Bollettino_Salesiano_201801

Bollettino_Salesiano_201801



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IL
GENNAIO
2018
Salesiani nel mondo
Myanmar
A tu per tu
Don Simo
Le case
di don Bosco
Valdocco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La cassaforte
di Valdocco
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Il 26 maggio 1860, don Bosco subì una delle tante per-
quisizioni da parte della polizia, che lo teneva costante-
mente d’occhio (Memorie Biografiche VI, 554 e ss.).
Ero una robusta cassetta di legno. Mi
avevano passato una mano di vernice
e fissato al coperchio una serratura di
poche pretese. Stavo in un angolo vicino
al tavolo nella stanza di don Bosco. Non
mi chiudeva neanche a chiave. Metteva
nel mio interno tanti foglietti scritti a mano.
Li posava e sospirava.
Un giorno di maggio, un gran trambusto mi
svegliò alle due del pomeriggio. Cinque poliziotti
bloccarono don Bosco davanti alla porta della
sua stanza mentre altri diciotto si spargevano per
l’Oratorio per bloccare tutte le uscite. Don Bosco
stava dicendo a una povera vedova in lacrime che
accoglieva suo figlio: «Figlio mio, starai qui con
me, mangiando il pane di don Bosco».
In un baleno si sparse la voce che volevano ar-
restare don Bosco. Tutto l’oratorio piombò nella
costernazione. I giovani non volevano più rima-
nere nelle scuole e nei laboratori; e con le lacrime
agli occhi domandavano di uscire per difendere
don Bosco o andare in prigione con lui.
Tre guardie seguirono don Bosco nella camera e
lo perquisirono. Gli svuotarono le tasche, rove-
sciarono il portamonete, tutti i cassetti, esami-
narono gli orli dei vestiti, passarono minuziosa-
mente tutto il contenuto del cestino dei rifiuti.
Fecero a pezzi perfino il fiocco della berretta.
Poi, uno vide me. «Che cosa c’è qui dentro?»
«Cose confidenziali, cose segrete. Non voglio che
si sappiano» rispose maliziosamente don Bosco.
Io morivo di paura. Scardinarono la mia serratu-
ra, anche se non ce n’era bisogno, e afferrarono
avidamente i foglietti che custodivo. Uno comin-
ciò a leggere ad alta voce il contenuto dei fogli:
«Pane consegnato a don Bosco dal panettiere
Magra: debito, lire 7800. Cuoio consegnato al
laboratorio dei calzolai di don Bosco: debito, lire
2150». Aprirono un terzo foglio, un quarto e via,
e furono presi tutti dalla vergogna, accorgendosi
che quelle carte erano fatture di olio, di riso, di
pasta, e simili. Tutte ancora da pagare!
«Non volevo farvi sapere i tanti debiti che ho,
adesso che li sapete se me ne pagaste qualcu-
no, fareste un’opera di carità». In quell’istante
entrò il postino con un grosso fascio di lettere
del giorno. Fu subito afferrato dalle guardie che
incominciarono ad aprire le lettere. Caso volle
che la prima fosse niente meno che del Ministro
degli Interni che raccomandava un ragazzo a
don Bosco. Pieni di confusione, cominciarono
a scusarsi. Don Bosco, sorridendo, offrì loro un
brindisi con l’ottimo vino delle sue parti.
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Gennaio 2018

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
«Don Bosco ci ha insegnato
che Dio ci vuole sempre felici»
Sono più che mai convinto che don Bosco è
sempre vivo oggi, in tante realtà in cui migliaia
e migliaia di persone continuano caparbiamente
a realizzare, nel nome di Gesù, il suo sogno.
Don Bosco è vivo perché continua ad ispirarli
e a donare il coraggio di non desistere mai.
Carissimi amici e fratelli, vi scrivo il mes-
saggio per il mese di don Bosco avendo
negli occhi e nel cuore le straordinarie
e meravigliose esperienze di quest’ulti-
mo mese e mezzo. Vorrei comunicarvi
l’emozione e l’intensità dei quattordici
giorni vissuti in Brasile-San Paolo e Recife, la ric-
chezza e le magnifiche realtà degli undici giorni
in India, a Bangalore, Guwahati, Assam e Mum-
bai. Anche questi ultimi dieci giorni vissuti in
Angola e in Mozambico sono stati molto speciali.
Vi scrivo sull’aereo che mi porta a Doha, Qatar,
per un altro viaggio, ma ho l’anima gonfia di ri-
cordi. Oggi, ci siamo salutati e abbiamo celebrato
l’Eucaristia domenicale in un posto semplice e
umile. C’erano duecento adulti e bambini, molti
a piedi nudi, che non indossavano vestiti da fe-
sta perché non li possiedono. Al momento del
ringraziamento, uno di loro, una bambina, lesse
questo che vi trascrivo. Mi è sembrato stupendo
e non ho voluto conservarlo solo per me. È così
pieno di vita che mi ha fatto pensare a una verità
evidente per grazia di Dio: don Bosco è vivo
e opera ovunque nel mondo.
Quella ragazzina di dodici anni lesse questo: «In
questo momento dell’Eucaristia diciamo grazie al
Signore e a te, padre Ángel. La tua presenza ci
aiuta a celebrare la vita e l’amicizia. Il cuore si è
fatto più grande celebrando con te, che porti nel
cuore tanti bambini e ragazzi del mondo. Caro
padre Ángel, Padre e Amico, grazie per aver ce-
lebrato con noi. Dio ti benedica ovunque tu an-
drai. Pregheremo per te e sappiamo che tu preghi
sempre per noi.
Vorremmo accompagnarti nei tuoi viaggi e aiu-
tarti nel tuo lavoro, però come sai abbiamo ancora
molto da studiare, aiutare in casa e prepararci per
fare del bene alla nostra gente.
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Un giorno, quando tornerai, avremo più tempo per
raccontare tutte le cose buone che avremo scoperto
e tutto il bene che avremo fatto. Don Bosco ci
ha insegnato che Dio ci vuole sempre fe-
lici, facendo bene tutto quello che dobbiamo fare.
Porta a tutti i bambini del mondo il nostro ab-
braccio.
Ovunque tu sia, sentirai nel tuo cuore che la nostra
amicizia prega per te, e il ricordo della nostra gioia
ti porti pace e sollievo quando ti sentirai stanco.
Portaci nel cuore, che noi, nel cuore, siamo già
con te. Canta con noi questa canzone, padre Án-
gel, perché questo è ciò che Dio vuole: “Sono felice
perché il mio Gesù lo vuole”».
Questo il messaggio di quella bambina, accom-
pagnata da alcuni giovani animatori.
Più delle parole guardavo i loro occhi e mi spec-
chiavo in essi, e sentivo tutta la gioia e l’orgoglio
di appartenere a questa famiglia salesiana, disse-
minata in tutto il mondo e nata davvero per loro, i
più piccoli, i più poveri, i più semplici. È con loro
che ci sentiamo bene, è con loro che dovremmo
sempre sentirci bene.
Ho un futuro. Niente è perso.
Sono qui e ho un futuro,
ho un futuro
Sono più che mai convinto che don Bosco è sem-
pre vivo oggi, in tante realtà in cui migliaia e
migliaia di persone continuano caparbiamente a
realizzare, nel nome di Gesù, il suo sogno. Don
Bosco è vivo perché continua ad ispirarli e a do-
nare il coraggio di non desistere mai.
Una settimana prima, in Luanda, Angola, durante
la visita alla nostra casa che accoglie i ragazzi rac-
colti dalla strada (quel giorno erano 42. L’ultimo
arrivato, il “beniamino” di 6 anni, era lì da una set-
timana, il “veterano” da cinque), uno dei ragazzi,
bravissimo nel rap, aveva composto una canzone
per l’occasione. Il tema centrale era: «Ho un futu-
ro. Niente è perso. Sono qui e ho un futuro, ho un
futuro». Viveva in strada da due anni, quando la
Provvidenza volle che lo trovassero i Salesiani. E
guardando quei bambini, con il cuore pieno di
emozione, mi sono detto: «Don Bosco è vivo. Don
Bosco è vivo in questa casa, in ciascuno dei miei
fratelli ed educatori laici salesiani che oggi gli dan-
no parola, sguardo e braccia per accogliere questi
ragazzi da padri, fratelli e amici».
La bambina di Matola che mi aveva chiesto di
prenderli nel cuore aveva ragione. Non posso non
prenderli nel cuore dopo averli conosciuti.
È quello che come me, tanti di voi amici e ami-
che, fanno tante persone buone che credono che
insieme possiamo fare del gran bene, in un mondo
come il nostro ammalato di indifferenza e sfiducia
in tutto e in tutti. Posso assicurarvi che questa è la
vita vera. Come diceva spesso santa Madre Tere-
sa, per ogni povero, per ogni ragazzino, per ogni
bambina, ogni adolescente e giovane che incon-
triamo, questo incontro non solo non è indifferen-
te, ma può cambiare per sempre la loro vita.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Affetti
Cos’è più importante per i giovani di oggi:
l’affetto di una persona cara o un oggetto materiale?
o Effetti Personali?
Giuseppe, 19 anni:
credo di non poter fare a meno
di nessuna persona che ho
incontrato nella mia vita.
Non possiamo negare l’importanza
che gli effetti personali hanno nella
nostra vita. Ma dobbiamo semplice-
mente riconsegnare la giusta dimen-
sione agli oggetti, evitando il culto del-
le cose materiali, e non mettendo mai
in dubbio il primato indiscutibile della
persona. Se ci pensiamo bene, in real-
tà, questo accade automaticamente in
ognuno di noi, anche in modo incon-
sapevole. Dietro le più ossessive manie
per gli effetti si celano bisogni di affet-
to. Quando cerchiamo disperatamente
il capo d’abbigliamento firmato o quel
particolare tipo di borsa è perché spe-
riamo che questi strumenti ci portino
a essere considerati e dunque a ricevere
stima, affetto, consenso da altri esse-
ri umani. Sotto questo punto di vista
l’esempio più lampante è il cellulare.
Nei social network, nei blog, nelle
piattaforme virtuali noi siamo alla co-
stante ricerca di approvazione e dunque
di affetto. Ogni “like” che riceviamo
sulla nostra bacheca ci appare come un
briciolo di affetto che riceviamo nella
vita reale. Il mondo virtuale è dunque
una proiezione del mondo reale. Que-
sto non significa che è sbagliato avere
un cellulare o usare un social network,
ma significa semplicemente acquisire
la consapevolezza che la chat può es-
sere sì davvero uno strumento di sup-
porto all’affetto reale fra due persone,
ma può essere anche una grandissima
illusione, una proiezione distorta, non
corrispondente alla realtà. Non è vero
dunque che oggi diamo più importan-
za alle cose materiali, ma è vero che
a volte negli oggetti materiali cerchia-
mo soluzioni alle nostre problematiche
umane e di affetto. Personalmente
alcuni effetti a cui tengo molto sono
alcune penne e la mia fascia. Per quan-
to riguarda gli affetti poi sono molto
importanti ovviamente mia madre, i
miei fratelli e sorella, la mia ragazza,
alcune amicizie in particolare, i miei
animatori e i ragazzi del mio vecchio
gruppo. Tuttavia, credo di non poter
fare a meno di nessuna persona che
ho incontrato nella mia vita. Anche
quelle che mi hanno inflitto i dolori
più forti perché nessun rapporto con-
cerne solo lati negativi, ma anche nel
rapporto più conflittuale è possibile
trovare aspetti positivi. Dopotutto noi
non siamo altro che la somma di tutti
i nostri incontri con gli altri.
Eleonora, 21 anni:
l’amore, il calore e le emozioni
non saranno mai sostituiti
da un oggetto materiale.
Sono del parere che purtroppo gli
effetti personali diventano sempre
più importanti al giorno d’oggi. Già
i bambini sono molto più tecnologi-
ci nei confronti di quelli di una volta.
Raramente ormai ne vedo alcuni gio-
care fuori con i loro amichetti, molto
di più invece li sento chiedere alle loro
madri se possono giocare con il cel-
lulare o guardare un film sul tablet.
Anche sui mezzi pubblici (bus, tram,
treno, o metro) ormai tutte le perso-
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ne sono concentrate a guardare uno
schermo e non più a parlare con la
persona seduta di fronte. Ma la cosa
più brutta secondo me, è quando gli
oggetti prendono il posto di una con-
versazione a tavola con la famiglia.
Per tantissime persone oggigiorno la
preoccupazione immediata è quella di
fare vedere agli altri che possiedono
effetti personali. Tutti vogliono aver-
ne di più e averne di più grandi. Non
nego che anche per me alcuni oggetti
sono importanti. Mi accorgo di essere
sempre più dipendente dal cellulare:
già di prima mattina mi suona la sve-
glia che imposto la sera prima; subito
dopo un’occhiata a chi mi ha scritto,
al calendario per vedere gli impegni
della giornata, e a chi compie gli anni.
Sono convinta che se non avessi tutto
scritto mi dimenticherei tante cose o
che se mai dovessi perdere il cellulare
non saprei quale sarebbe il mio pros-
simo appuntamento. Tuttavia, anche
di alcuni affetti personali non posso
fare a meno, prima fra tutti la mia
famiglia, i miei genitori, che sono le
persone più importanti della mia vita
che mi sostengono sempre, i nonni,
gli zii, il mio ragazzo e anche qualche
amicizia. A questi rapporti ci tengo
tanto e provo a curarli il meglio possi-
bile. Sono convinta che sia molto più
facile vivere senza gli effetti persona-
li. Gli affetti personali sono legami
molto più profondi e importanti per
l’essere umano. L’amore, il calore e le
emozioni non saranno mai sostituiti
da un oggetto materiale.
Tony, 26 anni:
gli affetti sono dei
“passeggeri distratti”.
L’impressione è quella che, oggigior-
no, per la società siano più importan-
ti gli effetti personali. Tutti devono
stare al passo, quindi tutti devono
avere il cellulare di ultima genera-
zione, la consolle migliore, le scar-
pe più di tendenza, l’auto per il 18°
compleanno, pur avendo il motorino
da un paio di anni; l’uscita settimana-
le, se non bisettimanale, obbligatoria
in disco; gli occhiali alla moda e così
via. Gli affetti invece sono, citando
il titolo di una canzone di Raf, dei
“passeggeri distratti”, dei compagni
di viaggio simpatici ma di cui puoi
liberarti. D’altronde le stesse dina-
miche sociali e di vita odierne spin-
gono molti ad essere circondati da
gran quantità di amici sui social per
poi poter contare davvero su pochi o
addirittura nessuno. Per questo riba-
disco che alcune dinamiche di vita e
sociali di questi anni, spingono quasi
con forza, a poter privarsi degli affetti
personali e rendere indispensabili, per
diverse motivazioni, gli effetti. Il tutto
è soggettivo. Basti pensare a noi Ter-
roni (vengo dal Sud) e a quanto faccia-
mo fatica a non passare le festività in
famiglia per goderci la loro presenza,
le tradizioni e il clima che si respira.
Così come non perdiamo mai occasio-
ne per festeggiare qualcosa che accade
a noi o a qualcuno a noi vicino. Per
quanto mi riguarda, parlando di effet-
ti personali non riesco a fare a meno
del cellulare se mi allontano parecchio
da casa, perché diventa quasi fonda-
mentale per comunicare velocemente.
Un altro oggetto da cui non mi sepa-
ro, specie se mi trovo fuori città anche
solo per mezza giornata, è la sciarpa
della mia squadra; più che altro pro-
prio per il legame forte che sento e
nutro per la mia città natale. Parlando
poi di affetti personali invece, oltre ad
essere molto legato alla mia famiglia
e al mio cane, sento un forte legame
con la mia terra di origine. Infine, per
me sono molto importanti le persone
che incontro ogni giorno, quelle che
mi lasciano qualcosa e alle quali provo
anche io a lasciare qualcosa.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org
Myanmar Un paese a maggioranza buddista
dalle grandi possibilità economiche
ma travagliato da divisioni,
che ama e apprezza i salesiani.
frontiera salesiana
I salesiani del
Myanmar non
possono fare
scuola, ma
tengono i ragazzi
in casa undici
mesi all’anno.
A nisakan è l’opera più antica dei sale-
siani in Myanmar. Il collegio è sta-
to frequentato anche dall’attuale
cardinale di Yangoon, Charles Bo,
salesiano, primate del Myanmar.
I salesiani hanno in questa cittadina,
che si trova a circa 1000 me-
tri di quota, un collegio nel
quale accolgono 130 ragaz-
zi, cattolici, che frequentano le
scuole cittadine dal sesto al
decimo grado (dagli 11 ai 16
anni). L’attuale governo del
paese, controllato dai mili-
tari, non permette ai salesiani
di aprire scuole. Quindi
ci dobbiamo “accon-
tentare” di offrire ai
ragazzi l’esperien-
za complementare
alla didattica, che è
quella del convitto.
Si tratta dell’attività
che anche noi in
Italia facevamo
fino all’avvento
del boom econo-
mico degli anni
’60: i ragazzi sono
accolti in casa salesiana per ben 11 mesi all’anno,
senza mai poter ritornare a casa durante l’anno
scolastico, perché le distanze e l’assenza di mezzi
di trasporto non favoriscono gli spostamenti.
Immaginate la fantasia che devono avere i sale-
siani per tenere occupati i ragazzi di questa
età, aiutandoli anzitutto nello studio e poi
coinvolgendoli in mille attività di grup-
po per passare il tempo in maniera sana ed
educativa. Sport, teatro, musica, preghiera
sono gli ingredienti che, da don Bosco
in poi, sono l’anima del sistema preven-
tivo salesiano.
Il direttore della casa salesiana, don
Zeya Aung Bosco, ci ha detto molto sin-
ceramente che fino a qualche tempo fa per
poter essere ammessi al collegio bi-
sognava manifestare il desiderio di
diventare salesiani. I genitori per
primi, all’atto di iscrivere il figlio,
dichiaravano che questi aveva
manifestato l’intenzione di
farsi salesiano, premessa
necessaria per poter essere
accolti! Ora non è più così.
Quando i genitori pre-
mettono quella frase di
rito, consigliati di
farlo, si sento-
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giare. Centotrenta bocche da sfamare tutti i gior-
ni, e di ragazzi che stanno crescendo, sono una
bella sfida per l’economo della casa. Ecco allora
che a fianco del collegio c’è una grande fattoria
con maiali, galline, oche... e l’orto.
Attualmente ci
sono in Myanmar
85 confratelli
salesiani, tutti
birmani.
no rispondere dal direttore che non è bene dire
le bugie. Dopo un attimo di smarrimento, si apre
un sorriso nei genitori e nel ragazzo da accogliere,
perché il direttore chiede direttamente al ragazzo
se desidera impegnarsi nello studio e diventare
felice nella vita futura, accogliendo la vocazione
che il Signore ha in serbo per lui, sia essa quella
di farsi salesiano o di formare una bella famiglia.
Di fatto, comunque, da Anisakan continuano a
venire le vocazioni salesiane del Myanmar. Per-
ché la vita in comune e fianco a fianco con una
bella comunità di salesiani giovani che vivo-
no con i ragazzi tutto il tempo della giornata e
dell’anno, pone in maniera forte la domanda vo-
cazionale ai ragazzi più grandi, che prima di con-
cludere gli studi, bussando alla porta del direttore
gli dicono apertamente che hanno il desiderio di
iniziare il cammino alla vita religiosa salesiana.
Questi 130 ragazzi vengono da tutto il paese e
sono in gran parte di famiglie povere. Per un
anno intero di mantenimento in collegio i sale-
siani chiedono ai genitori un contributo spese di
300 euro all’anno. Ma la metà di questi non riesce
nemmeno a pagare questo piccolo contributo e
sono accolti gratuitamente dai figli di don Bosco.
Bisogna quindi industriarsi per dar loro da man-
I tagliatori di teste
La gente del Myanmar è gentile e sorridente,
prodiga di inchini e di attenzioni verso gli ospiti.
Parlano lentamente, senza mai alzare la voce, e
ti guardano con grandi occhi neri, leggermente
allungati all’orientale, con un atteggiamento di
curiosità misto a timidezza che caratteriz-
za soprattutto lo sguardo delle donne e
dei bambini.
I salesiani sono presenti nel Myanmar
quando era ancora una colonia britan-
nica, coordinati nei primi periodi dall’I-
spettoria salesiana di Calcutta, in
India. Crescendo di numero, e
dopo l’espulsione dei missio-
nari stranieri ordinata dal
governo militare negli
anni ’70, sono diventati
negli ultimi vent’anni
un’ispettoria auto-
noma che attual-
mente conta 85
confratelli salesia-
ni, di cui più di un
terzo (32) sono in for-
mazione iniziale.
Operano in 11 case salesiane sparse in tutto
il paese, da nord a sud, con attività educative
che però non prevedono la scuola, prerogativa
dello stato.
A Yangon, la capitale, che oggi è una metropo-
li di circa sette milioni di abitanti, abbiamo in-
contrato il superiore religioso, l’Ispettore come lo
chiamiamo noi salesiani, padre Charles Saw di
55 anni e 35 di vita salesiana. Nel dialogo con
lui abbiamo colto alcune priorità e obiettivi spe-
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SALESIANI NEL MONDO
Nel Paese,
la domanda
di formazione
professionale
è molto alta.
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cifici che i figli di don Bosco si stanno dando per
il prossimo futuro, in risposta ad alcuni bisogni
di quella terra, ed in particolare dei ragazzi più
poveri.
Padre Charles ci ha parlato di un fronte missio-
nario “ad gentes” vero e proprio a Pang Wai, nella
zona a nord est del Myanmar, al confine con la
Cina. È una zona definita dal governo “abitata
da ribelli”. Sono tribù isolate, di religione animi-
sta, tagliatori di teste! Non è un modo di dire, è
ancora oggi il modo in cui si regolano i conti da
quelle parti.
Il vescovo locale di quel vasto territorio montuo-
so, ricco di miniere di pietre preziose, in partico-
lare di rubini, ha chiesto in passato ai salesiani se
hanno coraggio e forza per portare il Vangelo an-
che a quelle popolazioni. I giovani sono presenti,
anzi, sono molti. Come dire di no? I contatti dei
salesiani con le tribù locali sono già stati fatti da
alcuni anni. Anzi, proprio lo stesso padre Charles
quando era giovane prete è entrato in relazione
con questa gente e, ci hanno raccontato i salesia-
ni, ha salvato la vita ad un bambino appena nato.
La mamma era morta di parto nel dare alla luce
il bambino e, per la superstizione di quelle tribù,
se la madre muore di parto la causa è da addebi-
tare al bambino che è nato. Quel bambino por-
terà sfortuna alla famiglia e dunque deve essere
ucciso subito e sepolto assieme alla madre. Padre
Charles che assisteva la moribonda, sentito quale
sarebbe stata la fine del bambino appena morta la
madre, ha implorato i capi del villaggio di conse-
gnare a lui il neonato promettendo che l’avrebbe
portato il più lontano possibile dal villaggio e che
non l’avrebbero visto mai più. Così è stato, infatti.
Il bambino venne portato in un orfanotrofio di
suore al sud del paese, nella zona di Yangon, ed
ora è un adolescente che si prepara a diventare un
uomo adulto.
Dopo anni di contatti con queste tribù, ci pare
che ora possiamo iniziare un’attività sistematica
ed organizzata in una decina di queste, che accol-
gono più benevolmente la nostra presenza.
Doposcuola e dispensari
Il secondo obiettivo che ci ha presentato l’Ispet-
tore, padre Charles, è invece localizzato nel Cen-
tro di Addestramento Professionale salesiano di
Myitkyina, nel nord del paese. Qui abbiamo at-
tivato da anni diversi corsi annuali di formazione
professionale in vari settori: saldatura, elettricità,
motoristica, carpenteria, informatica, cucina. Il
centro però ha bisogno di essere ampliato e con-
solidato perché la domanda di formazione è molto
alta e i ragazzi vengono anche da molto lontano.
L’ultimo aiuto che padre Charles ci ha proposto
e sul quale si vogliono impegnare come salesiani
è a Yangon, nella zona ovest della città dove sono
concentrate le fabbriche che negli ultimi anni
stanno crescendo come funghi ed attirano mol-
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2.1 Page 11

