Bollettino_Salesiano_201601

Bollettino_Salesiano_201601



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IL
GENNAIO
2016
L'invitato
Roberto
Panetto
A tu per tu
Don
Barroero
La nostra
Chiesa
I nuovi
martiri
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
Riesi
FMA
Tunisia
Conoscere la
Famiglia Salesiana
Le Missionary
Sisters

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La nevicata
E ra inverno e da parecchi giorni me ne sta-
vo accovacciata a far nulla tra le nuvole.
Aspettavo, infatti, il momento più propi-
zio per lasciar cadere i miei bianchi fioc-
chi sopra la città di Torino.
Dall’alto osservavo le case, i palazzi, le
strade. Cercavo di trovare un avvenimento impor-
tante per dispiegare il mio bianco manto. Non c’e-
ra nulla che meritasse
la mia bianca presenza,
simbolo di bontà, pu-
rezza e risurrezione.
All’improvviso, però,
qualcosa catturò la mia
attenzione. Dall’alto
della mia postazione
osservai un gruppo di
ragazzi riuniti in una
sala. Stavano ascoltan-
do, con grande atten-
zione, le parole di un
sacerdote. Tolsi quindi
lo sguardo da quello
che stava capitando lì.
Non era per nulla un
avvenimento degno
della mia bianca pre-
senza.
Dopo alcuni minuti,
non trovando nulla d’interessante, il mio sguardo
ritornò su quella combriccola di giovani. Era un
avvenimento del tutto banale però: un gruppo di
ragazzini con un prete se ne stavano rifugiati in
una stanzetta del tutto inospitale in un edificio
di un quartiere di periferia. Chiaramente non
facevano parte del cuore pulsante e nobile della
grande città.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
8 dicembre 1844. La marchesa Barolo offre a don Bo-
sco un locale per riunire i suoi ragazzi. Un quadro di san
Francesco di Sales, provvisoriamente, sta a presidio
dell’Oratorio. Don Bosco “Versò lacrime di consolazio-
ne poiché vedeva che l’opera dell’Oratorio si stava piano
piano consolidando”. E fuori nevicava abbondantemente
(Memorie dell’Oratorio, Seconda decade, n. 16).
Ancora non so perché l’ho fatto. Vuole il caso che,
spinta dalla curiosità, iniziai a far cadere alcuni
fiocchi di neve e guardai attraverso la finestra.
Restai stupito dall’attenzione con cui quei giovani,
vestiti di stracci, ascoltavano il sacerdote: piccoli
operai che, sotto le tute da lavoro, nascondevano
le ferite di uno sfruttamento causato da datori di
lavoro senza scrupoli; mano d’opera a basso costo
che lavorava nelle fabbriche tessili, sulle impalca-
ture degli edifici in costruzione e nelle fonderie.
Stavo riflettendo proprio su queste cose quando,
sempre spiandoli dalla finestra, all’improvviso mi
accorsi che quel giovane sacerdote aveva iniziato
a piangere.
Erano forse lacrime di rabbia e di impotenza di
fronte alla miseria in cui vivevano quei giovani?
Assolutamente no. Con grande sorpresa mi resi
conto che, contemporaneamente, quel sacerdote
stava anche sorridendo. Le sue erano lacrime di
allegria e di speranza. Parlando con quei giovani,
pensando al futuro, diceva loro che quella stan-
zetta sarebbe diventata per tutti quanti un foco-
lare in cui poter trovare l’amore perduto, un luogo
in cui poter studiare e crescere come buoni cri-
stiani e onesti cittadini, una piccola chiesa dove
poter chiamare Dio “Papà”.
Non sono mai riuscito a sapere né il nome di quel
prete né di quei ragazzi. Ma, per loro, feci scen-
dere dalle nubi i fiocchi più belli e bianchi che
mai avessi avuto. Ordinai loro di scendere con
dolcezza e di formare un grande mantello bianco.
Beh, credo di aver in parte contribuito a rendere
ancora più speciale quel momento, un momento
in cui le cose buone nascevano, come sempre, nel-
la semplicità e nell’umiltà.
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Gennaio 2016

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IL
GENNAIO 2016
ANNO CXL
Numero 1
IL
GENNAIO
2016
L'invitato
Roberto
Panetto
A tu per tu
Don
Barroero
La nostra
Chiesa
I nuovi
martiri
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
Le case di
don Bosco
Riesi
FMA
Tunisia
Conoscere la
Famiglia Salesiana
Le Missionary
Sisters
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Lo sguardo buono di un padre tanto
amato. Una delle più diffuse fotografie autentiche
di don Bosco.
Il poster di pagina 22, opera dell’artista spagnolo David González Arjona, è scaricabile dal sito sdb.org
o può essere richiesto per email all’indirizzo ans@sdb.org.
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 LA NOSTRA CHIESA
I nuovi martiri
10 A TU PER TU
10
Don Barroero
12 FINO AI CONFINI DEL MONDO
14 FMA
16 L’INVITATO
Roberto Panetto
20 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
La riconoscenza
22 STRENNA
24 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
16
Le Missionary Sisters
26 Il Fondatore: Monsignor Stefano Ferrando
28 LE CASE DI DON BOSCO
Riesi
32 LA MIA STORIA SALESIANA
Il mio sogno
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
32
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Jani Aron,
Antonello Bonasera, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati, Joëlle
Drouin, Marta Lodavina D’Rosario,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Chihiro Morito, Francesco Motto,
Omero Paron, Pino Pellegrino, Anna
Peiretti, O. Pori Mecoi, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Agustin Pacheco (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Tel. 06.656121 - 06.65612663
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- Torino
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sogno una Famiglia Salesiana
formata da donne e uomini felici
Le nostre comunità, le nostre presenze e opere non
possono non essere abitate da persone che si sentono
bene, liete di quello che vivono, di quello che fanno,
della vita che donano giorno dopo giorno.
Conservo nella mente
e nel cuore i ricordi
inobliabili della fe-
sta del bicentenario
della nascita di don
Bosco che abbiamo
avuto il piacere di vivere nel
mese di agosto nella terra
santa salesiana di Valdocco
e del Colle don Bosco. La convivenza di molti
giorni con migliaia di giovani provenienti da cin-
quantotto paesi fu, semplicemente, una grazia e
uno stupendo regalo.
Eccezionale fu la meravigliosa celebrazione della
chiusura del Bicentenario al Colle. Mi ha ralle-
grato molto ascoltare le notizie e le eco delle ce-
lebrazioni che si sono svolte in tanti angoli del
mondo durante tutto l’anno che abbiamo conclu-
so. Grazie allo Spirito Santo la Famiglia Salesia-
na si dimostra viva e vitale.
È arrivato il momento, dopo questo grande anno
giubileo salesiano che abbiamo vissuto, di proget-
tare, concretizzare e mettere in atto tutto quello
che portiamo nel cuore. Pensando al futuro e alla
nostra Famiglia Salesiana sparsa in tutto il mon-
do, voglio rivelarvi un sogno molto personale che
ho comunicato alcuni mesi fa in una lettera ai sa-
lesiani sdb.
Il mio sogno è il seguente: sogno, dopo questo
Bicentenario della nascita di don Bosco, e come
frutto di questo magnifico evento, una Famiglia
Salesiana composta da uomini e donne felici.
Vi sorprende? Credete che sia strano sognare e
desiderare questo? O che chissà sia una utopia?
Io lo vedo ogni volta come una realtà crescente
e come una grande necessità del nostro mondo e
anche come qualcosa che meritano i nostri ragaz-
zi e le nostre ragazze.
Sapete una cosa? Non ho alcun dubbio che in
tutto il mondo e tra tutti, con tanti amici di don
Bosco, giovani leader e catechisti laici impegnati,
facciamo del bene, anche molto bene, ma credo
che questo non sia sufficiente. Importante sì, ma
non abbastanza.
Questo bene deve provenire dalla testimonianza
di donne e uomini, consacrati o laici, tutti con
identità salesiana, che si sentono e sono felici. Le
nostre comunità, le nostre presenze e opere non
possono non essere abitate da persone che si sen-
tono bene, liete di quello che vivono, di quello che
fanno, della vita che donano giorno dopo giorno.
Tutti conosciamo delle persone che hanno rice-
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vuto dalla vita tante ferite. È una caratteristica
della vita stessa. Nessuno può evitare questo an-
golo oscuro e doloroso. La gioia del cristiano è
una gioia umanissima che non dimentica le di-
mensioni corporee e relazionali e si evidenzia,
come dice san Paolo, soprattutto come «gioia
nelle tribolazioni». Significa che la gioia cristiana
abita nel profondo del credente e consiste nella
sua vita nascosta con Dio. È la gioia che nessu-
no può estirpare perché nessuno può impedire al
cristiano di amare il Signore e i fratelli anche in
situazioni estreme: i martiri sono lì a ricordarcelo.
Per questo dobbiamo ogni giorno dimostrare con
la nostra serenità e il nostro sorriso che siamo felici
della vita che viviamo e della vita che doniamo. E se
tutti i cristiani dovrebbero essere in grado di ir-
radiare questa luce, quanto più lo dovremmo fare
noi, uomini e donne della Famiglia Salesiana,
pur nella unicità di ogni gruppo, che siamo rami
dell’albero del carisma di don Bosco. Noi, figli di
un padre che faceva consistere la santità nell’esse-
re sempre allegri, e che abbiamo con il suo stesso
entusiasmo impegnato le nostre vite e il nostro
tempo al servizio degli altri.
Non si può comunicare e donare la vita con la
sensazione che non ne valga la pena. Lo specchio
quotidiano più evidente lo abbiamo vissuto in pri-
ma persona nelle nostre mamme. Hanno dato la
vita e danno la vita ogni giorno, con incondizio-
nate serenità e tenerezza, senza mai far pesare le
proprie stanchezze e i propri dolori.
Il carisma salesiano gode di una caratteristica
unica: ha tutto quello che serve per sprigionare
speranza, ottimismo ed entusiasmo. E noi che
abbiamo la fortuna di incarnarlo oggi, tutti voi e
io, dobbiamo annunciare al mondo che siamo feli-
ci, che la nostra vita ha un senso meraviglioso e che se-
guire Gesù sulle orme di don Bosco riempie una vita.
Se questa non fosse una motivazione sufficiente,
cari amici miei, è ovvio che nel nostro mondo,
complesso, spesso duro e indifferente, più che le
parole sono i fatti che convincono e muovono i
cuori. E se c’è qualcosa di cui questo mondo ha
fame e necessità assoluta, insieme alla pace, è la
speranza, e uomini e donne che quasi senza vo-
lerlo irradiano e comunicano speranza.
Quest’anno celebrerò la festa di don Bosco il 31
gennaio in Sierra Leone. Ho preferito rinunciare
a Valdocco (sicuramente con il permesso di don
Bosco stesso dal cielo), per stare con i nostri fra-
telli salesiani e la Famiglia Salesiana della Sierra
Leone e con le centinaia e centinaia di bambine
e bambini che hanno perduto i genitori a causa
di Ebola.
Vorrei che la mia presenza simboleggiasse la pre-
senza di tutta la Famiglia Salesiana del mondo,
messaggera di speranza, di affetto e vicinanza,
per vivere con loro la gioia e la felicità che ho so-
gnato. Insieme alla forza per superare le difficoltà
di ogni giorno.
Mia cara Famiglia Salesiana, realizziamo insie-
me questo sogno. Don Bosco merita una famiglia
così.
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LA NOSTRA CHIESA
B. F.
I nuovi martiri
Ogni anno 100 000 cristiani
vengono assassinati a causa
della loro fede. Sono 273 al giorno,
11 all’ora. Il cristianesimo
è la religione più perseguitata al mondo,
tanto che l’80 per cento di tutti gli atti
di discriminazione che si perpetrano
nel mondo è diretto contro i cristiani.
Nella quasi totale indifferenza dell’Occidente.
L a cristianità è oggi la religione
più perseguitata nel mondo.
Gli eccidi in Iraq, Siria, Su-
dan, Nigeria; i cristiani obbli-
gati a scegliere se convertirsi o
morire passati per la spada dei
jihadisti; i casi di Cina, Eritrea, Iran,
Arabia Saudita. Vengono spesso rac-
contate dai giornali in piccoli riquadri
come se fossero delle storie isolate,
degli omicidi casuali che nei teatri di
guerra colpiscono senza alcuna matri-
ce ideologica delle persone colpevoli
semplicemente di essere cristiane.
Dalla Seconda Guerra Mondiale a
oggi, dieci milioni di cristiani hanno
preso la via dell’esilio dal mondo ara-
bo-islamico. In Turchia da due milio-
ni di cristiani si è passati agli attuali
85 mila, lo 0,2 per cento della popola-
zione. In Libano, il paese arabo dove i
cristiani maroniti per decenni hanno
avuto il comando della nazione, si è
passati dal 55 per cento della popo-
lazione al trenta. In Egitto la popo-
lazione cristiana si è sempre attestata
sul venti per cento del totale: oggi è
scesa sotto il dieci. Erano il diciotto
per cento in Giordania, ma oggi sono
il due per cento. In Siria le comunità
cristiane rappresentavano un quarto
della popolazione ma oggi sono scese
al cinque per cento, cifre che si stanno
sempre più dimezzando a causa della
guerra civile in corso.
Da allora numerosi cristiani sono sta-
ti arrestati e condannati a morte per
attività legate al proselitismo, ma mai
giustiziati. Molte chiese oggi sono
state chiuse, decine di giovani irania-
ni, gran parte convertiti dall’islam,
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sono stati imprigionati e torturati,
così come molti pastori sono finiti
sotto stretta sorveglianza.
Corea del Nord e Laos sono tirannie
comuniste e ateistiche in cui l’anti-
cristianesimo è dogma di stato. A
Pyongyang, da quando si è instaura-
to il regime nel 1953, sono scomparsi
300 mila cristiani e adesso si stima
che vi siano 70 mila cristiani che sof-
frono nei terribili campi-prigione a
causa della loro fede. L’Afghanistan
è al secondo posto, essendo un paese
dove non esistono ufficialmente chie-
se (soltanto cappelle private dentro
alle ambasciate). Segue l’Arabia Sau-
dita, custode della Mecca e di Medi-
na, che vieta ufficialmente ogni culto
non islamico e di cristiani si parla uf-
ficialmente soltanto nelle ambasciate.
“Si tratta di un genocidio in corso che
meriterebbe un allarme globale”, ave-
va scritto di recente sulla copertina di
Newsweek Ayaan Hirsi Ali. Negli ul-
timi dieci anni la guerra di religione ha
fatto duemila morti soltanto nello sta-
to nigeriano del Plateau, tredicimila in
tutta la Nigeria. “Cifre ottimistiche”,
dicono le organizzazioni umanitarie
che parlano di eccidi ben peggiori.
L’obiettivo delle stragi è cambiare la
geografia religiosa del continente afri-
cano. Dal 2001 nello stato di Kano
sono morte più di 10 mila persone,
quasi tutte cristiane. Trecento chiese
e proprietà sono andate distrutte. Gli
sfollati non si contano. Dal 2009 a ora
almeno cinquanta chiese sono state di-
strutte e dieci pastori sono stati uccisi
dalla Boko Haram.
Di fronte a queste morti, l’atteggia-
mento dell’opinionista collettivo è
spesso simile a chi, osservando le no-
tizie di un cristiano ammazzato oggi
in Siria, uno domani in Iraq, uno
dopodomani in Sudan, in Nigeria, in
Eritrea, in Arabia Saudita, in Iran, si
asciuga le lacrime senza troppa con-
vinzione, dicendo, tra sé e sé: ma che
ci vuoi fare, scusa, in guerra c’è mol-
ta gente che muore, e quando si è in
guerra, tra i tanti che muoiono, ci sono
certamente anche dei cristiani.
Ci saranno ancora
dei cristiani in medio
oriente nel Terzo
millennio?
Rupert Shortt, giornalista e scrittore
inglese molto conosciuto, in un libro
recente parla di “Christianophobia”.
Il suo è un viaggio globale dentro alla
persecuzione dei cristiani, “una fede
sotto attacco”. Shortt è andato a Jos, in
Nigeria, gigantesco patchwork di reli-
gioni che ha preso fuoco da un anno; a
Karachi, nel profondo Pakistan; fra le
chiese protestanti della “moderata” In-
donesia, ma anche nell’Orissa indiano
e in Cina, dove la repressione contro
il cristianesimo, da feroce che era, ne-
gli anni si è fatta più dissimulata (ogni
tanto il regime decide che la legge atei-
stica è ancora in vigore e qualcuno ci
rimette la vita, a cominciare dagli an-
ziani sacerdoti, che a decine periscono
e languono nelle prigioni di stato). E
poi ancora in Egitto, dove i copti su-
biscono discriminazioni, minacce e
aggressioni collettive e da quando è
scoppiata la “primavera araba” sono
scesi in trincea; in Siria, dove nella
città di Rable, culla del cristianesimo
paolino, terroristi hanno appena di-
strutto il santuario del profeta Elia; in
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LA NOSTRA CHIESA
Algeria, dove i cristiani sono costretti
a subire discriminazioni continue. La
situazione più drammatica è quella
dell’Iraq, dove i cristiani sono vittime
di estorsioni, rapimenti, torture e omi-
cidi. Le chiese sono incendiate; mol-
ti sacerdoti, persino il vescovo caldeo
di Mossul, monsignor Paulos Faraj
Rahho, sono stati assassinati.
“C’è il rischio altissimo che le chiese
scompaiano dalle terre bibliche”, scrive
Shortt. I numeri sono impressionanti,
un verdetto. I cristiani erano il 95 per
cento della popolazione mediorientale
nel settimo secolo, il venti per cento nel
1945, il sei per cento oggi e si prevede
che nel 2020 si dimezzeranno anco-
ra. “Ci saranno ancora dei cristiani in
medio oriente nel Terzo millennio?”, si
chiedeva il diplomatico francese Jean-
Pierre Valognes nel libro “Vie et mort
des chrétiens d’Orient”, pubblicato nel
1994. No, secondo Shortt.
L’esilio, l’alienazione e l’estraneità di
questi cristiani d’oriente, pegno del-
la più antica memoria cristiana del
mondo, è rappresentato dal funerale
dei tre cristiani assassinati a Malatya,
in Turchia, un tedesco e due turchi,
legati, incaprettati e sgozzati dagli
islamisti nel 2007 soltanto perché
stampavano delle Bibbie. Il funera-
le si è svolto nella chiesa Battista di
Buca, nell’indifferenza totale della
popolazione. I musulmani presenti
erano solo i giornalisti e i delegati del
sindaco. Dopo due ore di rito, i fere-
tri sono stati trasportati al cimitero di
Karalabas, inumati fra canti e sermo-
ni all’ombra di due cipressi. Al posto
della lapide un grande cuore rosso di
metallo con sopra dipinte le parole
“Yamasak Mesihtir Ölmekse Ka-
zanç”, tratte da san Paolo: “Per me vi-
vere è Cristo, e morire un guadagno”.
Triste epitaffio alle ultime comunità
che parlano la lingua di Gesù.
Le ostie insanguinate
È stato un miracolo, c’è poco altro da
dire. La bombola di gas che colpisce la
cupola della chiesa, la danneggia, ma
non esplode. Rotola e cade sul tetto
dell’edificio, fatto di semplici tegole
d’argilla sostenute da grandi colonne
di legno e cemento. Solo a quel punto,
quando non era più in grado di causare
una strage, è esplosa fragorosamen-
te. Padre Ibrahim Alsabagh, parro-
co francescano della cattedrale latina
d’Aleppo racconta: “I jihadisti hanno
scelto con crudeltà il luogo e il tempo
precisi per colpire, in modo da pro-
vocare il maggior danno possibile in
persone e strutture specificamente cri-
stiane”. “Avevo il Santissimo in mano e
stavo distribuendo la comunione. L’a-
vevo già fatto per cinque o sei fedeli,
quando ho avvertito un rumore lonta-
no, non di grande intensità, come di
qualcosa di pesante che stesse cadendo
sul tetto della chiesa. Non sono passati
dieci secondi che tutto l’edificio ha co-
minciato a tremare senza sosta sotto i
miei piedi. Sassi e pezzi di vetro cade-
vano su di noi, io non vedevo quasi più
nulla a causa della polvere.
“In sagrestia mi sono accorto che le sa-
cre ostie nella pisside erano macchiate
del sangue dei fedeli. Le ostie sacre
mescolate con il sangue del suo popolo
è un segno della presenza di Dio e di
unione con noi. Dio è presente forte-
mente, soffre con noi, si unisce sem-
pre di più a ognuno di noi nella nostra
sofferenza”. Al guardare queste ostie
tinte di rosso, aggiunge, “pareva che
esse brillassero di una luce increata,
apportatrice di consolazione e di pace
al povero cuore sofferente del parroco”.
La gente, in quei momenti, era ter-
rorizzata, non sapeva che fare: “Ho
invitato i fedeli rimasti a uscire fuo-
ri nel giardino e lì ho continuato la
distribuzione della santa comunione.
Abbiamo recitato un Pater, Ave, Glo-
ria come ringraziamento al Signore e
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Cristiani della comunità salesiana di Ondo
in Nigeria.

