del-
la macchina di rimandarli dentro la
foresta, ma niente. Poi è arrivato un
grosso camion e allora ci siamo messi
dietro pensando che sarebbe passato,
ma anche l’autista di questo camion
aveva paura e ha aspettato paziente-
mente, infine è arrivato un motoci-
clista dall’altra parte, così tutti fer-
mi, con i tre leoni in mezzo, noi che
facevamo rumore con la macchina e
il motociclista con la sua moto e alla
fine i leoni sono usciti dalla strada e
entrati nella foresta e così siamo po-
tuti passare. Proseguendo nella strada
abbiamo incontrato una persona con
la bicicletta che andava a Pugnido, gli
abbiamo detto di stare attento che c’e-
rano tre leoni, ma lui ha proseguito.
Poi abbiamo sentito che arrivando al
punto dove erano entrati nella foresta,
sono usciti di nuovo in strada, lui al-
lora ha lasciato la bicicletta, era matti-
na e magari non avevano ancora fatto
colazione, si è arrampicato su di un
albero, mettendosi in salvo. Poi è pas-
sato un autobus e l’ha tratto in salvo.
La scorsa settimana, tirando fuori il
motore della barca dal nostro picco-
lo garage e cercando di montarlo, ci
salta fuori un serpente dal motore.
Tutti noi spaventati abbiamo fatto un
salto, un serpente non molto grande
ma sembra velenoso. Abbiamo cerca-
to poi di stanarlo da dentro il motore
con benzina e altro e alla fine è usci-
to, così alcuni giovani che erano già
pronti lo hanno ucciso con i bastoni.
Infine nei nostri viaggi nel fiume, non
lo incontriamo tante volte, ma que-
sto mese lo abbiamo visto, abbiamo
trovato Nyang, un mega coccodrillo
lungo più di 5 metri, ma soprattut-
to grosso grosso, sempre più o meno
nel solito posto, ormai lo sappiamo.
Quando lo vediamo in lontananza
cerchiamo di accelerare e girare al
largo, salutandolo con la mano.
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Maggio 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Alcune avventure ci accompagnano
nella visita ai villaggi, poi arriva il
più bello, che è l’incontro con la gen-
te, con tanti ragazzi e bambini, che
vengono alla catechesi, alla preghiera,
all’incontro. Molti villaggi sono iso-
lati gran parte dell’anno, soprattutto
nella stagione delle piogge, quando
il fiume allaga la foresta e le vie di
accesso. In quel periodo è difficile
trovare il cibo, resta solo il pesce dal
fiume, le rare scuole e le rare cliniche
chiudono, per mancanza di insegnan-
ti, dottori, medicine, una vita vera-
mente difficile e molto povera.
La nostra presenza in alcuni villaggi
è di sostegno e supporto, la cateche-
si e la preghiera a Dio cercando di
ravvivare sempre la fede, la creazio-
ne di oratori volanti per i bambini e
ragazzi, palloni, campi, giochi, aiuti
concreti al villaggio, alcuni pozzi per
l’acqua potabile, dei mulini per avere
la farina, la barca per portare qualcu-
no di ammalato a Pugnido. Anche il
lavoro nei campi profughi, soprattut-
to la domenica, girando nelle varie
chiese in legno, fango ed erba e in-
contrando le varie comunità cristiane,
il lavoro con i catechisti per aiutare
più persone possibile, nell’ascolto pri-
ma di tutto dei loro problemi, di cibo
per i bambini, un futuro per i ragazzi
almeno nella scuola, di un lavoro per
i più grandi. Qui non tanto mancano
le cose materiali, ma la speranza per
un futuro, nessuno vuole restare per
sempre in un campo profughi. Molte
volte di fronte a tutte queste neces-
sità ci sentiamo come una goccia in
un mare, ma noi lavoriamo per il re-
gno dei cieli, un regno dei cuori che
sorpassa ogni difficoltà e problema
Il più bello è l’incontro con la gente, con tanti
ragazzi e bambini, che vengono alla catechesi,
alla preghiera, all’incontro. Molti villaggi sono
isolati gran parte dell’anno, soprattutto nella
stagione delle piogge.
e arriva fino agli estremi confini del
mondo, come il nostro.
I più poveri del mondo
Il villaggio di Pugnido, si trova nella
regione di Gambella all’estremo ovest
dell’Etiopia, incuneata in gran parte
nel Sudan.
È caratterizzato da un clima molto
caldo e da una generale siccità eccetto
che nei mesi delle piogge (da luglio a
metà ottobre). La temperatura è sem-
pre molto calda, non scende mai sotto
i 20° e nei mesi di marzo e aprile toc-
ca punte di 50°.
La regione è suddivisa in tre zone
amministrative in base all’apparte-
nenza etnica: la zona Anyuak, la zona
Nuer e la zona Mejengir. Non vanno
d’accordo fra di loro e si combattono
crudelmente a colpi di assassinii, ra-
pimenti e razzie.
La regione di Gambella è tra le più
povere dell’Etiopia e, considerando
l’Etiopia uno dei 10 paesi più poveri
del mondo, la pone veramente ad un
Maggio 2018
21

3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
livello di sviluppo molto basso. Nelle
zone cittadine, forte è la disoccupazio-
ne e, per chi riesce a trovare un lavoro,
la paga normale giornaliera si aggira
attorno a 1 euro. La malnutrizione è
largamente diffusa insieme alle malat-
tie ad essa connesse, alla malaria e alla
tubercolosi. Il grado di mortalità in-
fantile è attorno ai 200 su 1000 nati e
il livello di speranza di vita arriva fino
ai 42 anni. La popolazione che ha ac-
cesso all’acqua potabile è del 14%.
A circa 110 km a sud di Gambella,
sorge il villaggio di Pugnido, dove
i salesiani di don Bosco hanno una
missione. Il villaggio di Pugnido
ha circa 10 mila abitanti, quasi tutti
Anyuak, tranne i commercianti che
perlopiù sono di origine etiopica. La
gente vive soprattutto degli aiuti che
le Nazioni Unite mettono a disposi-
zione sia per la gente dei campi profu-
ghi sia per la gente del villaggio. Ogni
mese c’è la distribuzione di cibo, olio,
sapone e altro materiale.
La presenza salesiana
A Pugnido il lavoro dei missionari
di don Bosco è finalizzato all’evan-
gelizzazione e alla promozione uma-
na della popolazione locale, con una
speciale attenzione ai bambini e ai
giovani.
Il signor Pettenon, presidente di Missioni
Don Bosco nella povera cappella di Pugnido
con don Filippo. Il villaggio di Pugnido ha circa
10 mila abitanti. La gente vive soprattutto degli
aiuti che le Nazioni Unite mettono a disposizione
sia per la gente dei campi profughi sia per
la gente del villaggio.
La missione consta di una parrocchia
centrale con un oratorio molto attivo
e undici stazioni missionarie periferi-
che, visitate periodicamente e spesso
raggiungibili solo in barca via fiume.
A queste si aggiungono le sei comu-
nità dei Campi Profughi, anch’esse
visitate periodicamente.
L’oratorio in particolare rappresenta
un punto di riferimento per i bambini
e i ragazzi della zona. È sempre pieno,
soprattutto al pomeriggio, con la sala
giochi, quattro calcetti e cinque ping
pong, le giostrine per i più piccoli, i
tornei di calcio per i ragazzi delle me-
die e quelli di pallavolo per le ragazze.
Le attività e le iniziative promosse dai
missionari non si limitano a questo,
le opere portate avanti sono davvero
tante: scuola materna, acqua potabile,
programma agricolo e di forestazione,
convitto per studenti, scuola di taglio
e cucito per ragazze.
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Maggio 2018

3.3 Page 23

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Abba (don) Filippo durante la celebrazione
dell’Eucaristia per i ragazzi dell’Oratorio.
QUANTO VALE UNA VITA?
A guardare con gli occhi del mondo ci sono tanti criteri per valutare l’importan-
za di una vita, il valore di una persona. Poi c’è il modo di guardare di Cristo, lo
stesso che aveva don Bosco verso ogni singolo ragazzo o ragazza.
Se la vita vale in base ai soldi che uno percepisce nello stipendio, allora a Gambella,
dove pure chi ha un lavoro prende come stipendio 1 euro al giorno, cioè 30 euro al mese, la
vita vale decine di volte meno di un cittadino europeo.
Se la vita vale in base ai titoli scolastici che uno consegue, allora a Gambella, dove
l’85% delle persone non sa ancora leggere o scrivere, la vita vale proprio poco.
Se la vita vale per quante volte mangi durante la giornata, circa 5 volte in Italia, allora
a Gambella, dove se sei fortunato riesci a mangiare una volta sola, la vita vale pochissimo.
Se la vita vale in base agli anni che puoi vivere, circa 80 in media in Italia, allora a
Gambella, dove i più vecchi al massimo raggiungono 50 anni, le persone hanno una vita,
mentre in Italia ne hanno due.
Se la vita vale se hai medicine a casa o puoi trovarle in farmacia per curarti un raf-
freddore o la febbre… allora a Gambella, dove molto spesso mancano o non ci sono perché
costano troppo le medicine basilari e molte volte anche quelle per la malaria, la tubercolosi
e l’AIDS, la vita vale quasi niente.
Se la vita vale di più o di meno se nasci uomo o donna, mentre in Italia è cresciuta
una pari dignità tra i sessi… allora a Gambella se nasci donna non vali proprio niente, men-
tre se nasci uomo puoi decidere tutto.
Se la vita vale in base all’età, laddove c’è la difesa dei diritti dei bambini, l’attenzione
alla loro educazione, al loro sviluppo per una crescita armoniosa e poi offrire loro tutte le
opportunità per poter decidere il loro futuro… allora a Gambella, dove il bambino e il ragaz-
zo non contano proprio niente e sono loro che devono crescere da soli e arrangiarsi, la vita
vale proprio poco.
Se la vita vale in base al colore della pelle, dove il bianco o un po’ abbronzato è il
massimo e il nero è il minimo… allora a Gambella, dove la gente è più nera che di più non
si può, la vita vale pochissimo.
