Bollettino_Salesiano_201609

Bollettino_Salesiano_201609



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IL
SETTEMBRE
2016
L’invitato
Don Filiberto
González
Le case di
don Bosco
Mezzano
di Primiero
Salesiani
nel mondo
India
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Giovani
protagonisti
Bebe
I fiori di don Bosco

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IL
SETTEMBRE 2016
ANNO CXL
Numero 8
IL
SETTEMBRE
2016
L’invitato
Don Filiberto
González
Le case di
don Bosco
Mezzano
di Primiero
Salesiani
nel mondo
India
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Giovani
protagonisti
Bebe
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
I fiori di don Bosco
In copertina: In un famoso sogno, don Bosco
parlò ai suoi giovani delle virtù fondamentali
con il linguaggio dei fiori, come illustra
il nostro poster (Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Verso il futuro in bicicletta
10 L’INVITATO
Don Filiberto González
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 A TU PER TU
Don Enrico Peretti
20 FMA
Magdeburgo
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
Mezzano di Primiero
27 ABBIAMO BISOGNO DI VOI!
28 INIZIATIVE
Qui si tratta di esseri umani
32 GIOVANI PROTAGONISTI
Bebe
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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32
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Joaquim
Antunes, Chiara Bertato, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Roberto Dissegna, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Gabriella Imperatore, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
O. Pori Mecoi, Simone Utler, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
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Progetto grafico: Andrea Morando
Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il nome di Dio è
“Misericordia”
Siamo famiglia salesiana, portatori
di un carisma radicato fermamente
nella certezza che il nostro Dio ha
una tenerezza speciale per i suoi figli.
Papa Francesco ha offerto alla Chiesa Uni-
versale un Giubileo Straordinario della
Misericordia. L’Anno Santo si è aperto
l’8 dicembre del 2015, Solennità dell’Im-
macolata Concezione, e si concluderà
nella solennità liturgica di Gesù Cristo,
Re dell’Universo, il 20 novembre 2016.
Alla base di questo Giubileo, il Papa ha posto la
necessità, che sempre abbiamo, di contemplare il
mistero della misericordia, perché è fonte di gioia,
di serenità e di pace e nella Bolla di indizione ha
manifestato ciò che porta vivo nel cuore: «Come
desidero che gli anni a venire siano intrisi di mi-
sericordia per andare incontro ad ogni persona
portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti,
credenti e lontani, possa giungere il balsamo della
misericordia come segno del Regno di Dio già
presente in mezzo a noi».
Io ho intitolato questo messaggio: «Il nome di
Dio è misericordia». È lo stesso titolo di un’inter-
vista fatta a papa Francesco qualche mese fa. In
essa, il Papa risponde a molte domande sull’Anno
Giubilare e su ciò che lo ha motivato per indirlo.
Alla domanda: «Che cos’è la misericordia per il
Papa?» risponde che «la misericordia è la carta
Foto Shutterstock
d’identità del nostro Dio: Dio di misericordia,
Dio misericordioso».
Un’espressione così semplice, così radicale e così
liberatoria nello stesso tempo.
Ho pensato che non potevo lasciar passare questo
anno speciale senza riferirmi ad esso a partire dalla
nostra realtà salesiana, perché prima di tutto siamo
educatori ed educatrici di tanti giovani del mondo,
siamo famiglia salesiana, portatori di un carisma
radicato fermamente nella certezza che il nostro
Dio ha una tenerezza speciale per i suoi figli, per
i giovani del mondo e in particolare per quelli che
fino ad oggi hanno avuto meno opportunità.
Sono centinaia e centinaia le pagine scritte e pub-
blicate in tutto il mondo sul tema della misericor-
dia. Le mie parole non riportano nessuna novità,
ma un messaggio forte sì: una
.
Una chiamata a ogni educatore ed educatrice, a
ogni consacrato e consacrata per ribadire il nostro
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fondamentale impegno: essere autentici annun-
ciatori e diffusori, per contagio, della Misericor-
dia del nostro Dio.
Partendo prima di tutto da questa convinzione:
solo chi ha fatto esperienza della sua Misericor-
dia conosce realmente Dio. Cioè, solo se abbiamo
sentito bisogno del suo sguardo gentile e tenero
potremo passare ai nostri ragazzi e giovani qual-
che squarcio trasformante ed efficace di ciò che
crediamo sia Dio per noi e per loro.
Non si può parlare della misericordia che Dio ci
dona come se fossimo maestri che vengono a in-
segnare. Noi possiamo solo condividere la nostra
convinzione e la nostra certezza di una povera
fede che però può donare una forza straordinaria.
Le due stelle
Allo stesso tempo, un cuore salesiano deve sen-
tirsi felice di sapere che con il suo modo di essere
e di agire in mezzo ai ragazzi ha la meravigliosa
opportunità di dimostrare, in concreto, come Dio
ama i giovani, anche attraverso i nostri gesti di
donazione e di servizio generoso.
Come racconta la storia sapienziale intitolata “Le
due stelle”: «Viveva un tempo un uomo molto au-
stero, il quale aveva fatto il voto di non toccare né
cibo né bevanda fino al tramonto del sole.
L’uomo sapeva che il suo sacrificio era gradito al
Cielo, perché tutte le sere sulla montagna più alta
della valle si accendeva una stella luminosa, visi-
bile a tutti.
Un giorno l’uomo decise di salire sulla montagna
e un ragazzino del villaggio insistette per andare
con lui. Per il caldo e la fatica, presto i due ebbe-
ro sete. L’uomo incoraggiò il bambino a bere, ma
quello rispose: «Lo farò solo se bevi anche tu!».
Il poveretto era in un grave imbarazzo: non vo-
leva rompere il suo voto, ma neppure voleva far
soffrire la sete al piccolo. Alla fine bevette e il
bambino fece lo stesso.
Quella sera, l’uomo non osava guardare in cielo,
per paura che la stella fosse scomparsa.
Si può quindi immaginare la sua sorpresa quando
dopo un po’ alzò gli occhi e vide che sulla monta-
gna splendevano due stelle lucenti.
Non hanno bisogno di molte parole: quando i ra-
gazzi sentono che al loro fianco ci sono religiosi
ed educatori che donano la vita per la loro felicità,
il volto misericordioso di Dio diventa visibile.
Qualora incorra in qualche sbaglio, il giovane
non si sente condannato, ma ugualmente accolto
e compreso. Così, anche quando il suo errore è
evidenziato continua a sentirsi l’amato figlio di
Dio e il volto misericordioso del Padre risplende
nella sua vita. Quando i giovani, come succedeva
con don Bosco, si accorgono che li vogliamo felici
qui e per l’eternità, fanno l’esperienza diretta di
come Dio li ami incondizionatamente.
Speriamo che quest’anno giubilare continui a dare
i suoi frutti anche nei prossimi anni. È un’op-
portunità per crescere in umanità, e camminare
verso la Pace, anche se talvolta i nostri passi sem-
brano così incerti.
Continuiamo a credere che il nostro Dio accom-
pagna la nostra storia, anche se a volte, nella no-
stra libertà, facciamo cose che invece di un passo
avanti sembrano due passi indietro.
Nonostante tutto, amici miei cari, lasciamo che
i nostri cuori siano toccati da questo Dio il cui
nome è Misericordia.
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SALESIANI NEL MONDO
TESTO E FOTO: SIMONE UTLER - DAL DON BOSCO MAGAZIN
Traduzione di Marisa Patarino
Verso il futuro Tarunèfelicissimo:anchesevive
in bicicletta in una zona molto povera dell’India,
dove non ci sono molte opportunità
per studiare, può andare a scuola.
Tutte le mattine, sua madre lo
accompagna attraverso una strada
lunga e accidentata. Porta suo
figlio in bicicletta alla Scuola Don
Bosco di Jokbahla.
Sono le mamme
eroiche piene di
forza e coraggio
che, a prezzo di
enormi sacrifici,
assicurano un
futuro ai loro figli.
Nonostante tutto.
Quando deve preparar-
si per andare a scuola,
Tarun, un bambino di
sei anni, non riesce an-
cora a tenere gli occhi
bene aperti. Sua madre
Naraya deve aiutarlo a indos-
sare il pullover e i calzini rossi.
Sono le cinque del mattino e il
ragazzo è ancora mezzo addor-
mentato. Naraya è sveglia già
da un’ora. Ha spazzato la casa,
ha portato la mucca al pascolo,
ha preparato la colazione. Ades-
so si assicura che i suoi due figli si preparino per
andare a scuola, che si lavino i denti, siano ben
pettinati e abbiano la divisa scolastica pulita.
Naraya sa quanto l’istruzione sia importante. Per
questo tutte le mattine accompagna a scuola in
bicicletta Tarun, che è ancora piccolo. Il suo figlio
maggiore, Rudra, che ha nove anni, deve andarci
a piedi. Solo se è molto tardi può avviarsi con la
vecchia bicicletta verde i cui freni cominciano ad
arrugginirsi. Il percorso dura tra i 35 e i 40 mi-
nuti e si svolge su strade sconnesse. È molto fati-
coso per la minuta Naraya, che deve pedalare con
un bambino sul portapacchi. Alla fine procede a
piedi nudi, con la figlia di tre anni avvolta in un
telo annodato sulla schiena, sopra il sari. Naraya
però non bada alla fatica: «È molto importante
che i bambini vadano ogni giorno a scuola e non
perdano nessuna opportunità», dice.
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Mio marito ed io non abbiamo avuto la possibilità di andare
a scuola da piccoli. Voglio che i miei bambini possano farlo
Naraya, 35 anni
La vita di Naraya è densa di impegni. La sua fa-
miglia vive in un piccolo villaggio ubicato in una
zona molto remota dello Stato indiano del Chhat-
tisgarh. Il paesaggio sembra idilliaco ai visitatori,
ricco com’è di prati, campi e alberi che si stagliano
verso l’alto delle dolci colline, ma qui la vita quo-
tidiana è dura. Si vive in modeste case di argilla,
senza elettricità, senza acqua potabile e senza assi-
stenza medica. Molti hanno solo un piccolo appez-
zamento di terra su cui coltivano
verdure, frutta e riso, spesso solo
per uso familiare. Molti contadi-
ni prestano anche la loro opera
come braccianti.
Solo poche vie principali sono
asfaltate. Due terzi circa della
strada che Naraya e Tarun per-
corrono in bicicletta sono coper-
te di sabbia o ghiaia. Durante
la stagione dei monsoni spesso
queste strade sono impraticabi-
li. Non ci sono mezzi pubblici
di trasporto, la gente non può permettersi auto-
vetture e motociclette. Chi ha una bicicletta può
considerarsi fortunato.
Mentre Tarun e sua madre si avvicinano alla
scuola, lungo la strada si vedono tante altre bici-
clette. I modelli sono tutti simili. Sembrano re-
perti dell’epoca coloniale britannica.
Tarun e suo fratello frequentano la scuola Sa-
hayika, un istituto anglo-indiano nella cittadina
di Jokbahla gestito dai Salesiani. Arrivano qui ra-
gazzi e ragazze provenienti da un raggio di circa
14 chilometri e quasi tutti devono compiere un
percorso disagevole. «Per questo motivo molti
bambini non vengono regolarmente a scuola»,
spiega il direttore, don Rajesh Xalco, che questa
mattina accoglie gli allievi e le allieve all’ingres-
so dell’edificio immerso nel verde. «Inoltre, molti
genitori tengono i figli a casa affinché li aiutino
a lavorare i campi o a badare al bestiame». Molti
abitanti di questa regione non sono consapevoli
del valore dell’istruzione. «Ma solo se i genitori
collaborano i bambini possono imparare qualco-
sa», aggiunge il direttore.
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SALESIANI NEL MONDO
Naraya aiuta i suoi
figli a studiare.
Accanto: La
famiglia al
completo.
In alto a destra:
I due piccoli
allievi dell’Istituto
Salesiano di
Jokbahla.
I Salesiani hanno cominciato a svolgere la loro
opera pastorale presso il centro della comuni-
tà di Jokbahla nel 1979, su richiesta del vescovo
dell’epoca, che apparteneva all’ordine dei Gesuiti.
Oggi i Salesiani sono responsabili della parroc-
chia, di due scuole elementari, due scuole medie
e un pensionato per ragazzi. «Il nostro impegno
principale è diffondere l’istruzione», dice don
Rajesh. Per sfuggire alla povertà così diffusa in
questa regione, molte persone, soprattutto gio-
vani, vanno nelle grandi città dell’India, dove
vivono l’esperienza dello sfruttamento come la-
voratori non qualificati. I ragazzi, in particolare,
finiscono spesso a vivere per strada, mentre molte
ragazze trovano impiego come collaboratrici do-
mestiche e non di rado devono adattarsi a essere
trattate come schiave.
I Salesiani vogliono offrire la miglior formazione
possibile, ma le risorse materiali di cui dispongo-
no sono scarse. Le pareti sono scrostate e i bam-
bini più piccoli devono sedersi sul pavimento.
«Dobbiamo fare presto qualcosa», dice don Ra-
jesh, che dall’estate del 2014 è responsabile della
struttura e ha collocato l’approvvigionamento di
acqua in cima all’elenco delle sue priorità: «Qui
nella scuola media frequentata da 460 allievi ci
sono solo una pompa per l’acqua potabile e una
pompa per l’acqua per lavare le stoviglie».
Nel pomeriggio una colonna di allievi compie lo
stesso percorso a ritroso. Tarun e Rudra devono
tornare a casa a piedi. Camminano per due ore e
mezza. Se la loro madre ha tempo, va a prenderli
con la bicicletta, ma quasi sempre Naraya deve
lavorare. Appena arrivano a casa, i bambini si tol-
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gono le divise scolastiche e giocano davanti alla
loro casa con una palla sporca di fango o insieme
alla loro capretta. Poi Naraya chiama i figli e li
invita a rientrare in casa perché studino. «Voglio
che i miei figli abbiano un futuro sereno. Almeno
uno di loro deve continuare a studiare e trovare un
buon lavoro», dice la madre trentacinquenne. Su
una parete di argilla grigia della loro casa, proprio
sotto la mensola su cui è collocata una statua di
Maria Santissima, Naraya ha tracciato l’alfabeto
con il gesso bianco per poter ripassare l’alfabeto
inglese insieme ai figli. «Per cominciare hanno
bisogno di una base, poi potranno continuare a
studiare», dice Naraya. La signora ha frequentato
un biennio di scuola media superiore. È un caso
raro, soprattutto per una ragazza.
Trovare il denaro necessario per studiare non è
semplice. In India gli allievi possono frequentare
la scuola gratuitamente fino all’età di 14 anni e
anche i libri di testo sono sovvenzionati dallo Sta-
to, ma i genitori devono pagare le divise scolasti-
che, i quaderni e gli articoli di cancelleria. Molti
non hanno la possibilità di affrontare neppure
questa spesa.
Molti genitori tengono i bambini a casa, perché li aiutino
nel lavoro dei campi. Adesso però se i genitori cooperano
i bambini possono imparare molto
don Rajesh Xalco
Anche per i genitori di Tarun non è facile per-
mettere ai figli di frequentare la scuola, perché il
padre ha solo pochi campi di modeste dimensioni
in cui coltiva lenticchie, riso e arachidi. Naraya è
una madre attenta che si interessa anche di questo
aspetto: «Ho un’idea approssimativa della spesa
a cui dobbiamo fare fronte affinché i nostri fi-
gli vadano a scuola», dice. «Quando ad esempio
vendiamo il raccolto, mettiamo da parte il denaro
necessario».
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L’INVITATO
JOAQUIM ANTUNES
Traduzione di Marisa Patarino
«Internet non Latecnologiauniscela
famiglia oppure contribuisce
a disgregarla? Oggi bambini
e adolescenti trascorrono
è un nemico» inmediapiùdicinquanta
ore settimanali con i mezzi
digitali e la tecnologia.
Molte più di quante ne
dedichino all’interazione
con i genitori e con gli altri.
Che cosa propongono gli
educatori salesiani?
Incontro con don Filiberto González, massimo
responsabile della comunicazione sociale
nella Congregazione Salesiana.
I Salesiani hanno reso molto felice la
mia vita di bambino. Ho imparato
anche a conoscere lo sguardo profon-
do di don Bosco e il suo sorriso genti-
le. Avevo l’impressione che guardasse
me e mi sorridesse! Già da allora con-
quistò il mio cuore. I miei genitori lo
compresero subito. Io non sapevo che
cosa significasse essere salesiano, ma
Come è nata la sua
vocazione salesiana?
Sono nato nella città di Jalisco, in
Messico, dove le famiglie sono molto
unite e la fede cattolica è molto forte.
Ho ricevuto la prima formazione nel-
la scuola pubblica che si trovava da-
vanti alla casa dei miei genitori. A un
centinaio di metri di distanza c’erano
la chiesa, l’oratorio e l’aspirantato dei
Salesiani. Là quando avevo sei anni
ho incontrato don Bosco e i Salesiani,
giocando, pregando, passeggiando e
servendo la Messa come ministrante.
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vedevo che i Salesiani mi guardavano
e mi sorridevano con lo stesso affetto
di don Bosco.
Già da allora desiderai dunque diven-
tare come i Salesiani che incontravo
all’oratorio, in chiesa e nell’aspiranta-
to. Sono entrato in aspirantato poco
dopo aver compiuto dodici anni... e
sono qui grazie a Dio e a Maria Au-
siliatrice!
Come si diventa
Consigliere Generale di
una Congregazione religiosa
diffusa in tutto il mondo?
Non avrei mai immaginato di diven-
tare Consigliere Generale della Con-
gregazione Salesiana. Credo che tutto
sia una grazia da parte di Dio, che ci
sceglie per compiere la sua volontà.
Ho fatto parte dei Capitoli generali
del 1996 e del 2008 e sono stato eletto
per la prima volta nel secondo Capi-
tolo, quando ero Ispettore di Guada-
lajara - Messico. Il Capitolo generale
del 2014 mi ha rieletto per lo stesso
servizio per un altro mandato della
durata di sei anni. Faccio parte del
Consiglio Generale. Formiamo una
grande squadra di fratelli al servizio
della Congregazione con la guida del
Rettor Maggiore. Il nostro lavoro è
sempre di squadra, non ha senso svol-
gerlo da soli, separatamente. Ognuno
dà il meglio di se stesso per la gloria
di Dio e la salvezza dei giovani. Tra-
scorriamo a Roma quattro mesi l’an-
no, e alcuni di noi cinque, per pren-
dere parte a riunioni. Dedichiamo il
resto del tempo a visitare opere della
nostra Famiglia religiosa e a incontra-
re Salesiani e giovani provenienti da
132 Paesi del mondo in cui la Con-
gregazione è diffusa.
Quanto è presente
la Congregazione
sulle piattaforme digitali?
La Congregazione è una realtà molto
bella, molto grande e molto comples-
sa. È un’entità dinamica e variegata
contraddistinta dalla storia, dalla cul-
tura e dalle condizioni economiche di
ogni luogo. Ci sono Ispettorie molto
avanzate nell’ambito digitale e altre
che si stanno avvicinando lentamente
a questo campo, ma tutte le Ispettorie
Don Filiberto durante una visita in India.
Sotto: Con i responsabili del Centro Salesiano
del Messico.
sono convinte che le piattaforme e le
tecnologie digitali siano strumenti in-
dispensabili per il futuro dei giovani.
Possiamo immaginare
don Bosco al computer?
Ho visto una foto classica di don Bo-
sco che invece del breviario teneva
fra le mani un iPad. Ne sono rima-
sto affascinato, perché credo che don
Bosco, uomo di Dio, avrebbe usato
questo strumento per consultare il
breviario, la Bibbia e un’intera libreria
di documenti ecclesiali. La sua crea-
tività educativa e pastorale gli avrebbe
permesso di raggiungere migliaia di
giovani grazie alle nuove tecnologie.
E come sarebbe oggi
l’adolescente Giovanni
Bosco, se avesse Internet,
smartphone, tablet e altri
strumenti tecnologici?
Fin dall’infanzia Giovanni Bosco
aveva un obiettivo molto chiaro: avvi-
cinare a Dio grandi e piccoli. Per que-
Settembre 2016
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L’INVITATO
sto nell’epoca in cui viveva si serviva
di funi, numeri di magia, sport, rac-
contava storie, ripeteva omelie, utiliz-
zava strumenti musicali, organizzava
cori e rappresentazioni teatrali. Nel
nostro tempo si sarebbe servito anche
delle nuove tecnologie. Sarebbe stato
un adolescente innamorato di Dio,
capace di trascinare, allegro, socie-
vole, creativo, comunicativo, un buon
amico, esperto navigatore in Inter-
net, capace, prudente ed equilibrato
nell’uso dei social network e di ogni
genere di applicazioni.
Il futuro delle nuove
generazioni si gioca
davvero in questo ambito?
Le nuove tecnologie, Internet, il mon-
do digitale sono una realtà innegabile.
Non sono un’opzione su cui si possa
discutere. La società, la scienza, gli
scambi commerciali, la comunicazio-
ne e anche l’istruzione scolastica pra-
ticamente dipendono da questi mezzi.
È anche vero che questo mondo vir-
tuale sfuma sempre di più i suoi con-
fini con la vita quotidiana del mondo
reale nella vita quotidiana dei bambi-
ni e dei giovani.
Il mondo virtuale e il mondo reale
sono parte di una stessa realtà umana
segnata dal tempo, dallo spazio, dalle
relazioni e dalla ricerca di significato,
vissuti e condivisi con Dio e con gli
altri. Nessuno di questi due mondi
deve perdere queste dimensioni cen-
trate sulla persona. Gli adolescenti e
i giovani vanno al di là dei limiti ne-
cessari perché non ci sono genitori o
educatori che insegnino loro a distin-
guere i due campi e li accompagnino.
A volte gli stessi adulti devono essere
educatori e hanno bisogno di essere
accompagnati in questo ambito! A
volte loro stessi sono confusi!
Si dice che il computer
svolga il ruolo di confidente
e migliore amico perché
permette di raggiungere
tante persone.
La mia domanda è questa: il metodo
preventivo di don Bosco, che si basa
Nessun telefono, tablet o applicazione
potrà mai sostituire l’amore, l’abbraccio
e il bacio di una madre!
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Settembre 2016
sulla formazione personalizzata, trova
qui un “concorrente” serio e difficile
da battere?
Il Sistema Preventivo, con la sua spi-
ritualità e la sua pedagogia, ha il suo
fondamento nella qualità delle rela-
zioni personali con Dio e con gli altri,
impregnate di ragione, di fede e di
amorevolezza. Queste caratteristiche
facevano sì che la “presenza” di don
Bosco fosse “personalizzata”, anche
se il Santo non era fisicamente “pre-
sente”. Così il computer o Internet
non sono nemici o avversari da bat-
tere, ma costituiscono un altro spazio
culturale, sociale e pastorale popolato
dai giovani, all’interno del quale pos-
siamo interagire con loro. Credo che
chi vive relazioni di qualità negli spazi
fisici come il cortile, le aule, la chiesa,
l’autobus, lo sport, la strada, le feste,
ecc. abbia anche relazioni di qualità
in Internet. Non è la presenza fisica a
rendere personale una situazione, ma
il modo significativo di essere presen-
ti nella vita delle persone, dei giovani.

