Bollettino_Salesiano_201701

Bollettino_Salesiano_201701



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IL
GENNAIO
2017
Le case di
don Bosco
San
Benigno
L’invitato
Horacio
López
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Poster:
strenna
2017
I nostri eroi
Don Beltrami

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
Ldeallefcinaemsetrraette
Sono la finestra di un posto unico, che
migliaia di persone visitano con com-
mozione ogni anno.
Sono una delle finestre delle camerette
di don Bosco a Valdocco.
Proprio qui, dietro di me si radunarono
quei primi giovani pieni di sogni, che si fecero
da subito chiamare “Salesiani”.
Qui, ho sentito Domenico Savio dire a don
Bosco che voleva farsi santo. Ho visto il chierico
Rua, prostrato davanti a don Bosco, prometter-
gli di donare la sua vita per vivere per primo da
salesiano.
Alla sera tardi don Bosco si fermava qualche
volta sul balcone davanti a me a contemplare il
cielo stellato e, immemore della stanchezza, trat-
teneva i chierici che lo avevano accompagnato
parlando dell’immensità del creato, dell’onnipo-
tenza e della sapienza divina.
Laggiù, dove adesso c’è l’altar maggiore della
Basilica di Maria Ausiliatrice, sorgeva il famoso
gelso, sul quale egli salì più volte per salvare dal
pericolo di una caduta tanti ragazzi, tra cui Re-
viglio, che era rimasto lassù mezzo tramortito, e
che poi fu il primo dei suoi allievi a raggiungere
il sacerdozio.
La sera era il momento più bello. Alla sera, i
ragazzi tornavano dalle scuole di don Picco e
di Bonzanino, e gli artigiani dalle officine, si
affacciavano in cucina con la scodella in mano
aspettando che don Bosco, con il suo grembiale e
con il mestolo in mano, versasse loro la minestra.
Un po’ più avanti, subito oltre l’antica Via della
Giardiniera, nella bella stagione don Bosco si
sedeva per terra, circondato da una folla di gio-
vani, avidi di ascoltarlo.
Qui, sotto di me, c’era l’orticello di Mamma
Margherita, e attorno al misero steccato si
facevano le devote processioni con la statua
di san Luigi o della Consolata, e accanto alla
statua, con la torcia in mano, si videro spesso
anche il marchese Gustavo e il conte Camillo
di Cavour.
Quando fu edificato il porticato che vedete lag-
giù, su una predella traballante don Bosco dava
le sue gustosissime “buone notti” ai suoi figli
che lo ascoltavano incantati.
Quante volte don Bosco spalancò le mie ante
per far cadere bigliettini, con consigli e ammoni-
menti, sul capo di questo o di quel ragazzo.
E tutti azzeccati!
Non è pioggia quella che scorre sui miei vetri.
Anche le finestre piangono. Quello che vedete
qui, proprio dietro di me, è il letto da cui don
Bosco spiccò il volo per il cielo, al suono dell’Ave
Maria, mormorando che aspettava tutti in Para-
diso. Forse anche la sua povera finestra.
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Gennaio 2017

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La copertina:
Sotto lo sguardo
di don Bosco
“Siamo Famiglia!”.
(Disegno di Stefano Pachì)
B n !!!
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
Qual è il tuo sogno?
8 SALESIANI NEL MONDO
Dalla strada a una nuova vita
12 L’INVITATO
Horacio López
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Giacomo Begni
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
San Benigno
28 FMA
20 stelle brillano a Rijeka
30 I NOSTRI EROI
Don Andrea Beltrami
33 ABBIAMO BISOGNO DI VOI!
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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12
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Hélène
Bossière-Mabille, Adriano M.
Bucalo, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, C.M. Paul, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Luca
Rivelli, Luca Treglia, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
«Don Bosco Mi dicono ad Aleppo: tutti i
salesiani sono rimasti qui e portano
il riflesso del Padre che amiamo.
è più vivo che mai!»
A mici lettori del Bollettino Salesiano e
mia carissima Famiglia salesiana, vi
scrivo questo saluto, il primo del nuo-
vo anno, dopo un accorato dialogo con
il superiore dell’Ispettoria Salesiana
del Medio Oriente. Proprio lui, Abu-
na Munir El Raì, siriano e nativo di Aleppo, mi
parlava della sua città con le lacrime agli occhi,
non soltanto per il dolore e le strazianti sofferenze
della sua gente, ma anche per le incredibili e pre-
ziose realtà che vede fiorire in mezzo ai proiettili,
le bombe e le distruzioni.
Mi diceva: don Bosco è vivo, più vivo che mai
in Siria, ad Aleppo. Fra desolazione e macerie, la
casa salesiana apre tutti i giorni le sue porte per
accogliere centinaia di bambini, ragazzi e giova-
ni, perché vogliamo fortemente che in mezzo a
tanta morte continui la vita. E posso affermare
che invece di diminuire, il numero di giovani
continua ad aumentare. Mi emoziona vedere più
di millecinquecento ragazzi e giovani, il doppio
di prima, che vogliono venire nella casa di don
Bosco per incontrarsi con gli altri, per vivere, per
pregare, per giocare.
E aggiungi questo: voglio dirti che se c’è una cosa
che mi commuove fino alle lacrime è che tutti i
miei fratelli salesiani hanno preferito restare con la
loro gente. Avevano il diritto di andarsene e pote-
vano farlo tranquillamente, ma nessuno ha lasciato
il suo posto e condividono tutti la stessa sorte.
L’ho ascoltato senza poter dire una parola tanto
ero intensamente coinvolto e intimamente scosso.
Ne sono certo. Don Bosco è più vivo che mai.
Sicuramente in Paradiso, nella Vita Altra che è
la Vita in Dio, però anche qui, tra di noi e con
noi, perché sono centinaia i salesiani, i fratelli e
le sorelle, laici e giovani che mantengono vivo il
suo sogno e continuano il suo impegno educativo
ed evangelizzatore, l’incontro personale con ogni
ragazzo e ogni giovane.
Come dice il canto: «Dico che Giovanni Bosco è
vivo e ha intrapreso mille iniziative.
Non vedi la sua sollecitudine di padre che opera
adesso in tutto il mondo?
Non lo senti intonare il suo canto a tante figlie, a
tanti figli,
che portano questi riflessi del Padre che amiamo?
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Questi figli e queste figlie sono seguaci di puro amore
e fede, e sacrificio:
tutti dei giovani, tutti di Cristo...
come il Padre don Bosco, si commuovono nel loro
intimo
e si impegnano di fronte al dolore del giovane che si è
trovato in difficoltà».
Nei tanti “Valdocco” del mondo
Il miracolo che vi racconto di Aleppo potrei dirlo
di molti altri luoghi.
Uno degli impegni che con più insistenza don Bo-
sco ricordava ai salesiani, specialmente ai primi
missionari che partivano per l’America, era que-
sto: «Abbiate cura specialmente degli ammalati,
dei piccoli, degli anziani e dei poveri». Questo
spiega il miracolo salesiano di Aleppo. È una casa
dove ognuno può trovare posto. Non troveranno
molto da mangiare, perché manca dappertutto,
ma continua il canto alla vita e la scommessa sul
futuro in una situazione in cui tutto parla solo più
di morte.
Tutto questo mi riempie di gioia e fa rinascere in
me parole di ammirazione e gratitudine per don
Bosco che, senza alcuna presunzione, fu grande
perché con uno sguardo, il silenzio, una parola ar-
rivava nel profondo del cuore delle persone. Come
succede oggi nei tanti “Valdocco” del mondo.
Questi sentimenti mi fanno ricordare un piccolo
fatto che ci parla del gran cuore di don Bosco. È
soltanto un aneddoto breve ma molto indicativo.
Lo racconta, alcuni anni dopo la morte di don
Bosco, un salesiano, don Alessandro Luchelli,
che trascorse vari anni a Valdocco con don Bosco.
Nel 1884, ricorda don Alessandro, la disciplina
nell’Oratorio di Valdocco (Torino) era diventata
molto severa, in senso contrario alla tradizione
salesiana. Don Bosco stesso, che lì abitava, as-
sisteva con tristezza ad alcuni fatti. La famosa
“Lettera da Roma” testimonia questa sua preoc-
cupazione. «Un giorno» narra don Alessandro
«avevo l’incarico di sorvegliare una fila di ragazzi
che aspettavano il loro turno per salire nello stu-
dio comune. Li tenevo ben disciplinati con uno
sguardo severo e un tantino minaccioso perché
mantenessero ordinata la fila. In quel momento
passò don Bosco, mi mise la mano sulla spalla e
mi disse: “Ma lascia un po’ stare”. A don Bosco
non piacevano le file. Le tollerò soltanto quan-
do il numero dei giovani era tanto aumentato che
pareva non si potesse fare altrimenti».
È solo una delle tante testimonianze che ci parla-
no del cuore di un padre che si preoccupa anche
delle cose più semplici della casa, della famiglia,
dei giovani della casa salesiana. Come ad Aleppo,
come in Sierra Leone, come in Ghana, come a
Ciudad Don Bosco in Colombia e come in Etio-
pia, come con i ragazzi rifugiati accolti nelle case
salesiane in Germania... e centinaia e centinaia di
casi che potrei aggiungere.
Questo il messaggio che vi lascio oggi, insieme ad
Abuna Munir di Aleppo: don Bosco è vivo! Vive
nella quotidianità delle case salesiane del mondo
e nella dedizione appassionata di tanti suoi figli,
religiosi, religiose, laici di tutto il mondo che fan-
no di tutto, nella semplicità della loro vita, per
“essere don Bosco oggi”.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Qual è il tuo sogno?
“I giovani d’oggi” ci sono eccome. Sono lì, nascosti dietro
un banco di scuola ad assorbire quanto di più importante
è ritenuto dalla società. I giovani ci sono e hanno una voce,
perché anche se non sembra questa voce è fatta di pensieri,
di opinioni, di sogni, di idee.
Raccontare. È questa la parola chiave, raccontare.
I giovani hanno bisogno di raccontarsi, hanno bisogno
di qualcuno che dica loro «dimmi cosa pensi, dimmi tu chi
sei e chi vuoi essere».
In ogni numero del Bollettino lasciamo uno spazio per loro.
Alessio: «Io resto
nella mia terra»
Probabilmente, preso dal tempo che
passa e dagli impegni che ogni gior-
no la vita mi mette davanti, non ci ho
mai pensato seriamente! Così, adesso
che mi si presenta questa possibilità,
ho deciso di fermarmi e rifletterci un
po’ su, al fine di rispondere in manie-
ra soddisfacente a questa “domanda
da un milione di dollari”. Perché da
un milione di dollari? I più potrebbe-
ro dire “beh Ale devi solo dire ciò che
vuoi che accada, che ci vuole”. In real-
tà, a mio modo di vedere le cose, un
sogno non è un desiderio da esprime-
re come se si avesse davanti il genio
della lampada. Un sogno caratterizza
l’esistenza di una persona, la innalza e
la mette di fronte a delle scelte chiare,
precise e concise, senza lasciar spazio
a tentennamenti o indecisioni varie. È
il banco di prova su cui ogni uomo de-
cide di impostare la propria vita (vedi
don Bosco). È per questo che non si
può essere scontati quando si deve ca-
pire su che cosa sognare. Bene, dopo
questa lunga ma doverosa premessa,
si può rispondere alla tanto agognata
domanda. Risponderò secondo quel-
lo che sento in questo momento, la-
sciandomi trasportare dalle emozioni
che mi suscita, senza essere un freddo
e cinico “spettatore della realtà”. Già,
perché in questo periodo sento spes-
so frasi del tipo “il futuro è fuori da
qui” o “rimanendo in Calabria non
combinerai nulla” o ancora “non vedo
l’ora di andar via da qui”. Tutte frasi
che esprimono bisogni, necessità e se
vogliamo anche stati d’animo. Perché
spesso ciò che succede intorno a noi
condiziona le nostre risposte. Soprat-
tutto qui al sud, dove la visione delle
cose è ristretta a ciò che succede nel
vicinato, assoggettata a una mentalità
di paese, dove si preferisce lasciare la
propria terra piuttosto che mettersi in
prima linea per un futuro migliore.
Alla luce di tutto questo il mio sogno
è trovare e radunare sempre di più quei
giovani che, come me, hanno a cuore
la propria terra e vogliono valorizzarla
per quello che ha da offrire, senza in-
vece abbandonarla al proprio destino,
ricordandosene magari solo quando
chi è al potere ne fa ciò che vuole e
la la mette dentro fatti di cronaca,
parlando di ’ndrangheta o di altre cose
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illegali. Io faccio parte di quei giovani
che nel Sud hanno visto, oltre che la
terra dove sono nati e cresciuti, anche
un posto da innalzare e da mettere al
pari di altre zone d’Italia per bellezza
e sviluppo. Sono di quelli che, con lo
sguardo al futuro, lottano quotidiana-
mente perché il sud non rappresenti
