Bollettino_Salesiano_202003

Bollettino_Salesiano_202003



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“Un oratorio
senza musica
è un corpo
senz’anima”
Don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2020

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
La berretta pompiere
S e pensate che un’umile
berretta da prete non possa
avere una vita avventurosa
non guardate me.
Adesso sono uno straccetto da
museo, ma quando ero sulla testa
del mio don Bosco ne ho viste di
tutti i colori, ma la mia avventura
più singolare mi prese di sorpresa
sul mezzodì del 26 aprile 1852.
Io e don Bosco eravamo in una sala
del convento di san Domenico, in
centro città, dove don Bosco aveva
ottenuto di esporre i tremila e più
oggetti raccolti per la lotteria, che
aveva organizzato per costruire una
bella chiesa per l’Oratorio. Ma al
primo rintocco del mezzogiorno, un
rombo tremendo, udito a quindici
miglia all’intorno, scuoteva la città,
sgangherando usci e porte, e in-
frangendo tutti i vetri delle finestre.
Era saltata in aria la polveriera. Una
terribile sventura, che poco mancò
non riducesse Torino un cumulo di
rovine.
Ma in quell’istante, rimbombò un
secondo scoppio e un grosso sacco di
avena, cadendogli vicino da un carro,
per poco non lo schiacciò.
Don Bosco capì subito quel che era
successo e, pensando che la polverie-
ra era distante dall’Oratorio poco più
di 500 metri, si diresse in tutta fretta
a casa, nel timore che vi fosse acca-
duto qualche danno, ma fortunata-
mente, la trovò vuota; tutti, sani e
salvi, erano fuggiti nei campi vicini.
Allora, senza por tempo in mezzo,
e senza badare al pericolo, portato
dalla sua istintiva generosità corse
sul luogo del disastro.
Per via s’imbatté in mamma
Margherita che tentò
di trattenerlo, ma invano.
Tomatis corse ad eseguire
il comando ricevuto, ma
non riuscì mai a capire come
il Santo, senza preavviso, avesse
conosciuto le disposizioni prese
dalla Marchesa in quel frangente.
Arrivato sul luogo, don Bosco a sten-
to poté farsi strada tra le macerie,
ma ebbe la consolazione di arrivare
in tempo ad impartire l’assoluzione
ad un povero operaio, che moriva
dilaniato. Gli impedirono di fare
di più e così scesi in campo io.
Infatti, nel punto ove maggiore era il
pericolo, si aveva urgente bisogno di
portar acqua per impedire che il fuo-
co si appiccasse alle coperte stese so-
pra numerosi barili di polvere. Non
avendo alla mano alcun recipiente,
un eroico soldato, Paolo Sacchi, mi
prese e mi usò come secchio finché
non giunsero i pompieri.
I danni prodotti dallo scoppio
furono immensi e molti dei fabbri-
cati che sorgevano all’intorno ne
soffersero tanto che dovettero essere
demoliti. Ma in così grave frangente,
fu visibile la protezione del Cielo
sulla vicinissima Casa della Divi-
na Provvidenza, sugli Istituti della
Marchesa di Barolo e sull’Oratorio
di Valdocco. E sulla gente di Borgo
Dora che si era radunata impaurita
sul prato davanti alla nuova chiesa di
San Francesco di Sales. Proprio dove
adesso sorge la Basilica di Maria
Ausiliatrice.
A Paolo Sacchi fu dedicata una delle
più frequentate vie di Torino. A me
niente. Così va il mondo.
LA STORIA
«Ultimamente ancora, scriveva don Giovanni Bonetti nel 1881, il prode Paolo
Sacchi mi parlava di questo episodio, con sua e mia grande soddisfazione».
