Bollettino_Salesiano_201507

Bollettino_Salesiano_201507



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IL
LUGLIO
AGOSTO
2015
L’invitato
Don Fattal
Salesiani
nel mondo
Haiti
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Fantasia salesiana
La scelta di Janine
Buon
compleanno, don Bosco!

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La culla
Mai mi sarei immaginata di avere una
simile e tanto grande responsabilità
nella mia breve vita di culla. Mi
riaffiora alla memoria quel tempo
in cui tutto risplendeva di una bella
luce. Francesco aveva comprato delle
tavole di legno d’acacia per costruire una culla.
Piano piano il mio corpo di culla prendeva for-
ma. Le forti braccia di Francesco si allungavano
sopra i pezzi di legno e fu proprio così che, pia-
no piano, crebbe in me quella voglia di abbracci
e tenerezza.
Mamma Margherita lo osservava con ammira-
zione. Alcune notti ricamava le scarpine e gli
abitini per il bambino, altre invece ricamava le
bordure degli asciugamani. Francesco e Marghe-
rita mi rivestirono di grande amore.
Ad un certo punto, finalmente, Francesco,
montò sulla mia base due pezzi di legno ricurvi
che mi permettevano di dondolare, rimanendo
sempre in equilibrio. Una sensazione meraviglio-
sa che mi dava l’illusione di essere viva.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Giovannino ricevette fin da subito l’affetto e le attenzioni
di papà Francesco; uomo di grandi valori umani e cri-
stiani, morì però quando il piccolo Giovanni Bosco aveva
appena due anni. (MO introduzione. Le Memorie Biogra-
fiche ne tracciano un profilo: MB I, 38-45).
Lui nacque ad agosto. La borgata dei Becchi
era in festa per il giorno dell’Assunzione della
Madonna. Raggiunsi il culmine della felicità
proprio in quel momento in cui appoggiarono
sopra di me il corpo di quel bambino che tutti
chiamavano Giovannino Bosco.
E come dimenticare poi la dolcezza con cui
Francesco ci dondolava entrambi?
Le sue mani avevano la dolcezza della brezza
che muove le foglie, i rami e i viticci dei vigneti.
Erano allo stesso tempo sicurezza e promessa
di futuro. Mamma Margherita conservava tutte
quelle cose in cuor suo. E così passarono quasi
due anni.
All’improvviso, però, ecco giungere una terribile
disgrazia. Francesco si ammalò di polmonite e
a nulla servirono le varie medicine prescritte dal
dottore.
Ancora mi emoziono al solo ricordare la compo-
stezza di Francesco mentre dettava il proprio testa-
mento di fronte al notaio di Castelnuovo. Risuona-
no ancora in me le ultime parole che condivise con
Margherita: «Abbi sempre fiducia in Dio!».
La casa si sarebbe riempita di tristezza e di abban-
dono, se non fosse stato proprio per lei, per Mar-
gherita. Piena di fede in Dio e di coraggio, “strinse
i denti” e andò avanti, allevando tutti e tre i figli.
Ora, quando Giovanni ritorna ai Becchi circon-
dato dai tantissimi ragazzi che è riuscito a riscat-
tare dalle periferie di Torino, io me ne resto in
disparte, abbandonata in soffitta. Quando poi lo
ascolto rivolgersi a tutti quanti loro con gran-
de sicurezza ed affetto, non posso far altro che
sentirmi orgogliosa. Anche se nessuno lo sa, io
nei suoi primi anni di vita sono stata ben più che
una semplice culla: sono stata il prolungamento
delle braccia di Francesco, suo padre.
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Luglio/Agosto

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IL
Mensile di
IL
informazione e
LUGLIO
AGOSTO
2015
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
cultura religiosa
edito dalla
L’invitato
Don Fattal
Congregazione
Salesiani
nel mondo
Salesiana di San
Haiti
Giovanni Bosco
LUGLIO/AGOSTO 2015
ANNO CXXXIX
Numero 7
Fantasia salesiana
La scelta di Janine
Buon
compleanno, don Bosco!
In copertina: Don Bosco, Mamma Margherita e
la casetta dei Becchi al Colle. Dove sbocciò la
storia di Giovanni Bosco. (Progetto Luigi Zonta,
quadri di S. Fabris, P.G. Crida, foto di Mario Notario).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Haiti
9 LETTERE DALL’AFRICA
Ebola
10 L’INVITATO
Don Fattal
13 FMA
16 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Volontarie di don Bosco
19 LIBRI
20 A TU PER TU
Mecu
24 FINO AI CONFINI DEL MONDO
26 LE CASE DI DON BOSCO
Nave
29 LETTERE
30 FANTASIA SALESIANA
La scelta di Janine
33 I NOSTRI SANTI
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
10
20
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Ulrike
Beckmann, Alessandro Bertocchi,
Romano Borrelli, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Ángel Fernández
Artime, Erino Leoni, Cesare Lo Mo-
naco, Marina Lomunno, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi, Silvio
Roggia, Markus Schauta, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Agustin Pacheco (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Come Maria,
complici dello spirito
In un tempo dove in tante parti del mondo
sembrano imbrunirsi l’orizzonte e il futuro,
noi possiamo essere come quella donna
giovane, che è stata capace di cambiare
il mondo e che, una volta complice dello Spirito,
ha aiutato i discepoli a divenire anche loro
complici dello Spirito di Dio, come don Bosco.
V i scrivo questo messaggio dalla culla
della salesianità, il luogo dove tutti noi
siamo nati alla vita salesiana: Valdocco.
E in un giorno molto speciale. Oggi è
il 24 maggio, Solennità di Pentecoste e
festa di Maria Ausiliatrice.
Qui, in questo luogo fisico, storico e teologico,
tutto ci parla di don Bosco e di Maria Ausilia-
trice. In questi medesimi cortili, sicuramente
sotto i blocchetti di porfido che oggi li coprono,
giocarono e camminarono non solo don Bosco,
ma anche Mamma Margherita, Domenico Savio,
Michele Rua, monsignor Cagliero e una lista in-
terminabile di ragazzi, poi salesiani, che credet-
tero in questo sogno e furono “complici” e inter-
preti del medesimo.
Uso la parola complice perché di questo si tratta
in questo giorno e in questa festa, perché quando
ci troviamo insieme attorno a Lei, a Maria, così
come sono stati anche i primi discepoli dopo la
Pasqua del Signore, si trova anche lo Spirito.
Celebrando l’Eucaristia in questa bella Basilica,
che ci ha regalato don Bosco come eredità della
sua fede e del suo carisma, ho sentito come questa
chiesa si trasforma in un cenacolo dove Maria in
mezzo a noi garantisce la presenza dello Spirito,
prega insieme a noi e ci incoraggia a essere aperti
ai suoi doni. Lei è la migliore garanzia per ritro-
varci con lo Spirito di Dio!
Maria è la giovane vergine dell’Annunciazione e
la vergine-madre che si trovava con gli aposto-
li nella Pentecoste. Lei fu protagonista in questi
due momenti inediti nella storia dell’uomo e di
tutta la creazione. L’Annunciazione e la Penteco-
ste sono i due momenti eccezionali, solennissimi,
4
Luglio/Agosto

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dove il vero protagonista centrale è lo Spirito di
Dio in persona, e con Lui, la pienezza del Dio
Trino e Uno; due momenti che mettono in evi-
denza la vicinanza unica tra lo Spirito Santo e
Maria, la Madre di Gesù. Questo lo sapeva molto
bene don Bosco e lo viveva con profonda convin-
zione fino ad avere la certezza assoluta che, pro-
prio per questo, “Lei ha fatto tutto”.
È questa la realtà affascinante della nostra condi-
zione di credenti e della nostra devozione maria-
na: Maria, una giovane donna, una ragazza, si è
lasciata non solo guidare ma abitare dallo Spirito,
ed ha cambiato radicalmente la storia del mondo.
Lei si è fatta complice dello Spirito e così ha vis-
suto la sua vita.
Contempliamo quanto può essere possente un
“Sì”, un “Sia fatto” e non abbiamo paura di dire
“Sì” al Signore della Vita e diventare complici,
anche noi, dello Spirito del Signore, e vedremo
che la nostra vita, pur non esente da difficoltà,
diventa una vita che vale la pena di essere vis-
suta.
L’altro evento nel quale Maria è presente in modo
significativo è la Pentecoste. In questo caso, la
Scrittura non ci presenta parole di Maria, ma sì
la sua presenza, compagnia e incoraggiamento
nella preghiera. Lei si trova lì, con gli apostoli,
ancora disperati, tristi e scoraggiati, impauriti e
richiusi per timore, per dar loro forza come fa una
mamma a fianco al figlio sofferente. E prega. Ma
quello che ancora gli apostoli non sapevano è che
con Lei lo Spirito viene assicurato, perché Lei è la
sua ‘complice’ e la sua garanzia.
Una volta, in un Regina Coeli, papa Benedet-
to XVI ha espresso con grande convinzione: “In
qualsiasi parte dove i cristiani si radunano in pre-
ghiera con Maria, il Signore dona il suo Spirito”.
Carissimi tutti, viviamo in un tempo dove in tante
parti del mondo sembra imbrunirsi l’orizzonte e il
futuro, e in tante famiglie e comunità tutto sembra
imbrogliato e mancano il sorriso, il piacere della
vita vissuta insieme con tenerezza e amore.
In qualsiasi luogo dove
i cristiani si radunano
in preghiera con Maria,
il Signore dona il suo Spirito
(papa Benedetto XVI)
In questo tempo, che non è molto diverso da al-
tri del passato, noi possiamo essere come quella
donna giovane, quella ragazza che è stata capace
di cambiare il mondo e che una volta complice
dello Spirito ha aiutato i discepoli a divenire an-
che loro altri complici.
Per questo Lei è Madre e Maestra.
Don Bosco ha capito molto bene come la Ma-
donna ci aiuti a essere aperti allo Spirito che ci
trasforma in coraggiosi discepoli missionari di
Gesù, il Signore.
Luglio/Agosto
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SALESIANI NEL MONDO
ALESSANDRO BERTOCCHI
Una promessa di don Bosco
Non dimentichiamo Haiti
Grazie agli sforzi degli Haitiani, e con
un grande aiuto della Congregazione,
della Famiglia Salesiana, delle Procure
Missionarie Salesiane e di tanti organismi
ufficiali nazionali di vari paesi, si è fatto
un grande lavoro di ricostruzione. Restano
ancora lavori da fare, speriamo di trovare
l’aiuto necessario, perché certamente
ricostruire completamente undici opere è una
missione quasi titanica. Ma possiamo guardare
la realtà con ottimismo e speranza.
La Visitatoria di Haiti è giovane.
Qual è la situazione “salesiana”?
La storia dei Salesiani di don Bosco in Haiti ini-
zia con una bella e commovente pagina del terzo
volume delle Memorie biografiche di don Bosco:
“La Repubblica di Liberia in Africa e quella di
Haiti nelle Antille hanno chiesto a don Bosco
Missionari Salesiani per i loro giovanetti, otte-
nendo promessa che non sarebbero stati dimenti-
cati”. E, come sempre, don Bosco ha mantenuto
la promessa.
Dal loro arrivo in Haiti, il 27 maggio 1936, i figli
di don Bosco hanno formato decine di generazioni
di giovani tecnici e professionisti presso la Scuola
Nazionale di Arti e Mestieri ( ) aiutandoli a
diventare buoni cristiani e onesti cittadini.
Per decenni, Haiti fece parte della Provincia Sa-
lesiana dei Caraibi, con sede a Santo Domingo.
Dal gennaio 1992 Haiti è diventata una Visita-
toria con sede a Port-au-Prince. Con i suoi 69
confratelli ha dieci comunità di lavoro in diversi
settori: Kindergarten, Internati, Scuola Elemen-
tare, Contabilità, Nuova Secondaria, Segreteria,
Scuola Professionale, Informatica, Scuola Nor-
male Insegnanti, Laboratorio linguistico, Scuola
Agricola, Centro Giovanile, Scuola di Infermieri,
Formazione di Animatori, Istituto di Filosofia,
La casa Arte, Attività per le vacanze, Bambini di
Strada, Parrocchia e Cappelle pubbliche.
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Luglio/Agosto

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Cinque anni dopo il disastroso
terremoto, i Salesiani continuano
a lavorare. Quali sono i progetti
che state attuando?
A livello di ricostruzione a seguito del 12 gen-
naio, è stato anche lanciato un piano immediato,
che contemplava la riorganizzazione della Vice-
Provincia a tutti i livelli, compreso quello delle
opere di ricostruzione, e la revisione del pastorale
in generale. Tutte le Province della Congregazione
hanno fornito assistenza ai salesiani di Haiti per
il periodo di emergenza e la ricostruzione. Grazie
alla generosità della Congregazione, i nostri uf-
fici di missione, le organizzazioni internazionali
vicino a noi, benefattori e sostenitori dei Salesia-
ni tutti insieme, abbiamo potuto realizzare mol-
ti di questi progetti. Siamo grati. Ad esempio, si
possono citare: il supporto per i campi profughi
Thorland, Cité Soleil e Petion-Ville, la distri-
buzione di aiuti umanitari (tende, cibo, acqua,
medicine, abbigliamento, prodotti per l’igiene)
e di acqua con autocisterne ai rifugiati nei nostri
centri; la ripresa delle attività educative e di for-
mazione (borse di studio, insegnamento e mate-
riali didattici, gli stipendi degli insegnanti, semi-
nari di formazione e coaching, strutture come aule,
mense scolastiche) e la ricostruzione della scuola
della rete danneggiata dal terremoto; la costru-
zione del nuovo Centro Don Bosco di Gressier
con la scuola elementare, una scuola e Internato.
Insieme ad una vera costellazione di altre opere
fondamentali. Tanto che il Rettor Maggiore don
Ángel Fernández Artime ha dichiarato: «Il bilan-
cio è davvero molto bello, andiamo via con il cuore
colmo di gioia, di esperienze, immagini, sorrisi, di
battiti del cuore, dei giovani haitiani e del popolo
haitiano. Riguardo alla presenza salesiana nel pae-
se, penso che abbiamo una realtà meravigliosa, che
sicuramente si svilupperà nel tempo con grande
fedeltà alla missione salesiana, al carisma ricevuto
dal Signore e da don Bosco e di conseguenza, come
ho detto ai miei fratelli salesiani, si tratta di esse-
re molto intelligenti, di ascoltare i segni dei tempi,
con uno sguardo al futuro, per saper rispondere
con fedeltà. Rimane ancora molto da fare in questa
ricostruzione. Sono rimasto colpito nel vedere così
tante case in fase di costruzione. Devo ammettere
che mi ha colpito molto conoscere Cité Soleil, dove
la realtà è la stessa di prima del terremoto, cioè
questa cintura di povertà che raggiunge il limite.
D’altra parte si vede un popolo pieno di vita e di
passione per la vita, di gioia di vivere e di dignità.
A pagina
precedente: La
cappella della
Casa ispettoriale.
In questa pagina:
Scuola per
infermieri, scuola
elementare e
chiesa a Cité
Soleil.
Luglio/Agosto
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SALESIANI NEL MONDO
In alto: La casa di
Thorland.
Sotto: La povertà
è ancora tanta e
c’è molto ancora
da fare.
Quali sono le sfide più urgenti
da affrontare, oggi?
Haiti rimane uno dei paesi più poveri dell’emi-
sfero occidentale. La sfida più grande è come
combattere la povertà, che colpisce oltre l’80%
della popolazione. Nel campo dell’istruzione, la
situazione non è migliore. La maggioranza del-
le scuole non sono pubbliche. I genitori devono
riuscire a pagare per la scolarizzazione dei loro
figli, e il loro costo è molto alto (tasse scolastiche,
libri di testo, uniformi, i costi di trasporto). Oggi
l’istruzione di base è il settore prioritario in Hai-
ti. Pertanto, in aggiunta alle tradizionali scuole
convenzionali e centri di formazione professio-
nale per soddisfare le norme del Ministero della
Pubblica Istruzione, offriamo anche programmi
di formazione per l’alfabetizzazione e la forma-
zione professionale, per consentire ai bambini, ai
giovani e alle giovani che vivono nei bassifondi di
diventare buoni cristiani e onesti cittadini.
Dal momento che di solito ci prendiamo cura dei
poveri, la mensa scolastica rimane una sfida ur-
gente. Un pasto caldo al giorno per i bambini e
giovani nei nostri centri è una necessità per loro,
che permette di imparare bene. In questa pro-
spettiva, è necessario costruire una rete di mo-
derni centri di formazione e promuovere la for-
mazione professionale in Istituti Superiori.
Quali sono i problemi più sentiti dai
giovani? Quale sarà il loro futuro?
La popolazione haitiana è molto giovane, il 36%
della popolazione è sotto i 15 anni, secondo le
statistiche degli ultimi anni.
Anche prima del devastante terremoto del 12 gen-
naio 2010, un gran numero di bambini e giovani
è stato lasciato a se stesso o aveva abbandonato
la casa di famiglia in cerca di una vita miglio-
re nelle grandi città. La struttura della famiglia
di questa povera classe si sgretola sempre di più.
Il loro futuro passa attraverso l’istruzione di base,
e imparare un mestiere che consente loro di ac-
cedere al mercato del lavoro. Inoltre, essendo un
paese con una maggioranza di cristiani, l’educa-
zione ai valori evangelici è necessaria per creare
un equilibrio nella personalità del giovane e una
progressiva socializzazione.
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Luglio/Agosto