solo la punta dello stivale, ma diventi
ben presto una solida realtà dove ma-
turare. So che non sarà facile coltivare
questo sogno, perché i sogni impor-
tanti non sono mai semplici, ma non
mi tiro indietro. Difficile non vuol
dire necessariamente impossibile. Già
siamo in tanti ma so che possiamo es-
sere sempre di più. Dopotutto al Sud
abbiamo “la testa dura come un muro,
ma un cuore grande come il mare”.
domanda sia un po’ soggettiva e allora
cerco dentro di me che cosa voglio un
domani dalla mia vita.
Sogno di indossare il camice bianco, ma
non tanto per essere orgogliosa di me
stessa per essere diventata un medico,
ma principalmente per far capire agli
altri che un modo per guarire esiste. E
non è la medicina o l’operazione, oddio
quelli aiutano, sì, ma soprattutto è la
voglia di guarire, l’intenzione di vede-
re il positivo in ogni circostanza e non
buttarsi giù già dall’esito di un esame.
Magari non riuscirò in questo, ma al-
meno il camice bianco deve essere mio.
Katia: «Voglio
realizzare qualcosa
per i bambini»
“E vissero felici e contenti”... è la fra-
se con la quale di solito si concludono
le fiabe. Questa felicità, della quale si
parla, è l’espressione del desiderio che
si realizza, di quel sogno che si esau-
disce, infatti: “I sogni son desideri...
di felicità!” (Cenerentola). Il fine di un
sogno che si realizza è proprio quello di
portare felicità, perché è qualcosa che
si insegue fino alla fine, quando poi si
scopre che è valsa la pena di lottare.
A differenza delle fiabe, però, nella
vita reale non è così semplice. Si af-
frontano prove e si superano ostacoli,
ma alla fine se si è convinti che ve-
ramente quel sogno è importante, si
raggiunge.
Io amo i bambini e il mio sogno è rea-
lizzare qualcosa per loro e per la loro
felicità.
Magari indossare un camice da pe-
diatra e sentire il battito del loro cuo-
re o essere una brava logopedista per
aiutarli a pronunciare correttamente
le parole.
Dare una mano a quei piccoli bambi-
ni meno fortunati di altri attraverso
una giusta assistenza e chissà, ma-
gari un giorno fare un grande passo,
trovando una giusta cura per le loro
malattie diventando una genetista.
Ma tutto ciò senza mai perdere il
sorriso, perché è il primo elemento
del quale un bimbo si innamora!
Giulia: «Sogno
di indossare
un camice bianco»
Il mio sogno non è la pace nel mondo
o immaginare un mondo senza guer-
ra. Anche se vorrei davvero che que-
ste cose si realizzassero e che ci fos-
se uguaglianza per tutti, ma da sola
come potrei riuscirci? Credo che la
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SALESIANI NEL MONDO
P. CROOKER; foto: DON BOSCO MISSION BONN / ICHTV_PATRICIO CROOKER
Trad. di Marisa Patarino
a uDnalalansutroavdaa vita
Fernando è vissuto a lungo per le strade
della metropoli boliviana di Santa Cruz.
Fame, droga e violenza lo accompagnavano
ogni giorno. Ora questo ragazzo di 16 anni ha
deciso di cambiare completamente vita e si è
trasferito al “Techo Pinardi”, una residenza
dei Salesiani di don Bosco. Era stato qui
più volte e aveva cercato di cominciare una
nuova vita, ma era sempre tornato sulla
strada. Questa volta però vuole farcela!
Il sole tramonta all’orizzonte, c’è una forte
umidità e il traffico continua ad aumentare.
Innumerevoli ragazzi di strada si accalcano a
un incrocio tra le strade principali di Santa
Cruz. Molti di loro sniffano “Clefa”, una colla
che funge da droga e fa dimenticare la fame,
il dolore e la stanchezza.
Anche il sedicenne Fernando è vissuto per molti
anni per le strade di Santa Cruz. Al momento si
trova in una delle case di don Bosco della metro-
poli boliviana.
Come la maggior parte dei ragazzi di strada, an-
che Fernando proviene da una famiglia povera di
una delle zone periferiche di Santa Cruz. Non ha
mai conosciuto sua madre. Ha pochi contatti con
il padre, un meccanico di auto. Lui e suo fratello
sono cresciuti con una zia.
«Voglio cominciare una nuova vita», dice nella casa
in cui abita ora, il “Techo Pinardi”, un istituto per
adolescenti che vivono per strada. È la terza volta
in cui Fernando torna al Don Bosco. Questa volta
fa davvero sul serio. «Vorrei trovare un lavoro e po-
ter acquistare qualcosa che mi piace», spiega.
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La vita nella strada
è difficile
Il “Techo Pinardi” si trova al centro di Santa
Cruz. Un alto muro di filo spinato circonda la
casa e una robusta porta di metallo custodisce
l’ingresso. Dietro la porta si cela un bel cortile
interno con grandi alberi e molto spazio per gio-
care a calcio. Ogni stanza del pensionato è dotata
di sei letti a castello.
Fernando ha deciso da solo di tornare al Don Bo-
sco. «Non volevo più stare per strada. Qui si vive
molto meglio», confida. Al pensionato i ragazzi
ricevono gratuitamente la colazione, il pranzo e la
cena. Vengono loro consegnati abiti puliti e pos-
sono fare la doccia. Per strada Fernando dormiva
su una scatola di cartone ripiegato, come i suoi
amici. I ragazzi a volte dormivano in un albergo a
ore a buon mercato, dove fino a dieci ragazzi con-
dividevano una camera per l’equivalente di circa
tre euro a notte.
La vita per strada è difficile. Fernando spiega:
«Bisogna sempre trovare denaro per mangiare
qualcosa. Non siamo graditi a nessuna delle per-
sone che ci circondano». Come la maggior parte
dei suoi amici, Fernando lavava i vetri delle
auto. I ragazzi lavoravano giorno e notte,
finché avevano denaro a sufficienza per un
albergo, per comprare droga o indumenti.
Nelle giornate favorevoli Fernando guada-
gnava tra 15 e 20 euro. In genere spen-
deva due euro al giorno per acquistare
sostanze stupefacenti, tra cui la ma-
rijuana, la sua droga preferita. «La
maggior parte dei ragazzi di strada
beve alcol e assume droghe pesanti
come il crack», spiega uno psicologo
del “Techo Pinardi”. Alcuni ragazzi
di strada arrivano e poi se ne vanno
subito. Non resistono senza droga.
Anche Fernando avverte spesso il
«Qui la vita è tutta
un’altra cosa»
afferma Fernando.
Sotto: Davanti alla
casa salesiana
con Padre Ottavio
Sabbadin.
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SALESIANI NEL MONDO
desiderio di assumere sostanze stupefacenti e di
“sballare”. Questa volta però non vuole cedere.
Nella Casa Don Bosco i giovani devono svolgere
ogni giorno determinati compiti. Aiutano a pre-
parare la prima colazione, apparecchiano la tavola
e lavano i piatti. Si occupano anche della cucina e
dei bagni. Hanno però anche tempo per giocare a
calcio, l’attività preferita di Fernando. «Se potessi
esprimere un desiderio, vorrei che qualcuno dalla
Germania ci mandasse un buon pallone per gio-
care a calcio! Sarebbe fantastico», dice sorridendo.
Il sacerdote salesiano Ottavio Sabbadin ha fonda-
to 25 anni fa a Santa Cruz l’istituto per i ragazzi
di strada e ancora oggi si impegna per loro. Il sa-
cerdote italiano ritiene che la ragione principale
del gran numero di ragazzi di strada a Santa Cruz
sia l’emigrazione sempre più massiccia di famiglie
dalla campagna alla città. Spesso arrivano a San-
ta Cruz 50 persone al giorno. Sperano di trovare
qui una vita migliore, un lavoro. Le probabilità di
riuscirci sono però scarse.
La storia di Freddy Mogro
Il “Techo Pinardi” all’inizio era un punto di ri-
ferimento per i ragazzi di strada. I ragazzi e i
ragazzi vi ricevevano qualcosa da mangiare, po-
tevano lavarsi e dormire. Don Ottavio riscontrò
però che non bastava. Aprì dunque la Casa Don
Bosco per 24 ore, sette giorni alla settimana. «Di
notte la strada è sempre stata molto pericolosa.
Ormai lo è anche di giorno», spiega il Salesiano.
La Congregazione gestisce complessivamente
sei dormitori per ragazzi e giovani a Santa Cruz.
Le case sono state costruite con l’aiuto dell’Italia
e della Germania. Non è arrivato alcun soste-
gno da parte del governo o delle istituzioni della
Bolivia.
Don Ottavio ritiene che sia importante costrui-
re relazioni con i giovani. «Sono convinto che
una persona sia felice quando è amata e che pos-
sa anche ricambiare questo amore. Questo è lo
scambio perfetto», dice. Ritiene che la sua opera
sia soddisfacente se riesce a condurre un giovane
sulla buona strada. Prova un’immensa gratitudine
quando i giovani che ha aiutato in passato gli pre-
sentano la loro famiglia e gli chiedono di battez-
zare i loro ragazzi. Alcuni di loro tornano anche
al pensionato a prestare il loro aiuto.
Un grave problema a Santa Cruz è quello delle
bande giovanili. Molti ragazzi e giovani che vi-
Nella Casa Don
Bosco i giovani
devono svolgere
ogni giorno
determinati
compiti. Aiutano
a preparare la
prima colazione,
apparecchiano
la tavola e lavano
i piatti.
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vono per strada si aggregano in gruppi. «Non si
tratta più soltanto di bande, ma sono anche di-
ventati più violenti. Soprattutto, si rivolgono a
tutte le età», dice don Ottavio.
Fernando non ha mai fatto parte di una banda,
ma con i suoi amici era regolarmente implicato in
giri di furti. Sono stati spesso coinvolti in risse e
hanno avuto conflitti con la polizia. «Soprattutto
per i ragazzi più piccoli, vivere per strada è molto
difficile. Devono essere protetti dai bulli», spiega
Fernando. Il sedicenne ha vissuto anche esperien-
ze molto negative. Accoltellamenti e inseguimen-
ti in auto, in aggiunta ad alcune vicende di cui
preferisce non parlare.
Anche Freddy Mogro, come Fernando, era un
ragazzo di strada e ha abitato al “Techo Pi-
nardi”. Il giovane ha trovato la sua strada e ora
lavora come educatore nel “Barrio Juvenil”, un
altro pensionato di don Bosco per i giovani.
«Quando sono entrato per la prima volta in que-
sta struttura, quasi tutti i volti che ho visto mi
erano familiari. Avevo conosciuto molti di quei
ragazzi per strada», ricorda Freddy. «Mi sono
subito trovato bene qui al Don Bosco! Ho anche
potuto conoscere persone nuove, come i volon-
tari provenienti dalla Germania, dalla Spagna e
dall’Italia». Avvertiva però ancora un gran desi-
derio di tornare per strada. Ha dovuto compiere
diversi tentativi, prima di decidere di condurre
una vita “normale”. Ora Freddy, che ha 23 anni,
oltre a svolgere il suo lavoro presso il Don Bo-
sco, studia. È un ottimo educatore e lavora con
successo tra i ragazzi. Ritiene che questo risul-
tato sia anche dovuto alla sua passata esperienza
di bambino di strada: «Molti ragazzi di strada
mi conoscono e sanno che io ho il loro stesso
destino. Questo crea fiducia!».
Fernando è tornato al “Techo Pinardi”. Vuole
dare un’opportunità alla sua vita. Molti altri ra-
gazzi e adolescenti non hanno ancora compiuto
questo “salto”. Don Bosco li accompagnerà. Tutti
meritano una possibilità.
Come la maggior
parte dei suoi
amici, Fernando
lavava i vetri delle
auto. I ragazzi
lavoravano giorno
e notte, finché
avevano denaro
a sufficienza per
un albergo, per
comprare droga o
indumenti. Nelle
giornate favorevoli
Fernando
guadagnava tra
15 e 20 euro. In
genere spendeva
due euro al giorno
per acquistare
sostanze
stupefacenti.
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
«Con don Ángel
faccio il giro del mondo!»
Incontro con don Horacio López
segretario personale del Rettor Maggiore
Com’è nata
la tua vocazione?
Vorrei dire “quasi per scherzo”. Ma quel
“sì” che ho detto a 17 anni è stato il “sì”
alla base di tutti gli altri “sì” della mia
vita sino a oggi. Fino a quel momento
io non volevo farmi religioso salesiano,
e nemmeno prete diocesano. Ma vole-
vo essere “salesiano” per sempre, per-
ché avevo scoperto che volevo restare
con don Bosco. Mi preparavo infatti
a fare la promessa come salesiano co-
operatore (l’ho fatta poco prima dei
diciott’anni). Il mio progetto era di di-
ventare professore di lingua (spagnola)
o di musica, o anche di matematica o,
possibilmente, di teologia (mi piaceva
quasi tutto) e vivere intensamente l’im-
pegno cristiano salesiano laico come
proposto per i salesiani cooperatori.
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Nato a Mar del Plata,
in Argentina, 51 anni fa,
è stato Ispettore
di La Plata dal 2005
al 2010. Don Horacio
Adrián López ha già
visitato un terzo
del mondo salesiano,
una cinquantina di paesi,
a fianco del Rettor
Maggiore. Dice:
«Mi tocca partecipare
a ogni festa, perché
ovunque il Rettor
Maggiore va in visita
è sempre una festa,
ma sono come l’asinello
di Gesù a Gerusalemme,
che è al centro di tutto,
ma come asinello».