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«PREGO CHE DIO PERDONI CHI CI HA FATTO DEL MALE»
La fede di Myriam, bimba irachena in fuga dall’Isis
Costretta a lasciare con la famiglia la sua città per sfuggire ai miliziani jihadisti, ora è a Erbil, in Kurdistan.
“Cosa senti nei confronti di quelli che ti hanno obbligata a lasciare
le tua casa?”.
“Non voglio far loro niente, chiedo solo a Dio di perdonarli”.
“E anche tu puoi perdonarli?”. “Sì”.
“Ma è difficile perdonare chi ci ha fatto soffrire”. “Io non voglio uc-
ciderli, perché dovrei? Certe volte piango perché abbiamo lasciato la
nostra casa, ma non sono arrabbiata con Dio, lo ringrazio perché si
occupa di noi”.
Myriam ha dieci anni quando dice queste cose a un giornalista dell’e-
mittente cristiana di lingua araba SAT-7. Mesi prima aveva lasciato
con la famiglia la sua città d’origine, Qaraqosh, in Iraq, per sfuggire ai
miliziani dello Stato islamico. Adesso è a Erbil, nel Kurdistan irache-
no, ospite assieme a migliaia di altre persone in un centro profughi
dove la vita è difficile e spesso mancano acqua ed elettricità. Quell’in-
tervista di Myriam ha cominciato a circolare su internet e questa pic-
cola bambina irachena è presto diventata il simbolo di una fede che
tanti in occidente sembrano avere smarrito.
“Dio si preoccupa per noi”, diceva Myriam al suo intervistatore, “perché
non ha permesso che l’Isis ci uccidesse”. Myriam ha perso tutti gli ami-
ci – dispersi, forse uccisi – sa che per tanto tempo, forse per sempre,
non potrà più tornare a giocare a casa sua, ma sorprende per il suo
giudizio così adulto: “Certo che Dio ama anche quelli che ci hanno fatto
del male – dice – però non ama Satana”. Myriam aveva un’amica prima
di finire al centro profughi di Erbil, si chiama Sandra: “Ci volevamo
bene, se una faceva un torto all’altra ci perdonavamo. Spero di riveder-
la. Spero di tornare a casa e che anche lei torni a casa, così potremo
rivederci”. “Spero che tornerai in una casa più bella di quella che avevi
prima”, le dice il giornalista. “Non quello che vogliamo noi, ma quello
che vuole Dio”, risponde Myriam sorridendo, spiazzante. Lontana da
casa, la famiglia di Myriam vive in un container nel centro commerciale
Ainkawadi di Erbil: mamma, papà, lei e una sorella. “Siamo felici qui
dove siamo perché ovunque andiamo Dio è con noi”, ha detto Myriam
parlando a luglio di quest’anno via Skype a un gruppo di ragazzi sici-
liani grazie all’aiuto dei cooperanti di Avsi. Spera di diventare medico e
andare in giro per il mondo ad aiutare gli altri, aggiungeva.
“Sandra, amica mia, non piangere!”, aveva detto sorridente qualche
mese prima, invitata di nuovo dalla tv araba che l’aveva “scoperta”: in
studio c’era la sua amica Sandra, che non vedeva da quasi un anno,
in lacrime. Qual è la prima cosa che faresti, se tornassi a Qaraqosh?,
le hanno chiesto ancora i ragazzi italiani a luglio: “Pregare. Perché
quando siamo dovuti scappare Lui ci ha salvati, quindi la prima cosa
che farei è ringraziare pregando”.
Myriam e la sua famiglia sono intervenuti con un video al Meeting per
l’amicizia tra i popoli di Rimini. Myriam ha raccontato così la sua gior-
nata tipo: “Mi sveglio, mi preparo, e poi prego Gesù e Maria perché ci
salvino e ci possano dare un giorno nuovo”.
Scacciati di casa dalla violenza jihadista, i genitori di Myriam sorri-
dono: “Posso essere triste, ricco, povero, questo non cambierà mai la
fede che ho in Dio”, diceva il papà della bambina irachena. Nel corso
dell’ultimo anno, ha detto la madre, da quando cioè sono nel cam-
po profughi, “tutte le difficoltà ci hanno
avvicinato a Gesù, da lui traiamo
la nostra forza. Gesù ci dà spe-
ranza, perché ci ha insegnato ad
amare il prossimo, a dargli fidu-
cia”. A chi si domanda se ci sarà
un futuro per i cristiani in quelle
zone bisognerebbe far sentire
quello che dicono i genitori
di Myriam: “Il futuro è nelle
mani di Dio, non c’è uomo
al mondo che possa deci-
derlo. Non è la mia volon-
tà, ma la Sua. Dio non ci
farà mai del male”. “Io ho
fede e so che Lui ha un
piano. Magari non per noi
in particolare, ma per i cri-
stiani in Iraq. Dio ci aiute-
rà, anche se adesso stiamo
soffrendo. Siamo pazienti,
siamo fiduciosi, il futuro sarà
buono per noi”.
a sua madre Maria, concludendo con
la benedizione solenne”.
Aleppo è circondata, i miliziani bom-
bardano incessantemente i quartieri
cittadini. Mancano acqua ed elettri-
cità, non c’è neppure lo yogurt, nota
padre Ibrahim sorridendo. Quel che
non manca, però, è la fede, la certezza
che alla fine tutto passerà. Un mes-
saggio spedito dal vicino oriente ai
cristiani d’occidente che “hanno biso-
gno di svegliarsi”.
Questo genocidio ci pone di fronte
al mistero per cui così tanti cristiani
in occidente fanno fatica a vivere per
quello per cui molti cristiani sono di-
sposti a morire nei paesi mediorien-
tali.
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A TU PER TU
JANI ARON
Don Giovanni
Un salesiano
sempre giovane
Barroero Dall’Italia all’Ecuador
e poi all’Ungheria per
tenere a battesimo
la rinascita della Famiglia
Salesiana nella bellissima
terra magiara.
Don Giovanni, di dove sei
originario e come è nata
la tua vocazione salesiana?
Sono nato in Piemonte; i miei genito-
ri, cuneesi, si erano trasferiti a Torino
in cerca di lavoro. Lì sono cresciuto,
nel quartiere della Crocetta, dove fin
da piccolo frequentavo l’oratorio sale-
siano. Qualche volta penso che la mia
generazione è l’ultima che ha ancora
avuto contatti con alcuni che avevano
conosciuto personalmente don Bosco;
ho così potuto conoscere don Alber-
to Caviglia, don Eugenio Ceria, don
Pietro Ricaldone e altri. È un ricordo
che affiora sovente. Dopo il noviziato
a Villa Moglia (Chieri), nel 1948 fui
inviato in Ecuador.
Sei partito molto giovane
verso un altro continente.
A quel tempo non c’erano
le attuali possibilità
di comunicare.
Non hai avuto timore?
Come hanno reagito
i tuoi genitori?
Avevo 19 anni. I miei genitori, pur
soffrendo, non hanno messo nessun
impedimento alla mia vocazione mis-
sionaria. Quando ho comunicato loro
la chiamata dei superiori, tacquero
per un po’; poi mio padre mi disse:
“Noi due non abbiamo nemmeno la
stessa faccia. Tu devi seguire la tua
strada, come io la mia. Solo bisogna
seguirla bene, seriamente”.
Come è stata la tua vita
in Ecuador?
Nei ventotto anni trascorsi in quella
amata Ispettoria, ho affrontato sfide
molto positive che, inserito com’ero
fin da giovane in un clima fraterno
salesiano, mi hanno fatto lavorare con
entusiasmo, principalmente nel cam-
po della formazione iniziale salesia-
na ma anche con periodi di aiuto ai
missionari della selva amazzonica. In
quella Nazione sono nato veramente
alla vita salesiana.
Ho avuto per quasi un anno come
Ispettore don Giovanni Antal, che
era stato il primo ispettore salesiano
ungherese. Mai avrei pensato che,
molti anni dopo, sarei vissuto nella
sua Patria.
10
Gennaio 2016

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Come sei arrivato
in Ungheria?
Al mio ritorno in Italia, per motivi
familiari, mi ha accolto fraternamente
la comunità di Muzzano (Biella) dove
rimasi tre anni. Poi venni chiamato a
Roma, per prestare la mia opera nel-
la Casa Generalizia, nel settore della
formazione salesiana. Vi sono rimasto
quattordici anni, avendo così l’oppor-
tunità di conoscere molti confratelli
di varie parti del mondo, un’esperien-
za molto arricchente.
Nel 1992, alla fine del mio servizio,
don Egidio Viganò, Rettor Maggiore,
mi chiese di andare in Ungheria dove,
dopo la caduta del regime comunista,
la Congregazione ricominciava. I sa-
lesiani avevano inaugurato la prima
opera nel 1913, nell’imminenza, or-
mai, della Prima Guerra Mondiale.
Finita la guerra, le difficilissime con-
dizioni economiche e sociali rallen-
tarono la crescita della nostra Opera;
ma dopo gli anni Trenta vi fu un buon
sviluppo di personale e di opere, per
cui alla vigilia della 2a Guerra Mon-
diale si contavano circa 200 salesiani
ungheresi, in 15 case, e 27 missiona-
ri, soprattutto in Estremo Oriente
e America Latina. Nominare ‘don
Bosco’ in Ungheria significava rife-
rirsi a opere totalmente dedicate alla
gioventù degli strati più popolari. Già
nel 1925 avevamo accettato dal Mini-
stero di Grazia e Giustizia un grande
riformatorio minorile a Esztergom e
in altre opere nostre vi era un numero
notevole di ragazzi in difficoltà. Nel
1950 il governo totalitario soppres-
se i salesiani, nazionalizzò e occupò
tutte le nostre opere, dispersi o chiusi
in campi di concentramento i confra-
telli. Seguirono anni di vera e propria
persecuzione; ne è testimone la vita
accidentata, coronata dal martirio, del
recente beato Stefano Sàndor, bellis-
sima figura di salesiano coadiutore.
Che cosa ti ha colpito di più
nell’Ungheria salesiana,
nei nove anni che vi hai
trascorso?
Nei primi tempi ho ammirato lo spi-
rito di sacrificio dei confratelli che,
dopo aver trascorso decine di anni vi-
vendo da soli, hanno accolto pronta-
mente la possibilità di poter ritornare
a vivere in comunità, man mano che
le autorità ci restituivano alcune delle
case tolte nel 1950.
Un’altra cosa molto positiva: come ci
si è mossi con i laici, in tal modo che
essi svolgono ora un ruolo educati-
vo convinto ed essenziale nel nostro
campo di lavoro, in comunione di
spirito con i salesiani. L’opera svolta
dai salesiani cooperatori è ammirevo-
le; non si tratta solo di collaborazione
esterna: essi si impegnano seriamen-
te nella loro formazione. E sono un
buon numero, entusiasti.
Come vedi ora l’opera
salesiana in Ungheria?
Mi rallegro al vedere ripreso, da qual-
che anno, il flusso – limitato in nume-
ro ma costante – di vocazioni religiose
per il noviziato e, quindi, di giovani
salesiani che prospettano un buon av-
venire per la nostra presenza in ter-
ra magiara. Un contributo efficace è
quello offerto dai missionari venuti
dall’Oriente (Vietnam e India), che si
sono inseriti positivamente nella nuo-
va cultura, dando un impulso giova-
nile fresco ed entusiasta. Nuove forze
di salesiani cooperatori stanno anche
dando un apporto decisivo. Vedo che
aumenta l’interesse per don Bosco e il
Sistema Preventivo tra gli educatori:
i convegni su questo tema sono ben
frequentati.
Don Giovanni con alcuni amici ungheresi.
Gennaio 2016
11

