Bollettino_Salesiano_201602

Bollettino_Salesiano_201602



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IL
FEBBRAIO
2016
L'invitato
Don
Chaquisse
I grandi
amici
Fano
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Oratorio
San Luigi
Poster
I nostri
Santi

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il berretto dello
spazzacamino
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Anno 1842. Il primo Oratorio fondato da don Bosco era
frequentato da ragazzi lavoratori: spaccapietre, mura-
tori, scalpellini, spazzacamini. Si radunavano presso la
Residenza per giovani sacerdoti presso la chiesa di San
Francesco d’Assisi (Memorie Biografiche, III).
Il mio giovane proprietario era un ragazzo ma-
gro, piccolo e agile. All’inizio dell’autunno
scese dalla Savoia verso la città di Torino per
trovare lavoro come spazzacamino.
Lasciò la mamma, pieno di paura per quel-
lo che sarebbe stato il suo futuro. A soli otto
anni aveva già dovuto imparare a vivere come
fanno gli uomini adulti.
Io, il suo umile berretto di lana, facevo tutto il
possibile per trasmettergli tutto quell’amore con
cui la mamma lo aveva fatto.
Prima che il sole sorgesse, mi affannavo a coprire
i suoi capelli ricci. Iniziava, infatti, la giornata del
ragazzo-schiavo. Il caposquadra lo faceva salire fin
sul tetto, lo legava con una corda che lo tratteneva
da sotto le ascelle… e così scendeva per l’angusto
buco del camino, iniziando a togliere la fuliggine
con il suo spazzolone. I miei buoni propositi di
cappello di lana non riuscivano però a evitare che
polvere e cenere entrassero nei suoi polmoni: all’i-
nizio era solo un colpo di tosse ogni tanto, ma ben
presto si trasformò in una tosse assai brutta e secca.
Una domenica pomeriggio però tutto cambiò. Il
mio giovane padrone si trovava in una taverna nei
pressi di Porta Palazzo, insieme ad alcuni amici e
compagni di lavoro.
Fu in quel momento che arrivò don Bosco. Le ri-
sate e le voci degli spazzacamini si trasformarono
in silenzio.
Quel giovane prete era diverso da tutti gli altri. Li
invitò tutti quanti ad andare al suo Oratorio. Fu
lui stesso, quel giovane prete, a pagar loro da bere.
Il mio giovane spazzacamino decise di seguirlo.
All’oratorio, infatti, trovò amici da cui usciva una
tale allegria che sembravano fontane da cui sgor-
gava un’acqua limpidissima. Con questa lavò lo
spazzolone delle pene; la cenere della mancanza di
speranza; le macchie che la solitudine lascia nell’a-
nima. Si tolse quel costume da persona adulta e,
com’è giusto che fosse, tornò a essere un bambino.
Sono passati molti anni e il mio padrone è cre-
sciuto all’oratorio, insieme a don Bosco. Ora è un
ragazzo forte, ma non si è mai dimenticato di quel
berretto di lana che la mamma gli aveva fatto con
tanto amore. Quando arriva l’autunno, con gran-
de orgoglio, mi posa sopra la sua testa. Insieme ci
lanciamo a reclutare i tanti piccoli spazzacamini
che arrivano in città. Li facciamo uscire dall’o-
scurità dei camini e li salviamo dagli artigli di
crudeli capisquadra. Offriamo loro pane, cultura,
la fede in un Dio che è Padre di tutti e la possibi-
lità di avere un focolaio umile ma pulito e pieno
di luce. Fu così che quel piccolo spazzacamino,
aiutato da don Bosco, imparò a fare lo stesso per
altri giovani come lui.
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Febbraio 2016

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IL
FEBBRAIO 2016
ANNO CXL
Numero 2
IL
FEBBRAIO
2016
L'invitato
Don
Chaquisse
I grandi
amici
Fano
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Oratorio
San Luigi
Poster
I nostri
Santi
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: La libertà e il piacere di giocare, correre,
saltare, lasciar correre la fantasia è uno dei cardini
dell’educazione salesiana (Fotografia Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Luigi Parolin
10 L'INVITATO
Don Américo Chaquisse
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 I GRANDI AMICI
Fano
20 SORELLE SALESIANE
Strade di periferia
22 POSTER
I nostri Santi
24 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
I magnifici fiori
della Thailandia
28 LE CASE DI DON BOSCO
Oratorio San Luigi
32 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
L’autocontrollo
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Alvaro Ginel,
Cesare Lo Monaco, Natale
Maffioli, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Dominic
Padinjaraparampil, Luigi Parolin,
Pino Pellegrino, Anna Peiretti, Linda
Perino, O. Pori Mecoi, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Agustin Pacheco (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sogno una Famiglia Salesiana
piena di fede, piena di Dio
Questo sarà un meraviglioso frutto
del Bicentenario della nascita di don Bosco
che abbiamo celebrato nell’anno terminato
da poco. Sogno una Famiglia Salesiana
formata da donne e uomini, consacrati e laici,
che vivono e cercano di vivere ogni giorno
con una fede profonda, gli occhi pieni
di stelle e l’anima piena di Dio.
Q ualche mese fa ho scritto ai con-
fratelli salesiani sdb che una
delle qualità più preziose a cui
senza dubbio dobbiamo dedica-
re la nostra attenzione è che in
molte parti, in molti dei paesi
dove ci troviamo e lavoriamo con tanta dedizio-
ne e generosità, ci si conosce per il lavoro che
portiamo avanti, ma si ignora o si disconosce
perché facciamo ciò che facciamo e dov’è la
motivazione profonda di vita. Ci si ammira
per il lavoro con i giovani, si apprezzano
immensamente le nostre reti di scuole,
e tra esse la formazione professionale e al lavoro.
Si guarda con tanto rispetto e simpatia al nostro
impegno con i ragazzi della strada, si loda la de-
dizione e la creatività di molti dei nostri oratori, si
ha grande attenzione alla realtà delle nostre case
famiglia, case e residenze per ragazzi poveri ecc.
Però tante volte non sanno dire chi siamo e ancor
meno perché facciamo quel che facciamo e perché
viviamo come viviamo.
E questo è il mio sogno, miei amatissimi della
Famiglia Salesiana, amici e simpatizzanti di don
Bosco e del suo carisma: che chiunque si incontra
con noi, o chi entra in relazione con una delle no-
stre comunità o degli appartenenti a qualcuno dei
nostri gruppi, possa sentirsi toccato dalla presen-
za di uomini di fede, di profonda e provata fede
che, nel loro semplice vivere ed agire, quasi senza
volerlo, lascino trasparire chi siamo e di chi siamo
perché siamo, anzitutto, credenti, felici di esserlo,
sapendo “quanto bene ci fa lasciare che Egli torni
a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunica-
re la sua vita nuova. Allora ciò che avviene è che,
in definitiva, quel che abbiamo veduto e udito,
noi lo annunciamo (1 Gv 1,3)”.
Sono grandemente convinto, sorelle e fratelli, che
questo è il cammino di cui abbiamo maggior ne-
cessità oggi. E di cui ha assoluto bisogno il nostro
mondo. Quello di curare, alimentare e approfondi-
re la nostra fede, di essere donne e uomini di fede,
comunicando che facciamo tutto ciò che faccia-
mo perché ci siamo sentiti attratti e affascinati da
Gesù, e liberamente abbiamo sentito la profonda
gioia di dire sì a Dio Padre, che ci manda come suoi
testimoni in mezzo agli uomini. Se siamo donne e
uomini pieni di Dio possiamo irradiarlo su coloro
che incontriamo nella nostra vita quotidiana.
Così don Bosco predicava Dio. Sempre presente
e vivo. Dio come compagnia, aria che si respira.
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Dio come l’acqua per i pesci. Dio come il nido
caldo di un cuore che ama. Dio come il profumo
della vita. Dio è ciò che sanno i bambini, non gli
adulti. Un bambino osservava incantato le splen-
dide vetrate di una cattedrale illuminate dal sole.
«Adesso ho capito chi è un santo» disse all’im-
provviso. «Sì? Davvero?» fece la catechista. «È un
uomo che lascia passare la luce».
Don Bosco era una radiosa vetrata che lasciava
passare la luce di Dio. La Famiglia Salesiana do-
vrebbe fare altrettanto.
Rimanere, amare,
portare frutto
Questo mondo ha bisogno di una Famiglia Sa-
lesiana i cui membri siano capaci di rimanere,
amare, portare frutto. Questi tre verbi, nel con-
testo dell’icona della Vite e i Tralci (Gv 15,1-11)
ci invitano a prendere coscienza della necessità di
essere profondamente radicati in Gesù per rima-
nere fortemente in Lui, e da Lui vivere una fra-
ternità che sia veramente attraente, e che ci porti
a servire i giovani e tutte le persone verso le quali
ci conducono le diverse caratteristiche carismati-
che della nostra Famiglia.
Tre verbi che ci portano a concretizzare il Pri-
mato di Dio nelle nostre vite senza mai dimen-
ticarci che dobbiamo essere, al di sopra di tutto,
“cercatori di Dio”, e testimoni del Suo Amore in
mezzo ai giovani e tra essi scegliendo i più poveri
e i più abbandonati.
Tre verbi che, calando nel profondo del nostro
cuore, ci sollecitano sempre più a impegnarci
molto seriamente per essere coinvolti davvero
nella trama di Dio. Viviamo tessendo la “tela”
che noi e il Signore stiamo realizzando insieme
stendendo e annodando i fili della fraternità, del ri-
spetto, degli occhi aperti sui bisognosi e gli sconfortati
di questo mondo.
Al termine di questo messaggio voglio ricorda-
re a tutti che siamo Famiglia Salesiana e condi-
vidiamo lo stupendo carisma di don Bosco non
per vivere ripiegati su noi stessi ma per donare e
donarci, e per essere gesto ed espressione umana
della Misericordia di Dio.
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SALESIANI NEL MONDO
LUIGI PAROLIN
Due mani callose
per cambiare il mondo
La meravigliosa e laboriosa
avventura di un coadiutore
salesiano e del Don Bosco Agro-
Mechanical Technology Center di
Legazpi City, nelle Filippine.
Sono un Salesiano coadiutore, mi chia-
mo Luigi Parolin e sono nato nella pro-
vincia di Vicenza nel 1940. Vengo da
una famiglia di agricoltori. Da ragazzo
frequentai la scuola Agraria Salesiana
di Cumiana (To) e successivamente la
Scuola Professionale Salesiana “Rebaudengo” di
Torino. In quel periodo ebbi l’opportunità di co-
noscere molti Missionari Salesiani che tornavano
a Torino. Raccontando la loro esperienza sentivo
la grande povertà della gente, in particolare dei
giovani. Fui colpito da tutto questo e a diciassette
anni scelsi di diventare Salesiano. Dopo tre anni
di formazione, nel 1960, partii per le Filippine.
Avevo vent’anni e ancora oggi sono felice della
mia decisione.
Ho sempre prestato il mio lavoro nelle scuole pro-
fessionali salesiane: per conseguire una maggiore
specializzazione frequentai un corso di motorista
in California, Stati Uniti e nel 1968 ritornai nelle
Filippine ad organizzare e dirigere la sezione di
formazione professionale per giovani di famiglie
povere in due diversi Centri di Manila.
Alla fine degli anni ’90 i miei superiori, su ri-
chiesta del Vescovo di Legazpi, mi incaricarono
di fondare un centro professionale nelle colline di
quella città collocata a circa 500 km a sud-est di
Manila.
Per comprendere questa scelta bisogna tenere pre-
sente che la popolazione filippina è di circa 100
milioni di abitanti con un aumento di circa un mi-
lione e mezzo all’anno. La maggioranza delle per-
sone è impiegata in agricoltura. Una buona parte
del suolo è collinosa con piante di noce di cocco.
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Il guadagno degli agricoltori è basato sulla vendita
delle stesse. Gli agricoltori non sfruttano il terreno
sottostante e i proventi della vendita di noci non
sono sufficienti per tutti, anche perché il nume-
ro di piante è in diminuzione per le malattie che
le colpiscono e i tifoni che si abbattono sull’isola,
mentre la popolazione aumenta con un conseguen-
te peggioramento della condizione economica.
Pochi sono gli agricoltori che piantano un po’ di
granoturco, tapioca, patate dolci; l’allevamento
degli animali è solo per uso familiare. Il lavoro
agricolo in collina presenta difficoltà oggettive.
Altri prodotti agricoli coltivati sono il riso, l’abaca
(fibra per la produzione di tessuti e oggetti vari),
noci di pili, ananas. Diffusa è anche la pesca.
Legazpi è situata nella regione di Bicol (isola
Luzon). È una regione con circa 5,7 milioni di
abitanti. L’area è costituita per il 60% da monta-
gne e colline. Bicol è una delle regioni più povere
delle Filippine. Il clima è caldo e umido e la piog-
gia abbondante.
Il vescovo locale quindi ci ha offerto l’uso di circa
13 ettari di terreno in collina, coltivata a noci di
cocco, ma solo una metà attualmente è utilizzabile.
Analizzando le condizioni socio-economiche
della gente locale, abbiamo individuato alcuni
problemi da affrontare, come la mancanza di una
programmazione agricola per il terreno collinoso
(che cosa e come piantare); la mancanza di attrez-
zatura di base, che di fatto è ancora rudimentale
e arcaica; la mancanza di capitale iniziale; l’inca-
pacità gestionale e di mercato.
Dopo una prima analisi del luogo e una valuta-
zione della situazione ambientale e culturale si è
concluso che questo è il posto ideale per don Bo-
sco e l’11 settembre del 2000 è stata posta la pri-
ma pietra. Con l’assistenza economica della Con-
ferenza Episcopale Italiana e della Germania,
abbiamo costruito degli edifici e procurato delle
attrezzature. Il 28 giugno 2001 è stato inaugura-
to ufficialmente il “Don Bosco Agro-Mechanical
Technology Center di Legazpi City”.
Uno studente
alle prese con un
motore.
Sotto: Lavoro
nell’orto con le
piante di fagioli.
Attività del centro
Formazione
Seguendo l’esempio di don Bosco, che faceva
dell’educazione lo strumento per combattere la
povertà, abbiamo organizzato un centro profes-
sionale-agricolo per insegnare ai figli di agricol-
tori e non agricoltori un mestiere, e quindi per
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SALESIANI NEL MONDO
Costruzione di
ruote di ferro.
Sotto: Utilizzo
di una semplice
seminatrice.
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porre le basi per il loro riscatto sociale senza tra-
lasciare la formazione umana e cristiana.
Da quando è partito il centro fino ad ottobre
2014, 1579 giovani hanno concluso il percorso di
studi previsto e oltre l’85% dei ragazzi ha trovato
un impiego entro pochi mesi.
L’offerta formativa è costituita da tre corsi profes-
sionali: agricoltura cioè orticoltura e allevamento
di animali; meccanica agricola, carpenteria mec-
canica con saldatura elettrica, motori a benzina
e gasolio ad un cilindro e motociclette, studio di
attrezzature e macchine agricole; impianti elet-
trici e manutenzione di condizionatori di aria.
I corsi presso il Centro si svolgono nell’arco di un
anno e sono seguiti da cinque mesi di apprendi-
stato e stage in diverse ditte. I risultati prodotti
dall’attività del Centro sono più che soddisfacenti
e la loro ricaduta ha sortito effetti positivi sia sul
piano personale dei ragazzi stessi, con l’impiego
lavorativo, sia sul piano familiare, con il miglio-
ramento delle condizioni economiche, sia comu-
nitario per il ruolo attivo acquisito.
Tra i diversi prodotti agricoli oggi coltiviamo
granoturco, manioca, ortaggi e piante da frutto.
Da alcuni anni ci siamo dedicati anche alla col-
tivazione della soia quale elemento importante
nella composizione della miscela alimentare de-
gli animali. Anziché importare questo prodotto,
largamente utilizzato per l’alimentazione anima-
le, vogliamo coltivarlo localmente per abbassare
i costi di produzione del mangime e per creare
quindi più lavoro e opportunità per gli agricoltori.
Tutto ciò richiede più ricerca, attrezzatura, tec-
nologia e capitale, ma porta anche molti benefici
agli agricoltori.
Il lavoro diretto al potenziamento produttivo non
è mai stato disgiunto dall’attenzione nei confronti
del territorio. Lo sfruttamento della terra deve co-
munque non tralasciare il rispetto dell’ambiente.
Da anni infatti pratichiamo l’agricoltura biologi-
ca poiché, oltre ad essere più economica, migliora
le condizioni del terreno e migliora la qualità dei
prodotti stessi. Tutti i fertilizzanti sono naturali,
prodotti principalmente nel nostro centro, non
vengono usati pesticidi né erbicidi.
Potenziamento dell’agricoltura
Il secondo obiettivo che ci siamo prefissati è quel-
lo di assistere gli agricoltori nel migliorare e po-
tenziare lo sfruttamento del terreno nonostante la
sua caratteristica collinare. Dobbiamo lavorare in
questa direzione.
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Nel Centro infatti alleviamo un migliaio di gal-
line, polli e più di cento maiali. Per diminuire il
costo dell’alimentazione animale, il Centro uti-
lizza un mulino per la macinazione del granotur-
co nella preparazione del mangime.
Oltre alla formazione in tecnica agraria, sentia-
mo il dovere e l’urgenza di introdurre semplici
attrezzature meccaniche per il lavoro della terra:
alcuni attrezzi sono costruiti da noi o comperati
e, a volte, adattati a seconda delle particolarità del
terreno o del lavoro da eseguire. Si trova pochissi-
ma attrezzatura meccanica nelle Filippine, quin-
di dobbiamo usare la nostra “creatività”.
La lavorazione dei prodotti
Il Don Bosco ha iniziato a coltivare la soia in via
sperimentale nel 2008 con buoni risultati. La
produzione però doveva essere limitata poiché è
un prodotto che richiede una certa lavorazione
che non eravamo in grado di effettuare per man-
canza di attrezzatura. Il ministro dell’agricoltura,
che ha creduto nel nostro progetto, ha fornito il
capitale necessario per l’acquisto di una macchina
per la lavorazione della soia. Ora assistiamo gli
agricoltori nella coltivazione di questo prodotto
molto richiesto dal mercato locale.
Il Don Bosco ha dimostrato che la soia cresce
bene in questa regione (e in altre regioni) e la sua
produzione è realizzabile. Con questa iniziativa il
Don Bosco prova che vi è una nuova opportunità
per gli agricoltori.
La cooperativa
Per assistere gli agricoltori, da qualche anno, il
Don Bosco ha creato la cooperativa Agricola
“Don Bosco Agricultural Multi-purpose Coope-
rative” di Legazpi con l’obiettivo di unire e assi-
stere gli agricoltori nella coltivazione della terra,
aiutandoli con prestiti di capitale iniziali, istruen-
doli nelle applicazioni di tecniche appropriate, nel
marketing ecc. La soia lavorata è molto apprez-
zata dagli allevamenti e da ditte che preparano
le miscele. È compito della cooperativa piazzare
questo, ed altri prodotti, sul mercato.
Noi del Don Bosco e Salesiani siamo felici di
seguire gli agricoltori e i giovani nella loro for-
mazione in senso globale: migliorare la loro con-
dizione sociale ed economica con l’istruzione
tecnica, senza tralasciare la loro crescita umana e
cristiana.
Studenti nel
campo di soia.
Sotto: Il salesiano
Luigi Parolin con
i lavoratori della
soia.
E-mail: parolinluigi@gmail.com
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
L’Africa è
Incontro con don Américo Chaquisse,
consigliere regionale per Africa
e Madagascar.
il futuro salesiano
Il sogno di don Bosco in Africa
è una realtà che si sta realizzando
Qual è la storia
una sorella salesiana e di un sacerdo-
della sua vocazione?
te salesiano. La domanda cominciò
Mi chiamo Américo R.A. Chaquis- ad essere molto personale e interiore e
se, figlio di Raul A. Chaquisse e Ana potrei dire che finì per torturarmi a tal
Dorcas J. Malemane. Sono nato il 23 punto che accettai di partire per vedere
febbraio 1966 a Maputo, Mozambico. e chiarire una volta per tutte ciò che
La mia è una famiglia di nove fratelli, stavo vivendo. Sentivo una certa ur-
cinque maschi e quattro ragazze. Par- genza, perché pensavo che o lo facevo
tii da casa per entrare dai Salesiani a allora o mai più. In quel momento mi
diciassette anni. Ben prima della na- si aprivano molte porte, sentivo molti
scita del mio ultimo fratellino.
inviti, ma preferii affrontare per primo
La mia vocazione è nata nel calore del- quella chiamata che non mi lasciava
la famiglia. In quel tempo la vita era tranquillo. Così andai a parlare con un
più difficile, vivevamo in un regime prete salesiano che era mio insegnante
politico che pretendeva di essere mar- nella scuola pubblica.
xista-leninista. Mio padre perdette il
suo impiego in conseguenza dei venti Che cosa le ha dato
della rivoluzione. Per quanto riguarda la splendida e poco
la mia vocazione non saprei dare par- conosciuta terra
ticolari dettagli, ma so che fu una gra- mozambicana?
duale scoperta. Alcune persone erano Mi ha donato la semplicità e l’umiltà
sorprese perché frequentavo la chiesa per riconoscere i miei limiti. Il Mo-
in un momento in cui le chiese erano zambico è un paese povero, apparente-
sempre vuote («Vuoi diventare prete, mente sconosciuto per grandi imprese.
per caso?»), dall’altro lato l’invito di Ma è grande la gioia delle persone e la
capacità di affrontare ogni sfida e pro-
gredire a tutti i costi con essenzialità.
Quali sono i ricordi più cari
della sua vita familiare?
L’amore che univa tutti. I miei geni-
tori sono i miei più veri e cari amici e
così anche i miei fratelli. Poi la soli-
darietà familiare e la capacità di dare
importanza alle qualità degli altri.
Una relazione semplice, senza com-
plessi. Una vita di preghiera e fede in
Dio e infine la libertà e l’opportunità
di esprimersi in famiglia senza paura.
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Don Americo con una superiora delle Figlie di
Maria Ausiliatrice.
Ha avuto molti incarichi
in Congregazione: quale
le è piaciuto di più?
Ho sempre cercato di eseguire tutti
i compiti che mi sono stati affida-
ti con diligenza e linearità. Quello
che mi piacque di più fu lavorare in
una scuola dove c’era anche un inter-
nato. Là imparai ad essere salesiano
in mezzo ai giovani, giorno e notte.
Furono solamente quattro anni poco
dopo la mia ordinazione sacerdotale,
quindi i miei primi anni da prete. Ho
anche avuto un’esperienza in parroc-
chia come vicario, dovevo animare
l’oratorio e organizzare la catechesi
parrocchiale. Contemporaneamente
ero economo della Delegazione e poi
economo della Visitatoria. Un’altra
attività che mi ha toccato in modo
particolare è stato un progetto di svi-
luppo rurale agricolo durato sei anni.
È stato bello essere in grado di fare
qualcosa per i poveri, per quelli che
sono sempre dimenticati. Essere in
grado di assistere alla trasformazione
degli ultimi che guadagnavano digni-
tà e potevano sentirsi più sicuri di se
stessi e prendere parte al bene della
società a pieno titolo.
Che cosa significa essere
Consigliere Regionale
per Africa e Madagascar?
Per me essere consigliere regionale
è poter collaborare direttamente con
il successore di don Bosco, e penso
che sia una grazia speciale del cielo
per vivere più profondamente la vo-
cazione di salesiano di don Bosco.
Ringrazio Dio e la comunità nella
persona dei fratelli con i quali ho po-
tuto condividere e condivido la vita
salesiana. Ogni giorno, da Regionale
posso testimoniare l’immenso lavo-
ro dei figli di don Bosco, conosce-
re e vivere la ricchezza della Chiesa
cattolica in Africa, poter essere il
portavoce dell’Africa nel centro della
Congregazione e l’animatore dei Sa-
lesiani in Africa. Ho la rara possibi-
lità di essere padre, amico e maestro
dei giovani, in particolare dei più
poveri.
Come vede l’avvenire
della Congregazione
salesiana in Africa?
Con molto ottimismo, speranza e
gioia. Il sogno di don Bosco è una
realtà che si sta realizzando. C’è una
crescita numerica, vi è più maturi-
tà nel vivere il carisma e anche nel-
la dimensione missionaria. Il meglio
dell’Africa per la Congregazione deve
ancora venire. Scorgo molti segni po-
sitivi per crederci.
Che cosa deve cambiare
l’Occidente nei riguardi
dell’Africa?
È sempre molto delicato parlare di
questo argomento perché si corre il
rischio di offendere delle sensibilità.
Tuttavia qualcosa posso dire. Prima
di tutto, l’Occidente deve imparare a
credere che l’Africa sia un vero com-
pagno di viaggio nella storia dell’uma-
nità, cambiando quindi quell’atteggia-
mento da dominatore per essere più
aperti a un dialogo senza pregiudizi e
discriminazioni. Riconosco anche che
questo non si deve chiedere come un
favore ma conquistarlo dimostrando
la volontà di liberarsi da vecchi lega-
mi per vivere una vera fraternità senza
cercare rivincite, ma costruendo un
nuovo mondo di pace e di amore.
Quali sono le nazioni
e le opere africane in cui
il carisma salesiano cresce
di più?
Ogni paese si sviluppa secondo un
modo tutto suo. In termini numeri-
ci, posso elencare la Repubblica del
Congo, Kenya, Tanzania, Togo, Be-
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L’INVITATO
nin, Nigeria, Angola, Ruanda e molti
altri che alla fine sarebbe come par-
lare di tutti perché in ogni Ispetto-
ria e Visitatoria c’è crescita. La visita
dell’urna di don Bosco e il triennio di
preparazione al bicentenario hanno
favorito la conoscenza di don Bosco e
del suo carisma, che è molto apprez-
zato sia dalla Chiesa sia dalle autorità
e dalla gente in generale.
Qual è il suo sogno?
Quali sono i progetti a cui
tiene di più?
Il mio sogno è che Gesù è meglio co-
nosciuto e accolto in Africa e nel cuo-
re di ogni africano. Desidero profon-
damente che la pastorale salesiana sia
innovativa e possa aiutare i giovani a
mettere Cristo nelle loro scelte di vita.
Credo nell’importanza dell’istru-
zione professionale per lo sviluppo
economico e tecnico del continente.
A livello di regione stiamo iniziando
una segreteria di formazione tecni-
co-professionale denominata “Don
Bosco Tech Africa”. Si tratta di un
ambizioso progetto di animazione e
di coordinamento per dare più qualità
alla nostra offerta formativa in questo
settore, aprendo le porte a molti gio-
vani disoccupati.
Che cosa direbbe alla
Famiglia Salesiana?
Il grande passo che dobbiamo fare
oggi è lavorare mano nella mano e
senza complessi. Don Bosco ci ha
sognato e voleva che ogni uomo nella
sua condizione di vita desse il meglio
di sé in santità per il bene dei giova-
ni, in particolare di quelli più poveri
e disagiati.
Coltiviamo comunione e fraterni-
tà, cerchiamo di essere creativi nella
realizzazione della missione salesia-
na. Siamo tutti figli e figlie di don
Bosco, questa è la nostra forza, non
lasciamoci ingannare dalle “false au-
tonomie”, perché questa è la diversità
specifica di ogni gruppo che deve ar-
ricchirci e aiutarci a servire meglio i
giovani.
Don Americo felice direttore di una scuola
mozambicana insieme ad alcuni dei suoi ragazzi.
12
Febbraio 2016