2.3 Page 13

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Come ti era venuta
questa idea?
Ho avuto il dono di Dio di crescere
in un ambiente sano e positivo: una
famiglia aperta alla vita cristiana pur
se non praticante, onesta e dove ci vo-
levamo molto bene. Papà e mamma,
Mario e Elena, erano operai. Era con
noi anche la nonna materna, Angela,
arrivata in Argentina quando aveva
18 anni, curiosamente sulla stessa
nave del papà e del nonno di papa
Francesco. Tutti loro si erano salvati
perché avevano “perso” un’altra nave
che poi, durante il viaggio, era affon-
data. Mia nonna pugliese (della bella
Trani), è stata molto significativa per
me perché mi ha trasmesso la sua fede
semplice e forte. È stata lei a portar-
mi al catechismo di prima comunione
quando avevo 8 anni.
Come hai conosciuto
i salesiani?
In terza elementare ho cominciato a
frequentare una scuola salesiana. Mi
sono sentito a casa, uno in più della
famiglia di don Bosco. Il dono che
Dio mi ha fatto fin da piccolo di un
grande “senso di Dio”, cioè di sentir-
lo molto vicino, amichevole, di vive-
re intensamente il rapporto con Lui.
Durante il catechismo mi affascinava
ascoltare le storie su Gesù e le sue pa-
rabole.
Arrivato all’ultimo anno del liceo
classico, da un momento all’altro ho
cominciato a sentire una grande in-
soddisfazione e tristezza che non riu-
scivo a capire. Quel “senso di Dio” mi
ha fatto intuire che quello che sentivo
veniva da Lui, e una sera gli ho detto:
Signore, penso che questo che mi capita
ha che vedere con te. Non lo capisco, ma
intuisco che tu sei responsabile di questo.
Non giocare con me, ti prego. Dimmi
cosa vuoi e io ti dico di sì”. Dopo questa
preghiera, fatta una volta ma in modo
molto intenso, la tempesta è passata
e quel sentimento un po’ diffuso di
disagio è sparito. Però avevo firmato
un assegno in bianco! Un paio di set-
timane dopo il direttore salesiano mi
invita a partecipare a un ritiro voca-
zionale che si faceva dentro all’evento
di un Congresso Vocazionale Dioce-
sano. Mi sono rifiutato perché quello
“non era per me”. Il direttore però non
si scoraggiò e mi invitò a partecipare
tra i catechisti.
In una pausa dell’assemblea, quasi dal
fondo dell’auditorium dove mi trova-
vo con un gruppo di giovani venuti
dai salesiani, vedo che dalla prima fila
si alza il vicario generale della diocesi
che io conoscevo come figura pubbli-
ca, ma lui non conosceva me. Mentre
lui passa per uscire e io chiacchieravo
con i miei compagni, i nostri sguar-
di si incrociarono e quando fu vicino
puntò il dito dicendo: «Tu vai a fare
il prete», con l’aria di uno scherzo. Il
punto sorprendente, è che io, dentro
di me ho detto un chiarissimo “Sì, hai
ragione, è questo che mi chiede Dio e
quindi dico di sì”».
I miei compagni hanno cominciato a
prendermi in giro e io a negare, ma
dentro un’immensa allegria mi inva-
deva. Papà e mamma non capivano e
nemmeno condividevano la mia deci-
sione, ma mi hanno detto: «Se questo
è buono per te, noi siamo con te e ti
appoggiamo in tutto, e se in futuro
tu volessi tornare indietro noi saremo
qui con le braccia aperte».
Don Horacio accompagna il Rettor Maggiore
in tutti i suoi “viaggi apostolici” per rinsaldare
l’unità e la comunione della Famiglia Salesiana
del mondo.
Gennaio 2017
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L’INVITATO
Come sei arrivato
a fianco del successore
di don Bosco?
È stato Lui a chiedermi questo servi-
zio lo stesso giorno della sua nomina.
Io mi trovavo già a Roma perché lavo-
ravo nel dicastero per la formazione e
pensavo di tornare alla mia Ispettoria
argentina. Ero membro del Capitolo
Generale perché eletto delegato della
Casa Generalizia. È vero che a quel
momento non ci conoscevamo tanto
con don Ángel, perché quando lui è
andato in Argentina come Ispettore,
io avevo finito il mio servizio là e an-
davo a Roma e quindi non abbiamo
condiviso troppo laggiù. Una cosa è
sicura, sono arrivato a fianco del Ret-
tor Maggiore più per una sua intui-
zione che per un gran discernimento.
Subito, quello stesso giorno, quattro
o cinque ore dopo la sua nomina ho
cominciato a lavorare per lui e con lui.
Che cosa pensi di questa
tua esperienza?
È un vero dono, direi che è anche
un privilegio. Non immaginavo che
potesse capitarmi una cosa del gene-
re. Ma è anche un impegno intenso.
Tante volte sento la nostalgia di una
vita salesiana “ordinaria”, di trovar-
mi in una casa “ordinaria”, con un
determinato gruppo di giovani, di
salesiani e di laici, condividendo con
loro la vita. Però allo stesso tempo mi
meraviglio della scuola di vita che sto
facendo a fianco del successore di don
Bosco e della possibilità di incontrare
tanti confratelli e altri membri della
famiglia salesiana per il mondo, di in-
contrare tanti giovani diversi.
Forse nessuno come te può
immergersi nella totalità
del mondo salesiano.
Che ne pensi?
Questo è vero, per ciò dicevo che sono
un privilegiato. Fino adesso, in meno
di tre anni abbiamo visitato già 44
ispettorie e visitatorie, questo signifi-
ca 52 nazioni, abbiamo potuto salutare
personalmente più di 5000 salesiani e
tantissimi altri fratelli e sorelle della
Famiglia Salesiana, tantissimi giovani.
Secondo te, qual è lo stato
di salute della nostra
Congregazione?
Penso che lo stato generale sia ottimo,
godiamo di una buona salute. In una
visione micro, non è difficile trovare
delle difficoltà, debolezze, sintomi
di poca vitalità e problemi vari, ma
anche tanta virtù, fedeltà, impegno
per il Regno e persino santità. In una
visione macro, brilla molto di più la
buona salute della Congregazione.
Il Rettor Maggiore dice sempre che
non possiamo valutare la Congrega-
zione dai problemi che arrivano alla
sua scrivania o a quelle degli ispettori,
e io sono d’accordo.
«In meno di tre anni abbiamo visitato già 44
ispettorie e visitatorie, questo significa 52 nazioni,
abbiamo potuto salutare personalmente più di
5000 salesiani e tantissimi altri fratelli e sorelle
della Famiglia Salesiana, tantissimi giovani».
Hai sentito più ottimismo o
senso di scoraggiamento?
Assolutamente più ottimismo pur co-
noscendo di più e avendo una visione
più realistica della Congregazione.
Penso che dall’inizio dei nostri viag-
gi e ancora oggi, tante volte tornando
a casa ci troviamo stanchi ma felici.
Ogni visita ribadisce in noi la nostra
vocazione. L’espressione più comune
che condividiamo è: “Siamo felici e
fieri di essere salesiani”.
Dove e in quali settori
i salesiani “funzionano”
meglio?
Io vedo che noi salesiani siamo bravi
in tantissimi settori. C’è una varietà e
ricchezza immensa in Congregazione,
ma dove si vedono i salesiani più felici
e riusciti è quando si trovano con i gio-
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vani più bisognosi. In queste presenze
si vede risplendere il sistema preventivo
che appartiene proprio a questi ragazzi
poveri, abbandonati e in pericolo. Ab-
biamo trovato scuole, , parrocchie,
centri giovanili, oratori, casa famiglia
ecc., dedicati a loro e io vedo che non è
il tipo di opera che la fa più significati-
va, ma i soggetti che la abitano. Incon-
trare i ragazzi più poveri ci connette
con il dono della nostra vocazione, con
il profondo del nostro cuore, dove ci
troviamo con Dio, e quindi, è tra loro
che “funzioniamo” meglio.
Quanto è faticoso
“fare il Rettor Maggiore”?
Tanto e poco. È tanto perché si trat-
ta di una grandissima responsabilità
che si porta adosso 24 ore su 24 e 7
giorni su 7. Arrivano a lui tante que-
stioni urgenti o no, che rendono fa-
ticoso “fare” il Rettor Maggiore. Ma
vivendo il compito come lo fa padre
Ángel, cioè essendo se stesso, il fare e
l’essere si mettono in linea e la grazia
fa il resto.
L’ottimismo spirituale
e l’energia salesiana di
don Ángel sono un buon
propellente per il futuro?
Penso proprio di sì, ma lo sono per il
futuro perché sono un buon propel-
lente per il presente. Io sono testimo-
ne di questo, del suo incontro con i
confratelli nelle diverse ispettorie, nei
diversi contesti, negli incontri perso-
nali: contagia tutti con il suo ottimi-
smo e la sua energia.
Questo mondo ha ancora
bisogno dei salesiani?
Sicuramente sì finché i salesiani sa-
ranno fedeli a loro stessi. In una delle
visite di quest’anno abbiamo cono-
sciuto il carcere di una città capitale.
Questo carcere era come la Genera-
la di Torino di 170 anni fa. Il Rettor
Maggiore pensa che fosse anche peg-
gio della Generala ottocentesca.
Nel 2017 ci sono ancora giovani che
aspettano un amico che si prenda
cura di loro.
La domanda più difficile:
sei felice?
Assolutamente sì.
«Io vedo che noi salesiani siamo bravi in
tantissimi settori. C’è una varietà e ricchezza
immensa in Congregazione, ma dove si vede i
salesiani più felici e riusciti è quando si trovano
con i giovani più bisognosi. In queste presenze
si vede risplendere il sistema preventivo che
appartiene proprio a questi ragazzi poveri,
abbandonati e in pericolo».
Com’è don Ángel
visto da vicino?
Voglio rispondere con grande onestà:
è uguale a come lo si vede da lontano.
Una delle sue virtù è la sua trasparen-
za, semplicità e sincerità. Lui non è in
un modo e “lavora” o si mostra in un
altro. Penso che questo lo renda credi-
bile. Io personalmente apprezzo la sua
“normalità” intrecciata con una grande
capacità di leadership.
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MONDO
4
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
3
SIRIA 1
2
FINO AI CO
Tra i giovani c’è
una fede incrollabile
La guerra in Siria sta avendo
una recrudescenza negli ultimi mesi, tanto che i Salesiani
parlano di “livelli molto elevati di mancanza di umanità”.
I morti superano il mezzo milione, ci sono più di 1,6
milioni di feriti e più di 11 milioni di sfollati. In questo
contesto, i Salesiani continuano a servire la popolazione
nella maniera più normale possibile, ma in uno scenario
circondato da violenze, senza acqua, né luce e con scarsità
di cibo.
I Salesiani nelle loro tre presenze in Siria (Aleppo, Da-
masco e Kafroun) hanno dovuto vivere situazioni diffi-
cili: “come quando un bambino in attesa di un autobus
per venire alla nostra casa è stato ucciso dallo scoppio di
un missile, o quando due giovani animatori sono morti
insieme alla loro madre nella loro casa, durante un bom-
bardamento” ricorda don León.
Eppure, continua, “abbiamo visto molte benedizioni e
molti miracoli: la guerra ha raggiunto ciò che i missionari
non avevano ottenuto in precedenza; una fede incrollabile
nei giovani. La guerra ha distrutto i cuori e l’umanità
di molti, ma molti altri hanno trovato una vera fede, di
fronte alla quale c’è da inchinarsi”.
CILE 2
Exallievi salesiani semifinalisti
ad “History Channel”
Un’équipe multidi-
sciplinare composta
da circa 15 persone,
tra cui due exallievi salesiani di Alameda, un allievo
salesiano della stessa scuola e un Salesiano Cooperatore,
hanno sviluppato il progetto “Over Mind”, attualmente
tra i dieci semifinalisti del concorso promosso da “Histo-
ry Channel” intitolato: “Un’idea per cambiare la storia”. Il
progetto da loro presentato consiste in un dispositivo che
consente il controllo neuronale di una sedia a rotelle.
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità “oltre un miliardo di persone in tutto il mondo
vive con qualche forma di disabilità; di queste, circa 200
milioni sperimentano notevoli difficoltà”. “Over Mind”
è un dispositivo che permette il controllo neuronale
di una sedia a rotelle, attraverso l’acquisizione di dati
provenienti da neuro-sensori e altre fonti informative,
come un giroscopio, un accelerometro, una videocamera
e un microfono.
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2.7 Page 17