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LETTERE DALL’AFRICA
SILVIO ROGGIA
Finalmente: ebola
è stata sconfitta!
«È con grandissima gioia e riconoscenza al Signore e a tutti
i nostri amici che ci hanno aiutato nella lotta per riuscire
a ‘calciare fuori’ dalla Liberia l’ebola che vi dico: abbiamo
finalmente vinto la battaglia! Sia il nome del Signore
benedetto ora e per sempre, amen».
Josephat e il Savio-
Bosco Group annunciano
la prima vittoria.
Ora comincia la seconda
difficile fase: ci sono
4519 bambini che hanno
perso i genitori
o chi si prendeva
direttamente cura
di loro qui in Liberia.
Dopo un lungo anno di trau-
ma, pianto, paura, incertez-
za, tante morti con numeri
da record mai registrati pri-
ma, perdita di valori cultura-
li, emozioni negative pesan-
ti, la Liberia è stata dichiarata libera
dall’ebola dall’Organizzazione Mon-
diale della Sanità.
Continuiamo la nostra missione an-
che perché le nazioni confinanti
(Sierra Leone e Guinea) stanno an-
cora lottando con il virus e la città
di Kongo non è lontana dal confine:
dobbiamo tenere
alta la guardia,
prevenendo e
sensibilizzan-
do, attenen-
doci fedelmente
alle direttive ema-
nate dal Ministero della salute. Il
modo migliore di combattere l’ebola è
di prevenirirla e impedire che entri e
si diffonda. Quindi la nostra missione
continua: ‘sempre avanti, mai indie-
tro’ è il nostro motto.
È terminata la prima fase, che ha la-
sciato 4256 vittime in Liberia. Una
cosa è vincere una guerra; un’altra è
guarire, sanare, riabilitare quelli che
nella guerra sono stati coinvolti...
Per chi soccorre, i postumi non sono
meno impegnativi del tempo della
battaglia. È così che abbiamo ini-
ziato a fare progressi su due prin-
cipali linee di azione ‘post-ebola’.
Per prima cosa incoraggiare chi
è sopravvissuto all’ebola dopo
essere stato colpito dal virus ad
astenersi da relazioni ses-
suali con i loro partners
per almeno tre mesi
(meglio sei), perché
questo può dare inizio
alla ripresa del virus,
in una forma resistente a
ogni trattamento. Facciamo opera di
coscientizzazione attraverso seminari
organizzati per la gente. Così pure
incoraggiamo le comunità ad accetta-
re e trattare con rispetto e affetto chi
è sopravvissuto all’ebola, mettendo
fine alla stigmatizzazione e all’ostra-
cismo dei sopravvisuti, a causa della
paura del contagio.
In secondo luogo, ci sono 4519 bam-
bini che hanno perso i genitori o chi
si prendeva direttamente cura di loro
qui in Liberia. Ci stiamo organizzan-
do per venire in loro aiuto cercando di
garantire almeno l’accesso alla scuo-
la e ai beni primari. Continuiamo in
queste due direzioni finché ce ne sarà
bisogno, e fin dove la Provvidenza del
Signore ci accompagna.
Luglio/Agosto
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Un cuore salesiano
nell’inferno siriano
Incontro con don Georges Fattal, direttore della Comunità di Aleppo
«Nonostante tutto,
noi salesiani con-
tinuiamo la no-
stra missione e il
nostro lavoro, per
dare sostegno e
speranza ai giovani rimasti»
Puoi autopresentarti?
Sono don Georges Fattal, ho 65 anni,
salesiano siriano di Aleppo, mio pa-
dre era panettiere, conosciuto in tut-
ta la città e fino ad oggi la via dove
c’era il nostro forno viene chiamata
a nome di mio papà, dico questo per
sottolineare che sono di una famiglia
cristiana di radici aleppine, invece
mia mamma è nata ad Aleppo ma è
originaria di Antiochia dove abbiamo
preso il nostro nome di cristiani.
Sono cresciuto all’oratorio salesiano
di Aleppo, dove poi ho continuato i
miei studi come allievo nella scuola
salesiana. Avendo avuto un contat-
to giornaliero con i salesiani, fre-
quentando la scuola ogni giorno, mi
hanno attirato il loro spirito e il loro
carisma. Erano molto vivaci e questa
vita quotidiana con i salesiani mi ha
fatto interrogare sulla mia vita. Mi
sono chiesto: perché non divento sa-
lesiano anche io? E così sono divenuto
salesiano dopo aver vissuto l’anno di
noviziato in Libano nel 1967-1968 e
sono divenuto il quarto salesiano del-
la città di Aleppo. Sono stato ordina-
to prete nel 1980. Subito dopo l’ordi-
nazione ho lavorato nella comunità di
Aleppo per 4 anni, dopo di che sono
andato all’Ups a Roma per la specia-
lizzazione per 3 anni; finiti gli studi
sono tornato di nuovo ad Aleppo per
altri 9 anni, dopo di che mi sono spo-
stato a Kamishly per un anno e poi a
Damasco per 11 anni. In seguito sono
andato in Libano per 3 anni e attual-
mente sono ad Aleppo da 4 anni.
Come sta don Bosco
ad Aleppo, oggi?
I salesiani sono presenti ad Aleppo
dal 1948. Appena sono arrivati han-
no fondato una scuola professionale
che ha formato tantissimi giovani
aleppini, cristiani e non, nell’ambito
professionale. Questi giovani hanno
avuto una fama in tutta la città per
10
Luglio/Agosto

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UNA MORSA MORTALE
la formazione acquisita. Ma dal 1967
tutte le scuole private sono state na-
zionalizzate, e da quell’anno l’attività
dei salesiani ha continuato nell’orato-
rio. Vorrei sottolineare che la presen-
za salesiana ad Aleppo ha dato tante
vocazioni sia alla congregazione sia
per la chiesa locale, grazie al lavoro
e la missione svolta all’oratorio, tra i
giovani universitari e nelle carceri di
Aleppo.
Oggi continua la presenza dei sale-
siani ad Aleppo attraverso le attivi-
tà dell’oratorio, che è aperto a tutti i
giovani cristiani della città. In questo
periodo, in comunità siamo in 4, di
cui 3 sacerdoti, un diacono e un pre-
novizio.
Come vivete e lavorate?
La situazione della città e della vita
si è capovolta di 180 gradi da oltre 4
anni a causa del conflitto che tutto-
ra continua. La città di Aleppo era
la capitale economica e industriale
Da mesi i missili piovono sui quartieri cristiani di Aleppo. Tre cattedrali sono state bombardate.
Il governo siriano non è più in grado di proteggere i cristiani, che sempre più numerosi fuggono
verso la costa. Non hanno più scelta: partire o morire. Il cardinale Rai, patriarca d’Antiochia, in
un vibrante discorso all’Unesco ha implorato: «Grido per dare voce a quelli che attendono la
fine della notte e sperano la salvezza da una comunità internazionale che purtroppo tarda ad
arrestare l’opera di morte di assassini senza fede e senza frontiere».
della Siria, ora è diventata una città
pressoché distrutta. Oltre 3000 fab-
briche sono state smontate e portate
via, tantissima gente ha perso casa e
lavoro, e cerca qualsiasi possibilità per
sopravvivere.
Nonostante tutto, noi salesiani conti-
nuiamo la nostra missione e il nostro
lavoro, volendo dare sostegno e spe-
ranza ai giovani rimasti, attraverso le
varie attività di gruppi, associazioni,
catechismo, adorazione, incontri for-
mativi, sport e così via.
Come stanno i giovani
e la gente cristiana?
Come dicevo prima, la situazione del-
la vita quotidiana è precaria, e questo
si riflette sulla vita morale e spirituale
della gente.
Ogni famiglia ha la sua storia con
questa guerra, oramai non esiste qua-
si una famiglia che non abbia perso
una persona cara in questo conflitto o
a causa della morte o a causa dell’im-
migrazione o a causa della paura della
morte. Questo non vuol dire che la
gente non ama il suo paese e la sua
città ma è costretta a fare questo eso-
do fuori dalla Siria, perché sono ai
limiti della disperazione, perché non
sanno che cosa e come fare.
Il problema attuale dei giovani e della
gente è la mancanza della speranza e
di una visione un po’ chiara del fu-
turo! Per noi una grande sfida è che
abbiamo cercato di lavorare su questo
problema attuale con la chiesa locale,
organizzando degli incontri per ra-
dunare i giovani cristiani universitari
e anche quelli della scuola superiore.
In questi incontri abbiamo cercato di
dare speranza e gioia.
Quali sono le necessità più urgenti?
La pace, la sicurezza della vita, poter
perdonare... La gente ha bisogno di
lavorare per poter mangiare, quindi se
non c’è lavoro non possono mangiare:
noi qui cerchiamo di dare ogni mese
aiuti alle famiglie dei nostri oratoriani
attraverso “pacchi viveri” che costano
circa 50-60 euro per ogni famiglia e
anche degli aiuti mensili in contanti
A pagina precedente : La facciata dell’Istituto
Salesiano di Aleppo e don Georges Fattal.
Accanto: Il cortile dell’oratorio.
Luglio/Agosto
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L’INVITATO
Don Georges Fattal presiede una celebrazione.
Sotto: la bella chiesa dei Salesiani.
per ogni famiglia di circa 65 euro.
Dico le cifre per farvi capire il livello
della vita che viviamo. E questi aiuti
che distribuiamo ci arrivano grazie a
tanti benefattori e alla Provvidenza
che non manca mai, come diceva il
nostro padre don Bosco.
E un mese fa abbiamo perso altri due
giovani oratoriani con la loro mam-
ma a causa di un attacco missilistico
dei militanti, e purtroppo di uno dei
fratelli non siamo neanche riusciti a
trovare il corpo.
Potrei raccontare ancora tantissime
esperienze di persone rapite e poi ri-
lasciate dopo aver pagato una grande
somma di denaro, il rapimento ha
colpito persone laiche ed ecclesiali:
fino a questo momento non si sa che
fine hanno fatto i due vescovi della
chiesa siriaca ortodossa e quello della
chiesa greco ortodossa, più due sa-
cerdoti che non si sa che fine hanno
fatto dopo il loro rapimento. L’espe-
rienza del dolore continua tuttora ad
Aleppo, tanto che alcune persone
l’hanno soprannominata “fonte del
dolore”!
C’è speranza?
Ovviamente da uomini cristiani e
consacrati cerchiamo di vivere la spe-
ranza cristiana profondamente e fino
alla fine. Lavoriamo per trasmettere
la gioia e seminare la speranza tra i
nostri giovani, ciò non toglie la dif-
ficilissima situazione reale, abbiamo
speranza che tutto questo finisca il
più presto possibile e che la Siria tor-
ni com’era una volta, che la pace torni
ad abitare in questa terra, ma dico di
nuovo che finché non comincia il dia-
logo e tacciono i fucili, non si può dire
che c’è veramente speranza.
Quali episodi e testimonianze
vorresti raccontare?
Come comunità oratoriana abbiamo
vissuto tantissime esperienze profon-
de ma anche dolorose, ad esempio
abbiamo vissuto l’esperienza della
morte di alcuni dei nostri oratoriani:
circa un anno e mezzo fa abbiamo
perso un nostro ragazzo di nome Jack
che stava aspettando il bus dell’orato-
rio per venire al catechismo con altri
ragazzi, quando è caduto un mortaio
vicino alla fermata causando la mor-
te di Jack e le ferite di alcuni ragazzi.
12
Luglio/Agosto

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FMA
MARKUS SCHAUTA - foto: FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
(traduzione di Marisa Patarino)
Ai limiti del possibile
Da quattro anni la Siria
è funestata dalla guerra.
L’“Ospedale italiano”
si trova nel bel mezzo
del caos distruttivo della
capitale, Damasco.
Qui tredici Figlie di Maria
Ausiliatrice lottano
per la sopravvivenza
di uomini e donne.
I farmaci scarseggiano e
molti medici lasciano
il Paese. Un resoconto
di straordinario
e sereno eroismo.
È una fredda mattina di feb-
braio a Damasco. Per le stra-
de tortuose del centro storico
i primi bar sono già aperti. La
gente va al lavoro o accompa-
gna i bambini a scuola. Nel-
l’“Ospedale italiano” suor Anna Ma-
ria Scarzello si è alzata come sempre
alle cinque. Ha pregato, ha partecipa-
to alla santa messa, ha fatto colazione.
Mentre la suora settantaseienne per-
corre la strada per recarsi nel suo uffi-
cio, i vetri delle finestre vibrano per il
vortice d’aria creato da un’esplosione.
Poco dopo una densa nube di fumo
nero sovrasta Damasco.
Nelle strade si diffonde il panico. Nel
giro di mezz’ora si susseguono decine
di altre esplosioni; questa mattina ol-
tre 50 razzi si abbattono su Damasco.
«Ho avuto una gran paura», dirà più
tardi suor Anna Maria.
Mentre impazzano il fuoco dei razzi
o gli attentati dinamitardi in uno dei
quartieri vicini, nella sala di accetta-
zione dell’“Ospedale Italiano” ferve
un’intensa attività.
I feriti sono assistiti dalle suore, viene
dato conforto ai parenti, i medici del
reparto di emergenza lottano per sal-
vare la vita ai pazienti.
Da cento anni
ininterrottamente
Suor Anna Maria è arrivata a Dama-
sco nel 2011 per ricoprire l’incarico di
superiora della comunità delle Figlie
di Maria Ausiliatrice che presta la sua
opera nell’ospedale. «Al momento la
nostra comunità conta 13 suore», dice
la religiosa di origine italiana. Due
suore provengono dalla Siria, una
dal Libano, una dall’Egitto, una dal
Perù, due dall’India, una dal Messico
e cinque dall’Italia.
«Ci occupiamo della gestione dell’o-
spedale insieme con uno staff medico
da quando la Siria era indipendente,
abbiamo continuato a lavorarvi al
Luglio/Agosto
13

2.4 Page 14

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FMA
tempo della presa di potere da parte
della famiglia Assad e infine con la
guerra civile cominciata nel 2011, che
infuria ancora oggi».
Alcune sue consorelle sono state for-
mate per svolgere la professione di
infermiere e assistenti in sala opera-
toria, altre sono preparate per curare
la gestione economica e tecnica della
struttura ospedaliera. Sono affiancate
da numerosi dipendenti siriani.
L’ospedale, ubicato nel quartiere den-
samente popolato di Mazraa ai piedi
del monte Qasioun, è un’istituzione
storica a Damasco. L’“Associazione
Nazionale per l’Aiuto ai Missionari
italiani” fondò l’ospedale nel 1913.
All’epoca la Siria faceva ancora parte
dell’Impero ottomano. In seguito ar-
rivarono i Francesi, che disponevano
delle energie necessarie per gli inter-
venti e le cure intensive. «E come può
immaginare, la gestione è estrema-
mente costosa».
Nonostante la violenza che si ripro-
pone, le Figlie di Maria Ausiliatrice
svolgono il loro lavoro in ospedale da
oltre cento anni. Ininterrottamen-
te. «Il nostro Ospedale non è mol-
to grande», dice suor Anna Maria.
Comprende 50 posti letto in quattro
reparti: chirurgia, terapia intensiva,
medicina di laboratorio e un reparto
di emergenza, disponibili a qualsiasi
ora per tutti. Per pazienti ricchi e po-
veri. Per musulmani e cristiani.
«Quest’opera rappresenta un segno
visibile di carità vissuta concretamen-
te», dice la madre superiora.
Al momento un’ala dell’Ospedale è
chiusa. Un numero sempre maggiore
di persone non può dunque ricevere
trattamenti medici. Inoltre il perso-
nale scarseggia. Migliaia di medici,
compresi alcuni che prestavano la loro
opera nell’“Ospedale italiano”, hanno
lasciato la Siria. «Inoltre, non di rado
gli attentati che vengono compiuti
creano difficoltà ai nostri dipenden-
Suor Anna Maria con alcuni dei pazienti dell’Ospedale di Damasco.
14
Luglio/Agosto