2.3 Page 13

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L’AFRICA SALESIANA
SALESIANI
ISPETTORIA
AET
AFC
SEDE
Addis Abeba
Lubumbashi
NAZIONI
Etiopia, Eritrea
Congo Rep. Dem.
Kenya, Sudan S. Sudan,
132
263
200
AFE
Nairobi
Tanzania
South Africa, Lesotho,
56
AFM
AFO
Johannesburg
Abidjan
SIGFvwSouaiaersinzyroriel,aCaaTLon,oesdBgote,noneMi,nLa,libiB,euSrireak,niGneaghaanl,a,
165
171
AFW
AGL
ANG
ATE
MDG
MOZ
ZMB
MOR
IRL
Ashaiman
Kigali
Luanda
Yaoundé
Ivato
Maputo
Lusaka
Betlemme
Dublino
Nigeria
Uganda, Rwanda, Burundi
ACCGnMieaugnadiondt,lreaaCaaglaeaEm,sqCceuaoraurnt,nogI,rsoiAoa, lflGereiacMbaoaunr,izio
Mozambico
Zambia,
Malawi,
Zimbabwe,
Namibia
ISsirraieal,eT,uErgcihtitao,,
Libano,
Iran
Irlanda, Malta, Tunisia
Francia, Belgio, Svizzera,
99
102
132
110
61
92
96
90
202
FRB
POR
Parigi
Lisbona
Marocco
Portogallo, Capo Verde
99
(I dati si riferiscono al 2014)
Febbraio 2016
13

2.4 Page 14

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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
STATI UNITI 1
GUATEMALA 2
FINO AI CO
Studente del Bosco
Tech invia doni ai
bambini di tutto il mondo
Una lettera di ringraziamento ricevuta da un bambino in
Nepal ha ispirato Grayson Wade, allievo del II anno del
“Don Bosco Technical Institute” (Bosco Tech) di Rose-
mead, a dedicarsi con grande impegno all’iniziativa “Ope-
ration Christmas Child” (Operazione Natale Bambino).
Ogni autunno, da 6 anni ormai, Grayson si fa portatore
dell’opzione salesiana di aiutare i meno fortunati attra-
verso la raccolta di piccoli giocattoli, articoli per l’igiene
personale e dolciumi che invia poi, debitamente avvolti e
collocati in scatole da scarpe, ai bambini dei paesi in via
di sviluppo.
«Da quando mi è stata presentata questa forma di carità,
nel 2010, sono passato da 2 scatole inviate nel 2010, alle
445 dell’anno scorso. Il numero totale di pacchi regalo
inviati fino a Natale 2014 era di 1005, a bambini di paesi
come Nepal, Mongolia, Bangladesh, Indonesia, Sud
Africa, Madagascar, Filippine e Cina».
Quest’anno Grayson ha coinvolto nell’iniziativa i suoi
compagni di classe e gli insegnanti e conta di inviare 600
scatole regalo, sempre in collaborazione con il program-
ma “Operation Christmas Child” messo in atto dalla
“Samaritan’s Purse” (la Borsetta del Samaritano), un’or-
ganizzazione che dal 1970 offre aiuto spirituale e mate-
riale alle persone bisognose e ferite di tutto il mondo.
“Mi ha motivato il pensiero di quei bambini felici di rice-
vere un pacco regalo – ha
spiegato il ragazzo –. Mi
piace pensare che così si
diffonda la speranza. È un
buon modo per parlare della
nostra fede ed incoraggia-
re le persone a credere in
Dio». In rete sono disponi-
bili ulteriori informazioni
su “Operation Christmas
Child” e su come sostenere
Grayson nel suo servizio.
“Petén aspettava proprio
don Bosco”
Don Giampiero de
Nardi, missionario sale-
siano in Guatemala, fa
il punto della situazione
sulle attività in corso
presso l’opera di San
Benito Petén: “il nostro
piccolo oratorio estivo
è in piena attività: corsi
di computer, danza,
musica e canto, spagno-
lo, inglese, matematica,
artigianato... tanti
giochi e soprattutto il
clima di famiglia di una
casa salesiana”.
Nell’oratorio si incrociano le storie di tanti bambini e
ragazzi e costantemente, tra le difficoltà, si ricevono an-
che segni di speranza. Racconta don de Nardi: “C’è una
ragazza orfana che viene da una casa famiglia, il papà è
molto violento. Non si è mai voluta integrare negli anni
passati nell’oratorio. Non si è mai voluta fare neanche una
foto. Già l’anno scorso la situazione era molto migliora-
ta... Quest’anno sta partecipando a tutte le attività. Oggi
le ho scattato una foto e poi gliel’ho fatta vedere... dicen-
do: ‘guarda come sei venuta bene nella foto’. Le si sono
illuminati gli occhi e mi ha abbracciato (non l’aveva mai
fatto... non lo fa con nessuno, non le è stato insegnato il
valore di un abbraccio). La magia del clima di famiglia,
di quel clima di amorevolezza che voleva don Bosco e che
fa miracoli...”.
Assieme all’oratorio estivo procedono anche le altre
attività usualmente portate avanti presso l’opera: la
scolarizzazione dei ragazzi sostenuti attraverso le borse di
studio, la catechesi sacramentale, le attività caritative e di
solidarietà verso i più poveri.
“Petén aspettava proprio don Bosco” conclude
don de Nardi.
14
Febbraio 2016