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Marzo 2020

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“Un oratorio
senza musica
è un corpo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2020
MARZO 2020
ANNO CXLIV
NUMERO 03
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Don Bosco era persuaso che la musica
fosse un possente mezzo educativo, la promuoveva in
chiesa e nelle sue case, componeva lui stesso musica
sacra e diceva: «La musica dei ragazzi si ascolta col
cuore e non colle orecchie». (Fotografie iStock, Shutterstock
e Archivio Salesiano; realizzazione di Alessandra Papalia)
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
India
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 STORIE DI GIOVANI
Stoffa di santità
14 LE CASE DI DON BOSCO
Valsalice
18 L’INVITATO
Maurizio Rossi
22 SALESIANI
Birikino
24 GENERAZIONE LAUDATO SII
Amare Madre Terra
26 FMA
28 FAMIGLIA SALESIANA
30 I NOSTRI EROI
Nino Baglieri
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
12
18
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pina Bellocchi,
Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Claudia
Gualtieri, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Marina Lomunno, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Kirsten
Prestin, Nicole Stroth, Luigi Zonta,
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Diffusione e Amministrazione:
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e i lavoratori.
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
La politica
del Padre Nostro
Frutto delle Giornate di Spiritualità della Famiglia salesiana
un bel “Padre Nostro” da vivere nella quotidianità
Miei cari amici lettori del Bollettino Sa-
lesiano, vi saluto in questo tempo di
Quaresima, mentre i Salesiani di Don
Bosco celebrano il 28° Capitolo gene-
rale, a Valdocco-Torino. Qui dove don Bosco ha
iniziato la sua missione con i primi ragazzi, qui
dove siamo nati noi salesiani. Qui dove, insieme
a sua madre (così mi piace dire), ha fondato
il primo Oratorio salesiano, e proprio lei
è stata la madre di quei “senzatetto del
momento”.
In questi sei anni, nei miei messaggi ho
scelto spesso di raccontarvi alcune delle
esperienze che ho vissuto nei miei
viaggi nel mondo salesiano.
Oggi, vi offro qualcosa di
semplice e diverso, e spero
che lo troviate interessante
o almeno che vi “metta in connessione” per qualche
minuto.
Si tratta di questo: durante la celebrazione delle
Giornate di Spiritualità della Famiglia Salesiana è
maturato un magnifico frutto sull’albero di quelle
belle giornate di riflessione: il “Padre Nostro” della
Famiglia Salesiana. Un “Padre Nostro”, dove ogni
frase è stata tradotta e concretizzata per l’oggi,
come espressione del nostro impegno.
Vi propongo di leggerlo e di vedere se c’è
almeno una frase che vorreste conservare,
perché intuite che la vostra sensibilità è in
totale sintonia con essa.
Posso assicurarvi che come Famiglia Sa-
lesiana e come amici di don Bosco
nel mondo, vogliamo davvero
tradurre il Padre Nostro nella
vita di tutti i giorni.
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Marzo 2020

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Questa è la nostra preghiera
Tu sei nostro Padre! Padre di infinita misericordia; non piccola né
banale presenza, ma con la tua presenza infinita di santità e di
amore che educa pazientemente i suoi figli.
Venga il tuo Regno! quello che Gesù ha iniziato in questo mondo per
missione tua; noi accogliamo senza riserve ciò che tu intendi fare
per noi e per i giovani.
Riconosciamo la tua volontà vivendo la dinamica del tuo regno, la
dinamica dello Spirito di Pentecoste che ci spinge in missione,
a fare i segni di liberazione e di riconciliazione in mezzo agli
uomini tuoi figli e nostri fratelli.
In cielo come in terra. Insieme ai giovani, come don Bosco, noi
proclamiamo il tuo SI alla vita in pienezza per ogni giovane e per
tutti i giovani, perché siano cittadini e cristiani impegnati sulla
terra e felici abitanti per sempre in cielo.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, quello necessario a vivere,
perché il regno di Dio sia manifestato nel tuo provvedere ai nostri
bisogni e perché diciamo tua grazia anche l’opera delle nostre
mani. Affinché non la cupidigia del possesso, ma la condivisione
con i poveri ci stimoli.