2.2 Page 12

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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
FINO AI CO
La Famiglia Salesiana
per l’eliminazione
della violenza
contro le donne
La società e la Chiesa non sarebbero le stesse senza il
contributo che tante donne offrono.
Purtroppo, invece, la violenza sulle donne è una realtà
quotidiana a tutte le latitudini del globo.
La Famiglia Salesiana, originata da don Bosco – che
“non si può capire senza Mamma Margherita”, come ha
ricordato papa Francesco a Torino, lo scorso giugno – è
fortemente impegnata nel promuovere la tutela e lo svi-
luppo della donna e l’esercizio effettivo dei suoi diritti.
In Sierra Leone, ad esempio, i Salesiani animano un
rifugio per le ragazze vittime di violenza, che protegge
e accompagna le giovani in percorsi di elaborazione del
trauma e per la ricostruzione della propria vita.
In Guatemala, lavorano con psicologi e assistenti sociali
a sostegno delle “spose bambine”.
In India, le Suore Catechiste di Maria Immacolata
Ausiliatrice ( ) – 17° gruppo della Famiglia Salesiana
– conducono dei “raid”, assieme alla polizia, nei bordelli
di Calcutta, per liberare donne e ragazze dalle grinfie dei
loro sfruttatori.
La voce dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice
viene portata anche nelle istituzioni dell’ , per
allacciare collaborazioni e sinergie con altre istituzioni
e lavorare congiuntamente contro questa piaga sociale.
STATI UNITI 1
I Salesiani nella lotta alla fame
Attraverso scuole, centri di formazione professionale,
centri giovanili, opere per bambini e giovani a rischio, i
Salesiani sono in prima linea nella battaglia contro la fame.
I programmi alimentari dei salesiani forniscono pasti agli
studenti durante l’orario scolastico, servendo così anche da
incentivo per le famiglie a mandare i propri figli a scuola.
Il pasto che i bambini ricevono presso le scuole salesiane
può anche essere l’unico nella loro giornata.
Molti programmi salesiani in diversi paesi del mondo
sono dedicati anche allo sviluppo di sistemi alimentari
sostenibili e all’educazione agricola.
Solo per fare alcuni esempi, la scuola salesiana “Don
Bosco” di Kep, in Cambogia, ha sviluppato una fattoria
per provvedere meglio ai bisogni dei giovani poveri e
svantaggiati della regione.
Il complesso agro-educativo “Don Bosco” di Sulcorna,
nello Stato di Goa, in India, ha costituito il primo isti-
tuto agricolo della zona. Da luglio scorso sfrutta 110 acri
di terra fertile per l’esercitazione diretta degli allievi e nel
percorso scolastico quadriennale viene anche sottolineata
l’agricoltura biologica.
Mentre l’ austriaca “Jugend Eine Welt” ha program-
mato il suo secondo progetto agricolo nel comune di
Moatize, in Mozambico, che si propone di formare 1000
famiglie di 7 comunità rurali alle più recenti innovazioni
tecnologiche nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento.
12
Gennaio 2016

2.3 Page 13

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REPUBBLICA
CENTRAFRICANA 2
Testimonianza
da Bangui
A pochi giorni dalla
visita del Papa nella
Repubblica Centra-
fricana, condividiamo
la testimonianza del salesiano don Desiré Adjeckam, Di-
rettore del Centro di Formazione “Don Bosco” e dell’I-
stituto Salesiano di Educazione Secondaria di Damala, a
Bangui, sulle attività dei Salesiani nel paese.
Dagli inizi di settembre 2015, 250 bambini in situa-
zioni di vulnerabilità, alcuni dei quali ex combattenti,
sono stati inviati dall’UNICEF al Centro di Formazione
Don Bosco di Damala, come parte del programma per il
loro recupero e formazione. Il gruppo comprende 91 ex
combattenti – 66 ragazzi e 25 ragazze.
Alcuni dicono che la ragione che li aveva portati nei
gruppi armati era il fatto che non sapevano che cosa fare
nella vita e si vedevano costretti a prendere le armi.
Ma c’è chi spera che, più avanti, potrà diventare un
professionista e un buon cittadino.
Molti di loro si pentono di quello che hanno vissuto e
sono impegnati ad aiutare le famiglie e i bambini che si
trovano nella stessa situazione. Altri dicono che sono stati
manipolati e a volte costretti a farlo dai “capi locali”.
Dal 1° dicembre 2015, quelli che partecipano alla
seconda fase si dedicheranno essenzialmente all’appren-
dimento di un mestiere.
I docenti hanno già preparato i programmi previsti
per le diverse linee di formazione. Tuttavia, devono
anche approvare un test di orientamento per aiutare i
formandi nella scelta delle professioni offerte dal Centro
Don Bosco: falegnameria, agricoltura e allevamento,
meccanica, scuola per conducenti, per elettricisti, mura-
tura, sartoria e informatica.
La prima conclusione da trarre è che sono felici di
ricevere questa formazione. La prova è che sono sem-
pre puntuali, arrivano ogni mattina mezz’ora prima
dell’inizio delle lezioni.
FILIPPINE 3
3
Giovani contro
il cyber-bullismo
Nel fine settimana del 17-18 ottobre, i Salesiani, insie-
me con l’
, la “Child Protection Network” ( )
e altre organizzazioni attive per la tutela dei minori,
hanno organizzato una conferenza di due giorni per
contrastare il fenomeno del cyber-bullismo
(bullismo su Internet), a cui hanno partecipato circa
200 giovani animatori e 100 insegnanti provenienti da
100 diverse scuole di Cebu.
Il successo è stato reso possibile grazie alla collaborazione
di molte realtà salesiane: i ragazzi della pastorale comu-
nicativa del Centro di Formazione Don Bosco di Talisay
City, la Commissione di Pastorale Giovanile, quella di
Comunicazione Sociale e il Movimento Giovanile Sale-
siano dell’Ispettoria delle Filippine Sud ( ).
La conferenza ha avuto come suo motto “Shift Ctrl
Del: Cyber Teens Responsible Leaders” che, a partire
dai comandi tipicamente disponibili su una tastiera per
computer, intendeva far passare il messaggio: “Insegna-
re ai giovani a cambiare ( ) i loro punti di vista,
controllare (ConTRoL) la propria vita ed eliminare
(DELete) la negatività nei Social Media”.
Gennaio 2016
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2.4 Page 14

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FMA
JOËLLE DROUIN
Traduzione di Marisa Patarino
«In Tunisia abbiamo
molto da condividere»
Don Michel Prignot, che vive Dopo aver trascorso molti anni in Tunisia, le Figlie
da molto tempo in Tunisia,
ha detto: «Ogni giorno siamo
di Maria Ausiliatrice constatano quanto la loro presenza
testimoni di un’evoluzione qui sia costruttiva. Questo Paese ha aperto loro
dello spirito e del cuore. Ve-
diamo che la gente acquisisce
le porte di un mondo diverso per la cultura e la fede
una dimensione nuova, che elabora i che lo caratterizzano e per il modo specifico di sentire
valori della libertà, del senso critico e
della personalità. Abbiamo molto da
imparare mentre nello stesso tempo
e di vivere. Tutto ciò ha trasformato la missione
delle Suore e costituisce una grande opportunità.
condividiamo».
Questa è la realtà che vivono le Fi- Bourguiba, nel cuore della Tunisia Tunisi, a La Marsa. Si tratta di un
glie di Maria Ausiliatrice in due profonda, in un ambiente rurale in convitto al servizio di 18 giovani stu-
opere diverse: una scuola elementare cui l’Islam tende a radicalizzarsi, e denti cristiani provenienti dall’Afri-
frequentata da 630 allievi a Menzel un centro nella prima periferia di ca sub-sahariana.
Le tre suore
della comunità
insieme a
un’ambasciatrice
indiana venuta
in visita.
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Gennaio 2016

2.5 Page 15

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Una scuola molto
frequentata e amata
dalla gente
A Menzel, tutto il personale e gli inse-
gnanti sono tunisini. Solo la direttrice
e l’economa sono religiose che, insieme
alle altre consorelle della loro comuni-
tà, assicurano una presenza educativa
salesiana nella scuola. A Menzel ci
sono 5 o 6 scuole private e questa si-
tuazione potrebbe determinare una
forte concorrenza, ma la scuola delle
suore è sempre molto frequentata. Il
sistema preventivo è molto apprezzato,
in particolare perché pone l’accento sul
dialogo e rifiuta l’uso della violenza,
e anche per il confronto con gli inse-
gnanti, la vicinanza alle famiglie e l’ac-
coglienza dei bambini.
In occasione del bicentenario della
nascita di don Bosco, le suore hanno
invitato don Jean-Marie Petitclerc per
un momento di formazione alla peda-
gogia salesiana. Cento insegnanti si
sono riuniti per due giorni a Menzel e
poi alla scuola dei sacerdoti salesiani a
Manouba. Don Petitclerc ha proposto
loro di avviare un dialogo con doman-
de e risposte. Gli insegnanti hanno
espresso difficoltà e timori che speri-
mentano nell’ambito dell’educazione.
Sono stati entusiasti delle risposte che
hanno ricevuto. Hanno molto apprez-
zato la pedagogia salesiana. Hanno
anche appreso che ci sono scuole di
don Bosco in tutto il mondo. Infine, se
le suore non hanno potuto festeggiare
don Bosco con il gruppo di educatori
con una Messa, come si fa nei Paesi
cristiani, è stato comunque un grande
momento spirituale. Prima di andare
via un’insegnante ha detto: «Non di-
menticherò mai questo incontro. È
stato un giorno di pace e di gioia!».
Una comunità cosmopolita
Le suore vengono da diverse nazioni:
la responsabile della comunità è spa-
gnola, la direttrice e l’economa della
scuola sono indiane, una terza suora
è arrivata quest’anno dal Libano in
aiuto alle sue consorelle. Imparano il
dialetto arabo per parlare con gli al-
lievi e con la gente. L’insegnamento
è invece impartito in arabo letterario.
Si comincia a parlare il francese come
prima lingua a 5 anni. Le suore non
Suor Manicha in visita d’istruzione.
Sotto: Suor Mercedes, responsabile della
comunità di Menzel.
parlano agli allievi della loro fede, ma
sono portatrici dei valori in cui credo-
no. Lo testimoniano con la fraternità
e il servizio. E anche se per alcuni tu-
nisini il centro di Menzel è “la scuola
degli stranieri”, molti genitori, la gran
maggioranza, apprezzano molto le
suore. C’è un grande rispetto recipro-
co. Spesso i genitori si affidano alla
preghiera delle suore e dicono anche:
«Pregheremo per voi».
Alla fine dell’anno scolastico, le suore
organizzano insieme agli insegnanti
visite culturali o ricreative per gli al-
lievi e li accompagnano.
Una delle suore aveva un sogno: avvia-
re a Menzel un gruppo scout. Aveva
scoperto che a Tunisi c’erano alcuni
scout musulmani e si era detta: «Per-
ché non a Menzel?». Con l’aiuto di un
tunisino e il consenso dei genitori, ha
avviato l’opera. È stata un successo.
Molti exallievi continuano a frequen-
tare la scuola per praticare sport la
sera dopo le lezioni o vengono a tro-
vare le suore.
Gennaio 2016
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Come i giovani portarono
don Bosco in Cambogia
Intervista al signor Roberto Panetto
La meravigliosa storia
della Don Bosco Hotel
School
Don Bosco Hotel School:
non è un nome strano
per un’opera salesiana?
Beh, inizia con “Don Bosco” e fini-
sce con “Hotel School”, vuole riflet-
tere i molteplici modi che don Bosco
userebbe ai nostri giorni per attirare
i giovani, farli sentire accolti come in
famiglia, educarli arricchendoli con il
prezioso dono dell’Amore, prepararli
ad inserirsi nella società con un buon
lavoro che permetterà loro di aiutare le
loro famiglie a sollevarsi dalla pover-
tà, diventare cambogiani “onesti” per
aprire al paese un orizzonte più pro-
mettente. Direi che don Bosco l’avreb-
be chiamata “Salesian Hotel School”.
Com’è strutturata?
La Don Bosco Hotel School è come
un’estensione della scuola tecnica
Don Bosco Technical School a Siha-
noukville. La scuola alberghiera è in
grado di accogliere 200 giovani, al
momento ne abbiamo 196, nei reparti
di Accoglienza, Servizio camere, Ser-
vizio di sala e Cucina. Gli studenti,
ragazzi e ragazze, provengono da vil-
laggi sparsi un po’ in tutto il paese,
in maggioranza dalle province del sud
della Cambogia. Alcuni dei giovani,
32, vivono nell’ostello all’interno del-
la nostra struttura e le ragazze, 54,
nelle tre case per le giovani: due sono
situate di fronte alle entrate principali
della scuola e una in centro città, vici-
no alla Don Bosco Guesthouse.
Il caseggiato delle aule scolastiche e
l’ostello dei giovani sono visibili dalle
camere degli ospiti che sovente si sof-
fermano sul balcone ad osservare in-
curiositi il movimento degli studenti,
alcuni chiedono di visitare la struttu-
ra scolastica e anche di partecipare al
“Buon giorno” che segna l’inizio della
giornata con la preghiera universale
ed un buon pensiero educativo offerto
a turno dai salesiani o dal personale
della scuola, a volte anche da ospiti
desiderosi di comunicare la loro espe-
rienza di vita ai nostri giovani.
Sempre parte della struttura è il Ri-
storante Gelato Italiano, che è una ge-
lateria-ristorante situata nella piazza in
centro città, a 3 km dalla Don Bosco
Hotel School. Il locale, in gemellaggio
con l’agri-gelateria San Pè di Poirino,
offre un gelato di alta qualità oltre che
pizza, pasta, caffè espresso, cappucci-
no e altri piatti italiani e asiatici.
Molti clienti vengono a conoscere
don Bosco semplicemente mangian-
16
Gennaio 2016