Se la vita vale se sei registrato in comune, se hai una carta d’identità, un passaporto,
se puoi girare il mondo… qui a Gambella, dove non esiste l’anagrafe, nasci e muori e nessu-
no ne sa niente e tanto meno puoi girare il mondo, la vita vale quasi niente.
Se la vita vale in base a quanto è grande la tua
casa, quante camere, quanti bagni, quanti metri quadrati
possiedi… allora a Gambella, dove le capanne sono di
legno, fango e erba e al massimo sono di 4 metri quadrati
in tutto, la vita vale poco.
Se la vita vale in base a quante cose hai nel fri-
gorifero, se dormi sopra un bel materasso, se hai un
bagno e perfino l’acqua, la doccia e la carta igienica, se
hai il gas e l’energia elettrica in casa, se hai una sedia
o un tavolo, se hai dei bei vestiti da metterti… allora a
Gambella, dove non esiste niente di tutto questo, la vita
vale quasi niente.
Se la vita vale quante volte esci il sabato sera per
mangiare una pizza o incontrare i tuoi amici o andare a
ballare… allora a Gambella, dove è meglio rimanere in
casa alla sera per non essere aggrediti o rapinati, o perché
arrivano i predoni dal Sud Sudan, la vita vale pochissimo.
Se sono questi i criteri, veramente a Gambella e soprat-
tutto nei villaggi di Pugnido, Otiel, Two, Thatha, la vita
è all’ultimo posto di questa graduatoria, anzi neppure
compare.
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3.4 Page 24

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
«I draghi esistono,
ma... »
Ad Haiti, la speranza per i bambini
assaliti dal “drago” si chiama
Croix des Bouquets.
Mi chiamo P. Nedjie e vorrei raccontarvi la mia storia. Mia
mamma ha avuto una vita molto difficile. Non ha avuto la
fortuna di andare a scuola, ma da giovanissima ha inizia-
to a lavorare facendo la domestica a casa di una famiglia.
Prima di conoscere mio padre, ha avuto due figli, da due
uomini diversi che non si sono presi le loro responsabili-
tà. Ha sofferto molto per questa situazione, ma, per fortuna, alla fine ha
conosciuto il mio papà, un uomo molto affettuoso, e si sono sposati. Dopo
poco siamo nate io e le mie due sorelline. La nostra vita era molto semplice,
ma noi eravamo felici. Un giorno la mamma è andata a cercare qualcosa da
mangiare nei campi ed è tornata con delle banane. Ne ha mangiata una e si
è sentita subito male. Papà l’ha portata in ospedale, ma non c’è stato nulla da
fare ed è morta. Le banane erano avvelenate. Io e le mie sorelle ci sentivamo
confuse, impaurite anche perché il mio papà, davanti a tanto dolore, se n’è
andato di casa e non l’abbiamo più visto. Noi non avevamo nulla, neanche i
soldi per comprare una bara per la mamma, ma le persone del vicinato han-
no fatto una colletta per acquistarla e una cara suora salesiana le ha cucito un
vestito nuovo. Dopo il funerale non sapevamo cosa fare, io e le mie sorelline
eravamo sedute fuori dalla chiesa su una panca impaurite e profondamente
tristi. Si è avvicinata a noi con un sorriso dolcissimo suor Jeanette e ci ha
accolto nell’orfanotrofio di Croix des Bouquets, una nuova casa per noi. Ora
ho 12 anni e, grazie alle suore salesiane, ho la possibilità di studiare; sono
molto grata per l’amore che ricevo.
Paese nel gennaio del 2010, provo-
cando la morte di oltre 200 mila per-
sone.
Davanti a tanta distruzione, e all’e-
mergenza di un numero di orfani
enorme, le suore si sono subito attiva-
te per creare un luogo sicuro ed acco-
gliente per le bimbe.
Rinascere dalle macerie
La storia di Nedjie è una delle tan-
te storie delle 150 bambine che sono
accolte dalle Figlie di Maria Ausilia-
trice nell’orfanotrofio di Croix des
Bouquets ad Haiti.
L’orfanotrofio è nato proprio dopo il
terribile terremoto che ha colpito il
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Le Figlie di Maria Ausiliatrice, a Croix
des Bouquets, donano ogni giorno la speranza
di un futuro migliore a tante bambine.
Le storie delle bambine accolte nel
Centro sono piene di dolore, in par-
ticolare per la perdita dei genitori,
come per le piccole Lycée e Rachina,
due sorelline ospitate dalle suore.
Avevano una vita tranquilla, una casa
e genitori affettuosi che si occupava-
no di loro. Quando il terremoto ha
distrutto la loro casa loro erano in cu-
cina, mentre la mamma era andata a
prendere qualcosa in camera da letto.
È stato tutto così veloce e loro non
hanno avuto il tempo di realizzare
che cosa fosse successo. La mamma
seppellita da una montagna di ma-
cerie, mentre loro venivano portate
via dal padre. Non hanno mai visto
il corpo della mamma, né hanno
assistito al suo funerale e per anni
hanno sperato che la madre non fosse
realmente morta. Dopo aver perso
tutto a causa del terremoto, il padre
non è più riuscito a trovare un lavoro
e hanno iniziato a vivere per strada.
Dopo due anni, sul loro cammino
hanno incontrato le suore che le han-
no accolte con amore nel loro orfano-
trofio. Ora Lycée ha 13 anni, Rachina
ne ha 11, e hanno di nuovo la possibi-
lità di andare a scuola e di vivere in un
ambiente protetto. Quello che hanno
vissuto, però, è un trauma molto forte
che solo il tempo e l’amore delle suore
potranno poco alla volta alleviare.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice con-
tinuano a raccontare fiabe alle bam-
bine, pur consapevoli di quanto scrive
l’intellettuale inglese Gilbert Keith
Chesterton: «Le fiabe non raccontano
ai bambini che i draghi esistono. I bam-
bini sanno già che i draghi esistono. Le
fiabe raccontano ai bambini che i draghi
possono essere uccisi».
Uccidere il drago dello scoraggiamen-
to, della sfiducia, della perdita del
senso della vita: questo è quanto si
cerca di insegnare amando ognuna di
queste bambine.
Regalare speranza
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, a
Croix des Bouquets, donano ogni
giorno la speranza di un futuro mi-
gliore a tante bambine, ma per poterlo
fare hanno bisogno di un aiuto con-
creto per acquistare il cibo, i vestiti, le
medicine e tutto ciò che è necessario
per una crescita sana.
Afferma papa Francesco: “È umile la
speranza cristiana. È silenziosa, è for-
te, dà pace. È fonte di gioia, non delude,
non ci fa annegare nelle tante difficoltà
della vita.”
È proprio la speranza il dono più
grande che le suore offrono ogni
giorno alle bambine, ed è così che
fanno brillare d’amore e di tenerezza
i loro occhi, vedendo il punto acces-
sibile al bene che lo sguardo di don
Bosco sapeva comunque e sempre in-
travedere!
Per maggiori informazioni:
coord.sos@vides.org
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Hernán Cordero
Con i più poveri del mondo
«Sono un coadiutore
salesiano dell’AFO (Africa
Occidentale Francofona),
dove sono arrivato come
volontario dall’Ecuador nel
1990. La nostra ispettoria
ha dimensioni geografiche
enormi e la regione
è sicuramente una delle
più povere del mondo».
Può auto presentarsi?
Mi chiamo Hernán Cordero e sono
originario dell’Ecuador. Sono un
coadiutore salesiano dell’ (Africa
Occidentale Francofona), dove sono
arrivato come volontario nel 1990.
Sono un meccanico industriale e pri-
ma di arrivare in Guinea ho lavorato
con i bambini di strada a Quito, in
Ecuador. Ho 51 anni e ne ho trascor-
si oltre metà in Africa Occidentale:
sono stato per 10 anni in Guinea, 4 in
Togo per la formazione, 3 in Burkina
Faso e 10 in Costa d’Avorio.
Nel corso degli ultimi dieci anni in
cui sono vissuto in Costa d’Avorio, ho
svolto la funzione di economo ispet-
toriale e ho avuto l’opportunità di vi-
sitare tutte le comunità della nostra
ispettoria , nei sette Paesi in cui è
distribuita. In questo momento sono
incaricato di lavorare in Burkina Faso,
dove mi recherò tra pochi giorni per
occuparmi dell’amministrazione di un
centro di formazione professionale.
Com’era la sua famiglia?
Provengo da una famiglia numerosa,
che conta otto figli. Io sono l’ultimo-
genito. La mia famiglia è originaria
di un piccolo villaggio sperduto sulle
montagne, dove mio padre aveva una
fattoria molto grande, ma siamo tut-
ti nati in città. Durante le vacanze di
fine anno andavamo sempre a lavorare
nella fattoria; ho frequentato la scuola
pubblica e ho seguito gli studi medi
superiori in un Istituto diretto dai Sa-
lesiani grazie a una borsa di studio.
Quando ero bambino, mio padre la-
vorò per alcuni anni negli Stati Uniti
e in Canada e quando avevo dodici
anni ho perso mia madre. La morte
ha quindi cambiato la vita della nostra
famiglia. In realtà, eravamo abituati a
sbrigare da soli le faccende domestiche
e a badare a noi stessi per le necessità
della scuola. In definitiva, la mia in-
fanzia è stata molto tranquilla, ma la
mia vita da adolescente è stata difficile.
La mia famiglia è cristiana e anda-
vamo a messa, recitavamo il rosario e
praticavamo altre devozioni con mia
madre. La nostra situazione econo-
mica era difficile; durante le vacan-
ze dovevamo lavorare nella fattoria
per pagare i nostri studi. In generale
eravamo sobri e disciplinati; eravamo
stati allevati così. Tutti i miei fratelli
e le mie sorelle erano ottimi studenti
e bravi sportivi, non hanno mai dato
problemi in famiglia.
Perché ha deciso
di diventare religioso
e salesiano?
Ho imparato a conoscere i Salesiani
frequentando l’Oratorio con uno dei
miei fratelli maggiori. Ci andavo per
giocare e vedere film, per partecipare
alle passeggiate con gli scout.