2.5 Page 15

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INFORMAZIONI
ti per raggiungere il posto di lavoro»,
spiega suor Anna Maria.
Il trasposto pubblico è carente, i bi-
glietti sono sempre più costosi a causa
dell’aumento del prezzo della benzi-
na e del gasolio. «L’inflazione erode
tutto!». Prima della guerra un litro di
gasolio costava 30 lire siriane, circa
15 centesimi di Euro. Adesso costa
Insieme con l’Egitto, la Giordania, Israele e il Libano, la Siria fa parte dell’Ispettoria “Medio
Oriente”, in cui attualmente vivono circa 100 Figlie di Maria Ausiliatrice in 15 comunità. Le
suore gestiscono scuole d’infanzia, scuole elementari e medie, corsi di formazione, strutture
ricreative e d’animazione e l’“Ospedale italiano” a Damasco.
Chi desidera maggiori informazioni sull’ope-
ra delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Medio
Oriente può rivolgersi alle referenti:
Missionsprokur der Don Bosco Schwestern
Suor Birgit Baier, Theodor-Hartz-Str. 3,
45355 Essen
Tel.: 0201/6154317
mission@donboscoschwestern.net
130 lire siriane, pari a 64 centesimi.
«A causa delle frequenti interruzioni «Facciamo tutto ciò che è umanamen-
dell’erogazione della corrente elettri- te possibile», dice la Figlia di Maria
ca, l’ospedale deve però operare con Ausiliatrice, «ma anche noi lavoriamo
generatori diesel, per permettere al ai limiti delle nostre possibilità».
direttore, specialista in chirugia, di Dopo quattro anni di guerra civile, la
lavorare», spiega la madre superiora. Siria è un mosaico. I governanti lo-
morti nel corso della guerra o sono
Quest’opera rappresenta un segno
visibile di carità vissuta concretamente
suor Anna-Maria, superiora della comunità di suore
e direttrice dell’Ospedale
rimasti gravemente feriti. Razzi e
bombe provocano la morte di tan-
te persone e gravi ferite», dice suor
Anna Maria. E se Damasco è tran-
quilla, si sentono dalle periferie gra-
nate e colpi di mortaio.
La terribile guerra civile lascia segni
anche nell’“Ospedale italiano”. Nei
Anche i generi alimentari hanno su- cali lottano per la loro visione di una corridoi fa freddo. «Soprattutto d’in-
bito un rincaro: prima della guerra nuova Siria, come per il pagamento verno la mancanza di combustibile si
una pagnotta costava 10 lire siriane, di interessi stranieri, compensati con fa sentire», dice suor Anna Maria».
adesso ne costa 30. Il prezzo delle armi e denaro.
La capacità operativa dell’Ospedale al
uova è quintuplicato, quello delle pa- Gli effetti della guerra sulla vita quo- momento è molto limitata. Mancano
tate è addirittura decuplicato.
tidiana della città non sono trascura- siringhe monouso, bende, strumenti
«A causa della povertà sempre più dif- bili: i turisti occidentali e gli studenti chirurgici e antidolorifici.
fusa, i pazienti ci chiedono uno scon- arabi ormai se ne tengono alla larga. «Se non riceveremo presto almeno lo
to per i loro trattamenti medici», dice Molti locali notturni hanno chiuso i stretto necessario, non riusciremo a
suor Anna Maria. Parla con preoc- battenti. Appartamenti, uffici e ne- prestare il nostro aiuto ai pazienti».
cupazione del prezzo dei farmaci, che gozi traboccano di famiglie di sfollati Nella storia ultracentenaria dell’O-
è quadruplicato, anche se il governo provenienti da tutta la Siria. Alcuni spedale, si tratterebbe della prima
importa medicine e forniture ospeda- vivono nelle moschee.
interruzione di servizio. Sarebbe una
liere dalla Russia, dall’Iran, dalla Cina Quasi tutti gli abitanti di questa catastrofe per tutti i bambini, le don-
e dall’India. In questo modo, però, gli terra sono in qualche modo colpiti ne e gli uomini di Damasco, che già
ospedali di Damasco riescono a copri- dal conflitto. «Tante famiglie han- devono temere costantemente per la
re solo una parte del loro fabbisogno. no perso la casa. Molti giovani sono loro vita.
Luglio/Agosto
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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
P.B.
Un modo di “nutrire” il mondo con Dio
Le Volontarie
di don Bosco
Un Istituto di vere apostole nel cuore del mondo,
agile, moderno, diffuso nel mondo fondato
con una felice intuizione dal beato Filippo Rinaldi
Sono donne pienamente im-
merse nel mondo, impegnate
nelle occupazioni ordinarie,
nelle varie attività professio-
nali, dove cercano di operare
con competenza, testimo-
niare con coerenza i valori umani e
cristiani, scoprire e rendere visibile il
buono che si trova nelle varie realtà.
Innamorate di Dio, vogliono essere
come Gesù caste, povere e obbedien-
ti e per questo si consacrano con i
voti, restando laiche e impegnando-
si ad essere testimoni della radicali-
tà dell’amore. Inserite nel contesto
sociale e culturale in cui vivono e di
cui conoscono ed accolgono le sfide,
prediligono i “luoghi di frontiera”, le
nuove povertà, il campo educativo e
sociale per essere profeti di speranza,
attente a difendere i diritti e la dignità
dei più deboli e a costruire, giorno per
giorno, la città dell’uomo.
Compagne di viaggio
In una società che spesso dimentica
la rettitudine, la giustizia, la solida-
rietà, loro cercano di farsi voce di chi
non ha voce, di farsi compagne di
viaggio di chi fatica ad andare avan-
ti, di farsi segno di condivisione per
sconfiggere l’egoismo e l’individuali-
smo. E tutto questo senza avere l’aria
di voler insegnare qualcosa, da “pri-
me della classe”, ma con l’umiltà di
chi si mette accanto all’altro e offre
semplicemente la propria esperienza
per dire, con la vita, che è possibile
amare in maniera libera, gratuita e
definitiva; che è possibile ammini-
strare i beni materiali, utilizzandoli al
servizio dell’uomo e in spirito di soli-
darietà, e che nell’attenzione ai segni
dei tempi e nell’accoglienza serena e
gioiosa della Volontà di Dio, si con-
tribuisce alla costruzione del Regno.
Sembrerebbe nulla di straordinario,
ma è nella semplicità e nell’ordinarie-
tà del quotidiano vissuto con coerenza
cristiana, animata dalla radicalità di
un amore che si fa ogni giorno dono
per gli altri, che ogni cosa acquista un
sapore speciale. È un modo per “nu-
trire” ogni giorno questo mondo con
Dio, che dà senso alla loro vita e spe-
ranza ad ogni uomo; un modo per far
16
Luglio/Agosto

2.7 Page 17

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“assaporare” l’andare controcorrente,
vivendo l’amore gratuito, la tenerez-
za, la misericordia, e gustare la felicità
di scoprire nuovi orizzonti.
Le Volontarie di don Bosco non si
distinguono per dei segni esteriori;
nulla le separa dagli altri, anzi, una
delle loro caratteristiche, in quanto
appartenenti ad un Istituto Secolare,
è quella di mantenere un equilibrato
riserbo” sulla propria appartenenza
all’Istituto, per potersi inserire con
maggiore efficacia nei vari ambienti
in cui si è presenti ed essere per ognu-
no un segno imitabile. Il riserbo è,
inoltre, un segno di povertà, un invito
ad “essere, prima che a dire”, un voler
sollevare interrogativi che facciano ri-
flettere e mettere in discussione. La
loro presenza vuole essere come il sale
che si scioglie e dà sapore, come il lie-
vito che sparisce nella massa e rende
buono il pane.
Attente alla sfida
dell’ambiente
Non hanno vita in comune, ma vi-
vono in comunione di vita. Abitano
da sole o in famiglia e si incontrano
in gruppi di riferimento per formar-
si, sostenersi, confrontarsi e aiutarsi,
condividendo la gioia di stare insie-
me.
Non hanno opere apostoliche comuni
quali scuole, oratori ecc., ma ognuna
è attenta alle sfide dell’ambiente in
cui vive e si impegna con creatività e
disponibilità in diversi ambiti – par-
rocchiale, sociale, politico, sindacale,
mass-mediale – per rendere il mondo
più umano e annunciare Cristo con
la propria vita. Si può dire, così, che
l’efficacia della loro missione è stret-
tamente collegata alla coerenza della
loro vita, alla fedeltà alla loro voca-
zione. L’“opera” sono loro stesse con il
loro modo di agire, di impegnarsi, di
relazionarsi. Tutta la loro vita diviene
missione.
L’Istituto Secolare Salesiano a cui ap-
partengono è stato fondato dal terzo
successore di don Bosco, don Filip-
po Rinaldi, nel 1917. Le Volontarie
di don Bosco ( ) oggi sono circa
1300, presenti in tutti i Continenti.
Seguendo lo stile di don Bosco e ani-
mate dalla sua stessa passione aposto-
lica, non possono restare indifferenti
dinanzi a tanti giovani che perdono la
speranza o che rimpiccioliscono i loro
orizzonti perché nessuno si è messo
Luglio/Agosto
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2.8 Page 18

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
La vostra vocazione è affascinante
ha detto papa Francesco agli Istituti
Secolari – perché è una vocazione che è
proprio lì, dove si gioca la salvezza non
solo delle persone, ma delle istituzioni. E
di tante istituzioni laiche necessarie nel
mondo”.
È vita normale, lievito, seme, che cre-
sce e fa crescere. Un piccolo seme, ma
che può divenire una grande pianta
che darà ombra e riparo a quanti cer-
cano un po’ di sollievo.
accanto a loro per aiutarli a scoprire
la vera Vita. Per questo direttamente
o indirettamente si occupano di loro,
sono attente ai loro problemi e fanno
di tutto per aiutarli a “volare alto” e a
non rinunciare ai loro sogni.
Portano don Bosco nel cuore per cui
si relazionano con tutti con cordialità
e tenerezza, spirito di collaborazione
e di gioia, in uno stile di famiglia e di
comunione.
Custodire
la contemplazione
Una vita tanto impegnata in pieno
mondo, bombardata da sollecitazioni
di tutti i generi, deve necessariamente
alimentarsi di preghiera profonda e
costante per cui è importante per loro
«custodire – come dice papa Francesco
la contemplazione, questa dimensione
contemplativa verso il Signore e anche
nei confronti del mondo; contemplare la
realtà, come contemplare le bellezze del
mondo, e anche i grossi peccati della so-
cietà, le deviazioni, tutte queste cose, e
sempre in tensione spirituale ». Questo
permetterà di farsi “ponti”, “inter-
preti” tra il mondo e la Chiesa, tra la Per saperne di più:
società secolarizzata e la vita di fede. www.volontariedonbosco.org
DIO BOSCO ne hdaiftauttgttiiriaczoieloari
doVncIoEnNanPvIAoraNiLPiAEA,VReOARDOISO SSaFalilegeslsiiaiaandnVoiooMslcoaaoncrotieaaprrediAorouaStcseatooillneiraesdtiraoicnDneoaBmcoosaacSdoaiuletosVrioaelnoantaria
18
Luglio/Agosto

2.9 Page 19

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I NOSTRI LIBRI
Don Giorgio Chatrian
La mia vita con Lady Park
Camminare con una compagna di viaggio imprevista: la malattia di Parkinson
L’esperienza di una malattia può essere vissuta come momento di crescita personale. È quanto ha scelto
di fare l’Autore che, con una scrittura ironica e puntuale, ci presenta Lady Park, per farcela conoscere e
aiutarci ad averne meno paura. Dal giorno della diagnosi, gravido di ombre e di dubbi, fino all’accetta-
zione dei cambiamenti nella conduzione della propria vita che si rendono necessari quando i sintomi
si affacciano e portano il loro carico di fatica, sono qui proposti quattordici anni di convivenza con la
malattia di Parkinson: la dimensione spirituale con la quale sono stati vissuti, ma anche la progressione
dei sintomi e le terapie adottate per continuare il proprio percorso nella maggiore autonomia possibile.
La singolarità della testimonianza consiste anche nella descrizione dell’esperienza diretta di tutte le
possibili cure, dalla terapia farmacologica alla neurostimolazione cerebrale profonda (DBS), passando
per l’infusione duodenale continua di Levodopa e l’apomorfina.
Bruno Ferrero
l’iceberg e la duna
Piccole storie per l’anima
Diciassettesimo titolo della serie di libri “per l’anima”, grandi
successi editoriali più volte ristampati. Tanti racconti e qualche
pensiero: minuscole compresse di saggezza spirituale. Per la
meditazione personale, l’uso nella catechesi e nell’animazione,
la lettura in famiglia...
CITTÀ DEL VATICANO - ITALIA
Il francobollo del BICENTENARIO
DELLA NASCITA DI SAN GIOVANNI BOSCO
L’Ufficio Filatelico e Numismatico del Vaticano celebra il Bi-
centenario della nascita di san Giovanni Bosco con l’emissio-
ne di un francobollo da 80 centesimi, stampato in minifogli
di 6 valori, che recano impresso il suo volto in una rappre-
sentazione moderna ispirata al logo ufficiale del bicentenario.
Informazioni: www.vaticanstate.va
Luglio/Agosto
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A TU PER TU
MARINA LOMUNNO
Il cortile dietro le sbarre
Il mio oratorio al Ferrante Aporti
Don Domenico Ricca
(per tutti Don Mecu),
da 35 anni cappellano
al Ferrante Aporti,
il carcere minorile
di Torino.
Ascoltiamo la vita
e il sogno di un prete
salesiano che cerca
di vivere il carcere
come un oratorio.
mente, quasi come in una fotografia,
l’immagine di noi «rigorosamente in
fila per due», avevo forse 12 anni.
Tutti ordinati, a coppie, come in certi
film sui collegi di suore: passavamo
davanti al penitenziario, in mattina-
te freddissime, dopo grandi nevicate.
Fuori c’erano i carcerati che spalava-
no la neve con la classica divisa del
pigiama a strisce, sorvegliati quasi a
uomo dalle guardie (allora si chia-
mavano secondini, in piemontese li
chiamavamo i «girafrui»), anche loro
con la divisa del tempo, color carta
di zucchero. Una fotografia stampata
nel mio cervello di ragazzo che oggi
si rivede più piccolo dei dodicenni at-
tuali. Quell’immagine è il mio primo
ricordo del carcere e dei carcerati di
quegli anni. Un mondo così lontano
da noi, che dopo vent’anni è diventato
la mia vita.
E la tua prima volta
al Ferrante Aporti?
La storia dei cappellani salesiani al
Ferrante Aporti per me comincia con
don Luigi Borsello, che non ho cono-
sciuto ma di cui avevo sentito parla-
re: fu cappellano del Ferrante per 25
anni fino al 1972. Il mio primo con-
tatto con il carcere minorile di Torino
Don Mecu, partiamo
dall’inizio: qual è stato
il tuo primo incontro
con il carcere?
Ho un ricordo personale forse in-
significante, ma è da lì che mi sono
accorto che esistevano i carcerati.
Ragazzino di quinta elementare nel
Seminario di Fossano, frequentavo la
scuola dalle Suore domenicane. Ogni
mattina, a piedi dal Seminario, rag-
giungevamo le domenicane e, lungo
la strada, passavamo davanti ad un
ingresso del carcere di Fossano che
già allora, come oggi, ospitava dete-
nuti condannati definitivi e con lun-
ghe pene da scontare. Mi rimane in
20
Luglio/Agosto