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Quali “armi” hanno a
disposizione gli educatori
per contrastare l’uso non
corretto del computer
da parte di bambini,
adolescenti e giovani?
Innanzitutto devono renderli consa-
pevoli che le nuove tecnologie e Inter-
net in sé non sono né buoni né cattivi:
sono semplicemente mezzi a disposi-
zione delle persone. In secondo luogo
occorre insegnare loro ad assumer-
si la responsabilità delle loro scelte,
delle loro decisioni, delle loro azioni
e dell’uso che ne fanno. È dunque
importante essere sempre loro vicini
e seguirli con rispetto, con il dialogo,
la fiducia, l’amicizia e, se necessario,
con la disciplina e con un’autorità pa-
terna. Infine, occorre creare momenti
e ambienti familiari e scolastici che
si rivelino significativi, in modo che
i giovani riescano a “staccarsi dalla
Don Filiberto con i responsabili della Comunicazione
Sociale delle Ispettorie della Spagna.
A pagina precedente : Un intervento con il Rettor
Maggiore.
Le nuove tecnologie non sono
un’opzione su cui si possa discutere.
La società, la scienza, gli scambi
commerciali, la comunicazione e anche
l’istruzione scolastica praticamente
dipendono da questi mezzi
tecnologia e da coloro che sono lonta- muovere la partecipazione dei giovani
ni”, “per sintonizzarsi con persone che attraverso mezzi di comunicazione po-
sono vicine”.
polari come il teatro, la danza, il canto,
Che cosa fanno i Salesiani
per avvicinare questi
la musica, la pittura, la narrativa, gior-
nali, riviste e radio comunitarie, ecc.
Entrambe le proposte sono di grande
due mondi?
valore educativo salesiano.
Il 26° Capitolo Generale dei Salesiani,
nella consapevolezza di questo divario La nuova “cultura”
digitale, ha lanciato due proposte: da determina un vuoto
un lato utilizzare e promuovere il siste- profondo nei giovani.
ma Free Open Source Software, poiché Il Movimento Giovanile
è etico, evangelico, educativo ed eco- Salesiano riesce a riempire
nomico; d’altra parte, si cerca di pro- il cuore dei giovani?
La post-modernità è un tema estre-
mamente complesso che fa riferimen-
to, per usare termini molto semplici,
alla storia, alla filosofia e all’arte. Tra
l’altro, favorisce un pensiero ibrido, il
livellamento dell’autorità e della ge-
rarchia, la diffidenza nei confronti
delle relazioni importanti e delle ve-
rità, e dunque il relativismo. Questa
realtà si riflette nei giovani, ma molti
di loro la vivono in una sorta di vuoto
insensato e inspiegabile. Affrontiamo
questa situazione personalmente, con
l’educazione e come Movimento Gio-
vanile Salesiano.
Settembre 2016
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MONDO
2
3
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
1
SUDAN 1
MESSICO 2
FINO AI CO
Giovani del riformatorio
rinascono
Prendendo esempio dallo stesso
don Bosco, il Centro di Formazione Professionale “St
Joseph” di Khartoum, in Sudan, lavora per offrire una
seconda opportunità ai giovani che hanno commesso dei
reati. Da 17 anni, infatti, accoglie e forma i ragazzi dei
due principali riformatori della città, Kobar e Jeref.
Il direttore dell’opera salesiana, don Johnson Paulraj,
insieme con il Preside, signor Fakreldeen, ha provveduto
a selezionare gli allievi. Il 12 ottobre scorso sono iniziati i
corsi, per meccanico automobilistico, elettricista, murato-
re e saldatore, con i primi due corsi che hanno raccolto il
maggior numero di adesioni.
Oltre alla formazione tecnica, viene curata la formazione
umana e ai valori, insieme allo sport, elemento essenziale
per ridurre lo stress psicologico e la tristezza.
Nella seconda settimana di maggio gli allievi si sono
diplomati, in una giornata solenne a cui hanno partecipa-
to anche don Joseph Pulikkal, , Delegato ispettoriale
per il Sudan.
Molto spesso dopo il completamento dei corsi presso il
Centro di Formazione Professionale “St Joseph” alcuni
vengono rilasciati dal riformatorio e possono iniziare una
nuova vita.
I Salesiani di Tijuana
aprono ai migranti
Quasi mille migranti provenienti da Africa, Haiti,
America Centrale e Messico hanno raggiunto la città di
frontiera di Tijuana per chiedere asilo politico negli Stati
Uniti. In attesa di ricevere una risposta alla loro richiesta
vengono aiutati dai Salesiani nell’oratorio “San Francesco
di Sales”. Tutti i giorni centinaia di persone arrivano a
Tijuana provenienti da diverse aree del Messico, dell’A-
merica Centrale e da varie parti del mondo. L’obiettivo è
sempre lo stesso: entrare negli Stati Uniti per inseguire il
cosiddetto “sogno americano”.
Don Felipe Plascencia, Direttore della presenza sale-
siana a Tijuana, descrive la situazione come qualcosa di
straordinario. Segnala infatti che la situazione ora “si è
complicata, perché sono moltissime le persone arrivate”.
Di solito, spiega il salesiano, vengono accolte tra le 25 e
le 30 persone, ma da quando è iniziata questa situazione
“si sono moltiplicate fino a 150, 170 e attualmente sono
centinaia”.
Il Direttore spiega che in qualche maniera si trova la co-
pertura economica per gli approvvigionamenti. Ad ogni
modo, “siamo ben disposti a servire le persone in questa
situazione, perché sono nostri fratelli e hanno bisogno di
noi”, conclude don Plascencia.
14
Settembre 2016