Quando ho cominciato a frequentare
l’istituto tecnico, ho offerto sponta-
neamente il mio aiuto nell’organiz-
zazione delle attività dell’oratorio,
in particolare con i coadiutori che le
dirigevano.
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Maggio 2018

3.7 Page 27

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Ho anche partecipato ad
attività missionarie per co-
struire piccole cappelle in
Amazzonia e così sono an-
dato in missione già a sedici
anni durante le vacanze sco-
lastiche, per tre settimane.
Nel resto delle vacanze an-
davo sempre a lavorare nella
fattoria con mio padre.
A diciotto anni ho terminato il per-
corso di formazione professionale e
sono andato a lavorare come volon-
tario nella capitale con i bambini di
strada. È un mondo molto difficile,
con violenza, droga, prostituzione... e
richiedeva un grande sforzo da parte
di noi volontari. Mentre lavoravo con
i Salesiani ho compiuto un cammino
di fede, ma sempre legato ai bambini
di strada. Non vedevo la missione in
senso globale o la portata della vita
religiosa. Di fatto, la vita religiosa in
un’opera rivolta ai bambini di strada è
forse diversa da quella di altre Case,
che gestiscono parrocchie o scuole.
Avevo compreso la missione, ma non
del tutto la vita comunitaria e cercavo
di conoscere anche Gesù di Nazareth.
Perché ha scelto
la missione in Africa?
Nel corso di un incontro tenuto nella
capitale dell’Ecuador, mi informai del
“progetto Africa” avviato dai Salesiani
di don Bosco nel 1985... nel 1989 ho
avuto l’opportunità di visitare l’Ita-
lia per un programma di formazione
per il lavoro con i tossicodipendenti.
Ci sono rimasto per sei mesi, duran-
te i quali ho avuto tutto il tempo per
stilare un bilancio del mio lavoro, ma
province AFO
anche del mio impegno e per pensa-
re al futuro. Ero ormai un educatore
specializzato, ma nello stesso tempo
volevo vivere qualche altra esperienza.
Dietro consiglio di alcuni amici sale-
siani presentai domanda per andare
in Guinea come volontario. In questo
Paese i Salesiani avevano aperto un
Istituto Tecnico e avevano bisogno di
tecnici. Mi preparai dunque per sei
mesi e poi andai in Guinea. Da par-
te mia c’era da un lato una ricerca di
novità e forse di avventura, ma si trat-
tava anche di una ricerca esistenziale,
di un desiderio di decidere per il mio
futuro, di orientarlo. Avevo 23 anni.
Dovevo comunque dare alla mia vita
un orientamento più o meno stabile.
Il mio destino si è dunque definito in
terra di missione, perché ho comin-
ciato lavorando come volontario per
tre anni... Ma quei tre anni in Guinea
avrebbero cambiato la mia vita per
sempre.
Qual è il suo lavoro attuale?
Sono impegnato a Bobo-Dioulasso,
una grande città del Burkina Faso,
in Africa Occidentale. L’opera è un
Centro di Formazione Professionale
che ha anche una casa e un oratorio.
La parrocchia è un altro degli ambiti
in cui lavoriamo. Sono l’eco-
nomo dell’opera e il respon-
sabile della casa, tengo alcu-
ni corsi nel Centro e anche
per i prenovizi.
Ho appena terminato di svol-
gere l’incarico della durata di
dieci anni come direttore di
un Ufficio di Pianificazione
e Sviluppo che ha lo status di
e di nove anni come economo pro-
vinciale. È un’esperienza molto bella,
ma anche molto difficile, dal momento
che l’ispettoria ha dimensioni geogra-
fiche enormi e la regione è sicuramente
una delle più povere del mondo.
Qual è la situazione
dell’Ispettoria AFO?
L’Ispettoria è molto estesa a li-
vello territoriale, con la sua distribu-
zione su sette Paesi e con venticinque
case. Tutte le opere sono in espansio-
ne e abbiamo molto lavoro. In que-
sto momento la grande maggioranza
delle opere ha un direttore africano;
noi Salesiani siamo 155 e si tratta so-
prattutto di confratelli africani mol-
to giovani che seguono il percorso di
formazione. In ogni opera lavorano
mediamente quattro confratelli e sia-
mo quindi sempre oberati dalle attivi-
tà, anche se diventano numerosi pure
i laici impegnati.
Le Case di formazione sono piene, al
momento abbiamo 14 prenovizi, 11
novizi, 24 postnovizi e 25 confratelli
che studiano teologia. Oltre alla teo-
logia, sin dall’inizio dell’attività sa-
lesiana in questa zona il percorso di
formazione viene compiuto in Togo.
In questo momento la situazione eco-
Maggio 2018
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3.8 Page 28

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A TU PER TU
nomica è difficile, poiché dopo il pro-
getto Africa del 1985 il finanziamen-
to delle ispettorie fondatrici è quasi
scomparso. Sebbene le opere educative
e sociali, o anche le parrocchie, pos-
sano essere autosufficienti a livello fi-
nanziario, non è così per la formazione
dei Salesiani e dipendiamo almeno per
il 50% dall’aiuto del Rettor Maggiore.
Un settore ora in difficoltà è quello dei
bambini di strada; il problema è anche
finanziario, perché questi bambini de-
vono essere assistiti per lunghi periodi,
mentre occorre cercare sistematica-
mente finanziamenti costanti. Questi
problemi finanziari fanno sì che i gio-
vani confratelli abbiano difficoltà ad
assumersi la responsabilità di dirigere
queste opere, per le quali è necessario
cercare costantemente fondi.
Il Rettor Maggiore con una delegazione
della Ispettoria AFO.
Quali sono i problemi
da affrontare?
La povertà non consiste solo nella
carenza di denaro: è molto di più. La
povertà è all’origine di guerre per la
conquista di risorse naturali, di gran-
di divisioni sociali, di problemi di
identità, di migrazioni, ecc.
Io vivo in un contesto particolarmen-
te povero. I Paesi dell’Africa Occi-
dentale, a sud del Sahel, sono tra i più
poveri del mondo, mancano sempre
di tutto. È come se si vivesse in una
situazione di crisi permanente e ci si
abitua alla miseria, ci si abitua a vede-
re la gente soffrire, alla violenza.
Nelle grandi metropoli la droga co-
mincia a essere un problema molto
serio per i giovani che non hanno
speranza; c’è anche una perdita dei
valori morali a livello globale, siamo
influenzati dall’Occidente, ma so-
prattutto da un consumismo smodato,
dalla cultura dell’immagine, dall’edo-
nismo.
L’emigrazione è un problema specifico
in alcune zone della nostra ispettoria;
molti giovani non vedono infatti un
futuro diverso dall’abbandono di que-
sta realtà per andare in Europa, anche
se si tratta solo di andare a bighellona-
re per le strade e sopravvivere.
Tanti non hanno speranze, a causa
delle complesse situazioni politiche e
dell’estrema povertà.
Penso anche che ci sia un problema
di identità nei giovani, che cercano di
conservare alcuni valori culturali, ma
sono sensibili ai valori della globaliz-
zazione. L’identità nazionale incontra
qualche difficoltà, perché l’identità
delle persone è prima di tutto etnica.
Ci sono poi tante sfide nella nostra
ispettoria, come accadeva a don Bo-
sco a Torino quando cominciò la sua
opera.
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3.9 Page 29

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Con il 5×1000
abbiamo restaurato la casa di san Domenico Savio
di Marcella Orsini
In questa casa di Mondonio il 9 marzo
1857 morì il giovane Domenico Savio.
Il primo santo della Congregazione
Salesiana. Un giovane che grazie alla
guida sapiente di don Bosco divenne
“il più bell’abito da donare al signore”.
La Fondazione
,
da sempre legata alla figura del giovane Santo, ha soste-
nuto i lavori di ristrutturazione e conservazione dell’edi-
ficio facendo in modo che questo patrimonio culturale e
spirituale possa essere messo al servizio dei pellegrini e
dei devoti di tutto il mondo che decidono di recarvisi in
preghiera.
L’insegnamento spirituale che san Domenico ha lascia-
to nel cuore dei giovani rimarrà sempre vivo, il suo im-
pegno e il suo sacrificio nel cercare di perseguire sempre
il bene, lo hanno portato ad avere un legame profondo
con la Madre Celeste che è sempre accorsa a sostenere il
suo piccolo cadetto della “Compagnia dell’Immacolata”.
Il pezzettino di stoffa da lui sapientemente piegato a for-
ma del mantello dell’Immacolata e che mise al collo del-
la mamma gravemente ammalata, è divenuto il simbolo
dell’affidamento di preghiere che molte donne rivolgono al
giovane santo per richiedere Grazie. La Fondazione
invia da sempre uno scapolare con-
fezionato sul modello di quello che
Domenico Savio mise al collo della
mamma a tutti coloro che si trovano
in particolari momenti della propria
vita e desiderano la sua protezione.
A te non costa nulla, a tanti cambia la vita.
PARTECIPA ANCHE TU!
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO,
via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel. +39 06/61612663
Fax +39 06/61612010
www.donbosconelmondo.org
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
Maggio 2018
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3.10 Page 30

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I PROTAGONISTI
NATALE MAFFIOLI
L’architetto del sogno
Antonio Spezia,
ingegnere e architetto,
amico fidato di don Bosco
progettò la basilica
di Maria Ausiliatrice,
il capolavoro dell’amore
per la Madonna.
Don Bosco da qualche tempo
vagheggiava la costruzione
di una chiesa di dimensioni
più ragguardevoli di quella
di san Francesco di Sales, i
motivi erano dei più diversi,
non ultimo l’angustia di quest’ultima
fabbrica. Così si esprimeva con don
Paolo Albera una sera del dicembre
del 1862: “Io pensavo: la nostra chiesa
è troppo piccola, non può contenere tut-
ti i giovani, o vi stanno addossati l’u-
no all’altro. Quindi ne fabbricheremo
un’altra più bella, più grande, che sia
magnifica. Le daremo il titolo di Maria
Ausiliatrice”.