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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avvenne nel 1977: giovane prete all’o-
ratorio di Valdocco, ero stato ordina-
to il 14 giugno 1975, fui invitato per
una visita al Ferrante. Mi sono detto:
«Vado a vedere». Ero curioso, o for-
se meglio, l’idea mi appassionava. E
così ci sono andato. Lì ho incontrato
Nicola Iavagnilio (dal 1999 direttore,
molto attento e presente). A quel tem-
po era educatore e con lui incontrai
Rita, un’educatrice. Ho parlato per un
po’ con loro, mi hanno accolto molto
bene, già facevano progetti... E così
mi sono detto: «Ok, ci sto».
Ma non se ne fece nulla. Nel frat-
tempo continuavo a essere prete d’o-
ratorio e insegnante di religione alla
Scuola media statale Giovanni Verga.
La folgorazione è del 1979...
Come per Paolo
sulla strada di Damasco?
In realtà la folgorazione avvenne
come sovente avvengono le folgora-
zioni nella vita religiosa cioè a cau-
sa di uno spostamento di comunità.
L’obbedienza religiosa mi chiede di
andare in un’altra parte della città
e questa parte della città è proprio
davanti al Ferrante Aporti, alla par-
rocchia San Giovanni Bosco, Orato-
rio Agnelli. Ed ecco anche lì la fra-
se storica del mio superiore: «Lì c’è
il Ferrante Aporti, ci sta andando il
parroco ma non ce la fa perché ha un
mucchio di altre incombenze: se vuoi,
vai a vedere». E allora... Quella stessa
sera, andai a trovare i miei perché ero
tornato il giorno prima dalle vacanze
con un gruppo di giovani in Calabria.
Mia madre se ne accorse, mi chiese
cosa avevo. Beh, cercai di non dirle
tutto, ma mi scappò: «Mi chiedono
se voglio andare in galera». Non sto a
raccontare il suo malcelato disappun-
to: ci teneva molto alla mia vocazione.
Aveva paura che lì mi perdessi!
Tu conoscevi
già il Ferrante Aporti?
Conoscevo solo il luogo, ho varcato la
soglia con tanto tremore, lo devo dire,
con in testa la battuta di mia mam-
ma: «Ma proprio in carcere dovevi
andare, proprio lì?». In seguito dirà
ancora: «Ma a te non ti faranno mai
parroco?». Per lei fare il parroco era
il simbolo del successo per un pre-
te. Ma ha avuto ragione: al massimo
sono stato viceparroco o collaboratore
parrocchiale.
Allora, con questo stato d’animo,
vedendo i ragazzi, mi sono detto:
«Ma questi ragazzi sono più o meno
quelli che incontro all’oratorio, che
ho incontrato alla Verga vicino a
Porta Palazzo, ragazzi emarginati,
in difficoltà». E così ho cominciato
a lavorare, a proporre la stessa dina-
mica dell’oratorio. Anche all’Agnelli
quando aprivo l’oratorio, mi mettevo
Don Domenico Ricca con papa Francesco.
A pagina precedente: don Domenico con
mons. Nosiglia, arcivescovo di Torino, e la statua
di don Bosco collocata nel Ferrante Aporti.
sulla porta e salutavo tutti: «Buon-
giorno, ciao», perché qualcuno ha
detto che il momento dell’ingresso
e dell’uscita da scuola, dall’oratorio
sono i momenti più favorevoli ad una
relazione schietta, non contaminata
dalle preoccupazioni, non in difesa.
La dinamica della relazione l’ho av-
viata anche con i ragazzi del Ferran-
te; mi presentavo: «Sono il cappella-
no, se hai bisogno di me cercami»,
Dopo tre giorni lo rivedo e dico: «ma
tu sei il tal dei tali, vieni da quel pae-
se lì, conosci per caso quel prete»,
senza mai chiedergli...
“... perché sei qui?”
Mai, mai ho fatto questa domanda
diretta. Però, con qualche informa-
zione sulla sua vita, la domanda e la
risposta venivano da sole: «Come fa
a saperlo?». Su questo c’è un monito
di san Giuseppe Cafasso ai preti – tra
i quali anche don Bosco nel 1841 –
con i quali visitava i carcerati: «Mai
Luglio/Agosto
21

3.2 Page 22

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A TU PER TU
domandare fuori della confessione
sacramentale, i motivi per cui erano
in carcere». Don Cafasso aggiungeva
ancora: «Evitare, nella catechesi, il
quinto e il settimo comandamento,
per non mettere il dito nella piaga e
far soffrire». La mia nomina ufficiale
a cappellano del Ferrante Aporti da
parte della Curia avvenne il 27 otto-
bre 1980.
Come ti sei costruito, che
idea avevi di come doveva
essere un cappellano?
Non avevo nessuna idea, l’unica era
quella di fare le cose che facevo in
oratorio; poi mi sono accorto che al-
cune non si potevano fare e altre sì.
Per esempio un’animazione del loro
tempo libero perché i ragazzi erano
tanti e le offerte formative in quegli
anni erano ancora esigue.
diventato responsabile dell’oratorio e,
di conseguenza, con un buon margine
d’azione.
Quando per la prima volta
hai potuto celebrare nel
carcere la tua prima Messa
«come Dio comanda»?
Era la Pasqua del 2013, domenica
31 marzo: per la prima volta abbia-
mo celebrato la Messa in una stanza
dell’Istituto ristrutturato che abbia-
mo adibito a cappella del Ferrante.
Per me questo è un punto di arrivo,
appunto un sogno che si realizzava.
Erano 33 anni che attendevo che al
Ferrante venisse adibito uno spazio a
cappella accogliente, sempre aperta
– quando è possibile – e comunque
un luogo per la riflessione sulla Pa-
rola e in alcuni momenti per l’Eu-
carestia.
Oggi, puoi dire
che hai seminato bene
Può essere, oppure vuol dire che nella
dinamica di queste relazioni i ragazzi
ti vorrebbero sempre appresso perché
sono estremamente fragili e insicuri e
se stai a questo gioco si rischia che non
crescano, non prendano veramente il
volo. Di ragazzi ne ho seguiti tanti e
ho preso tanti schiaffoni in faccia (se
penso alle ore che ho trascorso nell’a-
spettarli agli appuntamenti, i soldi
che mi sono mangiato o che mi han-
no mangiato nel sostegno spicciolo!
Avrei potuto fare chissà quante altre
cose, avrei potuto vivere un’altra vita
con quel tempo di attesa, avrei potuto
crearmi altre opportunità) sono sem-
pre più convinto di una cosa: che alla
fine non posso dire di essere rimasto
con un pugno di mosche in mano.
No, non è così: sono con un pugno di
Quando sei arrivato non
c’erano i laboratori e tutte
le attività che ci sono oggi
C’era pochissimo, e abbiamo costrui-
to pezzo per pezzo: io mi sono occu-
pato in particolare della parte sportiva
e della scuola, data la mia esperienza
di insegnante. Ho seguito per tanti
anni i ragazzi, i loro inserimenti sco-
lastici, dentro e fuori. Con i volonta-
ri dell’oratorio abbiamo organizzato
un biennio di scuola superiore con le
lezioni quotidiane a cura dei nostri
volontari. Siamo riusciti a presentar-
ne alcuni agli esami di accesso alla
terza superiore, la maggior parte in
ragioneria, altri all’alberghiero. C’era
un bel gruppo di volontari che mi ero
costruito perché, nel frattempo, ero
Don Domenico Ricca con un gruppo di animatori della comunità di accoglienza di Casale.
22
Luglio/Agosto

3.3 Page 23

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Don Bosco ci ha insegnato che “In ogni giovane,
anche il più disgraziato, avvi un punto accessibile al bene
e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto,
questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”.
E’ il nostro mantra educativo.
mosche sulle mie attese, nel senso che rante negli anni, così e così, è da un
le mie attese sono un pugno di mo- po’ che ti guardavo». Dico: «Ma come
sche, ma le realizzazioni dei ragazzi mai sei così ben vestito, così strafigo
sono da giudicarsi in modo diverso. con quella divisa lì?». «Perché faccio il
Ovvero, quasi paradossalmente, nel capotreno della linea Milano-Parigi».
momento in cui stufo, stanco, li ho Penso: ma questo qui ci ha dato tanto
un po’ abbandonati a se stessi questi filo da torcere... E mi sono venute in
hanno aperto la crisalide e hanno co- mente quante energie abbiamo speso
minciato a volare.
tutti insieme, e finché era sotto la no-
Qualcuno ti ha detto
stra protezione, come si suol dire, non
abbiamo cavato un ragno dal buco...
“grazie”?
chissà come mai?
Dieci o quindici anni fa, ero sul tre-
no Torino-Mestre e dovevo cambiare E come mai?
a Milano. Nella prima tratta mi ac- È successo che ha azzeccato l’amo-
corgo di un giovanotto che mi fissa re, tanto per dirne una, ha incontra-
dal fondo della carrozza: è vestito da
to una ragazza bravissima, c’è stato
Il libro-intervista che raccoglie le esperienze
e i ricordi di don Domenico Ricca.
capotreno con una divisa di lusso. Io un feeling e, vai a sapere, è servito a
lo guardo ma non mi sovviene nul- raddrizzarsi. E adesso era lì nel mio
la. Ci fermiamo, si scende dal treno, stesso treno con un mestiere, orgo-
a Milano si cambia; passando dal glioso di se stesso, orgoglioso anche bene. Don Bosco ci ha insegnato che
binario 10 al 14 ritrovo questo ra- di presentarsi, di farsi riconoscere, di “In ogni giovane, anche il più di-
gazzo dietro di me, io in attesa del raccontarmi. Forse anche un modo sgraziato, avvi un punto accessibile
treno Milano-Venezia e lui ancora lì. implicito per farci sapere e per rassi- al bene e dovere primo dell’educato-
Stiamo aspettando che il treno par- curarci che con lui non avevamo sba- re è di cercare questo punto, questa
ta, è vestito con la giacchetta rossa gliato tutto.
corda sensibile del cuore e di trarne
e il cappello da capotreno: mi viene
incontro e mi dice: «Ma tu non sei Il tuo messaggio
Mecu?». Dico: «Sì, allora tu chi sei?». ai salesiani?
profitto”. È il nostro mantra educa-
tivo. Nessuno tocchi Caino è vero
sempre. Buttar via la chiave non sta
«Io sono Edoardo (il nome è di fan- Ho toccato con mano quanto i ra- nelle nostre e nelle mie corde educa-
tasia, ovviamente), sono stato al Fer- gazzi siano imprevedibili anche nel tive.
Luglio/Agosto
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3.4 Page 24

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
ANGOLA
“Progetto
Kamba Dyami”
In questo 2015
l’Angola sta vivendo il
suo 13° anno di pace, dopo una lunga guerra
civile. 1705 studenti, 49 insegnanti, 1500
computer in 4 province, sono solo alcuni dei
numeri positivi del “Progetto Kamba Dyami”,
che fin dalla sua nascita nel 2010, lavora per
l’educazione di qualità dei bambini e dei gio-
vani angolani . Il progetto accoglie l’iniziativa
di Nicholas Negroponte, “Un computer per
ciascun bambino”, che già si stava sviluppan-
do in diversi paesi. Inoltre, questo progetto è
diventato interessante perché è stato applicato
alla periferia della capitale Luanda, dove gli
studenti provenienti da ambienti svantaggiati
hanno accesso alle nuove tecnologie e ad una
formazione di migliore qualità attraverso dei
piccoli computer “XO”.
Nel 2014 è iniziato a Benguela e in questo
2015 nella città di Calulo. “Crediamo che
questo progetto, sempre di più, offra la pos-
sibilità di avere contatti con le nuove tecnolo-
gie dell’informazione a più bambini nel paese
e dia loro l’opportunità di imparare sotto un
nuovo metodo d’insegnamento” riferiscono
gli organizzatori. Attualmente il progetto
continua ad essere realizzato nelle scuole
salesiane dal al anno e il suo uso è stato
esteso a tutte le discipline scolastiche.
INDIA
Nuova missione
FMA in Assam
Le Figlie di Maria
Ausiliatrice dell’ispettoria
indiana Mater Ecclesiae
di Guwahati (ING), si
sono impegnate nella
missione verso i più
poveri, raggiungendo la
popolazione nei campi di
rifugio ad Assam, dopo
la violenta strage etnica
scoppiata tra Bodos,
Adivasi e Santhali, che
ha provocato la morte di
molte persone, soprat-
tutto bambini e donne.
Migliaia i senza tetto,
tanti sono stati costretti
a fuggire dai villaggi.
Molte case sono state
distrutte e i campi di riso
bruciati. Bambini, donne
e anziani sono le persone
più colpite da questo
atto crudele e disumano.
Sono stati allestiti campi
di soccorso in luoghi
diversi, ma le persone
continuano a soffrire a
causa della mancanza
delle cose più essenziali:
medicinali, cibo, case e
vestiti.
INDIA
Un nuovo
programma
per l’educazione
dei bambini
delle famiglie
immigrate
I figli dei lavoratori migranti che abitano
nelle baraccopoli di Nizampura, a Vadodara,
nello Stato indiano del Gujarat, hanno ora la
possibilità di ricevere un’educazione grazie a
un nuovo programma predisposto da “Don
Bosco Snehalaya”, un’organizzazione salesia-
na che offre formazione e programmi di svi-
luppo sociale e anima anche molti dei “Club
dei diritti dei bambini” presenti nel paese.
Spesso nelle baraccopoli di Nizampura i ge-
nitori sono riluttanti a mandare i loro figli a
scuola, perché in alternativa possono portare
un po’ di denaro extra a casa, chiedendo
l’elemosina o compiendo piccoli furti.
“I Salesiani stanno facendo costanti progres-
si nella lotta contro la povertà tra i giovani
dell’India, ma c’è ancora molto da fare. Fino
a quando i bambini affronteranno disagi
indicibili, i Salesiani saranno lì per offrire
riparo, educazione e supporto nella speranza
di offrire loro un futuro migliore”, conclude
don Mark Hyde, responsabile della Procura
Missionaria Salesiana di New Rochelle.
24
Luglio/Agosto