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1
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 3
Salvare i “bambini stregoni”
Don Mario Perez, salesiano, racconta: «Ritorno a Mbuji
Mayi dove mi attendevano questi 30 bambini presi in
ostaggio, che la gente voleva bruciare con l’accusa di es-
sere stregoni. Bambini di età compresa tra i 3 e i 14 anni.
Erano in un orfanatrofio. Il capo del villaggio non era
contento della loro presenza, perché nulla di quello che
loro ricevevano gli veniva offerto come ‘dono’.
Qualche tempo dopo, una persona del villaggio è morta.
Il capo del villaggio ha sfruttato la situazione e sollevato
la comunità contro questi bambini, affermando che erano
proprio loro i colpevoli, non solo di questo ma anche di
altri fatti negativi avvenuti nel villaggio. Il personale
dell’orfanotrofio è dovuto sfuggire all’ira della folla e
alcuni di loro sono stati aggrediti. Hanno accerchiato la
casa, i bambini si sono chiusi dentro per 3 giorni senza
acqua. Abbiamo deciso di trovare un modo per portarli
nel nostro Centro di Don Bosco ed escogitato un piano:
il mattino seguente abbiamo affittato un pulmino e lo
abbiamo portato nei pressi della casa in cui si trovavano i
bambini; un gruppo di poliziotti è stato poi mandato dal
Giudice davanti alla casa dove erano radunati il capo del
villaggio e la comunità. Il gruppo, distratto dall’arrivo dei
poliziotti, non si è reso conto della fuga dei bambini dalla
casa; li abbiamo rapidamente fatti salire sul pulmino che
li attendeva nascosto».
ITALIA 4
Il cardinal Bertone
ricorda Ciampi
Il cardinale Tarcisio Bertone ricorda
così Carlo Azeglio Ciampi, l’ex Presi-
dente della Repubblica Italiana, scom-
parso a settembre: «Il primo incontro
personale è avvenuto a Macerata,
in occasione del conferimento
della laurea ad honorem da quella
università. Io ero rettore della
Pontificia Università Salesiana
e rappresentavo, in quella circo-
stanza, i rettori delle Pontificie
Università. Incontrandolo perso-
nalmente, con la signora Franca,
mi disse: “Allora, lei è salesiano?”
– “Sì, io sono salesiano”. “Allora –
dice – davanti a mia moglie devo
confessare la mia grande devozione
a don Bosco e devo dire che tutte
le volte che abbiamo invocato don
Bosco, soprattutto per problemi
familiari, siamo stati esauditi”.
Quando sono stato nominato arcivescovo di Genova e
poi creato cardinale, l’ho incontrato ancora personalmen-
te diverse volte. Ricordo la sua profonda fede, semplice,
una schietta fede religiosa, e le sue preoccupazioni per
la formazione dei giovani: abbiamo ripreso un po’ il
discorso sui giovani, sull’educazione dei giovani. Mi
parlava della sua esperienza non propriamente positiva
come studente a Livorno: mi raccomandava, e voleva che
estendessi la mia raccomandazione ai vescovi italiani, una
buona scelta degli insegnanti di religione nella scuola,
perché, diceva: “Questo è un momento formativo molto
importante, un momento anche di dialogo con le altre
materie, con le altre scienze, con gli altri docenti; ma
bisogna scegliere bene gli insegnanti a scuola”, dimo-
strando così che anche nell’esercizio della più alta carica
dello Stato si preoccupava della formazione integrale dei
giovani.
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
MISSIONE DI NATAL
Mi chiamo Incontro con
padre Giacomo Begni
«tuono di bene»
Proprio qui, in questa
missione che è il Centro
Educacional dom Bosco di
Natal, nel Nord-est povero
del Brasile, continuo felice
il mio servizio di prete e
missionario, accogliendo i
piccoli, i giovani e gli adulti
che a frotte arrivano in
cerca di una casa, nella
speranza di essere accolti
da qualcuno, sull’esempio
di Gesù Buon Pastore.
Come vuoi presentarti?
Nome, Giacomo (Tiago in portoghe-
se) e Cognome, Begni. Ricordando
che nel Vangelo Gesù chiamò Gia-
como e il fratello Giovanni “figli del
tuono” (Boanèrghes in greco) per i loro
atteggiamenti risoluti, così mi piace
pensare che i miei genitori mi abbia-
no battezzato con questo bel nome,
che caratterizza un po’ il mio modo
Padre Giacomo Begni con il coro dei suoi
bambini.
di essere: come un tuono che risveglia
chi sta assopito, ma che dopo tanto
rumore, annuncia e offre una dolce
tranquillità. E il cognome, allora?
Questo sì, Begni, dal latino Benigni-
tas, bontà, benvolere, generosità di
Dio, amore senza riserve, qualità di
donarsi a piene mani ai fratelli, spe-
cialmente agli ultimi.
Riassumendo quindi così: Giacomo
= tuono; Begni = benvolere, fanno il
mio vero nome, Tuono del bene. Spero
sia così la ‘musica’ della mia vita, gior-
no per giorno, a favore dei giovani e
dei bambini del Centro Educacional
Dom Bosco di Natal - Gramoré e del
popolo di Dio.
Età?
Sempre più giovane... già ho somma-
to 63 primavere, giornate di sole e di
luce, con quella brezza che accarezza
il volto, la vita e l’anima.
Patria?
Italia, perché i registri e i documen-
ti così dichiarano. Ma nel mio cuore
sono felice cosmopolita perché dove
sta don Bosco io starei con lui.
Formazione?
I sogni sono stati molti e determina-
rono la mia formazione... falegname,
muratore, giardiniere, pittore, cuoco,
organizzatore di eventi, intrattenitore
e buffone, giocoliere e comico. For-
mazione in gestione amministrativa,
Diploma di Magistero, Licenza in Fi-
losofia e Licenza in Teologia con spe-
cializzazione in Teologia Spirituale,
corso di vigile del fuoco e insegnante
di educazione fisica... quanto basta
per sorridere ed essere felice.
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Padre Giacomo durante l’omelia: «Celebrare
l’eucaristia è abbracciare l’umanità».
Sotto: Con i giovani allievi del Corso
professionale.
Quando hai capito
che volevi seguire
la vocazione e hai deciso
di rinunciare a tutto
per servire?
La vita è permeata di sapori, suoni,
colori, sogni ed emozioni. Dio mi ha
dato un particolare gusto, il gusto per
le relazioni come l’incontro, e soprat-
tutto, il desiderio e il gusto di fare i
bambini e i giovani felici. Pensando
al mio futuro, desideravo di diventa-
re psicologo, avvocato, interprete, un
mezzo pasticcio insomma.
Con questi pensieri segreti mi sono
imbattuto per caso, a 22 anni, in una
fotografia che ancora oggi conservo
gelosamente appesa a una parete del
mio ufficio: è la foto di una bambina
che non ho mai visto, mai incontrato,
con un’espressione che sembrava dire:
“Chi si prenderà cura di me?”. Sem-
brava un interrogativo diretto a me,
percettibile nel suo sguardo triste.
Nel mio cuore subito è sbocciata la
risposta: “Non preoccuparti, io stesso
mi prenderò cura di te.”
Era una ragazza della nostra America
Latina (Bolivia o Perù, credo)... e io
oggi sono qui, in America Latina, in
questo grande e festoso Brasile.
Sei prete da trent’anni.
Quale sentimento e quali
pensieri accompagnano
questo traguardo?
In primo luogo un sentimento indici-
bile di viva e profonda gratitudine al
Signore per questo dono grandioso e
gratuito che mi ha associato intima-
mente, vitalmente e per sempre al suo
sacerdozio! Interpellato dallo sguar-
do di quella bambina (il mio Angelo
Risvegliatore), mi resi conto (senza
rendermene conto) che questo appello
risvegliò in me il sì della mia vita, un
sì che voleva vedere fiorire il sorriso
di quella bambina e il sorriso di tutti
i bambini che avrei incontrato sul mio
cammino. Fu così che Dio piantò nel
mio giovane cuore il seme definitivo
del mio sì a Lui, al mio “Angelo Ri-
svegliatore” e a tutti i bambini e gio-
vani che chiedono felicità e santità.
Fu in questo clima appassionato e
pieno di fervore che la Provvidenza
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
Alcune ragazze del Centro Educativo,
elegantissime nella loro semplice divisa.
mi fece incontrare don Bosco: io chie-
dendo aiuto per sviluppare il mio sì e
lui (don Bosco) chiedendo il mio aiuto
per concretizzare il suo sì. Diventam-
mo amici!
Celebrare l’Eucaristia è abbracciare
l’umanità, il mondo e le sue necessità,
le sue speranze.
Come e quando il lavoro
del Centro Educativo
Don Bosco Gramoré
è entrato nella tua vita?
Penso che Dio mi abbia dato una for-
te tirata di orecchi che mi ha porta-
to qui a Natal in Brasile, nel Centro
Educacional Don Bosco, mentre la-
voravo come economo e amministra-
tore del Centro di Studi di Teologia a
San Paolo (Brasile). Direttamente fu
padre João Carlos Ribeiro (per il qua-
le nutro grande stima), esimio can-
tante Gospel e fino al 2009 Ispettore
dei Salesiani del Nord Est del Brasile,
che Dio scelse come strumento.
Padre João Carlos nel corso di tre
anni di santa pazienza e delicatezza
(2006-2007-2008) mi chiese, con
una semplice letterina, la mia di-
sponibilità a questa missione dove la
“messe è molta, ma gli operai sono
pochi”. Non potevo più tergiversare
nella risposta... sì, vado... no, non
vado. Fu così che nel luglio 2008 de-
cisi di visitare la Provincia salesiana
di Recife (più per far finta che con-
sideravo seriamente l’invito che per
vera convinzione...).
Quale fu lo shock nel vedere che oltre
alle braccia mancavano anche molte
altre cose. Visitai anche il . Non
mi resi conto di quello che incontrai.
Tornai a San Paolo più con punti in-
terrogativi che certezze. Ma caddi di
nuovo nella rete dell’amore ed eccomi
qui, felice, nel di Natal, dal 24
Gennaio 2009.
Capito? 24 (giornata dedicata a No-
stra Signora Aiuto dei Cristiani) e
gennaio (mese dedicato a don Bosco),
immerso nell’atmosfera vivificante
della bella devozione del nord-est del
Brasile, per festeggiare il mio grande
Padre, Amico e Maestro don Bosco.
Come hai vissuto il periodo
iniziale nel centro?
È stato un periodo di sola gioia! Se la
lotta è stata grande e silenziosa, i ri-
sultati conseguiti ripagano mille volte
gli sforzi e la dedizione impiegati per
raggiungere i nuovi traguardi. Vedere
un futuro possibile è dono dall’alto,
che sa trasformare l’impossibile. Nel
2009, l’anno del mio arrivo a Natal -
Gramoré, il numero di bambini e dei
giovani assistiti nel oscillava tra
200/250 con frequenza quotidiana
(Oratorio, Qualificazione Professio-
nale, Apprendistato o Primo Impie-
go). Nel 2010 abbiamo lanciato (solo
nel segreto del cuore di Dio e di don
Bosco) la sfida di conquistare l’obiet-
tivo di 600 bambini presso l’Oratorio,
proponendo la ormai famosa
dei 600! che successivamente si tra-
sformerà nella
dei 600 + 1!
L’obiettivo delle 600 unità sarà sor-
passato nel 2013 raggiungendo quota
800 presenze.
Oggi, nel 2015, l’Oratorio accompa-
gna la bellezza di 1200 presenze dei
piccoli del Progetto La CARICA dei
600+1! e altri 200 nel Progetto Gio-
vane Apprendista; contando i 500 tra
giovani e adulti dei Corsi Professionali
e i 100 anziani inseriti nel Progetto di
‘Inclusione Digitale’, i conti sono pre-
sto fatti: sono 2000 persone accolte
nelle braccia paterne di don Bosco!
È il nostro regalo di gratitudine a don
Bosco in quest’anno del bicentenario
della sua nascita! E il regalo di gra-
titudine a don Bosco è stato che lui
ci ha insegnato che per i giovani non
dobbiamo risparmiare nessuno sfor-
zo, ma dedicare la nostra vita fino
all’ultimo respiro! Pertanto ci conse-
gniamo felici nel caldo abbraccio del
Padre, Maestro e amico dei giovani,
che rende questa casa di don Bosco
un posto di gioia e di speranza!
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3.1 Page 21

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ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UNA VOLONTARIA
Quali sono le maggiori
difficoltà?
È una domanda che vale oro, perché
l’oro si prova nel fuoco e dal momen-
to che qui si vuole la vera felicità e
la vera gioia non possono mancare
le difficoltà, come fuoco ardente che
purifica, sceglie ed esalta la preziosità
della nostra gioventù.
Qui abbiamo giovani da 18 carati! E
non è un’esagerazione. Si incontrano
nei nostri cortili, nelle nostre aule, nei
nostri ambienti. Percepiamo rispetto,
impegno, amicizia, collaborazione. Qui
è un paradiso salesiano, vivacizzato da
una grande truppa numerosa e felice.
Volete conoscere una domanda affa-
scinante posta alla mia attenzione?
Una giovane studente mi ha chiesto:
“Come faccio per rimanere per sem-
pre in questa casa?». È o non è un pa-
radiso? E le difficoltà? Chi le ricorda?
Più che vedere con gli occhi al Centro Educacional Dom Bosco si sente con il cuore. Le emo-
zioni sono moltissime non appena si varca la soglia, non appena si incrociano gli sguardi
dei bambini, non appena i loro visi si illuminano con un sorriso, non appena si iniziano ad
ascoltare le loro storie, non appena si riceve un loro abbraccio. Sono state solo 2 le settima-
ne trascorse nella missione di Natal ma sono ancora vivide nel mio cuore e lo saranno per
sempre. Un’esperienza di profonda umanità in cui cadono tutte le barriere e si comprende
profondamente che i legami umani sono l’unica cosa che davvero conta in questa vita. A
colpirmi sin da subito è stata la moltitudine di bambini che già alle 7 del mattino arrivavano
magari dopo aver camminato per un’ora. Questo era il chiaro segnale che quegli sforzi va-
levano la pena e che al CEDM si trova qualcosa di speciale. La dedizione e il forte impegno
degli educatori mi ha toccata. Le lacrime che scorrevano sui loro visi quando mi racconta-
vano storie forti di qualche bambino trasmettevano il loro assoluto coinvolgimento e il forte
desiderio di aiutarli ad avere una vita migliore.
Padre Giacomo è la vera anima, è presenza, è un uomo di poche parole, mille abbracci, azioni
concrete e tante idee strampalate che fanno divertire i bambini. Ad ogni pasto presenzia
nel refettorio come una madre che si assicura che i propri figli si nutrano adeguatamente e
crescano sani; proprio per questo spesso lo si vede girare vestito nei modi più impensabili
con una cesta di pane da distribuire a chi ha più fame. Ma c’è una parola che va a braccetto
con lui: pirulito! La distribuzione dei lecca lecca, pirulitos in portoghese, è un vero è proprio
rituale intriso di un profondo significato simbolico. Attraverso il gesto del donare questo
dolcetto padre Giacomo dice a ogni bambino: per me tu esisti, sei unico e prezioso. Questo
riconoscimento è fondamentale per ogni essere umano che per esistere ha bisogno che l’al-
tro glielo dica e glielo dimostri. Gli sforzi incessanti di questo uomo così semplice ma così
ricco continuano a ispirarmi ogni giorno.
(Alessia Andena)
Esse esistono, ma sono parte della
costruzione dei risultati positivi che
sono sotto gli occhi di tutti.
«Più che vederlo con gli occhi, il Centro don
Bosco è da vedere con il cuore» afferma una
volontaria.
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3.2 Page 22

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Ogni casa, scuola
di Vita e di Amore

3.3 Page 23

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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
VINCENZO CACCIA
Cuochi e meccanici
nell’antica abbazia
I Salesiani a San Benigno
Fu il primo noviziato salesiano
fuori Torino, oggi è un grande
centro scolastico stimato
e dinamico.
Una panoramica
degli edifici di
pietra e quelli
vivi fatti di carne,
sogni e gioia di
vivere.
E ra il 5 luglio 1879 quando i primi Salesia-
ni arrivarono a San Benigno. Le Memorie
Biografiche riportano un accenno a questo
avvenimento: “I primi abitatori della casa di
San Benigno furono i chierici ascritti dell’an-
no scolastico 1878-79. Terminati i loro esami
al 3 di luglio, mossero il giorno 5 da Torino in nume-
ro di cinquanta, facendo a piedi il viaggio fino alla
nuova residenza per trascorrervi le vacanze estive.
Furono accolti festosamente dalle autorità e dalla po-
polazione”.
Pare addirittura che abbiano guadato a piedi il
fiume Malone, che scorre a poche centinaia di
metri dalla casa Salesiana. E così ha origine il
primo noviziato salesiano fuori Torino.
Una storia millenaria
La venuta dei Salesiani a San Benigno si col-
lega alla millenaria storia di Fruttuaria, celebre
abbazia benedettina fondata da Guglielmo da
Volpiano nel 1003 e poi ricostruita, in conti-
nuazione con la sua gloriosa tradizione religio-
sa, dal cardinale Carlo Ignazio Vittorio Ame-
deo delle Lanze che vi eresse poi una solenne
basilica e – contestualmente – il suo palazzo,
opera dell’architetto Mario Ludovico Quarini,
nel 1776. Causa le leggi napoleoniche e le varie
leggi anticlericali dello stato sabaudo e italiano,
l’edificio ebbe varie traversie. Mentre la chie-
sa passava alla diocesi di Ivrea, il settecentesco
palazzo abbaziale divenne demaniale il 15 ago-
sto 1865.
Ivi i Padri Dottrinari, dal 1852 al 1867, vi aveva-
no già aperto una scuola: ma il loro rapporto con
il paese era stato piuttosto conflittuale, per cui si
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Gennaio 2017

3.5 Page 25

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ritirarono. Fu allora che il parroco, don Antonio
Benone, pensò a don Bosco.
Fu così che il Comune, con delibera del 24 no-
vembre 1878, concesse il palazzo in subcessione
a don Bosco. Il sindaco, cav. Giovanni Bobbio,
però in cambio della cessione del palazzo cardi-
nalizio, poneva la condizione “sine qua non” di
un utilizzo di pubblica utilità per il paese: scuole
diurne per i ragazzi, scuole serali per gli adulti,
oratorio, ospizio per artigianelli.
Nascevano così le scuole, l’oratorio, il noviziato, la
formazione professionale. Istituzioni che – novi-
ziato escluso – continuano ancora oggi.
Il primo maestro dei novizi fu don Giulio Barbe-
ris, tra l’altro biografo del Cardinale delle Lanze.
Da quanto ci risulta furono 17 le visite di don Bo-
sco a San Benigno. Due visite di don Bosco vanno
ricordate perché legate a due sogni importanti per
la Congregazione Salesiana. Il primo, chiamato il
“Sogno dei dieci diamanti” ( . , 183-186), fatto
nella notte tra il 10 e l’11 settembre 1881, riguarda
i caratteri e le virtù che devono avere il Salesiano e
la Congregazione Salesiana; l’altro sogno fu quello
fatto la notte tra il 29-30 agosto 1883 a proposito
dell’avvenire delle missioni salesiane nell’America
del Sud ( . , 385-394).
L’ultima visita di don Bosco avvenne il 20 ottobre
1887, dopo essere stato a Foglizzo per la cerimonia
di vestizione dei novizi, quando attraversò l’Orco
a guado su una carrozza (perché malato) e visitò
per l’ultima volta l’opera di San Benigno incon-
trando ancora una volta il parroco don Benone.
Poi se ne tornò a Torino: ultimo suo viaggio in
treno.
Nel mondo del lavoro
Dall’allora 1879 ad oggi varie sono state le attivi-
tà ed i laboratori che la casa salesiana ha portato
avanti, sempre attenta alle esigenze dei giovani e
del mondo del lavoro.
Inizialmente furono creati laboratori per sarti,
calzolai, falegnami (così suddivisi: stipettai, eba-
nisti e tornitori, ed incisori) e fabbri ferrai. Suc-
I campi di gioco, il
teatro e tantissime
attività ludiche e
culturali integrano
le materie
scolastiche.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Il Centro, molto
ben inserito
nel territorio,
offre corsi di
qualificazione e
riqualificazione per
giovani e adulti.
cessivamente sorsero il laboratorio di legatoria,
di tipografia (che comprendeva composizione,
stamperia e libreria), di meccanica e di fonderia
seguito poi da quello degli scultori.
Da questi laboratori uscirono opere di pregio; tra
tutte ricordiamo l’urna in legno dorato nella qua-
le fu composto il corpo di don Bosco in occasione
della sua Beatificazione nel 1929, e nella quale
rimase esposto alla venerazione dei fedeli per una
decina di anni nella Basilica di Maria Ausiliatri-
ce: scolpita dal coadiutore salesiano sig. Concas
su disegno dell’architetto salesiano Vallotti. Oggi
l’urna è esposta nel Museo delle Camerette di
don Bosco a Valdocco.
Accanto alla scuola sorse, fin dagli inizi, l’ora-
torio dedicato a Maria Immacolata, che tuttora
persiste con attività formative e ricreative per ra-
gazzi, giovani e famiglie.
Un futuro per i giovani
Oggi l’opera di San Benigno comprende un gran-
de Centro di Formazione professionale con quat-
tro indirizzi: meccanica, elettronica, acconciatu-
ra e ristorazione. Lo frequentano 650 giovani in
obbligo d’istruzione dai 14 ai 17 anni. Accanto a
questa attività il Centro, molto ben inserito nel
territorio, offre corsi di qualificazione e riqualifi-
cazione per giovani e adulti con possibilità d’in-
serimento lavorativo in aziende. La nostra opera
nell’anno del Bicentenario della nascita di don
Bosco ha partecipato all’iniziativa lanciata dagli
exallievi del Piemonte Giob 200 (Giovanni Bo-
sco 200, ma anche, nella pronuncia inglese, Job
200, ossia lavoro 200) il cui obiettivo era l’assun-
zione di 200 giovani nel mondo del lavoro entro
l’anno. Questo numero è stato ampiamente supe-
rato grazie anche all’inserimento lavorativo, da
parte della nostra opera, di quasi 300 giovani.
Un’attività significativa, in questa epoca di esodi
di massa di migranti verso l’Europa, sono alcuni
corsi per migranti in collaborazione con il Centro
accoglienza Teobaldo Fenoglio della Croce Rossa
Italiana a Settimo Torinese orientati all’inseri-
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3.7 Page 27