2.7 Page 17

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do un buon gelato, seguono le tante
domande riguardo la provenienza e
attività del Don Bosco in Cambo-
gia. Il gelato è apprezzato e richiesto
da altri hotel e ristoranti di Siha-
noukville nonché molto applaudito
dai tanti bambini e giovani che lo ri-
cevono gratis in occasione di qualche
festa durante l’anno scolastico. In
occasione della celebrazione del bi-
centenario di don Bosco ne abbiamo
distribuiti oltre settemila.
Come ti è venuta l’idea?
Un benefattore olandese affermò
che voleva fare una grossa donazio-
ne proprio per la scuola alberghiera.
Cercammo inutilmente di convincer-
lo ad aiutare un altro settore, già esi-
stente, ma lui esclamò: “Se non esiste,
vi sentite di costruirla?”. Perché no?
Visto che sarebbe un’ottima occasio-
ne di inserire tanti giovani con un
buon lavoro rimanendo nel territorio.
D’altra parte anche don Bosco fece il
cameriere da giovane! E così l’idea di-
venne una magnifica realtà.
Da quando ti trovi
in Cambogia?
Il 24 maggio 1991, don Valter Bri-
golin ed io arrivammo in Cambogia.
Celebreremo il 25o proprio quest’an-
no 2016.
Quali sono state le tue
esperienze precedenti?
Dopo il noviziato a Monte Oliveto,
Pinerolo, ho studiato a Torino, Ope-
ra Salesiana Rebaudengo dal 1969 al
1972. Qui maturò la mia vocazione
missionaria a seguito di una “Buona
notte” quando un missionario scris-
se che aveva bisogno di un salesiano
meccanico, più che non di altri aiuti
materiali. Quando chiesi al superiore
di lasciarmi partire per la missione in
Tailandia, la risposta fu: “Lasciamo
spegnere eventuali fuochi di paglia…
ne riparleremo fra tre anni”.
Andai quindi a S. Benigno Canavese
come insegnante tecnico per l’istitu-
to professionale e di ginnastica per la
scuola media, fino al novembre del
1975 quando, essendo il fuoco anco-
ra acceso, mi fu permesso di partire
per la Tailandia dove passai 14 anni
bellissimi nella scuola tecnica Don
Bosco a Bangkok.
Nel 1989 i gesuiti chiesero ai salesiani
di implementare dei corsi pratici, bre-
La professione che i ragazzi imparano nel Don
Bosco Hotel è il loro passaporto verso una vita
dignitosa e felice.
vi, dei giovani cambogiani nei campi
profughi. Lo scopo era di preparare
il più grande numero di cambogiani
con un mestiere, in modo che potes-
sero ritornare in Cambogia capaci
di ricostruire la società distrutta dai
lunghi anni del genocidio di Pol Pot,
1975-79, e la guerra che ancora con-
tinuava fra vietnamiti, Khmer Rossi e
forze governative.
Il superiore della Tailandia accettò
l’invito quando, dopo una visita ai
campi profughi, fu impressionato dal
mare di bambini e giovani: oltre 60%
dei 350 000 profughi erano giovani
Gennaio 2016
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
sotto i 20 anni, ammassati nelle ca-
panne di bambù in campi recintati di
filo spinato, con sorveglianza militare
ma esposti a diversi pericoli e abusi.
I salesiani costruirono sei scuole tec-
niche con oltre 1200 allievi. Oltre
3000 giovani furono preparati al la-
voro come meccanici, saldatori, elet-
tricisti, auto meccanici, carrozzieri,
stampatori. Don Bosco conquistò il
cuore dei giovani dei campi profughi!
Dicevano: “Perché don Bosco non
viene con noi in Cambogia. Siamo
senza genitori e don Bosco è ora per
noi un Padre! Deve venire con noi!”.
Un’implorazione toccante, don Bosco
non avrebbe detto di no. Una visita
alle autorità a Phnom Penh si conclu-
se con l’accordo di costruire una scuo-
la professionale nella capitale.
Così i Salesiani obbedirono all’ordi-
ne dei giovani cambogiani che ebbero
il loro Padre accanto, finalmente in
Cambogia.
Qual è la presenza
salesiana in Cambogia?
I salesiani, conosciuti come “Fonda-
zione Don Bosco in Cambogia”, la-
vorano principalmente in scuole pro-
fessionali e di preparazione al lavoro.
Dopo la prima scuola realizzata in
un orfanotrofio governativo, la prima
scuola salesiana è stata la scuola tec-
nica Don Bosco a Phnom Penh. Sul
terreno di 12 ettari sono stati realiz-
zati i diversi edifici che accolgono ol-
tre 600 giovani, ragazzi e ragazze, nei
settori Meccanica, Saldatura, Auto
meccanica, Elettromeccanica, Elet-
tronica, Arte grafica e Tecnologia
dell’Informazione. La scuola produ-
ce anche libri tecnici in lingua cam-
bogiana, molto apprezzati e richiesti
in altre scuole tecniche governative e
di altre organizzazioni. La seconda
scuola a Sihanoukville, 566 giovani,
nei reparti Meccanica, Saldatura,
Auto meccanica, Elettromeccanica,
Segretarie di Azienda, Comunica-
zione sociale e la Scuola Alberghiera
Don Bosco Hotel School. Una terza
presenza è nella città di Battambang,
dove ci sono due scuole per bambini
provenienti dalle fabbriche di mat-
toni e famiglie povere dei villaggi. I
bambini sono oltre 800. Una scuola
agraria sta prendendo forma ed aprirà
presto.
I bambini lavoratori fra il confine tra
Tailandia e Cambogia hanno anche
loro la casa di don Bosco che li acco-
glie a Poipet, dove, oltre la scuola ele-
mentare e media, hanno la possibilità
di imparare un mestiere come elettro-
meccanici, saldatori e riparatori di auto.
I bambini e gli studenti sono circa 350.
L’ultima scuola professionale aperta
si trova nella città balneare di Kep,
150 km a sud di Phnom Penh. I 300
giovani e ragazze seguono corsi di
Comunicazione sociale, Segretarie di
Azienda, Scuola alberghiera e Tecno-
logia dell’informazione.
Un’ultima presenza significativa è con
il progetto adozioni a distanza rivolto
a 4500 bambini, provvedendo loro il
necessario per frequentare la scuola
dell’obbligo. Il personale locale inca-
ricato va mensilmente a incontrare i
bambini nelle loro scuole e abitazioni,
organizzando attività, incontri e feste
per far conoscere loro don Bosco.
18
Gennaio 2016
Roberto Panetto con alcuni dei ragazzi della
scuola salesiana di Sihanoukville in Cambogia.

2.9 Page 19

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Come sono i giovani
cambogiani?
I giovani cambogiani sono deside-
rosi di imparare, allegri e figli del
loro tempo. A loro viene offerta sia la
storia dei loro genitori, che in mag-
gior parte hanno vissuto la loro gio-
vinezza sotto il regime del genocidio
dei Khmer rossi, sia le tecniche più
avanzate della comunicazione tramite
telefonini Smart, i-Pad e portatili che
sul mercato dell’usato si comprano
con pochi dollari. È un passaggio di
generazione vertiginoso e sotto certi
aspetti sconvolgente.
Dai genitori non hanno ricevuto
un’educazione solida, la corruzione è
a portata di tutti ed inizia fin dai pri-
mi anni di scuola ad essere una prassi
“normale” per poter passare l’esame.
I giovani sono volonterosi, come tut-
ti, ma la società non gioca dalla loro
parte. All’educatore spetta il delicato
compito di lanciare loro delle sfide,
incoraggiandoli e motivandoli per
continuare ad andare controcorrente.
Don Bosco gioca dalla loro parte.
Foto di gruppo all’esterno del Don Bosco Hotel.
Che cosa pensa la gente
dei salesiani?
I salesiani, essendo figli di don Bosco,
vivono di rendita. Don Bosco ha con-
quistato il cuore dei cambogiani, per-
ché ama indistintamente la gioventù
povera di qualsiasi religione, rispetta
le autorità, non si immette in politica
in modo diretto, educa i giovani ac-
compagnandoli fino all’inserimento
nella società con un lavoro dignito-
so. Tutto questo rende i salesiani ben
accolti sia dalla popolazione sia dalle
autorità.
Come vedi il futuro
della Congregazione
in Cambogia?
La presenza salesiana in Cambogia
si trova ad operare in una situazio-
ne, in alcuni aspetti, molto simile a
come don Bosco trovò la gioventù
per le strade di Torino, nelle prigioni,
bambini lavoratori sfruttati ed abusa-
ti. Il traffico di bambini attraverso il
confine, i bambini esposti al turismo
sessuale ed ai pedofili sulle spiagge di
Sihanoukville o sul lungo fiume di
Phnom Penh, i piccoli venduti dalle
famiglie semplici ed ignare a persone
che promettono un futuro da sogno
per quando cresceranno… tutte que-
ste sono situazioni che interpellano
noi salesiani ad intervenire rapida-
mente per prevenire e porre fine a
questi orrori. Molte famiglie vivono
in condizioni di estrema povertà. Le
statistiche mostrano che la popolazio-
ne in zone rurali si nutre con meno di
1 $ al giorno.
L’educazione, specialmente per la
preparazione a un lavoro, è la miglior
arma per sconfiggere l’ignoranza e la
povertà. In Cambogia siamo attual-
mente 16 salesiani dei quali due sono
cambogiani, facciamoci coraggio che
almeno noi qui, anche in futuro, non
saremo disoccupati!
Gennaio 2016
19

2.10 Page 20

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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 2
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
ricoLna oscenza
Esiste un sentimento che è costruttivo
e indispensabile per la famiglia,
i rapporti umani, l’educazione e la vita.
Sembra una cosa da niente.
È la fibra dell’amore e quasi nessuno ci pensa.
La chiamano “gratitudine” e con un sinonimo
molto bello “riconoscenza”.
Per don Bosco era importantissima.
Aveva perfino inventato una festa apposita.
E ra vicino l’inizio della stagione dei mon-
soni e un uomo assai vecchio scavava bu-
chi nel suo giardino.
«Che cosa stai facendo?» gli chiesero.
«Pianto alberi di mango» rispose.
«Pensi di riuscire a mangiarne i frutti?»
«No, io non vivrò abbastanza, ma gli alberi sì. Ho
pensato che per tutta la vita ho gustato manghi
piantati da altri. Questo è il modo di dimostrare
la mia riconoscenza».
Ringraziare
L’uomo moderno s’in-
digna, protesta, si vendica,
raramente ringrazia. Eppure
tutto quello che abbiamo, lo
dobbiamo a qualcuno. Co-
minciando dalla vita. Una
bellissima preghiera che un
tempo conoscevano anche i bambini comincia
così: «Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il
cuore. Ti ringrazio di avermi creato».
Dovremmo guardarci allo specchio ogni mattina
e ogni sera ringraziando per ciò che siamo, ciò
che abbiamo raggiunto, le gioie che abbiamo vis-
suto, i dolori che abbiamo superato e le lezioni
che abbiamo appreso. Dovremmo “riscoprire”
ogni giorno il miracolo dell’esistenza.
Meravigliarsi
« Sì».
«Sì? Ma ne hai mai vi-
sto uno?»
«Un miracolo? Sì».
«Quale?»
«Tu».
«Io? Un miracolo?»
«Certo».
«Come?»
«Tu respiri. Hai
una pelle morbida
e calda. Il tuo cuore
pulsa. Puoi vedere. Puoi
udire. Corri. Mangi. Salti. Canti. Pensi. Ridi.
Ami. Piangi...»
«Aaah... Tutto qui?»
Tutto qui. È tragico non essere capaci di meravi-
gliarsi. Il bambino si apre alla vita attraverso una
catena di “stupori” e di meraviglie. Il compito più
importante di un educatore è conservare questa
capacità nei ragazzi che crescono: sarà la quali-
tà più preziosa della loro esistenza. Perché chi sa
stupirsi non è indifferente: è aperto al mondo,
all’umanità, all’esistenza. Si viene al mondo con
questa sola dote: lo stupore di esistere. L’esisten-
za è un miracolo. Gli altri, gli animali, le piante,
l’universo, ci parlano di questo miracolo. E noi
siamo miracolosi come loro. Per questo dobbiamo
essere attenti e rispettosi.
Chi considera meravigliosa la vita, sente di amare
l’umanità, la rispetta in sé e negli altri. Donan-
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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do agli altri l’importanza che
meritano, noi scopriamo la
nostra importanza. La vita
ha un valore, una dignità.
Nessuno ha il diritto di de-
turparla.
Sentirsi amati
Alessio, tre anni, chiede alla sorellina: «Raccon-
tami la storia del lupo cattivo».
Lisa, dieci anni, risponde: «Ma no, non esistono
lupi cattivi, ci sono solo lupi infelici».
Non esistono uomini cattivi. Gli esseri umani
non sono cattivi, sono tristi. E i tristi diventa-
no cattivi. Sono tristi perché non percepiscono la
bellezza dell’esistenza.
La gratitudine è una virtù che nasce dalla gioiosa
umiltà di sentirsi amati e di lasciarsi amare. Non
è merce di scambio e non è “dovere”, ma purissi-
mo, gratuito amore. È il segreto della famiglia.
Significa dirsi a vicenda “Grazie perché esisti!” Si
tratta soprattutto di imparare a “vedere”, accor-
gersi del valore delle persone che vivono con noi,
di ciò che ci è accaduto o di qualcosa che magari
già era nostro e non sapevamo quanto meravi-
glioso fosse.
In questo modo si formano due qualità essenziali
dell’amore familiare. La prima è la stima. La se-
conda è il rispetto. Di qui nasce il vero collante
della famiglia: il piacere di stare insieme.
loro grato per
tutto ciò che hanno
fatto per te, anche
se e quando hanno
commesso errori.
Non invidiare chi
consideri essere più
fortunato, solo perché
ritieni che abbia o sia di più di te. Apprezza ciò
che nella tua esistenza c’è, non sottolineare ciò
che manca. E ringrazia di cuore.
Ogni persona che incontri sta combattendo con-
tro dolori di cui tu non sai niente. Sii gentile, offri
il tuo contributo e fa’ in modo che la tua presenza
sia sempre migliore della tua assenza. Sii grato
anche per chi non ti piace o per chi ti fa arrab-
biare: è proprio grazie a loro che puoi imparare,
crescere, migliorare e mettere in pratica un po’ di
pazienza, compassione.
La notte precedente la sua esecuzione, Jacques
Decour, un partigiano francese, scrive un’ultima
lettera alla famiglia: «Ora che ci prepariamo a
morire, pensiamo a ciò che verrà. È il momen-
to di ricordarci dell’amore. Abbiamo amato ab-
bastanza? Abbiamo passato molte ore del giorno
a meravigliarci degli altri uomini, a essere felici
insieme, a sentire il peso del contatto, il peso e
il valore delle mani, degli occhi, del
corpo?».
Diventare persone riconoscenti
Per coltivare la gratitudine nella quotidianità è
necessario viverla come un allenamento. Occorre
iniziare con piccoli pensieri quotidiani che vanno
poi tradotti in parole, che conseguentemente si
trasformano in azioni. Ecco alcuni semplici eser-
cizi quotidiani.
I tuoi genitori ti hanno donato quanto di più bel-
lo, importante e anche impegnativo esista: la vita.
Prenditi cura di loro con piccoli gesti quotidiani
(una telefonata, un sms, una sorpresa, …) e sii
Preghiera del grazie
Grazie è la preghiera felice
Di chi fa quel che dice.
Grazie è la preghiera forte
Di chi del cuore apre le porte.
Grazie è la preghiera grata
Di chi risponde con la risata.
Grazie è la preghiera quotidiana
Di chi fa una vita buona e sana.
Grazie è la preghiera migliore
Di chi è capace d’amore.
Gennaio 2016
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Con
,
percorriamo 1ns,I
l'avventura dello
ANS AGENZIA
INFO
SALESIANA

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STRENNA 2016
del Rettor Maggiore
Don Angel Fernandez Artime

3.4 Page 24

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
MARTA LODAVINA D’ROSARIO
Traduzione di Marisa Patarino
Le Missionary Sisters
of Mary Help of Christians
Le Missionary Sisters hanno aperto molte opere
in Africa.
La Congregazione
delle Suore Missionarie
di Maria Ausiliatrice
è la prima Famiglia
religiosa autoctona
dell’India nord-orientale.
È stata fondata
il 24 ottobre 1942
a Guwahati, nello Stato
dell’Assam, dal Salesiano
monsignor Stefano
Ferrando, vescovo
di Shillong
Comprendendo i segni dei
tempi e rispondendo alle
necessità contingenti, mon-
signor Ferrando fondò la
Congregazione con la fi-
nalità di compiere opera di
evangelizzazione e catechesi a favore
delle popolazioni che vivevano nelle
zone remote del nord-est dell’India,
alle quali le suore offrivano anche as-
sistenza sanitaria e istruzione. Monsi-
gnor Ferrando rimase profondamente
colpito dalla povertà, dall’analfabe-
tismo e dalle condizioni insalubri in
cui viveva la gente che abitava quella
regione, le cui difficoltà aumentarono
a seguito delle devastazioni provocate
dalla Seconda Guerra Mondiale. La
guerra impedì ai missionari, sacerdo-
ti e religiosi che lavoravano in quella
regione, di spostarsi liberamente per
aiutare le popolazioni locali che ave-
vano bisogno di aiuto. In quella situa-
zione, nove ragazze manifestarono la
vocazione alla vita religiosa e da quel
primo gruppo sorse la Congregazio-
ne. Monsignor Ferrando conferì alla
Famiglia religiosa spirito e spiritualità
salesiani. Aiutò le suore ad acquisire
la capacità di adattarsi alle situazioni
difficili in cui versavano gli abitanti
dei villaggi nei quali si recavano per
annunciare e diffondere il Vangelo.
Monsignor Ferrando affidò alle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice la nascente
Congregazione per la formazione e la
gestione. Nel 1968, quando la Figlia di
Maria Ausiliatrice Nellie Nunes con-
cluse il suo mandato, suor Magdalin
Surin, Vicaria Generale delle Suore
Missionarie di Maria Ausiliatrice,
guidò la Congregazione fino alla no-
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Gennaio 2016