Don Fedele Giraudi esprime in sinte-
si i primi momenti della progettazio-
ne: “Acquistato il terreno, don Bosco pen-
sò subito a radunare una commissione di
architetti suoi amici perché studiassero e
presentassero al più presto il disegno della
nuova chiesa. Vari furono i progetti, e si
tennero molte conferenze per esaminarli
e discuterli; ma ciascun architetto non
approvava il disegno degli altri colleghi
e nessuno si rassegnava a fare modifica-
zioni, volendo ciascuno che fosse eseguito
integralmente il proprio progetto. Dopo
alcuni mesi don Bosco troncò ogni discus-
sione e diede l’incarico all’ingegnere An-
tonio Spezia, che era da tempo in ami-
chevole relazione con lui, di preparare il
disegno della chiesa”.
L’ingegnere Antonio Spezia era nato
il 14 aprile 1814 a Barzona di Calasca
( ) in Valle Anzasca da Pietro Anto-
nio, un capomastro e da Maria Teresa
Patroni.
Nel 1840 fu approvato come ingegnere
architetto dall’Università di Pavia e nel
1851 come architetto idraulico e civile
dall’Università di Torino. L’amichevole
relazione con don Bosco di cui parla
don Giraudi risaliva al 1851, quando
il giovane ingegnere, fresco di laurea,
incontrò il nostro il quale lo invitò a
redigere la stima della casa Pinardi;
congedandolo don Bosco gli disse:
Veda; altra volta avrò bisogno di lei”.
Nella Guida di Torino Antonio Spezia
compare nella categoria degli inge-
gneri e architetti idraulici, con la qua-
lifica di ingegnere civile e idraulico ed
è registrato come residente in via del
Carmine 11. Pare fosse richiesto, più
che per progettazioni di ampio respi-
ro, per ristrutturazioni e ampliamenti
di edifici civili già esistenti. Dunque
quella di Maria Ausiliatrice è un uni-
cum tra le imprese dell’ingegnere-ar-
chitetto. Lo Spezia morì a Torino il
17 gennaio 1892.
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4.1 Page 31

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Quanti campanili?
I cinque progetti per la nuova chiesa,
firmati da don Bosco e dall’ingegne-
re Spezia, furono presentati all’ufficio
comunale competente datati 14 mag-
gio 1864: si trattava della “Pianta di
una Chiesa Dedicata a Maria Auxilium
Christianorum Da erigersi in Valdocco
di Torino con obblazioni di divoti”; del-
l’“Ortografia esterna della Facciata Prin-
cipale”; dell’“Ortografia esterna Delle due
Facciate laterali”; della “Sezione Longi-
tudinale” e della “Sezione Trasversale”.
Il 5 maggio di quello stesso 1864 era
giunta una lettera del Canonico Lo-
renzo Gastaldi (che diverrà in seguito
arcivescovo di Torino) che, al corren-
te della progettazione, esponeva le sue
considerazioni su alcuni elementi del-
la struttura: secondo il suo parere si
doveva abolire uno dei due campanili
in facciata e collocarne uno, minore,
vicino alla sacristia. Per il disbrigo
delle usuali faccende di sacrestia do-
vevano essere aperte due porte verso le
cappelle laterali e l’atrio della chiesa,
chiuso da una parete, doveva far parte
della navata e l’orchestra sorretta da
due colonne di pietra. Eccetto l’idea
del campanile unico, le richieste del
Gastaldi furono accolte.
Il prospetto della chiesa di Maria Au-
siliatrice fa, evidentemente, riferimen-
to alla basilica veneziana di San Gior-
gio Maggiore (1506) dell’architetto
Il progetto della Basilica presentato dall’architetto
Spezia a don Bosco. È preciso il riferimento
all’architettura palladiana della Basilica veneziana
di San Giorgio Maggiore.
veneto Andrea Palladio (1508-1580),
collocata nel bacino di San Marco di
fronte a Palazzo Ducale. Di certo l’o-
pera veneziana era conosciuta grazie
alle incisioni offerte nei volumi di Ot-
tavio Bertotti Scamozzi (1719-1790),
Le fabbriche e i disegni di Andrea Palla-
dio, pubblicati in 4 volumi a Vicenza
tra il 1776 e il 1783, e la chiesa di San
Giorgio compare al volume , alle pa-
gine 19-21, tavole - e, sicuramen-
te, lo Spezia aveva avuto tra le mani il
testo durante la sua formazione.
Con un preciso riferimento all’archi-
tettura palladiana, l’ingegnere Spezia
voleva affrancare la chiesa di Maria
Ausiliatrice dalla matrice torinese e
inserirla in un contesto architettonico
internazionale.
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I PROTAGONISTI
Un professionista che non aveva mol-
ta pratica nell’arte della progettazione
di grande respiro, specie ecclesiastica
e che voleva elaborare un edificio lon-
tano dagli schemi usuali, non poteva
fare a meno di ricorrere alle sue me-
morie scolastiche e a forme che fosse-
ro di esito sicuro. Deviando da quel-
le che erano le forme eclettiche, nei
modi allora in voga, si rivolse a mo-
delli neoclassici, o meglio, a quanto la
sua formazione accademica presenta-
va come la miglior espressione di quel
gusto e, in questo senso, l’architettura
palladiana era la più versatile ed uni-
versale. Bisogna tenere presente che il
palladianesimo si presentava come un
evento architettonico di vasto respiro
internazionale: aveva formidabilmen-
te attecchito in Inghilterra, ed era sta-
to esportato negli Stati Uniti.
Un monumento del cuore
Non si era certamente fuori tempo
per la proposta di una simile architet-
tura. Il Neoclassicismo, anche il più
tardo, aveva tenuto ben vivo un palla-
dianesimo tutto italiano; anni prima,
architetti come Carlo Morigia, nel
L’interno della Basilica durante una
delle numerose solenni celebrazioni.
GRAZIE A VOI È TORNATA LA VOCE DEL PARADISO
MAURIZIO PALAZZO, maestro di cappella ed organista della basilica
Grazie a voi e ai tanti amici di Maria Ausiliatrice, il grande organo
della Basilica è stato rimesso a nuovo. E loda il Signore con le sue
5500 canne.
Siamo nella seconda domenica d’ottobre dell’anno 1844, e don Bo-
sco, inquieto e preoccupato, si addormenta e sogna. Scorriamo le sue
parole: «Guardando, vidi un campo, in cui era stata seminata meliga,
patate, cavoli, barbabietole, lattughe e molti altri erbaggi. – Guarda
un’altra volta, mi disse la pastorella [la Vergine Maria] – Guardai di
nuovo, e vidi una stupenda ed alta Chiesa. Un’orchestra, una musica
istrumentale e vocale mi invitavano a cantar messa».
Non sono tante le parole che don Bosco ha lasciato al caso, nel corso
di un’esistenza dinamica e tesa alla realiz-
zazione di un vertiginoso Sogno, quello di
Dio. Perciò volentieri parto da questo prov-
videnziale suggerimento per sottolineare
l’idea che lo anima: in un luogo dove Dio
desideri essere “onorato in modo specia-
lissimo” la vibrazione della musica non può
mancare mai.
Bisogna constatare che la lungimiranza
dei Superiori salesiani, unita alla gene-
rosità dei tanti benefattori amici di don
Bosco, ha consentito la realizzazione di questo principio: tanto più
in questo 150° anniversario della Consacrazione della Basilica di
Maria Ausiliatrice, che ha visto da poco concluso l’impegnativo
restauro del prezioso organo a canne “Tamburini”, già utilizzato
per tre concerti tenutisi nel corso di questi mesi. A nome della
comunità salesiana ringrazio il maestro Massimo Elice, organaro
genovese che si è occupato della realizzazione tecnica del restauro;
ed il maestro Stefano Marino, organologo della diocesi di Torino e
referente in ordine ai progetti di restauro, che ha seguito le varie
procedure in sinergia con la Sovrintendenza dei beni artistici, dan-
do preziosi suggerimenti.
Qualità costruttiva
e dimensioni
L’importanza di conservare un organo a
canne, quale è quello custodito nella Basi-
lica di Maria Ausiliatrice, scrive il maestro
Massimo Elice, restauratore dell’organo,
risiede principalmente in due aspetti: l’al-
tissima qualità costruttiva dello strumento
e le sue imponenti dimensioni; infatti, con
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duomo di Urbino (1789) o Giuseppe
Valadier nella facciata della chiesa ro-
mana di San Rocco a Ripetta (1834)
avevano proposto facciate chiesasti-
che decisamente conformi ai modelli
del Palladio.
Fu questa continuità e persistenza in
ambito architettonico, e anche la no-
tevole rilevanza rappresentativa, del
modello palladiano ad incoraggiare lo
Spezia a riproporlo a Torino nella fac-
ciata di Maria Ausiliatrice. Ovviamen-
te apportò quelle modifiche che dessero
al suo progetto una patente di origina-
lità e per non scadere nella pedissequa
riproposizione di quanto appreso dai
libri arretrò le due ali laterali rispet-
to al prospetto centrale, trasformando
quest’ultimo in una sorta di pronao.
Quella dell’architetto Spezia, e indi-
rettamente di don Bosco, fu una scel-
ta coraggiosa: si trattava di imporre
un modello inusitato in un contesto
come quello di Torino già segnato da
tutt’altra linea architettonica. Non
doveva mancare nelle intenzioni del
progettista e del committente l’idea di
un edificio che fosse grandioso, che si
staccasse dall’usuale panorama archi-
tettonico cittadino e che esprimesse,
nel complesso delle sue reminiscenze,
una cultura e un modo di intendere un
edificio sacro di valore non piemonte-
se, ma nazionale.
Gli obiettivi di don Bosco nell’affron-
tare l’impresa dell’edificazione erano
chiari: voleva una chiesa grandiosa che
fosse un monumento alla Vergine Ma-
ria, il segno chiaro della sua presenza
a sostegno della Chiesa, come al tem-
po di Lepanto o durante la prigionia
di Pio VII. Incaricando lo Spezia del
progetto, don Bosco voleva che “ fosse
in tali proporzioni che potesse accogliere
un gran numero di devoti, e render l’ono-
re dovuto all’Augusta Regina del Cielo”.