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MANDALAY
ta manodopera in cerca di un posto di lavoro per
sfamare la famiglia. Come capita sempre in questi
nuovi quartieri che si sviluppano attorno alle zone
industriali, la delinquenza trova facile terreno per
radicarsi, le famiglie sono fragili, la violenza e il
regolamento di conti sono all’ordine del giorno. In
questo quartiere il cardinale Charles Bo ha chie-
sto a noi salesiani e alle suore Figlie di Maria Au-
siliatrice di aprire un’opera educativa e ci ha anche
affidato la nuova parrocchia. Abbiamo costruito
la chiesa in mezzo ai capannoni delle fabbriche,
ma le autorità governative sono arrivate e hanno
sequestrato l’edificio perché avevamo cominciato
ad usarlo senza il permesso del governo (mancava
l’autorizzazione all’esercizio del culto). Ci è stato
riferito che le tensioni presenti nel governo del
paese con i musulmani, anch’essi minoranza come
noi cattolici, ma irrequieti e pronti a
scontri quasi quotidiani, han-
no indotto le autorità ad un
controllo molto stretto sul-
la presenza e l’attività di
predicazione che viene
svolta nelle moschee. La
medesima norma l’hanno
applicata per noi catto-
lici, chiudendoci la
chiesa perché privi
dei documenti per
Nel nostro viaggio in Myanmar abbiamo fatto visita all’opera salesiana di
Mandalay. Si trova nella città che fu capitale del regno del Myanmar nel XIX
secolo, capitale che poi gli inglesi, nel periodo coloniale, spostarono a Ran-
gun, ora chiamata Yangon, a sud del paese, vicino al mare.
In questa grande città, la terza del paese, con un milione di abitanti, i salesiani
avevano un grande collegio maschile ed una bella chiesa pubblica in stile neo
gotico fondata nel 1957 ma che poi fu requisita dal governo quando espulse
tutti i missionari stranieri. Dal 2005 siamo tornati a Mandalay ad occuparci
dei più poveri e bisognosi: carcerati, malati di HIV, handicappati, ragazzi di
strada, moribondi... Il cuore della nostra attività è la comunità alloggio dove
sono accolti 25 ragazzi di strada e tutte le altre attività sono un complemento
di questo servizio.
I salesiani della comunità locale, aiutati da educatori laici, coordinano i servizi
della diocesi per la visita alle carceri del mandamento (4 maschili ed una fem-
minile), l’ospedale dove sono ricoverati i malati terminali di AIDS e di cancro,
gli orfanatrofi per ragazzi con handicap (c’è un grande istituto di ciechi). Van-
no poi di sera ad incontrare i ragazzi che vivono in strada, e che trovano riparo
sotto i ponti, lungo l’argine del fiume, attorno alla stazione ferroviaria. Come
in tante altre esperienze simili, il primo approccio è fatto per creare amicizia
e confidenza. Poi arriva l’aiuto materiale con un po’ di cibo, un vestito, una
medicina in caso di malattia. Così si crea la fiducia che è il presupposto per
invitare il ragazzo ad entrare nella casa famiglia.
l’esercizio del culto. La strategia che il Superio-
re salesiano ha pensato per farci ben accogliere
da questo quartiere, mentre si portano avanti le
pratiche per ottenere l’autorizzazione a riaprire la
chiesa, è quella di realizzare due attività molto ap-
prezzate dalla povera gente. Intendiamo aprire un
doposcuola pomeridiano e un dispensario medico.
Ci prendiamo cura della loro salute e della forma-
zione dei loro figli. In questo modo la gente capirà
che non siamo dei predicatori fanatici sobillatori
del popolo, ma siamo in quella terra a servizio dei
poveri e dei più deboli.
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LE CASE DI DON BOSCO
LIVIA ODDONE
La numero uno
è più viva che mai
Viaggio nella scuola di Valdocco,
la prima scuola fondata da don Bosco.
Abbiamo incontrato don Alberto Martelli direttore dell’Opera.
Siete la prima opera della
Congregazione salesiana nel mondo.
Sentite la responsabilità?
Due anni fa, iniziando con gli insegnanti l’anno
scolastico, abbiamo dedicato una giornata alla for-
mazione sulla pedagogia salesiana. Durante l’in-
contro abbiamo letto alcune pagine della lettera da
Roma di don Bosco e della vita di Valdocco a quei
tempi e in quel momento un po’ tutti abbiamo rea-
lizzato un pensiero importante: quello che stavamo
leggendo era la cronaca di casa nostra, avveniva nei
nostri cortili ed era la nostra stessa comunità, solo
qualche anno prima. Questa cosa ci colpì molto.
Avevamo compreso che l’opera pastorale che sta-
vamo portando avanti non era solo imitazione di
altri, ma era la nostra stessa vita, eravamo all’im-
provviso consapevoli di essere coinvolti in prima
persona in una storia importante, che ha le sue
origini qui a Valdocco, ma che ora è conosciuta,
studiata, vissuta nel mondo intero.
Lo diciamo spesso anche ai nostri allievi: “Dome-
nico Savio era un vostro compagno di scuola, come
voi” e tutte le volte che entriamo nella chiesa di
San Francesco di Sales, subito viene in mente che
lì hanno pregato tutti coloro che ci hanno precedu-
to e che hanno fondato la nostra casa.
È un pensiero che ci riempie di onore, di gioia e
di responsabilità. Innanzitutto per noi stessi e poi
per tutti coloro che ci contattano: poter essere per
loro quello che era don Bosco per i suoi contem-
poranei, perché siamo nella sua casa, siamo i suoi
successori.
Lo diciamo spesso ai nostri allievi: “Domenico Savio era un vostro compagno
di scuola, come voi” e tutte le volte che entriamo nella chiesa di San Francesco
di Sales, subito viene in mente che lì hanno pregato tutti coloro
che ci hanno preceduto e che hanno fondato la Congregazione Salesiana.
12
Gennaio 2018