2.5 Page 15

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SPAGNA 3
L’Associazione Pinardi
sostiene 150 giovani
Il progetto sociale “Prima Esperienza Professionale”,
condotto dall’Associazione Pinardi e finanziato dalla
Fondazione JP Morgan Chase, nel suo primo anno di
vita ha migliorato le possibilità di impiego di 90 giovani.
Grazie al suo modello innovativo, attraverso cui i giovani
partecipanti acquisiscono competenze ed esperienza di
lavoro in grandi aziende, oltre il 65% dei partecipanti
della prima edizione ha ottenuto un contratto di lavoro.
Il progetto “Prima Esperienza Professionale” si basa sullo
sviluppo di esperienze professionali in un ambiente di
lavoro reale, nei settori della ristorazione, del turismo,
del tempo libero e della logistica, con la collaborazione di
aziende partner in ciascun settore. I ragazzi che vi parte-
cipano ricevono una formazione interna alle aziende, che
INDIA 4
4
“Mattoni di speranza”
Ci sono circa 500 fabbriche di mattoni a
Pasahaur, nel Distretto di Jhajjar (Haryana), una sessan-
tina di chilometri dalla capitale, Nuova Delhi. Esse sono
la principale fonte di approvvigionamento di mattoni
per le province settentrionali del paese, ma nessuno dei
lavoratori ha un mattone per costruire la propria casa.
Durante il giorno si vedono bambini sotto i 10 anni lavo-
rare nelle fornaci. “Ci colpisce amaramente. Il cervello si
rifiuta di accettare ciò che si sta vedendo: bambini molto
piccoli con le loro tenere mani lavorano sotto il sole come
se fossero esperti muratori”.
L’opera salesiana “Pasahaur Don Bosco” sta costruen-
do un villaggio per aiutare questi bambini. I Salesiani
vogliono costruire un altro tipo di mattoni. Mattoni di
speranza per un futuro migliore. “Siamo fermamen-
te convinti che le condizioni di vita delle persone che
vivono nella zona di Pasahaur potrebbero migliorare se
riusciamo ad ottenere acqua potabile e a costruire dei
rifugi” affermano.
I Figli di Don Bosco hanno avviato un programma di
sensibilizzazione per le donne e i bambini lavoratori,
creato centri per i bambini svantaggiati e forniscono
educazione e assistenza ai più bisognosi.
viene completata da moduli di formazione linguistica,
educazione finanziaria, competenze digitali e trasversali.
Grazie alla collaborazione delle aziende associate e
l’Associazione Pinardi, i giovani seguono un programma
di formazione intensivo e completo che permetterà una
maggiore stabilità del lavoro e un’integrazione sociale
definitiva.
Varie autorità amministrative hanno sottolineato l’im-
portanza dell’Associazione Pinardi nei confronti della
popolazione svantaggiata e specialmente dei giovani a
rischio.
Settembre 2016
15

2.6 Page 16

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Incontro con don Enrico Peretti, direttore generale del CNOS FAP
(Centro Nazionale Opere Salesiane Formazione e Aggiornamento Professionale)
«Vogliamo dare un futuro
alla generazione perduta»
Per l’Istat c’è una
«generazione perduta»
nell’Italia di oggi: sono
i giovani senza lavoro.
Oltre il 40 per cento di chi è
tra i 25 e i 34 anni è a casa.
Anni bruciati, sogni infranti,
blocco sociale. Crescono
i Need: tre milioni e mezzo
di ragazzi che non studiano
e non si formano.
I Salesiani del CNOS FAP
lottano per loro.
Com’è nata la tua vocazione
salesiana?
Abitavo in via don Bosco numero 1
a San Donà di Piave per cui con mio
fratello gemello Paolo ero in oratorio
fin da bambino. Ho vissuto l’espe-
rienza salesiana come educazione nel
quotidiano dell’oratorio, nel gruppo
di Azione Cattolica e nell’animazio-
ne del cortile. Poi sempre con Paolo
sono andato a Castello di Godego
dove ho vissuto anni bellissimi, fre-
quentando il Liceo statale di Castel-
franco Veneto.
Quali sono state le
tue esperienze precedenti?
Dopo il noviziato ho fatto tre anni di
tirocinio ancora a Castello di Godego
e a Udine. Durante gli studi di teolo-
gia alla Crocetta di Torino ho vissuto
una bellissima esperienza pastorale
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Settembre 2016

2.7 Page 17

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all’oratorio di San Luigi. Poi due anni
di specializzazione in Spiritualità
Salesiana a Roma all’ e poi sono
stato per sei anni a Udine come in-
caricato di oratorio e insegnante nella
scuola media. A Udine oratorio molto
vivace, con esperienze estive trasci-
nanti con più di mille giovani, è nato
anche il musical su don Bosco “C’è
da non crederci”, replicato per ben 80
volte in giro per l’Italia. Poi sono sta-
to chiamato a coordinare la Pastorale
Giovanile dell’Ispettoria Veneta Est
per sei anni nei quali ho vissuto anche
la bella esperienza della Comunità
Proposta, con tutta la fecondità voca-
zionale che può dare la comunione tra
Pastorale Giovanile e animazione vo-
cazionale. Sono tornato a San Donà,
la mia casa, come direttore per sei
anni in cui ho conosciuto a fondo la
Formazione Professionale con grande
Don Enrico Peretti è il direttore generale di uno
dei settori di maggiore importanza educativa e
sociale della Congregazione Salesiana in Italia.
passione educativa per ragazzi a volte
poco motivati ma limpidi e alla ri-
cerca di educatori come figure solide
di riferimento. Dopo tre anni come
direttore a Mestre con una comunità
educativa e collaboratori ben coinvol-
ti nel carisma salesiano alla guida di
650 ragazzi di Centri di Formazione
Professionale e Istituto tecnico gra-
fico e meccatronico e insieme come
coordinatore della Formazione Pro-
fessionale dell’Ispettoria e delegato
dei cooperatori e degli exallievi, sono
stato chiamato qui a Roma con don
Mario e don Gianni a coordinare la
Federazione nazionale del
.
Qual è il tuo compito
come Direttore Generale
del CNOS FAP?
C’è bisogno di un grande lavoro di
coordinamento e quindi di dialogo e
di conoscenza dei settori di formazio-
ne e del lavoro nelle regioni. Un aspet-
to non secondario è il confronto e la
collaborazione con le pubbliche am-
ministrazioni insieme con gli altri enti
nazionali di Formazione Professiona-
le. In questo momento in cui seguen-
do le indicazioni europee si cerca di
dare fondamento a un settore che aiu-
ta a risolvere il problema della disper-
sione scolastica accompagnando tanti
ragazzi che non trovano nei percorsi
scolastici quinquennali la loro strada
e che produce occupazione in misura
maggiore di tante altre realtà, si tratta
di difendere la Formazione Professio-
nale come un diritto per tutti.
È di fatto continuare l’intuizione di
don Bosco che prima mandò i suoi
ragazzi a lavorare presso artigiani e
imprenditori amici e poi, vedendoli
poco preparati al lavoro, chiese a que-
gli stessi imprenditori e artigiani di
aiutarlo ad aprire dei laboratori nella
sua casa, avviando in questo modo
l’esperienza della Formazione Profes-
sionale come la conosciamo noi.
Come opera il CNOS FAP?
Il
è una federazione di enti
ispettoriali che operano nei territo-
ri attraverso i Centri di Formazione
Professionale. La Formazione Profes-
sionale è di competenza regionale per
Settembre 2016
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
cui le legislazioni sono diverse, ma gli
orientamenti generali sono condivisi
secondo indicazioni del ministero del
lavoro e di quello della pubblica istru-
zione. I singoli settori che preparano
nella formazione i giovani sono gui-
dati dall’ufficio tecnico della federa-
zione composto dai segretari di setto-
re e delle aree culturali di formazione.
Il criterio di fondo è “l’intelligenza
nelle mani” cioè l’esperienza labo-
ratoriale che aiuta i ragazzi ad ap-
prendere attraverso l’acquisizione di
competenze tecniche, comunicative,
storico-sociologiche, amministrative
e di cittadinanza.
In un mondo in cui il lavoro
per i giovani è in assoluto
il problema più grave, che
cosa proponete?
Dove la è presente, opera in ma-
niera feconda a favore dei giovani e si
propone di accompagnarli al mondo
del lavoro attraverso gli uffici dei Ser-
vizi al Lavoro. Sono una nuova offerta
dei Centri di Formazione Professio-
nale che raccoglie la grande esperien-
za dei capi laboratorio che aiutavano
i giovani qualificati a trovare lavoro.
Non è più solo il lavoro artigianale di
pochi ma la strutturazione di un servizio
accreditato a livello nazionale
Fanno incontrare la certificazione formiamo i nostri ragazzi che ci ac-
delle competenze dei giovani con le compagnano nella proposta delle nuo-
richieste del mercato del lavoro. Non ve tecnologie, formando anche i nostri
è più solo il lavoro artigianale di po- formatori, aiutandoli ad attrezzare la-
chi ma la strutturazione di un servi- boratori sempre all’avanguardia, come
zio accreditato a livello nazionale, con don Bosco voleva che fossero.
risorse professionali di orientamento
e accompagnamento.
Siete consapevoli che
Il tutto si avvale di un prezioso rap- la vostra è certamente
porto con le principali aziende nazio- una delle più importanti
nali e internazionali dei settori in cui forme di apostolato?
Sappiamo che una delle domande più
importanti che accompagnano l’edu-
cazione dei giovani è fornire gli stru-
menti per diventare adulti, autonomi e
responsabili. Tutto questo è educazione
alla cittadinanza, all’autonomia per-
sonale, alla dimensione religiosa, alla
competenza professionale. Soggetto
di tutto è la comunità che si costrui-
sce tra educatori salesiani e laici, con
le famiglie e con i ragazzi stessi, nella
migliore tradizione salesiana. Sempre
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Settembre 2016

2.9 Page 19

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nella logica che riconosce l’ambiente
educativo come casa, chiesa, scuola e
cortile, non trascurando alcune delle
esperienze vitali dei ragazzi.
Siamo convinti che un giovane auto-
nomo e responsabile della sua vita e
del suo lavoro, sarà una persona ma-
tura e un cittadino onesto e impegna-
to. E questo obiettivo ci permette di
lavorare anche con chi è di diversa
religione o cultura, ma condivide la
necessità di costruire il bene comune.
Quali sono le migliori
realizzazioni e le opere
che vuoi segnalare?
Credo che la soddisfazione più gran-
de sia l’affetto dei nostri ragazzi e
delle loro famiglie, la soddisfazione
di chi viene a mostrarci la prima bu-
sta paga e ringrazia per la pazienza
educativa con cui si è sentito accol-
to anche dopo esperienze negative e
accompagnato al suo successo edu-
cativo.
Ma altrettanto importante è il rico-
noscimento di grandi aziende che ci
hanno scelto per accompagnare la for-
mazione dei giovani e hanno visto nei
nostri Centri di Formazione Professio-
nale degli spazi formativi di eccellenza.
Abbiamo celebrato pochi giorni fa
otto anni di collaborazione con il
Tech Pro 2 della - che ha av-
viato più di venti laboratori attrezzati
in Italia e più di cinquanta nel mondo.
Ma potremmo continuare con tantis-
sime (più di 70) altre grandi aziende
con cui abbiamo accordi di collabo-
razione: Schneider, Bosch, Siemens,
, Heidenheim, Mori…
Quali sono le tue speranze
per il futuro?
Mi sembra necessario arrivare a una
proposta di Formazione Professio-
Anche nel CNOS-FAP si sta rapidamente
moltiplicando la richiesta di professioni che
sembravano superate. Come tutte quelle
che riguardano il cibo.
nale che risponda alla domanda di
tanti ragazzi che non trovano nella
scuola e nelle loro regioni le risposte
adeguate. Mi auguro che tutti com-
prendano che la Formazione Profes-
sionale è uno spazio educativo che
risponde seriamente alla domanda di
occupazione formando tutta la perso-
na e avviandola alla costruzione della
propria vita coniugando autonomia e
responsabilità. Che diventi insomma
la Formazione Professionale una ri-
sposta complementare in un mondo
educativo plurale. Guardando con gli
occhi di don Bosco, credo che la For-
mazione Professionale sia uno spazio
pienamente salesiano di educazione
dei giovani, anche dei meno avvan-
taggiati.
Settembre 2016
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2.10 Page 20