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE
mento lavorativo sia in Italia sia all’estero.
A favore degli immigrati, accogliendo l’invito di
papa Francesco di aprire i conventi, gli istituti
religiosi e le parrocchie a costoro, la Comunità
salesiana ospita, per un anno, quattro profughi
provenienti da Ghana, Mali, Afghanistan e Pa-
kistan.
Altri settori dell’opera sono: la Scuola media pa-
ritaria “Don Bosco”, con due sezioni, frequentata
da 150 ragazzi. Il nostro slogan è “Educare è co-
struire futuro”: attenzione alla persona, innovazio-
ne tecnologica, studio delle lingue straniere, ac-
compagnamento nello studio, cura degli ambienti
sono tutti criteri che animano il nostro stare in
mezzo ai ragazzi.
La scuola offre vari servizi: dal Registro elettro-
nico per una visione giornaliera di compiti, lezio-
ni, assenze e voti al servizio di trasporto per gli
allievi; realizza vari progetti in campo didattico,
conversazione in lingua inglese con insegnante di
madrelingua, viaggi studio all’estero, laboratori e
corsi di latino, informatica, sport, musica e ma-
nualità.
Tutto ciò per costruire una relazione educativa
fatta di sensibilità, apertura, attenzione e perso-
nalizzazione nei confronti di tutti e di ciascuno in
un ambiente educativo, accogliente e creativo, nel
quale si fa esperienza di valori umani e cristiani.
Possiamo definire la nostra opera “complessa, ma
anche completa” dal punto di vista pastorale per-
ché oltre alla scuola abbraccia l’oratorio, attività
mai venuta meno fin dalle origini, ed infine, da
due anni, la Parrocchia Maria Assunta con an-
nessa la storica abbazia di Fruttuaria che il 19
marzo del 1990 ha visto la presenza di san Gio-
vanni Paolo II, in visita alla diocesi d’Ivrea.
L’oratorio ha una funzione di animazione verso i
giovani del paese che trova la sua più bella espres-
sione nell’Estate ragazzi che coinvolge oltre 300
ragazzi ogni anno. Il tutto è sostenuto da un folto
gruppo di animatori che durante l’anno frequen-
tano gruppi di formazione. Negli anni passati im-
Qual è la sua più grossa soddisfazione?
Vivere in una casa salesiana piena di ragazzi e ragazze. Essere a contatto con
loro, condividere le loro paure, i loro problemi, ma anche i loro desideri, i loro
sogni. Sembra che don Bosco abbia detto ai Salesiani, in una delle sue visite,
che “sarebbero sempre stati allo stretto”. E così è! In fondo i giovani sono il
nostro “roveto ardente”, il luogo teologico dell’incontro con Dio ed anche il se-
greto per rimanere giovani. Inoltre il lavorare con collaboratori laici che sono
corresponsabili della nostra missione e senza i quali non potremmo seminare
tutto il bene per così tanti ragazzi.
Gli allievi e le loro famiglie sono consapevoli della grande fortuna
che hanno con la possibilità di frequentare una scuola che forma
al futuro professionale come la vostra?
Solitamente le famiglie che decidono di iscrivere i loro figli/e alla nostra opera
lo fanno perché convinti della buona preparazione che offriamo in termini di
professionalità e di cultura, ma non solo. Ci riconoscono, soprattutto, la capa-
cità di educare e di accompagnare nella crescita i loro figli. L’aver frequentato
la nostra scuola, nel nostro territorio, è ancora sinonimo di “garanzia” di avere
a che fare con ragazzi ben educati, formati e preparati.
La vostra sussistenza economica dipende dalla politica regionale.
Come vede il futuro? Che cosa potrebbe fare la famiglia salesiana
per sensibilizzare la gente su questo punto così poco conosciuto?
Il dipendere economicamente da fondi regionali rende sempre il futuro un po’
incerto. Ma i dati ci danno ragione perché ormai sono sempre più numerosi
i ragazzi che scelgono percorsi di Formazione professionale. Questo lo Stato
non lo può disattendere. Come Salesiani in
questi anni abbiamo sempre puntato ad “in-
novare” il sistema della Formazione professio-
nale e questo sguardo proiettato al futuro ci è
stato riconosciuto. Come Cnos-Fap vengono
portati avanti progetti che sempre più vanno
nell’ottica del riconoscimento della Forma-
zione professionale come canale alternativo e
paritario rispetto all’Istruzione secondaria e di
integrazione ed interazione tra scuola e lavoro.
Tutto questo perché si è convinti che esista
anche “un’intelligenza nelle mani”.
portanti sono state le esperienze estive
in missione, in particolare in Moldavia,
che poi hanno anche dato vita a due
progetti curati dal per due nostri educatori
che hanno fatto l’esperienza di un anno di mis-
sione.
La parrocchia, l’ultima arrivata, vede nella sua
storia millenaria il primo “abate salesiano”. Si sta
lavorando molto per il rinnovo della catechesi in
preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cri-
stiana ed anche alla rivitalizzazione dei “borghi”,
come luoghi di animazione e coinvolgimento del-
le famiglie.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Venti stelle
brillano a Rijeka
«Le suore salesiane
sono state presenti
nella mia vita proprio
quando ne avevo maggior
bisogno. In una città
totalmente sconosciuta,
senza famiglia, sono
andata in chiesa».
Alcune delle
giovani
universitarie
ospiti del
pensionato
Valponasca
di Rijeka, in
Croazia.
Il coraggio
come messaggio
Si definiscono 20 stelle e rappresen-
tano il cuore della casa, vivono la
gioia e la fatica di crescere insieme
guardando soprattutto a Maria Do-
menica Mazzarello. Anche se pro-
vengono da diversi luoghi geografici,
per tutte è chiara la parola di Main:
Coraggio!, una realtà che si vive, una
bussola che ricorda la meta alla quale
arrivare. Ma dove vivono le 20 stelle?
Siamo nel pensionato universitario
Valponasca di Rijeka, in Croazia, nel
quale quattro Figlie di Maria Au-
siliatrice condividono
con venti giovani
universitarie la
quotidianità e tutto ciò che essa rac-
chiude. Vivere con e per loro è sognare
insieme, è far conoscere la vita salesiana
nella sua bellezza, proponendola come
stile di vita umano-cristiano − affer-
ma suor Zrinka Majstorović, respon-
sabile dello studentato −, la presenza
delle ragazze è la via che conduce a Dio,
la terra santa attraverso cui Egli agisce
e fa delle nostre vite un inno alla vita.
La finestrella tanto cara a Main, da
Mornese si spalanca a Rijeka come
simbolo della vita delle giovani,
aperta su vasti orizzonti, anche nel-
le fatiche e difficoltà. Le 20 stelle, a
contatto con le Figlie di Maria Ausi-
liatrice, si raccontano.
Una novità:
suore gioiose
Il mio primo incontro con le Sale-
siane è avvenuto in una parrocchia
salesiana. Ho notato subito la loro
apertura, allegria e presenza costante
tra i giovani. Leggendo le biografie di
don Bosco e di Madre Mazzarello ho
potuto capire che cosa vuol dire vivere
con Gesù e Maria. Il loro esempio mi
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Gennaio 2017

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aiuta a perseverare con responsabilità
negli impegni quotidiani (Petra).
Le suore salesiane sono state presenti
nella mia vita proprio quando ne ave-
vo maggior bisogno. In una città to-
talmente sconosciuta, senza famiglia,
sono andata in chiesa. Maria Ausilia-
trice, nella mediazione di una delle
sue figlie, mi attendeva. Il carisma
salesiano mi ha cambiata, mi ha inse-
gnato che studiare e compiere i miei
doveri quotidianamente è il modo di
dire a Dio che lo amo. Vivere relazio-
ni gioiose verso ogni persona, la fede
nell’Ausiliatrice e in Gesù eucarestia
hanno portato tanti frutti nella mia
vita. Madre Mazzarello è sempre pre-
sente attraverso le sue figlie, le quali
mi ricordano l’allegria e mi donano la
certezza che è possibile migliorarsi,
sempre! (Elizabeta Müler).
Incontrare quattro suore simpatiche e
gioiose è stata una novità per me, di
solito incontravo suore serie, vestite di
bianco e nero. Con il passare del tem-
po ho potuto conoscere di più il cari-
sma salesiano. Il clima di famiglia mi
fa comprendere che la Famiglia Sale-
siana è una realtà speciale (Katarina).
Le Salesiane mi piacciono per la
loro apertura e allegria. Pensavo tra
me: Come mai? Non mi conoscono ma
mi accolgono calorosamente. Da picco-
la ho conosciuto i Salesiani che, nel
mio cuore, hanno gettato un seme
di santità che ora sta crescendo e si
sta sviluppando grazie alle suore e,
soprattutto, tramite la preghiera che
mi dona tanta forza per compiere gli
impegni quotidiani. Le suore ci mo-
tivano per studiare e ci sono sempre
accanto. Ogni caduta è un elemento
costruttivo per il mio carattere e mi
accorgo che sto crescendo spiritual-
mente. Conoscere Madre Mazzarello
è un segnale sicuro sulla strada della
vita (Marija).
Le suore salesiane mi hanno sorpre-
so per la loro gioia ed accoglien-
za. Il carisma salesiano mi aiuta
a crescere come persona, so-
prattutto ad approfondire la
fede, e Madre Mazza-
rello mi aiuta a verifi-
care la mia vita di
credente. Uno
dei suoi mes-
saggi più forti
per me: Non preoccupar-
ti per il futuro. Pensa
solo di perfezionarti
nelle virtù. E quando
arriverà il momento di
fare qualche sacrificio,
sii serena perché il Si-
gnore ti darà la forza
necessaria per compiere la
sua santa volontà (Matea).
Il mio primo incontro con le
Salesiane è stato molto bello. Mi
hanno accolto con cuore aperto e
con tanta generosità nel momento in
cui davvero ne avevo bisogno, ed ho
notato che loro sono sempre così, non
solo in alcune occasioni. Madre Maz-
zarello mi ha insegnato che vale la
pena perseverare nella vita con molta
serenità (Mihaela).
Non avevo mai sentito parlare delle
suore Salesiane; è stata una grande
sorpresa conoscere il loro spirito di
apertura, di vicinanza e di disponi-
bilità. Le suore mi hanno avvicinata
al carisma salesiano attraverso diverse
attività. Mi è piaciuto il film sulla vita
di Madre Mazzarello, il suo coraggio,
la sua forza, e il suo desiderio di aiu-
tare le giovani. Questi elementi per
me sono stati di grande ispirazione e
mi stanno rendendo migliore
verso gli altri, facendomi
camminare con corag-
gio nella vita, sapendo
che Dio è sempre con
me. Mi sento parte di
una famiglia bellissima
e ringrazio le suore per
l’apertura e l’amo-
revolezza che sono
stati il mio benve-
nuto nella loro casa
(Rozalija).
Queste testimonianze sono
davvero stelle che vincono la
notte.
«Incontrare quattro suore
simpatiche è stata una
novità per me. Le Salesiane
mi piacciono per la loro
apertura e allegria».
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
PIERLUIGI CAMERONI
“Di Beltrami
Durante la notte si alzò
da solo e indossò la
talare adagiandosi poi
ce n’è uno solo” sulletto.Cosìlocolse
la morte, il mattino del
30 dicembre, presenti
vari confratelli. Aveva
Ricordando don Andrea Beltrami
27 anni. Appena tre
mesi prima era morta,
nel 500 della Venerabilità
a 24 anni, Teresa di
Lisieux, consumata
anch’essa dalla stessa
Deciso a farsi
salesiano... e santo
malattia.
Nacque ad Omegna (Novara) sul lago
d’Orta il 24 giugno 1870. Andrea, di
carattere vivace, a tredici anni entrò nel
collegio salesiano di Lanzo, nel quale
trascorse tre anni, passando dagli studi
commerciali iniziati ad Omegna agli
studi classici che concluse con ottimi
risultati. Rivelò subito una spiccata
volitività. Tra le sue pubblicazioni c’è
un prezioso libretto dal titolo: Il vero
volere è potere (1896). Furono anni felici
quelli trascorsi nella casa di Lanzo. “In
questo collegio – scriveva alla mamma
– io sto bene”. Nella casa salesiana in-
fatti egli trovava la giusta risposta ad
alcune sue aspirazioni profonde: un
cammino spirituale serio, una forte
esperienza sacramentale, un corrobo-
Una rarissima fotografia di don Andrea Beltrami.
Maturò la sua santità grazie ad una sofferenza
accettata, amata, offerta.
rante clima di famiglia. Erano i segni
di un’autentica vocazione. Dopo un
lungo colloquio con don Bosco si de-
cise per la vita salesiana.
Nel 1886 iniziò il noviziato e fece la
vestizione per le mani dello stesso don
Bosco, che del giovane novizio dirà:
“Di Beltrami ce n’è uno solo”. Il 2 otto-
bre 1887, sempre nelle mani del santo
fondatore, emise la professione religio-
sa. “Da questo istante, io le prometto –
dirà al suo direttore don Giulio Barbe-
ris – di raddoppiare l’impegno di farmi
santo. Niente e mai quello che piace
a me; tutto e sempre quello che piace
al Signore”. Nei due anni (1888-1889)
che trascorse a Torino-Valsalice portò
a termine i due corsi triennali, conclu-
dendoli con le rispettive maturità come
privatista. Risale a questo periodo la
conoscenza del principe polacco, oggi
beato, Augusto Czartoryski, da poco
30
Gennaio 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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OMEGNA RICORDA IL SUO FIGLIO ILLUSTRE
entrato in Congregazione. Questi si
ammalerà presto di tubercolosi e sarà
don Beltrami, entrato subito in sinto-
nia spirituale con lui, a fargli da angelo
custode sia a Torino-Valsalice sia nelle
altre località dove l’ammalato avrebbe
soggiornato. Tra i due nasce una pro-
fonda amicizia spirituale che si trasfor-
ma anche in aiuto fraterno. Quando
poi a propria volta don Beltrami si
ammalerà della stessa malattia, tra le
probabili cause bisognerà annoverare
anche questa dimestichezza di vita con
l’amico infermo.
Per il tirocinio pratico è inviato a
Foglizzo tra i novizi. La mole di la-
voro diventò davvero eccezionale: do-
cente di italiano e latino a 80 chierici,
studente di teologia, iscritto alla facol-
tà di Lettere e Filosofia all’Università
di Torino. Ma ancor più eccezionale
era il lavoro spirituale che compiva su
se stesso. Più tardi, parlando di questo
periodo dietro invito del suo direttore,
dirà: “L’unione con Dio era intensa,
profonda; aveva raggiunto un grado
tale che io credevo di morirne... Il
freddo, il ghiaccio, la neve, i venti gra-
di sotto zero, perché quell’inverno fu
rigidissimo, non bastavano a calmare
gli ardori interni”.
Nel pergolato delle rose
e delle spine
Fu proprio in una freddissima gior-
nata del febbraio del 1891 che si rive-
larono i primi sintomi della malattia
che lo avrebbe condotto alla morte:
aveva solo 20 anni! Sollecitamente
curato, sembrò che migliorasse. Ma
fu per poco: la malattia progredì ine-
In occasione del 50° della Venerabilità di don Andrea Beltrami la sua città natale ha voluto
commemorare questo suo figlio illustre, riconoscendo in questo salesiano un “dono spiri-
tuale grande” che ha dei riferimenti concreti con la Città di Omegna: la sua casa natale in
via Alberganti, la sua sepoltura in Collegiata dal 1921, il legame del Cusio con il carisma
salesiano, gli oltre 250 ex-voto conservati in Chiesa Parrocchiale, segni che rimandano a
un impegno per rinnovare devozione e dare “spessore e qualità” alla vita spirituale delle co-
munità cristiane chiamate a vivere il cammino del 21° sinodo diocesano novarese anche sul
tema della pastorale giovanile e della famiglia con la riscoperta della “vocazione alla santità”.
In occasione della ricorrenza del cinquantesimo anniversario (1966-2016) della definizione
del venerabile don Andrea Beltrami, la Parrocchia S. Ambrogio di Omegna guidata da mon-
signor Gianmario Lanfranchini, ha programmato eventi culturali (annullo filatelico, mostra,
pubblicazioni, visita della casa, momenti di preghiera e di celebrazione, incontri di presen-
tazione della vita e del messaggio di don Beltrami per i laici e per il clero.
sorabilmente. Scriverà lui stesso alla
madre: “La zia mi dice: ‘So purtroppo
il tuo stato di salute’. Quel ‘purtroppo’
indica una disgrazia. Quanto s’ingan-
na. Questa malattia l’ho chiesta io al
Signore. Propriamente non ho chie-
sto la malattia, ma di soffrire e molto.
E Dio mi ha mandato questo male...
Non voglio guarire. È la pazzia della
Croce. Vedremo nell’eternità chi avrà
avuto ragione”.
Sembra avere soltanto la paura di non
fare in tempo a diventare sacerdote e
così i superiori, molto saggiamente,
mentre facevano novene per la sua
guarigione, affrettarono anche la sua
preparazione e le necessarie dispen-
se per poterlo ammettere all’ordina-
zione sacerdotale, che ebbe luogo l’8
gennaio 1893, a 23 anni non ancora
compiuti. Fu ordinato sacerdote nelle
camerette di don Bosco da monsignor
Giovanni Cagliero, primo vescovo e
cardinale salesiano. Ed eccolo sul cal-
vario: un calvario lungo cinque anni.
Fu il quinquennio in cui maturò la
sua santità, grazie ad una sofferenza
accettata, amata, offerta. Grazie a una
volontà tenace, a tutta prova, con un
desiderio veementissimo della santità,
consumò la propria esistenza nel do-
lore e nel lavoro incessante. “La mis-
sione che Dio mi affida è di pregare
e di soffrire”, diceva. “Né guarire né
morire, ma vivere per soffrire”, fu il
suo motto.
Gennaio 2017
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4.2 Page 32