2.3 Page 13

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È un pensiero affascinante e spesso sostiene il no-
stro cammino.
Quella di Valdocco è un’opera molto
articolata. Come si presenta oggi?
Chi entra in Valdocco come pellegrino e visita-
tore, solitamente si ferma in quello che noi chia-
miamo il primo cortile, ossia la zona storica, con
casa Pinardi e la Basilica, ma spesso non perce-
pisce che oltre a quello ci sono altri 4 cortili che
ogni giorno ospitano oltre mille ragazzi.
Le attività pastorali di Valdocco sono tutte riuni-
te in un’unica comunità religiosa, che comprende
cinque settori di lavoro.
Per prima cosa, e non solo cronologicamente, ma
anche affettivamente, c’è ovviamente l’oratorio. È
lo stesso di don Bosco che continua, con le sue at-
tività sportive e formative a vari livelli, il teatro, un
gruppo di cooperatori e l’associazione delle fami-
glie. Un po’ per scherzo e un po’ sul serio qualcu-
no dice che se il Rettor Maggiore è successore
di don Bosco, il nostro incaricato d’oratorio
è almeno successore del teologo Borel. Fio-
re all’occhiello è l’estate ragazzi, che non si
interrompe per tutta l’estate, neanche a fer-
ragosto e ospita circa 1000 ragazzi.
Quindi, sempre in ordine cronologico, la scuola
professionale: 300 allievi distribuiti in 4 tipi di
corsi: grafici (che vantano di poter lavorare anco-
ra sulle stesse macchine comprate da don Bosco e
qui ospitate nel museo), elettromeccanici, panet-
tieri e cuochi.
A far coppia con questo settore, come anticamen-
te facevano artigiani e studenti, la scuola media
paritaria, che sta pian piano aumentando i propri
iscritti aprendo in questi anni per la prima volta
la quarta sezione.
L’ultimo nato è il Collegio universitario, che ospi-
ta circa 50 giovani da tutta Italia, venuti a Torino
per studiare, migranti come un tempo lo erano
i ragazzi di don Bosco, ma con le esigenze e le
storie di oggi, provando a creare per loro non un
albergo, ma una vera casa.
Infine, molti non sanno che la Basilica è anche
parrocchia, e l’attività pastorale sul territorio si
intreccia all’attività per i mol-
ti pellegrini che vengono da
fuori, con la formazione
di oltre 80 coppie di spo-
si ogni anno, centinaia di
ragazzi a catechismo e il
grosso lavoro per i po-
veri della zona.
«Sogniamo
una Valdocco
sempre più piena
di ragazzi.
Come sognava
don Bosco».
Gennaio 2018
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
«La bellezza di
questa casa è che
il poco di ognuno
può diventare la
ricchezza di tutti».
Quali sono i punti di eccellenza
della vostra opera?
Quando ci incontriamo tutti insieme tra i respon-
sabili dei vari settori della casa, ci diciamo spes-
so che qui a Valdocco si può entrare appena nati,
portati dai genitori magari al battesimo, e non
uscirne più. Questo fa della casa di don Bosco un
luogo per tutti, a tutte le età, dove il protagoni-
smo dei giovani trova la sua espressione e applica-
zione verso ogni persona che entra qui.
La casa di don Bosco e Mamma Margherita è an-
cora casa di tutti. E la sua bellezza è proprio la sua
complessità: molte attività, molte persone, molti
calendari da mettere d’accordo, ma in tutti la vo-
lontà di costruire qualcosa insieme per il bene di
ognuno, la consapevolezza di potersi appoggiare
gli uni agli altri.
Questo appare in modo particolare in due oc-
casioni che ci coinvolgono sempre tutti insieme:
quando si fa qualcosa per le famiglie e quando
si fa qualcosa per i poveri. Tutti i settori della
casa hanno a che fare con le famiglie, sotto molti
punti di vista e in tante occasioni diverse, e non
importa quale sia lo stato di salute di questa fa-
miglia, che momento della vita stia attraversan-
do, che età abbiano i figli… In ogni caso possono
trovare qui da don Bosco un luogo per ricostruir-
si, prendere forza, continuare il cammino e con-
dividerlo con altri, in comunità e comunione. E
poi nel lavoro con i poveri: quelli che hanno poco
da mangiare e quelli che sono poveri nei molti
modi in cui la società di oggi o i fatti della vita
costringono a volte a vivere: la bellezza di questa
casa è che il poco di ognuno può diventare la ric-
chezza di tutti.
Infine due cose che solo chi vive a Valdocco a volte
riesce a notare, ma che sono una ricchezza sotter-
ranea. In primo luogo, qui c’è sempre qualcuno che
prega. La Basilica, così come le altre chiese di Val-
docco, non sono mai vuote. Certo, molte persone
vengono da fuori, magari occasionalmente, eppure
credo che questo ininterrotto fiume di preghiere
sia uno dei principali sostegni della nostra casa. In
secondo luogo: Valdocco è da sempre un quartiere
povero, di prima immigrazione, esattamente come
lo erano i ragazzi di don Bosco 150 anni fa: sono
cambiate forse le lingue, o il colore della pelle, o la
provenienza, ma la povertà, la voglia di speranza e
di futuro sono le stesse di allora.
L’antica differenza tra “artigiani
e studenti” rivive in qualche modo?
Un tempo artigiani e studenti si dividevano Val-
docco in parti uguali, cortili e posti in chiesa
compresi. Oggi non è più così. Orari, età, attivi-
tà sono molto diversificate e questo permette di
intrecciare i rapporti e le attività in una rete più
larga e più fruttuosa.
Però direi che alle “differenze” si sono sostituite
delle “vicinanze” interessanti.
14
Gennaio 2018

2.5 Page 15

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A Valdocco si parlano tutte le lingue del mondo:
sono le “vicinanze” di ragazzi e famiglie di mol-
te nazioni e religioni differenti che si incontrano
tutti nella stessa casa, sia nell’oratorio, che è per
eccellenza un luogo di frontiera, sia nella scuola
e nella formazione professionale, consegnando a
tutti noi la sfida di un mondo futuro in cui queste
“differenze” siano una risorsa e non una distanza.
A Valdocco si incontrano ragazzi di ogni prove-
nienza e di ogni ceto sociale. Don Bosco sapeva
interagire con la famiglia reale, con i nobili e con
i potenti del suo tempo, ma anche con i più poveri
e gli esclusi. Valdocco è ancora così, aperta a tutti
e tutti si sentono a proprio agio, sugli stessi ban-
chi e nello stesso cortile.
Qual è il legame con la città
e la comunità ecclesiale?
Grazie alla sua storia più che centenaria e grazie
alla reputazione che don Bosco ci ha consegnato,
Valdocco resta un punto di riferimento conosciu-
to e spesso imitato.
La parrocchia e l’oratorio ci legano in modo par-
ticolare alla Diocesi e al cammino della Chiesa in
questo territorio e ultimamente il legame si è raffor-
zato quando il vescovo, monsignor Nosiglia, ha de-
ciso di scommettere come chiesa locale sulla scuola
e sul suo valore educativo e di evangelizzazione.
Solida è anche la rete con altri oratori e con altre
scuole cattoliche del territorio con cui stabilmente
collaboriamo per la formazione degli insegnanti e
per la progettazione della scuola del futuro.
L’oratorio poi in modo particolare ci lega al terri-
torio. L’estate ragazzi, che è un fiore all’occhiello
dell’opera, è universalmente riconosciuta, anche a
livello cittadino, sia nel suo essere servizio sociale
a favore delle famiglie, sia nel suo essere servi-
zio educativo qualificato. Questo ci ha permesso
nel tempo di stringere alleanze a vario livello per
progetti sul territorio e con le altre scuole, anche
statali del quartiere, per il recupero dei ragazzi
più in difficoltà e il sostegno delle famiglie.
Quali sono i vostri sogni
per il futuro?
In primo luogo il sempre maggiore coinvolgi-
mento della comunità salesiana con i giovani che
vivono a Valdocco la loro vita, sia i giovani uni-
versitari del Collegio, sia gli altri.
In secondo luogo, come sognava don Bosco, so-
gniamo una Valdocco sempre e sempre più pie-
na di ragazzi: quelli che ci sono non bastano, c’è
sempre qualcuno in più da accogliere e sempre
qualcuno in più da raggiungere.
Infine, oso riprendere quello che don Bosco stes-
so sognava in quella che è forse la sua lettera più
famosa: “Sapete che cosa desidera da voi questo
povero vecchio che per i suoi cari giovani ha con-
sumato tutta la vita? Nient’altro fuorché, fatte le
debite proporzioni ritornino i giorni felici dell’an-
tico oratorio. I giorni dell’amore e della confiden-
za cristiana tra i giovani e i Superiori; i giorni del-
lo Spirito di accondiscendenza e sopportazione
per amor di Gesù Cristo degli uni verso gli altri; i
giorni dei cuori aperti con tutta semplicità e can-
dore, i giorni della carità e della vera allegrezza
per tutti. Ho bisogno che mi consoliate dandomi
la speranza e la promessa che voi farete tutto ciò
che desidero per il bene delle anime vostre. Voi
non conoscete abbastanza quale fortuna sia la vo-
stra di essere stati ricoverati nell’Oratorio”.
Il direttore don
Alberto Martelli
anima un’opera
di rara complessità
e di “pesante”
eredità.
Gennaio 2018
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2.6 Page 16

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INIZIATIVE
GIOVANNI D’ANDREA - Presidente Federazione SCS-CNOS Salesiani per il sociale
“Se trovassero un amico”
Il Tutore Volontario per i minori stranieri
In Italia sono
400 i minori
stranieri non
accompagnati
ospitati dai
salesiani.
Un appello alla Famiglia Salesiana
T ra il 1841 ed il 1844 il giovane prete
Giovanni Bosco svolge attività pasto-
rale presso le carceri della “Generala” a
Torino, dove si trovavano rinchiusi dei
giovani e adolescenti portati lì anche
per colpe non gravi ma perché soli ed in
cerca di fortuna nella capitale del Regno. Fu alla
vista di quei giovani che maturò dentro di sé una
domanda che orienterà la sua scelta per i giovani
poveri: “Chissà se questi giovanetti avessero avuto
forse un amico che si fosse preso amorevole cura di loro,
chissà se non si sarebbero tenuti lontani dal malaffare
e dalla rovina”, sappiamo bene come andrà a fini-
re e come continua tutt’oggi l’opera dei salesiani
per i giovani “soprattutto i più poveri”. Potremmo
definire quei giovani come dei minori stranieri
non accompagnati.
In Italia sono circa 400 i minori stranieri non
accompagnati ( ) ospitati in prima e secon-
da accoglienza nelle diverse strutture che Sale-
siani per il Sociale – Federazione / ne
ha dislocate su tutto il territorio nazionale. Un
fenomeno che ci interpella fortemente come Fa-
miglia Salesiana perché mette al centro bambini
e giovani, soli e indifesi che aspettano risposte
concrete. Una di queste è la figura del Tutore
Volontario, introdotta dalla legge n. 47 del 7
Aprile 2017 “Disposizioni in materia di misure
di protezione dei minori stranieri non accom-
pagnati” e che permette al cittadino privato di
assumere la tutela di un minore straniero non
accompagnato (o di più se si tratta di fratelli o
sorelle). Non si tratta di ospitare in casa propria
un minore straniero, ma incontrarlo ed instaura-
re un rapporto di fiducia nel quale possa sentirsi
tutelato e accompagnato, nel vivere dignitosa-
mente i suoi diritti.
Che cosa fa il Tutore Volontario
Il Tutore Volontario svolge compiti di rappresen-
tanza legale, persegue il riconoscimento dei di-
ritti della persona minore di età senza alcuna di-
scriminazione, promuove il benessere psico-fisico
della persona di minore età, vigila sui percorsi di
integrazione ed educazione tenendo conto delle
capacità, inclinazioni naturali, aspirazioni, vigi-
la sulle sue condizioni di accoglienza, sicurezza
e protezione e amministra l’eventuale patrimonio
della persona di minore età.
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Gennaio 2018

2.7 Page 17

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CONTATTI
LA FEDERAZIONE
Salesiani per il Sociale - Federazione SCS/CNOS, ri-
spondendo all’appello di sensibilizzazione della Ga-
rante Nazionale Infanzia e Adolescenza, ha pubblicato
una guida con tutte le informazioni relative alla figura
del Tutore Volontario. La versione digitale è scaricabile
gratuitamente all’indirizzo http://www.salesianipe-
rilsociale.it/tutore-volontario/. Per domande o altri
chiarimenti si può inviare una e-mail all’indirizzo tutori-
volontari@garanteinfanzia.org.
Come si diventa Tutori Volontari
Il cittadino che è interessato deve fare domanda
all’ufficio del Garante Infanzia e Adolescenza
(http://www.garanteinfanzia.org/) del proprio
territorio il quale, verificata la presenza dei re-
quisiti richiesti, ammetterà i candidati alla
formazione. Le principali prerogative richie-
ste al candidato sono: essere cittadino italiano
o dell’Unione Europea, possedere la residenza
anagrafica in Italia, aver compiuto 25 anni, non
aver riportato condanne penali, non essere in
conflitto di interessi nei confronti del minore
straniero e distinguersi per una “ineccepibile
condotta”. All’esito della domanda il cittadi-
no verrà iscritto (previa propria disponibilità)
nell’elenco dei tutori depositato presso ogni tri-
bunale dei minorenni.
«È un appello a “uomini e donne di
buona volontà” con un cuore sen-
sibile che guarda alle necessità dei
nostri tempi, che ascolta il grido
di aiuto “silenzioso” che viene
dalle migliaia di minori che
dopo peripezie e rischi sono
arrivati nel nostro paese».
Questi giovani ai margini
della società non possono
che ricordarci quelli rin-
chiusi nelle carceri della
“Generala” di Torino.
«Il documento finale del Ca-
pitolo Generale dei Salesiani
( 27) del 2014 – spiega don
Stefano Martoglio, Superiore
La Federazione SCS (Servizi Civili e Sociali) CNOS (Centro Nazionale Opere
Salesiane) è stata fondata nel 1993 per volontà dei salesiani d’Italia per coor-
dinare le attività svolte da salesiani consacrati e laici in favore
delle persone in stato di povertà e disagio, in maniera
particolare giovani. Al 31.12.2016 sono 194 gli enti
che costituiscono la Federazione. Questi enti sono
Associazioni di Volontariato, Associazioni di Pro-
mozione Sociale, Cooperative, Enti Ecclesiali.
Per avere una maggiore azione incisiva e d’insieme
sono stati costituiti dei Coordina-
menti tra quei soci che operano in
ambiti specifici. Si hanno pertanto i
Coordinamenti: Comunità Residenziali
per minori, Centri Diurni, Servizi Educativi
Territoriali, Giovani e Lavoro, Housing Sociale.
È anche attivo un Tavolo Dipendenze.
della Regione Mediterranea – ci invita a pre-
stare una particolare attenzione agli immigrati,
profughi, e giovani disoccupati che ci interpel-
lano come salesiani in tutte le parti del mondo.
Siamo invitati a trovare forme di collaborazione
per dare risposte concrete. L’attuale situazione
italiana dei minori stranieri non accompagnati
rappresenta questa richiesta che al contempo è
anche una sfida educativa».
Gennaio 2018
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Il paradiso nella bufera
Incontro con don Simo, salesiano in Siria
«Davvero con questa
guerra ci siamo avvicinati
di più e ci siamo
veramente sentiti una
famiglia. Abbiamo pianto
insieme. Abbiamo avuto
paura insieme. Abbiamo
vissuto la gioia insieme.
I ragazzi ci dicevano:
“Qui all’oratorio ci
sentiamo in paradiso”».
Carissimo Simo,
puoi presentarti?
Sono Simo Zakerian, salesiano sacer-
dote, sono siriano di origine armena,
nato il 2 luglio 1978 a Kamishli, nord
est della Siria, al confine con la Tur-
chia. I miei genitori sono della Chie-
sa Armena Apostolica (Ortodossa).
In casa parliamo armeno e arabo. Ho
conosciuto i salesiani quando avevo
12 anni nell’oratorio salesiano di Ka-
mishli e sono cresciuto in quell’ora-
torio.
Mi piaceva giocare a calcio e i sale-
siani mi hanno dato la possibilità di
giocare e incontrare degli amici. Così
piano piano la casa salesiana è diven-
tata casa mia.
La vita dei salesiani mi affascinava e
suscitava dentro di me tante doman-
de: chi glielo fa fare? Perché sono qui
tra noi a servirci? Quanto guadagna-
no? Perché?
Dopo lunga esperienza come ragazzo
e giovane nell’oratorio e con i salesiani
ho deciso di fare l’esperienza dell’aspi-
rantato e del prenoviziato a Damasco.
Nel 2001 ho cominciato il noviziato
in Libano e ho fatto la prima profes-
sione a settembre 2002.
Dopo il tirocinio e la filosofia sono
andato a Torino, alla Crocetta, per
studiare Teologia. Sono stato ordina-
to sacerdote nel rito Armeno Catto-
lico l’11 settembre 2011 a Kamishli.
La mia prima obbedienza dopo l’or-
dinazione mi chiedeva di andare
all’oratorio di Aleppo. E ho passato
5 anni in quella città, dal 2010 fino
al 2015. Di questi, 4 anni di guerra
feroce! Dopo Aleppo ho avuto un’al-
tra obbedienza per Damasco, e sono
stato due anni come direttore della
comunità. Attualmente ho incomin-
ciato il mio servizio di direttore ad
Alessandria d’Egitto. Sono anche
delegato per la Pastorale Giovanile
nell’Ispettoria Medio Oriente.
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Gennaio 2018