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FMA
GABRIELLA IMPERATORE
Direzione est
La data è già cerchiata sul calendario:
il centro Don Bosco delle Figlie di Maria Ausiliatrice
di Magdeburgo (Germania) nel 2017 festeggerà
venticinque anni! L’attuale Giubileo è una buona
preparazione e, soprattutto, costituisce una riflessione
di quanto vissuto per programmare il futuro.
Suor Christina, suor Bernadeth e suor Lydia.
Dai sotterranei
al campanile
Le suore della comunità sono tre:
suor Christina e suor Bernadeth, au-
striache, e suor Lydia Kaps, tedesca;
abbiamo chiesto a lei, in quanto re-
sponsabile dell’opera sin dall’inizio, di
spiegarci la particolarità della loro pre-
senza. “Siamo state invitate ad aprire
una casa nella Germania dell’est dopo
quaranta anni di governo comunista.
Noi provenivamo dalla parte demo-
cratica, dove la presenza di cattolici era
molto forte, a differenza dell’est; at-
tualmente, i cattolici sono solo il 3%, e
la maggioranza della popolazione non
è battezzata. Chiedendo di descriverci
la società nella quale le suore sono state
inserite, apprendiamo che tanta gente
non aveva lavoro, pertanto si ammala-
va psichicamente; molti giovani aderi-
vano a gruppi violenti, rubavano, face-
vano uso di sostanze stupefacenti, ma
altri cercavano anche persone in grado
di indicare loro il vero significato della
vita. Inizialmente, quale attività avete
svolto? Andavamo spesso a visitare i
giovani che erano in carcere e cerca-
vamo di collaborare anche con chi non
era cattolico. Poniamo la domanda se
la collaborazione è stata facile e suor
Lydia ci dice che la gente era molto
chiusa in se stessa, diffidente, isolava
le suore, per questo si sono impegna-
te nell’arte di avvicinare ciascuno con
amorevolezza. Qual era il luogo fisico
nel quale si svolgevano le attività? Nelle
stanze dei sotterranei abbiamo iniziato
il centro giovanile; dopo quindici anni
è sorta una nuova parrocchia, risulta-
to di una fusione di chiese, intitolata a
san Giovanni Bosco! Comprendiamo
che il nome indica un programma, in-
fatti il focus è stato posto sui giovani,
tanto che le suore hanno cominciato a
far conoscere in diocesi la spirituali-
tà salesiana, non solo parlandone ma
svolgendo iniziative oratoriane. La
realtà attuale è quella del centro gio-
vanile pienamente inserito nelle attivi-
tà della diocesi; possiamo dire che le
porte aperte alle Figlie di Maria Au-
siliatrice consentono loro di essere una
presenza significativa, disponibile per
le necessità della gente a livello socia-
le, ma anche per ascoltare interrogativi
relativi alla fede.
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Settembre 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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A sinistra: Campionato di ping-pong con altri
centri giovanili nel Centro Giovanile.
Sotto: Suor Christina con un animatore e due
bimbi preparano un angolo di orto.
Lo stupore dei fiori
e dei pesci
Siamo curiosi di conoscere l’esperien-
za che stanno facendo suor Christina
e suor Bernadeth in quanto austria-
che. Entrambe ci dicono che, anche
se si parla la stessa lingua, i tempi per
condividere davvero sono lunghi ma
proprio per questo anche divertenti,
tuttavia la lingua del cuore è sempre
comprensibile. Per le due suore è una
novità sentire che spesso si chiede
se si è cattolici, perché in Austria la
maggioranza della gente lo è, mentre
a Magdeburgo si incontrano solo la
domenica, anche se durante la setti-
mana si collabora con chi non è cre-
dente. Così, è ovvio che suor Christi-
na e suor Bernadeth restano ammirate
dallo stupore dei bambini e dei giova-
ni che imparano a pregare; molti di
loro entrano per la prima volta in una
chiesa, partecipano ad una celebra-
zione eucaristica, perché frequentano
il centro giovanile. Suor Christina
si occupa molto dei bimbi dai sei ai
dodici anni, con loro ha cominciato a
costruire un piccolo giardino, per in-
segnare a ringraziare Dio per la terra.
Suor Bernadeth ha iniziato a prepara-
re con i giovani un acquario, renden-
doli responsabili di esso, e insegnan-
do loro a prendersi cura dei pesci che
lo abitano. Suor Lydia è responsabile
del centro giovanile e mantiene i con-
tatti con i/le exallievi/e, i quali già le
portano i loro bimbi. Oltre alle atti-
vità indicate, con entusiasmo le suore
ci dicono i progetti parrocchiali che
hanno realizzato recentemente: suor
Bernadeth ha partecipato con i bam-
bini e con i giovani ad un evento della
diocesi riguardante la catechesi; suor
Christina alla e suor Lydia ha
guidato a Roma un gruppo compo-
sto da un centinaio di protestanti e di
cattolici, dandogli uno slogan davve-
ro originale: con Lutero dal Papa.
Prima di salutarci, le suore ci ricor-
dano che da sei anni è stata fondata
a Magdeburgo un’altra comunità, le
Figlie di Maria Ausiliatrice che vi ri-
siedono e si occupano di attività par-
rocchiali e di progetti per gli immi-
grati. Davvero, in ventiquattro anni,
ci sembra proprio che l’opera sia fiori-
ta ed è certamente destinata a cresce-
re per far parte sempre più del grande
albero della Famiglia Salesiana!
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3.2 Page 22

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I fiori di
DON BOSCO
Disegni di LUIGI ZONTA
Qual è la divisa che don Bosco
voleva per i Salesiani?
Direttamente dal Paradiso
Domenico Savio confermò la sua idea.
Con un mazzo di fiori.
LA DIVISA DEI SALESIANI
Ad un certo punto molti intuirono che don Bosco aveva in mente la
fondazione di una nuova congregazione religiosa. Alcune persone
importanti, un giorno, lo misero alle strette. Don Bosco affermò
chiaramente che ci stava pensando. Le Memorie lo raccontano così:
«Strabiliarono quei signori all’inaspettata risposta, e guardatisi l’un l’altro in
viso, gli chiesero: “Vuole adunque formare una nuova comunità religiosa?”
“E se avessi questo progetto?” disse don Bosco.
“E a’ suoi religiosi quale divisa assegnerà?”
“La virtù!” rispose don Bosco».
IL SOGNO DI LANZO
La sera del 22 dicembre 1876 don Bosco raccontò ai suoi giovani una
meravigliosa visione avuta nella notte che aveva passato a Lanzo Torinese.
Vide Domenico Savio in Paradiso e racconta: «Savio mi mostrò un magnifico
mazzo di fiori che teneva fra le mani. Vi erano rose, viole, girasoli, genziane,
gigli, semprevive o perpetue e in mezzo ai fiori spighe di grano.
Me lo porse e mi disse: “Questo mazzolino presentalo ai tuoi figli. Con
questo sta sicuro che ne avranno abbastanza per essere felici”.
“Ma che cosa significano questi fiori?”
“Rappresentano le virtù che più piacciono al Signore. La rosa è simbolo
della carità, la viola dell’umiltà, il girasole dell’obbedienza, la genziana della
penitenza e della mortificazione, le spighe della comunione frequente; il
giglio indica quella bella virtù della quale sta scritto: Erunt sicut Angeli Dei in
caelo: la castità. E l’edera sempreviva significa che tutte queste virtù devono
durare sempre: la perseveranza. Ricordati sempre del mazzolino che ti ho
dato: fa’ che tutti l’abbiano e lo conservino”».
La rosa significa l’amore. San
Giovanni dice: «Dio è amore».
Per don Bosco era il perché
della vita e la motivazione
della missione. È la bontà,
il rispetto, la delicatezza.
Voler bene e farsi voler bene.
La viola significa
l’umiltà. È l’eleganza
dell’anima. Il senso
della misura e
della verità.
Il girasole significa ubbidienza.
È la responsabilità nei confronti
di se stessi, di Dio, degli altri.

3.3 Page 23

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La genziana significa
temperanza. È la sobrietà,
l’autocontrollo, l’equilibrio,
la semplicità. L’armonia
perfetta tra il bello,
l’utile e il giusto.
Le spighe di grano
significano il pane.
È l’Eucaristia: il
momento più bello
della giornata, l’estasi
dell’essere insieme,
uniti terra e cielo.
Il giglio significa la purezza.
È un’evidenza e un mistero. È l’amore
vero che dona senza prendere.
È la trasparenza della persona.
L’edera sempreviva significa la
perseveranza. È il coraggio della
fedeltà. È la resilienza. Ricorda san
Paolo: «Mi rallegro della debolezza,
degli insulti, delle difficoltà, delle
persecuzioni e delle angosce che
io sopporto per amore di Cristo,
perché quando sono debole,
allora sono veramente forte».

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
ROBERTO DISSEGNA
Mezzano di Primiero
Una piccola grande
incantevole presenza che
da cinquant’anni irradia
lo spirito di don Bosco.
L’Istituto di
Santa Croce
dei Salesiani
ispira una
grande serenità
anche grazie
alla bellissima
posizione
ambientale.
Una vallata trentina tra le Dolomiti delle
Pale di S. Martino e le Vette Feltrine,
chiusa tra il Passo Rolle (m 2000), il Pas-
so Cereda (m 1500) e lo “Shener”, l’uni-
ca strada di accesso dalla pianura che si
snoda tra strapiombi e gallerie: questo è
il Primiero-San Martino di Castrozza a vocazio-
ne prevalentemente turistica.
Sul “terrazzo” più panoramico di questa Valle è
sorto l’“Istituto di Santa Croce” ad opera dei Padri
Canadesi della congregazione di S. Croce.
La Valle era un tempo molto isolata, ma feconda
di vocazioni sacerdotali e religiose; per questo i Pa-
dri avevano pensato ad una “scuola apostolica” con
convitto, per curare eventuali vocazioni per la loro
Congregazione. La costruzione rispecchia lo stile
e la cultura della loro provenienza e si inserisce in
modo armonico nell’ambiente di montagna.
Purtroppo la vicenda dei Padri di S. Croce si con-
cluse dopo soli cinque anni dalla fondazione avve-
nuta nel 1958.
L’ispettore salesiano di allora, don Bartolomeo
Tomè, con il suo fine intuito, prese l’occasione al
volo, acquistando l’Istituto e destinandolo come
“casa di montagna” per i salesiani studenti di filo-
sofia (allora in numero di 70-80!). Ebbe però cura
di conservare la scuola media già avviata mante-
nendo anche l’indirizzo di “aspirantato” fino agli
anni ’70.
Dopo continuò come scuola media per la Valle e
dal 2003 si aggiunse la Scuola Primaria.
Oggi tra Scuola Primaria e Secondaria di 1° grado
gli alunni sono 162. Pochi rispetto al numero di
tante altre grandi scuole che conosciamo, ma di
tutto rispetto in rapporto alla popolazione dell’in-
tera Valle che si aggira sui diecimila abitanti.
Un primato interessante: in questo piccolo angolo
del mondo c’è senz’altro la più alta concentrazione
di exallievi in relazione agli abitanti. È questo un
dato molto importante perché aiuta a comprendere
come tante attività dell’Opera Salesiana siano or-
ganizzate direttamente dagli exallievi.
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Settembre 2016

3.5 Page 25

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Tre domande
al direttore
Qual è la più bella soddisfazione?
Mi riallaccio al discorso sugli exallievi. Essendo
ritornato in questa Casa salesiana dopo trent’an-
ni, ho trovato che oltre la metà degli attuali stu-
denti sono figli di “miei” allievi di allora.
Quando parlo ai figli, elogio i genitori: “Tuo
papà, tua mamma erano bravi, studiosi…” Quan-
do incontro i genitori: “Fate i bravi perché altri-
menti racconto ai vostri figli tutte le marachelle
che avete combinato ai vostri tempi!”. C’è vera-
mente un clima di famiglia che fa sentire tutti a
proprio agio.
mantengono la loro valenza. L’associazionismo è
molto vivo e coinvolge i ragazzi fin da piccoli.
Ogni paese ha “adottato” i suoi missionari (mol-
te volte primierotti) e d’estate partono gruppi
attrezzati per costruire una piccola scuola o un
dispensario…
Un aspetto importante è l’abitudine al lavoro ma-
nuale (“sfalciare” i prati, “fare le legne” per l’in-
verno… e dalla seconda superiore, farsi assumere
come camerieri stagionali nei tanti alberghi). Il
Gli allievi
respirano un felice
clima spirituale
e formativo,
ricco di attività
e iniziative.
Come sono i ragazzi del Primiero?
La globalizzazione con i nuovi mezzi di comuni-
cazione sociale è penetrata ovunque, non rispar-
miando ovviamente il Primiero, meta turistica
estiva ed invernale molto ambita e non troppo
lontana dalla pianura.
Non ci sono i problemi delle grandi città in cui
i ragazzi non hanno spazi per loro e sono spesso
lasciati a se stessi. La famiglia, pur con difficol-
tà, tiene ancora. Le tradizioni culturali e religiose
Settembre 2016
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
lavoro manuale diventa addirittura il metro per
misurare la propria resistenza e le proprie capa-
cità. La pratica religiosa risente anche qui della
secolarizzazione, per cui non è facile la proposta e
la formazione religiosa dei giovani.
Questo angolo
di mondo ha dato
alla Congregazione
ben quindici
salesiani di grande
livello. Tra essi
anche don Tullio
Orler, l’attuale
amministratore
del Bollettino
Salesiano.
Quale futuro
dell’Opera Salesiana?
L’Opera vive già molto collegata con gli exallievi;
adunano sistematicamente la loro Presidenza; ol-
tre il “Convegno annuale” organizzano la “Festa
di Don Bosco” a turno nei vari paesi della Valle.
In occasione del Bicentenario della nascita di don
Bosco hanno presentato con grande successo il
recital “C’è da non crederci” di I. Valloppi, tanto
da doverlo replicare.
Organizzano i loro tornei di calcetto e si pre-
stano anche per la manutenzione delle strut-
ture della Casa. Da anni sono responsabili del
estivo, in cui sanno coinvolgere tanti di
loro, ma anche tanto volontariato. Alcuni fanno
parte anche del gruppo dei Cooperatori che s’in-
contrano mensilmente per la formazione e per
l’Eucarestia.
Tutto questo è garanzia di futuro dell’Opera, tal-
mente intrecciata con le vicende del Primiero da
esserne ormai parte viva.
Da giugno a settembre e nel periodo natalizio la
nuova costruzione del 2001 è abilitata a “Casa
per ferie” con una capacità di 90 posti letto. Uti-
lizzata per lo più da campiscuola di Parrocchie,
di Oratori o di Associazioni sportive, offre un
ambiente ideale per il riposo, lo sport, le pas-
seggiate… ma anche per la riflessione e la pre-
ghiera.
I salesiani presenti attualmente al S. Croce sono
sei. Coordinano la scuola, l’animazione pastorale
e i gruppi formativi ( Leader…); collaborano
attivamente con i Parroci del Primiero per garan-
tire nei vari paesi e frazioni, sparse in montagna,
e anche nelle due “case di cura”, l’Eucarestia do-
menicale e festiva.
Sono una presenza discreta ma apprezzata e spe-
riamo capace di testimoniare don Bosco, in que-
sto bellissimo angolo di mondo, che ha dato alla
Congregazione ben quindici salesiani e di grande
caratura: il moralista don Celso Zortea, il biblista
don Nicola Loss, i due fratelli missionari Lucian:
don Maurizio in Madagascar e il fratello Fabio in
Etiopia, don Tullio Orler della Casa Generalizia,
don Giulio Trettel insigne studioso di S. Croma-
zio di Aquileia…
26
Settembre 2016

3.7 Page 27

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Dopo
75 anni
di liete
armonie
IL MAGNIFICO ORGANO
DELLA BASILICA
DI MARIA AUSILIATRICE
HA NECESSITÀ DI
UN URGENTE
E COSTOSO RESTAURO
AbAidbsIUeboliTgatOnmuooo
È uno stupendo organo con più di 5000 canne che ha accompa-
gnato con la sua voce potente e calda i più grandi avvenimenti
della Congregazione Salesiana.
Posto sulla cantoria accanto all’altar maggiore, fu costruito da
Giovanni Tamburini nel 1941 su progetto di Ulisse Matthey ed è
uno dei più grandi e preziosi d’Italia.
PUOI INVIARE IL TUO CONTRIBUTO:
POSTE ITALIANE
CCP 36885028 (allegato alla rivista)
IBAN IT93 X0760 1032 0000 0036885 028
BIC BPP IIT RR XXX
BANCA PROSSIMA S.P.A.
IBAN IT24 C033 5901 6001 0000 0122 971
BIC BCI TIT MX
INTESTATI A:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Della Pisana 1111 - 00163 Roma
CAUSALE:
Restauro Organo Maria Ausiliatrice
In caso di bonifico si raccomanda di indicare nella causale anche
i dati completi (nome, cognome e indirizzo) del donatore.
Settembre 2016
27