3.5 Page 25

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mina di suor Mary Rose Thapa, che
nel 1970 diventò la prima Madre Ge-
nerale della Famiglia religiosa.
La Congregazione diventò Istituto di
diritto pontificio il 21 marzo 1977. È
stata ufficialmente riconosciuta come
ramo della Famiglia Salesiana l’8 lu-
glio 1986.
La Congregazione ha ora cinque
ispettorie in India, una delegazione in
Italia e una vice-delegazione in Afri-
ca. Le sue sedi provinciali si trovano a
Bangalore, Kolkata, Shillong, Tezpur
e Tinsukia, la sede della delegazione è
a Torino e la vice-delegazione si trova
nello Swaziland. Oggi la Congrega-
zione conta 1078 suore appartenenti
a 55 gruppi etnici che operano in 194
centri distribuiti in 57 diocesi in India,
Italia, Swaziland, Lesotho, Sudan del
Sud, a Johannesburg, in Mozambico,
in Etiopia e nelle isole Hawaii. La
Congregazione si dedica innanzitutto
all’evangelizzazione missionaria e alla
catechesi, soprattutto a favore delle
donne e dei bambini che vivono in
piccole comunità. Le suore lavorano
anche al servizio della Chiesa e della
società in scuole, pensionati, oratori,
dispensari, cliniche mobili, case di
riposo, orfanotrofi, case per bambini
di strada, centri di formazione profes-
sionale, scuole per diversamente abili
e centri di riabilitazione per portatori
di / . La Congregazione, che
vive all’insegna dello spirito salesia-
no, si impegna ad adottare i metodi
educativi di don Bosco.
Sopra: Una missionaria in Africa.
Sotto: Gioia in un cortile indiano, in pieno stile
salesiano.
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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Il fondatore
Monsignor
Stefano Ferrando
(29 settembre 1895 -
20 giugno 1978)
Quanto al vitto, le tribù
dell’Assam mangiano di
tutto, anche i bruchi neri
e pelosi. Io preferivo far
digiuno, il mio stomaco
non ce la faceva proprio.
Dormire si dormiva, do-
vunque, anche in capan-
ne che mal proteggevano
dalla pioggia, e davano
rifugio anche ai topi».
«Una notte ho dormito
nella baracchetta di due
lebbrosi. E un’altra volta,
svegliatomi al mattino,
fui sorpreso di trovare
tanti bambini attorno al
mio letto: silenziosi, con
le mani giunte, quegli
angioletti contemplava-
no come dormiva il loro
Vescovo».
Scrisse: «La mia giornata di Vescovo
missionario è stata lunga, lunghissi-
ma: è durata 34 anni. Ed è costella-
ta di tanti episodi, ora lieti ora tristi,
ma tutti penetrati dalla grazia di Dio.
Gesù creò le missioni quando disse:
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”.
Disse anche: “Ecco, il seminatore uscì
a seminare”. I missionari dell’Assam
non si sedettero certo sopra un tappeto
ad aspettare che i Khasi, i Naga, i Bhoi
andassero da loro. Uscirono a seminare,
furono instancabili camminatori. Di-
ventammo i commessi viaggiatori del
Vangelo. Che viaggi! Nei primi tem-
pi c’erano poche strade, e anche pochi
sentieri, ed era frequente smarrirsi nel-
la giungla, la giungla popolata di ani-
mali feroci che facevano sul serio, e più
di una volta i missionari passarono la
notte appollaiati sugli alberi in attesa
dell’alba: avventure per niente roman-
tiche! A Golaghat un giorno ascoltai le
confessioni per due ore di seguito, se-
duto sopra uno sgabello. Mi allontanai
un po’ per sgranchirmi, e quando tor-
nai mi fecero vedere: sotto lo sgabello,
ben acciambellato e tranquillo, se ne
stava un serpente velenosissimo. Per
fortuna non lo avevo disturbato. E le
zanzare? A milioni attaccano il povero
viandante inoculandogli anche la ma-
laria. I soldati americani che durante
la Seconda Guerra Mondiale vennero
a combattere i giapponesi, dicevano:
“II nemico n. 2 sono i giapponesi. Il
nemico n. 1 sono le zanzare”. Lo sono
anche per i missionari e per i vescovi.
Destinazione
Assam
Il giovane salesiano Stefa-
no Ferrando è insegnante
a Borgo S. Martino, ri-
ceve una comunicazione
dalla Direzione Gene-
rale: «Sei stato destinato
alla missione salesiana in
India, Assam. Guiderai
la spedizione dei novizi salesiani che
sta per partire. Tieniti pronto». Fu
maestro di vita salesiana e di spiritua-
lità solida per dieci anni filati.
Fu consacrato Vescovo, prima a Kri-
shnagar poi a Shillong. Cominciò la
sua nuova vita di «Vescovo itinerante».
I missionari lavoravano nelle prime
comunità cristiane sparse nelle valli e
sulle colline. In tutto l’Assam c’erano
solo quattromila cattolici. Ma le co-
munità crescevano, si moltiplicavano.
Ai suoi sacerdoti, il nuovo Vescovo
raccomandò: «Non potete convertire le
anime spostandovi in automobile; per
avvicinarle e risolvere i loro problemi
occorre camminare a piedi». E dan-
do loro l’esempio cominciò a spostarsi
continuamente, attraversando tutta la
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Gennaio 2016

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sua diocesi, dalle colline alle pianure,
per mantenere i contatti personali con
la gente. Nessuna difficoltà gli sem-
brava insormontabile: lo sosteneva una
fede salda. Camminava per chilometri
e chilometri tra foreste e paludi.
Quando nel 1945, finalmente, i mis-
sionari poterono tornare dai campi di
prigionia, «trovarono al loro fianco a
condividere il lavoro apostolico una
Congregazione di Suore indiane –
scrive monsignor Ferrando –. Avevo
raccolto in associazione 8 giovani ge-
nerose, e il 24 ottobre 1942 era nata
la Congregazione delle “Sorelle Mis-
sionarie di Maria Aiuto dei Cristiani”
(
)».
Ore liete e ore tristi
Alla mezzanotte del 15 agosto 1947
l’immensa India riacquistò la libertà
in un delirio di gioia. La Chiesa cat-
tolica si unì alla gioia generale suo-
nando a distesa le campane. Un anno
dopo il Governo centrale decise di
non ammettere più l’entrata di nuovi
missionari dall’estero.
Ottobre 1962. Le truppe armate del-
la Cina comunista superano i valichi
dell’Himalaya e si affacciano alla
pianura assamese. Poi, soddisfatte di
aver gettato nel panico tutta l’India,
si ritirano. Da quel momento, l’As-
sam diventa il «punto nevralgico»
dell’India. Tra le varie disposizio-
ni prese sotto l’urto dell’emergenza
c’è la disposizione: Via i missiona-
ri stranieri dall’Assam. «I cristiani
si levarono spontaneamente a loro
difesa organizzando manifestazioni
imponenti e appassionate – scrive
monsignor Ferrando –. Una delega-
zione di Khasi cristiani inoltrò alle
autorità dello Stato un memorandum,
che tra l’altro diceva: “Nessuno qui
sapeva leggere, non avevamo un al-
fabeto. I missionari hanno portato le
colline Khasi a un livello di istruzione
tra i più alti dell’India. Devono quin-
di restare e completare il loro lavoro”.
Per alcuni anni il Governo centrale
non osò insistere sugli ordini emana-
ti. Intanto noi lavoravamo alacremen-
te perché tutti i missionari stranieri
fossero sostituiti dagli indiani».
20 giugno 1969. Monsignor Ferrando
ha 74 anni e presenta le proprie di-
missioni al Papa, che le accetta. Un
altro salesiano indiano, monsignor
D’Rosario, è eletto Arcivescovo me-
tropolita di Shillong al suo posto. Al-
tri due salesiani indiani sono nomina-
ti Vescovi di Dibrugarh e di Tezpur,
nell’Assam. Prima di ripartire per
l’Italia, monsignor Ferrando consacra
uno di quei due Vescovi: si chiama
Robert Kerketta, ed è il ragazzino che
un giorno lontano gli ha detto: «Io
desidero diventare Vescovo», e a cui
ha risposto: «Va bene. Lo diventerai».
Una Sorella Missionaria in un ambulatorio
italiano.
Aveva trovato in Assam 4000 cattoli-
ci. Ne lasciava 500 000.
In Italia, il vecchio Vescovo missio-
nario si ritirò nella casa salesiana di
Quarto (Genova). E continuò a ser-
vire il suo Signore in umiltà. Scrive-
va nel 1970 sul Bollettino Salesiano:
«Qui in Italia mi domandano spesso:
“Come mai hai lasciato l’Assam
dopo 47 anni di vita missionaria?”.
Rispondo: “Perché finalmente è
spuntato il giorno che da 47 anni so-
spiravo, il giorno in cui la Chiesa in
India può far da sé!”».
Si spense nella pace del Signore il
20 giugno 1978. Nove anni dopo, le
sue figlie predilette, le Suore Mis-
sionarie di Maria Aiuto dei Cristia-
ni, vollero riavere presso di sé i resti
mortali del loro Fondatore. Il 12
dicembre 1987 l’urna di monsignor
Ferrando fu deposta nella cappella
del Convento di S. Margherita, a
Shillong, nella terra che era stata la
sua seconda patria.
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LE CASE DI DON BOSCO
ANTONELLO BONASERA
Riesi Un paese salesiano
voluto dal Papa
Quando arrivarono, settantacinque anni fa,
i Salesiani trovarono due sole chiese aperte
al culto, pochissime comunioni quotidiane,
organizzazioni cattoliche che vivacchiavano,
le altre due chiese abbandonate.
Oggi gestiscono quattro Parrocchie,
un Oratorio, una casa di riposo, il cine-teatro
Don Bosco con l’arena estiva, un campo
sportivo, Radio Catena e sono un importante
punto di riferimento per l’intero paese.
Parrocchia e
Oratorio Don
Bosco, il nuovo
polo della
salesianità
a Riesi.
“Figli miei amatissimi, il Signore vi
concede una grazia segnalatissima
che certo tutta la Diocesi vi invidie-
rà: l’invio in codesta dei benemeri-
ti figli di San Giovanni Bosco per
prendere la cura delle due parrocchie
ed esercitare tutto l’apostolato di bene che è nello spiri-
to della loro Congregazione…”.
Così scriveva ai riesini il vescovo monsignor Mario
Sturzo il 26 febbraio 1941, in occasione dell’inizio
della missione pastorale dei Salesiani a Riesi.
L’Opera Salesiana di Riesi fu voluta da un prete,
un Vescovo, un Papa. Fu infatti il parroco don
Ferdinando Cinque che si rivolse al Vescovo, il
quale a sua volta pregò il papa Pio XII che chia-
masse i Salesiani a Riesi.
Era il 2 marzo 1941 quando, acclamati da una
marea di fedeli ed accolti dalle autorità civili e
religiose, giunsero a Riesi don Crispino Guerra,
don Paolo Giacomuzzi, don Ettore Carnevale e
il sig. Luigi Guaschino, i quali si misero subito
all’opera con fede viva e gioiosa, affrontando ogni
difficoltà con spirito di sacrificio non comune.
In quel tempo Riesi era un paese di circa 23 mila
abitanti (oggi circa 11 mila), con una forte pre-
senza dei Valdesi da diversi decenni, con tre an-
ziani sacerdoti e il parroco ammalato. Riesi aveva
la necessità di una spinta nella sua salute spiritua-
le e monsignor Sturzo con gioia annunziava che
la proposta era stata accolta da Pio XII il quale,
mentre si scatenava la Seconda Guerra Mondiale,
aveva fatto richiesta al Rettor Maggiore, don Ri-
caldone, che aveva acconsentito ad iniziare questa
nuova opera voluta dalla S. Sede.
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La fatica di una missione
Nei mesi passati si era arrivati ad avere una sola
messa domenicale con la frequenza di una decina
di persone. I Salesiani trovarono due sole chiese
aperte al culto, pochissime comunioni quotidia-
ne, organizzazioni cattoliche che vivacchiavano,
le altre due chiese abbandonate. Il paese era diffi-
dente e gli stessi protestanti, dopo il periodo ini-
ziale, riscontravano enormi difficoltà.
Da quel giorno i Salesiani cominciarono con fati-
ca la loro missione a Riesi che li porterà a gestire
quattro Parrocchie, un Oratorio, una casa di ri-
poso, il cine-teatro Don Bosco con l’arena estiva,
un campo sportivo, Radio Catena, divenendo così
una vera e propria opera sociale oltreché religiosa
e un importante punto di riferimento per l’intero
paese. Inoltre nel 1965 arrivarono a Riesi anche
le Figlie di Maria Ausiliatrice completando così
l’opera educativa salesiana.
Nel corso degli anni si sono succedute a Riesi
figure di grandi Salesiani come don Paolo Gia-
comuzzi, don Vincenzo Scuderi, don Gioacchino
Casales, don Enrico Russo, don Michele De Pa-
squale ed altri ancora, ricordati dai riesini come
figli prediletti di don Bosco.
Verso la fine degli anni novanta e l’inizio del
nuovo millennio però, la Riesi salesiana vive una
flessione dovuta alla crisi del vecchio Oratorio di
Piazza Garibaldi, chiuso poi nel 2005, all’abban-
dono delle Figlie di Maria Ausiliatrice avvenuto
nel 2004, alla cessione della casa di riposo nel
2006. Nel frattempo però cresce e si sviluppa la
realtà della Parrocchia Don Bosco sita nella pe-
riferia del paese, nel luogo dove avevano operato
con grande impegno le Figlie di Maria Ausilia-
trice e nel 2006 sorge il nuovo Oratorio Don Bo-
sco che, poco alla volta, diventa un significativo
punto di riferimento per la gioventù riesina.
Attorno a questo nuovo polo di salesianità si è
sviluppato un ampio movimento giovanile che ha
portato oggi ad avere circa un centinaio di gio-
vani collaboratori non soltanto nel periodo estivo
ma durante l’intero corso dell’anno, una cateche-
si con oltre trecento ragazzi e varie espressioni
del carisma salesiano (Salesiani Cooperatori, Ex
Allievi, Associazione Musicale Don Bosco, Po-
lisportiva Don Bosco). Contemporaneamente i
Salesiani hanno iniziato una notevole attività so-
ciale improntata sulla legalità e sul rispetto delle
regole da diffondere non soltanto presso i ragazzi
e i giovani, ma nell’ambito di tutto il paese, cer-
cando di formare così “gli onesti cittadini” voluti
da don Bosco.
La seconda
serata analcolica
organizzata
dal patto etico
dell'Oratorio
salesiano.
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3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
Il 19 luglio 2013
si è svolta per
le vie di Riesi
la 4a marcia
per la legalità
organizzata
dall'Opera
Salesiana.
La marcia per la legalità
Il 2010 segna l’inizio di un nuovo percorso: il 19
luglio, anniversario della morte del giudice Bor-
sellino, i Salesiani organizzano per la prima volta
a Riesi la “Marcia per la legalità”. Un nugolo di
ragazzini accompagnati dagli animatori del Grest
e da pochissimi adulti percorre festosamente le
vie del paese gridando e cantando la volontà di
cambiamento e l’avversione ad ogni forma di il-
legalità. Quest’anno si è svolta la sesta edizione
della Marcia e il numero dei partecipanti, giovani
ed adulti, è cresciuto sensibilmente, ma soprat-
tutto è lievitato l’entusiasmo ed è sorta la con-
vinzione che è possibile un cambiamento anche
in un paese dove purtroppo l’illegalità è diffusa
a tutti i livelli.
Nel 2014 prende il via una nuova esperienza mol-
to significativa non soltanto per i giovani ma per
tutta la comunità riesina: il patto formativo ed
etico della città di Riesi.
Anch’esso nasce in sordina, grazie alla lungimi-
ranza di un dirigente scolastico, il prof. Giuseppe
Micciché, che contatta il nuovo direttore dei Sa-
lesiani, don Antonello Bonasera, proponendogli
di iniziare un movimento in rete di tutte le forze
educative del paese per fronteggiare il malesse-
re del mondo giovanile riesino che porta ad uno
stile di vita “spericolato” dedito all’uso di alcolici
e sostanze stupefacenti. Da questo primo contat-
to inizia un’esperienza di lavoro in rete secondo
una modalità originale che, partendo dal basso,
cioè coinvolgendo associazioni, scuole, chiese,
aggrega poi le istituzioni e che ha portato oggi
ad un’ampia collaborazione tra le forze di quasi
tutto il paese: Amministrazione Comunale, For-
ze dell’Ordine, Scuole, Movimenti, Associazio-
ni, Parrocchie, Oratorio, Chiesa Valdese, Chiesa
Ortodossa, esercizi commerciali, professionisti,
singoli cittadini e associati lavorano insieme per
condurre la gioventù di Riesi ad un vero e proprio
percorso di legalità in un contesto di prevenzione,
formativo ed etico.
Il 25 marzo 2015, alla presenza del dott. Sal-
vatore Cardinale, Presidente della Corte d’Ap-
pello di Caltanissetta, è stato stipulato il patto
che ha come principali obiettivi: perseguire
finalità comuni attraverso una serie di azioni
coordinate mirate al raggiungimento di obiettivi
specifici; assumere impegni reciproci con proprie
risorse, non necessariamente economiche, che
saranno esplicitati pubblicamente attraverso un
documento ed un logo che sintetizzi l’anima
del progetto; costituire una “rete di aiuto” per
fronteggiare i problemi, prima di tutto attraverso
il consenso. Successivamente le parti hanno ini-
ziato a mettere in pratica quanto stipulato at-
traverso lo svolgimento di varie attività, portate
avanti dalle singole parti secondo gli obiettivi
specifici e, al tempo stesso, attraverso la forma-
zione di tre commissioni che si occupano degli
aspetti principali del problema: la prima di ela-
borare un piano d’azione finalizzato al rispetto
delle regole in un contesto di prevenzione; la se-
conda di elaborare un piano d’azione finalizzato
all’attuazione di attività alternative per i giovani;
la terza di elaborare un piano d’azione finalizzato
alla formazione delle famiglie e dei giovani.
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Gennaio 2016