3.5 Page 25

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SPAGNA
Campagna
per le minorenni
madri del mondo
Circa 13 milioni di
ragazze sotto i 18 anni rimangono incinte
ogni anno in tutto il mondo, secondo i dati
del Fondo della Popolazione delle Nazioni
Unite, e quasi il 95% di loro vive in paesi in
via di sviluppo. “La maggior parte di queste
minorenni non diventano madri per scelta.
Molte vengono costrette a sposarsi, altre
sono violentate e tutte hanno in comune la
mancanza di risorse, educazione e infor-
mazione”, denuncia Ana Muñoz, portavoce
della Procura Missionaria Salesiana di
Madrid, spiegando il senso della campagna
“Cuidemos de Ellas”, che ha per protago-
niste proprio queste giovani. In molte parti
del mondo i Salesiani si prodigano per queste
giovani e i loro futuri figli. Lo testimoniano
i progetti “Querebebé”, nella Repubblica
Dominicana, o “Casa Lunas” in Uruguay, o
la “Casa Mamma Margherita” nella Repub-
blica Democratica del Congo. “La mia vita è
tornata ad avere un
senso. Ora so come
prendermi cura di
mio figlio e lottare
per lui”, racconta
Melissa, di 16 anni,
che è stata accolta
nel progetto “Que-
rebebé”. Maggiori
informazioni sulla
campagna e alcune
testimonianze di
madri-bambine
sono disponibili sul
sito della Procura di
Madrid.
SUDAFRICA
Un rosario
per la fine
della xenofobia
in Africa
I giovani del Movimento
Giovanile Salesiano di
Città del Capo hanno
organizzato un rosario
speciale per pregare
per la fine degli attacchi
xenofobi nel paese e per
la pace nel continente
africano.
Durante l’incontro i
giovani hanno anche
discusso su che cosa
possono fare per porre
fine alla xenofobia. Il
Sudafrica – la nazione
dell’arcobaleno, che
ha vissuto su di sé la
vergogna dell’apartheid
– è scosso da violenze
e scontri che vedono
protagonisti i giovani
sudafricani impegnati
nell’attaccare le mino-
ranze immigrate presenti
nel paese. Solo nelle
ultime settimane, negli
attacchi a Durban e nei
sobborghi di Johan-
nesburg, sono rimaste
uccise 6 persone.
RWANDA
Un serbatoio
idrico e nuovi
servizi igienici
per una scuola
elementare
salesiana
I Salesiani della
comunità di Rukago,
nella città di Kigali,
hanno appena com-
pletato un progetto
per portare acqua e
servizi igienico-sani-
tari alla locale scuola
salesiana. Il progetto
è stato finanziato
dalla Procura Mis-
sionaria Salesiana di
New Rochelle e ha portato alla costruzione
di otto nuovi bagni e alla riparazione di un
serbatoio per la raccolta d’acqua potabile.
Nella comunità di Rukago i Salesiani anima-
no una scuola elementare, una professionale e
una parrocchia. La scuola primaria, che offre
un’educazione ad un vasto bacino di bambini
poveri, aveva estremo bisogno di nuovi ser-
vizi igienici e di acqua potabile. Prima della
riparazione del serbatoio idrico, gli studenti
dovevano camminare oltre un miglio per
raccogliere l’acqua su una collina, in una
zona paludosa. “Questo progetto ha avuto
un grande impatto sui nostri studenti, che
ora hanno accesso a migliori servizi igienici
e all’acqua potabile; e ci aspettiamo ora che
ci permetta di ridurre il numero di bambini
che si ammalano per mancanza di igiene e di
acqua pulita” ha detto don Jean Paul Ruriho,
Direttore dell’Ufficio di Pianificazione e
Sviluppo ( ) della Visitatoria Salesiana
“Africa Grandi Laghi”.
Luglio/Agosto
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
ERINO LEONI
E la Nave va
Dove si spiegano le vele per il dono totale di se stessi
P Nave è una piccola cittadina alle porte
di Brescia che, con i suoi 5000 abitanti,
ha accolto da sempre i salesiani con grande
cuore, facendoli sentire a casa.
er arrivare in porto bisogna avere una
Nave solida. Bisogna essere ben aggrap-
pati all’Albero maestro. Bisogna spiegare
le vele e che siano di tessuto robusto per
lasciarsi trasportare dal vento. Bisogna
avere remi potenti per affondare nelle
Così la casa salesiana di Nave è diventata
a sua volta casa per tanta gente,
acque non sempre dolci del mare della vita.
Questo è ciò che facciamo qui a Nave, da più di
75 anni.
È su questa “imbarcazione” che l’equipaggio dei
gente semplice ma che sente i figli giovani salesiani impara a diventare don Bosco
di don Bosco come figli propri, accompagna oggi, per poi assumere il comando di altre piccole
la loro formazione con la cura di una famiglia. o grandi navi che in diverse parti del mondo vo-
gliono portare al medesimo porto.
Casa, scuola, cortile
Questa casa salesiana è stata nella sua storia abita-
zione nobiliare, monastero domenicano maschile
e femminile, ospedale durante la guerra, scuola
per formare al lavoro centinaia di ragazzi e, da
qualche lustro, casa di formazione per i giovani
salesiani appena professi.
Sì! Qui si sono plasmati sulla figura di Gesù e
con il volto di don Bosco, centinaia di giovani che
hanno abitato e abitano il mondo intero.
Nave! Una piccola cittadina alle porte di Brescia
che, con i suoi 5000 abitanti, ha accolto da sem-
pre i salesiani con grande cuore, facendoli sentire
a casa. Così la casa salesiana di Nave è diventata a
26
Luglio/Agosto
I giovani salesiani studenti a Nave. Qui imparano a diventare
“don Bosco oggi”.

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sua volta casa per tanta gente, gente semplice ma
che sente i figli di don Bosco come figli propri.
Sì, perché la scuola e la sua biblioteca (con i circa
80 000 volumi che dal 1500 ai giorni nostri nar-
rano il mistero di Dio e il mistero dell’uomo) non
sono un freddo laboratorio accademico, ma una
fucina che nell’incandescenza della formazione
avvia alla vita e per la vita.
Sì, perché è oratorio che evangelizza, in uno
splendore di chiesa, che in questo bicentenario ha
completato il suo percorso pittorico – per opera
dell’amico e compagno di viaggio Mario Bogani
– percorso iniziato nel 1985 con i vari cicli: quel-
lo Vocazionale con la storia di Davide; quello di
Nazareth con la formazione di Gesù apostolo del
Padre; quello del Pane con la moltiplicazione nel
catino absidale; quello Mariano con lo splendore
della Vergine Aiuto dei Cristiani; quello Pasqua-
le con la via crucis e il sogno delle due colonne;
quello Salesiano con i santi della nostra famiglia.
Oratorio che accoglie una famiglia salesiana nu-
merosa e affezionata, che si trova quotidianamen-
te a pregare con i consacrati e che il martedì sera
sta davanti a Gesù Eucaristia con il cuore ardente
di Maria e si forma passo dopo passo, con il Cate-
chismo della Chiesa Cattolica almeno da 20 anni.
Sì perché è cortile per incontrarsi da amici con
ragazzi che vengono per incontri, ritiri, testimo-
nianze o a cui andiamo incontro nelle diverse
realtà, nelle esperienze di animazione, negli ora-
tori ogni fine settimana.
Con i giovani,
per i giovani, sempre
Attualmente la casa ospita il postnoviziato con 26
studenti tra primo e secondo anno e tre giorni
alla settimana i tirocinanti del terzo anno, che
conseguono così la laurea breve in filosofia.
Postnoviziato che continua la formazione dopo la
prima professione e che conduce i giovani salesia-
ni verso il consolidamento della propria vocazione
di consacrati, con lo stile di don Bosco, attraverso
un’intensa esperienza di studio, di vita fraterna,
di vita liturgico-spirituale e di apostolato.
Qualcuno forse conosce la nostra realtà per un’e-
sperienza particolare di apostolato che da più di
20 anni ha segnato il nostro modo di annunciare:
Il musical su don Bosco, che in una forma fabulisti-
ca, racconta la passione del nostro Padre per Dio
e per i giovani. Attraverso la recitazione, il canto,
la musica, la danza e la scenografia, rigorosamen-
te tutto preparato dai giovani salesiani, ogni anno
raggiunge circa 5000 spettatori. Esperienza che
plasma la comunità, fonde doti e ricchezze indi-
viduali, purifica le motivazioni ed esprime con la
bellezza il grande sogno di don Bosco cercando
di arrivare direttamente al cuore dei ragazzi… Un
po’ come faceva Lui, quando saliva sulla cattedra
delle buone notti e narrava sogni, squarci di para-
diso, avventurosi viaggi fra paesaggi sconosciuti,
navi schierate a battaglia e mostri orrendi contro
cui lottare per la salvezza. E così dalla favola si
passa alla vita. Favola che, di fatto, parla di noi,
parla della nostra vocazione, della nostra storia,
delle nostre lotte e della nostra meta.
Ma questo è solo un frammento. E siccome siamo
partiti dall’apostolato non possiamo dimenticare
Attualmente la
casa ospita il
postnoviziato con
26 studenti.
Luglio/Agosto
27

3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
Un’esperienza
particolare di
apostolato che
dura da più di
vent’anni, ogni
volta inedito e
pieno di creatività,
è il musical su don
Bosco.
le tante esperienze di animazione nelle comunità,
le attività ispettoriali di animazione del movi-
mento giovanile salesiano o dei cammini voca-
zionali e ancor di più gli oratori nei quali siamo
presenti per l’animazione del catechismo, del cor-
tile, della liturgia festiva. È la ferialità di un apo-
stolato al sabato ed alla domenica che ci permette
di incontrare ragazzi in realtà non salesiane.
«Portare ai giovani l’amore di Dio, con pazienza,
secondo i tempi e i modi che Lui stabilirà. Dai
banchi di scuola al cortile dell’oratorio, sapendo
che il Signore, che un momento prima mi aspet-
tava in classe per un’ora di storia della filosofia,
ora è là, in quel giovane di tredici anni che tutti
i sabati e le domeniche mi chiede il pallone per
giocare. Con aria sprezzante mi sfida e talvolta
ride di me. Dice di non sopportare i Salesiani,
eppure non manca mai: è sempre lì. Che sia co-
sciente di aver bisogno di qualcuno che gli voglia
bene? Non penso. Che ne abbia bisogno, ne sono
sicuro. Come ne ho bisogno io. Perché anch’io
sono figlio. Così cerco di essere per lui fratello,
padre, amico. Dimentico le battute, le risate, i
commenti: Signore eccomi, vado io». (Gianluca)
Ma il vero ritmo del cuore della casa è dettato
dall’ascesi e dal quotidiano movimento verso la
profondità dello studio. Fra discipline stretta-
mente filosofiche e pedagogiche si approfondisce
la riflessione, che diventa luce per riconoscere e
motivazione per accogliere in modo sempre più
profondo e attento la nostra vocazione e la vita
dei giovani che il Signore ci dona e ci chiede di
incontrare. In questo percorso scopriamo che la
rilettura della cultura contemporanea e la ric-
chezza del nostro carisma non sono solo nozioni
da apprendere ma primariamente vie che permet-
tono di rispondere al dono di Dio che è la nostra
vocazione. Sono interpellanze del suo amore che
diviene formativo, scoprendo giorno dopo giorno,
il mistero dell’uomo, le strade per la sua matura-
zione e la bellezza del dono che lo Spirito Santo
ha fatto alla Chiesa in don Bosco.
«A Nave non sono io a decidere i ritmi della mia
vita quotidiana, e di tempi vuoti neanche l’om-
bra! Ma in questo modo tutta la giornata può
diventare lode a Dio: devo solo saper fare al me-
glio ogni cosa che mi è chiesta, offrendo tutto per
quei ragazzi, per lui, per lei… Se riesco a tenere
il tempo, anche il cuore della vita con Gesù batte:
e niente è noioso nella ripetitività delle giornate,
tutto mi parla in modo sempre nuovo e sorpren-
dente». (Luca)
E tutto questo formati da e dentro la comunità.
«La fraternità della comunità è il primo dono e
la prima opportunità che la vita del postnovi-
ziato offre. È nelle piccole cose che la comunità
m’insegna che prima di essere un dono per gli
altri, devo prendere coscienza che gli altri sono
un dono per me, facendomi scoprire degno di es-
sere amato, così come sono. Questo non è facile
perché l’orgoglio ed il rifiuto sono due tentazioni
a cui facilmente si può dare ascolto. Il dono più
grande che posso ricevere dalla mia comunità è il
riconoscere che sono amato da Dio tramite i miei
fratelli. Solo se accetto di accogliere questa me-
raviglia divento capace di ridonare, amando gli
altri». (Damiano)
28
Luglio/Agosto

3.9 Page 29

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LETTERE
Tre regali per il suo
compleanno
Quali doni possiamo fare, come Famiglia
Salesiana, a don Bosco per il suo compleanno?
Nel Video commento
alla Strenna 2015, il
Rettor Maggiore af-
ferma che la Famiglia
Salesiana deve essere
“una squadra vincen-
te” nel servizio a don Bosco e ai
giovani. Per poter vincere la parti-
ta, una squadra deve essere unita,
affiatata e rispettosa delle regole.
Noi, membri della Famiglia Sa-
lesiana, abbiamo una strada già
tracciata: dobbiamo vivere “sen-
za riduzioni e senza sconti” tutti
gli articoli dei nostri Statuti e dei
nostri Regolamenti. Solo così ci
faremo santi, renderemo un buon
servizio ai giovani e saremo un bel
regalo per il compleanno di don
Bosco!
Se vivremo bene Statuti e Regola-
menti, diventeremo testimonianza
e proposta vocazionale incarnata
per gli altri e soprattutto per i gio-
vani, che ci seguiranno sulla via
della “salesianità”. Solo così sa-
remo un altro bel regalo concreto
per il compleanno di don Bosco.
Ah, se ogni membro della Famiglia
Salesiana portasse almeno una
vocazione a don Bosco entro il 16
agosto 2015!
Un’altra cosa è necessario cono-
scere e la storia ce lo insegna. Agli
inizi dell’Oratorio (1841) don Bo-
sco era aiutato da laici e da preti
del clero secolare, cioè dai primis-
simi Salesiani Cooperatori. Sola-
mente dopo, don Bosco fonderà la
Società di San Francesco di Sales.
Ad oggi, c’è la possibilità per i
membri del clero secolare che lo
desiderano di entrare a pieno titolo
nella Famiglia Salesiana diventan-
do Salesiani Cooperatori (Artico-
lo 3 dello Statuto del Progetto di
Vita Apostolica dell’Associazione
dei Salesiani Cooperatori). Pio
XII era Salesiano Cooperatore; il
cardinal Guarino (siciliano, servo
di Dio, fondatore dell’Istituto del-
le Apostole della Sacra Famiglia)
fu Salesiano Cooperatore ed altri
membri del clero secolare lo sono
ai nostri tempi.
Dobbiamo avere la competenza, la
maturità e il coraggio, soprattutto
in occasione del Bicentenario di
don Bosco, di fare questa proposta
vocazionale salesiana ai sacerdoti
del clero secolare che conosciamo
a vario titolo (vescovi, parroci,
viceparroci, preti amici personali,
ecc.) e faremo un altro bel regalo
per il compleanno di don Bosco.
Questi, oltre a portare il carisma
salesiano nella Chiesa Locale e
nelle parrocchie dove operano,
in questo momento di scarsità di
vocazioni di salesiani SDB ed FMA,
potrebbero aiutarci diventando
anche Assistenti dei gruppi della
Famiglia Salesiana (Delegati dei
centri di Salesiani Cooperatori,
Cappellani nelle Case dei vari
rami di suore salesiane, Incari-
cati della formazione nei gruppi
dell’ADMA, delle Unioni di Exal-
lievi ed Exallieve ecc.).
Concludendo, al di là dunque
di statue, targhe, commemo-
razioni, convegni, raduni spe-
ciali, marce, muri, congressi, inni
e francobolli, offriamo a don Bo-
sco, come membri della Famiglia
Salesiana, dei doni concreti, vivi,
graditi, perenni, autentici. Vivendo
con coerenza, testimoniando in ogni
momento della giornata la nostra
bella specifica vocazione salesiana,
irradiandola portando nuovi membri
nella nostra Famiglia e nella Chiesa.
Giochiamo seriamente e bene, con
gioia e con fedeltà, in squadra come
Famiglia Salesiana, la partita vin-
cente della nostra vita quotidiana.
Don Bosco sarà molto contento di
noi e ci sorriderà dal cielo.
Questo è il mio augurio per tutta la
Famiglia Salesiana nell’Anno Santo
del Bicentenario.
Lella Foti
Salesiana Cooperatrice
di Catania
Luglio/Agosto
29

3.10 Page 30

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FANTASIA SALESIANA
ULRIKE BECKMANN (testi e foto) TRADUZIONE DI MARISA PATARINO
In Germania, un oratorio salesiano “speciale”
La scelta di Janine
«Con questo progetto vogliamo tenere lontani dalla strada
i bambini e i giovani e aiutarli a intraprendere un percorso
corretto». Questa è la realtà del “Don Bosco club” di Essen.
Qui dal 2012 bambini e giovani tra le tante proposte hanno
anche la possibilità di imparare a praticare lo sport del
pugilato. E con grande successo, perché questo progetto
non si limita a mettere in primo piano la forma fisica.
La finalità consiste nell’aiutare i giovani atleti ad accrescere
la loro autostima e a orientare il loro potenziale aggressivo
nella giusta direzione.
Il Bollettino Salesiano tedesco ha
accompagnato una delle sportive
che prendono parte al progetto:
Janine Nowak. L’atleta undicenne
pratica la boxe da due anni e que-
sta è la sua esperienza.
dicenne comincia a sudare. Dopo una
breve pausa, riprende ad allenarsi con
un sacco di sabbia. E l’allenatore Kara-
kou si pone nuovamente di fronte a lei,
per aiutarla ad affinare la sua tecnica.
Janine Nowak pesa solo 41 chilo-
grammi, per un’altezza di circa 1,63
metri. La ragazza con i capelli bion-
do scuro sembra molto delicata, quasi
fragile, con le sue braccia esili e gli
ampi pantaloncini. Quando però in-
dossa i guantoni, sembra che si tra-
sformi. È determinata e ha fiducia in
se stessa. Nella boxe ottiene risultati
Janine è in piedi di fronte al suo alle-
natore, concentratissima. Senza disto-
gliere lo sguardo, ascolta le istruzioni
che le vengono impartite e sferra i colpi
in successione. Zac, zac, zac, colpisce
con i guantoni le mani che Dzmitry
Karakou le presenta. L’allenamento
con le apposite attrezzature imbottite è
molto impegnativo per lei. L’atleta un-
30
Luglio/Agosto