3.8 Page 28

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INIZIATIVE
GIULIA TOSANA
Qui si tratta di
esseri umani
Qeusisseirtreatutamdai ni
Stop Tratta: la campagna di VIS e Missioni Don Bosco
che contrasta la migrazione irregolare con progetti
di sviluppo concreti in Africa. L’unica vera soluzione
del più grave problema del nostro secolo.
operanti e i volontari del , insie-
me ai Salesiani di don Bosco, hanno
studiato il territorio e la popolazione
locale, attraverso indagini, analisi e
un profondo dialogo. Questa deli-
cata fase di assesment ha permesso
di comprendere quanto i potenziali
migranti non siano assolutamente
coscienti della difficoltà e della du-
rata del viaggio, così come dei rischi
a cui vanno incontro affidandosi ai
trafficanti. Esiste, inoltre, una pro-
fonda disinformazione per quanto ri-
guarda l’Europa e le opportunità che
potrebbe offrire.
«Vorrei poter restare
nel mio paese»
La prima urgenza, dunque, è sta-
ta quella di sensibilizzare e rendere
consapevoli le popolazioni locali. At-
Sensibilizzazione in loco sui
rischi del viaggio verso l’Eu-
ropa e progetti di sviluppo
concreti per costruire un’al-
ternativa valida alla migra-
zione irregolare; questi i due
pilastri su cui si fonda Stop Tratta, la
campagna realizzata da Volonta-
riato Internazionale per lo Sviluppo e
Missioni Don Bosco, avviata nell’ot-
tobre 2015 in cinque paesi dell’Afri-
ca sub-sahariana: Ghana, Senegal,
Etiopia, Nigeria e Costa d’Avorio.
“Qui si tratta di esseri umani. Qui
si tratta di essere umani” è il motto,
nonché il pilastro, su cui si fonda l’in-
tera campagna. Lo slogan, infatti, de-
finisce le due dimensioni su cui Stop
Tratta lavora incessantemente: sensi-
bilizzazione e progetti di sviluppo in
Africa sub-sahariana e informazione,
formazione ed engagement dell’opi-
nione pubblica italiana che, di fronte
al fenomeno migratorio e alla perce-
zione dello stesso, necessita di risco-
prire la propria umanità e solidarietà.
Stop Tratta nasce prima di tutto
dall’ascolto, dal contatto diretto con
le persone, dall’analisi dei loro so-
gni, delle loro speranze, delle loro
necessità. In Senegal, Ghana, Etio-
pia, Nigeria e Costa d’Avorio i co-
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Settembre 2016

3.9 Page 29

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traverso spettacoli teatrali, incontri
porta a porta, manifestazioni e spot
radiofonici Stop Tratta ha racconta-
to i rischi del viaggio nel deserto e in
mare e i pericoli a cui va incontro chi
si mette nelle mani dei trafficanti di
esseri umani.
In molti non lo sanno, non lo imma-
ginano, ma nell’Africa sub-sahariana
si sente spesso dire “vorrei poter re-
stare nel mio paese”. A questo grido
d’aiuto Stop Tratta ha voluto rispon-
dere, perché partire deve essere una
scelta, non l’unica opzione. I progetti
di sviluppo della campagna vogliono
offrire un’alternativa concreta alla mi-
grazione irregolare.
In Ghana, ad esempio, i motivi che
spingono la popolazione a migrare
sono prevalentemente la mancanza di
un mercato del lavoro e un’agricoltura
arretrata e di sussistenza. Stop Tratta,
dunque, interviene nell’ambito dell’a-
gricoltura eco-sostenibile e nella ge-
stione proficua delle risorse naturali
nella Brong Ahafo Region: la scuola
agricola salesiana di Sunyani formerà
i giovani più vulnerabili e i migranti
di ritorno in botanica, concimazioni,
entomologia, agricoltura biodinamica
e consociazioni, fitofarmaci e pedolo-
gia. La costruzione della green house,
una serra didattica, consentirà inol-
tre di coltivare diversi tipi di ortag-
gi e fornire così sostegno alimentare
al Centro salesiano per i bambini di
strada di Sunyani. Gli studenti che
completeranno con successo i corsi di
agricoltura avranno accesso a un fon-
do di microcredito (da restituire entro
un anno a un tasso di interesse infe-
riore a quello di mercato) attraverso
il quale potranno avviare la propria
impresa agricola.
In Senegal Stop Tratta risponde
all’urgenza del mercato locale po-
tenziando e ampliando il Centro di
formazione professionale Don Bo-
sco di Dakar. Già attivo dal 2014, il
centro ora non è più in grado di so-
stenere il gran numero di domande e
di fornire un’offerta formativa ampia
e diversificata. Il progetto di Stop
Tratta prevede dunque l’ampliamen-
to del centro, la costruzione di una
biblioteca, di aule e di un laboratorio
di informatica dotato di computer,
rete wireless e stampanti. Inoltre,
saranno attivati corsi di idraulica
e sartoria, oltre che di informatica.
Tra le attività previste, anche corsi di
orientamento al lavoro, autoimpiego
e imprenditorialità.
In Etiopia la mancanza di lavoro e
le compromettenti condizioni eco-
nomiche costringono i giovani più
vulnerabili, tra cui i rifugiati eritrei,
a migrare per cercare condizioni
di vita più sostenibili. Stop Tratta
agisce dunque in tre aree geografi-
che, individuate come prioritarie. A
Mekanissa (Addis Abeba) la lotta
contro la migrazione irregolare di
Stop Tratta parte dalla formazione
professionale; sono stati attivati corsi
di formazione tecnica in elettronica,
manifattura, idraulica e cucina, che
consentiranno ai giovani rifugia-
ti eritrei e ai potenziali migranti di
acquisire abilità e competenze pra-
tiche, realmente spendibili sul mer-
cato del lavoro. Saranno create sei
cooperative, in grado di acquistare i
beni di prima necessità direttamente
dai grossisti, riducendo i prezzi dei
prodotti e facilitandone l’accesso.
Settembre 2016
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3.10 Page 30

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INIZIATIVE
LA STORIA DI ASHIN
LA STORIA DI LEILA
“Voglio lanciare un messaggio ai miei connazionali che
vivono fuori dal Senegal. Se state male, non abbiate
paura di rientrare. Dobbiamo credere nel nostro Paese.
Se avessimo avuto la forza di unirci non saremmo do-
vuti emigrare. Perché anche con poco si può costruire
qualcosa.”
Leila ha 39 anni. È nata in Senegal e lì ha studiato per diventare
operatrice turistica. Una volta ottenuto il diploma ha chiesto ed
ottenuto un visto per venire in Italia, a Bergamo, e raggiungere
il marito. Pensava di restare solo qualche mese, ma durante il
soggiorno è rimasta incinta e dopo il primo figlio ne sono arrivati
altri due. Così, a Bergamo, ha vissuto undici anni. In Italia dice
di esser stata bene dal punto di vista umano, mentre economi-
camente è stato molto più difficile. Nel settore del turismo non
è riuscita a lavorare ma ha comunque ottenuto un diploma in
italiano e uno come badante.
Racconta di esser stata costretta a tornare in Senegal per un di-
sguido. Perché nel 2013, quando aveva deciso di volare in Patria
per curare un’infezione, si era trattenuta troppo tempo. Leila non
sapeva che la legge italiana annulla il permesso di soggiorno per
chi lascia l’Italia troppo a lungo. Così, una volta tornata a Berga-
mo aveva scoperto di non essere più in regola con i documenti.
“Dopo 11 anni in Italia mi sentivo a casa mia – racconta – era la
terra dove erano nati i miei figli. È stato difficile lasciarla, ma non
me la sentivo di rimanere come clandestina. Preferisco vivere in
un Paese dove posso camminare tranquilla per strada, senza la
paura che la polizia mi fermi.”
Adesso in Senegal per lei la vita è molto difficile. A 39 anni è
considerata vecchia e le possibilità di trovare un impiego sono
quasi inesistenti, perché gli alberghi preferiscono assumere gio-
vani appena diplomati. Il suo sogno è quello di aprire una sartoria
o di fare la parrucchiera. La Caritas, con cui è entrata in contatto
in Italia, le ha promesso che la aiuterà nel suo progetto.
Nonostante tutto Leila crede nel suo Paese. Pensa che unendo
le forze sia possibile
costruire qualcosa.
Il problema, spiega,
è che chi è partito ha
paura di tornare, anche
se all’estero sta male,
perché teme di delude-
re la famiglia che ave-
va creduto in lui e che
aveva messo da parte
i soldi per farlo emi-
grare. “Se torni senza
soldi – spiega Leila
– dicono che non sei
stato coraggioso, che ti
sei dato alla bella vita.”
“Lavoro per mandare i soldi alla mia famiglia: mia madre
e mio padre sono ancora vivi, quindi li devo aiutare. Non
importa dove, se qui, al Nord o in un altro paese: per me
ora l’unica cosa importante è avere un lavoro. Se ne aves-
si l’opportunità, andrei ovunque.”
Ashin Ada ha 22 anni, è nato nel nord del Ghana e da due anni si è
trasferito ad Accra, la capitale, insieme a suo fratello. Ha lasciato la
scuola e il resto della famiglia per lavorare.
Come tanti giovani del nord, Ashin fa lo scrap dealer. Ricicla i rifiuti
e li rivende. Il suo mestiere consiste nel riparare vecchi computer,
radio, elettrodomestici e materiale elettrico di ogni tipo. Lo fa a mani
nude, in mezzo a mucchi di metallo arrugginito.
Insieme a lui vivono e lavorano un milione e mezzo di persone, in
una città-discarica, a cielo aperto, con baracche di legno, appoggiate
sul fango, sotto i cavi dell’alta tensione. Guadagnano pochi dollari al
giorno e dividono le baracche con mogli e figli.
“Vivere qui è davvero difficile – dice Ashin – questa non è la mia
città, non è la mia casa.”
Finché c’è il lavoro, finché c’è qualcuno che compra i suoi apparec-
chi, però, lui resta lì, in mezzo alle baracche e ai rifiuti.
Da ragazzo giocava a calcio ed era molto bravo in tanti altri sport.
LA FALSA PARTENZA DI BABACAR
“Lo rifarei? No. Da quando sono rientrato mi hanno propo-
sto più volte di partire per l’Europa. Ho sempre rifiutato.
Vorrei lasciare il Senegal, certo, ma solo attraverso vie
legali. È troppo pericoloso. Troppo doloroso.”
Prima di partire per l’Europa Babacar (nome di fantasia) faceva il
pescatore. Viveva a Thiaroye sur mer, sulla costa del Senegal, alla
periferia di Dakar. Un tipico villaggio africano, fatto di baracche di
legno senza pavimenti, né porte e finestre. Fatto di strade sterrate
e di bambini che giocano felici, in mezzo alla polvere. Fino a cinque
anni fa Thiaroye sur mer viveva di pesca. La gente riusciva a sfamarsi
con ciò che i pescatori tiravano fuori dal mare. Poi arrivò la crisi, il
pesce cominciò a scarseggiare e gli
uomini non riuscivano più a sfamare
le proprie famiglie. Un giorno si pre-
sentò un signore con una barca. “Se
volete andare in Europa so io come
fare”. Poi disse che il viaggio costa-
va 400 mila franchi (700 euro).
Grazie all’aiuto delle famiglie, Ba-
bacar ed altri pescatori riuscirono a
mettere insieme la cifra necessaria
per partire. La sera della partenza
una barca piccola li portò su un’im-
barcazione più grande, che aspet-
tava ancorata al largo. Erano in 70,
30
Settembre 2016

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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STORIA DI VINTA, CHE NON VUOLE PERDERE
Come tutti i giovani della sua età sognava di di-
ventare un campione, di andare a giocare all’e-
stero, in Europa.
Oggi il suo sogno è di tornare a casa, di riabbrac-
ciare i suoi genitori, di ricominciare a frequentare
la scuola. Non può farlo, per ora. Deve lavorare,
deve guadagnare, deve mantenere la famiglia.
a bordo. Il mare era mosso, tirava vento forte
e faceva freddo. C’era chi veniva dalle zone in-
terne del Paese e non aveva mai visto il mare.
Furono loro a soffrire di più, mentre Babacar era
abituato alle onde.
La barca impiegò 12 giorni ad arrivare in Maroc-
co. In molti si ammalarono, in tre morirono e ven-
nero buttati in mare, per evitare infezioni. Dopo
esser sbarcati sulla terraferma, il viaggio prose-
guì in macchina. Dopo una settimana di viaggio,
passata senza mangiare, l’uomo che guidava il
gruppo si fermò. Disse a Babacar e agli altri che
la Spagna era vicina e che avrebbero dovuto pro-
seguire a piedi, mentre lui andava a cercare prov-
viste. Si allontanò e non si vide mai più.
Poi arrivarono tre poliziotti marocchini, che
domandarono ai pescatori da dove venissero e
dove fossero diretti. “Gli abbiamo raccontato di
essere pescatori, fuggiti dal Senegal per cercare
una vita migliore”, racconta Babacar. “Ci han-
no detto di non preoccuparci, che ci avrebbero
aiutati.”
Invece li caricarono tutti sulle loro macchine e
li portarono in aeroporto. Ormai conoscevano
la loro nazionalità. Li misero su un aereo e li
rispedirono in Senegal.
“Sono stata in Europa otto anni. Ho vissuto in Italia e in Spagna. Il lavo-
ro non mancava, ma non avevo il permesso. Un giorno la polizia mi ha
fermata, mi ha messa su un aereo e mi ha rimandata in Senegal. Qui sto
male, il lavoro non c’è, non so come far mangiare mia figlia.”
Vinta è nata in Senegal e giovanissima è riuscita ad emigrare in Italia. È arrivata
in aereo, non con i barconi. La sua famiglia aveva messo da parte un po’ di soldi
per lei, che le sono bastati per il volo e per i primi mesi di soggiorno italiano. Ha
vissuto a Milano, con il suo compagno, ma solo per un anno, perché il lavoro non
si trovava e il visto era scaduto. Meglio provare con la Spagna, dove vivevano
alcuni amici. Ci arrivarono passando per il Portogallo, in macchina.
Otto anni è durata la sua permanenza in terra spagnola. Ha vissuto a Madrid e a Cuen-
ca. Lì aveva un lavoro, faceva le treccine ai capelli e guadagnava i soldi sufficienti
per mantenersi. Non era un impiego regolare, però, e Vinta non aveva il permesso
di soggiorno. Un giorno la polizia la fermò e le fece un ordine di espulsione. Riuscì a
scappare e rimase in Spagna, come clandestina. Qualche settimana più tardi fu cat-
turata nuovamente e mandata in un centro d’accoglienza per stranieri, in cui rimase
per 30 giorni.
“La polizia mi diceva che ero fortunata – racconta – perché non c’erano voli per riman-
darmi nel mio Paese”. Da Madrid Vinta riuscì a trasferirsi a Cuenca, insieme al suo
compagno. Era da poco rimasta incinta. “Cuenca era un posto molto piccolo – ricorda
– e noi eravamo troppi neri”. Così un giorno, quando era uscita a comprare il pane, la
polizia la arrestò, la portò al commissariato e nel giro di due ore la mise su un aereo e
la rimandò a casa.
In Senegal oggi vive male e si commuove quando racconta della Spagna e dell’Italia.
Non ha lavoro, non ha soldi per mangiare. Ha una figlia piccola che non riesce a sfa-
mare. I genitori, che
l’avevano aiutata a
partire, sono morti.
I fratelli se ne sono
andati tutti. Un gior-
no la sua bambina
si è ammalata e lei
non è riuscita a pa-
gare un medico che
la visitasse. Giura
che resterebbe in
Senegal, se solo
trovasse un lavoro
degno di questo
nome. “L’unica cosa
che conta – dice – è
riuscire a mantener-
mi e a dar da man-
giare a mia figlia”.
Aggiornamenti sui
progetti e su tutte le
attività di Stop Tratta
sono disponibili
sul sito www.
stoptratta.org
Settembre 2016
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4.2 Page 32