2.9 Page 19

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Com’era la tua famiglia?
La mia famiglia è numerosa, eravamo
undici a vivere nella stessa casa. La
nonna, papà, mamma, sei sorelle, mio
fratello ed il sottoscritto. La mamma
è mancata nel 2003 e la nonna nel
2004. Eravamo una famiglia molto
semplice e tranquilla. Attualmente
tutti sono sposati, eccetto due. Dopo
la guerra in Siria sono partiti con i
loro figli per l’Europa: Olanda e Sve-
zia. A Kamishli sono rimasti il mio
papà e una mia sorella.
Com’è nata
la tua vocazione?
Il sacerdote nel nostro paese stava un
po’ lontano dalla gente, soprattutto
dai ragazzi e dai giovani, ma quan-
do andavo a partecipare alla santa
Messa nella nostra chiesa armena
ortodossa, a otto anni, dicevo a me
stesso: un giorno sarò sull’altare per
alzare il calice e cantare così come fa il
sacerdote armeno. Poi ho conosciuto i
salesiani e mi ha sorpreso il modo in
cui stavano in mezzo a noi, e come
ci trattavano con amorevolezza e con
tanta simpatia. Erano due salesiani
italiani missionari. Mi sono innamo-
rato di don Bosco. La preghiera e il
discernimento hanno fatto il resto.
Qual è la realtà politica
e sociale della Siria, oggi?
Non c’è stata nessuna primavera in
Siria! I ribelli, che sono in
maggioranza fonda-
mentalisti, hanno
distrutto il nostro
paese. Sono arriva-
te persone da più
di 80 nazioni
per combattere contro l’esercito siria-
no, che è l’esercito ufficiale del paese.
Erano tutti appoggiati dai paesi del
golfo arabo e dai paesi attorno a noi.
Prima in Siria si viveva molto bene,
in tutti i sensi: sicurezza, convivenza,
sociale, economia, apertura al mon-
do. Ci hanno fatto ritornare più di 50
anni indietro.
Attualmente la situazione nel paese
sta andando verso il miglioramento, la
violenza sta diminuendo, torna la sicu-
rezza. Sembra che la Russia e gli
si stiano mettendo d’accordo per far fi-
nire questa situazione critica nel paese.
Come vivono i giovani?
La situazione giovanile è molto dif-
ficile. Moltissimi giovani hanno la-
sciato la patria e sono partiti per tutto
il mondo, soprattutto per l’Europa e
il Canada. L’uomo siriano è distrut-
to “dentro”, piccoli e grandi, hanno
conflitti interni, hanno sofferto tan-
Don Simo e i suoi ragazzi
hanno affrontato con
il sorriso sulle labbra
le inenarrabili crudeltà
della guerra.
Gennaio 2018
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
tissimo, con tante paure e lo spietato
convivere con la morte ogni giorno.
La situazione economica è molto pe-
sante. Si sopravvive per miracolo. Un
dollaro nel 2010 faceva 50 lire siriane,
oggi fa 500 lire siriane e quindi tutto
aumenta in modo pazzesco, mentre i
salari sono sempre gli stessi.
Che cosa succederà ora?
Penso che il futuro della Siria sarà
bello e luminoso, però ci vuole un
po’ di tempo. Sono sicuro che appena
finisce il conflitto internazione e poi
quello nazionale, i Siriani potranno
ricostruire di nuovo la Siria. E soprat-
tutto ricostruire l’uomo siriano dal di
dentro, l’uomo della riconciliazione,
dell’accoglienza e della pace.
Quali sono le esperienze
più belle che hai fatto?
Soprattutto esperienze di fede e di
speranza. Ho imparato tantissimo
dai collaboratori laici (cooperatori,
catechisti, animatori, volontari...). Mi
hanno insegnato che cosa vuol dire
essere forti nel Signore, che cosa vuol
dire venire a servire durante la guerra
e nel pericolo di morte. Sì, ci hanno
insegnato tantissimo!
Io personalmente non so come abbia-
mo fatto a continuare le nostre attività
mentre la morte ci circondava da tutte
le parti. Veramente non ho una rispo-
sta umana. Ho una risposta di fede, sì.
Sia noi sia gli animatori e i ragazzi e i
giovani avevamo fiducia in Dio. Nella
sua presenza tra noi in quelle situazioni
terribili. Mentre fuori si sentivano boa-
ti e suoni di armi e bombe, continua-
vamo a giocare, a studiare, a pregare.
Tra le esperienze più profonde c’è an-
che quella della morte. La morte dei
nostri oratoriani ci ha fatto pensare
tantissimo e ci ha fatto riflettere sulla
vita e sulla fede in Dio e in Gesù, che
è la vita e la Risurrezione. Ciò che mi
ha fatto commuovere è che i nostri
ragazzi e i giovani animatori hanno
vissuto quei momenti di dolore con
una fede forte nel Risorto, nonostan-
te la sofferenza e il pianto. Inoltre la
guerra e la sofferenza ci hanno aiutato
ad essere più essenziali e soprattutto
hanno irrobustito lo spirito di fami-
glia tra noi. Con questa guerra ci sia-
mo avvicinati di più e ci siamo sentiti
veramente famiglia. Abbiamo pianto
insieme. Abbiamo avuto paura insie-
me. Abbiamo vissuto la gioia insieme.
I ragazzi ci dicevano: «Qui all’oratorio
ci sentiamo in paradiso». E fuori infu-
riava la guerra. In oratorio si viveva la
gioia del cuore che scaturiva da Dio.
Dall’Eucaristia e dalle Confessioni.
Chi sono i tuoi “clienti”
quotidiani?
Giovani, ragazzi e famiglie. Durante
l’inverno: catechismo, associazioni,
gruppi sportivi, formazione catechisti
e animatori, messa domenicale, aiuti
alla gente. D’estate, quotidianamente,
attività estive con centinaia di ragazzi
e giovani. Ogni giorno tanti incontri
di accompagnamento spirituale e di
incoraggiamento.
Trovi difficoltà?
Sì, la difficoltà più seria è quando hai
davanti dei giovani che ti chiedono
degli aiuti per risolvere alcuni proble-
mi, e tu non puoi fare nulla. Non puoi
cambiare niente, soprattutto quando
si perde un membro della famiglia.
Oppure trovare dei motivi seri per
aiutare e incoraggiare i nostri giovani
a rimanere nel paese e non lasciare la
patria. Poi le gravi difficoltà economi-
che delle famiglie e dei giovani.
20
Gennaio 2018
«Da ragazzi e collaboratori ho imparato che cosa
significa “essere forti nel Signore”».

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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LA STRENNA DEL RETTOR MAGGIORE
«Signore, dammi di quest’Acqua»
0Spiegazione del poster
01. Tanti assetati, bicchieri vuoti e vite vuote e stan-
che che chiedono di essere riempite di significato.
Tanta terra buona con buon seme che attende di
essere “risvegliato” dall’inesauribile fonte della
Vita che sgorga da Gesù.
02. Don Bosco è pieno dell’acqua viva di Gesù ed è
un “serbatoio” che dona acqua a tutti, soprattutto
ai giovani, per dare Vita, impegno e speranza.
03. La donna samaritana: straniera, rifiutata, con-
fusa, tormentata… Si incontra con Gesù e tutto
cambia.
04. Gesù, fonte di Acqua Viva.
05. Maria Ausiliatrice, sempre attenta, che materna-
mente ricorda: «Fate quello che dice Gesù».
06. Dal costato e dal cuore di Gesù
scaturisce l’Acqua dell’Amore
2
inesauribile. L’incontro con la
Samaritana è avvenuto nell’ora
sesta, la stessa ora in cui
Gesù è morto in croce e
dal suo cuore squarciato
sono usciti sangue
ed acqua.
1
07. Compito degli adulti è collaborare,
accompagnare, coltivare.
08. Acqua che disseta, irriga, lava, fa germogliare
i semi, vivifica, cambia il deserto in giardino.
09. Lo Spirito di Dio che opera e dona forza
di volontà.
10. Diverse età, diverse esperienze, diverse razze,
lingue e culture, ma la stessa umanità, la stessa
sete, la stessa intensa gioia nel ricevere Gesù
Acqua Viva.
3
45
7
6
8
9
10
Gennaio 2018
21

3.2 Page 22

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COLTIV1AMO t'arle
di ASCOLTARE
e di ACCOMPAGNARE

3.3 Page 23

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STRENNA 2018
del Rettor Maggiore
Don Angel FernandezArtime

3.4 Page 24

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L’INVITATO
SALVO GANCI
«Tutta la mia vita di prete
è stata con i filippini»
Don Giovanni Benna,
figlio di due patrie,
“parroco” dei diecimila
filippini di Torino.
“Dovete essere missio-
nari nella testa, nel-
la bocca, nel cuore”:
don Giovanni Ben-
na, 84 anni, missio-
nario salesiano nativo
di Chieri e vice decano della comunità
filippina a Torino, nella chiesa di San
Giovanni Evangelista, ama ripetersi
questa frase del beato Giuseppe Alla-
mano ogni giorno, da 56 anni. Da quel
suo primo atto d’amore che si realizzò
nell’obbedienza all’Ispettoria salesiana
del Piemonte che decise di destinarlo,
nel 1962, in missione nelle Filippine,
dove è rimasto fino al 1997, anno in
cui è rientrato a Torino. “Tutta la mia
vita di prete è stata con i filippini, non
ho mai lavorato con altre comunità”,
ci dice don Benna con l’emozione di
chi si sente figlio di due patrie. “Nel
1961 – continua Benna – sono stato
ordinato prete: mi sono subito messo
a disposizione dei superiori. In quegli
anni l’Ispettoria del Piemonte poteva
contare su molti preti: quando fui or-
dinato solo circa una trentina erano i
salesiani del Piemonte, e di questi una
decina partì missionario. Non avendo
nessun vincolo ben preciso, mi sono
messo a disposizione per la missione. I
superiori mi destinarono in Birmania,
dove però non ottenni il permesso di
soggiorno, essendo una nazione comu-
nista. Fui costretto quindi a rientrare a
Torino, in attesa del permesso di sog-
giorno che però non arrivò mai. Dopo
un anno l’Ispettoria del Piemonte de-
cise allora di cambiarmi destinazione,
mandandomi nelle Filippine, dove in
quella fase storica ‘c’era bisogno di for-
tificare la Chiesa’ come mi spiegarono
i miei superiori. E da Genova in nave
sono arrivato a Manila, capitale delle
Filippine. Non conoscevo nessuno,
non parlavo l’inglese né la lingua del
posto, il tagalo, non sapevo nemmeno
che esistessero quei territori. Io avevo
studiato le lingue classiche, parlicchia-
vo solo un po’ di francese.
Un primo impatto in terra
straniera abbastanza
sconvolgente.
Come ogni cambiamento repenti-
no. Il primo anno è stato davvero
difficile, per il clima diverso, per il
cibo (riso e pesce ovunque, mai pa-
sta o salame, pensavo di morire!), ma
soprattutto perché, non conoscen-
do, non riuscivo a esprimermi, ad
entrare in relazione con gli altri. Il
filippino pensa poi che tutto il mon-
do parli inglese, che per loro è una
lingua colta, che chi ha studiato deve
sapere e poi in realtà non è così. La
mia prima esperienza nelle Filippi-
ne è stata comunque “mediata” dal
seminario, dove per 5 anni mi sono
dedicato, per l’appunto, allo studio
delle lingue. Ho chiesto io stesso poi
di andare tra la gente, tra i baraccati
di Tondo dove, nel novembre del ’70,
abbiamo avuto la visita di papa Paolo
VI, giunto nelle Filippine nonostan-
te il parere contrario del governo del
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Gennaio 2018

3.5 Page 25

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dittatore Marcos. Da lì poi mi sono
spostato a sud di Manila, tra i pian-
tatori di canna da zucchero.
La dittatura vi ha dato altri
problemi?
No. I fastidi provenivano per lo più
dalle autorità locali che non vedeva-
no di buon occhio le mie opere tra la
gente che in massa mi seguiva, per-
ché si rendeva conto che io lavoravo
per loro. Ho fatto costruire palestre,
ospedali, tra cui il Santa Chiara, dal
nome delle suore oblate ospedalie-
re di Firenze che ho chiamato per
Don Giovanni con alcuni dei suoi giovani
filippini. La sua resta pur sempre una
parrocchia salesiana.
gestire la struttura e dalla cui realtà
sono nate ben 20 vocazioni per quella
Congregazione, oltre a ben 25 chiese,
quasi una per ogni anno di mia per-
manenza e 16 scuole della comunità
che provvedevo io stesso a coordinare:
partivo dalla cappella, dal centro so-
ciale alla scuola, fino al centro infer-
mieristico, nella nostra zona con 60
mila abitanti non c’era un medico.
Aveva in mano il controllo
della situazione…
E questo alle autorità non andava.
C’era un qualunque guasto? Bene, ci
si recava in massa dalle autorità (che
invece trascuravano il popolo) per
chiedere di risolvere il problema. Una
volta al mese con oltre cento catechisti
andavamo insieme a pulire le strade.
Mi hanno sparato due o tre volte, se
sono qui a parlare mi è andata bene.
E con i musulmani e le altre
minoranze religiose?
La convivenza è stata (ed è) pacifi-
ca. Io comunque ho operato per 25
anni a sud di Manila, precisamente
a Calamba, dove in linea di massima
non ci sono musulmani. Il sud è pe-
ricoloso per via della zona montuosa
piena di foreste, dove ci sono i ribelli
che combattono contro il governo dei
ricchi. Il povero nelle Filippine non
ha voce, le istituzioni e i media sono
tutti in mano ai ricchi, l’informazione
è di conseguenza manipolata. Quelle
poche famiglie che possiedono tutte
le terre sfruttano chi le lavora, dando
loro un salario da fame. Io ho fatto da
mediatore diverse volte, per 10 anni
sono anche stato cappellano militare,
conosco bene il disagio dei meno ab-
bienti, dei ribelli che vogliono com-
battere l’ingiustizia sociale con la vio-
lenza, e quanto sia devastante questo
conflitto interno.
Quindi lei oggi continua a
fare il missionario in Italia
seguendo qui a Torino la
comunità filippina…
che è riuscita ad ambientarsi abba-
stanza bene, il cui esodo silente è co-
minciato a partire dagli anni ’70. Nel-
la sola città di Torino i filippini sono
circa 10mila: la maggior parte svolge
i lavori di domestico, badante, baby-
sitter. Si sono fatti subito conoscere
per la loro lealtà, onestà, tanto che i
padroni di casa lasciano loro persino
le chiavi della propria abitazione. Po-
Gennaio 2018
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3.6 Page 26