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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DUE DOMANDE AL DIRETTORE
Fin qui sono state svolte parecchie attività orga-
nizzate congiuntamente dai firmatari del patto e
tante altre sono in cantiere pronte a partire per
realizzare gli obiettivi inizialmente proposti. Il
cammino intrapreso si prospetta lungo e fatico-
so, irto di difficoltà e talvolta d’insuccessi, ma già
emergono i primi segni positivi quali una presa di
coscienza da parte di tutto il paese sul problema
dello sballo nel mondo giovanile, un maggiore e
più attento controllo da parte delle forze dell’or-
dine, una presenza attiva da parte di molti all’in-
terno del patto e una maggiore collaborazione
nell’organizzazione degli eventi.
Il patto formativo ed etico si rivela così un’idea
creativa, generativa e aggregativa, capace di su-
scitare interesse anche oltre i confini della nostra
piccola cittadina ed è un esempio pratico di ap-
plicazione del sistema preventivo di don Bosco a
tutti i livelli capace di coinvolgere quasi del tutto
l’intera realtà di Riesi.
Don Antonello, direttore di Riesi (terzo da sinistra), il professore
Micciché (quarto da destra) e i ragazzi del Grest 2015.
Quale ricaduta delle attività nel territorio di riferimento?
L’opera salesiana a Riesi si confronta quotidianamente con un contesto socia-
le molto complesso e problematico: illegalità, disoccupazione, emigrazione,
problemi del mondo giovanile, a cui siamo chiamati a dare risposte concrete.
Oggi il mondo giovanile vive una situazione molto delicata: uso di alcol e
stupefacenti già a 12-13 anni, spaccio, delinquenza minorile, alto tasso di di-
spersione scolastica, situazioni familiari molto degradate.
Il campanello d’allarme è suonato con l’escalation della “movida”, con episodi
di disordine, di violenza e d’illegalità più volte segnalati dai cittadini, di fronte
ai quali ogni istituzione si è ritrovata impotente nel fronteggiare tali fenomeni.
Il patto etico, così come le attività sulla legalità, fa sì che la nostra opera non si
limiti all’educazione alla fede di coloro che frequentano i nostri ambienti, ma
che abbia un’incidenza sulla qualità della vita dei riesini: è quello che in termini
tecnici si può definire “bilancio sociale”, ovvero la ricaduta concreta che
ha tutto ciò che mettiamo in opera sul cosiddetto bene comune. Questo è per
noi un vero e proprio termometro della situazione in un contesto così difficile.
Quali le nuove frontiere dell’Opera riesina?
Innanzitutto la collaborazione in rete. Una rete di aiuto, di sostegno che può
dar forza ad ogni nostra iniziativa. Afferma lo scrittore religioso statunitense
Thomas Merton: “No man is an island” (nessun uomo è un’isola), così anche
noi salesiani dobbiamo pensare che la nostra missione non è frutto di inter-
venti isolati, staccati dal contesto sociale, ma di azioni che vanno a raccordar-
si con ogni realtà presente nel circuito cittadino.
Poi il capitolo emigrati: a Riesi circa il 20 per cento della popolazione è com-
posta da stranieri provenienti soprattutto dall’est europeo. A tal proposito, la
presenza del Pope ortodosso all’interno del patto etico è senz’altro un segnale
positivo. L’integrazione degli stranieri dev’essere un obiettivo da perseguire,
anche nel nostro Oratorio.
Infine un modo nuovo di gestire l’Oratorio: il mondo giovanile spesso è fuori dal
nostro cancello, non solo fisicamente ma anche nei comportamenti, nello stile di
vita, negli orari (si esce a tarda sera e si rientra verso le prime ore del mattino).
Dobbiamo andare incontro ai giovani accogliendoli, accompagnandoli, uscen-
do fuori dagli schemi e spesso… anche dal cancello.
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LA MIA STORIA SALESIANA
CHIHIRO MORITO
Traduzione di Marisa Patarino
Il mio sogno
Questa è la storia molto
speciale di una vocazione
cristiana, salesiana
e missionaria giapponese.
Lo studente del secondo
anno di postnoviziato
Voglio essere come Chihiro Morito, SDB, nato
in Giappone, ma la cui vita
don Cimatti in Africa salesianaècominciata
in Africa (prenoviziato
e noviziato in Kenya,
postnoviziato in Tanzania)
racconta il cammino
che ha compiuto.
Quando avevo 18 anni mi tro-
vavo in un liceo buddista in
Giappone e un giorno, dopo
essere tornato da scuola, mi
ero concesso un pisolino. In
sogno mi comparve di fronte
uno strano uomo che mi invitò con un
gesto ad avvicinarmi a lui. Era così lu-
minoso che non riuscivo a guardarlo.
Ero molto spaventato e non riuscivo a
muovermi, mentre l’uomo continuava
a invitarmi a dirigermi verso di lui.
Quando mi svegliai, non riuscivo a
frenare le lacrime.
A 23 anni decisi finalmente di chie-
dere il battesimo, dopo aver seguito
un percorso di formazione con la gui-
da del sacerdote salesiano don Achile
Loro Piana, un missionario italiano
che viveva in Giappone da oltre 50
anni. L’anno successivo ricevetti il
sacramento della Confermazione a
Tokyo, nella parrocchia di Meguro.
A 24 anni sognai due giovani che
piangevano e compresi che le loro la-
crime erano di gioia. I due giovani mi
si avvicinarono e mi condussero in un
posto molto lontano, del quale non
avevo la minima idea. Alcuni anni
dopo, cominciai a lavorare per i sen-
zatetto di Tokyo e per le persone affet-
te da disturbi mentali come operatore
sociale psichiatrico. Un giorno seppi
che una persona senza fissa dimora era
stata ricoverata in ospedale perché era
ammalata di cancro e mi stavo recando
a farle visita in ospedale. Volevo però
comprare qualche regalo e dunque
passai in un negozio a Tokyo. Mentre
mi trovavo al terzo piano del negozio,
improvvisamente sentii una voce che
non avevo mai udito prima, completa-
mente diversa dalla voce interiore che
avvertivo ogni giorno mentre pregavo.
La voce disse: «Va in Africa e diventa
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Gennaio 2016

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sacerdote. Allora saprai che cosa devi
fare là». Da quel momento cominciai a
pensare ad andare in Africa per diven-
tare sacerdote».
Un viaggio in Africa
Non avevo alcun mezzo per andare in
Africa. Dopo un anno incontrai però
di nuovo don Loro Piana per la prima
volta dopo sette anni. Gli parlai della
chiamata che avevo avvertito. Alcuni
mesi dopo conobbi don Ferrington,
che all’epoca era delegato del Sudan,
nel corso della sua visita in Giappo-
ne, e gli parlai della mia vocazione.
Prima di partire dal Giappone, do-
vetti lasciare il mio lavoro e convin-
cere i miei genitori. Mia madre, che
è cristiana, accettò piangendo la mia
scelta, ma persuadere mio padre, che
è ateo, richiese molto tempo.
Nel 2011 decisi infine di lasciarmi
tutto alle spalle per seguire la chia-
mata del Signore, anche se si trattò
della decisione più difficile della mia
vita. Andai a Wau, nel Sudan del
Sud, per lavorare come volontario tra
i ragazzi di strada. Ho emesso la pri-
ma professione nel 2014 a Nairobi e
adesso studio filosofia e scienze della
formazione a Moshi, in Tanzania.
Nell’estate del 2015, tornai in
Giappone per la prima volta
come Salesiano professo dopo
aver frequentato il primo
anno di postnoviziato.
Fui invitato molte volte a
pranzo o a cena da parenti e
Sotto il titolo: Da sinistra, mamma e
sorella, don Achille Loro Piana e Chihiro.
Accanto: Chihiro con due piccoli amici
africani.
amici. In Africa avevo perso sette chili,
ma ne ho riacquistati sei solo nel corso
delle quattro settimane di visita ai miei
familiari in Giappone! Naturalmente
ho avuto il grande privilegio di incon-
trare l’ispettore salesiano don Mario,
alcuni altri Salesiani, il Nunzio Apo-
stolico in Giappone, molti catechisti
e ho ricevuto testimonianze delle sof-
ferenze spirituali che la gente vive in
Giappone.
Nel corso della mia vacanza ho sco-
perto che non sono chiamato da Dio
a rimanere in cima a una montagna,
ma a stare con i giovani, soprattutto
con quelli che non sono amati e ac-
colti nella nostra società, a essere la
povertà di Cristo, l’umiltà di Cristo
e l’obbedienza di Cristo. Ho capi-
to che devo vivere un atteggiamento
interiore improntato a una semplicità
più profonda per comprendere ciò che
Dio ci ha donato.
Dopo aver prestato la mia opera tra
la gente della Delegazione del Sudan
( ) di cui faccio parte da 10-20
anni, sogno di andare in missione in
un Paese in cui non c’è nessun Sale-
siano, come la Somalia, e, se questa è
la chiamata di Dio, vorrei essere un
martire come il vescovo monsignor
Luigi Versiglia e don Callisto Cara-
vario, per essere buona terra per i
cristiani e i non cristiani là.
Per affrontare il tema dell’ateismo
e del secolarismo, penso che non
dovremmo cominciare con la
dimostrazione dell’esistenza
di Dio, ma con la solidarie-
tà con gli esseri umani, con
la disponibilità a soffrire e a
vivere insieme con i piccoli.
Ora però il mio sogno è di-
ventare un umile Salesiano
come don Cimatti.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Quattro pause
intelligenti
Diamoci una calmata,
per favore. Siamo così travolti
dal mito dell’accelerazione che
tutto ci scorre addosso senza
gusto, senza sapore. Sì, chi ha
inventato la fretta, ci ha rubato
la vita! È tempo di riscoprire
il valore delle pause intelligenti.
Nell’acqua corrente non si
vedono le stelle. I fiori ar-
tificiali si fanno in un gior-
no solo ma restano sempre
senza profumo. Insomma,
la fretta ci fa lo sgambetto!
La fretta insidia tutto, a partire dall’e-
ducazione. Solo le pause costruiscono.
A condizione che siano intelligenti,
come le quattro che proponiamo.
La pausa tavola
È incredibile la valenza educativa del
mangiare seduti attorno ad una tavola!
A tavola si esperimenta la bellezza
dello stare ‘insieme’ e non solo ‘accanto
come le sedie.
A tavola si parla. Per questo non si
invita mai la televisione, né a pranzo
né a cena.
Ancora per questo si disattivano
tutti gli strumenti della comunica-
zione digitale (telefonini, tablet, iPad,
smartphone…).
A tavola ci si rilassa. Non si fa l’in-
terrogatorio di sesto grado per inda-
gare su un insuccesso scolastico.
A tavola si ride. Si mettono tra pa-
rentesi fastidi e preoccupazioni.
A tavola ci si colloca l’uno davanti
all’altro perché gli occhi possano in-
crociarsi e parlarsi.
A tavola non ci si accorge solo se la
minestra è cattiva, ma anche quando
è buona, per ringraziare chi l’ha pre-
parata.
A tavola i cibi si gustano, non si
trangugiano.
In una parola, a tavola si comprende che
non è per nulla esagerato ciò che dice il
nostro regista cinematografico Erman-
no Olmi (1931): “Tutti i libri del mondo
non valgono un caffè con un amico!”.
La conclusione si impone: la pausa ta-
vola è da salvare ad ogni modo, almeno
una volta al giorno, preferibilmente di
sera, per la cena!
Dunque ci mettiamo d’accordo per-
ché nessuno manchi, anche a costo di
qualche sacrificio.
La famiglia si costruisce di sera, sedu-
ti attorno al tavolo!
Quello di casa, in primo luogo, e, di
tanto in tanto, attorno a quello della
pizzeria.
Il portafoglio potrà forse essere un po’
dissanguato, ma l’incremento della
tenuta della famiglia e del suo potere
educativo è assicurato!
La pausa panchina
Sedersi su una panchina, estrarre un
libro dalla tasca e mettersi a legger-
lo è una seconda pausa intelligente.
Com’è intelligente la lettura! La let-
tura sfama lo spirito. La lettura è l’an-
tiruggine del cervello. È uscire da sé
e incontrare qualcuno. Chi legge vive
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due vite: la sua e quella dello scrittore.
In una parola: la lettura è la medicina
più efficace per le anime anoressiche
e rachitiche. Che cosa vogliamo di più
per convincerci del potenziale educa-
tivo della pausa panchina?
La pausa ecologica
Fanno paura i ragazzi che conosco-
no ogni cosa del computer, ma non
sanno nulla della poesia del chiarore
della luna, del profumo del glicine,
della simmetria delle stelle marine,
della raffinatezza delle libellule. Sono
ragazzi disincantati, aridi, senza vi-
brazioni interiori.
Ragazzi che non hanno mai speri-
mentato la pausa ecologica.
Pausa necessaria!
Abbiamo bisogno di sentire il ton-
fo delle castagne, di contemplare il
mare, di accarezzare un fiore.
La pausa ecologica è terapeutica. È
provato che gli ammalati che vedono
alberi dalla loro camera guariscono
prima degli ammalati chiusi in came-
re cieche.
È accertato che il contatto con la na-
tura abbassa la tensione, attenua l’ag-
gressività, rende piacevole la vita. Il va-
lore umanizzante della pausa ecologica
è così sicuro che qualcuno è arrivato a
dire che contemplare il tramonto do-
vrebbe essere prescritto dal medico!
Da parte nostra siamo certi che i ra-
gazzi che non possono godere della
pausa ecologica, non ringrazieranno
mai d’essere nati!
La pausa preghiera
Lo scrittore fiorentino Giovanni Pa-
pini (1881-1956) era solito dire che
per innalzarsi (il che è come dire: ‘per
educarsi’) l’uomo ha bisogno di inginoc-
chiarsi”. No, nessuna esagerazione!
La pausa preghiera è una pausa supe-
riore.
La preghiera ingentilisce l’io (ricor-
da che esiste il “Grazie”); tonifica l’io
(è una vera e propria forza); dilata l’io
(invita a decentrarsi, ad uscire da sé); lo
rende profondo (pregare è indagare sul-
lo stato della propria salute spirituale).
Sono brevi cenni, comunque tutti ri-
gorosamente giustificabili, come ab-
biamo fatto altrove.
Brevi cenni ma forse sufficienti per
convincerci che chi decide di cammi-
nare con la schiena dritta dal mattino
alla sera non può fare a meno di rita-
gliarsi un quarto d’ora di tempo ogni
giorno per bisbigliare con Dio.
È inutile remare,
se non si sa dove andare
Ecco le nostre quattro preziose pause
pedagogiche concentrate al massimo,
per avere un breve spazio ancora per
una confidenza.
Molti lettori, forse, stanno pensando
all’ingenuità delle nostre proposte
che appaiono mille miglia lontane
dalla realtà concreta. Impraticabili!
Sì, avete ragione! Facile è scrivere,
difficile è vivere!
Può sembrare ironico suggerire di
contemplare il tramonto quando, di
fatto, si è circondati da muri di ce-
mento armato!
Ingenuo il richiamo alla preghiera
quando le menti sono cariche di mille
preoccupazioni…
Sì: facile è dire, difficile è agire!
Però ci pare di poter subito aggiunge-
re che anche il “dire” ha la sua impor-
tanza insostituibile.
Le parole indicano una meta ideale da
raggiungere. Guai se mancasse tale
segnaletica.
Le nostre parole non vogliono colpe-
volizzare alcuno; tanto meno scorag-
giare.
I genitori non sono da rifare: sono da
aiutare!
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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il travaglio
dell’assenza
Anche i giovani adulti del terzo millennio,
sebbene non sempre capaci di tradurre
in parole il proprio anelito di infinito,
si sentono spesso “orfani” di Qualcuno
che li trascenda e non di rado riscoprono
una spiritualità profonda.
Invocato, negato, smarrito, ritrovato: i giovani
adulti parlano di rado del loro rapporto con
Dio e spesso, pur vivendo con sofferenza il
vuoto di un’assenza che riecheggia silenziosa
negli spazi più intimi del loro cuore, fanno fa-
tica a confessarlo ad alta voce.
Sarai distante o sarai vicino,
sarai più vecchio o più ragazzino,
starai contento o proverai dolore,
starai più al freddo o starai più al sole.
Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove attraccare.
Se chiamo forte potrai sentire,
se credi agli occhi potrai vedere,
c'è un desiderio da attraversare
e un magro sogno da decifrare.
Conosco un posto dove puoi tornare,
conosco un cuore dove attraccare...
Talvolta, questa difficoltà deriva dalla scarsa abi-
tudine a guardarsi dentro, dal timore di provare
un senso di vertigine affacciandosi su quel vuo-
to, da cui riemergono prepotenti le domande di
senso che abitano l’interiorità. In altri casi, essa
è figlia del pudore che accompagna l’esperienza
della fede in modo proporzionalmente crescente
all’avanzare dell’età, rendendo sempre più arduo
l’impegno della testimonianza. Più spesso l’inca-
pacità di dare un nome alla propria nostalgia di
infinito è il frutto di un profondo travaglio inte-
riore che non riesce ad esprimersi a parole, della
lotta ingaggiata con se stessi lungo il cammino
impervio e faticoso che conduce ad aprirsi pie-
namente e a lasciarsi provocare dal mistero di un
Dio, nostro malgrado, presente.
Eppure la dimensione del trascendente non è
affatto assente dall’orizzonte dei giovani adul-
ti. Persino chi sceglie di negare radicalmente
l’esistenza del divino non può esimersi dallo
sperimentare nella propria vita quella sete di
totalità che avvince ogni uomo. Anzi, molto
spesso, proprio coloro che con maggior luci-
dità prendono le distanze dall’esperienza del-
la fede e mettono sotto accusa i vicoli ciechi
cui essa conduce avvertono più acutamente il
dolore dell’assenza. Vi è, poi, chi nella ricerca
instancabile del grande Assente, pur restando
ammutolito di fronte al Suo mistero, riconosce
il proprio insopprimibile bisogno di verità e di
accoglienza e si lascia attraversare dallo stupo-
re del Totalmente Altro, aprendosi all’incontro
con un “Dio possibile”.
Quel che accomuna tutti, al di là delle sfumature
che assume in ciascuno il travaglio dell’assenza,
è l’ineffabilità dell’invocazione, il desiderio del
ritorno, la nostalgia di un porto sicuro in cui
trovare ristoro e attraccare le vele dopo i perigli
della navigazione. Di fronte alla solitudine della
traversata e alle infinite peregrinazioni nel mare
aperto della ricerca di senso, il volto del Dio amo-
revole diviene stella polare, faro nella notte, guida
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sicura, motivo di speranza. Il suo oblio, al con-
trario, è fonte di smarrimento, lontananza, afasia,
insensatezza.
Ne sono ben coscienti anche i giovani adulti del
terzo millennio che, sebbene non sempre capaci
di tradurre in parole il proprio anelito di infinito,
si sentono spesso “orfani” di Qualcuno che li tra-
scenda e non di rado riscoprono una spiritualità
profonda, che si alimenta del dialogo quotidiano
con un Dio incarnato, venuto non ad offrire ri-
sposte certe e facili scorciatoie, ma a sovvertire
e rimettere in discussione ogni nostra domanda.
Il percorso della fede non è mai esente da dubbi,
ritardi, incertezze e deviazioni, e ciò appare tanto
più vero in corrispondenza del passaggio delicato
verso l’adultità, quando i dubbi si fanno più con-
sapevoli, i ritardi più pervicaci, le incertezze più
inquiete e le deviazioni più audaci. Ma è proprio
nella consapevolezza, nella pervicacia, nell’in-
Piovono petali di girasole
sulla ferocia dell'assenza;
la solitudine non ha odore
ed il coraggio è un'antica danza.
Tu segui i passi di questo aspettare,
tu segui il senso del tuo cercare.
C'è solo un posto dove puoi tornare,
c'è solo un cuore dove puoi stare...
(Fiorella Mannoia, L'assenza, 2001)
quietudine e nell’audacia che può mettere radici
una fede più matura, frutto non dell’abitudine o
di una superficiale devozione, ma di una ricerca
senza fine incontro alla mano protesa di un Dio
che ci attende.
Una fede capace di provocare continuamente il
nostro cuore e la nostra intelligenza di giovani
adulti assetati di verità e di tradursi, proprio per
questo, in testimonianza verace.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco...
visto da lontano
Un educatore, un santo vicinissimo al popolo
Don Bosco visto da vicino lo
conosciamo tutti: lui stes-
so ha scritto molto di sé ed
abbiamo anche migliaia di
pagine di testimoni per lo
più salesiani. Ma come don
Bosco è stato visto fuori delle case
salesiane ossia dai laici o anche dal
clero non salesiano? Quale è stata
l’immagine recepita dall’opinione
pubblica mondiale nell’ultimo decen-
nio della sua vita fino alla svolta sto-
riografica del dopoconcilio?
Alla ricerca delle fonti
per una risposta
La domanda se la sono posta i 38 re-
latori del Convegno internazionale di
Torino (“Percezione della figura di don
Bosco all’esterno dell’opera salesiana dal
1879 al 1965”) che l’ (Associa-
zione Cultori Storia Salesiana) ha or-
ganizzato dal 28 ottobre al 1° novem-
bre 2015, praticamente a chiusura del
bicentenario della nascita di don Bosco.
Essi, in una ventina di Paesi di quat-
tro continenti, hanno tentato di dare
la risposta mettendosi alla ricerca
della figura di don Bosco nei libri
di storia della pedagogia, in riviste
didattiche, in biografie, in scuole di
vario tipo intitolate al santo, in centri
sportivi, carceri, sale cinematografi-
che o teatrali, colonie estive, parroc-
chie, chiese, cappelle. Hanno cercato
l’impronta della sua persona e del suo
metodo educativo nei seminari dio-
cesani, in altre Congregazioni Reli-
giose, in gruppi di diverso interesse.
Soprattutto hanno sfogliato la stampa
internazionale, laica e religiosa, ci-
nese compresa, in particolare intor-
no alle date significative della morte
(1888), della beatificazione (1929) e
canonizzazione (1934). La ricerca si è
ampliata con l’identificazione di una
serie infinita di monumenti, statue,
quadri, mosaici, letteratura popolare,
musica, canzoni, strade, piazze, quar-
tieri, giardini, parchi, centri sociali
dedicati a don Bosco (definito santo,
prete, educatore, pedagogista, filan-
tropo…). Per finire con l’area politica
che in America ha dato il suo nome
a regioni, paesi, stazioni ferroviarie,
giornate nazionali della gioventù…
Quale risposta
interpretativa?
La risposta interpretativa è complessa,
dato che ogni epoca legge i fatti della
storia secondo la propria ottica, ri-
spondendo alle proprie domande. E
così è stato per don Bosco, che è stato
interpretato secondo le situazioni po-
litiche, sociali, economiche, cultura-
li, religiose dei singoli Paesi lungo i
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Gennaio 2016