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GIOVANI PROTAGONISTI
CHIARA BERTATO
Tra maturità e Olimpiadi, la storia di una ragazza che non indietreggia mai
Bebe che adora le sfide
«Faccio parte del quattro
per cento delle persone che
sopravvive dopo essere stata
colpita da una meningite
fulminante… come posso
non avere voglia di vivere?»
Sui “social” si racconta così:
«Ciao Mondo!!! Sono Bebe
e sono una ragazza fortunata.
Vi ricordate di me?!? Ma sì,
dai, sono quella ragazza che
ama la scherma e da piccola
sognava di diventare una campionessa.
Ho cominciato a tirare a 5 anni, ero
brava ma buffa da morire, la maschera
mi stava enorme e mi ballava in testa.
Però la scherma mi piaceva troppo…
Per una brutta malattia hanno dovu-
to amputarmi le braccia e le gambe. È
stata molto dura e ho sofferto veramen-
te tanto! Per fortuna sono riusciti a sal-
varmi i gomiti e le ginocchia, così oggi
con le protesi riesco a fare
un sacco di cose e, soprat-
tutto, ho ripreso a tirare
di scherma! Ho rico-
minciato in carrozzina,
Una “piccola peste”
munita di fioretto con
una contagiosa voglia
di vivere.
infilando il fioretto nel braccio. All’i-
nizio non ero molto convinta, pensavo
fosse un po’ da «disabili» e invece… è
ancora meglio!!! È diverso perché le
carrozzine sono bloccate su una peda-
na, sei davanti alla tua avversaria e non
puoi indietreggiare, puoi solo attaccare,
e a me piace attaccare!»
Una piccola peste munita di fioretto,
ecco chi è Beatrice Vio. A 19 anni
Beatrice è la campionessa mondiale
di fioretto individuale paralimpico in
carica. Ha passato l’estate tra i libri per
il diploma di arte grafica e comunica-
zione all’Istituto Salesiano San Marco
di Mestre e la preparazione atletica per
Rio de Janeiro.
La scherma le si presenta
per caso, ma è amore a prima vista. E
la bambina bionda sale in pedana fino
a quando ha 11 anni. La febbre le fa
saltare qualche allenamento, poi il ri-
covero. È meningite acuta e Beatrice
subisce l’amputazione di entrambe le
gambe sotto il ginocchio ed entrambe
le braccia sotto il gomito. Dopo 104
giorni di ricovero, cui seguono riabili-
tazione e centri protesi, Bebe, come la
chiamano a casa, a Mogliano Veneto
( ), può tornare alla sua vita, ripren-
dendo tutte le sue attività con grande
passione e nuovo slancio.
Da dove viene la tua
potentissima voglia
di vivere?
Come dico sempre, ed è diventato un po’ il
mio motto, la vita è una cosa fantastica!
Purtroppo molte persone si abbattono fa-
cilmente quando si trovano davanti a de-
gli intoppi, non si rendono conto che a tutto
c’è una soluzione! Il segreto è porsi conti-
nuamente degli obiettivi, raggiungerli e, la
volta dopo, puntare ancora più in alto. Bi-
sogna mettersi in gioco e non mollare mai!
Io faccio parte del quattro per cento delle
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Settembre 2016

4.3 Page 33

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persone che sopravvive dopo essere stata
colpita da una meningite fulminante…
come posso non avere voglia di vivere?
Beatrice è una ragazza del suo tempo:
ama i tacchi, fa selfie ed esce con gli
amici. Ha anche la sua pagina Face-
book su cui racconta vittorie, incontri
e vita quotidiana. Proprio una di que-
ste foto dell’ordinario è fitta di volti
sorridenti: mamma, sorellina, nonno,
papà e fratello. Poi commenta: “La
famiglia è il dono più grande che ab-
biamo, la nostra forza, il nostro soste-
gno…
”.
Come racconteresti
la tua famiglia?
La mia famiglia è la mia forza, noi ci
consideriamo una vera e propria squadra
dove ogni componente è essenziale ed ha
un compito ben preciso da svolgere! Non so
come avrei fatto durante quei 104 giorni
in ospedale senza mamma Teresa, papà
Ruggero, mio fratello Nico e mia sorella
Sole. Ancora più importanti lo sono stati
nei periodi in cui mi facevano le medica-
zioni a carne viva e i trapianti di pelle…
lì sì che era doloroso, ma è stato tutto più
facile e sopportabile grazie a loro! Ora in
famiglia è arrivato anche Taxi, un cocker
spaniel di due anni, lui è il nostro fratelli-
no più piccolo ed è il cocco di tutti!
sempre stato un elemento fondamentale,
aiuta a crescere più forti sotto tanti punti
di vista, ogni giorno ti mette davanti a
qualche sfida e fa sì che vi sia sempre un
nuovo obiettivo da raggiungere. La cosa
che desideravo più di tutte dopo l’amputa-
zione era ricominciare a praticare scherma,
non avrei più potuto farlo in piedi bensì in
carrozzina e all’inizio pensavo che fosse
molto più noioso. Poi, invece, ho cambiato
idea, è più bello in carrozzina perché non
puoi indietreggiare, non puoi far altro che
affrontare l’avversario! Con i miei genito-
ri, però, ci siamo resi conto che lo Stato sov-
venziona solamente l’acquisto delle protesi
di tutti i giorni e non di quelle sportive
che sono davvero molto costose. Così mia
mamma e mio papà hanno deciso di fon-
dare un’associazione onlus che ha lo scopo di
“stanare” i ragazzi amputati per far vedere
loro che possono godere della bellezza della
vita anche praticando attività sportiva.
Sei una exallieva
di don Bosco. Che cosa ti
piace di questo santo?
Esatto, ho frequentato l’Istituto Salesia-
no San Marco di Mestre e di don Bosco
mi piace il fatto che nella sua vita abbia
deciso di avvicinarsi ai giovani meno
fortunati perché sono coloro che hanno
più bisogno di essere amati ed aiutati.
Giochi Senza Barriere è l’evento be-
nefico organizzato annualmente da
Art4sport
, associazione che
vede Bebe impegnata in prima linea.
Scendono in campo bambini e ragaz-
zi con protesi d’arto.
Il gioco è una cosa seria
allora?
I Giochi Senza Barriere sono una ma-
nifestazione a scopo benefico che orga-
nizziamo per promuovere l’associazione,
tipo i Giochi Senza Frontiere di un tem-
po, ma ancora più divertenti! Il gioco per
me è una cosa serissima, sia per i bambi-
ni sia per gli adulti. È un elemento fon-
damentale della vita, non bisogna mai
prendersi troppo sul serio, ogni tanto è
indispensabile divertirsi un po’ sennò sai
che noia!
Beatrice Vio ad una delle innumerevoli
premiazioni. È campionessa mondiale di fioretto
individuale paralimpico.
E lo sport, altro ingrediente
fondamentale della tua
ricetta di vita, che ruolo
ha avuto nella giovane
che sei oggi?
Nella mia vita ci sono tre S, lo sport è una
di queste insieme alla scuola e allo scouti-
smo. Pratico scherma dall’età di 5 anni,
è stato amore a prima vista! Lo sport è
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
misericordia Pedagogia targata misericordia
I sei verbi della
6 «Facciamo festa!» Edeccociall’ultimoverbodella
più ricca parabola regalataci
da Gesù: “Facciamo festa!”.
‘Festeggiare’: verbo sereno,
verbo simpatico, ma anche
verbo impegnativo. L’educatore
che non ha la festa nel sangue
non può avere la patente
pedagogica, come il ferro
non può essere di legno,
né il quadrato rotondo.
Festeggiare, verbo quanto
Il padre disse ai servi: “Presto, por-
tategli il vestito più bello e fateglielo
indossare, mettetegli l’anello al dito e
i sandali ai piedi. Prendete il vitello
grasso, mangiamo e facciamo festa!
(Lc 15, 22-23). Stupendo un si-
niale scienziato e filosofo del secolo
scorso Teilhard de Chardin quando
sosteneva che “il pericolo più grave
non è la bomba atomica, ma la possi-
bilità che l’uomo perda il gusto della
vita”.
mai serio: con la gioia non si
scherza, con la gioia si vive!
Per fortuna il segreto per giungere a
tanto non è dell’altro mondo.
È nelle nostre mani. Si tratta di met-
mile padre! La voglia di festa gli dà la Dicono che il mondo sia di chi si alza tere in atto almeno le sei strategie che
patente pedagogica a punti pieni. Vi presto al mattino. Sbagliato! Il mon- seguono.
è una ragione imbattibile che ci porta do non è di chi si alza presto, ma di
ad essere così sicuri: è perché (si noti!) chi è felice di alzarsi!
Le sei strategie vincenti
l’educatore sereno migliora sempre Dunque possiamo avere in mano il
chi gli è affidato, l’educatore triste, metro per valutare il nostro successo 1. Non spremiamolo!
all’opposto, lo peggiora sempre.
pedagogico: far sì che ogni mat- Poveri ragazzi con l’agendina! Al
La gioia è un fattore di crescita in sé tina il figlio svegliandosi dica: mattino a scuola, al pomeriggio a
e per sé. Lo aveva intuito bene il ge- “Buongiorno vita!”.
nuoto, a danza, a karaté. A equitazio-
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Settembre 2016

4.5 Page 35

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ne. Per favore, diamoci una calmata!
Basta con i ragazzi che soffrono di
ingorgo psichico! Quando arriverà il
giorno in cui tutti i genitori del mon-
do si metteranno in testa che il bam-
bino che non gioca gioia ne ha poca?
Quando tutti i padri e tutte le madri
si convinceranno che è infinitamente
meglio avere figli felici che famosi? Da
quel giorno benedetto, i piccoli della
Scuola Primaria non scriveranno più
ciò che ha scritto un bambino di otto
anni che alla domanda della maestra:
Che cosa farai da grande?” ha risposto:
Da grande mi riposo!” (autentico!).
Foto Shutterstock
2. Teniamo d’occhio
la vita di coppia
Non ci vuole molto ad ammettere im-
mediatamente che la gioia dei figli è
legata a quella dei genitori. È un dato
di fatto che quando papà e mamma
fanno scintille chi viene turbato è il
figlio. “Quando due elefanti si combat-
tono chi ci rimette è l’erba del prato” dice
la sapienza africana.
3. Tutte le mattine stracciamo
le parole invalidanti
Mini campionario: “Bisognerebbe pe-
starti!”. “Ma che figlio abbiamo!”. “Sai
solo fare pasticci!”. Parole che graffiano
l’anima del figlio, la amareggiano, la
avvelenano contro tutti e contro tut-
to. Parole da gettare subito nel cestino
della carta straccia.
4. Cambiamo gli occhiali
Perché non partire da oggi stesso a
cercare il lato buono che è nascosto
nel figlio? Il cardinale Carlo Maria
Martini (1927-2012), dopo un in-
contro con alcuni genitori, scriveva
sul suo diario personale: “Niente è più
opprimente che incontrare genitori che
si lamentano in continuazione e non si
accorgono delle meravigliose opportunità
che hanno a portata di mano!”.
Già lo sappiamo: Dio non crea scarti!
Anche nella persona più slabbrata vi è
almeno un 5% di buono. Diceva bene
il profondo scrittore francese Albert
Camus: “Nell’uomo vi sono sempre più
cose da ammirare che da disprezzare”.
5. Accettiamo il figlio fino in fondo
Anche se non sempre corrisponde ai
nostri sogni. Specialmente se adole-
scente, accettiamo anche qualche suo
‘pallino’. I genitori che accettano piena-
mente il figlio, lo aiutano a volersi bene.
Opera preziosissima: chi non vede in sé
un amico, muore di disperazione!
6. Facciamolo sentire utile
almeno due volte al giorno
Due sono le cose certe: la prima: chi
non si sente utile sente d’aver sbaglia-
to a nascere; la seconda: solo chi può
dimostrare una qualche sua bravura
trova una ragione per vivere e gustare
la vita.
In breve: il senso dell’inutilità azzera
la felicità!
Tutti gli psicologi dicono che, so-
prattutto il bambino, ha una voglia
matta di fare, di aiutare, di imparare.
Scusate la franchezza, ma ci preme
andare subito al cuore del problema:
non è arrivato il tempo di smetterla
di far sentire incapaci i nostri figli?
Ormai ha sei anni e l’arancia può
sbucciarsela con le sue mani. Ormai
ha otto anni e lo zainetto scolastico
può benissimo gestirselo da solo. Or-
mai ha quindici anni e può far sentire
la sua opinione a riguardo dell’auto
che stiamo per cambiare. Mettere al
mondo un figlio e farlo sentire inca-
pace di vivere è da crudeli: è impedir-
gli di sperimentare l’esaltante avven-
tura della vita.
Siamo sulla sponda opposta dello
squillante “Facciamo festa!”.
Settembre 2016
35