La fabbrica, tra alterne vicende (corse
anche il rischio di essere decurtata di
una porzione importante come la cu-
pola), fu portata finalmente a termine
nel 1868 e fu consacrata il 9 giugno di
quello stesso anno.
È interessante notare che, alcuni anni
dopo, in occasione della progettazione
della chiesa di San Giovanni Evange-
lista, su corso Vittorio Emanuele II,
i disegni, certamente elaborati da
Edoardo Arborio Mella che non era
un architetto patentato, ma un dilet-
tante, per essere presentato all’ufficio
competente del municipio di Torino,
furono firmati dall’architetto Anto-
nio Spezia.
le sue quasi 5500 canne sonore, l’organo di Maria Ausiliatrice è il più gran-
de tuttora presente in Piemonte, e fu costruito da una della più importanti
case organarie italiane del XX secolo, la Giovanni Tamburini di Crema, che
vantava, intorno agli anni ’40 del secolo scorso, ben 100 fra operai e addet-
ti, che costruivano tutte le componenti dei propri organi, dalle canne alla
manticeria, dai motori ai relais elettrici.
Certamente un simile strumento, seppure costruito nel 1938 con tecniche
d’avanguardia, ha mostrato la necessità nel corso della sua vita di manu-
tenzione, data la complessità dei congegni meccanici, pneumatici ed elet-
trici di cui è dotato, ed è per questo motivo che si è deciso di compiere un
minuzioso ed attento intervento di salvaguardia di tutte le sue componenti,
intervento durato quasi 5 mesi e che ha riguardato il rimodernamento del-
la parte elettrica nel pieno rispetto del manufatto originale (ora affiancato
da un centralino elettronico d’avanguardia, prodotto in Italia, che aiuta e
sostiene il funzionamento degli impianti elettromeccanici originali, tuttora
funzionanti), la revisione dei somieri montanti le canne sonore, e lo smon-
taggio, con pulizia ed accordatura, di tutto il canneggio in metallo e legno
formante i vari corpi sonori.
Il restauro eseguito ha così permesso di ripristinare lo strumento in tutti i
suoi aspetti, di renderlo versatile per la liturgia ed eccellente per le manife-
stazioni concertistiche, e di tornare a far riascoltare la sua ricca e variegata
voce nella splendida Basilica che lo conserva.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
5 Salviamo il libro
Il libro è palpabile, odoroso, manipolabile. Crea un rapporto affettivo e unico.
Offre la possibilità di una lettura pacata, ‘filosofica’, paziente, soggettiva.
Tutto ciò che neanche il miglior computer può offrire.
Non salvare il libro è un atto
che potrebbe configurarsi
come un vero e proprio rea-
to: reato pedagogico!
Abbiamo tutte le carte in
regola per sostenere un’af-
fermazione così grave.
I libri non sono noccioline, non sono
popcorn! I libri sono una miniera di
preziosi, di materiale esplosivo. Ecco
perché dalla lettura di un libro nessu-
no esce mai indenne.
Esempio classico: il radicale cambio
di rotta di sant’Ignazio di Loyola
dopo la lettura della vita di Cristo e
di alcuni santi. È la prova che il libro
lavora in profondità.
Potenza e ricchezza del libro:
· Il libro è l’antiruggine del cervello,
l’autogrill dell’anima.
· Il libro è una finestra sul mondo.
· Il libro allena a pensare.
· Il libro sfama l’anima.
· Il libro permette di dialogare con
chi è assente.
· Il libro protegge dalla droga delle
immagini.
· Il libro libera dalle manette mentali.
· Il libro insegna a sfogliare la vita.
· Il libro abitua ad abitare con se stessi.
· Il libro permette di viaggiare senza
la seccatura del bagaglio.
· Il libro nuoce gravemente alla noia.
· Il libro può essere l’auto terapia fat-
ta in poltrona.
· Il libro è il segreto perché il tempo
libero non diventi tempo vuoto.
Che cosa si può volere di più per giu-
stificare il salvataggio del libro e di-
fenderci, in tal modo, dallo tsunami
della comunicazione digitale?
Ecco: è qui ove volevamo arrivare!
Volevamo arrivare a lanciare l’allarme
contro l’eliminazione del libro dalle
aule scolastiche. Il pericolo non è ipo-
tetico, ma, ormai, una realtà.
Un Istituto tecnico, in provincia di
Bergamo, alcuni anni fa ha acquista-
to 1500 iPad per studenti e docenti.
Obiettivi. Risparmiare, mettere tutti
in rete e utilizzare i nuovi mezzi per
studiare, fare i compiti e seguire le le-
zioni.
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LEGGERE E GUARDARE LA TELEVISIONE
IL BOOKCROSSING
Tra il leggere e il guardare la televisione vi sono almeno quattro differenze.
Mentre il vedere la televisione non richiede né impegno né sforzo per ricevere il mes-
saggio, la lettura di un libro esige sempre un minimo di impegno ed un certo sforzo per
decodificare le parole. In breve: la lettura allena la volontà.
Una seconda differenza è questa: nella lettura il ritmo è individuale: ognuno può fermarsi
quando decide, può tornare indietro per approfondire… La televisione, invece, impone il
suo ritmo dall’esterno, senza che nessuno possa variarlo. La televisione dà per scontato
che i fruitori siano tutti uguali, che abbiano tutti lo stesso quoziente volitivo e intellettivo.
Per la televisione, gli uomini sono come le melanzane che maturano tutte la stessa set-
timana.
Terza differenza: la lettura dà messaggi a goccia, la televisione, quasi sempre li dà a valan-
ga in modo così rapido da non lasciare il tempo di assimilarli. In altre parole: la televisione
fa teste ben piene, non teste ben fatte.
Quarta differenza: la lettura stimola la fantasia, la televisione la sotterra.
Un esempio: se leggiamo “Era una notte buia e tempestosa…”, ognuno immagina il tem-
porale a modo suo, se lo vediamo in televisione, il pensiero viene bloccato su quella deter-
minata presentazione: il temporale è così e basta! Addio immaginazione, addio fantasia!
Per farla in breve: la lettura batte la televisione per quattro a zero.
La notizia ci è parsa interessante e
intrigante. Fatto salvo il problema
economico (l’indubbio risparmio),
vien da domandarci se sia educativo
far sparire il libro, la carta e la penna.
Il libro è palpabile, odoroso, mani-
polabile. Crea un rapporto affettivo e
unico. Offre la possibilità di una let-
C’è una nuova iniziativa che si diffonde
con il solito uso della terminologia ame-
ricana e con il felice motto: "Se ami il
libro, lascialo libero”.
L’iniziativa è portata avanti da persone che
dopo aver letto con gusto un libro, lo lascia-
no sul tavolo di un bar, in una cabina tele-
fonica, sulla panchina dei giardini pubblici.
tura pacata, ‘filosofica’, paziente, sog-
gettiva. Tutto ciò che anche il miglior
computer non può offrire!
A proposito l’educatore Antonio
Mazzi è molto chiaro: «Uno studio con
un computer sul tavolo è il cimitero degli
affetti. I libri fanno compagnia. Il com-
puter è freddo, anonimo. Il libro è caldo,
pieno di colori, titoli. È tuo e ti senti di
possederlo. Una casa senza biblioteca è
un albero senza frutta, secco, scheletrito!»
Per non morire idioti, per non mori-
re anoressici ‘dentro’, non ci resta che
leggere!
LE CHICCHE DEL MESE
I libri saranno mattoni, ma sono mattoni
che edificano.
“Il tempo per amare, come il tem-
po per leggere dilatano il tempo
per vivere” (Daniel Pennac, 1944,
scrittore francese).
Regalare un libro ad uno è trattarlo da
intelligente.
“Non ho mai avuto un dispiacere
che non sia passato dopo un’ora
di lettura” (Montesquieu, 1689-1755,
politico francese).
La strada più saggia che vi sia è quella
che porta in libreria.
“Anche Dio si è fatto libro” (Enzo
Bianchi, priore della Comunità monasti-
ca di Bose).
Dai genitori impari ad amare, a mettere
un piede davanti all’altro, ma quando
impari a leggere, ti accorgi d’avere le
ali!
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Always
connected
«Dici che torneremo a guardare il cielo,
alzeremo la testa dai cellulari
fino a che gli occhi riusciranno a guardare,
vedere quanto una luna ti può bastare?»
“A lways connected”. È così che
una recente ricerca sul rapporto
tra giovani e nuove tecnologie
definisce non solo la genera-
zione degli adolescenti, nati
insieme all’avvento del web e
Dici che torneremo a guardare il cielo,
alzeremo la testa dai cellulari
fino a che gli occhi riusciranno a guardare,
vedere quanto una luna ti può bastare?
E dici che torneremo a parlare davvero,
senza bisogno di una tastiera,
e passeggiare per ore per strada
fino a nascondersi nella sera?
E dici che accetteremo mai di invecchiare,
cambiare per forza la prospettiva,
senza inseguire una vita intera
l’ombra codarda di un’alternativa?
E dici che troveremo prima o poi il coraggio
di vivere tutto per davvero,
senza rincorrere un altro miraggio,
capire che adesso è tutto ciò che avremo?
Capire che adesso è tutto ciò che avremo...
cresciuti a pane e social media, ma anche i cosid-
detti “Millennials”, quei giovani adulti, trenten-
ni e dintorni, che all’utilizzo di cellulari, tablet
e pc sono approdati quando erano già un po’ più
grandi, ma che non hanno tardato a familiariz-
zare con la nuova realtà virtuale e, non di rado, a
lasciarsi profondamente plasmare, condizionare,
attraversare dalle sue pervasive istanze.
Costantemente online, con lo sguardo puntato
sullo schermo dello smartphone e le dita scattanti
pronte a digitare messaggi o stringhe di ricerca, i
giovani adulti del terzo millennio, non meno dei
loro fratelli minori, appaiono spesso più attenti a
fare incetta di like sul social media di turno che a
coltivare relazioni autentiche con le persone che
hanno accanto, a mettere in bella mostra sul-
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la propria bacheca i posti che visitano e i piatti
che mangiano che ad assaporare realmente le
loro esperienze di vita vissuta, a preconfezionare
un’immagine di sé fittizia e sfavillante da sotto-
porre al giudizio più o meno impietoso o indul-
gente dei propri contatti che a mettere a fuoco la
loro identità e a prendersi cura della loro anima.