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decenni qui considerati. Ad esempio
a fronte della “questione sociale” che
travagliava mezza Europa a caval-
lo del secolo, don Bosco dal mondo
cattolico è stato visto come il pionie-
re dell’azione sociale cristiana (pre-
cursore del grande movimento della
moderna Gioc e dell’Azione Cattoli-
ca) che controbilanciava la secolariz-
zazione della società portata avanti
dal liberalismo e del socialismo ed il
monopolio statale della scuola in tanti
paesi. Allo stesso modo l’interpreta-
zione della sua figura di intransigen-
te ma dialogante con tutti al tempo
del papa “prigioniero in Vaticano” è
“sfruttata” al tempo dei Patti Late-
ranensi, allorché il fascismo tentò di
appropriarsi per motivi politici del
nuovo beato e del nuovo santo. Ana-
logamente in Argentina. In Scozia
negli anni venti don Bosco è stato
nominato patrono del sindacato dei
Maestri cattolici, che chiedevano il
riconoscimento statale dei loro diritti.
In Italia la rivista degli oratori mila-
nesi per mezzo secolo ha fatto conti-
nuo riferimento a don Bosco e al suo
metodo educativo, sospinto in ciò dai
loro arcivescovi. E si potrebbe conti-
nuare con l’India dove la teologia po-
polare “secolare” di don Bosco è stata
accolta in alcuni ambienti educativi
nelle tribù del nord Est ma anche nel
sud; con le cattoliche Filippine che gli
hanno dedicato scuole, club, cliniche;
con la buddista Tainlandia che in de-
terminate scuole ha diffuso il metodo
educativo di don Bosco, quel metodo
che si cerca oggi di esportare in Malì
dove si confronta e scontra con il si-
stema repressivo in vigore nel paese.
Un momento di preghiera durante il convegno degli storici salesiani nella chiesa di San Francesco di
Sales a Valdocco.
Piacevoli sorprese
Al convegno non sono mancate le
piacevoli sorprese. Nella laicissima
Francia, dove si approvavano leggi
ostili alla chiesa e soprattutto alle
congregazioni religiose, don Bosco
veniva invece celebrato, ammirato,
osannato dal sentire popolare, che lo
riconosceva come un nuovo san Vin-
cenzo de’ Paoli, un nuovo san Fran-
cesco di Sales, un nuovo santo curato
d’Ars, un taumaturgo di altri tempi.
Evidentemente il cuore del popo-
lo francese non batteva all’unisono
con i propri governanti. In Brasile
allorché si discuteva dove colloca-
re la capitale federale del Paese e vi
erano opinioni politiche diverse, alla
fine ebbe la meglio l’area di Brasilia
“sognata” settanta anni prima da don
Bosco.
In Slovenia i salesiani faticarono
non poco a far capire che l’opera
dell’apprezzatissimo don Bosco non
era prevalentemente rieducativa, ma
preventiva.
Bilancio finale
L’icona di don Bosco fino alla metà
del secolo scorso è stata recepita un
po’ ovunque nell’immaginario popo-
lare. Don Bosco è risultato un santo
amatissimo e simpaticissimo e i Sa-
lesiani con lui. La sua immagine è
apparsa molto più vicina al popolo,
alle famiglie, alle comunità locali che
costituivano il tessuto reale di un Pae-
se, che non ai piani alti della società,
della cultura e delle istituzioni dove
ha faticato (e fatica tuttora) a farsi
ascoltare. Quello che è certo è che la
sua immagine è entrata di prepoten-
za nella geografia culturale, religiosa,
sociale, educativa, missionaria della
prima metà del secolo . Si è poi
modificata nella stagione storiografi-
ca dei decenni successivi, rimanendo
comunque sempre un educatore dal
volto umano, affabile, vicino al popo-
lo, un santo italiano ma significativo
a livello internazionale. Non per nulla
ha avuto una sua “casa” pure all’Expo
di Milano appena conclusa.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo
il Venerabile don Giuseppe Quadrio.
Nato a Vervio (Sondrio) il 28 novembre 1921,
scopre la sua vocazione salesiana a seguito
della provvidenziale lettura di una biografia di
don Bosco. Il 28 settembre del 1933 fa l’ingres-
so nella casa salesiana di Ivrea, con il desiderio
di diventare missionario. I superiori, accorgen-
dosi delle sue qualità intellettuali e morali, lo
indirizzarono all’Università Gregoriana di Roma per gli studi filosofici
e teologici. Difende in forma brillante la tesi dottorale relativa al dog-
ma dell’Assunta. Diventato sacerdote nel 1947, dedica tutta la sua vita
come docente e formatore nella facoltà di teologia di Torino-Crocetta,
ricoprendo dal 1954 al 1959 il compito di decano. La sua vita, con l’af-
facciarsi del linfogranuloma, si arricchisce maggiormente di interiorità
e offerta. Si spegne il 23 ottobre 1963. Dal 2009 è venerabile.
La sua santità può essere riassunta nell’essersi fatto “trasparenza di
Cristo”, nella sua bontà misericordiosa, nella sua mitezza, nella sua
accoglienza, nella sua tenerezza, nella sua solidarietà con l’uomo,
ma anche nel suo martirio in sacrificio di soave odore. Come in-
segnava agli altri, realizzò nella propria persona l’incarnazione del
Christus hodie”. Si può dire che in lui si sono di nuovo fatte pre-
senti “la benignità e l’umanità del nostro Salvatore”. Fu veramente,
sempre e con tutti, “il professionista della tenerezza di Dio”.
PREGHIERA
O Spirito Santo,
che con l’intervento della Vergine Ausiliatrice,
hai ispirato a don Giuseppe Quadrio
il proposito efficace di farsi santo alla scuola di don Bosco
e lo hai reso modello di sacerdote e di educatore
in tutto conforme al Sommo Sacerdote ed Apostolo Gesù,
fa’ che il suo esempio ed il suo insegnamento
attiri molti giovani alla vita religiosa e apostolica,
e concedi a noi, che ne impetriamo la glorificazione,
la grazia... che ti chiediamo,
interponendo la sua intercessione.
Amen.
Ringraziano
Ringrazio san Giovanni Bosco
e san Domenico Savio per le
grazie ricevute in questi cinque
anni. Nel 2010, dopo tre aborti
spontanei, finalmente è nata la mia
bambina Mariagiovanna, grazie
a san Domenico Savio e al suo
abitino. Nel 2015 mio marito si è
ammalato all’improvviso con una
malattia rara che lo ha portato in
rianimazione. Era il mese di gen-
naio e ho pregato intensamente
san Giovanni Bosco. Mio marito
aveva sul comodino la sua imma-
gine. A febbraio è uscito dalla riani-
mazione e piano piano si è ripreso.
Ancora oggi si trova in un centro
di riabilitazione. Tra qualche mese
dovrà subire un intervento e con-
tinuo a ringraziare e pregare san
Giovanni Bosco affinché lo aiuti
a guarire completamente e possa
ritornare a essere il padre per la
nostra bambina Mariagiovanna, il
cui nome è dedicato a Maria Ausi-
liatrice e san Giovanni Bosco.
Grazia Lorizzo, Andria (BT)
Ringrazio san Domenico Sa-
vio, don Bosco, Mamma Mar-
gherita e Maria Ausiliatrice
per essere stati vicini alla mia
mamma durante un periodo mol-
to difficile. Grazie a loro è andato
tutto bene. Sono immensamente
grata e commossa per la grazia
ricevuta e sono sicura che conti-
nueranno sempre a proteggerci e
a vegliare su di noi.
Katia Toscano, Pieve di Teco (IM)
Ringrazio Maria Ausiliatrice e
don Bosco per aver aiutato mio
figlio Valerio a uscire dalla de-
pressione e a sistemarsi sia lavo-
rativamente che famigliarmente.
P.L., Lanzo T.
Sono la mamma di Giuseppe, un
bambino di tre anni. La sera le 25
luglio 2015, appena messo a letto
mio figlio, mi accorsi che aveva
febbre alta: 39°. Lì per lì non me ne
preoccupai molto; infatti per i gior-
ni seguenti manifestò solo inap-
petenza. Ma nella mattinata del
28, avendo cominciato a vomitare,
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
L’11 novembre 2015, nel cor-
so del Congresso peculia-
re dei Consultori teologi
è stato dato parere positivo,
con tutti i voti affermativi, in
seguito all’esame della Positio
relativa alla fama di santità e
all’esercizio delle virtù eroiche
del servo di Dio don France-
sco Convertini, salesiano di
don Bosco, nato a Cisternino
(Brindisi), contrada “Marinel-
li” il 29 agosto 1898 e morto a
Krishnagar (India) l’11 febbraio
1976, grande missionario del
vangelo nel Bengala.
pensai ad un virus intestinale e ne
informai per telefono il pediatra. Lo
portai ad un controllo e quindi lo
sottoposi ad una visita dalla quale
risultò tutto nella norma. Tuttavia
la dottoressa, notando nel bam-
bino molta debolezza, ordinò di
ricoverarlo. Venerdì 31 luglio in
seguito a vomito, i medici scopro-
no grossi problemi all’addome e
decidono un intervento chirurgico.
Io accompagno il mio piccolo Giu-
seppe in sala operatoria: con una
mano stringo la sua e con l’altra
tengo stretto l’abitino di san Do-
menico Savio, pregandolo di
intercedere per noi. Trascorso un
certo tempo esce dalla sala una
dottoressa che mi dice: “Signo-
ra, si tratta di appendicite acuta,
perforata con peritonite”. I medici
non si spiegano come mai gli esa-
mi fatti in tale condizione abbiano
evidenziato tutto nella norma. Giu-
seppe trascorse in ospedale il 10
agosto, suo terzo compleanno, e vi
rimase fino al giorno 16, quando
potei portarlo a casa guarito. Il mio
bambino Giuseppe quel 31 luglio
è come nato per la seconda volta,
poiché sono certa che Domenico
Savio era presente a guidare la
mano dei dottori.
Tanca Rosato, Palermo
40
Gennaio 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
OMERO PARON
DON SEVERINO
CAGNIN
Morto a Mestre
il 7 giugno 2015,
a 81 anni
Don Severino Cagnin salesiano
giornalista pubblicista. Nel suo
biglietto da visita possiamo ag-
giungere un neologismo: “comu-
nicatore”. Fu uomo di comunica-
zione, appassionato cultore della
comunicazione sociale. Di certo
per le sue molteplici attività nel
campo delle scienze sociali, ma
non solo, per lui “comunicare”
era la sua vita, un modo gioioso
tutto suo per incontrare le perso-
ne e poter parlare e stare insieme.
Senza esagerare, erano fiumi di
parole. E sagge, sempre appro-
priate. Passava dai fatti del giorno
alle questioni politiche o religiose
di attualità con tanta naturalezza.
Aveva un parlar forbito, non ricer-
cato. Lo si ascoltava volentieri. Un
bagaglio di notizie non indifferen-
te ricavato dai suoi studi lettera-
ri, dalle letture, dai suoi viaggi.
Leggeva più quotidiani, riviste,
libri. Ne aveva tanti che li trovavi
disseminati per la sua stanza an-
che sul pavimento. Buon lettore,
gli piaceva regalare libri in occa-
sione di feste o ricorrenze. Non gli
bastava il cartaceo. Cliccava sul
computer e da principiante navi-
gava sul web in cerca di notizie.
Ultimamente, degente in inferme-
ria, non potendo muoversi, aveva
aperto un blog per non perdere il
contatto con il suo mondo.
Gli piaceva fermarsi a tavola a
lungo sbecolando tra un dire e
l’altro. Gli amici lo invitavano
spesso a pranzo proprio per sen-
tirlo parlare e conversare con lui.
Anche la scuola fu per lui un
campo dove poter “comunicare”.
Insegnante competente seguito
dai suoi allievi andava oltre i libri
di testo e spaziava su opere di au-
tori moderni e contemporanei. Fu
anche autore e collaboratore per
edizioni di testi scolastici.
Oltre la scuola, l’interesse dedica-
to al campo della Comunicazione
Sociale lo fece conoscere ad un
vasto pubblico. È stato membro
della Consulta Comunicazioni
Sociali della diocesi di Treviso.