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La stagione
dell’audacia
Il salto di qualità verso l’età adulta
richiede anche una certa dose di audacia.
Procedere con il pedale del freno
costantemente abbassato finisce con il
logorare gli ingranaggi dell’automobile.
Dicembre, cordiale e insolito,
ritorna dando vita all'improvvisa urgenza
di cambiamento.
Il tempo a volte è ostile ed altre complice,
soggettiva interpretazione,
ma spesso torna utile poiché
può dare modo di arrivare
a mettersi in gioco.
Primavera, lieve e indolente, superba;
quindici anni, capelli arruffati in segno
di ribellione.
Il tempo a volte è ostile ed altre complice,
l'arma più efficace è l'attesa:
questo è quanto diceva mio padre...
Riecheggiano le estati tiepide di agosto;
dei trent'anni ricordo l'insolenza
e l'indecisione.
Il tempo a volte è ostile ed altre complice,
l'arma più efficace è l'attesa:
questo è quanto diceva mio padre...
«V ola solo chi osa farlo!»: così il
gatto Zorba nel celebre roman-
zo di Luis Sepúlveda “Storia di
una gabbianella e del gatto che
le insegnò a volare” spronava la
piccola Fortunata a spiegare le
ali e a spiccare il volo dal campanile della chiesa
di San Michele, lasciando andare, come una za-
vorra troppo ingombrante, la paura che la blocca-
va. La stessa esortazione si potrebbe oggi rivol-
gere ai giovani adulti del terzo millennio, spesso
troppo paralizzati dalla propria endemica incer-
tezza e dallo sgomento del vuoto che gli si apre
davanti per assumersi la responsabilità di scelte di
vita impegnative e controcorrente.
Certo, l’esitazione che spesso caratterizza gli
snodi cruciali del percorso verso l’adultità è, per
molti aspetti, imputabile alla difficoltà di indivi-
duare, nella presente fase storica, prospettive in-
coraggianti e spazi concreti di realizzazione delle
proprie aspirazioni, alla strutturale precarietà di
una società sempre più “liquida” che non offre
36
Settembre 2016

4.7 Page 37

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Se avrai calma e lucidità,
non subirai il fascino di comode scelte;
se avrai buon senso e volontà,
trascurerai l'abitudine...
Promettimi che eviterai
mediocri vie di mezzo,
accomodanti e che non soddisfano,
concilianti e che non ti appartengono;
la fortuna abbraccia gli audaci
e non è pura coincidenza!
Se avrai calma e lucidità,
non subirai il fascino di comode scelte;
se avrai buon senso e volontà,
trascurerai l'abitudine per metterti in gioco...
(Ron, Cambio stagione, 2001)
alcuna garanzia di riuscita agli sforzi profusi e,
anzi, è spesso avara di appagamento e gratifica-
zione. Ma non di rado l’indecisione e la riluttanza
a “mettersi in gioco” sembrano inscritte nel
delle giovani generazioni, che hanno fatto della
prudenza la propria regola di vita e preferiscono
navigare sotto costa, nelle acque sicure dell’abitu-
dine, piuttosto che prendere il largo, avventuran-
dosi verso gli orizzonti incerti della novità.
Se è vero, infatti, che la prudenza è senz’altro una
virtù, che si consolida con il tempo e la maturi-
tà e che è foriera di riflessione e ponderatezza, il
salto di qualità verso l’età adulta richiede anche
una certa dose di audacia. Procedere con il pedale
del freno costantemente abbassato finisce con il
logorare gli ingranaggi dell’automobile; a volte,
per imprimere una svolta significativa alla propria
vita, è necessario dare un colpo di acceleratore,
rompere gli indugi ed esporsi al rischio di percor-
rere sentieri inesplorati.
Non si tratta di essere incoscienti, ma di acquisire
la consapevolezza che non sempre la strada più
battuta è quella che conduce più lontano. Esse-
re audaci significa scommettere sul futuro, non
accontentarsi di compromessi mediocri e rassicu-
ranti, ma rimboccarsi le maniche e lavorare gior-
no dopo giorno per dare cittadinanza ai propri
sogni. Significa maturare la capacità di accogliere
il senso della speranza, lasciandosi sospingere dal
vento impetuoso dell’utopia. Significa intrapren-
dere un percorso in salita che sarà sicuramente
tortuoso e impegnativo, ma anche gravido di una
migliore qualità di vita.
Imparare a volare richiede coraggio, ma an-
che tanta perseveranza e allenamento. Per que-
sto è importante educarsi ad essere combattivi
per difendere e affermare le proprie aspirazioni.
Non basta trovare l’ardire per lanciarsi in volo,
superando la vertigine del vuoto: bisogna prima
costruire solidi trampolini di lancio in grado di
reggere l’urto del salto e dotarsi di ali robuste che
resistano alle raffiche di vento e sostengano la fa-
tica del volo. In definitiva, si tratta di trovare il
giusto equilibrio tra la temerarietà dell’esplorato-
re e l’avvedutezza dell’ingegnere, perché solo per
questa via ci si può incamminare verso scelte di
vita autentiche e significative che non tradiscano
la propria identità e le proprie attese.
Settembre 2016
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Due nuovi sogni in Francia
Li rivela il settimo volume del suo epistolario
(1880-1881). In attesa di un’edizione critica
dei moltissimi sogni di don Bosco, che permetterebbe
una seria interpretazione della sua fervida attività
onirica, l’edizione critica di alcune sue lettere ci offre
due esempi di “sogni profetici”.
Una previsione a metà
A metà aprile 1881 il sig. Amedeo Oli-
ve di Marsiglia comunicava a don Bo-
sco la sua preoccupazione perché due
suoi figli, Albert e Charles, dovevano
partire per la guerra. Don Bosco lo
tranquillizzava, dicendo che li avreb-
be messi sotto la protezione di Maria
Ausiliatrice, che avrebbe pregato per
loro il Sacro Cuore nella stessa chiesa
di Valdocco e che avendoli visti, uno
“personalmente”, l’altro “forse in spi-
rito”, aveva loro raccomandato la fre-
quente confessione ed il santo timor di
Dio. Tranquillizzava poi il suo corri-
spondente dicendogli che i figli sareb-
bero ritornati a casa “en bonne santé”,
mentre lo invitava anche a compiere
un gesto di generosità verso l’oratorio
salesiano della città.
Un mese dopo la moglie di Amedeo,
Maria, chiedeva a don Bosco pre-
ghiere per il marito ammalato. Don
Bosco il 28 maggio le rispose che già
da due giorni aveva iniziato una nove-
na a Maria Ausiliatrice a questo pro-
posito. Quanto ai due figli in guerra –
aggiungeva – li avrebbe rivisti presto
(“plutôt”).
Ma così non avvenne. Se infatti il
marito sembra sia guarito, uno dei
due figli militari, Charles, ammalato-
si durante il conflitto militare in Tu-
nisia, fu ricoverato in ospedale e morì.
La religiosissima madre ne scrisse
immediatamente a don Bosco che il
22 giugno, colto forse all’improvvi-
so, dovette comunque giustificarsi.
Le rispose dunque che in una sua vi-
sita (in sogno?) al campo di battaglia,
fra i morti non aveva visto i due fra-
telli Olive, per cui le aveva appunto
comunicato che sarebbero ritornati
al più presto (au plutôt). Quando poi
aveva saputo da lei che Charles era
ricoverato all’ospedale, le aveva ri-
sposto che i due figli sarebbero ritor-
nati a casa se ciò fosse stato meglio
per la loro anima (“pour le mieux
de leur âmes”). Nello stesso tempo
la invitava ad accettare “la santa e
sempre adirabile volontà di Dio”, che
aveva voluto con sé il figlio Carlo il
quale dal Paradiso avrebbe protetto
tutti i suoi famigliari.
38
Settembre 2016