2.5 Page 15

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SRI LANKA 3
I Salesiani in aiuto ai giovani
nel difficile mercato del lavoro
INDIA 4
4
Tutti all’opera
3
per soccorrere gli alluvionati
Un Centro di Formazione Professionale ( ) gestito dai
Salesiani sta aiutando molti giovani svantaggiati a trovare
un’occupazione nel difficile mercato del lavoro dello Sri
Lanka. Esso offre a ragazzi che hanno abbandonato la
scuola una vantaggiosa opportunità per affrontare il grave
problema della disoccupazione nel paese.
“Mi trovo in una buona posizione per aiutare economica-
mente la mia famiglia e ho la speranza di avere un futuro
migliore” racconta il 19enne W. Tirone Lakmal, che smi-
se di studiare a causa dei problemi economici familiari e
che poi ha intrapreso un corso da saldatore al “Don
Bosco”di Nochchiyagama. Lakmal è solo uno tra i 160
ragazzi e ragazze che quest’anno ha completato un corso
di formazione presso il centro salesiano; ed è grato per la
formazione professionale ricevuta, altrimenti oggi sareb-
be un altro tra i tanti giovani disoccupati senza speranza
nella ricerca del lavoro.
Decenni di guerra civile nel paese hanno lasciato molti
giovani vulnerabili e, anche se la guerra è finita, la disoc-
cupazione è ancora un grosso problema.
“Il centro dà ai giovani le competenze necessarie per
competere nel mercato del lavoro, con corsi alberghieri,
formazione tecnica e informatica” spiega don Reginald
Fernando, Direttore dell’opera. In particolare il centro, a
prescindere dalle credenze religiose degli allievi, si occu-
pa di quanti hanno abbandonato la scuola.
I Salesiani sono presenti nello Sri Lanka dal 1956; nel
1963 hanno creato il primo istituto tecnico e da allora
hanno istituito altri 17 centri in tutto il paese.
“Le operazioni di soccorso sono iniziate appena ci siamo
resi conto della gravità della devastazione, la mattina
del 3 dicembre…” così inizia il resoconto di don Ra-
phael Jayapalan, Ispettore di Chennai, sulle attività del
“Don Bosco Flood Relief ” ( ), l’équipe salesiana di
soccorso allestita per aiutare la popolazione colpita dalle
alluvioni avvenute nei primissimi giorni di dicembre.
Tutti i centri per la Pastorale giovanile dell’Ispettoria
sono divenuti centri-soccorso e praticamente tutte le ope-
re salesiane sono state convertite in centri di accoglienza
per gli alluvionati; altri istituti e organizzazioni salesiani
si sono dedicati a preparare i kit di cibo e generi di prima
necessità.
Contando anche sulla collaborazione di circa 140 giovani
del Movimento Giovanile Salesiano, coordinati da don
Mani Lazar, , e su quella di diverse religiose, attive
presso il centro ispettoriale dei Salesiani e in vari campi
medici, il sta portando aiuti in alcune delle aree più
colpite dalle inondazioni e per questo più abbandonate: 60
villaggi attorno a Cuddalore, 8 a Chingelpet, 12 a Thiru-
vallur, 7 a Kancheepuram, 26 baraccopoli di Chennai.
Nell’arco di tre giorni questa vasta compagine di per-
sone ha distribuito circa 124mila kit di primo soccorso,
ciascuno contenente cibo precotto e candele.
Febbraio 2016
15

2.6 Page 16

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I GRANDI AMICI
ALVARO GINEL
Traduzione di Marisa Patarino
Fano
Può presentarsi?
Sono Patxi Velasco Fano. Appongo in
calce ai miei disegni la firma “Fano”.
È il cognome di mia madre, che si
chiama Fe (in spagnolo “Fe” significa
“Fede”) Fano. Posso dunque dire che
sono sicuramente “figlio della Fede”.
Sono nato in una famiglia numerosa,
che mi ha dato tante cose. Sono spo-
sato con Susana. Ci siamo conosciuti
in parrocchia, nel coro. Lei cantava e
suonava la chitarra. Dio ci ha uniti e
abbiamo tre bellissimi bambini: Ju-
dit, Javi e Ángeles. Sono insegnante e
considero il mio lavoro un altro dono.
Insegno presso l’istituto “María de
la O”, una scuola elementare carat-
terizzata dall’emarginazione e dalla
povertà, ma piena di vita, gioia e spe-
ranza nonostante le difficoltà.
È diventato famoso
disegnando il Vangelo.
Quali sentimenti suscita
in lei questa realtà?
Provo gratitudine per questa grazia
che Dio ha voluto donarmi. Disegno
a casa, su un tavolino con un compu-
ter e Dio ha voluto che questa picco-
la attività fosse come un granello di
È il più conosciuto
dei disegnatori “di Dio”
del mondo. I suoi disegni
per la liturgia domenicale
sono pubblicati e usati
in tutte le nazioni e tutti
i cristiani li comprendono.
Comunicano il messaggio
cristiano e fanno
riflettere. Anche perché
nascono dalla fantasia di
un uomo autenticamente
appassionato del Vangelo.
senape che, affidato alle sue mani e
guidato dal suo Spirito, porta frutti
che non mi appartengono. Prego che
tutto proceda per la gloria di Dio.
Alcuni osservano che
i suoi disegni sono infantili,
non adatti agli adulti.
Ciò che conta non è la forma, ma la
sostanza. Il Vangelo è la Bella Notizia
e chi la annuncia deve solo trasmet-
terla. La Parola di Dio trasforma.
Usiamo tutte le lingue e tutte le mo-
dalità espressive, ma non perdiamo la
radice, l’essenza. È bello che diven-
tiamo come bambini per avvicinarci
alle cose di Dio.
16
Febbraio 2016
I disegni di Fano sono una profonda e poetica
lettura della Bibbia.

2.7 Page 17

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I suoi disegni sono sul sito
della Diocesi di Málaga.
È un caso?
La Chiesa è la mia casa, appartengo
a una comunità cristiana (la Comu-
nità Maria di Nazareth). Si tratta di
una comunità di giovani che abbia-
mo educato e adesso si arricchisce di
bambini. Siamo famiglie che fanno
parte della grande famiglia che è la
Parrocchia “Parroquia de la Amar-
gura”. È una parrocchia della Diocesi
al servizio della Diocesi. Per questo la
Diocesi è la sede migliore per condi-
videre i disegni.
In che modo il disegno
di ispirazione religiosa
è entrato nella sua vita?
Nella scuola in cui lavoro insegno re-
ligione. Tutti gli allievi sono rom. Il
livello di apprendimento e le capacità
di lettura sono molto bassi. Per le le-
zioni, realizzo personalmente il mate-
riale servendomi di molti disegni. Ho
cominciato a disegnare per questo.
È bello disegnare per presentare un
messaggio alle persone più semplici:
“Annuncia la Bella Notizia ai poveri”.
Sono poi arrivati Internet e la rivista
diocesana, e di là le mie creazioni
sono state diffuse in tutto il mondo.
Ci dica qualcosa sulla sua
“fonte di ispirazione”.
Gesù è la fonte da cui proviene l’acqua
che disseta la mia vita. Gesù è un te-
soro inesauribile. Ci ha parlato e conti-
nua a parlare con noi. È “una lotteria”.
È bello avere “il wi-fi” dello spirito
che ci collega al Padre con la “massima
copertura”. Il segreto dell’ispirazione è
mettersi alla sua presenza e pregare.
Oltre a disegnare
che lavoro svolge?
Sono un insegnante di sostegno. At-
tualmente sono direttore della Scuola
e lavoro con un’équipe di insegnanti
sempre attenti e disponibili, impe-
gnati a lavorare con bambini e bam-
bine che vivono situazioni molto do-
lorose di povertà e di esclusione.
Risponda
senza pensarci troppo:
Gesù nella sua vita è...
Colui che mi accompagna, che inse-
gna e, soprattutto, mi dà la forza di
portare avanti il mio compito. Il se-
greto del nostro rapporto è l’Eucari-
stia, il tabernacolo.
Lei è marito e padre
di tre figli...
Questo è il compito più importante
che mi sia stato affidato. Chiedo a
Dio di concedere ai miei figli la gra-
zia della fede e spero che i miei figli
apprezzino questo dono e ne facciano
buon uso. Susana e io facciamo gran-
de affidamento sulla nostra famiglia e
sulla comunità, con cui condividiamo
speranze e preoccupazioni.
Lei conosce don Bosco.
Che cosa la affascina di
lui?
Mio padre è un exallievo dei Salesia-
ni e quando torna nella sua regione di
origine (le Asturie) è felice di anda-
re a trovare i suoi antichi compagni
di classe e ricordare le “avventure”
scolastiche che hanno condiviso. Di
don Bosco amo la scelta a favore degli
ultimi e la pedagogia ispirata all’im-
pegno nel lavoro, l’interesse per la
musica... Don Bosco è sempre “inno-
vazione educativa”.
Febbraio 2016
17

2.8 Page 18

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I GRANDI AMICI
Quando e come prega?
Prego in molti modi. Nella nostra co-
munità sono diffuse alcune preghiere
per offrire la giornata e per concluder-
la. Abbiamo anche l’abitudine di reci-
tare l’Angelus e rimaniamo in contat-
to tramite WhatsApp. Nei momenti
di difficoltà recito il Rosario e spesso
prego con applicazioni di WhatsApp
come “Sto pregando”, che consiglio.
Ritiene di essere
un evangelizzatore?
Sì. Penso che questa sia la missione di
ogni cristiano. Voglio essere un evan-
gelizzatore in tutto quello che faccio
e non solo con i disegni. Apprezzo
molto queste parole di Santa Teresa:
“Fare l’ordinario in modo straordina-
rio”. Ci si può riferire ad attività co-
muni, come fare il bucato o stendere
gli indumenti ad asciugare. È un bel
modo per sentirsi alla presenza di Dio
e per annunciare e accogliere il Regno
dei Cieli.
Ha notato che lo stile
del suo disegno è cambiato,
con l’approfondimento
della sua fede?
Quando firmo i miei disegni, accanto
alla firma tratteggio sempre alcune far-
falle. All’inizio ne disegnavo solo una
(Susana), poi ne ho aumentato il nume-
ro, quando sono nati i miei figli. I miei
disegni sono cambiati in questo senso.
Per quanto riguarda l’approfondimen-
to della fede, devo tenere conto della
dimensione universale della Chiesa.
Prima le mie creazioni avevano un ca-
rattere prevalentemente locale. Adesso
voglio essere più sensibile alla ricchezza
e alle diverse caratteristiche della Chie-
sa, in modo che tutti comprendano.
Qualcosa che non
le ho domandato
e che vorrebbe dire...
Il disegno mi ha permesso di cono-
scere una Chiesa ricca di tanti doni
diversi. Noi siamo una famiglia. Non
ci sono distanze tra noi. Non ci co-
nosciamo, ma svolgiamo insieme un
compito; siamo fratelli. Camminiamo
insieme.
18
Febbraio 2016

2.9 Page 19

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LE NOSTRE EDITRICI
VALERIO BOCCI
Le novità della ELLEDICI
Giancarlo Isoardi
«Di don Bosco si può dire tanto»
(Papa Francesco)
Il titolo di questo scritto
richiama le parole di Papa
Francesco pronunciate durante
la sua visita pastorale a Torino
il 21 giugno 2015.
In brevi capitoli il libro presenta
la figura di don Bosco,
tratteggiando i valori appresi in
famiglia e dal mondo contadino
dell’800 astigiano e definendo
il santo come portatore di un
messaggio di attualità per i
giovani del mondo intero.
Pagine 168
Enza Maria Milana - Valerio Bocci
Manuel
Il piccolo guerriero
della Luce
“Mi chiamo Manuel Foderà. Ho un
carattere allegro, socievole e molto
scherzoso. La mia giornata, oltre allo
studio, la dedico al Signore scrivendo
tante preghiere che mando ai miei amici
sacerdoti, suore, seminaristi e vescovi
e a tutti quelli che soffrono nel corpo
e nello spirito… Dovete scrivere molti
libri su di me perché i cuori induriti si
convertano”.
Chi si presenta così è un bambino volato in Cielo a soli 9 anni, dopo aver
lottato contro il tumore con il sorriso e la preghiera. Era convinto di avere una
missione da compiere per conto di Dio: far conoscere e amare il suo grande
amico Gesù. In queste pagine, la storia del “piccolo guerriero della Luce”
e le testimonianze di quanti hanno conosciuto la sua straordinaria umanità.
Pagine 208 + inserto fotografico di 32 pagine
A cura di Antonio Carriero
Il vocabolario di Papa Francesco
Presentato da
Card. Pietro Parolin - Card. Gianfranco Ravasi
Mons. Nunzio Galantino - Padre Antonio Spadaro
Papa Francesco è un
comunicatore straordinario
che affronta i temi forti
del nostro tempo. Questo
vocabolario declina le
sue parole più importanti
come guida e pastore della
Chiesa. I 50 termini che
compongono il vocabolario
sono redatti da giornalisti
e vaticanisti che si
confrontano continuamente
con la comunicazione del
Papa “venuto quasi dai
confini del mondo”.
Pagine 300
Umberto De Vanna
Sorpresi da Dio
Ripensare la fede,
l’amore, la misericordia
con le parabole
Questo libro rilegge i temi centrali
della nostra fede alla luce di alcune
parabole di Gesù. Le cinque parabole
prese in considerazione (il tesoro
spazio a un personale cammino di spiritualniteàlcchaemnapsocaedlaal ppeenrsliaerpordeizGioesa., un
seminatore generoso, il giudice
indifferente e la vedova che non si
arrende, il buon samaritano, un uomo
spazio a un personale cammino di spirituriaclicoceheilnpaosvceardoaLl paeznzasrieor)o, daittGueaslùiz.zate
spcazoino aaugnilpi erirsoensaslieocnaimemteinsotidmi sopniriiatunazleità, achiuetnaansocaadraicl puepnesriaerroe dlai Gferes.chezza
del nostro rapporto con Dio e a fare spazio a un personale cammino di
spaszpioiraituunapliersocnhaelencaasmcamdinaoldpi espnisriiteuraolitàdichGeensaùs.ca dal pensiero di Gesù.
Per la lettura personale, il tempo dello Spirito,
a scuola, in gruppo... con i giovani.
Pagine 80