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L’INVITATO
«I filippini si sono fatti conoscere per la loro
lealtà e la loro onestà».
chi si sono lanciati nella sfida impren-
ditoriale: il filippino per natura non
ha un carattere molto intraprendente.
Ho già benedetto una decina di risto-
ranti ma in pochi hanno continuato la
loro attività, gli altri sono falliti. Il fi-
lippino si accontenta di poco, gli basta
giusto il minimo indispensabile per
sbarcare il lunario, per tirare il mese
e andare avanti, non si creano troppe
aspettative in questo senso.
Come seguite la comunità
filippina qui a Torino?
Esiste una convenzione tra i salesiani
del Piemonte, l’Arcivescovado e i sa-
lesiani filippini. Noi salesiani abbia-
mo messo a disposizione lo spazio e i
locali per la comunità filippina, l’Ar-
civescovo ha istituito questa Cappel-
lania che funziona similmente ad una
Parrocchia, che gestisco direttamente
insieme al cappellano don Nesty, sale-
siano filippino. Ogni domenica mat-
tina seguiamo un gruppo di 150 tra
bambini e ragazzi per il catechismo,
dalla prima elementare fino alle supe-
riori. Mettiamo loro a disposizione la
palestra dell’Oratorio dove proponia-
mo attività sportive all’aperto (da loro
si gioca sempre al chiuso, al coperto a
causa del sole forte), come il calcio e
la pallacanestro, sport prediletto dai
filippini). Ma c’è spazio anche per i
genitori, i parenti: con gli adulti svol-
giamo una quindicina di attività, che
vanno dall’artigianato ai laboratori
creativi fino alla scuola di cucina, ol-
tre agli incontri di preghiera.
Come è nata la sua
vocazione salesiana?
Colpa di don Bosco. A Chieri, mio
paese natio, don Bosco ha vissuto per
dieci anni, quelli della sua formazio-
ne. Nel 1945 ho terminato la scuola
elementare, era da poco terminata
la guerra, tutto era andato distrutto,
persino le scuole. I salesiani hanno
aperto in quel periodo le scuole me-
die a Chieri: ricordo ancora quando
mi arrivò la lettera a casa con la quale
i parroci dei paesi vicini ci informa-
vano dell’apertura della scuola. Sono
venuto così a conoscenza dei salesiani,
prima di allora non sapevo nemmeno
chi fossero. Insieme al nonno ci sia-
mo recati, in bicicletta, a visionare la
struttura. Era l’1 settembre del 1945
e io fui il primo iscritto alla casa sa-
lesiana di Chieri, dove ho passato i 5
anni più belli e intensi della mia vita:
3 anni di scuole medie, 2 di ginnasio.
Mi sono reso conto che quella era la
vita che avrei voluto vivere, mi si addi-
ceva e sono andato avanti senza trop-
pi ripensamenti, seppur con qualche
difficoltà. Ho vissuto tutto l’iter di
formazione salesiana, dagli studi filo-
sofici e teologici fino al tirocinio nelle
case salesiane di Valdocco e Lombria-
sco. E poi via nelle Filippine, ed ec-
comi con i filippini in Italia: perché,
come scrive il missionario dehoniano
Paolo Tanzella, l’epopea missionaria
non è tutta nella partenza.
Rifarebbe tutto?
Certo. L’unica cosa di cui mi pento –
non me ne volete – è il mio rientro
in Italia. Avrei voluto morire nelle
Filippine. L’avevo indicato anche nel
mio testamento, poi ho dovuto mo-
dificarlo. Nelle Filippine c’è ancora
la prassi della preghiera per i defunti,
è un culto molto sentito. Per questo
avrei voluto essere sepolto lì: per ritor-
nare alle mie “seconde origini”, e per
la certezza che almeno qualche ami-
co sarebbe venuto a pregare sulla mia
tomba.
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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BULGARIA 1
FINO AI CO
“Vogliamo il meglio
per i Rom”
A Stara Zagora, una città
a 230 km ad Est della capitale, Sofia, ci sono circa
28 000 Rom; la maggior parte di essi sono bambini e
adolescenti che vivono in baracche, case semidiroccate
o mai terminate. Sono disprezzati, odiati, esclusi dalla
vita sociale e l’istruzione scolastica è nella maggior
parte dei casi rudimentale. “Se non facciamo niente, il
destino dei bambini rom è già scritto” spiega il salesiano
don Martin Jilek. “A 14 anni, il clan li fa sposare.
Molto presto hanno figli e vivono del sussidio fami-
liare statale per i figli, che ammonta a circa 40 lev (20
euro), i quali, per molte famiglie rom, sono l’unica fonte
di reddito”. I Salesiani hanno organizzato attività di
rinforzo scolastico per i bambini, che però rappresenta-
no molto di più, perché lì i bambini mangiano insieme,
giocano, apprendono le materie scolastiche e anche
delle regole elementari di comportamento. “Dopo che
vengono per qualche settimana qui – prosegue don Jilek
– iniziano a dire anche ‘per favore’ e ‘grazie’”.
I Salesiani di Stara Zagora non conoscono orari.
“Dedichiamo tempo ai bambini, così i genitori comincia-
no a sentire ciò che i loro figli fanno al centro e iniziano
a venire in questi luoghi”, racconta il salesiano.
INDIA 2
2
Acqua per tutti a Marathwadi
Gangabai Akolkar, una donna di 55 anni del villaggio
di Marathwadi, vive molto meglio oggi, grazie ad un
progetto idrico che porta l’acqua al suo villaggio. Fino a
tre mesi fa doveva camminare per 2,5 km ogni volta che
voleva prendere un po’ d’acqua per sé e la sua famiglia. Il
progetto idrico di cui beneficia lei e tutta la sua comuni-
tà è stato realizzato dall’ salesiana “Bosco Gramin
Vikas Kendra” ( ), grazie al sostegno della Procura
Missionaria Salesiana di New Rochelle, .
Diversi anni di scarsa pioggia avevano reso la vita degli
abitanti di quei luoghi povera e miserevole. Fino a quan-
do la , non è intervenuta con il suo progetto “Acqua
per tutti”.
La ha lavorato alla raccolta delle acque sotter-
ranee per migliorare l’umidità del suolo, alla pulitura
dei canali dal limo, all’aumento della superficie verde
e alla costruzione di un canale a beneficio di tutto
il villaggio. Poi ha completato lo scavo di 2 dighe di
controllo, ricaricato i pozzi del villaggio e costruito 2
serbatoi di acqua potabile, ciascuno con una capacità
di 10 000 litri. Gli abitanti della zona hanno fornito la
manodopera necessaria alla realizzazione di tutti questi
lavori. Questo progetto ha anche reso più confortevole
la vita dei bambini e delle donne nei villaggi, che hanno
la responsabilità primaria di prelevare l’acqua per la
famiglia.
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
La città delle
garze bianche
Guaratinguetá,
la culla delle Figlie
di Maria Ausiliatrice
in Brasile.
Dal lontano 1887…
Attualmente ci sono tanti interrogativi
riguardo al significato di educazione.
Tra le molteplici risposte, scegliamo
quella del filosofo francese Jacques
Maritain, il quale afferma che il com-
pito dell’educazione è aiutare la persona
umana a rispondere al suo principale
dovere, che è quello di “divenire uomo”.
Sembra che sia quanto stia accaden-
do a Guaratinguetá. Ma dove si tro-
va questo posto dal nome misterioso?
Guaratinguetá è un nome indigeno,
significa La città delle garze bianche.
Oggi è un comune del Brasile, all’in-
terno dello Stato di San Paolo, e parte
della mesoregione della Vale do Pa-
raíba Paulista e della microregione di
Guaratinguetá.
In passato si coltivavano il riso, il caf-
fè, il cotone e la canna da zucchero; al
momento presente sono pochi coloro
che mantengono la tradizione delle
piantagioni, perché la maggioranza
della popolazione si occupa del com-
mercio e del turismo religioso, infatti
il comune è situato vicino al famoso
comune di Aparecida, dove si trova il
Santuario nazionale della Vergine di
Nostra Signora Aparecida, Patrona
del Brasile.
Guaratinguetá, conosciuta anche
come la terra natale del primo santo
brasiliano, Frei Antonio Maria de
Santana Galvão, è anche la prima
culla delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce in Brasile. La cronaca del Collegio
narra che, nel lontano 1887, monsi-
gnor Giovanni Filippo si recò a Tori-
no per sollecitare don Bosco affinché
mandasse le suore, così da garantire
l’educazione delle giovani di Guara-
tinguetá e delle regioni limitrofe. La
richiesta trovò risposta nel successore
di don Bosco, don Michele Rua: do-
dici Figlie di Maria Ausiliatrice arri-
varono nel Collegio Nostra Signora del
Carmine per dare inizio alla missione
«Lavorando ogni giorno con le suore ho scoperto
che la gioia di cui parla il Vangelo è possibile».
educativa tra le bambine e le giova-
ni più povere del luogo; nuove case
si apriranno in seguito, tanti giovani
saranno educati e le vocazioni fiori-
ranno numerose.
… al 2017
In questo anno il Collegio Nostra Si-
gnora del Carmine celebra 125 anni
di presenza delle Suore Salesiane in
Brasile. Abbiamo chiesto ad alcune
di loro qual è oggi il compito dell’e-
ducazione, e la loro risposta è un’e-
sperienza di vita che, unita a quella
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Gennaio 2018

3.9 Page 29

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dei laici a cui danno voce, ha sapore
di futuro.
Suor Nair Paschoalini ci dice che la
Casa del Purissimo Cuore di Maria, è
la struttura simbolo che indica la risposta
ai cambiamenti storici: è la sede del Pro-
getto di Spiritualità Missionaria (PEM).
Suor Metka Kastelic aggiunge: Sono
qui per servire, per amare, per vivere in
allegria e per cercare vie di speranza per
la gioventù, ed una di esse è l’anima-
zione del Volontariato Internazionale
Donna Educazione Sviluppo (VIDES)
come proposta di solidarietà che favori-
sce il protagonismo giovanile all’interno
della società. Inoltre, ben rispettando
la tradizione salesiana, l’educazione si
comunica anche mediante la musica;
il maestro Marcelo Henrique crede
che educare con la musica equivalga ad
attingere al cuore dei giovani, seminan-
do in loro la gioia per la vita.
Isadora Prudente, giovane exallieva,
afferma: sono certa che tutti i legami che
ho intessuto nel Collegio sono costruiti
sulla roccia; ogni nome ha la sua firma
nel mio cuore e tra le pareti di quella che
sento come la mia casa.
João Bosco Ribeiro Alvarenga, Sa-
lesiano Cooperatore e collaboratore
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, non
ha dubbi: il cammino con le suore è stato
fondamentale per scoprire la mia voca-
zione umana, cristiana e salesiana, così
Sono certa che tutti i legami
che ho intessuto nel Collegio
sono costruiti sulla roccia;
ogni nome ha la sua firma
nel mio cuore e tra le
pareti di quella che sento
come la mia casa
(una giovane exallieva)
Il collegio Nostra Signora del Carmine celebra
i 125 anni di presenza delle Suore Salesiane
in Brasile.
ho deciso di diventare Salesiano Coope-
ratore per amare i giovani e contribuire
alla promozione della loro dignità. Lavo-
rando insieme alle suore, ogni giorno, ho
scoperto che la gioia di cui parla il Vangelo
è possibile, è una realtà del quotidiano.
Suor Teresa Cristina Pisani Domi-
ciano ricorda che l’educazione oggi è
una sfida grande: non si tratta di for-
mare soltanto l’intelletto del giovane ma
la persona nella sua totalità. Dunque, è
bene accompagnare i ritmi personali di
ciascuno, essere presente, anche nei nuovi
“cortili”: il mondo virtuale abitato dai
giovani. Occorre essere aperti alle nuo-
ve sfide della contemporaneità ed essere
all’interno un segno di vita per promuo-
vere la cultura dell’incontro, proprio
come ci ricorda papa Francesco.
ERRATA CORRIGE
La fotografia posta al centro di
pagina 41 del numero di maggio 2017
è di Cristina Rondolino.
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3.10 Page 30

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IN PRIMA LINEA
LINDA PERINO
“Ana Jahan”(Ho fame)
Sud Sudan Il più giovane paese del mondo
sull’orlo del baratro
Incontro con Jim Comino.
«Ho fatto cinquantasette
anni di vita missionaria.
Se nascessi un’altra volta
mi affiderei di nuovo
alla Madonna e ci farei
la firma».
Ho 78 anni, sono il terzo di sei
fratelli. Mio fratello Andrea è
anche lui salesiano. Avevo 21
anni quando nel 1960 feci la
domanda per le missioni, mi
dissero che dovevo andare in
Corea, non avevo la minima idea dove
fosse, guardai sulla carta geografica e
vidi che dovevo girare mezzo globo
per raggiungerla. Sapevo solo un po’ di
francese studiato a scuola, ma niente
inglese. Non avevo alcuna possibilità
di comunicare con i ragazzi, e mi misi
a studiare prima l’inglese per poter
tradurre il coreano. Questa missione
fu il “mio primo Amore Missionario”
incominciai con l’oratorio e subito di-
venni amico dei più piccoli. Dopo 32
anni di missione in Corea, ormai par-
lavo benissimo il coreano e mi trovavo
come a casa mia. Improvvisamente il
Delegato, oggi monsignor Van Looy,
mi chiese di andare in Sudan per due
anni e poi avrei potuto ritornare in
Corea.
In Sudan, a Khartoum i Combonia-
ni ci avevano donato una scuola pro-
fessionale e il mio compito era quello
di organizzare i laboratori e iniziare
i corsi. Mio fratello Andrea era nel-
le Filippine da 18 anni, gli chiesi di
venire ad aiutarmi anche solo per 2
anni, venne e anche lui si innamorò
dell’Africa e da circa 20 anni conti-
nua a lavorare in Sudan. Passati due
anni, la situazione in Sudan era tal-
mente tragica e disumana che in co-
scienza non me la sentivo di abban-
donare questa missione per andare a
star meglio in Corea. Feci la promessa
alla Madonna di rimanere finché Lei
mi avesse aiutato ad andare avanti.
Ho dovuto superare tante difficoltà
di ogni genere ma, grazie all’aiuto
della Madonna, fino ad oggi sono 25
anni che lavoro in Sudan. Solo Lei sa
quanti anni ancora mi rimangono per
lavorare qui. Ho 78 anni e molti mi
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Gennaio 2018