Giornalista pubblicista, collabo-
rava a varie riviste: Dimensioni,
Note di Pastorale Giovanile: a pe-
riodici come il Bollettino Salesia-
no. Diede vita e diresse per molti
anni il periodico Astori Notizie.
Non poteva mancare l’interesse
per “comunicare” via etere attra-
verso la radio. Con non poca fa-
tica, iniziò le trasmissioni di Ra-
dio Astori che diresse per lungo
tempo. Per la Biblioteca Astori ha
curato l’Archivio Giuseppe Berto,
scrittore moglianese, contenente
opere inedite, tesi di laurea, do-
cumenti bibliografici.
Un mezzo di comunicazione a cui
teneva tanto è stato il “Cineforum
studentesco”. Selezionava con
cura il cartellone degli spettacoli,
invitava a presentarli registi (ven-
ne anche Olmi) e attori conosciu-
ti alla mostra cinematografica di
Venezia e con i quali era in ami-
cizia. Serate che si protraevano in
commenti e conversazioni fino a
tarda sera.
Uomo della comunicazione. Così
lo ricorderemo, aperto a tutto e
a tutti, fratelli, amici, al mondo
dell’arte. Tutte le arti perché era
convinto che il “bello” facesse
parte della creazione di Dio.
DON GIUSEPPE
POLO
Morto a Mestre,
il 3 novembre 2014,
a 80 anni
Cinquant’anni non sono pochi.
Sono gli anni che don Giuseppe
Polo ci ha messo per conquistare
il cuore della gente di Mogliano.
L’abbiamo capito il giorno del suo
addio alla città. Quanti erano ve-
nuti per salutarlo non ci stavano
tutti nella chiesa del Collegio.
Amici, autorità, collaboratori,
estimatori, simpatizzanti, padri e
figli dei suoi exallievi. Tutti per
dirgli “grazie” e toccare ideal-
mente la sua bara per un ultimo
addio.
Don Giuseppe era arrivato a Mo-
gliano nel 1964 fresco di studi.
Campo di lavoro l’insegnamento
di lettere, storia e geografia nella
scuola media. La sua passione
di educatore e studioso invaderà
anche altri campi. Ma loro, i “ra-
gazzi”, saranno sempre nei suoi
pensieri, oggetto di fatiche e an-
che soddisfazioni.
Amava i giovani. Viveva per e
con loro. Attività, sacrifici, nulla
risparmiava. Li seguiva passo
passo tutto il giorno nello studio,
nel refettorio. Nel cortile era l’a-
nima del gioco, attento a quanto
serviva perché la ricreazione
fosse di loro gradimento. Li oc-
cupava anche nel fine settimana
coinvolgendo le loro stesse fa-
miglie. Programmava uscite nei
luoghi storici del territorio e oltre.
Mete preferite: la laguna vene-
ta e i luoghi della prima guerra
mondiale. Preparava schede con
informazioni storiche, culturali,
ambientali sulla flora e fauna lo-
cale. Coinvolgeva i ragazzi e gli
stessi genitori in gare di cucina,
caccia al tesoro e concorsi foto-
grafici.
Tra le tante doti e qualità che
aveva don Polo, non si può non
ricordarne una in particolare: la
generosità. Non diceva mai di no
quando necessitava un servizio,
in tutti i campi, specie quello
pastorale. Sostituiva volentieri
i confratelli nel ministero delle
confessioni o nel celebrare la
messa nelle viciniori parrocchie
e subito diceva “vado io” con un
sorriso, quasi a ringraziarti per
avergli dato l’occasione di aiu-
tarti. A tal proposito scrive Giu-
seppe Del Todisco Frisoni: «Ad
una qualsiasi richiesta di aiuto ri-
spondeva sempre di “sì” perché il
“no” non apparteneva al suo les-
sico e soprattutto al suo cuore,
senza chiedere nulla in cambio.
Ricordo le numerosissime volte
in cui, nei giorni caldi immedia-
tamente precedenti l’allestimento
di una mostra importante quan-
do sembrava che il tempo a di-
sposizione non bastasse mai, al
presentarsi di un allievo per la
correzione di un tema o per un
ricupero di una interrogazione,
lasciava tutto di colpo dicendo
“continuate voi, vi raggiungo
appena possibile, questo ragaz-
zo ha bisogno di me!”. E tornava
poi al lavoro lasciato cercando di
ricuperarlo magari fino a tarda
notte. Come si può non essere
grati e voler bene ad un amico
così generoso e disinteressato?».
Ricorderemo a lungo don Polo,
sentiremo la sua mancanza. Ci
conforta il pensiero di avere un
amico che ci sorride e prega per
noi dal Cielo.
Gennaio 2016
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UNA PICCOLA, BEATA, FIGLIA DI MARIA AUSILIATRICE
Allo scoppio della guerra civile che sconvolse il Cile l’intera famiglia Vicuña
fu perseguitata dagli avversari politici di un parente per via della sua falli-
mentare partecipazione alle elezioni presidenziali. Nel 1897 José Domingo
Vicuña, militare in carriera di nobile famiglia, e sua moglie Mercedes furono
costretti a fuggire con le due figliolette verso il sud del Paese. Dopo tre anni
José morì, lasciando in grandi difficoltà economiche le bambine e la moglie,
la quale decise di trasferirsi nuovamente e stabilirsi in Argentina nel paesino
di Neuquén. Qui Mercedes trovò lavoro presso la tenuta di un ricco impren-
ditore agricolo di cui diventò amante. L’imprenditore provvide all’istruzione
delle figlie della donna e XXX, la più piccola, fu mandata a studiare in un
collegio delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il ramo femminile dei Salesiani fondati da don Bosco. Svi-
luppò un forte sentimento religioso e si diede una “regola di vita” basata su tre punti: servire il Signore
per tutta la vita, preferire la morte al peccato e impegnarsi al massimo nel far amare Dio dalle persone
a lei più prossime. Nel 1902 prese i voti di povertà, castità e obbedienza in forma privata, poiché non
poteva essere ammessa ufficialmente come postulante delle Figlie di Maria Ausiliatrice a causa della
relazione della madre fuori dal sacramento del matrimonio.
L’amante della madre tentò di abusare ripetutamente della
piccola e, vistosi sempre respinto, smise di pagare la retta
del collegio. La bambina fu comunque riaccolta nell’istituto
fin quando per problemi di salute andò a vivere in un appar-
tamento di Junín de Los Andes assistita dalla madre. Morì
il 22 gennaio 1904 a soli 12 anni e mezzo. Nel 1988 venne
proclamata beata da papa Wojtyla per un miracolo postumo
ed oggi è venerata in Cile e Argentina come protettrice delle
vittime di abusi sessuali.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Lo presenta
il lavoratore dopo la malattia - 16.
La qualità di chi è caritatevole - 17.
Perfida - 18. Ostenta modi raffinati -
19. L’attrice Ferilli (iniz.) - 20. Fanno
del poeta un profeta - 21. Cagliari
- 22. Il padre ignoto - 24. Suffisso
diminutivo plurale - 25. Segue il bis
- 26. Il Queneau di Esercizi di stile
(iniz.) - 28. Il pagamento Mediante
Avviso (abbr.) - 29. Protette - 31. Il
centro di Roma - 32. XXX - 35. Il
regno immaginario creato da Frank L.
Baum - 36. Ripetuti, riaffermati - 38.
Che durano da uno o più secoli - 40.
Porcospino - 41. Precede… poche,
la tasca da pasticciere - 42. Un ce-
reale - 43. Desiderati, richiesti - 44.
Soffrire - 46. Il liquore che diventa fizz
aggiungendo la soda - 47. Un tipo di
farina - 48. La terza città della Svizzera
- 49. Pari nei dolori!
VERTICALI. 2. Mitiga l’asprezza
di un concetto - 3. Iniziali di Magritte
- 4. Tribunale amministrativo regiona-
le - 5. Un tipo di ciabatte estive - 6.
Firenze - 7. Precede il Missa est - 8.
A Venezia c’è la Foscari - 9. Falsati
come certi fatti - 10. Io allo spec-
chio - 11. Masticare, come si diceva
un tempo - 12. Destra (abbr.) - 13.
Delfini di fiume - 14. Associazione di
imprese o di persone - 15. Contesta-
zioni, critiche - 19. Una materia ricca
di date - 21. Un titolo onorifico - 23.
L’El… fenomeno climatico che provo-
ca inondazioni e siccità (n = ñ) - 27.
Si usava per indicare in questo luogo
- 28. In nessun caso - 30. Fuoco,
rogo - 32. Il lago di Como - 33. Arte
senza testa - 34. De Mille regista de
I dieci Comandamenti - 37. Banca di
Trento e Bolzano (sigla) - 39. Recente
film di Ben Affleck - 41. Compagnia
aerea scandinava - 44. I confini della
Patagonia - 45. Le vocali in scena.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Il quadernetto
Un turista si fermò, per caso,
nei pressi di un grazioso
villaggio immerso nella
campagna. La sua attenzione
fu attirata dal piccolo cimi-
tero: era circondato da un
recinto di legno lucido e c’erano tanti
alberi, uccelli e fiori incantevoli. Il
turista s’incamminò lentamente in
mezzo alle lapidi bianche distribuite
a casaccio in mezzo agli alberi.
Cominciò a leggere le iscrizioni. La
prima: Giovanni Tareg, visse 8 anni,
6 mesi, 2 settimane e 3
giorni. Un bambino così
piccolo seppellito in quel
luogo...
Incuriosito, l’uomo lesse
l’iscrizione sulla pietra di
fianco, diceva: Denis Kalib,
visse 5 anni, 8 mesi e 3
settimane. Un altro bam-
bino…
Una per una, prese a legge-
re le lapidi. Recavano tutte
iscrizioni simili: un nome
e il tempo di vita esatto del
defunto, ma la persona che
aveva vissuto più a lungo
aveva superato a malapena
gli undici anni... Si sentì
pervadere da un grande
dolore, si sedette e scoppiò
in lacrime.
Una persona anziana che
stava passando rimase a
guardarlo piangere in silen-
zio e poi gli chiese se stesse piangen-
do per qualche famigliare.
«No, no, nessun famigliare,» disse il
turista «ma che cosa succede in que-
sto paese? Che cosa c’è di così terri-
bile da queste parti? Quale orribile
maledizione grava su questa gente,
per cui tutti muoiono bambini?»
L’anziano sorrise e disse: «Stia
sereno. Non esiste nessuna maledi-
zione. Semplicemente qui seguiamo
un’antica usanza. Quando un giovane
compie quindici anni, i suoi genitori
gli regalano un quadernetto, come
questo qui che tengo appeso al collo.
Ed è tradizione che a partire da quel
momento, ogni volta che uno di noi
vive intensamente qualcosa apre il
quadernetto e annota quanto tempo
è durato il momento di intensa e
profonda felicità. Si è innamorato…
Per quanto tempo è durata la gran-
de passione? Una settimana? Due?
Tre settimane e mezzo? E poi...
l’emozione del primo bacio quanto è
durata? Il minuto e mezzo del bacio?
Due giorni? Una settimana? E la
gravidanza o la nascita del primo fi-
glio? E il matrimonio degli amici? E
il viaggio più desiderato? E l’incontro
con il fratello che ritorna da un paese
lontano? Per quanto tempo è durato
il piacere di quelle situazioni? Ore?
Giorni? E così continuiamo ad anno-
tare sul quadernetto ciascun mo-
mento in cui assaporiamo il piacere...
ciascun momento. Quando qualcuno
muore, è nostra abitudine aprire il
suo quadernetto e sommare il tempo
in cui ha assaporato una soddisfazio-
ne piena e perfetta per scriverlo sulla
sua tomba, perché secondo noi quello
è l’unico, vero tempo vissuto».
Tu, quanti anni hai?
Non limitarti ad
esistere... vivi!
Non limitarti a
toccare... senti!
Non limitarti a
guardare... vedi!
Non limitarti a
udire... ascolta!
Non limitarti a
parlare... di’ qualcosa!
Gennaio 2016
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Nessuna infanzia
nella guerra tra bande
I bambini di strada
in Colombia e nel mondo
L’invitato
Don Américo Chaquisse
Consigliere Regionale
di Africa e Madagascar
Poster
I nostri santi
A tu per tu
Luigi Parolin
Il Don Bosco
Agro-Mechanical
Technology Center
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
L'autocontrollo
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.