Perdona a noi i nostri debiti, perché siamo deboli, ma ci chiami a
guarire le ferite dei giovani. Aiutaci a mettere in pratica il Sistema
preventivo nella pazienza, nella magnanimità, nel ricupero
amorevole dei giovani che sbagliano, nella dedizione esemplare,
lieta, sorridente, e nella fatica di ogni giorno.
Non abbandonarci nella tentazione di guardare indietro, di guardare
in direzione sbagliata, di contrastare lo Spirito, di arrossire del
Maestro di fronte ai tribunali degli uomini, delle mode, delle
ideologie, delle lusinghe dei potenti, di fronte alla nostra coscienza.
Liberaci dal male. Fa che non dubitiamo di Te: non dubitiamo che,
nonostante tutto, Tu presiedi con saggezza alla storia del mondo;
non dubitiamo che Tu vuoi il nostro impegno di educatori per
liberare i giovani dalla disperazione e da tutte le loro prigioni.
Liberaci dal male indicibile di restare lontani dal tuo volto per sempre.
Per questo, ti preghiamo, manda a noi lo Spirito santo, perché
guarisca le ferite del corpo, del cuore, dello spirito e risvegli in
noi la speranza per continuare, con gioia, la missione che ci ha
indicato nostro padre don Bosco. Amen
Vi auguro ogni bene e felicità nel nome del Signore.
Marzo 2020
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SALESIANI NEL MONDO
Kirsten Prestin, Foto: Marco Keller / Don Bosco Mission Bonn
Traduzione di Marisa Patarino
La vita per un mattone
Tarun ha dieci anni e non è mai
andato a scuola. Aiuta la sua
famiglia a fabbricare mattoni
da quando aveva otto anni.
I Salesiani sono l’unica
organizzazione che aiuta
le famiglie impegnate nella
fabbricazione di mattoni.
Fa caldo. Si soffoca. Già da lontano si vedo-
no i primi camini fumanti delle fabbriche in
cui si producono mattoni. Ce ne sono circa
400 qui a Jhajjar, nello Stato di Haryana,
nell’India settentrionale, a un’ora di auto dalla ca-
pitale, Nuova Delhi. Spiccano i colori dei sari delle
donne che lavorano qui con i loro figli. I più piccoli
si siedono sulla sabbia o stanno in braccio a un fra-
tello maggiore, ancora molto piccolo. I loro vestiti
sono impolverati e sporchi, molti hanno i capelli
arruffati. Hanno la pelle scura; il sole brucia i volti
dei bambini. D’estate la temperatura supera i qua-
ranta gradi.
6
Marzo 2020

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anni rimane accovacciato tutto il giorno a model-
lare mattoni. Ripete più e più volte le stesse azioni:
strofina gli stampi con sabbia, quindi li riempie di
argilla pesante e bagnata. Rimuove poi l’argilla in
eccesso e leviga la superficie. A questo punto il mat-
tone è pronto per la cottura. Ogni giorno vengono
prodotte decine di migliaia di mattoni per Delhi e
per l’area circostante. È un affare redditizio per i
proprietari delle fabbriche di mattoni.
Il lavoro minorile è proibito in India. Molti bambi-
ni e molte bambine devono però lavorare. Molti di
loro devono aiutare economicamente le loro fami-
glie. La povertà è la causa principale di questa si-
Fin dall’alba, Tarun, accovacciato sul pavimento tuazione. «La povertà è un problema molto grave in
polveroso, fabbrica mattoni. Lavora da dieci a un- India. Il divario tra ricchi e poveri diventa sempre
dici ore al giorno, per quattordici
più ampio», ha dichiarato don Jose
giorni consecutivi. Ha poi un gior-
no libero e va con la sua famiglia a
Dasha, una cittadina nei dintorni
della fabbrica di mattoni. La sua
famiglia vi fa acquisti per le due
La povertà è un
problema molto grave in
India. Il divario tra ricchi
e poveri diventa sempre
Matthew, Ispettore di tredici Stati
dell’India settentrionale. «Siamo
l’unica organizzazione che aiuti le
famiglie impegnate nell’attività di
fabbricazione di mattoni a Passor.
settimane successive.