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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chiedono perché non torno in Italia,
io rispondo che non vado in pensio-
ne e che spero di morire in Sudan ed
essere sepolto sotto un grande albero
dove in bambini possano venire a gio-
care e pregare, e con i soldi risparmia-
ti del funerale dar da mangiare a tanti
bambini. È una grande gioia poter
sfamare, educare e dare speranza ai
nostri bambini che sovente mi dicono
in arabo: “Ana Jahan” che vuol dire
“ho fame” ma sono sempre sorridenti.
È proprio vero che c’è più gioia nel
dare che nel ricevere.
Dalla padella nella brace
Nel 2011 finalmente, il Sud Sudan
dopo oltre trent’anni di guerra che ha
falciato circa due milioni di vite uma-
ne e obbligato quattro milioni di per-
sone a lasciare i loro villaggi del sud
e rifugiarsi nei campi profughi nel
deserto del nord, ha ottenuto l’indi-
pendenza. Con l’indipendenza circa
un milione di persone hanno lasciato
i campi profughi del nord per ritorna-
re ai loro villaggi nel sud.
Ho lasciato il Nord Sudan fondamen-
talista musulmano per venire al Sud
Sudan di maggioranza cristiana, per-
ché pensavo di trovare tanta fede, un
paese in pace e con tanti progetti di
sviluppo. Purtroppo cascai dalla pa-
della nella brace, perché dopo soli due
anni dall’indipendenza, nonostante il
trattato di Pace, il 15 dicembre 2013,
un conflitto tribale, tra la tribù del
presidente e quella del vice presidente
ha falciato centinaia di vite, creando
migliaia di profughi. Per circa tre anni
ci fu una tregua di pace ma di nuovo
nel luglio del 2016 un ennesimo, ter-
ribile scontro tribale ha falciato nuove
vittime e, secondo le Nazioni Unite,
oggi si contano almeno 50 000 morti,
e mezzo milione di rifugiati nei Paesi
confinanti, e una popolazione di circa
quattro milioni ridotta alla fame. Ma
la cosa più impressionante è che cir-
ca 200 mila persone sono tornate nei
famigerati campi profughi del Nord
dove i cristiani sono trattati come cit-
tadini di seconda classe. Sono cifre
impressionanti che si aggiungono alle
migliaia di persone obbligate a vivere
in condizioni di assoluta povertà, con
meno di 1 euro al giorno. Nel luglio
2016, in pochi giorni circa 13 000
persone scappando dai vicini villaggi
hanno cercato rifugio nel nostro cen-
tro Don Bosco nella capitale, Juba. Li
abbiamo messi a dormire in chiesa,
nelle aule e anche sotto le piante, ab-
biamo svuotato tutte le riserve di cibo,
confidando nella Divina Provvidenza
che attraverso altre organizzazioni
umanitarie ci venne in aiuto.
A pagina precedente e sopra: Il salesiano
Jim Comino con i bambini del centro Don Bosco
di Juba, Sud Sudan.
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4.2 Page 32

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IN PRIMA LINEA
«Uccidi o sarai ucciso»
Alcuni giorni dopo, di notte sono sta-
to svegliato da raffiche di mitra. Era
un ennesimo scontro tribale nel vicino
villaggio, dove una ventina di mor-
ti fu il prezzo di questa carneficina.
Il giorno di Pasqua invece del suono
delle campane sentivamo il rombo dei
bombardamenti indiscriminati sui vil-
laggi nemici. Usavano lo stupro come
vendetta e il blocco degli aiuti uma-
nitari per far morire la gente di fame.
La fame, un’arma silenziosa, che costa
poco ma che decima le popolazioni. In
queste lotte tribali più di 9000 bam-
bini dai 9 ai 14 anni furono rapiti per
farne dei bambini soldato, con la droga
e l’addestramento forzato, per essere
arruolati nell’esercito. Dovevano uc-
cidere uno dei propri famigliari per
dimostrare che erano coraggiosi e di-
sposti a tutto, il loro slogan era «Uccidi
o sarai ucciso».
Nel Sud Sudan i bambini sono la mia
gioia, è per loro che desidero conti-
nuare a vivere qui, sono loro che mi
hanno salvato diverse volte da pericoli
di morte, un giorno di sparatorie mi
hanno buttato a terra per non essere
colpito dalle pallottole.
Dopo il rosario alla sera, una ventina
di bambini si aggrappano alle mani,
chiedendomi perché la mia pelle è
bianca e la loro è nera, li accompagno
fino al vicino villaggio, e arrivati ad
un certo punto mi dicono: “Adesso
tu devi tornare a casa tua, perché sei
bianco e se entri nel villaggio c’è pe-
ricolo che qualche ribelle ti spari...”.
Oggi, da questa guerra civile non si
vede una via d’uscita. Il Sud Sudan
è ricco di petrolio ma purtroppo il
petrolio è stato fonte di conflitto e
di morte tra nord e sud, per questo
i vescovi sud-sudanesi lanciarono un
messaggio accorato. Il più anziano
vescovo del Sud Sudan, con la voce
rotta dal pianto, disse: «La guerra
civile continua nonostante la nostra
richiesta a tutte le fazioni di fermar-
la e si perpetuano uccisioni tra fra-
telli, come Caino che uccide Abele,
stupri, saccheggi, incendi di chiese,
ospedali, scuole e villaggi. Il nostro
Paese è nel mezzo di una terribile
crisi umanitaria. La nostra gente lot-
ta quotidianamente per sopravvivere.
Milioni di sud-sudanesi sono colpi-
ti dalla fame e costretti a fuggire o
trovare rifugio nei campi profughi. È
una guerra su base etnica». I vescovi e
noi missionari abbiamo dovuto ama-
ramente rilevare che lo spirito tribale
prevale sullo spirito cristiano. Il per-
dono e la riconciliazione sono molto
difficili. Ogni delitto chiede una ri-
vendicazione.
Noi e le suore resistiamo
Sono stato nella nostra scuola salesia-
na elementare di Maridi che confina
con l’Uganda, una regione fertilissi-
ma che potrebbe produrre cibo in ab-
bondanza per tutto il paese. La gente
non coltiva perché molti terreni sono
ancora disseminati di mine antiuomo,
molte Made in Italy. La gente aveva
promesso al vescovo che, pur essen-
do di diverse etnie, non si sarebbero
combattuti a vicenda ma improvvisa-
mente un gruppo di ribelli, alleati con
l’ attaccò il villaggio dando fuoco
alle capanne, stuprando le donne e
portando via i bambini. La gente per
difendersi fu costretta a imbracciare il
mitra e sparare, lo scontro di un gior-
no costò un centinaio di vite umane.
I ribelli attaccarono l’ospedale elimi-
nando i pazienti che erano a letto per
far posto ai loro feriti. I dottori e le
infermiere scapparono, il nostro di-
spensario tenuto dalle suore salesiane
fu l’unico posto per curare i feriti. Le
due suore infermiere, pur non aven-
do esperienza, per salvare la vita di
tanti feriti dovettero amputare mani
e gambe ed estrarre pallottole dalle
ferite. Il nostro parroco mi racconta
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Gennaio 2018

4.3 Page 33

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«Qui viviamo in continua emergenza, pronti
ad accogliere, assistere e curare specialmente
i bambini del nostro campo profughi».
A pagina precedente: don Vincenzo Donati, uno dei
padri fondatori e anima della missione in Sud Sudan.
che giorni fa i ribelli hanno strappato
dalle braccia delle mamme 15 bambi-
ne per i loro sporchi piaceri. La vita
è diventata sempre più pericolosa e
terrificante, con una povertà assoluta,
appena l’indispensabile per non mo-
rire di fame.
Come risposta, noi Salesiani nel Sud
Sudan con i nostri volontari viviamo
in continua emergenza, impegnati 24
ore su 24, pronti ad accogliere, assi-
stere, e curare specialmente i bambini
del nostro campo profughi, stiamo
facendo tutto il possibile per salvare
i salvabili, con le cure mediche del
dispensario, per curare la malaria e il
colera e provvedere ad altre necessità
per sopravvivere.
In questa emergenza di vita o di mor-
te per salvare una vita, bastano 5 euro
per comprare una dose di pastiglie per
bloccare la malaria. Nel Nord Sudan,
dove comanda un governo fonda-
mentalista islamico, la situazione si fa
sempre più difficile, i pochi salesiani
cercano in tutte le maniere di man-
dare avanti le tre opere nonostante le
difficoltà e i proble-
mi che il governo
islamico impone.
Nel sud, avevamo
cinque presenze sale-
siane, una è stata distrutta
dai ribelli e la maggioranza
della gente è fuggita in Ugan-
da, nelle altre quattro opere, in
ognuna abbiamo un dispensa-
rio medico, la scuola primaria e
secondaria, la parrocchia e due
scuole tecniche.
Davanti a questa situazione
di conflitti etnici, di geno-
cidi spietati, l’avidità del
potere e del denaro e lo
sfruttamento delle mul-
tinazionali nell’impa-
dronirsi delle ricche
risorse naturali, noi
salesiani siamo convinti
che solo attraverso l’educazione dei
più piccoli, insegnando il perdono, la
riconciliazione e il rispetto dei diritti
umani, possiamo formare la futura
generazione che dovrebbe fermare
queste lotte fratricide.
Per questo, grazie al novantenne don
Donati, abbiamo lanciato due pro-
getti. Uno per la costruzione di 100
scuole elementari, che affidiamo ai
vari Vescovi per gestirle. È un vero
miracolo visibile della Divina Prov-
videnza, in 3 anni ben 74 scuole ele-
mentari sono già state costruite dando
la possibilità a circa 18 000 bambini
di andare a scuola.
L’altro è un Progetto di Sviluppo
Agricolo. Il Sud Sudan è circa quat-
tro volte più grande dell’Italia e solo
il 30% della terra è coltivata e ci
sono solo 11 milioni
di abitanti. Siamo
convinti che solo
coltivando la terra si
possa dar da mangiare
ai 4 milioni di persone che
stanno morendo di fame,
solo facendoli crescere, svi-
luppare e vivere nella propria
terra risolviamo il problema
delle lotte tribali e dell’e-
migrazione indiscrimata
e clandestina. Se l’Africa
fosse sviluppata e non de-
rubata, potrebbe diventare
il granaio del mondo e pro-
durre cibo per tanta gente.
Ci manca tutto, tranne la fi-
ducia nella Divina Provvi-
denza e nella Madonna di
don Bosco, che finora non ci
ha mai abbandonato.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
Siamo una società al capolinea; una società che si sta suicidando? Non vogliamo
crederlo: l’uomo è programmato per togliersi d’impaccio. Resta, comunque, il fatto
che la barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. A offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
1
Salviamo
la tenerezza
Un salvataggio prezioso! “Tene-
rezza” è parola di nove lettere,
ma di spessore enorme. Più
che parola, è un vocabolario,
una miniera: più la scavi e più
trovi. Godiamoci, dunque, la
nostra parola affascinante e preziosa.
La tenerezza è un coraggio senza vio-
lenza, una forza senza durezza, un
amore senza ira. È soprattutto pace:
il contrario della guerra, della cru-
deltà, dell’aggressività, della violenza,
dell’insensibilità. È rispetto, protezio-
ne, benevolenza. È il rifiuto assoluto di
far soffrire qualunque altra creatura.
Sii gentile con chiunque tu incontri,
perché sta combattendo una grande
battaglia. E nessuno di solito se ne
accorge.
Tenerezza è:
salutare per primi
accorgersi che la minestra è buona
controllare l’acqua nella vasca
dei pesci
lasciare il cellulare e passare
alla stretta di mano
ricordarsi dei compleanni
chiamare per nome
usare parole balsamiche
offrire una coperta a chi trema
di freddo
essere presente, non invadente.
La tenerezza:
ascolta senza guardare l’orologio
preferisce portare un fiore ai vivi
che accendere un cero ai morti
ama dire ‘noi , più che dire ‘io
rifiuta l’arroganza
scioglie i grumi del cuore
risponde con un sorriso
non alza la voce
non invita la televisione
a tavola: preferisce il contatto
visivo al contatto televisivo
accarezza la mano del malato,
più che subissarlo di parole
consola
condivide
sta ‘insieme’ e non solo ‘accanto’
agli altri.
Insomma, la tenerezza non è tene-
rume, non è melassa: è ricchezza,
da proteggere e salvare ad ogni co-
sto! La tenerezza è il lubrificante dei
rapporti umani, il condimento della
vita. Se salta la tenerezza, trionfa la
crudeltà.
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4.5 Page 35