4.9 Page 39

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La famiglia Olive, religiosissima e
ricca di figli, si rassegnò e rimase in
costante contatto con don Bosco. Da
essa sarebbero usciti un sacerdote sa-
lesiano missionario in Cina e due Fi-
glie di Maria Ausiliatrice.
Una previsione perfetta
Un altro caso è quello relativo alla
casa salesiana di Marsiglia che, come
tutte le altre case dei religiosi di Fran-
cia, avrebbe dovuto essere chiusa per
non aver regolarizzato la propria posi-
zione a norma delle leggi anticongre-
gazioniste approvate nel 1880. Don
Bosco aveva tentato in mille modi
di salvarla, ma non gli era riuscito.
Il 3 novembre 1881 era stato fissato
dalle competenti autorità come ulti-
mo giorno per sgomberare la casa. In
caso contrario, ragazzi e salesiani sa-
rebbero stati costretti con la forza ad
abbandonarla.
Quella mattina i salesiani, tutti ita-
liani, si trasferirono nella vicina par-
rocchia ed il parroco ed i benefattori
laici, tutti francesi, fra cui i membri
della società Beaujour proprietaria
dello stabile del patronage salesiano, si
barricarono dietro la porta di entrata,
decisi a non cedere se non alla forza.
Ma non ce ne fu bisogno, perché il
decreto esecutivo dello sfratto venne
sospeso, come invece non era avvenu-
to per vari altri istituti religiosi. An-
che le altre due case salesiane di Fran-
cia poterono continuare indisturbate
la loro opera.
E don Bosco? Quello stesso giorno
scrisse all’amico parroco di Marsi-
glia, con cui era in costante contatto,
il canonico Clemente Guiol: “Per sua
norma stia tranquillo, che non saremo
disturbati. Molestati o seccati, non di
più”. Come faceva a saperlo?
Lo avrebbe raccontato un mese dopo
ai membri del Consiglio Superiore.
Immagini della Casa Salesiana di Marsiglia,
una città che ha amato ed ama moltissimo
don Bosco.
Gli era successo che ai primi di set-
tembre aveva sognato come allo scate-
narsi di un uragano sulle case religiose
della Francia, Maria Ausiliatrice aveva
steso il suo manto protettivo su quelle
salesiane, mentre una voce in latino di-
ceva: “Io amo coloro che mi amano”. E
a chi gli replicò che anche gli altri reli-
giosi di Francia amavano la Madonna,
don Bosco rispose che Essa però aveva
una predilezione per i salesiani.
Se nessuno finora è riuscito a trovare
la fonte della citatissima espressione di
don Bosco: “È la Madonna che ha fat-
to tutto” è certo però che don Bosco ne
era convinto. La Vergine aveva protet-
to, continuava a proteggere la Congre-
gazione salesiana e la fiducia in Lei dei
suoi figli sarebbe sempre stata ripagata
con abbondanza di grazie, materiali e
spirituali. La storia salesiana, soprat-
tutto quella missionaria, è ricca di pro-
ve e testimonianze al riguardo.
Settembre 2016
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di settembre preghiamo per la beatificazione del venerabile don Giusep-
pe Augusto Arribat
Giuseppe Augusto Arribat nacque il 17 dicembre 1879 a Trédou (Rouergue - Francia). La povertà della
famiglia costrinse il giovane Augusto ad iniziare la scuola media presso l’oratorio salesiano di Marsiglia
solamente all’età di 18 anni. Per la situazione politica di inizio secolo, egli diede inizio alla vita salesiana in
Italia e ricevette la veste talare dalle mani del beato don Michele Rua. Tornato in Francia cominciò, come
tutti i suoi confratelli, la vita salesiana attiva in una condizione di semiclandestinità, prima a Marsiglia
e poi a La Navarre. Venne ordinato sacerdote nel 1912. Fu chiamato alle armi durante la Prima guerra
mondiale e fece l’infermiere barelliere. Terminata la guerra, don Arribat continuò a lavorare intensamente
a La Navarre fino al 1926, dopo di che andò a Nizza dove stette fino al 1931. Ritornò a La Navarre come
direttore e contemporaneamente incaricato della parrocchia Sant’Isidoro nella valle di Sauvebonne. I suoi
parrocchiani lo chiameranno “Il Santo della Valle”. Al termine del terzo anno fu mandato a Morges, nel
cantone di Vaud, in Svizzera. Ricevette poi tre mandati successivi, come direttore, di sei anni ciascuno,
prima a Millau, poi a Villemur e infine a Thonon nella diocesi di Annecy. Il periodo più carico di pericoli e
di grazie fu probabilmente quello del suo incarico a Villemur durante la Seconda guerra mondiale. Torna-
to a La Navarre nel 1953, don Arribat vi resterà sino alla sua morte avvenuta il 19 marzo 1963.
La sua vita è l’incarnazione dell’espressione evangelica: “Non sono venuto per essere servito, ma per
servire” (Mc 10,45). Non rifiutò alcun tipo di lavoro, anzi ricercò egli stesso i servizi più umili. In tutti i
suoi incarichi di responsabilità, soprattutto come direttore per diversi anni e in varie case, padre Arribat
si manifesta salesiano esemplare: sempre presente in mezzo ai giovani allievi, nel cortile come nella
cappella, a scuola di catechismo come in infermeria; passa dal refettorio al dormitorio, dal confessionale
al giardino, sempre attento a tutto e a tutti. Ha uno straordinario rispetto e una grande delicatezza per
ogni persona, soprattutto per i piccoli e i poveri. Veglia sulla casa, di cui è considerato il “parafulmine”,
come fosse un novello san Giuseppe. Viso aperto e sorridente, questo figlio di don Bosco non allontana
nessuno. Mentre la sua magrezza e il suo ascetismo
richiamavano la figura del santo Curato d’Ars, la sua
dolcezza e il suo sorriso erano degni di san France-
sco di Sales. La sua spiritualità era cristocentrica e
marcatamente mariana, con una particolare devozione
all’Ausiliatrice.
L’8 luglio 2014 papa Francesco l’ha dichiarato Vene-
rabile.
PREGHIERA
O Dio nostro Padre,
tu hai donato al Venerabile Giuseppe Augusto Arribat,
discepolo di don Bosco,
un cuore irradiante di pietà sacerdotale,
pieno di dolcezza e di dimenticanza di sé,
uno spirito pacifico e un volto segnato
da un sorriso costante, umile e accogliente.
Degnati di affrettare il giorno in cui la Chiesa
riconosca pubblicamente la santità della sua vita,
affinché il suo esempio conduca i nostri fratelli
verso la tua maggior gloria.
Per sua intercessione concedici la grazia...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Dopo alcuni mesi che eravamo
sposati io e mio marito desidera-
vamo tanto avere un bimbo, ma
non arrivava. Richiesi un abitino
di san Domenico Savio, reci-
tammo la novena e dopo circa un
mese rimasi incinta. In ogni visita,
in ogni controllo portavo con me
l’abitino, durante la gravidanza
passai momenti di ansia e ango-
scia a causa di un piccolo proble-
ma manifestatosi. Nel ricovero in
ospedale di fronte alla mia stanza
c’era la statua della Madonna con
appeso un abitino di san Dome-
nico Savio, guardandoli chiedevo
che tutto andasse bene. Anche in
sala parto mio marito ha tenuto
l’abitino di san Domenico Savio e
con grande gioia è nata la nostra
bimba sana e piena di vita... Non
ho parole per ringraziare Dio, la
Madonna, san Domenico Savio e
sant’Antonio.
Antonella, Giorgio e Benedetta -
Modica
Desideriamo ringraziare di tutto
cuore san Domenico Savio
per la nascita della nostra piccola
Haruka il 6 di maggio.
Ivan e Mizuho - Locarno, Svizzera
Con grande gratitudine e immen-
sa gioia, volevamo ringraziare
san Domenico Savio e Ma-
ria Ausiliatrice, perché grazie
alla loro intercessione presso il
Signore, la piccola Sofia Maria,
nata prematuramente il 28 gen-
naio 2016 e sotto peso, oggi è
una bimba sana e forte.
Fam. Caramanna - Falzone
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Settembre 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Signor Giuseppe Canesso
Salesiano Coadiutore
Morto a Roma il 6 febbraio 2016, a 82 anni
Il signor Canesso è tornato alla
Casa del Padre all’età di 82 anni,
dopo una breve malattia e dopo
aver speso tutta la vita al servizio
della Chiesa nella Congregazione
Salesiana.
Giuseppe nasce in una terra fe-
conda e generosa di vocazioni
salesiane, Loria in provincia di
Treviso: terra alla quale è restato
legato fino agli ultimi giorni della
sua vita, come ha ricordato nell’o-
melia tenuta per la celebrazione
esequiale a Bessica di Loria, il
parroco don Alessandro Piccinel-
li: “Non posso dimenticare l’affet-
to e l’attenzione che Giuseppe ha
dimostrato verso la sua comunità,
verso i suoi parroci e verso tutti
coloro che hanno avuto bisogno
in questi anni di essere accolti e
accompagnati nelle occasioni in
cui siamo andati a Roma. Infatti
fu il suo parroco che, assieme a
don Matteo Brustolon, lo guidò
verso la vita salesiana. Ricorda
don Sergio Pellini, Direttore del-
la Tipografia Vaticana: “È entrato
nella Congregazione Salesiana
il 16 agosto 1951 all’età di 18
anni, coinvolto dal suo parroco e
da un ‘cercatore di bravi giovani’
don Matteo Brustolon. Giovani
disponibili ad accogliere pane,
lavoro e paradiso, con determi-
nazione. Partì, quindi, per il Pie-
monte facendo il noviziato a Villa
Moglia, vicino ai luoghi dove è
nato don Bosco, ed emise i suoi
primi voti un anno dopo. Nel 1957
farà la sua professione perpetua
consacrandosi tutto al Signore
e dedicandosi alla salvezza della
gioventù con grande dedizione
nel lavoro al Colle Don Bosco
dove resterà fino al 1982. Inizierà
prima come falegname, poi come
fotomeccanico ed infine come
direttore tecnico della tipografia.
Qui sarà apprezzato e stimato per
la sua grande laboriosità e i rap-
porti umani caratterizzati da forti
amicizie con exallievi ancor oggi
riconoscenti”.
Il signor Giuseppe, anzi il “Com-
mendator” Canesso, ha donato
alla Congregazione tutta la vita,
sentendosi vero “figlio di don
Bosco” laddove la Divina Provvi-
denza lo aveva chiamato nell’ob-
bedienza religiosa. In particolare,
i 31 anni trascorsi alla Tipografia
Vaticana hanno lasciato un segno
indelebile in lui, nei confratelli
e nei collaboratori laici. Scrive
di lui don Elio Torrigiani, che
da Direttore ha condiviso con
il sig. Canesso 18 anni di vita
nella Tipografia Vaticana: “Ap-
partiene a quelle generazioni di
confratelli formatisi al Colle Don
Bosco dagli anni ’50 ai ’90 del
secolo scorso nel magistero, che
fu incomparabile scuola di vita
religiosa salesiana e di altissima
professionalità tecnica. Di gran-
de rilievo fu la sua presenza alla
Tipografia Vaticana negli anni
dall’83 al 2013. In quel periodo
vi furono notevoli cambiamenti
tecnici e nuovi sviluppi ai quali
dette valido sostegno attraverso
la sua riconosciuta capacità e si-
curezza professionale. Il sig. Giu-
seppe Canesso ha interpretato il
suo servizio in Vaticano vivendo
a strettissimo contatto con i suoi
tecnici e operai, che per lui erano
‘i ragazzi di Don Bosco’, ai quali
in pratica ha dedicato con sem-
plicità e serenità la sua vita. Ogni
giorno ricominciava da capo, con
la sua alacrità e la determinazione
come se fosse il primo giorno.
Un binomio eccezionale, la bontà
e la competenza, gli hanno gua-
dagnato la stima, il rispetto, la
confidenza di tantissime perso-
ne, per molte delle quali è stato
un confidente e spesso una au-
tentica guida spirituale”.
Nel 2012 fu trasferito nella comu-
nità delle Catacombe di San Cal-
listo. Nella terra impregnata dal
sangue dei primi Martiri, il signor
Giuseppe ha vissuto gli ultimi anni
della sua vita, trasmettendo a tutti,
confratelli collaboratori e amici,
serenità e profonda spiritualità. La
sua accoglienza alle persone era
unica, e si è fatta ancor più con-
creta – a San Callisto come prima
in Vaticano – nell’abbellire la no-
stra casa con piante di ogni tipo,
rendendola così sempre più genti-
le ed accogliente, così come lui era
gentile ed accogliente con tutti.
Nella sua vita il commendator
Canesso ha saputo unire quali-
tativamente ed in maniera indis-
solubile la profonda vita religiosa
e salesiana, la preparazione e ca-
pacità tecniche, l’attenzione alle
relazioni e la disponibilità verso
tutti. Per questo il legame è rima-
sto stretto con tanti, come ricorda
ancora don Sergio Pellini: “Ac-
colto, amato e ben voluto fin dai
primi giorni dai suoi confratelli
non ha nemmeno perso il legame
con tanti colleghi di lavoro, mon-
signori, prelati, exallievi ed amici
con i quali aveva stretto amicizia
profonda e leale”.
Settembre 2016
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN MISTERIOSO PROTETTORE DI DON BOSCO
Chi fa tanto bene al prossimo, come faceva don Bosco, para-
dossalmente attira su di sé, per un motivo o per un altro, in-
vidia e violenza. Certo, tanti inaspettati, cattivi sentimenti non
provengono da chi, ingrato, può non riconoscere il bene rice-
vuto, ma da quelli che, vivendo sulle spalle dei derelitti vorreb-
bero continuare ad opprimerli. Ecco, dunque, che don Bosco
agli occhi dei malviventi appariva una persona scomoda. Subì
insulti, minacce e frequenti aggressioni e tornare all’oratorio, di sera, diventò rischioso. Nelle Memorie
dell’Oratorio, scritte da lui stesso, raccontò di un evento eccezionale quanto misterioso che lui amava
ricordare con piacere. Una sera particolarmente buia, mentre don Bosco compiva il solito tragitto, in un
tratto isolato gli si parò davanti un cane di grossa taglia. Poteva essere ostile, avrebbe potuto abbaiare o
ringhiare e costringerlo a cambiare strada, ma gli si avvicinò scodinzolando, cercando carezze e facendo
le feste. Non solo, lo accompagnò, stando al suo fianco per tutta la strada e fece questo, in seguito, molte
altre volte dandogli sicurezza. Una sera fu aggredito da due uomini che lo coprirono con un mantello
e stavano per percuoterlo. Don Bosco raccontò che sarebbe finita male se non fosse intervenuto il
suo “protettore” a quattro zampe abbaiando e balzando ad-
dosso agli aggressori. Da allora don Bosco lo chiamò XXX
e raccontò a tutti di questa presenza provvidenziale, quasi
soprannaturale, che si poneva a sua difesa. Quando, un gior-
no, il cane, fattosi più coraggioso si avventurò fino all’interno
dell’oratorio tutti capirono chi fosse e alcuni dissero: “Non
scacciatelo, è il cane di don Bosco!”. Don Bosco lo vide per
l’ultima volta nel 1866, ma nel 1959 un misterioso “gemel-
lo” di quel cane fu notato (e fotografato) a Roma seguire per
un’intera giornata l’urna cineraria di don Bosco.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Il drammaturgo
considerato l’ultima grande voce del
Siglo de oro spagnolo - 14. Antico
precettore - 15. Il Santo che nacque a
Tarso - 16. Una raganella - 17. Il Gof-
fredo autore dell’Inno Nazionale - 20.
Sua Vostra - 21. Abiti - 23. Il presi-
dente dell’UEFA, ex calciatore, travolto
dall’accusa di conflitto di interessi - 25.
Episodio all’inizio! - 27. Non tua - 28.
Formula senza forma - 29. Aspro come
il limone - 30. XXX - 33. Me… a
Parigi - 34. Fino al 2011 ha prodotto
organi elettronici - 35. Agli estremi
dell’alfabeto - 36. Carlo senza testa né
coda - 37. Scrisse la Critica della ragion
pura - 38. La civiltà a cui fa riferimento
l’Europa - 42. Perfida, malvagia - 43.
Paul, coprotagonista della pluripremiata
serie tv Breaking Bad - 45. I “banchi”
dei docenti - 47. Fu in uso nell’antica
Roma dalla fondazione fino al 46 a.C.
VERTICALI. 1. Si estende tra una
città e l’altra - 2. L’Alessandro che istituì
il Corpo dei Bersaglieri - 3. Le seguo-
no coloro che vogliono dimagrire - 4.
La seconda delle tre popolazioni elleni-
che che invasero la Grecia - 5. Abbr.
di opera - 6. Nuclei Anti-Sofisticazioni
(sigla) - 7. Sono celebri le sue bianche
scogliere - 8. Un articolo spagnolo -
9. I signori ai quali si rivolge l’oratore
- 10. Biforcazione della strada - 11.
Rischio, sorte incerta - 12. I ministri
del Negus - 13. Messo in grado di fare
qualcosa di specifico - 18. Ha grandi
corna a pala - 19. Esordi - 22. Rim-
bombano dopo i fulmini - 24. Il centro
del Cile - 26. Vanno lavati dopo pranzo
- 27. L’Arthur famoso per aver scritto
Morte di un commesso viaggiatore e
aver sposato Marilyn Monroe - 31.
Una geometrica decorazione - 32. Ri-
conoscente - 33. È alta di sera - 35.
Affligge il volto dell’adolescente - 39.
Il… Moschin reparto di Forze specia-
li dell’Esercito - 40. La fine del sonar
- 41. Vecchio nome di Tokyo - 44.
Avanti Cristo - 46. Iniz. di Magritte.
42
Settembre 2016

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
«Dov’è
il mio bacio?»
Disegno di Fabrizio Zubani
C’era una volta una bambi-
na che si chiamava Ceci-
lia. Il papà e la mamma
della bambina lavorava-
no tanto. La loro era una
bella famiglia e vivevano
felici. Mancava solo una cosa, ma
Cecilia non se ne era mai accorta.
Un giorno, quando aveva nove anni,
andò per la prima volta a dormire a
casa della sua amica Adele. Quando
fu ora di dormire, la mamma di Adele
rimboccò loro le coperte e diede a
ognuna il bacio della buonanotte.
«Ti voglio bene» disse la mamma ad
Adele.
«Anch’io» sussurrò la bambina.
Cecilia era così sconvolta che non
riuscì a chiudere occhio. Nessuno le
aveva mai dato il bacio della buo-
nanotte o le aveva detto di volerle
bene. Rimase sveglia tutta la notte,
pensando e ripensando: «È così che
dovrebbe essere».
Quando tornò a casa, non salutò i
genitori e corse in camera sua. Li
odiava. Perché non l’avevano mai
baciata? Perché non l’abbracciavano
e non le dicevano che le volevano
bene? Forse non gliene volevano?
Cecilia pianse fino ad addormentarsi
e rimase arrabbiata per diversi giorni.
Alla fine decise di scappare di casa.
Preparò il suo
zainetto, ma
non sapeva dove
andare. Era bloc-
cata per sempre
con i genitori più
freddi e peggiori
del mondo.
All’improvviso, tro-
vò una soluzione.
Andò dritta da sua
madre e le stampò
un bacio sulla guan-
cia: «Ti voglio bene».
Poi corse dal papà e lo abbracciò:
«Buonanotte papà», disse, «ti voglio
bene». Quindi andò a letto, lasciando
i genitori ammutoliti in cucina.
Il mattino seguente, quando scese
per colazione, diede un bacio alla
mamma e uno al papà.
Alla fermata dell’autobus si sollevò
in punta di piedi e diede ancora un
bacio alla mamma: «Ciao, mamma.
Ti voglio bene».
Cecilia andò avanti così giorno dopo
giorno, settimana dopo settimana,
mese dopo mese. A volte, i suoi geni-
tori si scostavano, rigidi e impacciati.
A volte ne ridevano. Ma Cecilia non
smise. Aveva il suo piano e lo seguiva
alla lettera. Poi, una sera, dimenticò
di dare il bacio alla mamma prima
di andare a letto. Poco dopo, la porta
della sua camera si aprì e sua madre
entrò.
«Allora, dov’è il mio bacio?» chiese,
fingendo di essere contrariata.
Cecilia si sollevò a sedere: «Oh,
l’avevo scordato». La baciò e poi: «Ti
voglio bene, mamma». Quindi tornò
a coricarsi e chiuse gli occhi. Ma la
mamma rimase lì e alla fine disse:
«Anch’io ti voglio bene». Poi si chinò
e baciò Cecilia proprio sulla guancia.
Poi aggiunse con finta severità: «E
non ti dimenticare più di darmi il
bacio della buonanotte».
Cecilia rise e promise: «Non succe-
derà più».
Oggi, qualcuno sta aspettan-
do il «suo» bacio. Da te.
Settembre 2016
43

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Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
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10152 Torino
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