È mezzogiorno. Il sole picchia
inesorabile nel cielo senza nuvole.
più ampio.
Don Jose Matthew
All’inizio era diffusa una certa sfi-
ducia. Ora le famiglie si fidano di
noi». In questo momento sei mae-
Non c’è ombra. Solo un panno avvolto intorno alla stre, due maestri e tre Salesiani lavorano là.
testa protegge il bambino di dieci anni dai raggi
del sole. Tarun non è mai andato a scuola. Aiuta la
sua famiglia a fabbricare mattoni da quando aveva
otto anni. Modella fino a 200 mattoni al giorno
con le sue piccole mani. Ogni sera mille mattoni
devono essere pronti per essere ritirati. Per riuscirci,
è necessaria l’opera di tutte le mani disponibili. In
cambio di questo lavoro, la famiglia riceve da 400 a
500 rupie, corrispondenti a 5-6 euro.
Rania, la sorella minore di Tarun, è fortunata. Oggi
può andare alla scuola Don Bosco con le due sorelle
minori. In una busta di plastica sporca ha messo un
paio di penne, i quaderni e i piatti per il pranzo.
L’autobus Don Bosco va a prenderla e la riaccompa-
gna alle 14,30. Le ragazze salgono felici sul mezzo.
Solo Tarun non c’è, oggi deve aiutare di nuovo suo
padre. Il lavoro è estenuante. Il bambino di dieci
Tutti i
bambini dei
fabbricanti
di mattoni
devono
aiutare le
loro famiglie,
a volte
lavorando
fino a dieci o
undici ore al
giorno.
Marzo 2020
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SALESIANI NEL MONDO
Rania è felice
perché oggi
può andare a
scuola.
La famiglia di Tarun proviene dal vicino Bihar,
uno degli Stati più poveri dell’India. La sua fa-
miglia possiede un piccolo pezzo di terra là, ma i
proventi non bastano a provvedere al fabbisogno
alimentare dell’intera famiglia. Tutti devono dun-
que lavorare nelle fabbriche di mattoni per otto-
dieci mesi. Tornano al loro paese nella stagione
delle piogge. «Speriamo che anche nel loro paese
d’origine i bambini possano andare a scuola. Ov-
viamente è difficile saperlo e abbiamo quindi as-
sunto un dipendente che va regolarmente a fare
visita alle famiglie, quando si spostano», ha detto
don Alingjor Kujur, vicedirettore amministrativo
nel Centro Don Bosco di Passor.
Le famiglie vivono in capanne vicino ai campi in
cui fabbricano i mattoni. Hanno l’elettricità solo
per un’ora al giorno, non c’è acqua corrente. Lavano
a una fontana gli abiti e anche pentole e piatti. Una
volta la settimana arriva un trattore con l’acqua.
«L’acqua qui è di pessima qualità e non è potabi-
le. Il rischio di ammalarsi è molto alto. Per questo
acquistiamo l’acqua a Dasha e la portiamo qui una
volta la settimana», ha spiegato il sacerdote salesia-
no di quarantadue anni.
Il Centro Don Bosco
Le famiglie sono indebitate, di solito ricevono in an-
ticipo una parte del loro compenso. È una moder-
na forma di schiavitù. «Che cosa dovremmo fare?
Non abbiamo scelta. Abbiamo bisogno di denaro»,
ha detto il padre di Tarun. Ha un piccolo pezzo di
terra, che però non permette di guadagnare risorse
sufficienti per la sua famiglia. «Certo, vogliamo che
i nostri figli vadano a scuola, ma non posso mandar-
celi tutti», ha aggiunto il padre di famiglia.