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REGALARE GENTILEZZA
UNA STORIA DEGLI INDIANI D’AMERICA
È una gelida giornata invernale a San Francisco negli Stati Uniti. Una
donna su una Honda rossa, con i regali di Natale accatastati sul sedile
posteriore, arriva al casello del pedaggio per il ponte sulla baia.
Pago per me e per le sei auto dietro di me” dice con un sorriso, con-
segnando sei biglietti per i pendolari. Uno dopo l’altro, i sei automo-
bilisti arrivano, dollari in mano, solo per sentirsi dire: «Una signora là
davanti ha già pagato il biglietto per lei. Buona serata! ”.
La donna della Honda (si venne a sapere, poi) aveva letto su un bi-
glietto attaccato con nastro adesivo al frigorifero di un amico: “Prati-
cate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”.
La frase le sembrò rivolta direttamente a lei e se la ricopiò. Anche a
suo marito Frank piacque tanto che l’appese alla parete dell’aula ove
insegnava. Tra gli alunni vi era la figlia di una giornalista locale. La
giornalista la trascrisse nella sua rubrica sul quotidiano.
Ora la frase si sta diffondendo sugli adesivi, sui muri, in fondo alle
lettere e ai biglietti da visita.
Ecco: “Praticate gentilezza! ”.
La gentilezza può generare gentilezza, tanto quanto la violenza può
generare violenza.
Durante un anno di grande fame e difficoltà per una tribù, una nonna
e il suo nipotino un giorno se ne stanno seduti assieme a parlare.
La nonna pensosamente dice: «Sento nel mio cuore che due lupi
stanno lottando: uno è rabbia, odio e violenza; l’altro è amore,
compassione e perdono».
«Quale vincerà la lotta per il tuo cuore, nonna?», chiede il bambino.
E la nonna risponde: «Quello che io nutro di più».
Alcuni anni fa in una casa della periferia di Tokyo è
stato trovato un uomo infagottato e rimpicciolito nel
pigiama. Era morto da 20 giorni e nessuno si era accor-
to della sua scomparsa, né i suoi due figli, né i colleghi
di lavoro.
Basterebbero venti milioni di italiani (a cominciare dai
lettori!) conquistati dalla tenerezza, per far sì che l’Italia
diventi l’anticamera del paradiso.
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Chi non cambia prevedibile, sempre e comunque destabilizzante,
del cambiamento.
Che si tratti di cambiare città o Paese per cercare
lontano da casa una realizzazione professiona-
le a lungo rincorsa e mai pienamente raggiunta,
è
perduto ! oppure di mettersi alla prova nel confronto dagli
esiti tutt’altro che scontati con nuove responsabi-
lità affettive e familiari, o più semplicemente di
rimodulare le proprie abitudini e i propri ritmi di
vita per adattarli alle richieste inevitabilmente più
esigenti della condizione adulta, l’incontro con il
La vera rivoluzione che ciascuno cambiamento non è mai indolore e privo di ten-
tennamenti o esitazioni.
di noi ha il potere di compiere, Il nuovo ci attrae, è un potente motore di speri-
la sola che può realmente contribuire mentazione e di speranza, ma al tempo stesso ci
spaventa, ci mette in crisi, poiché ci costringe a
a cambiare in meglio il mondo e la società rivedere e modificare atteggiamenti, prospettive
che ci circondano, è quella di cambiare e modi di pensare ormai cristallizzati e rassicu-
ranti. Che ci piaccia o no, che gli opponiamo re-
prima di tutto se stessi. sistenza rimanendo testardamente aggrappati alle
nostre fragili certezze o lo accogliamo a braccia
Nel difficile e, talvolta, tortuoso cammi-
no verso l’adultità tutti, prima o poi, ci
ritroviamo a fare i conti con una di-
mensione dell’esistenza che, più di ogni
altra, sembra generare in noi sentimenti
ambivalenti: la dimensione incerta, im-
aperte come una preziosa opportunità di cresci-
ta e maturazione, il cambiamento è il processo
attraverso il quale il futuro irrompe nelle nostre
vite, le sconvolge, ne sovverte persino le fonda-
menta, sospingendoci in territori inesplorati den-
tro e fuori di noi.
Cambiare macchina è molto facile,
cambiare donna un po’ più difficile,
cambiare vita è quasi impossibile.
Cambiare tutte le abitudini,
eliminare le meno utili
e cambiare direzione...
Cambiare marca di sigarette
o cercare perfino di smettere
non è poi così difficile.
È tenere a freno le passioni,
non farci prendere dalle emozioni
e non indurci in tentazioni...
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Cambiare logica è molto facile,
cambiare idea già un po’ più difficile,
cambiare fede è quasi impossibile.
Cambiare tutte le ragioni
che ci hanno fatto fare gli errori
non sarebbe neanche naturale...
Cambiare opinione non è difficile,
cambiare partito è molto facile,
cambiare il mondo è quasi impossibile.
Si può cambiare solo se stessi,
sembra poco, ma se ci riuscissi
faresti la rivoluzione.
Vivere bene o cercare di vivere,
fare il meno male possibile
e non essere il migliore.
Non avere paura di perdere
e pensare che sarà difficile
cavarsela da questa situazione...
(Vasco Rossi, Cambia-Menti, 2014)
Eppure – come sembrano confermare in un coro
pressoché unanime tutte le ricerche più recen-
ti sulla generazione degli under trentacinque – i
giovani adulti del terzo millennio sono spesso re-
stii a vivere con fiducia le trasformazioni più o
meno radicali che attraversano le loro vite, guar-
dano ad esse con una certa dose di diffidenza e,
non di rado, preferiscono galleggiare nelle acque
sicure delle proprie abitudini consolidate piutto-
sto che avventurarsi nel mare incerto e insidioso
della “possibilità”.
Anche quando accolgono la sfida di percorre-
re strade sconosciute e di provare a far spazio
al nuovo nella propria quotidianità, faticano a
lasciarsi trasfigurare in profondità dalla logi-
ca salvifica e dirompente del cambiamento e
tendono più che altro ad adattarsi alle trasfor-
mazioni imposte dalla situazione contingente
piuttosto che essere realmente protagonisti di
scelte inedite e consapevoli. Accettano, in altre
parole, di fare qualche piccola deviazione di per-
corso lungo il proprio cammino, ma non sono
disposti a rimettere in discussione la direzione
di marcia e la meta finale del sentiero intrapre-
so. E se questo può essere, talvolta, il segno di
una solida fedeltà alle proprie scelte esistenziali
e della capacità di tener fermi i propri obiettivi
e valori non negoziabili, rifuggendo dal rischio
di sprofondare nella voragine dell’incertezza e
del disorientamento, spesso può diventare anche
un alibi per non essere costretti ad impegnarsi
in un più faticoso lavoro interiore di conversione
del cuore e un vincolo che impedisce loro di in-
cludere nuove e più esigenti opzioni nel proprio
orizzonte di senso.
Perché, come amava dire qualcuno che del cam-
biamento ha fatto la propria ragione di vita, la
vera rivoluzione che ciascuno di noi ha il potere
di compiere, la sola che può realmente contribuire
a cambiare in meglio il mondo e la società che ci
circondano, è quella di cambiare prima di tutto se
stessi.
Foto Shutterstock.com
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Antonio Sala Dinamicoeintraprendente
è stato un grande
amministratore in senso
Un economo geniale
moderno. Alla sua
“visione” lungimirante
(continua)
e previdente si devono
molte opere che sono
un orgoglio attuale della
Congregazione. Ma
soprattutto intenso fu il
suo amore per don Bosco.
Il Capitolo Generale del 1880
elesse don Sala Economo Gene-
rale, che però per altri tre anni
rimase anche Economo di Val-
docco. Si mise subito al lavoro.
Nell’aprile 1881 fece riprendere
in Roma i lavori della chiesa del S.
Cuore e dell’abitazione dei salesiani.
Poi si interessò del nuovo fabbricato
di Mogliano Veneto e prese in esame
il progetto di un’ampia ristrutturazio-
ne della casa di La Navarra (Francia).
Ai primi di aprile dell’anno successi-
vo era di nuovo a Mestre per trattare
con la benefattrice Astori e per fare
un sopraluogo all’erigenda colonia
agricola di Mogliano; in novembre vi
accompagnò i primi quattro salesiani.
L’8 luglio 1883 sottoscrisse il capito-
lato dei lavori di costruzione dell’O-
spizio di S. Giovanni Evangelista in
Torino ed in autunno fece rimettere
in ordine gli ambienti della tipografia
di Valdocco, ivi compreso l’ufficio del
direttore, lo abbellì con tendine alle
finestre, “meritandosi” un benevolo
rimprovero di don Bosco per tali “raf-
finatezze di troppo”.
A metà gennaio 1884 per l’Esposi-
zione Nazionale della Scienza e della
Tecnica in Torino si decise di instal-
larvi la complessa macchina (acquista-
ta per la cartiera salesiana di Mathi),
che, partendo dagli stracci, sfornava
libri rilegati. Duro fu il compito di
don Sala perché a farla funzionare
fossero allievi salesiani adeguatamen-
te preparati. Fu un successo strepitoso
di pubblico e don Bosco si permise di
rifiutare un premio che non fosse il
primo assoluto. Poco dopo don Sala si
recò a Roma per accelerare i lavori del
S. Cuore onde ad inizio maggio don
Bosco potesse porre la prima pietra
dell’Ospizio, assieme al conte Colle
(che avrebbe portato con sé un’offerta
di ben 50 000 lire).
Ovviamente don Sala partecipava
alle sedute del Consiglio Generale
per dare il suo illuminato parere so-
prattutto sulle materie di suo interes-
se: accettazione di opere, fondazione
di una casa a Parigi, capitolato di
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4.9 Page 39

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Accanto: Lo stemma ufficiale della
Congregazione Salesiana, presentato
da don Sala.
A pagina precedente : La tomba di don
Bosco nel liceo salesiano di Valsalice.
quella di Lucca, sostituzione
di un vecchio forno con uno
nuovo proveniente da Vien-
na ad un prezzo di favore,
adozione di una “foresteria”
per il personale femminile di
Valdocco, preventivi di spese
di illuminazione delle case di
Vienna, Nizza Marittima e Milano.
Il 12 settembre presentò l’abbozzo
dello stemma ufficiale della Con-
gregazione Salesiana che, discusso e
corretto, fu approvato dal Consiglio.
Nella stessa seduta venne incaricato
di risolvere il contenzioso del terreno
di Chieri e della striscia di terreno
comunale di Torino utilizzata per la
chiesa di Maria Ausiliatrice, ma già
compensata con permuta. Seguirono
numerosissime sedute in settembre ed
ottobre con presenza saltuaria di don
Sala. Il 9 dicembre trattò dei problemi
economici di varie case, fra cui quella
di Sampierdarena, Napoli, Schio.
Il triennio 1885-1887
Per tutto l’anno seguente (1885) si in-
teressò di quella di Faenza per la qua-
le “si meritò” un altro paterno rimpro-
vero di don Bosco per eccessiva spesa
nelle fondamenta. In aprile assistette
ad una perizia eseguita al Collegio di
Lanzo su ordine del Tribunale Civi-
le di Torino. Il 22 giugno presentò e
fece approvare il disegno di innalzare
di un piano la casa delle a Nizza.
Per l’erigenda casa di Trento si assicu-
rò la disponibilità di adeguate risor-
se economiche locali, fiducioso della
collaborazione del Municipio, ma
messo sull’attenti da don Bosco che,
sempre vigile, gli faceva presente che
spesso “i Municipi promettono e non
attendono”. Il 20 settembre 1885 don
Sala riferì al Consiglio del terreno per
il camposanto dei salesiani acquista-
bile a 14 000 lire. Venne autorizzato
a cercare di abbassare il prezzo ed a
realizzare il progetto presentato.
Seguirono altri due anni di sedute di
Consiglio Generale, di viaggi per aiu-
tare le case in difficoltà per problemi
edilizi, amministrativi, economici.
Intanto era stato rieletto Economo
Generale (settembre 1886; sarebbe
stato rieletto ancora sei anni dopo) e
si preparava a predisporre tutto per la
solenne consacrazione della chiesa del
S. Cuore di Roma (14 maggio). Colà
pochi mesi dopo, su espresso invito
del papa, si nominò un nuovo Procu-
ratore ed un nuovo Parroco in sostitu-
zione di don F. Dalmazzo, e don Sala
ebbe mille grattacapi per sbrogliare la
matassa intricata di un’insostenibile
situazione economico-finanziaria.
Accanto a
don Bosco morente
(gennaio 1888)
Richiamato d’urgenza da
Roma il 30 dicembre, la mat-
tina di capodanno era già al ca-
pezzale di don Bosco. Per tutto
il mese si alternò con il giovane
segretario Viglietti nell’assistere
l’ammalato.
Morto don Bosco il 31 gen-
naio, la sera stessa il Consiglio
Generale “promette al Signore che se
la Madonna ci fa la grazia di poter
seppellire don Bosco sotto la chiesa
di Maria Ausiliatrice o almeno nel-
la nostra casa di Valsalice avrebbe
di quest’anno o almeno al più presto
possibile incominciati i lavori per la
decorazione della sua chiesa”. La ri-
chiesta formale avanzata da don Sala
alle autorità cittadine è respinta. Si
ricorre allora a Roma ed il Presiden-
te del Consiglio F. Crispi, memore
dell’aiuto datogli da don Bosco quan-
do era esule a Torino, concede la tu-
mulazione fuori città, nel collegio sa-
lesiano di Valsalice. Nel frattempo la
salma di don Bosco si trova nei pressi
della camera di don Sala. Il 4 febbraio
sera viene trasportato a Valsalice. Nel
piccolissimo corteo che sale la collina
don Sala piange: ha perso la persona
più cara che aveva ancora sulla terra.
Per altri sei anni però avrebbe conti-
nuato a svolgere con grande compe-
tenza l’arduo settore di lavoro che per
primo gli aveva affidato don Bosco. Il
21 maggio 1895 lo avrebbe raggiunto
in cielo, stroncato da un attacco car-
diaco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Una costellazione di santi
Occorre esprimere profonda gratitudine e lode a Dio per la santità già riconosciuta
nella Famiglia Salesiana di don Bosco e per quella in via di riconoscimento.
Elenco al 31 dicembre 2017
La Postulazione interessa 169 tra Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio, per un totale di 51 cause.
SANTI (9)
san Giovanni Bosco, sacerdote (data di ca-
nonizzazione: 1 aprile 1934) – (Italia)
san Giuseppe Cafasso, sacerdote (22 giu-
gno 1947) – (Italia)
santa Maria D. Mazzarello, vergine (24
giugno 1951) – (Italia)
san Domenico Savio, adolescente (12 giu-
gno 1954) – (Italia)
san Leonardo Murialdo, sacerdote (3 mag-
gio 1970) – (Italia)
san Luigi Versiglia, vescovo, martire (1
ottobre 2000) – (Italia-Cina)
san Callisto Caravario, sacerdote, marti-
re (1 ottobre 2000) – (Italia-Cina)
san Luigi Orione, sacerdote (16 maggio
2004) – (Italia)
san Luigi Guanella, sacerdote (23 ottobre
2011) – (Italia)
BEATI (118)
beato Michele Rua, sacerdote (data di bea-
tificazione: 29 ottobre 1972) – (Italia)
beata Laura Vicun˜a, adolescente (3 set-
tembre 1988) – (Cile-Argentina)
beato Filippo Rinaldi, sacerdote (29 aprile
1990) – (Italia)
beata Maddalena Morano, vergine (5 no-
vembre 1994) – (Italia)
beato Giuseppe Kowalski, sacerdote,
martire (13 giugno 1999) – (Polonia)
beato Francesco Ke˛sy, laico, e 4 compa-
gni martiri (13 giugno 1999) – (Polonia)
beato Pio IX, papa (3 settembre 2000) –
(Italia)
beato Giuseppe Calasanz, sacerdote, e
31 compagni martiri (11 marzo 2001) –
(Spagna)
beato Luigi Variara, sacerdote (14 aprile
2002) – (Italia-Colombia)
beato Artemide Zatti, religioso (14 aprile
2002) – (Italia-Argentina)
beata Maria Romero Meneses, vergine
(14 aprile 2002) – (Nicaragua-Costa Rica)
beato Augusto Czartoryski, sacerdote (25
aprile 2004) – (Francia-Polonia)
beata Eusebia Palomino, vergine (25 apri-
le 2004) – (Spagna)
beata Alexandrina M. Da Costa, laica
(25 aprile 2004) – (Portogallo)
beato Alberto Marvelli, laico (5 settembre
2004) – (Italia)
beato Bronislao Markiewicz, sacerdote
(19 giugno 2005) – (Polonia)
beato Enrico Saiz Aparicio, sacerdote, e
62 compagni martiri (28 ottobre 2007) –
(Spagna)
beato Zeffirino Namuncurà, laico (11 no-
vembre 2007) – (Argentina)
beata Maria Troncatti, vergine (24 no-
vembre 2012) – (Italia-Ecuador)
beato Stefano Sándor, religioso, martire
(19 ottobre 2013) – (Ungheria)
beato Tito Zeman, sacerdote, martire (30
settembre 2017) – (Slovacchia).
VENERABILI (16)
ven. Andrea Beltrami, sacerdote (data del
Decreto super virtutibus: 15 dicembre 1966)
– (Italia)
ven. Teresa Valsè Pantellini, vergine (12
luglio 1982) – (Italia)
ven. Dorotea Chopitea, laica (9 giugno
1983) – (Spagna)
ven. Vincenzo Cimatti, sacerdote (21 di-
cembre 1991) – (Italia-Giappone)
ven. Simone Srugi, religioso (2 aprile
1993) – (Israele-Palestina)
ven. Rodolfo Komorek, sacerdote (6 aprile
1995) – (Polonia-Brasile)
ven. Luigi Olivares, vescovo (20 dicembre
2004) – (Italia)
ven. Margherita Occhiena, laica (23 otto-
bre 2006) – (Italia)
ven. Giuseppe Quadrio, sacerdote (19 di-
cembre 2009) – (Italia)
ven. Laura Meozzi, vergine (27 giugno
2011) - (Italia-Polonia)
ven. Attilio Giordani, laico (9 ottobre
2013) – (Italia-Brasile)
ven. Giuseppe Augusto Arribat, sacerdo-
te (8 luglio 2014) – (Francia)
ven. Stefano Ferrando, vescovo (3 marzo
2016) – (Italia-India)
ven. Francesco Convertini, sacerdote (20
gennaio 2017) – (Italia-India)
ven. Giuseppe Vandor, sacerdote (20 gen-
naio 2017) – (Ungheria-Cuba)
ven. Ottavio Ortiz Arrieta, vescovo (27
febbraio 2017) – (Perù)
SERVI DI DIO (26)
(elenco in base al punto di avanzamento della causa)
Elia Comini, sacerdote (Italia)
Augusto Hlond, cardinale (Polonia)
Ignazio Stuchly, sacerdote (Repubblica Ceca)
Giuseppe Guarino, cardinale (Italia)
Antonio de Almeida Lustosa, vescovo (Bra-
sile)
Carlo Crespi Croci, sacerdote (Italia-Ecuador)
Costantino Vendrame, sacerdote (Italia-India)
Giovanni Swierc, sacerdote e 8 compa-
gni, martiri (Polonia)
Oreste Marengo, vescovo (Italia-India)
Carlo Della Torre, sacerdote (Italia-Thailandia)
Anna Maria Lozano, vergine (Colombia)
Matilde Salem, laica (Siria)
Andrea Majcen, sacerdote (Slovenia)
Carlo Braga, sacerdote (Italia-Cina-Filippine)
Antonino Baglieri, laico (Italia)
Antonietta Böhm, vergine (Germania-Messico)
Rodolfo Lunkenbein, sacerdote (Germania-
Brasile) e Simão Bororo, laico (Brasile) martiri
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Gennaio 2018