Si affannano a moltiplicare followers e interazio-
ni all’interno di questo o quel gruppo virtuale,
ma non sono più capaci di condividere pensieri,
sentimenti, emozioni nei contesti di vita che li
circondano. Rincorrono il mito della visibilità a
tutti i costi, vivisezionando la propria esistenza
in frammenti sconnessi da dare in pasto alla rete,
ma faticano a costruire nella loro quotidianità
un progetto di vita unitario e dotato di senso.
Accade, così, che sempre più spesso il virtuale
dissimula il reale, finendo di fatto con il diven-
tare più “reale” del reale, mentre al di fuori della
rete si smarrisce il senso della bellezza e della
prospettiva, si perde di vista il valore del tempo
e della reciprocità. E anche la sfida dell’adultità
smette di essere giocata sul terreno impervio, ma
concreto della relazione per consumarsi nel non-
luogo rassicurante, ma autoreferenziale del web.
Ma, talvolta, per tornare a lasciarsi incantare
dalla meraviglia di un cielo stellato è necessario
mettersi offline; per recuperare il gusto del dialo-
go e della condivisione è indispensabile spegnere
telefoni e chat per far spazio nel proprio vissuto
alla presenza corporea e ingombrante dell’altro;
per riappropriarsi della genuinità di un senti-
mento o un’emozione è essenziale proteggerla
dagli sguardi indiscreti della rete per restituirla
alla sua dimensione di verità e intimità. Perché
se è vero che la realtà virtuale permette di mol-
tiplicare le connessioni e di superare le distanze,
è solo nella qualità delle relazioni e nel qui ed
ora del nostro essere nel mondo che possiamo
riempire di senso la nostra vita e ricucire i fili
di una biografia altrimenti sfilacciata e priva di
autenticità.
Dici che riusciremo a sentire ancora
un’emozione prenderci in gola,
quando sei parte della storia
fino a riuscire ad averne memoria.
E tu che nome dai
al tuo coraggio,
al non volere mai ammettere che,
al non volere capire che
adesso è tutto ciò che avremo,
adesso è tutto ciò che avremo?
Capire che adesso è tutto ciò che avremo,
adesso è tutto ciò che avremo.
Dici che torneremo a guardare il cielo?
(Diodato feat. Roy Paci, Adesso, 2018)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
La Madonna fa la questua
per la sua chiesa
(continua dal numero di aprile)
Una lotta strenua
e senza posa quella
di don Bosco per trovare
il denaro necessario
per la costruzione della
Basilica. È commovente
vedere come Maria
Ausiliatrice lo accompagna
maternamente,
passo dopo passo.
Il 15 gennaio 1867 la Prefettura di
Torino con apposito decreto fissa
l’estrazione dei biglietti della lot-
teria il 1° aprile. Da Valdocco ci si
affretta a spedire in tutta Italia i
biglietti rimasti, con preghiera di
restituire quelli invenduti entro metà
marzo, così da poterli rispedire altro-
ve prima dell’estrazione.
Don Bosco, che già da fine dicem-
bre 1866 si era accinto ad un secondo
viaggio a Roma (9 anni dopo il primo),
con tappa a Firenze, per cercare di
mettere d’accordo Stato e Chiesa sulla
nomina di nuovi vescovi, ne appro-
fitta per ripercorrere la rete delle sue
amicizie fiorentine e romane. Riesce a
smerciare molte mazzette di biglietti,
tant’è che il compagno di viaggio, don
Francesia sollecita la spedizione di al-
tre, perché “tutti ne vogliono”.
Se al momento la benefica Torino,
declassata dal ruolo di capitale del
Regno, è in crisi, Firenze invece sta
crescendo e così fa la sua parte con
tante generose nobildonne; Bologna
non è da meno, con il marchese Pro-
spero Bevilacqua e la contessa Sassa-
telli. Non manca Milano, anche se
proprio alla milanese Rosa Guenzati
il 21 marzo don Bosco confida: “La
lotteria si avvicina al suo termine ed
abbiano ancora molti biglietti”.
Quale il risultato economico finale del-
la lotteria? Circa 90 000 lire [328 000
euro], una bella cifra, si direbbe, ma
che costituisce solo un sesto del dena-
ro già speso; tant’è vero che il 3 aprile
don Bosco deve chiedere ad un bene-
fattore un urgente prestito di 5000 lire
[18 250 euro] per un pagamento indi-
lazionabile di materiale edilizio: gli era
venuta meno un’entrata prevista.
La Madonna interviene
La settimana seguente don Bosco,
trattando degli altari laterali con la
contessa Virginia Cambray Digny di
Firenze – si era fatta personalmente
promotrice di una raccolta di fondi
per un altare da dedicarsi a sant’Anna
(madre della Madonna) – le comunica
la ripresa dei lavori e la speranza (ri-
sultata poi vana) di potere inaugurare
la chiesa entro l’anno. Conta sempre e
soprattutto sulle offerte per le grazie
che la Madonna concede di continuo
agli oblatori e lo scrive a tutti, alla
stessa Cambray Digny, alla signori-
na Pellico, sorella del famoso Silvio
ecc. Qualche benefattrice, incredula,
gliene chiede conferma e don Bosco
lo ribadisce.
Le grazie aumentano, la loro fama si
diffonde e don Bosco deve contenersi
perché, come scrive il 9 maggio al ca-
valiere Oreglia di S. Stefano, salesiano
inviato a Roma a cercare beneficenza:
“Io non le posso scrivere perché ci sono
interessato”. Invero non può mancare
di aggiornare il suo elemosiniere il
mese seguente: “Un signore guarito
di un braccio portò immediatamente
3000 lire [11 000 euro] con cui si sono
pagati una parte dei debiti dell’anno
precedente… Io non ho mai vantato
cose straordinarie; io ho sempre detto
che M.SS. Ausiliatrice ha conceduto e
concede tuttora grazie straordinarie a
38
Maggio 2018

4.9 Page 39

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quelli che in qualche modo concorro-
no alla costruzione di questa chiesa. Io
ho sempre detto e dico: ‘l’offerta si farà
a grazia ricevuta, non prima’ [corsivo
nell’originale]”. E il 25 luglio alla con-
tessa Callori racconta di una ragazza
da lui ricevuta, “pazza e furiosa” tratte-
nuta da due uomini; appena benedetta
si calmò e si confessò.
Se la Madonna si attiva, don Bosco
non sta certo fermo. Il 24 maggio
spedisce altra circolare per l’erezione
e l’arredo della cappella dei SS. Cuo-
ri di Gesù e Maria: allega un modu-
lo per l’iscrizione di offerta mensile,
mentre chiede a tutti un’Ave Maria
per gli oblatori. Lo stesso giorno, con
una notevole “faccia tosta” domanda
alla madre Galeffi delle Oblate di Tor
de Specchi di Roma, se i 2000 scudi
promessi tempo prima per l’altare dei
SS. Cuori fanno parte, o no, della sua
rinnovata disponibilità a fare altre cose
per la chiesa. Il 4 luglio ringrazia il
principe Orazio Falconieri di Carpe-
gna di Roma per dono di calice e of-
ferta per la chiesa. A tutti scrive che
la chiesa avanza ed attende doni pro-
messi, come gli altari delle cappelle, le
campane, le balaustrine ecc. Le grandi
offerte provengono dunque dagli ari-
stocratici, dai principi della chiesa, ma
non manca l’“obolo della vedova”, le
offerte capillari della gente semplice:
“La settimana scorsa in piccole offerte
fatte per grazie ricevute vennero regi-
strati 3800 franchi” [12800 euro].
Il 20 febbraio 1867 la “Gazzetta Pie-
montese” dà la seguente notizia: “alle
tante calamità ond’è afflitta l’Ita-
lia – [si pensi alla terza guerra d’in-
dipendenza appena conclusa], ora
dobbiamo aggiungere la ricomparsa
del colera”. È l’inizio dell’incubo che
minaccerà l’Italia per dodici mesi suc-
cessivi, con decine di migliaia di mor-
ti in tutto il paese, Roma compresa,
dove il morbo miete vittime anche fra
personalità civili ed ecclesiastiche.
Sono preoccupatissimi i benefattori
di don Bosco, che però li tranquil-
lizza: “niuno di quelli che prendono
parte alla costruzione della chiesa in
onore di Maria sarà vittima di que-
sti malanni, purché si riponga fiducia
in lei”, scrive ad inizio luglio alla du-
chessa di Sora.
Sempre in azione
Ma la Provvidenza bisogna anche
“cercarla”. Ed ecco don Bosco in ago-
sto tornare a scrivere al conte Cibra-
rio, Segretario dell’Ordine Mauri-
ziano, per ricordargli che era giunto
il tempo di onorare la seconda parte
dell’impegno economico assunto due
anni prima. Da Genova per fortuna
gli arrivano cospicue offerte da parte
del conte Pallavicini e dei conti Vian-
Don Bosco non dimenticava mai i benefattori
delle sue opere. Nella chiesa di San Francesco
di Sales un affresco ritrae i conti Callori
di Vignale, amicissimi di don Bosco.
cino di Viancino; altre offerte gli per-
vengono in settembre dalla contessa
Callori di Vignale e così da altre città,
Roma e Firenze in particolare.
Arriva però presto un inverno fred-
dissimo, con il conseguente incre-
mento dei prezzi al consumo, pane
compreso. Don Bosco va in crisi di
liquidità. Fra lo sfamare centinaia di
bocche e il sospendere i lavori edili-
zi, la scelta è obbligata. I lavori per
la chiesa dunque ristagnano, mentre
i debiti crescono. Il 4 dicembre don
Bosco prende allora carta e penna
(d’oca) e scrive a Roma al solito ca-
valier Oreglia: “Raccolga molti da-
nari, poi ritorni, ché non sappiamo
più dove prenderne. È vero che la
Madonna fa sempre la sua parte, ma
in fine dell’anno tutti i provveditori
domandano denaro”. Splendido!