2.10 Page 20

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SORELLE SALESIANE
EMILIA DI MASSIMO
Accanto alla Basilica
del Sacro Cuore di Roma,
costruita da don Bosco,
c’è una piccola comunità
Strade di quattro sorelle che
insieme con i Salesiani,
le famiglie e tanti giovani
vivono in pienezza
una magnifica missione
di periferia evangelizzatrice.
Missionarie di Cristo Risorto a Roma
A ccanto alla Stazione Termi-
ni di Roma c’è la Basilica
del Sacro Cuore, costruita
da don Bosco con gran-
di sforzi e fatiche. Qui ha
trovato dimora anche una
piccola comunità di quattro sorelle,
che condividono il progetto educati-
vo e missionario, rinnovato secondo
il “Progetto Europa”, voluto da don
Pascual Chávez. Le Missionarie di
Cristo Risorto ( ), insieme con i
Salesiani, le famiglie e tanti giovani
danno vita a una realtà ecclesiale dal
forte carattere giovanile, per vivere in
pienezza la missione evangelizzatrice
e innescare, nelle povertà che inter-
cettano e che interpellano, un’espe-
rienza di Risurrezione. Le abbiamo
incontrate.
Nate in una scuola
salesiana
«Siamo nate negli anni Ottanta, a
Montevideo, dentro una scuola sa-
lesiana, il Juan XXIII». È Mercedes
che racconta: «L’entusiasmo per le
idee e le novità del Concilio circola-
vano in una chiesa latinoamericana
giovane, sostenuta dai grandi docu-
menti prodotti dalla Conferenza di
Puebla». La scuola è l’humus dove
prende vita un forte movimento spi-
rituale che affondava le sue radici nel
Vangelo, che profumava di gioventù,
di opzione per i poveri e sollecitava
ad essere, ad agire, a mettersi insieme
per non lasciarsi intorpidire dalla cul-
tura borghese e individualista.
«Incontri, ritiri, servizio nelle ba-
raccopoli della periferia della città...
– continua Laura –. Molti giovani si
sentivano chiamati a scelte radicali di
vita, nel servizio, nella vita di famiglia
e nella vita consacrata». Il “dopo” sa di
primavera: azione, preghiera, confron-
ti, ascolto dello Spirito, discernimento
con l’aiuto della comunità salesiana e
della Chiesa locale. Nascono così, le
Missionarie di Cristo Risorto: a ser-
vizio dell’evangelizzazione dei giovani
e dei più poveri. La prima fondazione
a Montevideo, poi Buenos Aires e poi
Brasile, Cile, Italia e Venezuela, con
alcune significative esperienze missio-
narie in Spagna, India e Africa.
A Roma approdano nel 1996. Fino al
2009, quando la comunità si trasferi-
sce presso la Basilica del Sacro Cuore,
alla Stazione Termini.
Insieme ai Salesiani, danno vita a un
progetto missionario di condivisione e
di incontro con i rifugiati e richiedenti
asilo, giovani provenienti da ogni par-
te del mondo, nella fiducia che questo
20
Febbraio 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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“convenire” di culture, fedi e sensibili-
tà sia per tutti e per ciascuno feconda
esperienza di grazia, luogo di realiz-
zazione umana e di senso: «È Gesù
Risorto che ci porta a condividere e
a comunicare la Vita con la gente, in
stile evangelico – prosegue Mercedes
– generando un ambiente di famiglia
dove condividiamo certezze e ricerche,
gioie e preoccupazioni. Vorremmo che
per loro il “Sacro Cuore” sia come la
loro casa, una casa accogliente e calda,
che riporta alla memoria quella che
forzatamente hanno dovuto lasciare».
Una casa sempre aperta
La loro casa è aperta: vi hanno trovato
posto Cristina e Giuseppe, Francesco
e Floriana, coppie di sposi con i figli
che, pur vivendo nella loro casa, con-
dividono con le suore la spiritualità,
la missione, momenti di preghiera e
riflessione. Ci sono Aweys, rifugiato
dalla Somalia, volontario alla scuola
d’italiano, e Alhagie, dal Gambia, re-
sponsabile del gruppo che organizza
gite e cineforum.
«C’è un grido che abbiamo sentito –
spiega María José che lavora in parti-
colare tra i giovani profughi – quello
di tanti giovani italiani che faticano a
trovare il loro cammino, un senso “pie-
no”, che molte volte si sentono vuoti e
disillusi, ma che sono allo stesso tempo
desiderosi di donarsi. Abbiamo anche
sentito il grido di altri giovani, quelli
che fuggono dai loro paesi e arrivano
in Italia e che, in modo paradossale,
dalla loro solitudine e dolore ci fanno
vedere la forza della vita».
Per dare risposta a questo “grido”,
le iniziative si moltiplicano, sono il
“luogo” di incontro tra i giovani e con
Gesù: percorsi formativi: al volonta-
riato con i senza fissa dimora, tra i
malati e con i rifugiati; di educazione
dell’affettività, di conoscenza, ascol-
to e preghiera della Parola di Dio; di
spiritualità e di preghiera.
Eugenia è una giovane italiana, in
partenza per il Brasile, per iniziare il
periodo di noviziato con le Missiona-
rie. È laureata in medicina, ricca di
sogni per il futuro. La domanda sale
spontanea: “chi te lo fa fare di avven-
turarti, così dietro a Gesù?” «Ciò che
mi ha attratto – risponde con un sor-
riso schietto che arriva fino agli occhi
– quando ho conosciuto le Missionarie
di Cristo Risorto, è stata la gioia, che
nasce da una relazione, da persone in-
namorate di Gesù. Era la risposta che
cercavo, alla mia sete di autenticità e di
dono missionario. Misteriosamente, le
quattro hermanas, provenienti da Paesi
lontani, sono diventate per me “casa”.
E ora, eccomi qui… in cammino sui
passi di Gesù: un inaspettato cammi-
no d’amore per me».
La comunità.
A pagina precedente : Le quattro Missionarie di
Cristo Risorto.
Il tempo è scaduto. Lascio a Cristi-
na la battuta conclusiva: «Il segreto
della nostra gioia? L’incontro perso-
nale con Gesù vivo, risorto. Nel suo
amore e nella sua amicizia, Egli ci
dona anche il desiderio che tutti vi-
vano quest’esperienza di salvezza e ci
invia a camminare accanto alla gente,
partendo dalla loro realtà, ascoltando
le loro domande, accogliendo le loro
delusioni, condividendo con loro il
pane e la Parola, come Egli ha fatto
camminando verso Emmaus».
Un seme, nato in un Paese latino-
americano, che è ora a Roma e in
tanti altri luoghi del mondo. Un Isti-
tuto che cerca di comprendere, fon-
dare, vivere sempre meglio lo Spirito
del Risorto. Tra la gente, sulla stra-
da, nell’incontro.
Per maggiori informazioni, potete scrivere
a mcr.roma@libero.it
Febbraio 2016
21

3.2 Page 22

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S i nostri
anti
Giuseppe Cafasso
Maria D. Mazzarello
Domenico Savio
Leonardo Murialdo
SANTI
Luigi Versiglia
Callisto Caravario
Luigi Orione
Luigi Guanella
Michele Rua
Laura Vicuña
Filippo Rinaldi
Maddalena Morano
Giuseppe Kowalski
(Fer4acnocmepsacgnoi Kmea¸rstyiri)
Pio IX
G(ieu3s1ecpopmepaCgnailmasaratinriz)
Luigi Variara
Artemide Zatti
Maria Romero
Augusto Czartorjski
Eusebia Palomino
Alexandrina da Costa
Alberto Marvelli
Bronislao Markiewicz
En(eri6c2ocoSmapiazgAnipmaarritciriio)
Zeffirino Namuncurà
Maria Troncatti
BEATI
Stefano Sàndor

3.3 Page 23

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VENERABILI
Andrea Beltrami
Teresa Valsé Pantellini
Dorotea Chopitea
Vincenzo Cimatti
Simone Srugi
Rodolfo Komorek
Luigi Olivares
Margherita Occhiena
Giuseppe Quadrio
Laura Meozzi
Attilio Giordani
Stefano Ferrando
Ottavio Ortiz
Francesco Convertini
Giuseppe Arribat
Elia Comini
Giuseppe Vandor
Ignazio Stuchly
Carlo Crespi Croci
G(ei8ovcoamnpnaigSniwmiaertricri)
Costantino Vendrame
Tito Zeman
An. Lustosa de Almeida
Oreste Marengo
Matilde Salem
Andrea Majcen
Anna Maria Lozano
Carlo Della Torre
Carlo Braga
Antonino Baglieri
SERVI DI DIO
Antonietta Böhm