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL PROGETTO PIÙ IMPORTANTE
positivi paragonabili a quelli di alcuni
ragazzi più grandi che fanno parte del
suo gruppo.
L’acquisizione di una buona tecnica
pugilistica e della forma fisica è però
solo uno degli obiettivi auspicati per
questo progetto avviato dal “Don Bo-
sco club” da due anni e mezzo. Ci si
propone che i bambini e i giovani del-
la casa aperta dei Salesiani imparino
questi valori essenziali per la boxe:
l’importanza delle regole, il rispetto
reciproco, la disciplina e a volte l’impe-
gno per andare al di là dei propri limi-
ti. La dottoressa Susanne Bier, educa-
trice e direttrice del “Don Bosco club”,
dice: «Con questo progetto vogliamo
tenere lontano dalla strada i bambini e
i giovani e aiutarli a intraprendere un
percorso corretto». Dei circa 130 bam-
bini e giovani che frequentano quo-
tidianamente il “Don Bosco club” e
fruiscono di attività come l’aiuto nello
svolgimento dei compiti scolastici, più
della metà proviene da famiglie che
si trovano a vivere qualche difficoltà.
Alcuni di loro hanno bisogno di una
guida per affrontare la vita quotidiana.
Altri vivono situazioni problematiche
e per loro il club svolge una funzione
aggregante.
Susanne Bier spiega che un ultimo
aspetto, non meno importante, consi-
ste nella possibilità offerta ai giovani
caratterizzati da grande potenziale
aggressivo di incanalare correttamen-
te questa realtà nell’ambiente del club.
Con l’inizio dell’attività pugilistica, la
situazione cambia già dopo circa sei
mesi. Un aspetto fondamentale ca-
ratterizza questo progetto. «Qui non
vogliamo formare nessun picchiato-
Il progetto della pratica del pugilato è stato avviato nel 2012 presso il “Don Bosco club”
di Essen. Si svolge sotto la guida dell’ex pugile Tom Jekel ed è diventato il programma più
importante nell’ambito della boxe in Nord Reno-Westfalia. Il gruppo che si dedica al pugilato
nel contesto di questa iniziativa, che fa parte del novero delle associazioni sportive giovanili
tedesche, conta 115 giovani e per ora non può accoglierne altri. Tra i più giovani, circa il 20
per cento dei partecipanti al progetto sono ragazze, mentre questa percentuale scende nella
fascia di età più alta. Gli otto gruppi in cui sono stati suddivisi i giovani sono seguiti da sette
allenatori. Le proposte sono articolate in un gruppo “hobby”, una squadra per il vicino liceo
“Don Bosco” e un team di sportivi che prendono parte a incontri di pugilato. Sono integrati
nei vari gruppi anche giovani diversamente abili.
Ulteriori informazioni presso il sito.
re», dichiara Tom Jekel, che in pas-
sato aveva praticato la boxe ed è il
viceresponsabile del club. Il pugilato
offre una possibilità di liberare le pro-
prie energie e di praticare con piacere
un’attività fisica. Janine dice con sin-
cerità: «Qui posso esprimere la mia
ira, quando sono seccata. Poi mi sento
meglio». Per lei e per tutti gli altri gio-
vani questa regola è chiara: non si può
praticare la boxe per strada. Susanne
Bier spiega: «Vogliamo che i ragazzi
si divertano a svolgere questa attività.
Inoltre insegniamo che la boxe è uno
sport». Grazie alla boxe, i bambini e i
giovani dovrebbero acquisire capacità
costruttive, possono trovare motiva-
zioni e guardare al futuro».
Allenamento della squadra in palestra.
Nella pagina precedente: Janine sul ring con la
protezione per la testa e la bocca e i guantoni.
In poco tempo questo progetto si è
ampliato. Era partito con un picco-
lo gruppo di giovani, ma è diventata
l’attività più importante nell’ambito
del pugilato di tutto il Nord Reno-
Westfalia. Al momento il club, che
fa parte del novero delle associazioni
sportive giovanili tedesche, conta 115
partecipanti e per ora non può acco-
glierne altri. «Se ne avessimo la possi-
bilità, offriremmo questa opportunità
a un numero maggiore di bambini»,
dice Susanne Bier riferendosi alle nu-
merose richieste che riceve ogni setti-
mana e per cui è già stata stilata una
Luglio/Agosto
31

4.2 Page 32

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FANTASIA SALESIANA
lista d’attesa. «Ci è stato anche chie-
sto se possiamo avviare un gruppo per
casalinghe e anziani».
Nel corso dei quasi due anni e mezzo
di storia del progetto, non si è verifi-
cato quasi nessun incidente. «Al mas-
simo sanguina qualche naso», ricorda
Tom Jekel. I giovani pugili salgono
sul ring con la protezione per la testa
e la bocca. Sotto i guantoni indossano
anche bende per proteggere le artico-
lazioni. «Nel calcio si verifica certa-
mente un numero maggiore di inci-
denti», afferma con sicurezza.
«Per lui ci sono solo
lo sport e Dio»
Janine ha cominciato a praticare la
boxe a nove anni. Abita nei dintor-
ni e frequenta regolarmente il club.
«Volevo semplicemente provare», dice
la ragazza, che è allieva della scuola
media e ha subito provato interesse per
il pugilato. Due mesi dopo che aveva
cominciato a praticare questo sport, è
stato chiaro che Janine “ha un grande
talento”, come dichiara Tom Jekel. La
ragazza viene ad allenarsi quattro volte
la settimana per circa un’ora. E anche
se i giovani non devono dimostrare la
loro forza fisica con la boxe, Janine è
diventata forte sotto un altro aspetto.
«Prima ero molto ansiosa e poco pro-
pensa a parlare», valuta la stessa undi-
cenne. In questo arco di tempo, Janine
ha anche acquisito maggiore sicurezza
e fiducia in se stessa. Un cambiamento
positivo, che si riflette anche sul suo
rendimento scolastico. «Adesso i miei
voti sono sempre buoni o ottimi», dice
con orgoglio la ragazza.
Il logo del gruppo: la danza e la boxe.
“Buona” e “fantastica” sono gli agget-
tivi che Janine usa per spiegare come
considera la boxe. Lo scorso novembre
ha combattuto la sua prima gara sul
ring, davanti a 500 spettatori. «All’i-
nizio ero molto agitata», ricorda Jani-
ne, «ma poi mi sono immediatamente
concentrata sulla gara». Sono in pro-
gramma altri incontri, anche se è dif-
ficile trovare avversarie nella sua cate-
goria di peso. Un incontro consiste in
circa tre round della durata di un mi-
nuto ciascuno. E anche la Federazione
Pugilistica “Westfälsche Boxing” ha
manifestato interesse a “prendere in
considerazione” Janine, come si suol
dire. In definitiva, la ragazza è prov-
vista proprio delle doti di cui ha biso-
gno un buon pugile. «Si tratta prima
di tutto di una buona sensibilità cor-
porea, riflessi rapidi e la giusta coordi-
nazione», spiega Tom Jekel attingendo
dalla sua esperienza. La tecnica e la
forma fisica si affinano e si sviluppano.
Per questo un allenatore come Dzmit-
ry Karakou è la persona giusta. Il tren-
tanovenne in passato ha combattuto
anche per la squadra nazionale russa.
«Per lui ci sono solo lo sport e Dio»,
dice Tom Jekel. Come gli altri allena-
tori, anche Karakou segue il principio
pedagogico della formazione integrale
della persona accolto presso il “Don
Bosco club”. Nonostante le numerose
e allettanti proposte lavorative che ri-
ceve, rimane qui, perché si sente legato
al club. Jekel dichiara: «Karakou è un
modello luminoso per i bambini. Un
educatore di cui i bambini e i giovani
del “Don Bosco club” hanno bisogno,
che seguono e che li aiuta a costruire
un progetto per il futuro. In definitiva,
è tutt’altro che una persona che inse-
gni a tramortire gli avversari».
Per Janine questo progetto è un suc-
cesso. Tom Jekel dichiara: «È giovane
e ha già raggiunto un livello parago-
nabile a quello di una quattordicen-
ne o di una quindicenne». Quando
si allena, Janine ha sempre l’orecchio
attento alla voce del suo istruttore.
«Veloce, pausa, continua», scandi-
sce conciso l’allenatore russo. Janine
stringe i denti e va avanti. Alla fine
l’allenatore la invita a saltare con la
corda. Tra palla medica, manichino
e saccone, la ragazza completa gli
esercizi di riscaldamento per allenare
anche i muscoli addominali. Grazie a
questo progetto inerente la boxe, Ja-
nine ha imparato a conoscere le sue
potenzialità e a proporsi obiettivi. E
a impegnarsi con fiducia in se stessa
nella vita e sul ring.
www.donboscoclub.de
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Luglio/Agosto

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
La Marchesa di Barolo
è Venerabile
Martedì 5 maggio 2015 il santo
padre Francesco ha autorizzato
la Congregazione per le Cause
dei Santi a promulgare il decreto
riguardante le virtù eroiche della
serva di Dio Giulia Colbert, laica,
vedova e fondatrice della Congregazione delle
Figlie di Gesù Buon Pastore e delle Suore di S.
Anna, nata a Maulévrier (Francia) il 26 giugno
1786 e morta a Torino (Italia) il 19 gennaio 1864,
dichiarandola Venerabile.
Giulia Colbert, marchesa Falletti di Barolo, è
stata una delle figure femminili torinesi più
carismatiche del XIX secolo. Una grande be-
nefattrice, che si occupò soprattutto delle
pessime condizioni in cui versavano all’epoca
le donne carcerate, ma non solo: fondò vari
istituti assistenziali ed ebbe molti rapporti con
numerosi personaggi illustri, dal re Carlo Al-
berto a Cavour, da Silvio Pellico a don Bosco.
Nata nella Vandea (Francia), aveva sposa-
to nel 1807 il Marchese Tancredi Falletti di
Barolo, del quale è pure in corso la causa di
beatificazione. I due coniugi, molto facoltosi,
furono figure di primo piano della nobiltà pie-
montese. Giulia e Carlo Tancredi non potero-
no avere figli, ma decisero di adottare come
tali i poveri di Torino. La capitale subalpina,
che si stava industrializzando, era diventata
infatti un bacino che raccoglieva gli immigrati
dalle campagne in cerca di lavoro, in cerca di
fortuna, ma moltissimi troveranno miseria e
abbandono. A salvare questa Torino malata
saranno figure eminenti, dal Cottolengo al
Cafasso, da don Bosco al Faà di Bruno e con
loro anche la coppia Carlo Tancredi e Giulia
di Barolo.
All’inizio dell’oratorio don Bosco troverà ac-
coglienza nelle opere della Marchesa, prima
presso il Rifugio e successivamente all’O-
spedaletto di S. Filomena (dall’ottobre 1844
al maggio 1845). Il periodo trascorso come
direttore spirituale nelle opere educative della
Marchesa è breve, ma lascia un segno inde-
lebile in don Bosco. La Marchesa, con la sua
fede sincera e profonda, con la sua forte per-
sonalità, con la sua concretezza e schiettezza,
aiuta moltissimo don Bosco a rimanere con i
piedi piantati per terra; a sviluppare un siste-
ma educativo impregnato di carità, tolleranza
e pazienza; a testimoniare una fede ricca di fi-
ducia nell’Angelo custode e in Maria, oltre che
di fedeltà al Papa. Il soggiorno presso le ope-
re della Marchesa è veramente per don Bosco
la prima scuola organizzata, non accademica,
di sistema preventivo.
La Marchesa nutrì sempre grande stima per
don Bosco e lo sostenne nella promozione
delle sue opere a favore della gioventù povera
e abbandonata. In una lettera scritta a don Bo-
rel il 18 maggio 1846, dopo aver definito don
Bosco “ottimo”, afferma: “piacque anche a me
fin dal primo momento e gli trovai quell’aria
di raccoglimento e di semplicità propria delle
anime sante”. Con intuito materno e femmi-
nile aveva colto che la salute di don Bosco
era a rischio, affaticato dalla mole di lavoro
educativo e pastorale; inoltre era giustamente
preoccupata di salvaguardare la specificità
delle sue opere rispetto a quelle di don Bosco
a favore dei ragazzi.
Giulia e Carlo Tancredi: modello di comu-
nione coniugale perfetto. Spogliati di ogni
orgoglio patrizio, fecero qualcosa di grande:
si mischiarono e si confusero in mezzo ai po-
veri puntando sulla trasformazione dei sistemi
per riformare il riformabile, per modificare il
modificabile, per fare giustizia dove giustizia
non c’era.
In questo anno Bicentenario della nascita di
don Bosco, visitando la città di Torino meri-
tano di essere conosciuti i luoghi legati alla
Marchesa e al marito Tancredi: il Palazzo Ba-
rolo, la loro casa e “quartier generale” delle
loro attività filantropiche; la chiesa di Santa
Giulia, che custodisce le tombe della Marche-
sa e del marito; il Rifugio di Santa Filomena,
fatto costruire per il recupero delle ex-carce-
rate, e che oggi ospita un piccolo e interes-
sante museo ricco di cimeli; la casa madre
delle suore di S. Anna.
Luglio/Agosto
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Famiglia:
realtà che conta
Gli anni passati in famiglia sono gli anni delle radici,
gli anni che hanno il futuro in tasca.
L o sapevate che il 50% dello
sviluppo dell’intelligenza del
bambino si verifica tra il con-
cepimento ed i quattro anni di
età; circa il 30% tra i quattro
e gli otto anni, il 20% tra gli
otto ed i diciassette anni? Lo sapevate
che il 33% delle parole vengono im-
parate tra la nascita e i sei anni, il 22%
tra i sei e i tredici, il 25% tra i tredici e
i diciassette? Lo sapevate che sui 2-3
anni il bambino costruisce (in base a
ciò che dicono di lui il padre e la ma-
dre) la prima immagine del proprio
io che non è una fotografia e basta,
ma un condizionamento ad agire che
porterà sempre con sé? L’autostima,
una delle principali forze della cresci-
ta, parte dall’infanzia.
Ecco: basta il poco detto per farci in-
tuire che gli anni passati in famiglia
sono gli anni delle radici, gli anni
che hanno il futuro in tasca! In Per-
sia dicono: “Se hai piantato un cardo,
non aspettarti che nasca un gelsomino”.
In Svezia dicono: “Ciò che Pierino non
impara, Pietro non lo imparerà mai!”.
Noi diciamo: la vita è come una lunga
addizione. Nell’addizione basta sba-
gliare la somma dei primi numeri per
continuare a sbagliare fino alla fine!
Gli anni della valigetta
invisibile
È chiaro perché la famiglia è realtà
che conta, tanto quanto contano i pri-
mi anni passati in famiglia.
In essi, si struttura la base della no-
stra vita psichica in tutti i suoi aspetti:
da quello intellettivo, come abbiamo
detto, a quello comunicativo, a quello
dell’identità personale, non solo ma
anche (e soprattutto!) a quello affet-
tivo. Nell’infanzia (nella famiglia!) si
forma la valigetta invisibile che farà
sempre sentire la sua influenza.
In quella valigetta vi è di tutto: cose
belle e buone, cose cattive e dannose.
Vi sono i sorrisi dei genitori, le cocco-
IL DECALOGO DEL GENITORE
Primo: non urlare (salvo una volta alla settimana).
Secondo: non strafare (la mamma troppo valente fa la figlia buona a niente).
Terzo: ricordati di amare (la nostra influenza arriva fin dove arriva il nostro amore).
Quarto: fa’ il bene prima di parlarne (nell’educazione sono vietate le recite).
Quinto: impara a parlare (le armi possono vincere, le parole convincere).
Sesto: ricordati di essere ciò che vuoi trasmettere (la parola è suono, l’esempio è tuono).
Settimo: non desiderare d’esser perfetto (l’acqua troppo chiara non ha ranocchi; zoccolo
troppo levigato scivola sul bagnato; anche le scimmie cadono dagli alberi).
Ottavo: non dimenticare di pregare (a pregare non si sbaglia mai).
Nono: non perdere il sorriso (i genitori che non si divertono ad educare hanno sbagliato
mestiere).
Decimo: non desiderare un figlio diverso da quello che hai. Abbi rispetto per quello che è.
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Luglio/Agosto