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I NOSTRI EROI
Il battistero della parrocchia Sant’Ambrogio di
Omegna, dove fu battezzato il piccolo Andrea,
il 25 giugno 1870.
Esattissimo nell’osservanza della Re-
gola, ebbe un’apertura filiale con i su-
periori e un amore ardentissimo a don
Bosco e alla Congregazione. Il suo let-
to diventerà altare e cattedra, in cui im-
molarsi insieme a Gesù e da cui inse-
gnare come si ama, come si offre e come
si soffre. La sua cameretta diventa tutto
il suo mondo, da cui scrive e in cui ce-
lebra la sua cruenta Messa: “Mi offro
vittima con Lui, per la santificazione
dei sacerdoti, per gli uomini del mondo
intero”, ripete; ma la sua salesianità lo
spinge ad intrattenere anche rapporti
con il mondo esterno. Negli anni che
gli rimasero di vita dopo il sacerdozio,
scrisse alcuni opuscoli ascetici molto
pregiati, ma soprattutto si dedicò all’a-
giografia, scrivendo varie biografie di
santi, e alcuni volumi di letture amene
ed educative. Lasciò anche altri lavori
inediti e incompiuti, tra cui è da segna-
lare la traduzione italiana dei primi vo-
lumi dell’edizione critica delle opere di
san Francesco di Sales. Aveva scoper-
to infatti la vocazione dello scrittore e
l’assecondava volentieri. “La parola mi
viene facile ed elegante. Sarei contento
se potessi trafficare questo talento che
Dio mi ha dato, a sua gloria ed onore.
Le malattie di petto non danno distur-
bo alla mente; anzi pare che tolgano le
forze al corpo per aggiungerle allo spi-
rito, che acquista maggior lucidità e pe-
netrazione. Almeno se non c’è febbre,
come nel mio caso”. L’elenco dei suoi
scritti è lungo: biografie, studi ascetici,
lavori storici, opere narrative...
La fecondità
del “cetera tolle
La sua camera dava sul coretto della
cappella, per cui gli era possibile scor-
gere il Tabernacolo. Davanti a quel
Tabernacolo egli trascorreva lunghi
periodi di adorazione silenziosa. “Son
persuaso che soffrire e pregare sia più
utile per me e per la Congregazione
che non il lavorare”. Ma il lavoro non
gli mancò. Anzi, a dare uno sguardo
all’orario della sua giornata di amma-
lato si resta allibiti. Dalle 5 del mat-
tino alle 9 in preghiera: celebrava su
un altarino allestito nella cameretta; la
Messa durava due ore e in quel periodo
veniva completamente liberato dalla
tosse, egli che tossiva in continuazione;
dalle 12 e mezzo alle 17 di nuovo in
preghiera; dalle 20 a mezzanotte anco-
ra in preghiera di adorazione davanti al
Santissimo. Negli altri periodi studia-
va e scriveva. Si offrì come vittima d’a-
more per la conversione dei peccatori e
per la consolazione dei sofferenti. Don
Beltrami colse in pieno la dimensione
sacrificale del carisma salesiano, volu-
ta dal fondatore don Bosco. Il chierico
salesiano Luigi Variara, allora studente
di filosofia a Valsalice, fu intimamente
colpito da don Andrea, e a lui si ispirò
nella fondazione delle future Figlie dei
Sacri Cuori di Gesù e di Maria: vivere
con gioia la vocazione vittimale insie-
me con Gesù.
Il 20 febbraio 1897, anniversario della
sua malattia, volle andare a celebrare
nella basilica di Maria Ausiliatrice.
Fu la sua ultima uscita. Poi andò man
mano peggiorando. Il 29 dicembre la
situazione precipitò. Durante la notte
si alzò da solo e indossò la talare ada-
giandosi poi sul letto. Così lo colse la
morte, il mattino del 30 dicembre, pre-
senti vari confratelli. Aveva 27 anni.
Appena tre mesi prima era morta, a
24 anni, Teresa di Lisieux, consumata
anch’essa dalla stessa malattia.
Don Beltrami lancia alla Famiglia
Salesiana il difficile messaggio del-
la sofferenza redentiva, anzi di una
sofferenza che può diventare miste-
riosamente gaudiosa in proporzione
dell’amore con cui la si accetta. “Cre-
da – scrisse un giorno al suo direttore
don Scappini – in mezzo ai dolori,
io sono felice di una felicità piena e
compiuta, sicché mi vien da sorride-
re quando mi fanno condoglianze ed
auguri di guarigione!”.
Il 15 dicembre 1966 il papa Paolo VI,
oggi Beato, riconosceva che don An-
drea Beltrami aveva vissuto in forma
eroica tutte le virtù cristiane decre-
tandogli il titolo di “Venerabile”.
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4.3 Page 33

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Dopo
75 anni
di liete
armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
DELLA BASILICA
DI MARIA AUSILIATRICE
HA NECESSITÀ DI
UN URGENTE
E COSTOSO RESTAURO
AbAidbsIUeboliTgatOnmuooo
È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompa-
gnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti
della Congregazione Salesiana.
Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore, fu costruito da
Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è
uno dei più grandi e preziosi d’Italia.
PUOI INVIARE IL TUO CONTRIBUTO:
POSTE ITALIANE
CCP 36885028 (allegato alla rivista)
IBAN IT93 X0760 1032 0000 0036885 028
BIC BPP IIT RR XXX
BANCA PROSSIMA S.P.A.
IBAN IT24 C033 5901 6001 0000 0122 971
BIC BCI TIT MX
INTESTATI A:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Della Pisana 1111 - 00163 Roma
CAUSALE:
Restauro Organo Maria Ausiliatrice
In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche
i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore.

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Per una pedagogia
consapevole
I bambini di oggi
sono più intelligenti
di quelli di ieri?
È una voce che circola un po’ ovun-
que: “I bambini di oggi sono più intelli-
genti di quelli di qualche tempo fa”. Sarà
vero? Il fatto che quella sia la convin-
zione accettata dall’opinione pubblica
non è prova di verità. È meglio ragio-
narci su.
Ebbene, alla domanda se i bambini
di oggi sono più intelligenti di quelli
di ieri lo psicologo Jean Piaget dava
una risposta sorprendente e decisa:
«No, assolutamente no! I bambini di
oggi non sono più intelligenti di quelli
di cinquant’anni fa. Direi piuttosto il
contrario. Hanno acquisito un po’ di idee
sbagliate. Il grande principio della peda-
gogia è che essa non debba mai fondarsi
sulla parola o sugli apporti esterni, come
la televisione. La vera rivoluzione si ha
nel momento in cui il bambino può agire
sugli oggetti, può fare delle esperienze che
non sono quelle del maestro».
In parole più chiare: il bambino si fa
intelligente non quando vede o quan-
do sente, ma quando agisce in prima
persona.
Alla stessa conclusione sono arrivati
anche ultimamente gli psicologi giap-
ponesi i quali hanno notato che i bam-
bini di Tokyo che abitano negli ultimi
piani dei grattacieli sono più maldestri
e impacciati dei piccoli che abitano ai
primi piani. Per quale ragione?
Perché questi ultimi hanno più pos-
sibilità di sperimentare: scendere in
cortile a giocare, correre, incontrare
gli amici, andare in bicicletta. In una
L’interrogativo è il
cuore dell’intelligenza:
fa scattare il cervello e
lo tiene sotto pressione.
La cosa è certa: una
domanda al giorno e la
stupidità è tolta di torno.
Anche nell’arte di educare
l’interrogativo ha un
rilievo centrale. Il buon
senso non basta, abbiamo
bisogno di una pedagogia
consapevole.
Immagine Shutterstock
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Gennaio 2017

4.5 Page 35

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A LORO LA PAROLA
parola hanno più possibilità di vivere
in diretta!
Dunque, che dire? I bambini del due-
mila sono più intelligenti dei piccoli
del secolo scorso?
A questo punto possiamo rispondere
con più cognizione di causa.
I bambini di oggi hanno indubbia-
mente più abilità operative (sanno
usare la calcolatrice, sanno impostare
il navigatore satellitare, sanno smanet-
tare sul cellulare), ma non è detto che
siano più intelligenti di quelli di ieri.
Mancano di due
condizioni per
la fioritura
dell’intelligenza:
Manca l’ambiente adatto.
La società frenetica in cui vivono è la
meno adatta all’attenzione, all’osser-
vazione calma e profonda, indispen-
sabile per l’intelligenza (intelligenza è
parola che deriva dal latino intus-lege-
re: andare nel profondo, vedere dentro).
Manca la seconda condizione
base per la fioritura dell’intelligen-
za: quella della vita vissuta in prima
persona.
Lo conferma la nostra psicologa
Anna Oliverio Ferraris con questa
seria osservazione: «In nessun’epoca il
bambino è mai stato tanto tempo inatti-
vo come oggi».
D’accordo! Mai come oggi i bambi-
ni hanno visto vivere e mai così poco
vivono in diretta. Bambini inscato-
lati, bambini messi in cassa integra-
zione fin dai primi anni di vita, non
potranno che avere un’intelligenza
spenta perché inutilizzata.
Che ne dite?
Per non fare la fine
della rana bollita
La rana galleggia beata nella bacinella
piena d’acqua. È così soddisfatta che
non si accorge che il fornellino acceso
di sotto riscalda a poco a poco l’acqua
fino a portarla all’ebollizione.
“In te mamma, ho una sola cosa da dirti:
che gridi troppo”. (Monica, sei anni)
“Appena c’è il telegiornale papà si mette
a gridare: ‘Ladroni, codardi, banditi’”.
(Walter, sette anni)
“Quando ti recito la lezione, mamma, i
tuoi occhi sono sfavillanti, le tue guan-
ce si arrossano e si vedono i tuoi denti
bianchi!”. (Lorenzo, nove anni)
“La prima cosa che mia mamma fa
quando torno a casa da giocare è toc-
carmi il collo di dietro: controlla la su-
data”. (Alessandro, dieci anni)
“La mia mamma è stata brava a sposare
papà!”. (Martina, dieci anni).
“Quando in famiglia c’è un litigio tu
mamma cerchi sempre di cambiare di-
scorso per non farci bisticciare”. (Fede-
rico, nove anni)
A questo punto la rana si sveglia dal
suo pacifico torpore e cerca di uscire
dalla bacinella.
Prova a spiccare il salto, ma vi ricade.
L’acqua così calda le ha tolto tutte le
forze.
Riprova il salto. Ancora una volta ri-
cade nell’acqua.
Ormai non le resta che rassegnarsi a
morire bollita!
La storia della rana può essere la no-
stra storia.
Di anno in anno stiamo erodendo la
nostra umanità. Quando prenderemo
coscienza del nostro danno mortale,
forse sarà troppo tardi. Insomma,
per farla breve, non c’è alternativa: o
bolliti’ o ‘pensanti’! I lettori del nostro
bollettino sanno bene da che parte
collocarsi.
Per questo leggeranno i vari interven-
ti mensili volti a rendere sempre più
consapevole, vale a dire sempre più
intelligente e viva, la loro arte di edu-
care.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La voce dell’inquietudine:
in dialogo con me
iornate frenetiche e convulse vissute in
Non si può vivere apnea, impegni che si susseguono e si
perennemente in sovrappongono febbrili senza lasciare
un attimo di respiro, ritmi serrati e for-
apnea, anestetizzando sennati che aboliscono e divorano ogni
auiltepnrtoicpirtàio, beisnoegpnpourdei Gmomento libero. Nella corsa a ostacoli
dell’esistenza si fa spesso fatica a ritagliare
si può fuggire da se
stessi e dalle proprie
domande di senso!
un tempo e uno spazio per la riflessione
interiore, per il dialogo con se stessi, per
prendersi cura della propria anima.
Di fronte alle difficoltà quotidiane, all’in-
calzare dei cambiamenti, ai tanti punti di
sospensione che costellano di dubbi e di
Vorrei imparare dal vento a respirare,
incertezze il cammino verso l’adultità,
dalla pioggia a cadere,
l’atteggiamento più comune è quello del
dalla corrente a portare le cose
“tirare a campare”, dell’andare avanti per
dove non vogliono andare
inerzia, evitando di soffermarsi a riflettere
e avere la pazienza delle onde di andare e venire,
troppo a lungo sul senso del percorso intra-
ricominciare a fluire.
preso e di porsi domande moleste che rischino di
Un aereo passa veloce
mettere in discussione le proprie scelte o di aprire
e io mi fermo a pensare
squarci pericolosi sulla propria fragilità. In alter-
a tutti quelli che partono, scappano o sono sospesi per giorni, mesi, anni, nativa, c’è chi preferisce la via della fuga, della
in cui ti senti come uno che si è perso
non-scelta, del “buttare tutto all’aria”, piuttosto
tra obiettivi ogni volta più grandi.
che correre il rischio di ascoltare la propria voce
Succede perché
interiore e trovarsi faccia a faccia con gli interro-
in un istante tutto il resto diventa invisibile,
gativi che gli bruciano dentro.
privo di senso e irraggiungibile per me;
A lungo andare entrambe queste strategie rive-
succede perché fingo
lano, però, tutta la loro inefficacia. Non si può
che va sempre tutto bene,
vivere perennemente in apnea, anestetizzando il
ma non lo penso, in fondo...
proprio bisogno di autenticità, e neppure si può
fuggire da se stessi e dalle proprie domande di
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4.7 Page 37