3.4 Page 24

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
LINDA PERINO
Traduzione di Marisa Patarino
I magnifici fiori Intervistaasuor
Maliwan, superiora
delle Suore Ancelle
del Cuore Immacolato
della Thailandia diMariadellaThailandia
(Sisters Servants
of the Immaculate
Heart of Mary, SIHM).
Come voleva il vescovo salesiano Gaetano Pasotti,
che le ha fondate, sono Thailandesi per i Thailandesi.
Con molto cuore salesiano.
Lei è la Superiora
Generale di questa bella
Congregazione?
Sì, sono suor Maliwan Paramatha-
wirote e faccio parte della Congrega-
zione delle Suore Ancelle del Cuore
Immacolato di Maria della Thailan-
dia. Sono la Superiora Generale del-
la nostra Famiglia religiosa a seguito
dell’elezione avvenuta il 5 febbraio
2015. Il mio mandato terminerà il 5
febbraio 2020.
Come ha conosciuto
le Suore Ancelle del Cuore
Immacolato di Maria?
Sono venuta a conoscenza di questa
Congregazione grazie alla presenza
delle Suore Ancelle del Cuore Imma-
colato di Maria che lavoravano nella
mia parrocchia, la chiesa San Miche-
le di Donkrabueng, nella Provincia
di Ratchaburi. All’epoca il parroco
era un Salesiano di don Bosco, don
Constantine Cavalla. La mia casa
era molto vicina alla chiesa e la mia
mamma era molto vicina alle Suore
che si impegnavano nella mia par-
rocchia. Le aiutava in tutto. Io ero
piccola. Partecipavo alla Messa tutte
le mattine e durante le funzioni se-
devo accanto alle Suore, per imparare
a pregare e a cantare il Requiem. Le
Suore venivano anche molto spesso a
trovare la mia famiglia. Ho dunque
potuto conoscerle meglio e mi trovavo
in sintonia con loro. Da questa espe-
rienza ho ricevuto il seme della voca-
zione, che giorno per giorno è stato
alimentato dalla grazia di Dio. Un
giorno ho sentito sorgere il desiderio
di diventare suora.
Com’è sbocciata
la sua vocazione?
La storia della mia vocazione è inizia-
ta nella mia famiglia. La mia mamma
era exallieva delle suore e aveva fat-
to parte del gruppo giovanile segui-
to dalle Figlie di Maria Ausiliatrice,
suore missionarie provenienti dall’I-
talia, presso la Cattedrale della Nati-
vità di Maria a Bang Nok Khweak,
nella provincia di Samut Songkhram,
in Thailandia. La mia mamma era
molto devota a Dio e alla Vergine
Maria. Conosceva bene don Bosco e
Madre Mazzarello grazie ai Salesiani
e alle Suore di Maria Ausiliatrice che
curavano la sua formazione.
In questo contesto ho imparato a pre-
gare la mattina e la sera con la mia
mamma. Quando al mattino suonava
la campana della parrocchia, dovevo
alzarmi subito, prepararmi e anda-
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re a Messa. Mi recavo in chiesa da
sola prima di andare a scuola. La mia
mamma mi ha insegnato a essere re-
sponsabile fin da quando ero molto
giovane. Molto spesso mi accompa-
gnava al convento delle Clarisse vi-
cino alla mia città natale per donare
qualcosa alle suore e parlare con loro.
Avevo quindi una certa familiarità
con la vita religiosa. Anche le Claris-
se mi invitarono a entrare a far parte
della loro Famiglia religiosa. Tutte le
Congregazioni, e in particolare quella
delle Suore Ancelle del Cuore Imma-
colato di Maria, mi proponevano di
aggregarmi a loro, ma io non avevo
ancora deciso.
A seguito di queste esperienze, non
avevo ancora compreso dove io inten-
dessi seguire Gesù nella vita religiosa.
Una volta mi fu domandato che cosa
io desiderassi per il mio futuro. Rispo-
si che sarei diventata suora Clarissa.
Tutti ridevano di me, perché ero mol-
to giovane. Un giorno però, quando
avevo solo dieci anni e avevo appena
terminato di frequentare l’ultimo anno
di scuola elementare, dissi a mia madre
che sarei entrata nel Convento delle
Suore Ancelle del Cuore Immacolato
di Maria nella Provincia di Ratcha-
buri. Mia madre ne fu sorpresa e mi
domandò perché io non volessi invece
aggregarmi al Convento delle Figlie di
Maria Ausiliatrice di Banpong, molto
vicino alla mia città natale. Confermai
che sarei entrata nel Convento delle
Suore Ancelle del Cuore Immacolato
di Maria nella Provincia di Ratchaburi
per servire Dio e il prossimo.
Dopo che ebbi preso la mia decisio-
ne, suor Catharine Somlim chiese a
mia madre di permettermi di lasciare
la mia casa per vivere con lei per un
mese nella Casa delle Suore presso
la parrocchia San Michele. Mia ma-
dre mi accordò il permesso affinché
io potessi vivere con le suore per ac-
quisire esperienza della vita religiosa
e prepararmi a entrare in convento.
Dopo questa esperienza, suor Vero-
nica Wanna mi accompagnò al Con-
vento delle Suore Ancelle del Cuore
Immacolato di Maria nella Provincia
di Ratchaburi. Quel giorno l’auto che
conduceva madre Luigina di Giorgio
(una Figlia di Maria Ausiliatrice che
rimase con la nostra Congregazione)
passava dalla nostra parrocchia al ri-
torno da Banpong e così con la stessa
auto ci recammo nella Scuola Nari-
vitaya, nella Provincia di Ratchaburi.
Presso il Convento Santa Maria spe-
rimentai lo spirito di famiglia che re-
gnava nella comunità e ne fui colpita.
Madre Luigina di Giorgio, madre
Agatha, tutte le suore e le aspiranti
alla vita religiosa, in particolare, mi
fecero sentire a casa.
Sono stata molto felice di seguire
Gesù come Suora Ancella del Cuo-
re Immacolato di Maria, malgrado
alcune difficoltà che sono riuscita a
superare grazie alla guida di Dio e
alla protezione della Vergine Maria.
Sono sempre convinta che “nulla sia
impossibile a Dio”.
Madre Maliwan superiora delle Suore Ancelle
del Cuore Immacolato di Maria.
Sopra: Le prime suore Ancelle con la Maestra
di Noviziato, suor Antonietta Morellato, FMA.
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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Chi è il vostro Fondatore?
Il fondatore delle Suore Ancelle del
Cuore Immacolato di Maria è stato
monsignor Gaetano Pasotti, missio-
nario salesiano e primo vescovo di
Ratchaburi, in Thailandia. Gaetano
Pasotti nacque a Pinarolo Po, in pro-
vincia di Pavia, il 5 febbraio 1890.
Prima di arrivare in Thailandia, era
stato inviato in missione in Cina,
dove visse dal 1918 al 1927. In Cina
collaborò con monsignor Luigi Versi-
glia. La sua vita missionaria fu eroica.
Monsignor Pasotti affrontò instan-
cabilmente ogni pericolo con animo
sereno e generoso. Nel 1926 gli fu
affidato l’incarico di maestro dei no-
vizi e l’anno successivo fu alla guida
del primo gruppo missionario in par-
tenza per la Thailandia. I missionari
arrivarono in Thailandia nel mese di
ottobre del 1927. Monsignor Pasotti
iniziò la sua missione in Thailandia
con l’intercessione della Vergine Ma-
ria. Fu il primo Rettore della comuni-
tà salesiana di Bang Nok Khweak, in
Thailandia, e per un certo periodo di
tempo continuò a svolgere l’incarico
di maestro dei novizi. All’epoca aveva
solo 37 anni. Il 28 maggio 1934 fu poi
nominato Prefetto della Prefettura
Apostolica della Provincia di Ratcha-
buri, che venne separata dall’Arcidio-
cesi di Bangkok.
Nel 1941, all’epoca della crisi po-
litica e religiosa in Thailandia, fu
consacrato vescovo della diocesi di
Ratchaburi. Il 24 giugno 1941 fu
anche nominato dal vescovo René
Perros Delegato Apostolico del Papa
in Thailandia per circa un anno. Fu
incaricato della gestione della diocesi
di Bangkok e del Laos fino alla fine
della seconda guerra mondiale, nel
1945. In quei tempi difficili, grazie
alla sua opera i Salesiani riuscirono
a procedere al di là delle loro aspet-
tative e, riferendosi a lui, un missio-
nario scrisse: «Monsignor Gaetano
Pasotti era un missionario attivo e
una persona ottimista. Seguiva la
diocesi di Ratchaburi, costituita da 3
province: Kanchanaburi, Ratchaburi
e Phetburi, comprese fra la Thailan-
dia centrale e il confine meridionale
della Thailandia.
Nel 1930 aprì il seminario minore per
preparare i sacerdoti diocesani della
Provincia di Ratchaburi e nel 1937
fondò la Congregazione delle Suo-
re Ancelle del Cuore Immacolato di
Maria (Sisters Servants of the Imma-
culate Heart of Mary, ).
Morì il 3 settembre 1950. Fu sepolto
sotto la grande croce posta al centro
del cimitero di Bang Nok Khweak.
Sulla sua tomba è riportata la scrit-
ta che aveva voluto fosse apposta:
“Come un padre tra i suoi figli”».
Quali finalità vi proponete?
Intendiamo dedicare la nostra vita al
servizio della Chiesa locale, soprattut-
to tramite l’attenzione pastorale per le
ragazze e le donne. Vogliamo essere
missionarie solerti come il nostro Fon-
datore, monsignor Gaetano Pasotti.
Le Suore Ancelle del Cuore Immaco-
lato di Maria prendono dunque parte
a varie attività nelle parrocchie e nelle
diocesi, in base agli accordi tra la no-
stra Congregazione e la Chiesa locale.
Ci impegniamo nell’annuncio del Van-
gelo, in attività missionarie e pastorali,
nell’ambito dell’istruzione e in attività
benefiche. Dedichiamo la nostra at-
tenzione alle persone che vivono ac-
canto a noi e in particolare ai bisognosi.
Monsignor Pasotti vorrebbe che le
Suore Ancelle del Cuore Immacola-
to di Maria fossero Thailandesi per i
Thailandesi.
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Come descrivete il vostro
carisma particolare?
Servire Dio e tutte le persone con
amore incondizionato e gioia. L’amo-
re di Dio è una fonte di ispirazione e
ci stimola a vivere e a servire Dio e il
prossimo, in particolare i giovani che
lavorano e studiano nei nostri ambien-
ti, nelle nostre case, nelle scuole, nelle
parrocchie e nelle famiglie, e tutte le
persone che condividono la nostra vita
e la nostra missione. Il nostro motto è
“Caritas Christi urget nos” (L’amore di
Cristo ci possiede e ci spinge).
Dove siete presenti?
La nostra missione si svolge in Thai-
landia e in Cambogia. In Thailandia
lavoriamo in 4 diocesi: Ratchaburi,
Suratthani, Bangkok e Chiengmai. In
Cambogia abbiamo solo due case: una
a Kampongthom e l’altra a Siem Reap.
Quali sono i vostri progetti
per il futuro?
I nostri progetti per il futuro riguar-
dano una maggiore attenzione per le
persone emarginate che vivono alla
periferia della società: i poveri e i mi-
granti, i bambini indigenti, ai quali
vogliamo anche dare la possibilità di
studiare nelle nostre scuole.
Come sentite la vostra
appartenenza alla Famiglia
Salesiana?
Ci sentiamo unite alla Famiglia Sale-
siana. Abbiamo ricevuto molto bene
dai Salesiani, dalle Figlie di Maria
Ausiliatrice e da tutti i gruppi della
Famiglia Salesiana, grazie ai quali la
nostra spiritualità salesiana si arric-
chisce. Con tutti i gruppi della Fa-
miglia Salesiana ci sentiamo a casa.
Grazie alla Strenna del Rettor Mag-
giore che condividiamo ogni anno,
possiamo camminare insieme per la
stessa finalità. Ringraziamo Dio per
tutte le benedizioni che riceviamo
dall’appartenenza alla Famiglia Sale-
siana.
Gruppo di Ancelle dopo un grazioso recital con
i piccoli attori e i pupazzi di monsignor Pasotti e
don Bosco.
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LE CASE DI DON BOSCO
NATALE MAFFIOLI
L’oratorio San Luigi
Il secondo oratorio aperto da don Bosco
E è ancora una porta aperta a tutti da 169 anni e
rappresenta un punto di riferimento per uno
dei quartieri più problematici di Torino e
per i tantissimi ragazzi e giovani di tutte
rano passati pochi anni dall’apertura dell’o-
ratorio di Valdocco e don Bosco, per venire
incontro alle necessità dei tantissimi giova-
ni che provenivano da altre parti della cit-
tà, in modo particolare dalla zona di Porta
Nuova, pensò di fondare proprio lì un’ope-
le nazioni che qui trovano una “mano amica”. ra nuova che riproducesse l’esperienza di Valdocco.
Tra i direttori due Santi e due beati. Nell’agosto del 1847 ne parlò con l’amico Borel,
con l’arcivescovo Fransoni e con il curato della
parrocchia della Madonna degli Angeli e si de-
cise di aprire il nuovo oratorio, non distante dalla
stazione di Porta Nuova, presso il Viale del Re.
Nel mese di ottobre don Bosco cominciò a dire ai
ragazzi che provenivano da quella zona della città
che presto avrebbero avuto un altro oratorio più
comodo da raggiungere.
Don Bosco affittò una casetta con tettoia e cortile;
vi era una scuderia che fu trasformata in cappel-
la. Fu costruito un piccolo campanile, fu spianato
l’orticello per ampliare il cortile, delimitando il
perimetro con una staccionata alta pochi palmi.
Si trovava più o meno presso l’attuale abside del-
la chiesa di San Giovanni Evangelista. Nacque
così l’Oratorio San Luigi, dal poco, come tutte le
opere di don Bosco. Don Bosco diede appunta-
mento ai ragazzi, esortandoli a prepararsi con la
confessione e la comunione. Don Borel, delegato
da don Bosco, seguì l’inaugurazione e celebrò la
messa, poi si fece un po’ di ricreazione e fu servita
la merenda. Il primo direttore del San Luigi fu
il teologo Giacinto Carpano. Era un ottimo sa-
cerdote, impegnato in settimana con i Tommasini
del Cottolengo, i giovani del carcere minorile del-
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la Generala e gli spazzacamini valdostani. Il buon
teologo portava in saccoccia le particole e il vino
per celebrare la messa, un po’ di colazione e, in
una fascina, la legna per scaldare un minimo la
sacrestia. In poco tempo i giovani accolti erano già
circa cinquecento.
Presto all’oratorio festivo di affiancò una scuo-
la, più che mai necessaria. Nella casetta d’affit-
to trovò posto un’aula in cui la sera s’insegnava a
leggere, scrivere e far di conto, oltre al canto per
accompagnare le funzioni religiose.
Durante l’esilio di Pio IX a Gaeta, del 1849, i ra-
gazzi del San Luigi fecero una colletta e spedirono
al Papa 30 franchi; il Papa, con “dolce emozione”,
preso il pacchetto, subito disse di voler fare di quel
dono un uso particolare: ordinò che con i trenta
franchi fossero acquistati dei rosari che benedisse e
mandò a Torino per i ragazzi di don Bosco.
Don Bosco si recava al San Luigi con regolarità,
soprattutto in Quaresima e non è facile descrivere
la gioia da tutti manifestata al suo arrivo. Faceva
catechismo, celebrava la messa, eccitava lo zelo
dei suoi cooperatori e tra i suoi benefattori.
Davanti a un bicerin
Nel 1854 ci fu a Torino un’epidemia di colera che
vide impegnati, tra gli altri, sia le Conferenze di
San Vincenzo de’ Paoli sia i primi ragazzi degli
oratori. Don Bosco volle che la collaborazione
proseguisse e una Conferenza si stabilì a Valdoc-
co fin da quell’anno e dopo pochi mesi anche al
San Luigi. Alla conferenza degli adulti se ne af-
fiancò una per ragazzi con l’obiettivo di esercitare
i giovani più maturi a essere loro stessi operatori
di carità.
Nel 1857 don Bosco riuscì ad avere per il San
Luigi la collaborazione di san Leonardo Murial-
do. Don Bosco lo aveva incontrato nella via del
“passeggio” della città, l’attuale via Garibaldi, e
con il pretesto di farsi pagare un bicerin, la tradi-
zionale bevanda torinese di caffè e cioccolata, al
Caffè delle Alpi, gli aveva manifestato il suo bi-
sogno di “mano d’opera”. Don Leonardo accettò.
Sarà direttore del San Luigi per otto anni, con
la collaborazione dei primi chierici di don Bosco:
Michele Rua, Giovanni Cagliero, Francesco Dal-
mazzo, Paolo Albera, Francesco Cerruti, Giusep-
pe Lazzero, Celestino Durando, Angelo Savio. Il
Murialdo si sarebbe distinto per generosità, all’o-
ratorio mancava tutto e non di rado vi provvide
personalmente: di tasca sua pagò il marmo per
il tabernacolo e per i gradini dell’altare. Furono
anni in cui l’opera trovò il proprio consolidamen-
to grazie a decisioni importanti e lungimiranti.
Nel dicembre del 1857, don Bosco sostenne la ne-
cessità di una scuola elementare di buona qualità
per i tanti ragazzi del popolo che ormai avevano
nel San Luigi un riferimento.
Furono molte le difficoltà da superare, soprattutto
di carattere economico, e non fu facile trovare inse-
gnanti patentati. Determinante fu l’aiuto di alcuni
benefattori. Fu affittato un piccolo appezzamento
di terreno dietro alla cappella e si costruì un picco-
lo fabbricato. Una stanza fu destinata al portinaio,
l’aula per le lezioni era abbastanza grande e all’oc-
correnza si poteva tramezzare, così da ricavare due
classi. Quella dei più piccoli era detta dei mignin.
Il tramezzo, se necessario, serviva da palcoscenico
per le recite. I primi alunni furono circa cento ra-
gazzi, appartenenti a famiglie davvero bisognose.
Un’antica
fotografia
dell’Oratorio San
Luigi. Qui, don
Bosco veniva con
regolarità. E qui,
il suo cuore è più
vivo che mai.
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3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
Come si vede,
l’oratorio è
incastonato nelle
case di uno dei
quartieri più
difficili di Torino.
Il Murialdo, anche in quell’occasione, provvide
alle necessità dei ragazzi e non di rado delle loro
famiglie, trovando ispirazione nell’operato di don
Bosco a Valdocco. Nell’aprile 1858 don Leonar-
do, di ritorno da Roma, dove aveva accompagnato
don Bosco per l’approvazione delle Regole della
Congregazione Salesiana, volle come atto di rin-
graziamento che i ragazzi si accostassero alla con-
fessione generale e alla comunione. Nel settembre
del 1865 don Leonardo Murialdo partì per Parigi
per proseguire gli studi presso il seminario di San
Sulpizio con il pensiero di tornare dai suoi ragazzi
del San Luigi. Non vi tornò, ma fondò la grande
Famiglia Giuseppina.
Dopo il 1871 la zona oltre il Viale del Re fu inte-
ressata da un grande sviluppo edilizio e don Bo-
sco, per non correre il pericolo d’essere circondato
da ingombranti costruzioni, procedette all’acqui-
sto dei terreni a destra e dietro l’oratorio. Era or-
mai chiaro che il nuovo viale sarebbe diventato
un’importante arteria della città. Tra marzo 1870
e ottobre 1875 si stipularono i contratti di acqui-
sto dei piccoli appezzamenti di terreno, delimitati
sovente da semplici staccionate. In questo periodo
divenne direttore dell’oratorio un altro Santo: san
Luigi Guanella.
Tra il 1884 e il 1889 fu direttore il beato Filippo
Rinaldi. L’oratorio era sempre frequentatissimo,
con circa 300 giovani partecipanti. Morto don
Bosco nel 1888, l’attività del San Luigi continuò
sotto la protezione di don Rua. Molte volte lo
stesso don Rua celebrava la messa nella cappella
dell’oratorio (sotto la nuova chiesa di San Gio-
vanni Evangelista) e distribuiva la comunione.
Giocava con i ragazzi, ma poi lo si poteva trovare
in ginocchio in chiesa a pregare.
Lo scolaro detto “Staffetta”
Tra il 1909 e il 1913 fu inaugurato un cinemato-
grafo e un doposcuola gestito da don Vincenzo
Cimatti – il futuro apostolo del Giappone – che
tra il 1912 e il 1918 fu addetto all’oratorio. Molti
furono i salesiani che, cresciuti al San Luigi, sa-
ranno missionari in terre lontane.
Negli anni della Grande Guerra, l’oratorio San
Luigi non solo rimase aperto, ma fu anzi inten-
sificata la sua attività. Accoglieva i ragazzi ogni
giorno, dopo le 16, nei giorni di vacanza scolasti-
ca le porte erano aperte tutto il giorno.
Nel 1942, poco prima che scoppiasse il Secondo
Conflitto Mondiale, si riuscì ad aprire la scuo-
la media pareggiata mentre veniva consolidata
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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la collaborazione con l’istituto di Valsalice. Nel
gennaio 1943 gli allievi interni furono trasferiti
nella casa salesiana di Monte Oliveto a Pinerolo.
Il 13 agosto il porticato fu colpito e distrutto da
una bomba e venne danneggiato il tetto della na-
vata centrale della chiesa. Tra il 26 e il 29 aprile
1945 l’istituto fu trasformato in Pronto Soccorso,
per i feriti degli scontri che si ebbero anche sul
corso, in cui caddero alcuni uomini.
All’angolo tra Via Madama Cristina e il Corso, il
28 aprile, fu fucilato uno scolaro, detto “staffet-
ta”, per essersi rifiutato di inneggiare al duce e al
fascismo. Una piccola targa ricorda il più giovane
partigiano caduto a Torino.
Negli anni ’50 il cinema ebbe il sopravvento sul
teatro e fecero la loro comparsa i primi ragazzi
emigrati dal sud. Il direttore don Giuseppe Ri-
naldi, nel 1964-1965, rinnovò totalmente gli edi-
fici, abbattendo la cappella dell’Addolorata per
ampliare il cortile. Si costruì il nuovo oratorio,
anche grazie agli incassi del cinema, ai contributi
della Fiat, attraverso l’Ufficio Assistenza (Vit-
torio Valletta, presidente della Fiat, fu exallievo
del San Luigi). Il 21 giugno 1964 fu benedetta la
prima pietra, l’inaugurazione del nuovo oratorio
avvenne il 27 giugno 1965.
Senza tregua
La presenza salesiana con il tempo si è consolida-
ta, e oggi il centro giovanile rappresenta un punto
di riferimento per il quartiere. Insieme ai sale-
siani lavorano a tempo pieno educatori laureati,
giovani animatori e genitori con cui si è costitui-
ta un’équipe educativa che condivide in tutto la
missione, la formazione propria e dei giovani, la
responsabilità del lavoro educativo in tutti i suoi
ambiti.
L’Oratorio salesiano “San Luigi” di Torino già da
5 anni è impegnato in progetti di educazione ed
inserimento sociale dei ragazzi da realizzare per
strada, nei luoghi di ritrovo dei giovani, come il
“Parco del Valentino” o “i Murazzi”. Da qualche
mese l’Educativa di Strada dell’oratorio può con-
tare anche su uno strumento in più: un camper.
Dal 2006 nel Parco del Valentino di Torino al-
cuni giovani animatori salesiani hanno realizzato
una sorta di oratorio, all’esterno delle strutture
salesiane: è “Spazio anch’io”, un’area nella qua-
le i molti giovani che naturalmente affollano il
parco possono partecipare a tornei sportivi e ad
attività ludiche o ricevere sostegno per i compi-
ti scolastici. “Spazio anch’io”, inoltre, si occupa
anche d’indirizzare i ragazzi stranieri verso uno
sportello per il lavoro e la scuola d’italiano, così
da facilitare il loro inserimento sociale.
In una recente visita al San Luigi, il ministro Ric-
cardi ha ringraziato i Salesiani per il lavoro che
svolgono sul territorio e li ha incoraggiati a con-
tinuare il loro impegno, evidenziando che l’inte-
grazione “non può prescindere dall’appartenenza
religiosa, anzi ne è un elemento fondamentale” e
ha incoraggiato tutti i collaboratori dell’oratorio
a sostenere la missione dei figli di don Bosco, i
quali “si danno da fare molto, senza tregua!”.
“Senza tregua” può davvero essere il motto del
San Luigi.
L’edificio con la
porta è sempre
aperta.
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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 3
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
L’autocontrollo
In tanti anni di incontri con i ge-
nitori, nessuno è mai riuscito a
smontare una semplice afferma-
zione: «Tutte le volte che entrate
in conflitto con i vostri figli voi
avete già perso». Ma è così facile
farsi trascinare quotidianamente in
conflitti familiari. Per un semplice
fatto: è sempre difficile amare.
Il rischio è che tutta l’impo-
stazione familiare finisca per
essere basata sulla legge del
più forte. Una grande percentuale
di persone è ancora convinta che le
sberle siano una punizione accettabi-
le. Dicono: «I miei genitori mi hanno
dato qualche schiaffo e ha funzionato
benissimo». La sculacciata è un siste-
ma che serve a scaricare le frustrazio-
ni e la rabbia, mascherando il fatto
che i genitori non riescono ad affron-
tare la situazione. Dopo tutto non
è difficile picchiare un bambino. È
molto più difficile spiegargli le cose.
Ogni azione dei genitori è un esem-
pio per i figli. Se tenete il broncio, an-
che i vostri bambini lo faranno; se vi
mettete a urlare quando siete stanchi
e frustrati, i bambini reagiranno di
conseguenza; se li prendete a schiaffi
quando siete fuori di voi dalla rabbia,
adotteranno un comportamento in
tono con il vostro. Senza dimenticare
che la rabbia dei figli accende quella
dei genitori in una forma di escalation
che si autoalimenta all’infinito.
Farsi largo
I figli sono in grado di esasperarci: si
beffano della nostra autorità e cercano
scientificamente lo scontro per vedere
dove sta il limite. Una certa “aggres-
sività” non è una dimensione solo ne-
gativa: per crescere i bambini e i ra-
gazzi hanno bisogno di “farsi largo”.
L’aggressività positiva porta a perse-
verare, a prendere decisioni, a osare.
Ma ha bisogno di essere controllata
e questo i bambini non san-
no ancora farlo. Per cui si
comportano come tutti,
grandi e piccoli: quando
non ottengono qualcosa si
arrabbiano.
Addomesticare la collera
Ecco alcune tecniche che
permettono di identificare
la propria collera e reagire
senza peggiorare la situa-
Se c’è un elemento
comune a tutti i litigi
familiari è che, di solito,
nessuno dei contendenti ha
completamente ragione.
Inoltre, nella maggioranza
delle famiglie, si litiga
sempre per gli stessi
motivi, trasformando
la vita familiare
in un fragile armistizio
tra un litigio e l’altro.
zione. La prima è riconoscere e dare
un nome ai sentimenti di rabbia,
utilissimo per l’alfabetizzazione emo-
tiva. Anche i bambini comprendono
espressioni come ‘ribollire di rabbia’,
‘sto per scoppiare’, ‘sono esploso’.
Quando il bambino è consapevole
di essere arrabbiato ha la possibilità
di farlo sapere agli altri. I genitori
hanno difficoltà a comprendere che
l’ira in qualche modo non può essere
completamente repressa. La seconda
è concentrarsi sulle cause della rabbia
e non sulla rabbia. L’ira è come una di
quelle spie intermittenti sul cruscotto
dell’automobile che ci avvertono che
qualcosa ha bisogno di particolare
attenzione. L’esplosione rabbiosa è il
sintomo, non la malattia. È essenziale
eliminare le cause ma anche agire sui
sintomi, soprattutto per far capire che
la rabbia non è mai una soluzione, ma
che di solito peggiora la situazione.
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4.3 Page 33