(continua)
Maggio 2018
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Ringraziano
La storia del nostro terzo bim-
bo Pietro è una storia di grande
grazia e benedizioni, oltre che di
gioia.
Dopo alcuni mesi dalla sua
nascita mi sono subito accorta
che non stava bene, di quelle
sensazioni che hanno le mamme
e sanno che sono vere per verità
teologica interiore più che per
prove fattuali. Non mangiava e
non dormiva, ma era il suo pianto
costante e irrequieto a dirmi che
non era in salute.
Così dopo l’estate di 3 anni fa e
la stanchezza di avere dormito
pochissimo lo abbiamo portato
dal pediatra spiegando bene le
sensazioni che io e Francesco
avevamo di un bimbo che non
stesse bene. Il nostro pediatra ha
così riscontrato un ingrossamento
enorme della milza e d’urgenza ci
ha mandato nell’ospedale di Chieri
per fare una TAC. Dall’ospedale
non siamo più usciti per una
settimana, o meglio ci hanno
spostato al Regina Margherita di
Torino, specializzato per bambini,
perché a Chieri avevano riscontrato
globuli bianchi impazziti, milza
enorme e cuore affaticato.
I mesi successivi da settembre
2014 quasi fino a Natale hanno
portato alla diagnosi definita da
parte dei reparti di Ematologia
Oncologica e Genetica del fatto
che Pietro avesse una leucemia
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
giovanile abbinata a una sindrome
genetica che gli causava uno
scarso accrescimento, milza
grossa e problemi cardiaci.
Quel Natale è stato duro per me
e Francesco e per tutti i nostri
parenti e amici, si prospettava
addirittura un trapianto di midollo,
per il quale abbiamo dovuto
firmare innumerevoli carte per la
ricerca di un donatore.
Quello che abbiamo fatto nei mesi
successivi del 2015 e 2016 è stato
accompagnare Pietro tutti i mesi
ai controlli ospedalieri e pregare
Mamma Margherita per la
sua guarigione. Perché Mamma
Margherita? Perché il nostro pri-
mo bimbo Lorenzo sosteneva che
siccome mancava il miracolo per
rendere santa Mamma Margherita
se Pietro fosse guarito del tutto
avremmo potuto iniziare la causa
di santificazione! Pietro è stato in
questi ultimi anni un bimbo bene-
detto, molto amato e per tale amo-
re e preghiere sono assolutamente
convinta che la sua leucemia sia
sparita senza dovere fare nulla.
La notizia ci è stata data dal Pri-
mario di Ematologia ad aprile di
questo anno ed è stato bellissimo,
perché in fondo lo sapevamo già
che ormai stava bene senza avere
fatto alcuna terapia. Gli rimane la
sua sindrome, che però ad ora non
comporta nessuna terapia.
Ringraziamo tutte le famiglie
ADMA e le altre persone che
hanno pregato per noi Mamma
Margherita.
Famiglia Francesco e Sonia Bassi
Un ringraziamento dal profon-
do del cuore a san Domenico
Savio e a sant’Anna, protettori
delle madri, delle partorienti e dei
bambini. Hanno vegliato su di me
e sulla mia bimba tanto amata, mi
hanno protetta e, insieme a tutte le
persone che mi sono state vicine
con la preghiera e ai miei quattro
nonni in Paradiso, mi hanno fatto
vivere una gravidanza meraviglio-
sa, un percorso non sempre sem-
plice ma unico; diventare mamma
è stata una gioia indescrivibile.
Un dono divino, una piccola vita
vivente nella mia vita. Sofia è un
miracolo, mi ha reso una persona
privilegiata, migliore e strumen-
to dell’amore del Signore. A loro
continuo ad affidarmi.
Eleonora – Torino
Dopo una gravidanza andata male
la mia mamma, che conosceva i
prodigi di san Domenico Savio,
mi ha suggerito di richiedere l’a-
bitino di san Domenico Savio.
L’ho portato con me per tutta la
gravidanza e ho pregato inces-
santemente per ricevere la grazia
di un bambino e il 14/7/2017
è arrivato il nostro miracolo di
nome Tommaso! Non finirò mai
di essere grata a Dio e a questo
santo per il dono immenso che
abbiamo ricevuto.
Maria Grazia Coco
Un dono straordinario per inter-
cessione di Domenico Savio e
Maria Ausiliatrice
Sentiamo il bisogno di ringrazia-
re pubblicamente san Domenico
Savio e Maria Ausiliatrice per la
protezione che hanno donato alla
mia famiglia.
Siamo una coppia giovane, spo-
sati da 14 anni, avevamo già un
bimbo di 8 anni quando in noi
si è fatta forte la voglia di avere
un’altra creatura tra le braccia.
Dopo poco arriva la notizia della
gravidanza.
Tutto procede bene fino a quel
25 maggio. Un doloretto quasi
insignificante che si protrae per
tre ore e una strana sensazione
dentro di me mi fanno prendere
la decisione di andare al pronto
soccorso. In modo straordinario
Maria Ausiliatrice e Domenico
Savio vennero in mio aiuto.
Davanti la porta del pronto soc-
corso subisco il distacco improv-
viso della placenta. I sanitari im-
mediatamente mi prestano aiuto.
In 15 minuti mi trovo in sala parto
e, recitando incessantemente Ave
Maria alla Madonna, con parto
cesareo dò alla luce la mia bam-
bina, Arianna. Nata alla 34esima
settimana viene portata immedia-
tamente in terapia intensiva dove
rimarrà per quasi due mesi.
A vegliare su di lei dentro l’in-
cubatrice l’abitino di Domenico
Savio donatomi da un’amica della
parrocchia. L’agire miracoloso
del Santo l’ho vissuto anch’io
in prima persona. Dopo il parto
resto in osservazione. Poche ore
dopo si verifica la temutissima
emorragia post partum. Vengo
sottoposta ad un primo interven-
to che non risolve la situazione.
Poi un secondo intervento di em-
bolizzazione dei vasi sanguigni.
Resto 5 giorni in rianimazione e
finalmente l’emorragia si ferma.
Passerò 15 lunghissimi giorni
in ospedale dove tutti mi conti-
nuavano a dire che ero viva per
miracolo. Sì, io e mia figlia siamo
vive ed è un miracolo, merito di
Maria Ausiliatrice e san Domeni-
co Savio che ci hanno protetto e
mai abbandonato nei due lunghi
mesi del nostro calvario.
Tiziana e Angelo da Catania-
Barriera
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Maggio 2018

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ALBERTO MARTELLI
SIGNOR GIORGIO BREVI
Morto a Torino, l’8 marzo 2018, a 53 anni
Nella lettera da Roma del 10 mag-
gio 1884, don Bosco scrive: «Il
Salesiano sia tutto a tutti, pronto
ad ascoltare sempre ogni dubbio,
o lamentanza dei giovani, tutto
occhio per sorvegliare paterna-
mente la loro condotta, tutto cuo-
re per cercare il bene spirituale e
temporale di coloro che la Prov-
videnza gli ha affidati».
È la prima frase che ci è venuta
in mente pensando a Giorgio e
provando in poche righe a pre-
sentare la sua persona.
La vita di Giorgio è tutta raccolta
dentro una tensione: restare e an-
dare. Restare in mezzo ai ragazzi,
da vero salesiano, con attenzione
e concretezza, formandosi, impa-
rando e studiando ciò che a loro
piace per poterli così animare,
accompagnare, guidare. E andare
dove i ragazzi ci sono, dentro le
loro fatiche e verso le loro vite,
anche a costo di attraversare i
continenti e partire verso l’Africa,
o tornare a casa e ugualmente
raggiungere chiunque avesse
bisogno.
Giorgio nasce il 22 marzo del
1964. Tra pochi giorni avrebbe
compiuto 54 anni. È il secondo-
genito di Giovanni e Franca, e la
sorella Paola gli regalerà dopo il
matrimonio 4 nipoti, Flora, Au-
rora, Gabriele e Davide. Giorgio
resterà sempre affezionato alla
sua famiglia, preoccupandosi dei
nipoti, seguendoli nella crescita e
frequentando spesso il paese e la
casa natia per dare una mano e ri-
caricare anche ogni tanto le pile.
San Benigno sarà la casa salesia-
na che lo vede crescere e muove-
re i primi passi nella vocazione.
Qui studia, e da qui parte per il
noviziato a Pinerolo, dove farà la
sua prima professione come sa-
lesiano coadiutore l’8 settembre
del 1983. Due anni di formazione
a Nave per proseguire gli studi,
due di tirocinio a Valdocco e poi
il ritorno proprio nella sua San
Benigno, nel CFP che, lì o altrove,
sarà la sua casa in tutti gli anni a
seguire.
È Giorgio stesso a scrivere in
una pagina di appunti personali:
«Una vita trascorsa nell’impegno
in campo tecnico (partendo da
giovanissimo), una vita giocata
per capire, per approfondire la
propria vocazione, specializzan-
dosi in tutto quello che piace ai
giovani, con l’ingresso deciso nel
CFP e alcune costanti: il convit-
to (croce e delizia), l’animazione
mattutina (voluta, preparata e
prediletta), il costante servizio ai
giovani con la musica, l’insegna-
mento, il laboratorio, il cortile, il
teatro, l’estate ragazzi; insomma
una gran pedalata per stare con i
giovani cercando di non pensare
a se stessi».
È la prima fase di quel restare e
andare: restare lì, dove la voca-
zione lo ha messo, in mezzo ai
ragazzi, ma sempre nella tensio-
ne dell’andare verso di loro, del
lasciare ciò che lo può portare
via dalla sua azione educativa e
pastorale.
Ma una nostalgia gli è rimasta nel
cuore e si affaccia nella sua vita.
Durante gli anni di formazione
Giorgio vede crescere il Proget-
to Africa. Molti sono coloro che
partono, compagni, formatori,
amici. Scrive: «Era un piace-
re sentire parlare della Nigeria,
del Kenia, ma anche della Cina
e della Bolivia. Sentire che le
cose crescevano, che don Bosco
conquistava i popoli attraverso
persone semplici e buone, ma
soprattutto colme di fede».