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senso! L’esperienza della crescita umana, per esse-
re feconda e foriera di equilibrio interiore, neces-
sita prima di tutto di consapevolezza. E il primo
passo per restituire senso e direzione di marcia al
proprio cammino, scampando al rischio del diso-
rientamento e dell’insignificanza, è senza dubbio
quello di abbandonare ogni finzione e fare spazio
a quella salutare inquietudine che ognuno di noi
si porta dentro, imparando innanzitutto a ricono-
scerla e a darle un nome.
Se è vero, infatti, che ciò può provocare sofferen-
za e destabilizzare le certezze faticosamente co-
struite e cristallizzate nel tempo, non si può fare
a meno di riconoscere che nessuna effimera tran-
Torneremo ad avere più tempo e a camminare
per le strade che abbiamo scelto,
che a volte fanno male,
per avere la pazienza delle onde di andare e venire,
e non riesci a capire...
Succede perché
in un istante tutto il resto diventa invisibile,
privo di senso e irraggiungibile per me;
succede anche se il vento
porta tutto via con sé.
Vivendo, ricominciare a fluire,
ricominciare a fluire...
(Tiromancino, Imparare dal vento, 2004)
quillità vale il prezzo dell’inautenticità e della ri-
nuncia a dar voce alle proprie attese più profonde.
È in quest’ottica che diventa ineludibile, per
i giovani adulti, l’esigenza di recuperare la
dimensione troppo spesso trascurata del
dialogo interiore, della ricerca incessante
sulla strada di una più profonda cono-
scenza di se stessi – delle proprie risor-
se e aspirazioni, ma anche della propria
fragilità e insoddisfazione – come stimolo e
punto di partenza per un paziente lavoro di
ri-orientamento e ri-motivazione delle
scelte intraprese e dei progetti fu-
turi.
Sono queste le premesse per su-
perare la tentazione di vivere la
quotidianità in modo convulso
e aproblematico, imparando a
dare ascolto alla propria in-
quietudine e al proprio de-
siderio di “qualcosa di più”
e facendo propria la pro-
spettiva di una permanente
auto-educazione, in grado di
restituire gusto, orizzonti e
senso di continuità alla pro-
pria esistenza.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Salesiani nel primo Maggio1915
giugno 1916
anno di guerra
«I salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno
iniziato o inizieranno al più presto nelle loro Case,
non escluse quelle adibite ad usi militari, opere
svariate di assistenza, di ricovero e di protezione
a vantaggio dei figli dei richiamati».
L o stesso giorno di entrata in
guerra (24 maggio 1915), il
Prefetto generale don Rinaldi
invitò i direttori delle singole
case a non cedere immediata-
mente i locali in caso di ordine
di requisizione per uso militare, onde
poter continuare a svolgere la propria
opera educativa. Prima avrebbero
dovuto consultarsi con gli ispettori,
i quali, uditi a loro volta i Consiglie-
ri generali di Torino, avrebbero dato
disposizioni in merito. Nel caso però
di dover acconsentire alla richiesta, si
chiedesse che un sacerdote salesiano
richiamato in servizio ne divenisse
cappellano. (A fine guerra ben 72
case salesiane d’Italia risulteranno es-
ser state requisite).
La settimana dopo fu la volta del Ret-
tor Maggiore don Albera ad inviare
agli ispettori e ai direttori una serie di
Disposizioni varie per i chiamati sotto
le armi: chiese loro di tenersi in corri-
spondenza con i soldati, aiutandoli in
tutto e procurandosi i loro indirizzi
da trasmettere sempre a Torino. Insi-
stette che si attivassero perché fossero
assegnati alle Compagnie di sanità, in
quanto attività meno pericolosa e più
confacente a religiosi (ruolo assegnato
del resto agli ecclesiastici in sacris dal-
lo stesso governo). Suggerì di insistere
perché fossero dispensati dalla chia-
mata alle armi i direttori degli oratori
in quanto insostituibili nel loro ser-
vizio pastorale. Aggiunse infine che
non si anticipasse la chiusura dell’anno
scolastico per non danneggiare allievi
e famiglie. Tre giorni dopo raccoman-
dò che non favorissero le vacanze dei
salesiani in famiglia, in quanto avreb-
bero dovuto sostituire le “centinaia e
centinaia” di confratelli mobilitati.
Si trattava di condividere fino in fondo
con i connazionali la difficile situazione
del Paese. Non per nulla meno di un
mese dopo in sintonia con la politica
adottata in tempo di guerra, scriveva
loro: “I salesiani e le Figlie di Maria
Ausiliatrice hanno iniziato o inizieran-
no al più presto nelle loro Case, non
escluse quelle adibite ad usi militari,
opere svariate di assistenza, di ricovero
e di protezione a vantaggio dei figli dei
richiamati. Dare asilo notturno a gio-
vani senza tetto, offrire una minestra
ai più poveri, raccogliere, istruire e as-
sistere lungo il giorno gli abbandonati,
è parte genuina del nostro programma”.
I problemi da affrontare erano tanti e
gravi, incominciando dalla trentina di
salesiani appartenenti agli Imperi cen-
trali (il nemico!) che per motivi di stu-
dio risiedevano in Italia, soprattutto
a Roma e a Foglizzo (Ivrea). Si riuscì
con fatica a mandarli in case salesiane
di Sardegna e poi 15 di loro tornarono
a studiare a Foglizzo nel 1916.
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4.9 Page 39