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Fermarsi
Purtroppo la causa più comune è che
la rabbia si prende come il morbillo:
per i virus che circolano nell’ambien-
te dove si vive. E il nostro è un
mondo di arrabbiati. Vi-
vere in un’atmosfera
aggressiva fa sentire
i bambini vulne-
rabili. Perdiamo la
calma e spesso siamo
più nervosi proprio
quando la famiglia
si riunisce la sera,
stanca e affamata.
Altre cause co-
muni sono le ingiu-
stizie, le frustrazioni, gli in-
successi, le vergogne, le umiliazioni, i
sentimenti feriti.
Per fermare l’aggressore interrom-
pendone il comportamento con deci-
sione e fermezza è bene stabilire alcu-
ne regole ferree.
Le prime volte si possono aiutare i
bambini con delle domande: Sei ar-
rabbiato con qualcuno? Ti senti così
perché non vuoi fare qualcosa? Come ti
senti? Trattato ingiustamente? Triste?
Esponete con energia i principi che
volete insegnare, anche se il bambino
li conosce già: «Non si devono pic-
chiare gli altri». «Dobbiamo trattare
gli altri nello stesso modo in cui vo-
gliamo che gli altri trattino noi».
Un principio ferreo: «Usare le parole,
mai le mani».
Perdonarsi
Tornata la calma si deve aiutare il bam-
bino a esaminare ciò che è accaduto,
che cosa è andato storto. Quali sono
stati i campanelli d’allarme? Come si
può evitare che la stessa cosa si ripeta
in futuro? Aiutatelo a comprendere la
propria responsabilità e a credere nella
sua capacità di controllarsi dicendo-
gli che siete convinti
che ce la farà.
Stabilite delle
conseguenze adat-
te al “reato”, ma
costruite un cli-
ma di perdono:
accettare le scuse
del bambino è un
modo per ridargli la
convinzione nella sua
“bontà”. I vostri figli
hanno sempre bisogno
di sapere che voi nutrite delle speran-
ze nei loro progressi.
Educare l’autocontrollo
Si tratta di una lotta, e la forza di
volontà è un muscolo: si può poten-
ziare con l’esercizio quotidiano. Si
tratta quindi di insegnare ai bambini
le “buone abitudini”, quelle del tipo
«conta fino a venti prima di arrab-
biarti, non si mangia fuori pasto, alle
ventuno si va a dormire ecc.».
Costruire un’architettura della scelta.
Questo dipende dalla “visione”: l’au-
tocontrollo consiste nel riuscire a
guardare oltre l’oggi, a rinviare, se
necessario, la gratificazione istan-
tanea per perseguire la realizzazio-
ne di obiettivi più importanti.
Controllare l’ambiente signi-
fica per esempio organizza-
re il proprio lavoro in modo
tale da facilitarne l’esecuzione.
Uno studio ha dimostrato che
basta una finestra dell’aula affacciata
su un giardino per aumentare del 20
per cento la disciplina fra gli alunni.
Qual è il ragazzo che riesce a studiare
se c’è un televisore acceso a qualche
metro di distanza?
Mettere uno specchio in un ambiente
aiuta le persone a comportarsi meglio,
per esempio riduce i furti nei super-
mercati. Per i bambini, i genitori sono
lo specchio indispensabile: lo specchio
dell’anima. Sono “lo specchio magico
sulla parete” che dice se quel compor-
tamento, quella parola, quella bugia
servono a costruire una bella persona
o sono solo distruttivi. La loro appro-
vazione o disapprovazione conta mol-
tissimo. Genitori poco presenti hanno
figli con scarsissima autodisciplina.
«Non lasciare che il sole tramonti sul-
la tua ira» dice la Bibbia.
È altrettanto importare ricordare, al-
meno con frequenza doppia dei litigi,
quante cose belle esistono nella fami-
glia e quanti magnifici e gioiosi mo-
tivi tengono insieme le persone che
la compongono. Per molti genitori
e figli un modo di ricordare le reci-
proche buone qualità consiste nell’ab-
bracciarsi spesso e sbrigare insieme le
faccende di casa.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Pedagogia targata misericordia
tatti digitali del mondo messi insieme.
Guardare il figlio è come dirgli: “Tu
I sei verbi della
esisti per me. Tu sei entrato nei miei pen-
sieri, nel mio mondo affettivo”.
Non per nulla nei campi di concentra-
mento tedeschi era severamente proi-
bito ai prigionieri fissare negli occhi i
misericordia lorocarcerieripertimorechepotessero
essere inteneriti. Potenza dello sguardo
visivo che, oltre a soddisfare i bisogni
emotivi del figlio, come abbiamo ap-
pena detto, gli dà anche valore. Essere
guardato, infatti, significa essere con-
Parlare di misericordia è parlare di uno stile di vita
che può rimodellare tutto, anche l’educazione. Basta,
siderato. Non essere guardato significa
non essere considerato, non essere nes-
suno. In una parola sola: lo sguardo è
ad esempio, scavare in una delle parabole più ricche di
Gesù, quella del Padre misericordioso (Lc 15,11-32),
un potente fattore di autostima.
Dunque, una cosa è certa: se guardas-
simo i figli almeno quanto guardia-
che noi erroneamente chiamiamo del “Figliol prodigo”, mo il bagno e l’automobile, avremmo
per esserne convinti. In essa troviamo infatti sei mosse
meno ragazzi tristi, meno ragazzi
infelici, meno ragazzi ammalati di
(sei verbi) che possono benissimo costituire l’ossatura scontentezza.
di un trattato pedagogico targato misericordia.
A questo punto è chiaro che imparare
a guardare i figli non è un optional,
1 “Lo vide”
ma un preciso impegno.
Imparare a guardare perché
non tutti gli sguardi sono pedagogi-
camente accettabili. Vi sono sguardi
sbagliati e sguardi buoni.
Sguardi sbagliati
Il figlio è ancora lontano e il padre
già lo vede. Ecco la prima mossa
che i genitori patentati conoscono
bene: i figli vanno visti, vanno
guardati! Non c’è figlio che non
ami essere oggetto di attenzione
Persino gli adolescenti, che appaiono
così sicuri e indipendenti, amano esse-
re guardati. Che cosa sono i tatuaggi,
il piercing e le tante cure del look se
non un’invocazione: “Guardateci! ”. In-
somma, non c’è dubbio alcuno: i figli
Un tipo di sguardo sbagliato è lo
sguardo poliziesco che controlla
in continuazione il figlio, non lo la-
scia libero un momento, lo tampina
tutto il giorno. Lo sguardo polizie-
sco potrà fare un figlio disciplinato,
da parte di qualcuno. “Guarda, mam-
ma, che bel disegno ho fatto!”. “Guarda,
papà, come vado bene in bicicletta!”.
Guarda, nonna, la maglietta nuova!”.
reclamano il nostro contatto visivo, i
nostri occhi. Il contatto visivo soddi-
sfa i loro bisogni emotivi più di quanto
non li soddisfino (si noti) tutti i con-
ma non un educato; come lo sguardo
dei carabinieri che controlla l’ordine,
ma non forma uomini. Ai genitori
che tendono ad avere lo sguardo po-
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4.5 Page 35

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liziesco è bene ricordare due prover-
bi. Il primo: “Mai catena ha fatto buon
cane!”. Il secondo: “Briglia sciolta un po’
alla volta”.
Un secondo tipo di sguardo sbagliato
è lo sguardo minaccioso. Vi sono
genitori che sfruttano lo sguardo per
dare ordini, rimproverare, criticare:
Guardami negli occhi! ”, urlano, fis-
sando il figlio con lo sguardo fulmi-
nante. È vero che i figli vanno rim-
proverati, ma lo sguardo truce non ci
pare la via migliore per la sgridata.
Papà e mamma dovrebbero essere ri-
cordati dai figli con altri occhi, non
con quelli severi e fulminanti.
Una confidenza: chi scrive ricorda
con gioia gli occhi profondi e dolci
della mamma che gli intercettavano il
cuore e lo addolcivano.
Terzo tipo di sguardo sbagliato è lo
sguardo indifferente. Tra tutti
questo è, di certo, il peggiore. L’in-
differenza è la bestia nera di ogni ra-
gazzo (e non solo): gli gela l’anima, gli
fa perdere la voglia d’essere al mon-
do. Non è forse vero che è piacevole
vivere solo se si è accolti nel mondo
affettivo di qualcuno?
Per favore, dunque, liberiamoci dagli
sguardi sbagliati e passiamo a quelli
buoni, tipici della misericordia, i soli
pedagogicamente accettabili.
Sguardi buoni
Il primo tipo di sguardo buono è lo
sguardo generoso che vede nel
figlio ciò che nessuno vede. Lo scrit-
tore francese François Mauriac (1885-
1970) ha avuto una felicissima intui-
zione quando ha detto che: “Amare
qualcuno significa essere l’unico a vedere
un miracolo che per tutti gli altri è invisi-
bile”. Ebbene, in ogni bambino vi è un
miracolo nascosto. Di una cosa siamo
convinti al 100%: se incominciassi-
mo a vedere ciò che nostro figlio ha,
non avremmo più tempo di pensare a
quello che non ha. Esempio tipico di
sguardo generoso è quello dei bambini
che trasformano in sole il punto giallo
del loro disegno.
Un secondo tipo di sguardo buono è
quello che non si limita a vedere,
ma arriva a guardare. Vi sono per-
sone che vedono, ma non guar-
dano. Gli animali vedono, ma non
guardano.
Vedere è spontaneo. Guardare è una
conquista. Vedere una persona è
prendere semplicemente atto della sua
presenza, guardarla è trasferirsi in
essa, è cogliere il suo stato d’animo, le
sue vibrazioni interiori.
Il figlio sente se è solamente visto
o se è guardato; sente se si è lì per
lui o se si è lì per l’amica con la quale
parliamo; sente se si è lì per lui o per
il bucato che stiamo stirando.
È vero che il figlio non deve monopo-
lizzare tutta la nostra attenzione du-
rante la giornata (sarebbe fortemente
diseducativo: porlo sempre al centro
dell’attenzione è preparare un piccolo
despota), però riservargli, di tanto in
tanto, un congruo spazio di conside-
razione totale è dargli l’indispensabile
perché possa ringraziare d’esser nato!
Un terzo tipo di sguardo buono è
quello sempre nuovo. Il figlio cre-
sce e cambia: dobbiamo rinnovare an-
che il nostro modo di guardarlo. Per-
ché ostinarci a vedere sempre e solo
la piccola pianta e non il meraviglioso
albero che sale? Perché non adattarci
alla sua crescita?
Ad un certo punto dobbiamo cam-
biare gli occhiali ed accorgerci che il
figlio non è più un bambino, ma un
fanciullo, un adolescente e trarne le
conseguenze nel nostro modo di par-
largli e di trattarlo.
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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Costretti ad un perenne nomadismo
per inseguire i propri sogni
Dove l’amore e migliori prospettive lavorative,
i giovani adulti del terzo millennio
sperimentano, invece,
sempre più frequentemente
si fa nido laprecarietàabitativa.
Nido, rifugio, dimora accogliente: la casa
rappresenta per ognuno il primo rife-
rimento esistenziale, lo spazio in cui si
sperimentano l’amore e il calore della
famiglia e in cui si impara il linguaggio
della reciprocità (o almeno così dovreb-
be essere), un ambiente familiare da cui muovere
alla scoperta del mondo e dove fare ritorno al ter-
mine di ogni viaggio.
Dimensione umana ed affettiva prima ancora che
luogo fisico, la casa è sinonimo di radicamento,
appartenenza, identità. Allo spazio domestico
sono associati i primi ricordi, le prime esperienze
di vita, le prime trame di relazioni ed è nell’inti-
mità della casa che, anche una volta cresciuti, si
trova ristoro e sollievo dalle difficoltà quotidiane
e dalla frenesia della realtà esterna.
Forse è per questo che il passaggio verso l’adulti-
, solitamente segnato dal distacco dall’ambiente
familiare, è quasi sempre accompagnato dalla ri-
cerca di un nuovo spazio in cui “sentirsi a casa”.
All’urgenza esistenziale di “uscire dal guscio”, di
acquisire autonomia per avventurarsi da soli per
le strade del mondo, spesso subentra o si affian-
ca il bisogno di “mettere radici”, il desiderio di
circoscrivere una propria dimensione in cui ritro-
varsi con le persone amate per assaporare il calore
della vita domestica.
La chiamano realtà
questo caos legale
di dubbie opportunità,
questa specie di libertà,
grande cattedrale,
ma che non vale un monolocale,
un monolocale...
La chiamano realtà,
senza testimone
e di dubbia moralità,
questa specie di libertà
che non sa volare, volare, volare, volare...
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4.7 Page 37