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RIDERE IN FAMIGLIA LA FAMIGLIA SI ACCENDE IN CUCINA
Matrimonio e personalità
Il figlio domanda al papà:
“Papà è vero che il matrimonio modifica la
personalità? ”.
“Certo, figliolo! Prima di sposarci io parlavo
e lei ascoltava. Qualche tempo dopo il ma-
trimonio, era lei che mi parlava ed io ascol-
tavo. Adesso parliamo tutti e due insieme e
sono i nostri vicini che ci ascoltano”.
Piccolo Stato
Un padre si confida con il miglior amico:
“La mia famiglia è come un piccolo Stato.
Mia moglie è il ministro degli Interni. Mia
figlia è il ministro delle Poste e delle Teleco-
municazioni. Mio figlio è il ministro del Turi-
smo. Mia suocera è il ministro della Guerra!”.
L’amico: “E tu sei il Presidente del Consi-
glio? ”.
“Io? Io sono il povero contribuente!”.
Tesoro
Pierino: “Tu mamma mi chiami sempre
‘Tesoro’. Quanto posso valere?”.
La mamma: “Milioni e milioni!”.
Pierino: “Allora potresti, per favore, antici-
parmi cento euro?”.
le dei nonni, vi è il ricordo della pizza
mangiata con la mamma ed il papà, vi
è la festa dell’onomastico o del com-
pleanno, vi è il bel tempo o il cattivo
tempo in famiglia; vi sono i castighi,
le urla, le nostre ripicche.
Ecco la valigetta invisibile con i suoi
tesori e le sue zavorre, con le sue perle
e i suoi sassi.
Ecco la famosa valigetta che, anche vo-
lendo, non si perde mai, perché l’infan-
zia la si porta con sé per tutta la vita.
Aveva ragione Sigmund Freud (1856-
1939), il padre della psicanalisi, a dire
che “Il bambino è il padre dell’uomo”.
Ebbene, se il bambino è il padre, la fa-
miglia è la madre. Ciò spiega perché la
latitanza del grembo familiare ha con-
seguenze devastanti. Vi sono bambini
che entrano nella Scuola dell’Infanzia
già con il piede sbagliato. Dunque –
lo diciamo di passaggio – accusare la
In cucina si sente il profumo della minestra, il tintinnio delle pentole, lo sfrigolio dell’olio
in padella, il tremolio del frigorifero. In cucina vi è il sapore della vita, in cucina si parla, si
scherza, si ride, si brontola… In cucina ci si educa l’un l’altro senza pensare di educare. In
cucina si sente il tepore della famiglia. In cucina si pratica l’arte di rendere felici gli altri con
buoni piatti. Stupendo! Sì, perché si può dire ‘amore’ anche ai fornelli. La tavola apparec-
chiata con gusto, un piatto fatto con amore rafforzano il matrimonio e rafforzano la famiglia.
Una casa senza cucina è come un alveare senza ape regina.
scuola, incolpare gli insegnanti, non
è sempre onesto, se ha ragione lo psi-
chiatra Paolo Crepet (1951): «I nostri
ultimi studi dicono che un bambino su
quattro soffre di un forte disagio psico-
logico, con fenomeni che vanno dalla de-
pressione all’anoressia, dall’autolesionismo
all’aggressione. All’origine del malessere
c’è la famiglia spezzata!».
La latitanza del grembo familiare ha
le stesse pesanti conseguenze su tutto
il pianeta: è la prova che più ne di-
mostra la sua importanza. Negli Stati
Uniti, ad esempio, è allarme rosso.
Ragazzini di 10, 11 anni vanno in
giro per strada sparando e ammaz-
zando ragazzi di bande rivali. L’Ame-
rica è sconvolta. Il numero degli omi-
cidi commessi da minori è aumentato,
negli ultimi anni, dell’85%.
Questo perché, secondo i competen-
ti, non vi è più una vera famiglia: 27
bambini su 100, sotto i tre anni, abi-
tano con un solo genitore.
Anche in Inghilterra si pensa che la
causa del disordine sociale sia lo sban-
damento della famiglia.
«Se la delinquenza minorile è il più
grande problema politico dell’Inghilterra
si è detto apertamente in una sedu-
ta del Parlamento – è perché il nume-
ro delle famiglie spaccate qui è otto volte
maggiore che in Italia».
Ancora una volta abbiamo la confer-
ma della validità di ciò che stiamo
sostenendo: la famiglia è realtà che
conta. Difenderla, aiutarla, sostenerla
è mettere le premesse per un mondo
meno infelice. È la qualità dei fram-
menti che fa la qualità del tutto. La
famiglia è un frammento di mondo
che ne guida il destino.
Luglio/Agosto
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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
A tutvtaita!
A peritivi, happy hour, discoteca, vacan-
ze, weekend al mare o sulla neve: la vita
dei giovani del terzo millennio è spesso
segnata da una spasmodica ricerca di
divertimento, di evasione, di distrazioni
mondane, dal desiderio di vivere ad alta
velocità, in un turbine convulso di esperienze e di
emozioni.
In molti casi, questa volontà di fuga dalla realtà,
questo “oblio o stordimento di sé” di cui parlava
Pascal già nel Seicento, altro non è che l’altra fac-
cia della medaglia della noia, il tentativo di tro-
vare un antidoto immediato, per quanto fugace,
alla monotonia e alla ripetitività di un’esistenza
quotidiana vissuta con inerzia, che lascia ben
Questo è il prezzo che questo mondo impone a noi,
di vivere senza certezza alcuna.
In bilico nel blu, disperati amanti che
non hanno mai trovato amore puro.
Piegati alle regole del buon mercato,
mi pento e mi dolgo per questo peccato,
ma quando respiro mi accorgo che esisto davvero.
E stiamo isolati in cerca di gloria,
mediocri e muti e senza memoria,
ma, guarda, l’estate è tornata:
speranza c’è ancora...
Ti prego vivi, vivi, vivi davvero!
Vivi, vivi, vivi davvero, davvero!!!
Vittime e, nel contempo, complici
di una logica di mercato che
li priva di ogni “umanità”,
i giovani in cammino verso
l’adultità sperimentano, forse
più che in ogni altra età, l’illusione
che solo un edonismo esasperato
possa garantire loro un’esistenza
piena e realmente appagante.
poco spazio all’autentica realizzazione di sé. In
altri casi, dietro questo sfrenato consumismo di
emozioni e relazioni si celano il senso di vertigine
derivante dalla difficoltà di trovare punti di rife-
rimento stabili e duraturi, lo smarrimento della
precarietà, la solitudine esistenziale, che diventa-
no stimoli potenti a ricercare in un divertimento
vuoto e illusorio quella pienezza di vita che non si
riesce a realizzare nella quotidianità.
Vittime e, nel contempo, complici di una logica di
mercato che li priva di ogni “umanità”, sradicati dai
tempi lunghi di una storia capace di trascendere la
mera contingenza del presente, costantemente in
bilico tra la pretesa di affermare il proprio possesso
della vita e il sospetto che si tratti di un regalo che
hanno ricevuto senza meriti, per un puro atto di
amore e di assoluta gratuità, i giovani in cammino
verso l’adultità sperimentano, forse più che in ogni
altra età, l’illusione che solo un edonismo esasperato
possa garantire loro un’esistenza piena e realmente
appagante, al di là di ogni possibile rimpianto.
Ma è davvero questa la strada giusta per appro-
dare ad una condizione – mai definitiva, ma pe-
rennemente agognata – di pienezza di vita e di
serenità interiore? O si possono, forse, tracciare
altre vie per restituire “senso” e “significato” ad
ogni momento vissuto, valorizzando a fondo la
propria esistenza come il bene più prezioso di cui
36
Luglio/Agosto

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si dispone, anziché ridurla a un consumo di lusso?
Non è semplice trovare una risposta univoca, così
come non esiste una “ricetta” preconfezionata
per la felicità. La biografia di ognuno rappresen-
ta una storia inedita e unica nel suo genere, per
cui ciascuno è chiamato a costruire, giorno dopo
giorno, una “formula” personalissima per vivere
appieno la propria vita.
L’unico ingrediente da cui non si può prescinde-
re, se si vuole dare valore alla propria esistenza,
è la capacità di condividerla il più possibile. Una
vita stretta gelosamente nelle proprie mani ri-
schia di essere insignificante, oltre che insoddi-
sfacente; al contrario, quando affonda le proprie
radici nel terreno fecondo della reciprocità, essa
è in grado di trasformare persino il deserto più
sterile in un prato rigoglioso e di offrire speran-
za anche a chi fatica ad apprezzare fino in fondo
la propria esistenza.
Questo è il prezzo che questo tempo impone a noi,
velocemente vivere una vita...
Piegati alle regole del buon partito,
nessun pregiudizio è mai stato sanato,
raccontami quello che fai per dormire la notte.
Illusi, delusi dal senso di colpa,
costretti da una morale distorta,
ma fuori c’è un mondo di anime salve davvero...
I buoni e i cattivi, i vinti ed i vivi,
non c’è ideale che valga una guerra.
Combatti ogni piccolo e grande tormento
ed esci più fuori a gioire di ogni momento...
Ti prego vivi, vivi, vivi davvero!
Vivi, vivi, vivi davvero, davvero!!!
Il cielo su di noi, la strada siamo noi...
Ti prego vivi, vivi, vivi davvero!
Vivi, vivi, vivi davvero, davvero!!!
(Giorgia, Vivi davvero, 2002)
Luglio/Agosto
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
In margine all’Expo
Le grandi scuole
agricole salesiane
Parma: la promozione
di una nuova teoria
agricola
La neofisiocrazia, frutto di sperimen-
tazione e di geniale intuizione, può
essere definita la particolare pratica
agricola che a cavallo del 1900 si ri-
conosceva nel pensiero agronomico
(ed anche economico-sociale) del rude
marinaio genovese, fatto agronomo e
sociologo Stanislao Solari. All’interno
del gruppo di agronomi, agricoltori e
riformatori sociali, che vi si ispiravano,
merita più appropriatamente l’appella-
tivo di neofisiocratico solo il “cenaco-
lo solariano” formatosi nell’ambiente
dell’Istituto salesiano S. Benedetto di
Parma; un gruppo il cui nerbo era for-
mato dai primi seguaci del Solari, a lui
giunti per lo più attraverso don Carlo
Maria Baratta (1861-1910), che ave-
vano attinto l’insegnamento dalla sua
viva voce e l’avevano divulgato inte-
gralmente, coniugando cattolicesimo e
neofisiocrazia solariana.
L’agricoltura, a giudizio del Solari,
aveva parte fondamentale nella vita
dell’individuo e della società. Si do-
veva però mutare il concetto fonda-
mentale dell’agricoltura. Alla terra,
anziché sfruttata come una miniera
con la conseguenza di esaurirla, do-
vevano essere restituiti gli elementi
asportati, per conservare ad essa la
sua fecondità. Uno degli elementi
principali era l’azoto, ma il difficile
era come restituirlo. Il Solari fu il pri-
mo ad intuire come riuscirvi, formu-
lando la teoria della induzione gratui-
ta dell’azoto atmosferico da restituirsi
alla terra mediante le leguminose con
la doppia anticipazione dei sali (razio-
nale anticipazione della concimazione
minerale).
All’indomani della divulgazione dei
principi agrari e sociali del Solari
(oggi superati) mediante più d’una
pubblicazione [Di una nuova missione
del clero dinnanzi alla questione sociale
(1895), Il sistema Solari. Breve memo-
ria elementare (1896). La libertà dell’o-
peraio (1898)], don Baratta credette
giunto il momento di avviare nell’i-
stituto di Parma anche una scuola
che praticamente li diffondesse e ne
potesse dimostrare l’efficacia. Ven-
ne difatti avviata a partire dall’anno
scolastico 1900-1901. Accanto agli
altri corsi (elementari, ginnasia-
li e professionali) nacque un corso
triennale complementare di agraria
in cui venivano date lezioni speciali
sui primi elementi d’agricoltura e di
computisteria agraria, con annesso
campo sperimentale. Il corso indiriz-
38
Luglio/Agosto

4.9 Page 39

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zava esplicitamente allo “studio della
nuova agricoltura” e, dopo la grande
guerra, divenne una Scuola pratica di
secondo grado, impiantata a Montechia-
rugolo ( ), dotata di edificio e pode-
re, ed intitolata al Solari.
Significativa la destinazione: riguar-
dava i figli dei coltivatori, piccoli pro-
prietari, fattori, mezzadri o fittavoli.
La scuola aveva lo scopo di completa-
re l’educazione di quei giovani i qua-
li, finito il corso elementare, erano
costretti per motivi di famiglia e per
elezione propria a troncare il corso
letterario-scientifico per ritornare ai
campi e continuare l’opera dei genito-
ri. Non si pretendeva di dar diplomi,
né di preparare i giovani a corsi d’a-
graria superiori, ma solo di preparare
alla vita dei campi i giovani che già
vi erano destinati e fornir loro quel
corredo di cognizioni necessarie per
attuare un’agricoltura razionale, per
tenere i propri conti e per meglio riu-
scire nei propri affari.
L’iniziativa si inseriva, evidentemen-
te, nel grande tentativo – dei privati e
delle congregazioni religiose – dell’i-
struzione agraria, propriamente ri-
volto ad aumentare il sapere specifico
pratico dei coltivatori, superando il
carattere élitario delle scuole agricole
statali esistenti in cui prevaleva l’in-
segnamento scientifico astratto. Non
solo: al fondo vi era anche una pro-
spettiva nazionale che riguardava il
più ambizioso obiettivo di procurare
attraverso la diffusione dell’insegna-
mento agricolo in ogni ordine e grado
di scuola un’alternativa alla preferen-
za concessa nelle aspettative popolari
al lavoro industriale.
Cumiana (To), un modello
per il mondo salesiano
Con i Rettori Maggiori don Filippo
Rinaldi (1922-1931, pure di famiglia
di contadini e di viticultori) e il suc-
citato don Pietro Ricaldone, rispetti-
vamente quarto e quinto successore
di don Bosco, le scuole agricole già
esistenti o di nuova fondazione ven-
nero organizzate in modo sempre più
professionale.
Alla morte di don Ricaldone (per 40
anni ai vertici della congregazione),
erano 82 le strutture scolastiche sa-
lesiane legate all’agricoltura: 38 in
Europa, 33 in America, 8 in Asia, 2
in Africa e 1 in Australia, oltre alle
scuole aggregate e serali missionarie.
Fotografie storiche delle scuole agricole
salesiane. A pagina precedente: Veduta aerea
della scuola di Cumiana.
Di strada se ne era fatta dopo le pri-
me scuolette fondate da don Bosco in
Francia nel 1878 e oltre le 41 scuo-
le agricole salesiane registrate nel
1936, di cui 35 all’estero e sei in Italia
vale a dire Cumiana ( ) per la for-
mazione di tecnici agrari missionari,
Montechiarugolo ( ) per allievi del-
la elementare e Scuola agraria di
avviamento e Scuola Tecnica Agra-
ria, Lombriasco ( ), Canelli ( ),
Corigliano d’Otranto ( ) e infine
quella di Roma (Catacombe di S.
Callisto) per allievi della elemen-
tare e scuola agraria di avviamento.
In questa sede ci limitiamo all’Istitu-
to missionario agrario di Cumiana,
inaugurato nel 1928 su un terreno di
70 ettari, donato, ma acido e poco pro-
duttivo, per cui si dovettero fare enor-
mi lavori di risanamento e di recupero.
L’obiettivo della scuola era di prepa-
rare giovani vocazioni salesiane per
le “terre di missione”, dove assieme al
vangelo potessero insegnare la coltu-
ra razionale dei campi. Erano previsti
due corsi in conformità ai programmi
ministeriali d’Italia: uno triennale,
“inferiore o normale”, di Scuola di av-
Luglio/Agosto
39