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La casa salesiana di Foglizzo, in provincia
di Torino, qui studiavano giovani salesiani
appartenenti agli Imperi Centrali. Erano cioè
“nemici”.
In luglio venne poi organizzato a To-
rino un incontro tra il Capitolo Su-
periore e gli ispettori d’Italia e d’Eu-
ropa. Ne emersero varie disposizioni,
fra cui quella di iniziare con regola-
rità l’anno scolastico il 1° ottobre e di
adoperarsi “con prudenza, fermezza
ed energia”, presso le autorità perché
gli istituti, già occupati per scopi mi-
litari o sanitari, fossero riconsegnati
in tempo e sgombri in tutto o almeno
in parte. Non si voleva rinunciare alla
propria missione educativa pure in
tempo di guerra.
Era ormai imminente la stagione au-
tunnale e invernale ed ecco allora don
Rinaldi invitare i direttori a spedire ai
salesiani militari indumenti pesanti.
In ottobre invece inviò a quelli asse-
gnati agli ospedali “pacchi di libri ed
oggetti utili a distribuirsi” gratuita-
mente ai degenti in ozio. Come aveva
fatto don Bosco, la stampa “cattiva”
andava combattuta con quella “buona”.
Nella circolare di novembre era invece
presentato un bilancio della situazio-
ne: accresciuta coesione tra salesiani e
i loro superiori di Torino; celebrazioni
modeste ed esclusivamente religiose
per il duplice centenario (festa di Ma-
ria Ausiliatrice e nascita di don Bosco)
per motivi bellici; sospensione di pur
utili iniziative; trasformazione di varie
case in caserme e ospedali; durissima
vita nelle trincee, nelle caserme, negli
ospedali e lazzaretti di molti salesiani,
senza contare i morti e feriti. Fortuna-
tamente il buon nome dei salesiani e
la simpatia verso di loro avevano fatto
sì che la maggior parte degli arruolati
fossero assegnati al settore sanitario,
dove potevano più facilmente esercita-
re un fecondo apostolato.
I primi mesi del 1916
Passavano i mesi e motivo di grave
apprensione era quello di tenere uni-
ti ed incoraggiare i salesiani in armi.
Uno dei modi per cercare di ovviarvi
fu la posta. Uno speciale rapporto si
instaurò fra i salesiani mobilitati e il
Rettor Maggiore, che all’inizio cercò
di rispondere di persona a tutti, ma per
l’eccessivo numero dovette limitarsi a
circolari mensili (da 19 marzo 1916),
cui però sempre andava unito il Bol-
lettino Salesiano. Don Albera invitava
i confratelli in armi alla fedeltà al loro
dovere, all’osservanza delle Costitu-
zioni salesiane nel limite del possi-
bile, a non prendere cattive abitudini
(alcool, fumo), ad evitare discorsi e
comportamenti immorali ecc. Chie-
deva poi loro il cosiddetto “rendiconto
spirituale” ai direttori, i quali oltre a
mantenersi in contatto epistolare con i
salesiani della loro casa, dovevano ac-
cogliere quelli presenti nelle vicinanze,
perché potessero trovarvi un luogo per
mangiare, riposare, scrivere, studiare,
essere seguiti spiritualmente.
Sul fronte interno il 6 aprile 1916 don
Albera comunicava al Presidente del
Consiglio Salandra, che i salesiani
mettevano a disposizione la propria
casa di Pinerolo (Torino), appena ac-
quistata, per l’accoglienza e l’educa-
zione degli orfani.
Continuavano però gli arruolamenti
anche di sacerdoti, per cui il Capito-
lo Superiore il 24 maggio 1916 tentò
di sottrarli almeno temporaneamen-
te all’arruolamento, nominandoli
economi spirituali nelle parrocchie
vacanti. Vi riuscì solo in parte, men-
tre molto più efficaci furono gli in-
terventi dell’ispettore di Roma (e poi
Consigliere generale per gli studi)
don Conelli. Grazie a lui vari sale-
siani nativi di paesi in guerra con l’I-
talia ma quivi residenti per motivi di
studio, poterono così evitare l’inter-
namento in campi di concentramento
e vari direttori e professori non ven-
nero mai mobilitati, neanche dopo la
disfatta di Caporetto. Don Conelli
salvò anche dalla requisizione varie
opere salesiane.
La situazione di queste per la man-
canza di personale si fece critica al
punto che i vuoti degli arruolati ven-
nero riempiti dai chierici studenti di
filosofia, con le ovvie conseguenze
per i loro studi. E intanto al fronte nel
primo anno di guerra erano già caduti
una decina di salesiani.
(continua)
Gennaio 2017
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
CRONACA DELLA POSTULAZIONE Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo per la canonizza-
zione del Beato Luigi Variara
Luigi Variara nacque il 15 gennaio 1875 a Viarigi (Asti). Nel 1856
vi era stato don Bosco per predicare una missione. E fu a don Bo-
sco che il papà affidò il suo figliuolo conducendolo a Valdocco il
1o ottobre 1887. Il Santo morirà quattro mesi dopo ma la conoscenza
che Luigi ne fece fu sufficiente a segnarlo per tutta la vita. Chiese di
farsi salesiano: entrò in noviziato il 17 agosto 1891 e lo concluse il
2 ottobre 1892 con i voti perpetui nelle mani del 1o successore di
don Bosco, il beato Michele Rua il quale gli sussurrò all’orecchio:
«Variara, non variare». Fece gli studi di Filosofia a Valsalice dove
conobbe il venerabile don Andrea Beltrami. Qui nel 1894 passò don
Unia, il celebre missionario che da poco aveva cominciato a lavorare
tra i lebbrosi di Agua de Dios, che scelse il giovane Variara per la sua
missione. Giunse ad Agua de Dios il 6 agosto 1894. Il lazzaretto com-
prendeva 2000 abitanti di cui 800 lebbrosi. Si immerse totalmente
nella sua missione. Dotato di capacità musicali, organizzò una banda
che creò subito un clima di festa nella «città del dolore».
Il 24 aprile 1898 fu ordinato sacerdote e si rivelò presto un otti-
mo direttore di spirito. Fra le sue penitenti c’erano anche i membri
dell’Associazione delle Figlie di Maria, un gruppo di circa 200 ra-
gazze di cui molte lebbrose. Il giovane sacerdote scoprì che non
poche di loro volentieri si sarebbero consacrate al Signore. Ma ciò
era considerato un sogno irrealizzabile perché nessuna Congrega-
zione accettava una lebbrosa o anche solo una figlia di lebbrosi. Fu
davanti a questa constatazione che nacque in lui la prima idea di
giovani consacrate anche se lebbrose. La Congregazione delle «Fi-
glie dei SS. Cuori di Gesù e di Maria» ebbe inizio il 7 maggio 1905.
Mosquera, Contrataciòn, Bogotà, Barranquilla... furono i vari luo-
ghi assegnatigli dall’obbedienza. Nel 1921 fu trasferito a Tàriba,
una cittadina venezuelana sul confine della Colombia. Quando vi
giunse, la salute cominciò a deteriorarsi in modo preoccupante.
Morì a Cùcuta il 1o febbraio 1923 a 49 anni d’età e 24 di sacerdozio.
Fu beatificato da san Giovanni Paolo II il 14 aprile 2002.
PREGHIERA AL BEATO LUIGI VARIARA
O Signore, che nel beato Luigi Variara,
ci hai donato un mirabile esempio di dedizione ai sofferenti
e di silenziosa sottomissione al tuo volere,
dona anche a noi amabilità nel servire,
coraggio nel preferire i più bisognosi
e fortezza nel vincere le difficoltà.
Per sua intercessione
donaci la grazia che con fede noi ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Due nuovi Servi di Dio
Il 15 novembre 2016, a Meruri (Mato Grosso - Brasile) è stato uffi-
cialmente presentato, a nome del Postulatore Generale delle Cause
dei Santi della Famiglia Salesiana, don Pierluigi Cameroni SDB, il
Supplex libellus con il quale si chiede al vescovo diocesano di
Barra do Garças (Mato Grosso - Brasile), monsignor Protógenes
Luft, di aprire l’Inchiesta diocesana relativa al martirio di
don Rodolfo Lunkenbein, missionario salesiano (1939-
1976), e di Simão Cristino Koge Kudugodu, laico (Simão
Bororo, 1937-1976).
Rodolfo Lunkenbein nacque il 1° aprile 1939 a Döringstadt in Ger-
mania. Fin da adolescente la lettura delle pubblicazioni salesiane
destò in lui il desiderio di essere missionario. Fu mandato in Brasile
come missionario e fece il tirocinio pratico nella missione di Meruri,
dove rimase fino al 1965. Venne ordinato sacerdote il 29 giugno
1969 in Germania, scegliendo come motto: “sono venuto per servi-
re e dare la vita”. Quindi ritornò a Meruri, accolto con grande affetto
dai Bororo, che gli diedero il nome di Koge Ekureu (Pesce dorato).
Partecipò nel 1972 alla fondazione del Consiglio Missionario Indi-
geno (CIMI) e lottò per la difesa delle riserve indigene. Il 15 luglio
1976 venne ucciso nel cortile della missione salesiana.
Simão Bororo, amico di don Lunkenbein, nacque a Meruri il 27
ottobre 1937 e fu battezzato il 7 novembre dello stesso anno. Era
membro del gruppo di Bororo che accompagnarono i missionari
don Pedro Sbardellotto e il salesiano coadiutore Jorge Wörz nel-
la prima residenza missionaria tra gli Xavantes, nella missione di
Santa Teresina, negli anni 1957-58. Tra il 1962 e il 1964 partecipò
alla costruzione delle prime case di mattoni per le famiglie Bororo
di Meruri, diventando un muratore esperto e dedicando il resto della
sua vita a questo mestiere. Fu mortalmente ferito nel tentativo di di-
fendere la vita di don Lunkenbein il 15 luglio 1976. Prima di morire
perdonò ai suoi uccisori.
40
Gennaio 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
RASTISLAV HAMRÁCˇ EK
DON ERNEST MACÁK
Morto a Cerovà (Slovacchia) il 13 ottobre 2016,
a 96 anni
Don Macák nacque nel 1920 a
Vištuk (Slovacchia). Racconta:
Da piccolo ero un appassionato
arrampicatore sugli alberi”. A otto
anni cadde da un tiglio e rimase in
coma per una settimana. Nel suo
paese fece anche il chierichetto e
per la prima volta si pose la do-
manda se diventare sacerdote.
Suo zio salesiano Anton Macák
lavorò a Šaštín e nell’autunno del
1932 Ernest frequentò il liceo sa-
lesiano e nel 1936 emise la prima
professione salesiana.
I superiori lo mandarono a studia-
re teologia a Torino nell’autunno
1942. Qui subito dall’inizio visse
le difficoltà dei bombardamenti
e della carestia. Lo studentato si
spostò nella campagna di Bagno-
lo Piemonte. Gli anni successivi
studiò in Slovacchia a Hronský
svätý Benˇadik. Ma neanche qui
mancano le difficoltà della guer-
ra, dei bombardamenti e delle
evacuazioni. Durante questi anni
riceve grandi doni spirituali. Lui
stesso racconta il primo dono:
Il primo dono inaspettato l’ho
ricevuto l’8 dicembre 1944. Mi ri-
cordo che ero seduto nella chiesa
davanti, rivolto verso un pilastro
grande. Nel momento quando
ho ricevuto la santa comunione,
Gesù Cristo stesso, nel silenzio
del mio cuore ha fatto risuonare
una voce: ‘Voglio e devo diven-
tare santo!’. Sentivo questa frase
chiara come qualcosa di nuovo e
profondo, che s’imprimeva e scri-
veva nella mia anima. Nella mia
vita Dio mi faceva essere felice
anche se mi chiedeva qualcosa
che era sopra le mie forze.
Ordinato sacerdote nel 1946, si
occupava dei giovani e chierici
salesiani. Nel 1950 venne de-
portato con tutti gli altri Salesiani
nel campo di concentramento per
religiosi di Podolínec, dove visse
in profonda fraternità; riuscì a
scappare dal campo e si mise a
lavorare clandestinamente e ad
organizzare la vita religiosa na-
scosta dei giovani confratelli.
Nel 1952 la polizia segreta co-
munista lo arrestò e gli inflisse
durissime persecuzioni, fisiche e
psichiche. Per non rivelare i nomi
degli altri religiosi don Macák
finse di essere matto. Provava un
grande terrore pensando fino a
quando avrebbe potuto fare così
e se un giorno sarebbe veramen-
te potuto diventare folle. Allora lo
spostarono dal carcere di Brati-
slava all’ospedale del Palazzo di
Giustizia. Tutto terminò, quando
suo padre chiese di farlo ritornare
a casa. Fino all’aprile del 1968,
quando fece il viaggio in Italia,
lavorò come un semplice conta-
dino nel paese nativo di Vištuk
continuando a fingere di essere
folle. Solo sette persone nella fa-
miglia conoscevano la verità.
Quando nel 2008 ha scritto il
suo ultimo libro, confessa: “Pen-
sando a queste cose, ancora si
aprono nel mio cuore le ferite non
guarite e con loro anche la sof-
ferenza interna e un dolore forte.
Perdonatemi, non scriverò più del
mio carcere e della mia follia. O
Dio! O Dio mio! Quanta Grazia e
dono era tutto questo! E soltanto
piano, piano, a volte goccia dopo
goccia riuscivo ad accettarlo!
Quando la rifiutavo, mi difendevo
da questa grazia! Ma oggi sono
consapevole che tutto questo era
veramente una grazia e un dono”.
Dopo essere arrivato a Roma nel
1968, don Ernest entrò in col-
laborazione con suo fratello e
prepararono insieme i program-
mi per i giovani nella Radio Va-
ticana. Il programma si chiamava
Giovane onda e lo portò avanti
per otto anni. Nell’altro periodo
(dal 1985) fu direttore della co-
munità salesiana di via Cassia
nell’Istituto slovacco dei Santi
Cirillo e Metodio e insegnava nel
liceo slovacco. Dall’anno 1987
lavorò tra gli Slovacchi a Basilea
(Svizzera) dove fu anche il diret-
tore della comunità. Da questa
“vigna del Signore nella terra
straniera” nel 1990 tornò in Slo-
vacchia, dove ricevette il compito
di direttore della comunità e pre-
side del Liceo di San Giovanni
Bosco a Šaštín.
Nel 1993 fu nominato ispettore
dei Salesiani di don Bosco in Slo-
vacchia. Lo aspettava un compito
non facile di ricostruire l’opera
salesiana.
Dopo sei anni di servizio ai con-
fratelli e ai giovanni nel ruolo di
“padre” tornò nella sua Šaštín per
essere sempre a disposizione dei
confratelli e soprattutto degli stu-
denti del liceo. Quando cominciò
a sentire il peso della vecchiaia si
spostò nella comunità delle suore
della Santa Croce, nel paese di
Cerovà.
Nel 2008, ripercorrendo la sua
vita, segnata da numerose pro-
ve, ebbe a scrivere: “Tutto è una
grazia e un dono. O Dio, valeva
la pena per me di vivere. Grazie!
Grazie! Confratelli, perdonatemi
di non avervi amato di più!”.
Gennaio 2017
41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UNA DIFFICILE SITUAZIONE
Raccogliere in un unico luogo decine, anzi centinaia di ra-
gazzi di diverse età per molti mesi all’anno, poneva problemi
di tipo disciplinare non indifferente e, nonostante ci fosse un
educatore del calibro di don Bosco alla guida dell’oratorio di
Valdocco, le difficoltà che si presentavano ogni giorno non
erano poche. Nell’autunno del 1861, due ragazzi, Giuseppe e
Matteo Luigi, figli della vedova di Agostino Cottolengo (fratel-
lo del famoso, futuro santo Benedetto Cottolengo) furono accolti a pensione nell’oratorio per motivi di
studio. Ma dopo appena un mese il più grande dei due, Giuseppe, fu allontanato per seri motivi. I seri
motivi erano che il ragazzo, sedicenne dal temperamento irruente, era venuto alle mani con un ragaz-
zino di soli nove anni, per di più usando un bastone. Inutile dire che il bambino aveva avuto la peggio,
era rimasto ferito e poi affidato alle cure del medico. Don Bosco in quella situazione non ebbe scelta:
dovette allontanare dall’oratorio per qualche tempo il giovane Giuseppe, farlo risiedere in casa di uno
zio, canonico a Chieri (per non far addolorare la madre), e attendere il suo pentimento. Due settimane
dopo, il bambino ferito si era quasi completamente rimesso e le spese mediche erano state pagate.
Fu chiesto, quindi, a don Bosco dallo zio di Giuseppe Cotto-
lengo se avrebbe accettato nuovamente in collegio il nipote.
Don Bosco, neanche in questo caso ebbe dubbi. L’avrebbe
riaccolto, ma a due condizioni: che il ragazzo riconoscesse
il suo torto e che lo zio scrivesse una lettera di scuse allo zio
(anch’egli prete) del bambino ferito. Così avvenne, il ragazzo
continuò gli studi, il bambino anche, la sua famiglia ebbe la
soddisfazione delle scuse e lo zio di Giuseppe diede 100 lire
di risarcimento (poi versate al collegio). Dunque, un episodio
di XXX, anche allora, fu risolto in modo equo ed educativo.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Una società di
capitali (sigla) - 4. Seguì al Medioevo
- 12. Per farne quattro… si esce di
casa! - 14. Iniziali della Muti - 15.
Ci sono anche quelle di cocco - 16.
Consonanti in rosa - 18. Eccedere,
ma senza cedere! - 19. L’insieme degli
acquirenti di un negozio - 21. Bensì -
22. Quello medio è la borghesia - 24.
Dieci arabi - 25. La fondò Enrico Mat-
tei - 26. Vi si servono espressi e cap-
puccini - 27. Dispari in idrico - 29.
XXX - 32. Involto, fagotto di un certo
peso da portarsi sulle spalle - 35. È
in provincia di Vicenza - 37. Scorre
nelle Marche - 39. Si ricorda con
Niso - 41. Nome di donna - 42. Sul
fondo del baratro! - 43. Può esserlo
un’apparizione sovrannaturale - 45. Il
mal sottile - 46. Articolo romanesco -
47. La sua capitale è Belmopan - 48.
Un tratto dell’intestino - 49. Unione
Europea.
VERTICALI. 1. Simmetrico - 2. Si
fa dopo la guerra - 3. Rendono scarse
le scorte - 4. Il centro di Parigi - 5. Lo
riscuote l’armatore - 6. Si nascondo-
no con le esche - 7. Costruisce noti
processori per computer - 8. Il medico
d’ospedale può visitare intra o extra
- 9. Un fenomeno celeste - 10. Sono
pari nell’enzima - 11. Una traccia sul-
la sabbia - 13. Cellula riproduttiva
dei vegetali - 17. Vi si cuciono abiti
su misura - 19. 101 romani - 20.
Prendere a modello - 23. Accende
il pubblico degli stadi - 26. Rumori
forti, cupi - 28. Incrinature, fessure -
29. Fulminea azione militare - 30. La
Falana cantante - 31. Un tipo di fritto
- 33. Il primo film diretto da Spielberg
- 34. Ripidi, scoscesi - 36. Fu tradito
da Giuda - 38. Il Pampurio a fumetti
di molti anni fa - 40. Le “spremute” di
olive - 43. Iniziali di Botticelli - 44.
Il… Greco pittore.
42
Gennaio 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
La parte più
importante
Quando ero ragazzina, mia
madre mi chiese quale fosse
la parte più importante del
corpo.
Mi piaceva moltissimo ascol-
tare musica, come ai miei
amici del resto, e pensai che l’udito
fosse molto importante per gli esseri
umani e risposi: «Le orecchie».
«No» disse mia madre.
«Alcune persone sono sorde
eppure vivono felicemente».
Dopo qualche tempo, mia
madre mi rifece la stessa
domanda: «Qual è la parte
più importante del corpo
umano?».
Io intanto ci avevo pen-
sato e credevo di avere
la risposta giusta.
«Vedere è meraviglioso e
molto importante per tutti,
quindi devono essere gli
occhi».
Lei mi guardò e disse:
«Anche questa volta
non è la risposta giusta.
Molti, infatti, sono ciechi e se la
cavano benissimo».
Pensavo che fosse solo una specie di
gioco tra me e mia madre.
Un giorno, tristissimo per me, morì
il mio caro nonnino che amavo
tantissimo. Ero distrutta dal dolore.
Quel giorno mia madre mi disse:
«Oggi è il giorno giusto perché tu
possa capire la risposta alla doman-
da. La parte più importante del
corpo sono le spalle».
Sorpresa, chiesi: «Perché sostengono
la testa?».
«No», rispose mia madre. «Perché su
di esse possono appoggiare la testa
gli amici o le persone care quando
piangono. Tutti abbiamo bisogno di
una spalla su cui piangere in qualche
momento della nostra vita».
Quella volta scoprii quale fosse la
parte più importante del mio corpo.
Perché, in quel momento, quella che
aveva bisogno di una spalla su cui
piangere ero io.
Vi auguro di avere spalle
sempre pronte ad accogliere gli
amici e le persone che amate
quando ne hanno bisogno. Le
persone potranno dimenticare
quanto dite. Dimenticheran-
no ciò che avete fatto. Ma non
dimenticheranno mai quando
avete accolto la loro pena. I veri
amici sono come le stelle: non
sempre le vedi, ma sai che ci
sono sempre.
E soprattutto ricordate: bisogna
sentire la mano di Dio sulla
nostra spalla, per essere la sua
mano sulla spalla degli altri.
Gennaio 2017
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Suor
Alessandra Smerilli
Salesiani nel mondo
Diario
dal Madagascar
A tu per tu
«Lavoro con due cuori»
Don Johann Kiesling
Missionario in Congo
Che cosa pensano
i giovani
Esiste l’amore
che dura?
Le case di don Bosco
Il Pio XI
La “scuola di don Bosco”
a Roma
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.