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Come sarebbe bello potersi dire
che noi ci amiamo tanto,
ma tanto da morire
e che, qualunque cosa accada,
noi ci vediamo a casa.
Come sarebbe bello potersi dire
non vedo l’ora di vederti amore,
con una scusa o una sorpresa,
fai presto e ci vediamo a casa...
(Dolcenera, Ci vediamo a casa, 2012)
Costretti ad un perenne nomadismo che li ca-
tapulta da un estremo all’altro della Terra per
inseguire i propri sogni, migliori prospettive la-
vorative, una maggiore stabilità affettiva o profes-
sionale, i giovani adulti del terzo millennio spe-
rimentano, invece, sempre più di frequente una
precarietà abitativa fatta di scatoloni, continui
traslochi, sistemazioni provvisorie, valigie mai
disfatte completamente. E in questo loro peregri-
nare maturano l’esigenza di identificare un luogo
cui dare il nome di “casa”, la nostalgia di un’in-
timità domestica come unico antidoto possibile
contro l’incertezza e lo sradicamento.
Non importa che si tratti di una casa ampia e
spaziosa o di un monolocale: ciò che conta è
l’appropriazione dello spazio e la qualità del
tempo trascorso tra le mura domestiche. Non
basta, infatti, “metter su casa” in un determina-
to luogo. L’impresa più ardua, come ha scritto
qualcuno, è «costruire una “casa del cuore”. Un po-
sto non soltanto per dormire, ma anche per sognare.
Un posto dove crescere una famiglia con amore; un
posto non semplicemente dove
far passare il tempo, ma dove
provare gioia per il resto della
vita».
È nell’ambiente domestico,
infatti, che l’anima si ricarica
e recupera energie per sfidare
il mondo, che gli smarrimenti
del cuore trovano finalmente ristoro: là dove l’a-
more si fa nido, dove la presenza dell’altro è sol-
lievo e non stress faticoso da affrontare, dove le
difficoltà passano in secondo piano rispetto alla
felicità di ritrovarsi.
Ciò non significa che le mura domestiche deb-
bano divenire una fortezza impenetrabile dalla
quale tagliare fuori tutto ciò che c’è all’esterno.
Affinché la casa non diventi uno spazio angusto
e soffocante, è essenziale coltivare la dimensio-
ne dell’accoglienza e dell’ospitalità, cercando di
non sprangare porte e finestre e di lasciarle, in-
vece, aperte sul mondo. Se è vero, infatti, che
l’ambiente domestico è specchio dell’interiorità
di chi vi abita, bisogna aver cura non solo di
renderlo accogliente e confortevole, ma anche
di esaltarne la permeabilità, così da trovare una
giusta mediazione tra radicamento e apertura
verso l’esterno, tra il bisogno insopprimibile di
intimità e raccoglimento e la capacità di guarda-
re il mondo con simpatia e di fargli posto nella
propria vita.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco
Un’intrigante
interpretazione del
fascicolo “Il sistema
“portavoce del
metrico decimale”.
liberalismo economico”?
L’introduzione del sistema
metrico decimale in Italia
rivoluzionò la vita degli ita-
liani in tutti i campi. Adot-
tato ufficialmente dal neo-
nato stato italiano nel 1861,
il metro fu in realtà importato in Italia
nel 1796 da Napoleone per eliminare
la babele di misure che ostacolava il
commercio fra le varie città d’Italia
e con il resto d’Europa. Nonostante
qualche resistenza, anche politica, la
misurazione in decimali riuscì ad im-
porsi sia pure lentamente.
Il primo ad adottarlo fra gli staterel-
li presenti nella penisola italiana fu il
Regno di Sardegna. Un regio decreto
del 1845 rese obbligatorio ed esclusi-
vo il nuovo sistema, che però sarebbe
entrato in vigore solo il 1° gennaio
1850. In preparazione a tale evento si
moltiplicarono libri, opuscoli e tabelle
illustrative, volti soprattutto alle classi
inferiori.
E don Bosco?
Da alcuni anni era a contatto diretto
e quotidiano con ragazzi per lo più
“poveri ed abbandonati” che frequen-
tavano le sue scuole serali e domenicali
o che andavano al lavoro in botteghe,
opifici e cantieri in città. Essi avrebbe-
ro avuto dunque bisogno di districarsi
fra oncia, piede trabucco, raso, miglia,
scudo, emina, brenta e familiarizzar-
si con i nuovi pesi e misure (grammo,
litro, lira, metro ecc.). Anche i conta-
dini e gli artigiani – un mondo che
don Bosco conosceva bene – andavano
messi in guardia dal divenire “frodati”
da parte dei venditori delle aziende per
non sapersi districare sui cambi delle
vecchie unità di misura di tutte le tipo-
logie di grandezza. Per avere un’idea
dei problemi connessi basta solo pen-
sare a quanto è avvenuto in Italia con
la sostituzione della lira con l’euro.
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UN APPELLO
Ecco allora don Bosco pubblicare da
Paravia nel maggio 1849 il fascico-
letto Sistema metrico decimale ridotto
a semplicità preceduto dalle quattro pri-
me operazioni dell’aritmetica ad uso de-
gli artigiani e della gente di campagna
(80 pp.). Due giornali, L’Armonia e il
più acculturato Il Conciliatore torine-
se, immediatamente lo presentarono e
raccomandarono ai loro lettori. Pochi
mesi dopo lo stesso Paravia ne editò
una seconda edizione “migliorata ed
accresciuta” (96 pp.).
Non contento del successo estivo, don
Bosco trasformò la sua operetta in una
brillante commedia che il 6 dicembre
1849 (15 giorni prima dell’entrata in
vigore del nuovo Sistema), i suoi ra-
gazzi portarono in scena a Valdocco
con grande successo di pubblico. Fra
gli ospiti presenti il celebre abate Fer-
rante Aporti che, nel lasciare la sala,
avrebbe commentato: “Don Bosco
non poteva immaginare un mezzo più
efficace per rendere popolare il siste-
ma metrico decimale; qui lo si impara
ridendo”.
Interpretazione
Fin qui forse nulla di nuovo, si di-
rebbe. Solo che il professore Ema-
nuele Lugli in un suo recente saggio
(Unità di misura. Breve storia del me-
tro in Italia, Bologna, 2014), citando
don Bosco accanto ad altri autori che
avevano scritto sul Sistema Metrico
Decimale, aggiungeva: “Don Bosco
mescolava i principi matematici a spac-
cati di vita, in cui fumatori viziosi,
signori caritatevoli, e padri dediti al
gioco riflettevano sulla relazione fra
sistema metrico e quotidianità. Don
Sapevate che don Bosco, cresciuto nei vi-
gneti del Monferrato, sempre nel 1846 ha
scritto anche un libretto sulla coltivazione
dell’uva e sulla produzione di vino dal tito-
lo L’enologo italiano? Nessuno l’ha ancora
trovato. Chissà se un lettore del BS sarà
più fortunato! Sarebbe un vero scoop!
Bosco aveva composto un’opera che ri-
spondeva alla visione sociale di Carlo
Alberto e Cavour, un’opera che declina-
va il metro alle necessità di classe e si
faceva portavoce del liberalismo econo-
mico(pp. 144-145).
Interessante e lusinghiera la riflessio-
ne a posteriori del professor Lugli. In
realtà don Bosco nello scrivere la sua
operetta in quei pri-
mi anni di Valdocco
probabilmente non
pensava a farla di-
ventare “portavoce
del liberalismo eco-
nomico” di re Carlo
Alberto e del suo
ministro Cavour
e forse neppure a
renderlo strumen-
to di unificazione
culturale” del pae-
se Italia, che per
altro ancora non
esisteva. Don Bosco,
come è ovvio, non si è mai espresso in
tali termini, né poteva farlo; più sem-
plicemente a lui interessavano i giova-
ni e i popolani, le persone cioè più a
rischio di cadere in “errori ed inganni”
in tale “rivoluzione culturale”. Dunque
essi andavano aiutati ad orientarsi, of-
frendo un prontuario semplice, dida-
scalico, arricchito di esercizi pratici, di
opportuni schemi, di efficaci tabelle,
in un linguaggio colloquiale.
Prete educatore
In secondo luogo don Bosco non di-
mentica mai la sua missione. Così
volge il fascicolo e la commedia in
chiave educativa, presentando appun-
to, sotto forma numerica e lessicale, le
conseguenze delle virtù e dei vizi dei
suoi protagonisti, le prime da segui-
re, i secondi da evitare. I lettori della
sua operetta, gli attori e gli spettatori
della sua commedia, mentre impara-
vano il cambio dei pesi e delle misure,
nello stesso tempo, ricevevano lezioni
di educazione, umanità e anche spi-
ritualità. Il tutto condito di diverti-
mento.
Scrivendo che le
monete serviva-
no a valutare il
prezzo di un og-
getto, ma anche
del lavoro, don
Bosco non pensa-
va certo a un tema
caro ai contempo-
ranei marxisti; in-
tendeva solo offrire
uno strumento di
difesa dei più deboli,
dei meno colti (o dei
membri delle clas-
si inferiori per dirla ancora nel
linguaggio marxista). Don Bosco,
prete, non si è dunque accontenta-
to delle prediche, dei libri religiosi,
dell’invito a frequentare la Chiesa e
i sacramenti per formare il cristiano.
Si è impegnato anche a formare l’uo-
mo, tramite la scuola, le associazioni
giovanili, l’uso intelligente del tem-
po libero (teatro, musica, gioco), il
sano divertimento.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Ringraziano
Alice e Matteo Andreis ringrazia-
no san Domenico Savio per la
nascita di Enea.
Maria Concetta e Tommaso rin-
graziano san Domenico Sa-
vio, perché grazie a Lui hanno
un bellissimo bambino: Giovanni
Battista.
Maria da Brindisi con il marito
ringraziano san Domenico Sa-
vio per la nascita il 22 maggio
2015 di Eleonora.
Desideriamo ringraziare il Signo-
re perché attraverso l’interces-
sione di san Domenico Savio
nostra figlia Silvia si è salvata da
un brutto incidente automobilisti-
co. Riconoscenti continuiamo a
lodare e pregare il Signore per la
sua benevolenza.
Porta Franco e Rosanna,
Mogliano Veneto (TV)
Ringraziamo il Signore perché,
tramite l’intercessione di san
Domenico Savio, il 29 luglio
2015 è venuta al mondo la pic-
cola Anna Maria. Vegli sempre
amorevolmente e protegga la no-
stra famiglia.
Tina e Mario Anzà
Mia sorella Sandra è una persona
speciale. La sua fede, maturata
nel quotidiano, s’è fatta roccia nei
momenti della prova. Quando le è
stato diagnosticato un tumore al
pancreas, chinare il capo e recita-
re “sia fatta la tua volontà”, è stato
il segno di un incrollabile credo.
Puntando sempre lo sguardo ver-
so Dio che è autore e motore della
vita, è rassicurante chiedere inter-
cessione dei santi e di coloro che
abbiamo la certezza essere nella
gioia eterna. Sandra l’ha fatto e
si è rivolta ad Attilio Giordani.
Ha chiesto ai chirurghi di tenere
accanto a sé, durante l’intervento,
l’immaginetta di Attilio. A lui si è
rivolta con la fiducia che la con-
traddistingue. L’intervento e le
cure che ne sono seguite hanno
ottenuto l’effetto sperato. Qualche
mese dopo, però, la diagnosi si
presentava ancora infausta: erano
presenti delle metastasi al fegato.
Sandra veniva sottoposta a una
nuova pesante cura di chemiote-
rapia, il cui esito appariva molto
incerto. Lei ha chiesto nuovamen-
te a Dio, per intercessione di Atti-
lio, di poter riemergere da questa
spirale di malattia e sofferenza.
Ancora una volta le cure hanno
ottenuto l’effetto sperato. Gli stes-
si medici, pur non sottovalutando
la situazione che permane seria,
si sono stupiti di fronte al deciso
miglioramento del quadro clinico,
definendo la ripresa della pazien-
te, un caso piuttosto raro. Sandra
continua ad affidarsi ad Attilio e
noi tutti, parenti ed amici, ci unia-
mo con fiducia alla sua preghiera.
Domenico Brambilla - Triuggio
Ringrazio Mamma Margherita
e don Bosco per una grande
grazia ricevuta.
Rosa Landolina
Sono bisnonna, ho avuto quattro
figli e ho quattro nipoti. Fin da pic-
cola ho frequentato l’oratorio sale-
siano, dove ho conosciuto le buo-
ne suore salesiane. Grazie a loro,
ho sempre coltivato la devozione
a Maria Ausiliatrice e a don
Bosco, anche dopo sposata. Leg-
go con tanto piacere il Bollettino
Salesiano e la rivista Maria Au-
siliatrice, che cerco di far cono-
scere anche ad altri. Durante una
malattia che ha colpito mio marito
e ha causato in me una grande af-
flizione, ho trovato conforto nelle
parole di don Bosco: “Abbiate fidu-
cia in Maria Ausiliatrice”. Aggrap-
pata alla nostra Madre celeste, mi
sono sentita rincuorata: mio mari-
to ha potuto tornare a casa ed ora
sono in pace. Ringrazio di cuore la
Vergine Maria per avermi teso la
sua mano in mio aiuto.
G. P. – Luino (VA)
In un periodo di preoccupazione
per varie situazioni familiari ho
pregato il servo di Dio mon-
signor Oreste Marengo, che
ho avuto la gioia di conoscere da
bambina, di chiedere per me un
aiuto dal Padre celeste; la grazia
del Signore è vicina a ognuno di
noi e i santi sono coloro che ci
aiutano a riconoscerla.
Claudia – Ranica
Ad ottobre dell’anno scorso è ar-
rivato l’abitino di san Domenico
Savio e con grande e immensa
felicità quest’anno ad ottobre na-
scerà Samuele. Io e mio marito
ci siamo sposati il 24 maggio del
2014 e quando mi hanno parlato
dell’abitino nei mesi successivi al
matrimonio, ho pensato: i Santi
sono loro a cercare le persone. Ho
sempre sperato e avuto fiducia che
il Signore mi avrebbe esaudito.
San Domenico Savio fin dal primo
giorno lo porto sempre con me.
Sacchi Anna e il marito Elio Gherardi
di Borghetto Santo Spirito
Vorrei ringraziare infinitamente
san Domenico Savio, don Bo-
sco e tutta la Famiglia Salesiana
per avermi aiutata a realizzare il
desiderio di diventare mamma,
intercedendo presso Maria Au-
siliatrice. Dopo anni di ricerca
ho iniziato a pregare tanto e per
due anni ho portato al collo l’a-
bitino di san Domenico recitando
tutti i giorni il rosario e la novena.
Oggi sono mamma felicissima di
una bimba speciale che a dicem-
bre compirà un anno. Grazie per
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
avermi ascoltata, accompagnata
durante tutta la gravidanza, aiutata
durante il parto. Continuate a pro-
teggerci e donateci ancora il dono
di essere di nuovo genitori.
Maria – Nuoro
Mia mamma era tanto devota di
don Michele Rua, come di don
Bosco e l’Ausiliatrice, essendo