4.10 Page 40

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
viamento professionale con indirizzo
agrario e corso annuale preparatorio
per l’Istituto; ed uno “superiore” cor-
rispondente ai quattro anni dell’Isti-
tuto tecnico agrario dello Stato.
Oltre alle classiche strutture salesiane
di un internato (camerate, refettorio,
cortile, cappella, aule, sala di studio)
vi era un modernissimo laboratorio di
chimica dove si facevano esperimenti,
si studiavano le malattie delle piante, si
trasformavano i materiali, si elaborava-
no i prodotti. Non mancavano un gabi-
netto scientifico, un osservatorio mete-
orologico, una biblioteca specializzata,
un museo con vetrine ricche di decine
di tipi di grano coltivati nella scuola. Vi
si aggiungevano granaio, panetteria,
caseificio-scuola, stalla con tori, vitel-
li, varie razze di mucche, grandi silos
per foraggi, concimaia, pollaio, gabbie
con volatili di ogni genere, anche eso-
tici, grande pollaio per produzione di
uova, moderne incubatrici elettriche
per allevamento di pulcini, reparto per
allevamento suini. Sotto tettoie o in
ambienti protetti erano custodite mac-
chine agricole, officina di meccanica e
falegnameria, magazzino per mangimi
speciali. All’aperto si notava l’apiario,
il frutteto, la peschiera, la grande va-
sca per irrigazione, con acqua prelevata
con pozzi artesiani, la piccola risaia,
oltre a campi coltivabili.
Dall’Istituto si pubblicava la rivista
divulgativa “La squilla dei campi” e
il salesiano laico Pietro Ferraris fu per
alcuni anni il direttore responsabile
della succitata “Rivista di Agricoltu-
ra” nata a Parma. Gli allievi, accettati
gratuitamente, avevano quotidiana-
mente sotto gli occhi un grande map-
PALAZZO BAROLO
Museo della scuola e del libro per l’infanzia
via Corte d’Appello, 20/c - Torino
e-mail: didattica@fondazionetancredidibarolo.com
pamondo indicante le aree di pre-
senza salesiana dove presumevano di
essere inviati una volta finita la loro
preparazione professionale.
Anche l’opera di Cumiana ha costitu-
ito una risposta precisa alle esigenze
dell’epoca: creare una mentalità agra-
ria professionale, fare un balzo di qua-
lità, indispensabile ad un incremento e
ad una qualificazione agraria, mirante
ad un’elevata produttività (la nota “bat-
taglia del grano”), per entrare in com-
petitività con le nazioni europee me-
diante l’introduzione di nuovi studi, di
nuove tecniche, di macchine agricole.
Don Ricaldone la presentava come
modello per tutti e per questo invitava
a visitarla personalità politiche e diri-
genti d’impresa italiani e stranieri. Nel
1939, alla vigilia della guerra, venne
insignito dal ministero dell’Agricoltu-
ra della “stella d’oro al merito rurale”.
Era il riconoscimento delle eccezionali
benemerenze che si era acquistato per
la sua quarantennale attività in favore
del settore agro-alimentare.
40
Luglio/Agosto

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ROMANO BORRELLI
SIGNOR
GIUSEPPE TORRE
Morto a Torino,
il 15 maggio 2015,
a 99 anni
Per i suoi 98 anni, il 3 febbraio
scorso aveva ricevuto anche gli
auguri del IX successore di don
Bosco don Pascual Chávez e
quelli del Sindaco di Torino, Piero
Fassino. Pochi possono vantare
quest’età e questi riconoscimenti
per «una vita al lavoro e di lavo-
ro, a Torino e per Torino». Eppure
lui, Giuseppe Torre continuava a
ripetere che sino a quando le for-
ze glielo avessero consentito, lui
era “in servizio”.
Nato a Villafalletto, a circa 20
km da Cuneo, iniziò a lavorare
in campagna, svolgendo «quei
lavoretti che i bambini possono
fare, pur non avendo le poten-
zialità fisiche di un uomo». Poi,
i tanti spostamenti con la fami-
glia, o da solo. E dopo ancora,
l’incontro dei Salesiani, prima di
vederne le opere, gli spostamenti
a Fossano, Saluzzo e a Torino.
L’idea di Giuseppe era quella di
partire in missione, in Brasile, nel
Rionegro. Il caso volle diversa-
mente: arrivato a Trieste in treno
per imbarcarsi verso il Brasile,
una congiuntivite lo fermò. Tornò
a Torino, riprovò a partire per le
missioni e pieno di speranza spe-
dì il baule con tutte le sue cose
in Brasile. La guerra gli impedì di
partire e in Missione rimase solo
il suo baule. Così, dedicò tutti i
suoi anni al servizio nella Basilica
di Maria Ausiliatrice. Confratello
tenace nel compiere l’obbedienza
(provvisoria dal 1937) di Aiutante
Sacrista per 7 anni e, per circa 70
anni, Capo Sacrista della Basilica
di Maria Ausiliatrice.
E quando la guerra incombeva
e le sirene suonavano, lui pre-
feriva rifugiarsi all’interno della
Basilica. Dopo, tra i tanti ricordi,
il viaggio a Roma, per sei gior-
ni, nel furgone contenente l’ur-
na di don Bosco da esporre per
l’inaugurazione della chiesa di
don Bosco, nella capitale. «Urna
esposta poi anche nella basilica
di San Pietro, insieme a quella di
san Pio X».
E ancora, una “mole” di rapporti
umani con l’intero quartiere.
Dalla sua stanza all’ultimo piano,
osserva la cupola della Basilica e
ricorda come effettuava il cambio
delle lampadine, poste sulla co-
rona della statua della Madonna.
Giuseppe arrivava fin lassù con
una semplice scala, tenuta da un
altro operaio: «Tempi in cui la
sicurezza non imponeva regole.
Qualcuno doveva farlo e io lo face-
vo». Pensa, ripensa, conta men-
talmente tutte quelle lampadine
cambiate. Da una finestra, osser-
va il luogo dove ora, e per undici
mesi l’anno, si trova il carro dove,
ogni 24 maggio, la statua della
Madonna esce dalla Basilica per la
processione nel quartiere. I ricordi
vanno all’enorme lavoro per l’ad-
dobbo, la composizione del carro,
la distribuzione dei fiori...
Una storia lunghissima, la sua.
Scritta nello stesso identico po-
sto. A Valdocco ha trascorso e tra-
scorre una vita dedicata al servizio
della Chiesa, di don Bosco e di
Dio. Una vita spesa nel lavoro, al
servizio degli altri, del prossimo,
in continuo dialogo, a sinistra, de-
stra, centro. Senza collocazione.
Perché il prossimo con cui entra-
va ed entra in relazione non ha mai
avuto né colore, né etichetta, né
collocazione politica.
Ha aiutato a rivestire i sacri indu-
menti Cardinali, Vescovi, Rettori
Maggiori, Ispettori e semplici
confratelli sempre con la stessa
gentilezza e precisione. Per lui
non contava l’“importanza” del
Celebrante, importava che la Ca-
sula cadesse perfettamente dalle
spalle su cui l’aggiustava con una
tecnica tutta sua, condita dalle
sua battute argute ed allegre.
L’adorazione ed il rosario del po-
meriggio erano il suo regno: can-
tava con esemplare energia per
animare un coro ultimamente un
po’ dissestato ma molto devoto.
E poi quanto ha pregato il Sig.
Giuseppe! a quante messe ha
partecipato! Appena poteva, an-
che al mattino presto, scendeva
in Basilica, faceva quattro chiac-
chiere con chi incontrava e poi
giù messe, rosari, preghiere.
Molto anziano, con il sorriso sul-
le labbra, che mai gli è mancato,
davanti all’urna di don Bosco, pa-
reva chiedere di poter cambiare
“parte”. Confida: «Ora, avendo
meno forze e più tempo, mi pia-
cerebbe recitare la parte di Ma-
ria, dopo tanti anni di Marta». E
citava alcuni versetti del Vangelo
di Luca: «Marta invece era tutta
presa dai molti servizi. Pertanto
fattasi avanti, le disse: “Signore,
non ti curi che mia sorella mi
ha lasciata sola a servire? Dille
dunque che mi aiuti”. Ma Gesù
le rispose: “Marta, Marta, tu ti
preoccupi e ti agiti per molte
cose, ma una sola è la cosa di
cui c’è bisogno. Maria si è scelta
la parte migliore, che non le sarà
tolta» (10,40-42).
In ogni caso, nonostante tutto, tut-
te le mattine, Giuseppe continuava
a dare il suo contributo in sacre-
stia e altrove. Rimanendo per tutti
un pezzo importante della storia
salesiana di Valdocco e della Ba-
silica di Maria Ausiliatrice.
Luglio/Agosto
41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
PER IL FUTURO DEI GIOVANI E DEL PIANETA
All’Esposizione Universale di Milano 2015, sinteticamen-
te denominata Expo 2015, numerosissimi sono i padiglio-
ni realizzati in rappresentanza di 137 Paesi del Mondo. Il
tema che li unisce e che ispira tutti gli eventi è risaputo,
“Nutrire il pianeta, energia per la vita”, ossia tutto quan-
to sia in relazione con l’alimentazione umana, le energie
sostenibili, lo sfruttamento delle risorse, l’educazione ali-
mentare e i gravi problemi connessi che tutti noi dobbia-
mo conoscere e che vanno affrontati. Tra tante costruzioni
ce n’è una molto particolare, dedicata a un uomo (benché santo) anziché a una nazione: è il Padiglione
della Famiglia Salesiana che è stato chiamato XXX. La struttura, volutamente semplice ed accogliente,
come avrebbe voluto don Bosco, è casa, scuola e cortile: i tre ambienti in cui le giovani generazioni
sperimentano e crescono nell’amicizia e nel confronto. Dove trovano a disposizione gli strumenti per
formare la propria istruzione scolastica e dove imboccare la strada giusta verso il mondo del lavoro e la
vita. Ma è anche un luogo ricco di valori umani, religiosi e cristiani dove si alimenta la spiritualità. Don
Bosco diceva che «i giovani sono la porzione più preziosa
e più delicata dell’umana società». Favorendo il coinvolgi-
mento dei giovani di tutto il mondo, la Famiglia Salesiana a
Expo intende contribuire al dibattito internazionale sui nuovi
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Exallievi ed exallieve, im-
prenditori e educatori, provenienti dai cinque continenti spie-
gheranno quanto questo modello educativo sia efficace. Alla
fine dell’esposizione, il 31 ottobre, la struttura sarà smantel-
lata e trasportata in Ucraina, dove continuerà a svolgere la
sua missione di casa, scuola, cortile e spiritualità.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Una città ai
piedi dell’Etna - 8. Il poeta Angiolie-
ri (iniz.) - 10. In alto - 15. Metallo
utilizzato per la preparazione di acciai
speciali - 16. L’insegnamento dei
fondamenti della religione cristiana
- 18. Ir è il suo simbolo chimico -
19. Uguaglianza - 20. Latte a Parigi
- 21. In cucina si usa per filtrare -
22. Parte centrale dell’anno liturgi-
co - 24. Nasce dal Monviso - 25.
XXX - 28. Un “faraone” peruviano
- 30. Non chiuso - 31. Le isole di
Lipari - 33. Bagna Berna - 34. Negli
ospedali sono camere con più letti -
36. Il protossido di azoto usato per
sovralimentare chimicamente i motori
di certe auto da corsa (sigla) - 37. In-
consistenza, inutilità - 39. Ripida sa-
lita - 41. Al centro della stalla - 43.
Inno di lode al Signore - 44. Può
essere condizionata - 45. In mezzo.
VERTICALI. 1. Progenitori - 2.
Una cosa fatta in fretta e male la si fa
così - 3. Specie di delfino d’acqua
dolce - 4. Legno pregiato ricavato
dalla radice di alcune piante - 5.
Pubblicata - 6. Precettore d’altri
tempi - 7. Un articolo - 8. Il traghet-
tatore infernale - 9. Cibele lo mutò
in pino - 10. Esigue - 11. Esprime
stupore - 12. È celebre quello di Fo-
cault - 13. Le iniz. di Raffaello - 14.
Trampoliere di palude - 16. Unità di
misura termica - 17. Cento gram-
mi - 19. Il sindaco… nel ventennio
- 21. L’isola coi Faraglioni - 23.
Immagine sacra - 24. Renzo famo-
so architetto - 26. Fiume francese
- 27. Bologna - 29. L’ultimo della
nidiata - 32. Attraversa Monaco di
Baviera - 34. Il Grande della Scala
- 35. Prodi lo guidò per sette anni
- 38. Nomen Nescio - 39. Articolo
romanesco - 40. A fine partita - 42.
La nota del diapason.
42
Luglio/Agosto

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LA BUONANOTTE
B.F.
La zuppa
Disegno di Fabrizio Zubani
In un grande self service una
signora anziana prese una grossa
ciotola di zuppa, la sistemò sul
vassoio e poi, dopo aver pagato,
posò il vassoio su un tavolino
libero. Appese la borsetta alla
sedia e stava per sedersi e degusta-
re la fumante e profumata zuppa
quando si accorse di aver dimenticato
il cucchiaio.
Lasciò tutto e si recò alla cassa, dove
c’erano le posate.
Quando ritornò, vide con sorpresa
che il suo posto era occupato da un
giovane africano che stava tranquil-
lamente mangiando la sua zuppa.
La donna rimase perplessa e indi-
gnata. Poi, con un po’ di malcelato
sussiego, si sedette sulla sedia vicina
e affondò il cucchiaio nella zuppa,
sotto il naso dell’intruso. Il giovane
sorrise e continuò a mangiare.
Lei prese una cucchiaiata, anche il
giovane ne prese una.
Lei pensava: «Che sfrontato! Se solo
avessi più coraggio! È ora di finirla
con questi immigrati!».
Così ogni volta che lei prendeva
una cucchiaiata, l’uomo di fronte a
lei, senza fare un minimo cenno, ne
prendeva una anche lui.
Continuarono fino a che non rimase
una piccola quantità di zuppa e la
donna pensò: «Ah, adesso voglio
proprio vedere cosa mi dice quando
sarà finita».
Il giovane le
lasciò l’ultima
cucchiaiata. Poi si alzò, la
salutò educatamente e se ne andò.
La donna guardò la sedia: la sua
borsa era scomparsa.
Un ladro! Era solo un comunissimo
ladro!
Delusa, arrabbiata, tutta rossa in vol-
to si guardò intorno. Ma il giovane
era scomparso senza lasciare traccia.
Poi, mentre si guardava intorno, la
rabbia si trasformò in confusione e
profondo imbarazzo.
Sul tavolino accanto, c’era un vassoio
senza cucchiaio, con una zuppa che
si stava raffreddando. Sulla sedia,
appesa come l’aveva lasciata, c’era la
sua borsa.
Sentì tanta vergogna e capì solo
allora che lei aveva sbagliato tavo-
lino e che quel giovane che man-
giava una zuppa uguale alla sua
l’aveva divisa con lei senza sentirsi
indignato, nervoso o superiore, al
contrario di lei che aveva sbuffato
e addirittura si era sentita ferita
nell’orgoglio.
Quante volte nella nostra vita, senza
saperlo, abbiamo “mangiato la zuppa”
di un altro? Quante volte al giorno, ru-
biamo tempo, stima, affetto, attenzione
e neanche ci sfiora il rimorso?
Luglio/Agosto
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Don Bosch
di Nino Costa
(brano tradotto dall’originale piemontese)
Era anche Lui nato da povera gente
anche Lui giovane: pretino senza
[esperienza;
i ragazzi prendevano subito confidenza
e lo trattavano come un parente.
È stato maestro, amico, padre, fratello:
prete davvero come voleva il Signore,
si è inginocchiato e ha pregato per
[loro,
più in su del mondo ha mostrato loro
[il cielo.
È andato a raccoglierli per le strade,
se li è portati dietro come un pastore;
primo oratorio di carità e d’amore
prima scuola di don Bosco è stato
[un prato.
Sotto le stelle che brillavano lontano
fuori dalle mura, in pace e in armonia,
si è radunata là, piccola famiglia,
la prima compagnia dei Salesiani.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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