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
SALVATORE ORTU
DON GIUSEPPE
MARONGIU
Morto a Selargius (CA),
il 20 Aprile 2015, a 95 anni
Conobbi don Marongiu nel novembre del
1993, allorché andai a confessarmi da lui
presso la casa salesiana di viale fra Ignazio
a Cagliari. Il nostro non è stato certamente un
incontro casuale: io, infatti, da exallievo sa-
lesiano che aveva studiato al Pio XI di Roma,
feci ritorno ai salesiani dopo 30 anni!
Alla celebrazione delle esequie presieduta
dall’Arcivescovo di Cagliari, era presente una
folla di fedeli, oltre ai parenti, molti confratelli
salesiani – alcuni dei quali venuti da Roma,
giovani e meno giovani che volevano onorare
il loro “amico e maestro” che per generazioni
aveva trasmesso l’amore per don Bosco e so-
prattutto per l’Ausiliatrice.
Don Marongiu è stato per me la guida spiri-
tuale sin da quel lontano novembre 1993. An-
davo a trovarlo ogni settimana e tutti i giorni
lo chiamavo al telefono.
Egli mi raccontava ogni volta “qualcosa di
nuovo” e soprattutto sollecitava la mia mente
ed il mio cuore ad avere sempre fiducia nella
Provvidenza e in don Bosco.
Don Marongiu era sempre sereno e semina-
tore di gioia, in tutte le circostanze – soprat-
tutto quelle tristi – della vita. Lo hanno potuto
sperimentare tanti giovani che si sono avvici-
nati a lui, e ai quali ogni qualvolta andavano
a trovarlo – anche dopo tanti anni – ripeteva
costantemente: “Ricordati che sto sempre
pregando per tutti voi”.
Diversi suoi confratelli hanno potuto toccare
con mano la bontà di quest’uomo, vero prete
e soprattutto salesiano esemplare.
Mi piace, al riguardo riportare quanto di lui ha
scritto dopo la sua morte, il confratello don
Natale Idda.
“Ho vissuto una trentina d’anni, in tre fasi di-
verse insieme con don Marongiu, nell’Istituto
Don Bosco di Cagliari. Ringrazio davvero il
Signore di avermi fatto trovare in lui non solo
un confratello esemplare, ma anche un pre-
zioso confessore e padre spirituale, maestro
di vita religiosa e salesiana per tanti anni,
fino alla sua morte. Per una sessantina d’anni
quest’Opera ha goduto del ministero sale-
siano e sacerdotale di don Marongiu, speso
nell’attività educativo-didattica e pastorale.
Ricordo la sua presenza educativa in mezzo
ai ragazzi, anche quando ormai non faceva
più scuola, l’età avanzava e le forze venivano
meno: una presenza amorosa e paterna o,
soprattutto negli ultimi tempi, da... nonnino
premuroso e affettuoso, sempre condita di
allegria salesiana...”
Questa e tante altre voci ribadiscono la bella
testimonianza di fede e vero sacerdote – fi-
glio di don Bosco – manifestata soprattutto
attraverso la presenza nel confessionale, dove
ha sempre testimoniato la misericordia di Dio
anche agli stessi confratelli e a tantissimi
giovani che per diverse generazioni hanno
trovato conforto nelle sue parole e nelle sue
preghiere.
D’altronde non poteva che essere così, e so-
prattutto in relazione a quel “filone” che gli
era stato indicato da quando era un giovane,
prima di abbracciare la carriera religiosa.
Don Marongiu, dopo tanti anni che l’ho co-
nosciuto, mi ha confidato che era stato “chia-
mato dalla Madonna il giorno della festa di S.
Maria degli Angeli; non ricordo bene il giorno,
ma era ai primi di agosto del 1936. In effetti,
dopo aver ricevuto l’estrema unzione”, essen-
do ormai vicino il suo trapasso terreno, mi
disse che la Vergine gli era apparsa e che gli
aveva detto che sarebbe diventato sacerdote.
Non poteva, al riguardo che essere salesiano
ed occuparsi soprattutto dei giovani, essendo
nato il 24 gennaio 1920, festa di S. France-
sco di Sales, santo e dottore della Chiesa al
quale don Bosco si è ispirato, chiamando,
tra l’altro, la Congregazione salesiana da lui
fondata, dandogli così il nome del Santo. Don
Michelangelo Dessì, nell’omelia del funerale
ha testualmente detto: “Grazie, Padre buono,
per don Marongiu! Grazie, perché attraverso
di lui, ci hai dato di toccare con mano la tua
presenza nella nostra vita. In modo semplice
e reale: sì, perché la realtà è molto semplice.
Quella di un amore, il tuo, Signore, tangibi-
le attraverso quelle mani sempre calde che
cercavano le tue, per riscaldarti il cuore; un
amore, il tuo, Signore, visibile in quegli occhi
vispi e furbi che incrociavano luminosi i tuoi,
a volte spenti, per trasmettere coraggio...:
un amore, il tuo Signore, presente nel suo
esserci all’ingresso, all’uscita, a ricreazione,
sempre in mezzo ai suoi ragazzi, tutti i giorni,
ogni giorno, avvolto nella sciarpa sempre un
po’ troppo lunga; un amore, il tuo, Signore,
allegro e gioioso, nelle sue battute semplici,
nelle barzellette, nei giochi di parole, nelle ci-
tazioni di brani di Dante o di Manzoni, nelle
declinazioni greche o latine, interrogate per
le scale, un modo come un altro per fermar-
si a chiacchierare e a dialogare con ragazzi,
genitori, confratelli; un amore il tuo, Signore,
interessato alla singola persona, alla tua fami-
glia, alla tua salute, alla tua anima; un amore,
il tuo, Signore, avvolgente nella confessione,
semplice, breve, essenziale, liberante, ras-
serenante, per i ragazzini, per i giovani, per
i confratelli salesiani come per i vescovi; un
amore, il tuo, Signore, che ci ha raggiunti, che
si è reso visibile in don Marongiu...”.
Le parole di don Michelangelo sono perfetta-
mente in linea con la figura e il “carisma” del
mio padre spirituale, dettate dalla conoscenza
e dalla frequentazione sua con questo santo
ed amabile sacerdote.
Non finirò mai di ringraziare il Signore di
averlo messo nel mio cammino terreno.
Quante preghiere ed Ave Maria dette insieme
ogni volta che ci incontravamo. Io gli citavo
la famosa frase di don Orione: “Ave Maria ed
Avanti” e lui aggiungeva: “Ave Maria ed avanti
tutti e tre insieme”.
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UNA TRISTE SENTENZA
Come ben sappiamo, l’età media degli italiani si è innalzata, si vive più
a lungo, aiutati dalle conquiste della medicina e da condizioni di vita
più salutari e meno faticose. Invece, nell’Ottocento, all’epoca in cui vis-
se don Bosco, quando era impossibile combattere persino i virus meno
pericolosi, la speranza di raggiungere un’età avanzata era solo una mera
speranza nella maggioranza dei casi, complice anche un’esistenza di
stenti e di privazioni. Nella sua stessa famiglia la longevità era una pa-
rola sconosciuta: il padre morì a 33 anni e due suoi fratelli, Antonio e
Francesco, morirono rispettivamente a 41 e 49 anni. A 68 anni, per una
polmonite, invece, si spense mamma Margherita. Don Bosco rappre-
senta quasi un’eccezione, avendo vissuto 73 anni, nonostante non si fosse mai risparmiato nel lavorare
e nel dedicarsi agli altri. Quando il nascente oratorio trovò dimora a Valdocco, le difficoltà economiche
moltiplicarono gli sforzi del Santo nel trovare soluzioni ai problemi. Probabilmente anche per questo il
suo fisico, sfinito dalla fatica, si era tanto indebolito che mentre si trovava in visita alla casa salesiana
di Varazze, il 7 dicembre 1871, ad appena 31 anni, nel pieno del vigore, fu colto da una XXX. Dopo
pochi giorni le sue condizioni si aggravarono e apparve in
punto di morte. La notizia si diffuse rapidamente tra i giovani
di don Bosco e nella città di Torino. Una preghiera collettiva,
sincera e altruista, si levò verso il Padre Celeste in richiesta
della guarigione di quell’uomo tanto generoso. Ci fu anche
chi digiunò. 50 giorni dopo l’inizio del malanno, i medici sen-
tenziarono un esito fatale. Eppure, dopo un profondo sonno
che il Santo stesso definì miracoloso, cominciò a riprendersi
del tutto. E si convinse che l’evento fu principalmente merito
di Dio e delle accorate preghiere dei giovani salesiani.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Messo a co-
noscenza riguardo qualcosa - 5. Così
sono gli occhi che catturano l’attenzio-
ne - 13. Mezzo errore - 14. La guidò
Gheddafi per 42 anni - 15. Vi nacque
Gandhi - 17. Due latini - 19. La re-
gione degli antichi beoti - 21. Divisa,
spezzata - 23. Si consulta prima di
una partenza - 25. Signoria Vostra -
27. L’ex presidente americano Nixon
(iniz.) - 28. A te - 29. XXX - 33. Si
osserva con la pulizia - 35. Crudel-
tà, efferatezza - 37. Antico precettore
- 39. Dà il titolo a un capolavoro di
Dostoevskij - 40. La quarta preposi-
zione - 42. La … caramel tipo di bu-
dino - 44. Andata in poesia - 46. Il
simbolo della Ferrari.
VERTICALI. 1. Vi regnava il Ne-
gus - 2. Le vocali in forse - 3. Tirar
fuori - 4. I sudditi di Priamo - 5.
Malsane esalazioni - 6. Iniziali di
Banderas - 7. Un formato di imma-
gini usato nel Web - 8. Genere lette-
rario - 9. Mezzo Titano - 10. Con-
torta, aggrovigliata - 11. Consiglio
d’Amministrazione - 12. Si ripetono
in bici - 14. Non qui - 16. Un…
inquilino della città - 18. Mira al
centro! - 20. Il sei rovesciato - 22.
Oscura caverna - 24. Comodità, be-
nessere - 26. Varese (sigla) - 30.
Sono dispari in Luanda - 31. Il gio-
co a schedine per scommettere sulle
corse dei cavalli - 32. Vocali dei
cani - 34. La famosa Lollobrigida -
36. Alla fine dei conti - 38. Croce
Rossa Italiana (sigla) - 39. Posto in
basso, profondo - 41. La nota che
si chiede - 42. La fondò don Gius-
sani (sigla) - 43. I confini dell’Eden
- 45. Alleanza Nazionale (sigla).
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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Il fuggiasco
Un giorno, un giovane che
sfuggiva ad un implacabile
nemico arrivò in un villag-
gio.
Gli abitanti lo accolsero con
cortesia e gli offrirono un
nascondiglio sicuro.
Il giorno dopo arrivarono i soldati
che lo inseguivano. En-
trarono di forza nelle case,
perquisirono cantine e sof-
fitte e poi radunarono nella
piazza tutti gli abitanti del
villaggio.
«Appiccheremo il fuoco al
villaggio e passeremo per le
armi tutti gli uomini se non
ci consegnerete quel giovane
prima dell’alba di domani»,
gridò il loro comandante.
Il capo del villaggio, lace-
rato dal dilemma se conse-
gnare il ragazzo ai soldati
o fare uccidere la sua gente,
si ritirò in camera e aprì il
grande Libro, sperando di
trovarvi una risposta prima
dell’alba. Dopo molte ore,
di prima mattina, il suo
sguardo cadde su queste pa-
role: «È meglio che perisca
un solo uomo piuttosto che
si perda tutto il popolo».
Il capo del villaggio chiuse
il Libro, chiamò i soldati
e indicò loro il nascondiglio del
ragazzo.
Dopo che i soldati ebbero portato
via il fuggiasco per ucciderlo, al vil-
laggio vi fu una festa perché il capo
aveva salvato le loro vite e il villag-
gio. Ma il capo non si unì ai festeg-
giamenti. Oppresso da profonda
tristezza rimase nella sua stanza.
La notte, un angelo andò da lui e gli
chiese: «Che cosa hai fatto?».
Ed egli rispose: «Ho consegnato il
fuggiasco al nemico».
L’angelo allora disse: «Ma non sai
che hai consegnato il Messia?».
«Come potevo saperlo?», replicò il
capo del villaggio angosciato.
E l’angelo: «Se invece di leggere il tuo
Libro fossi andato una sola volta a tro-
vare quel ragazzo e lo avessi guardato
negli occhi, lo avresti saputo».
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Siamo rimasti
con loro
Le opere salesiane
in Siria
In prima linea
Don Bosco in Siberia
Don Jozef Toth
missionario salesiano
in Yakutia, Russia
Incontri
Un salesiano
in prigione
Don Francesco Bontà
nel carcere minorile
Bicocca di Catania
Il loro ricordo
è benedizione
L’angelo dei lebbrosi
Don Gaetano Nicosia
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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