Cooperatrice salesiana. A don
Michele Rua ero ricorsa alla
vigilia della mia entrata fra le Mis-
sionarie della Consolata, quando,
per un abbassamento della vista,
e nessun occhiale che mi andava
bene, avevo dovuto cancellare
l’entrata a pochi giorni dall’evento.
La diagnosi confermata alla clinica
universitaria di Milano era chera-
tocono. Questo accadeva nell’otto-
bre del 1955. Avevo già dato gli 8
giorni del licenziamento dal lavoro.
Arrivata a casa, scrissi a Torino,
cancellando l’entrata e, al mattino
decisi di andare in fabbrica, per
salvare il posto di lavoro. Mentre
uscivo il papà mi vide e mi chiese
dove andavo... “A lavorare”, rispo-
si, cercando di mantenermi serena
e forte. “No, dice lui... Vai a Lecco.
Cerca il dottor X oculista. Lui mi
aveva curato quando è entrata la
scheggia nel mio occhio. Vai, vai!”.
Forse fu in questo viaggio che mi
rivolsi a don Rua promettendo di
pubblicare la grazia se riuscivo
ad entrare tra le Missionarie della
Consolata, a Sanfré, almeno fino
al noviziato! Pazienza se poi mi
manderanno a casa per gli occhi.
Incontrai quel medico, che disse:
“Nessun cheratocono. Questo
è astigmatismo miopico”. Con
questa diagnosi fui accolta fra le
Missionarie della Consolata e, a
dispetto del cheratocono che fu
di nuovo diagnosticato, vi rimasi...
Don Rua Michele si è ricordato, fa-
cendomi partire per le Missioni il
29 di ottobre del 1963, 8 anni dopo
il doloroso e gioioso ottobre 1955!
Suor Dalmazia Colombo,
Missionaria della Consolata,
in Mozambico
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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DOMINIC PADINJAREPARAMBIL
Traduzione di Marisa Patarino
Don Charbel
A. Daoura
Morto a Jabel Kordofan
(Sudan) il 23 giugno 2015,
a 61 anni
Come sempre accadeva ci siamo
lasciati con un sorriso e un “ar-
rivederci” a presto. È successo
solo qualche giorno prima. Poi, la
notizia che ha lasciato tutti “sen-
za fiato”. Era in auto in Sud Su-
dan, lo accompagnava un tassi-
sta. Don Charbel si stava recando
a visitare una comunità cristiana
in un villaggio denominato Ja-
bel Kordofan, quando è rimasto
vittima di un incidente. È morto
sul colpo. Un incidente e la sua
vita è andata via per sempre. Don
Charbel Daoura aveva 61 anni.
Era siriano ma molta parte della
sua vita l’aveva trascorsa in Liba-
no. Prima per studiare all’Univer-
sità Pontificia Maronita di Kaslik,
poi l’ordinazione da sacerdote per
“mano” dell’attuale Patriarca ma-
ronita, cardinale Rai. Dopo aver
frequentato l’Università Pontificia
salesiana a Roma, girando per
varie “case salesiane” era tornato
nel Paese dei Cedri, a Houssoun.
Il suo sorriso era calamitante,
così come la sua bontà e la sua
voglia di sacerdozio e di “totale
dono a Dio”. Da qui anche l’ap-
prezzamento dei suoi confratelli
della comunità. Aveva chiesto di
“venire in missione” nel Sudan.
Si stava preparando a tornare in
Siria dopo aver concluso il suo
incarico qui, presso il Centro di
Formazione Professionale Don
Bosco a El Obeid. Voleva solo
salutare questa comunità cristia-
na locale prima di partire. Prima
ancora aveva detto addio a tutti
noi e ha lasciato questo mondo
per andare a vivere presso Dio.
Prima di andarsene, don Charbel
ha portato a termine nel migliore
dei modi tutte le sue opere, come
economo attento e preciso della
comunità e del Centro di Forma-
zione. Avrebbe voluto salutare
tutti gli studenti, gli insegnanti,
i sacerdoti e i religiosi della dio-
cesi e le famiglie che conosceva
bene grazie all’apostolato familia-
re in cui si era impegnato. Sareb-
be dovuto partire per la Siria alla
fine di giugno 2015, ma il Signore
Dio della vita e della morte aveva
un progetto per lui e ha chiamato
a sé il nostro caro don Charbel,
perché gioisse con Lui per sem-
pre nella vita eterna. Siamo tutti
molto dispiaciuti perché don
Charbel non è più con noi, ma
sappiamo che è tra noi non con
la presenza fisica, ma in spirito.
Abbiamo un altro protettore in
cielo che sicuramente intercede
per noi presso Dio, per la crescita
del Sudan e affinché all’interno
del Paese regnino la pace e l’ar-
monia.
Don Charbel A. Daoura era carat-
terizzato da molte qualità e virtù,
ma alcune sue qualità mi hanno
colpito in particolare e sono certo
che molti concorderanno con me:
1. La sua umiltà e semplicità.
Svolgeva i suoi incarichi senza
clamore. Non sbandierava ciò che
faceva e pensava e non se ne van-
tava. Si metteva al servizio della
comunità, degli studenti, degli in-
segnanti e di tutte le persone che
venivano a contatto con lui, a cui
riservava attenzione e carità.
2. Aveva uno spirito profon-
damente comunitario. Non era
individualista, ma viveva nella
condivisione e ascoltava tutti i
componenti della comunità. In
qualità di Rettore del Centro,
posso testimoniare che non ha
mai fatto nulla nella comunità o
nel Centro di Formazione Profes-
sionale senza parlarmene.
3. Don Charbel aveva una
grande “sete di anime”, per le
quali nutriva profondo amore.
Era sempre disponibile a istrui-
re e catechizzare le comunità
cristiane. Alle 4 del pomeriggio,
quando faceva molto caldo, si re-
cava a svolgere la sua attività di
apostolato nei villaggi, il martedì
e il venerdì, oltre la domenica,
naturalmente. Compiva opera di
catechesi familiare visitando le
famiglie. Tutti lo apprezzavano e
gli erano molto affezionati. Tanti
hanno pianto, dopo aver appreso
la notizia della sua morte.
4. Era attento alle necessità del-
le famiglie, tenendo conto della
raccomandazione che don Bosco
espresse ai Salesiani quando li
esortò a prendersi cura delle fa-
miglie dichiarando che dalle buo-
ne famiglie cristiane provengono
buoni cristiani e onesti cittadini.
Don Charbel Daoura era un vero
figlio di don Bosco anche sotto
questo aspetto, come da tanti al-
tri punti di vista.
5. Il suo amore per i poveri era
proverbiale. Aveva un cuore sen-
sibile ai poveri e alle persone in
difficoltà e faceva tutto il possi-
bile per aiutarli spiritualmente
e materialmente in tanti piccoli
modi. Le qualità e le virtù di don
Charbel sono troppo numerose
per essere elencate. Dio le co-
nosce tutte e ricompenserà ge-
nerosamente il nostro caro don
Charbel.
Dio aveva donato questa grande
anima alla Congregazione Sale-
siana e alla nostra comunità. La
sua presenza nell’Ispettoria del
Sudan è stata breve, ma molto
bella e importante. Il Signore Dio
gli conceda l’eterno riposo nel
suo Regno.
Febbraio 2016
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
LA GRANDE E MAGNIFICA COMUNITÀ
Quando si pensa alla Congregazione Salesiana, ufficialmente denominata
Società di San Francesco di Sales, si pensa a un grande organismo, ma
non tutti sanno quanto questo sia realmente grande né come sia costituito.
Saperlo dà l’idea di quanto sia cresciuta quella “pianta” seminata da don
Bosco. Al principio il Santo faticò non poco a trovare un luogo stabile, ma
poi dopo Valdocco, a Torino, si aprirono altri due oratori, in zona Porta
Nuova e in zona Vanchiglia. E dopo la prima XXX (don Bosco ci teneva che
si chiamassero “case” e non “istituti” perché si vivesse lo spirito di fami-
glia) venne quella a Mirabello Monferrato, nel 1863, poi ad Alassio, quindi
nel Meridione e a Nizza, la prima all‘estero. In Italia oggi ci sono circa 200
case salesiane con 2250 salesiani, tra laici e sacerdoti, suddivisi in 6 ispettorie, cioè i raggruppamen-
ti. Alcune di queste case sono “semplici” con una sola delle attività salesiane, altre complesse perché
hanno al loro interno Oratorio, Parrocchia, Scuola, Formazione professionale, Case famiglia, eccetera.
Le Ispettorie corrispondono a territori ben circoscritti e sono identificati da una sigla, che sta per Italia
e il territorio di competenza: la Sicilia-ISI, il Meridione-IME, l’Italia Centrale-ICC, Lombardo Emiliana-
ILE, Italia Nord Est-INE e Piemonte Valle D’Aosta-ICP. Tutte
le ispettorie hanno alcune case anche fuori Italia come
la casa di Manouba in Tunisia, le case in Albania, Kossovo e
Svizzera, le case in Romania e Moldavia. A Roma, sono anche
presenti la sede dell’Università Pontificia Salesiana e
la Casa Generalizia della Congregazione con sede in Via
della Pisana. Dal 1891 iniziò l’opera dei Salesiani in Asia
(Palestina) e in Africa (Algeria), poi in Australia nel 1922. I
Salesiani di don Bosco nel mondo intero sono circa 15 000,
presenti nei cinque continenti e in 132 nazioni.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Il raffinato
tra i moschettieri - 7. Espedien-
te astuto, ma non sempre onesto
- 15. Medicinale vendibile senza
ricetta - 17. Il corn che si sgra-
nocchia - 18. L’al di qua geogra-
fico - 19. Si nutre unicamente di
vegetali - 20. Un virtuosismo della
ballerina - 23. Il comico Gullotta
- 24. Raganelle arboree - 25. Ri-
salenti ad un lontano passato - 26.
XXX - 28. Sono dispari nell’ippi-
ca - 30. Vedono sempre tutto rosa
- 31. Rendono alteri gli atei - 32.
Successe a Cadorna - 33. Unione
Europea - 34. Un satellite di Gio-
ve - 35. Non la rende chi si spie-
ga male - 37. Mangiare a Londra
- 38. A metà della gara - 39. Un
affluente del Danubio - 41. È ca-
pitale del Marocco - 42. Proverbio
secondo cui ad un evento ne segue
un altro dello stesso tipo.
VERTICALI. 1. Una grande cit-
tà dell’Australia - 2. Quasi uniche
- 3. Vino tendente al dolce, come
l’amabile - 4. Neanche una volta
- 5. Guardato con avversione - 6.
Sgocciolature - 8. Il Penn attore
(iniz.) - 9. Questa donna - 10.
Sfiorire - 11. Fabbricano terraglie
- 12. La provincia della Grecia con
Patrasso - 13. Un software creato
per il sistema operativo Linux - 14.
Prive d’ogni misura - 16. Il grande
amico di Pilade - 21. Tramandato
dagli antenati - 22. Cucina senza
pari - 25. Le mille lire… che si de-
sideravano - 27. La fine dei guai
- 29. Da quello… del Re scende il
Po - 31. Il folle re shakespeariano
- 35. Sono pari nella bilama - 36.
Debito privo di vocali - 38. Avanti
Cristo - 39. Le vocali del virus -
40. L’arsenico per il chimico - 41.
Iniziali di Zero.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Il baffo della tigre
Una giovane donna di nome
Yun Ok si recò a casa di un
eremita che viveva su una
montagna, per chiedergli
una pozione magica.
«Mio marito», spiegò Yun
Ok «mi è molto caro. Negli ultimi
tre anni è stato lontano a combattere
in guerra, e ora che è ritornato mi
parla a malapena. Voglio una pozio-
ne da dare a mio marito, in modo
che ritorni amorevole e gentile come
era un tempo.»
«La pozione si può fare, ma l’ingre-
diente essenziale è il baffo di una
tigre viva. Portamelo e io ti darò ciò
che ti serve.»
«Il baffo di una tigre viva!» esclamò
Yun Ok. «Come posso procurarmelo?»
«Se la pozione è importante per te, ci
riuscirai», concluse l’eremita. Yun Ok
andò a casa e pensò intensamente
a come fare per procurarsi
l’ingrediente fon-
damentale.
Poi una notte, uscì furtivamente di
casa con in mano una ciotola di riso
e sugo di carne e si recò nel luogo
dove viveva la tigre, e la chiamò.
La tigre non uscì.
La donna si recò ogni notte alla
montagna, portandosi sempre qualche
passo più vicino alla grotta, tanto che
un po’ alla volta la tigre si abituò alla
sua presenza.
Una notte la bestia feroce e la donna
rimasero a guardarsi al chiaro di
luna; la notte seguente Yun Ok poté
parlare alla tigre con voce dolce
e tranquilla. L’indomani, la tigre
mangiò il cibo che le veniva por-
to. Finché, quasi sei mesi dopo, la
giovane poté sfiorarle gentilmente
la testa con la mano. Infine una
notte, dopo aver accarezzato la testa
della belva, Yun Ok disse: «O tigre,
animale generoso, devo avere uno dei
tuoi baffi; non arrabbiarti con me!»
Detto questo le tagliò un baffo. La
tigre non si arrabbiò.
Yun Ok scese lungo il sentiero, non
camminando, ma correndo, tenendo
il baffo stretto in
mano, fino alla
casa dell’eremita.
«Maestro! Ho il
baffo della tigre! Ora
potete preparare la
pozione che mi
avete promesso,
in modo che
mio marito
torni a essere amorevole e gentile!»
L’eremita prese il baffo e lo esami-
nò e lo lasciò cadere nel fuoco che
bruciava nel camino.
«Oh, signore!» esclamò la giovane
donna, angosciata. «Che cosa ne
avete fatto!»
«Raccontami come te lo sei procura-
to», disse l’eremita. «Be’, sono andata
ogni notte alla montagna con una
piccola ciotola di cibo. Dapprima mi
sono tenuta a distanza, poi mi sono
avvicinata ogni volta un po’ di più,
conquistando la fiducia della tigre.
Le ho parlato con gentilezza e in
tono rassicurante, per farle capire
le mie buone intenzioni. Sono stata
paziente. Ogni notte le ho portato
del cibo, sapendo che non l’avrebbe
mangiato; tuttavia non ho rinunciato
e sono tornata ripetutamente da lei.
Non ho mai parlato aspramente, non
l’ho mai rimproverata…»
«Certo, certo, hai reso mansueta la
tigre e conquistato la sua fiducia e il
suo affetto.»
«Ma voi avete gettato il baffo nel
fuoco!» esclamò Yun Ok. «Ora è
tutto inutile!»
«No, non c’è più bisogno del baffo.
Yun Ok, lascia che ti chieda una
cosa, un uomo è forse più feroce
di una tigre? È meno sensibile alla
cortesia e alla sollecitudine? Se sei in
grado di conquistare l’amore e la fi-
ducia di un animale feroce, tramite la
gentilezza e la pazienza, certamente
potrai fare lo stesso con tuo marito,
non credi?»
Per essere amati è indispensa-
bile essere amabili.
Febbraio 2016
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Kakuma
La città della misericordia
L’invitato
Don Vincenzo Marrone
«Ora la Nigeria
è casa mia»
Poster
Icona dell’Amicizia
Le case di don Bosco
Trento
L’ultima casa fondata
da don Bosco
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
La tenerezza
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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