Il nonno concorda: «Voglio che i miei nipoti vadano
a scuola e imparino qualcosa. Così in futuro non
dovranno più lavorare qui». I nonni di Tarun lavo-
rano nelle fabbriche di mattoni da oltre trent’anni.
La loro pelle è bruciata dal sole. Hanno tre figli,
due maschi e una femmina. I figli sono rimasti a
Patna, mentre la madre di Tarun è venuta qui con
il marito e sette figli. L’aspettativa di vita media è
di 45 anni.
Alcune famiglie sono qui
da generazioni.
Non hanno mai fatto nient’altro.
Don Mathew Kalathunkal
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Marzo 2020

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«Alcune famiglie sono qui da generazioni. Non
hanno mai fatto nient’altro. Noi cerchiamo di mo-
strare ai bambini che esiste una vita diversa dal la-
voro per fabbricare mattoni», ha detto don Mathew
Kalathunkal, vicedirettore del Centro Don Bosco a
Passor. Il Centro Don Bosco è attivo qui dal 2007 e
la scuola è stata costruita nel 2011. La frequentano
180 ragazzi e ragazze di età compresa tra tre e dieci
anni provenienti da otto fabbriche di mattoni. Si
stima che in questa zona vivano circa 320 000 la-
voratori. Circa un terzo sono bambini. Nel Centro
Don Bosco i bambini seguono lezioni impartite da
insegnanti locali. I bambini comprendono solo la
lingua hindi. Il maestro Satbir Renu e sua moglie
sono qui fin dall’inizio delle attività del Centro e
conoscono tutte le famiglie che vivono nei dintorni
della scuola. «Appena vengono a scuola, i bambi-
ni cambiano. Prestano maggiore attenzione al loro
aspetto, si lavano e indossano abiti puliti. È bello
vederli», ha detto Satbir. A scuola ricevono penne,
quaderni, ma anche abiti puliti e sandali. «Soprat-
tutto, qui hanno la possibilità di giocare e giocano
a calcio o a cricket. Nei campi in cui fabbricano
mattoni non hanno nulla, possono solo giocare nel
fango».
Quando l’autobus giallo del Centro Don Bosco
riaccompagna i suoi fratelli, Tarun è ancora acco-
vacciato sulla sabbia e modella mattoni. A mezzo-
giorno ha avuto un po’ di riso e acqua. Le bambine
a scuola hanno ricevuto
riso, pollo e salsa al cur-
ry. Hanno condiviso un
piatto in tre dopo aver
atteso pazientemente in
una lunga fila. «Offriamo
Siamo l’unica
organizzazione che aiuta
le famiglie impegnate
nell’attività di fabbricazione
un pasto ai bambini. È di mattoni a Passor.
importante per i loro ge-
nitori. Speriamo che così
Don Jose Matthew
i genitori siano più disponibili a mandare i loro figli
da noi», ha spiegato don Alingjor.
Una speranza su ruote
Scende la sera e inizia a diventare buio. Il nonno fa
entrare i nipoti nelle capanne. Devono preparare la
cena. Oggi c’è addirittura pesce. A mezzogiorno
la sorella maggiore di Tarun ha pulito i piccoli pe-
sci con un po’ d’acqua. Ora i bambini li preparano.
I genitori e i nonni devono continuare a lavorare.
Non hanno ancora raggiunto l’obiettivo di produ-
zione. Anche Tarun rimane con loro. Quando gli
altri se ne vanno, alza un momento lo sguardo e
dice piano: «Il lavoro è molto faticoso. Vorrei anche
andare a scuola». China poi la testa sul mattone a
cui sta lavorando e le sue manine continuano la loro
opera.
L’autobus giallo tornerà domani. E dopodomani.
Un po’ di speranza per i bambini delle fabbriche di
mattoni; forse un giorno anche per Tarun.