E così restare con i giovani vuol
dire provare ad andare. Dal 2001
al 2005 è ad Akure, in Nigeria, nel
CFP di laggiù, provando a dare
tutto di sé.
Nel 2005 torna a Valdocco. L’e-
sperienza nigeriana lo ha provato
nel corpo e nello spirito. Ancora
una volta per poter restare con
i ragazzi deve intraprendere un
altro viaggio, più complesso, e
fruttuoso. Giorgio decide di ri-
prendere in mano la propria vita,
ricucire e guarire le ferite che ha
subito e pian piano rimettersi in
gioco. Riprende anche a studia-
re, a formarsi, a confrontarsi. Si
inserisce di nuovo nel CFP, come
insegnante e animatore, metten-
dosi a fianco dei catechisti pre-
senti e dandosi disponibile sem-
pre per il bene dei ragazzi.
Le ferite che ha subito gli hanno
lasciato un’attenzione particolare
ai ragazzi più bisognosi di ac-
compagnamento e così li ascolta
e prova ad aiutarli uno per uno,
senza protagonismi e senza
mosse eclatanti. Resta discreto,
preciso, disponibile, preoccupato
per gli altri, consapevole dei suoi
limiti. Questa volta, per stare con
i ragazzi, il viaggio che deve e
vuole fare è interiore, verso l’au-
tenticità della propria personalità
e vocazione, verso l’autentica
risposta alla chiamata di don Bo-
sco, cercando di approfondire la
vita fraterna, di riscoprire i rap-
porti familiari, di guadagnare in
semplicità e profondità.
La malattia lo sorprende all’im-
provviso e quello che sembrava
un banale infiacchimento si rivela
il segno di qualcosa di ben più
grave.
Ancora andare e restare: restare
per lottare, finché può per guari-
re, per se stesso, ma soprattutto
continuando fino alla fine, pochi
giorni prima di morire di andare a
fare scuola, laboratorio, assisten-
za. E contemporaneamente, nel
silenzio e nella discrezione, senza
dire nulla quasi a nessuno, impa-
rare ad andare docilmente dove
i medici lo conducono e dove le
cure lo costringono ad essere.
Dopo sei mesi di lotta, Giorgio
muore l’8 marzo scorso.
È l’ultimo andare, verso il Paradiso,
per restare per sempre con don
Bosco e con noi.
Maggio 2018
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
LA FINZIONE DEL PRETE VENDITORE
Don Bosco da anni si interessava alla gioventù bisognosa di as-
sistenza, povera o maltrattata, e di ragazzi sbandati e con poche
speranze ve n’erano tantissimi a Torino, e in generale in Italia in quel
periodo. Il Santo ne aveva raccolti in gran numero e continuavano
ad affluire, tanto che c’era continuo bisogno di nuovi spazi per gli
alloggi, i laboratori e stanze da adibire a scuola e refettorio. Ma cosa
attraeva questi ragazzi, come faceva don Bosco ad avere tanto suc-
cesso nella sua opera? Il metodo di don Bosco era semplice e facile da attuare: entrava in una bottega,
parlava con il garzone, e poi chiedeva al padrone di mandargli quei XXX all’Oratorio di Valdocco, dove
lo aspettavano catechismo, giochi e divertimenti. Ma non era sempre così facile. Con i ragazzi più diffi-
cili, quella tecnica non era adatta per convincerli a recarsi in Oratorio. Abituati a vivere tutto il giorno per
strada, spesso senza una casa, senza una famiglia o un lavoro che li impegnasse, quei ragazzi erano
spinti a procurarsi il necessario per vivere in qualsiasi modo, anche illecito. In alcuni casi don Bosco
inscenava una piccola commedia per stuzzicare la loro curiosità. Passeggiando, incontrava non di rado
ragazzi che giocavano a carte puntando qualche moneta sulla vincita. Don Bosco si avvicinava al grup-
po e con una manovra velocissima portava via il fazzoletto su
cui erano le monete. Poi scappava verso l’Oratorio! I ragazzi
increduli lo inseguivano fino a Valdocco e lì don Bosco si
fingeva venditore di strada. “Chi vuole torroni? Chi fa un’of-
ferta?” diceva a gran voce in dialetto piemontese alzando
il fazzoletto e don Borel, che stava al gioco, lo rimbrottava
spingendolo fuori dalla cappella. A questo punto comincia-
vano le risate, e anche una cordiale chiacchierata sul vizio del
gioco, sulle bestemmie e su quante cose utili al corpo e allo
spirito si sarebbero potute fare, invece, in Oratorio.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Un esperto
di esplosivi - 11. Penetrante, pun-
gente come l’odore del fumo - 15.
Tribunale regionale - 16. Rivendita
di giornali - 18. Reverendo (abbr.)
- 19. Incognita algebrica - 20. Una
capigliatura luminosa come un cam-
po di grano - 22. Torino (sigla) - 23.
Uguali - 26. XXX - 29. Esempio in
breve - 30. Le iniziali del cantautore
Venditti - 31. Un secco rifiuto - 32.
Attrici come la Loren o la Bellucci -
33. XXX - 37. È famoso quello dei
Sospiri - 39. Un sauro senz’arti si-
mile all’orbettino - 41. Balzo - 42.
Attrezzate… per il volo - 43. Repub-
blica Sociale Italiana - 44. Centro
balneare vicino Venezia - 45. Grufo-
lano e mangiano nel trogolo.
VERTICALI. 1. San Luca scrisse
quelli degli Apostoli - 2. Ravenna
(sigla) - 3. Padri dei bisnonni - 4. La
santifica il cristiano - 5. Sono delle
vere stupidaggini - 6. Centoquaran-
tanove latini - 7. In mezzo al manico-
mio - 8. Beoni senza testa! - 9. Le
hanno grilli e farfalle - 10. I confini
dell’Eritrea - 12. Crollo finanziario -
13. Una parte dell’occhio - 14. La
prima donna - 17. Un’operazione del
giardiniere - 20. Dono senza pari -
21. Rovesciati - 24. Si estinguono
pagando - 25. Avide, piene di pre-
tese - 26. Bordo del fiume - 27.
Molte persone, popolo - 28. Oggetto
venerato come una divinità - 34. Il fi-
lamento del fungo - 35. Un po’ di ta-
lento! - 36. Fra i massimi pittori spa-
gnoli (y=i) - 38. Tosato a metà! - 40.
Il suo primo Centro di produzione è
sorto a via Teulada - 41. Si dice per
assentire - 42. Il Capone gangster.
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Maggio 2018

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Un giorno
Tutte le sere, la mamma esce
dall’ufficio alle diciotto e
passa a prendere la figlia
Emma, sette anni, alla scuo-
la elementare delle suore di
via Botticelli.
La bambina era sulla porta in attesa,
tutta composta con lo zainetto in
spalla.
Quella sera, appena salita in auto,
Emma esclamò: «Mamma, guarda!»
Distratta dal traffico della sera, la
mamma brontolò: «Non vedi quanto
traffico c’è? Se bollo la macchina, chi
lo sente papà? A casa, eh? A casa!»
Arrivati a casa, Emma ricominciò:
«Guarda, mamma!»
«Senti, devo lavare, stirare e prepara-
re la cena» sbottò la mamma. «Siediti
lì e guarda i cartoni».
Finita la cena, la bambina riprese:
«Mamma, guarda!»
«Adesso no. Facciamo un bel ba-
qualunque
gnetto e poi andiamo a nanna». Un
po’ di televisione, il bagnetto, varie
telefonate e arrivò l’ora di andare a
dormire.
«Forza Marta, è ora di andare a let-
to!». E lei si avviò di corsa su per le
scale. La mamma le diede un bacio,
recitò le preghiere con lei e le aggiu-
stò le coperte.
In quel momento, la bambina disse:
«Mamma, ho dimenticato di darti
una cosa!».
«Me la darai domattina» rispose la
mamma, ma Emma scosse la testa.
«Ma poi domattina non avrai tem-
po!» esclamò la bambina.
«Lo troverò, non preoccuparti» disse
la mamma, un po’ sulla difensiva.
«Buona notte!» aggiunse e chiuse la
porta con decisione.
Però non riusciva a togliersi dalla
mente gli occhioni delusi di Emma.
Tornò quatta quatta nella stanza
della bambina, cercando di non
fare rumore. Riuscì a vedere che la
bambina stringeva in una mano dei
pezzetti di carta.
Si avvicinò e piano piano aprì la
manina di Marta. La bambina aveva
stracciato in mille pezzi un grande
cuore rosso con una poesia scritta
da lei per un compito in classe, che
si intitolava “Perché voglio bene alla
mia mamma”. Facendo molta atten-
zione recuperò tutti i pezzetti e cercò
di ricostruire il foglio.
Una volta ricostruito il puzzle riuscì
a leggere quello che aveva scritto
Emma:
«Perché voglio bene alla mia mamma.
Anche se lavori tanto e hai mille cose
da fare
trovi sempre un po’ di tempo per
giocare con me.
Ti voglio bene mamma perché
sono la parte più importante del
giorno per te».
Quelle parole le volarono dritto al
cuore. Capì una cosa che la rattristò.
«Non è vero!» e adesso lo sapevano
lei e la sua bambina.
Dieci minuti più tardi tornò nella
camera della bambina portando un
vassoio con due tazze di cioccolata e
due fette di torta. Accarezzò tenera-
mente il volto paffuto di Emma.
«Cos’è successo?» chiese la bambina,
confusa da quella visita notturna.
«È per te, perché tu sei la parte più
importante della mia giornata!».
La bambina sorrise, bevve metà della
cioccolata e si riaddormentò.
Chi è la parte più importante
della tua giornata?
Maggio 2018
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
In questo numero
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO
DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO
I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Venezuela
12 LE CASE DI DON BOSCO
Rimini
16 I NOSTRI LIBRI
17 CRONACA
18 INVISIBILI
Emma Morosini
20 IN PRIMA LINEA
Abba Filippo Perin
24 FMA
26 A TU PER TU
Hernán Cordero
29 CINQUE PER MILLE
30 I PROTAGONISTI
L'architetto
del sogno
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA
DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.