Il lavoro
minorile è
proibito in
India, ma
la realtà è
diversa. Il
centro Don
Bosco cerca
di assicurare
ai ragazzi
qualche ora
spensierata
ogni giorno.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Cinque cose
che non puoi
cambiare
Nella vita ci sono cinque
inevitabili realtà che possiamo
vedere come opportunità di
crescita e non come ostacoli.
1. L’imprevisto
Le cose non vanno sempre secondo
i nostri piani
Un colloquio che non porta a un lavoro, un trasfe-
rimento che ci viene rifiutato, un bambino che non
appare... La sensazione di non avere il controllo
della propria vita è profondamente preoccupante.
Nella nostra cultura, oggi, non c’è l’idea di un Dio
che provvede, che pensa a noi. Così gran parte del-
le persone si sentono come fuscelli in preda ad uno
tsunami, sbattuti in questo mondo ad “arrangiarsi”.
La vita sembra una maestra arcigna e severa che
dice sempre “no!”.
Come accettarlo L’atteggiamento opposto con-
siste nel “mollare la presa”. Spesso non si può modi-
ficare il corso di un evento, ma lo si deve accettare,
anziché reagire con collera, rimuginare nei rim-
pianti, lasciarsi invadere dalle emozioni negative.
Mai usare la domanda «perché?», ma sempre «come
posso fare?». I cristiani credono in Dio “provviden-
te”: la nostra vita è saldamente nelle sue mani. E
tutto, proprio tutto, tutto finirà bene.
2. La mancanza d’amore
Le persone non sono sempre
amorevoli e leali
«Non sono amato», «Nessuno mi vuole bene» op-
pure «Era la persona sbagliata»: sono le frasi della
ferita più sanguinosa che una persona può subire.
Essere amati e sentirsi amati significa sentirsi ri-
conosciuti, stimati, realizzati nella propria esisten-
za. Senza lo sguardo amorevole degli altri – amici,
coniuge, famiglia, colleghi – non sentiamo più di
esistere. Il tradimento di una persona cara è una
ferita che non smette di sanguinare.
Come accettarlo «Quando quelli che ami pro-
fondamente ti respingono, ti abbandonano, o muo-
iono, il tuo cuore si spezza. Ma questo non deve
trattenerti dall’amare profondamente. Il dolore che
viene da un profondo amore renderà il tuo amore
ancora più fecondo. È come un aratro che spezza le
zolle per consentire al seme di prendere radici e di
crescere diventando una forte pianta.
Ogni volta che sperimenti il dolore del rifiuto,
dell’assenza, o della morte, ti trovi di fronte a una
nuova scelta. Puoi diventare preda dell’amarezza e
decidere di non amare più, o puoi rimanere in piedi
nel tuo dolore e lasciare che il suolo su cui stai diven-
ti più ricco e più capace di dare vita a nuovi semi. In
questo modo il dolore del rifiuto, dell’assenza e della
morte potrà diventare fecondo» (Henri Nouwen).
3. La sofferenza
Il lato buio della vita
C’è una cosa che da sempre mette l’uomo in ginoc-
chio: il dolore. Durante una visita ad un ospedale
infantile, santa Madre Teresa disse ad una bambina
ammalata che ogni dolore era un bacio di Gesù. La
bambina la invitò ad accostare l’orecchio alla sua
bocca e piano piano le disse: «Per favore, puoi dire
a Gesù di darmi meno bacini»?
Il mistero della sofferenza umana ha il punto inter-
rogativo anche per i santi. L’enigma del male non
può essere spiegato con un ragionamento, altri-
menti Gesù ce lo avrebbe chiarito.
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Marzo 2020

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Rimane la grande domanda, la più difficile: «Per-
ché proprio a me? Che cosa ho fatto per meritare
questo?»
Come accettarlo Attraverso la sofferenza, Dio
ridesta l’essere umano. Lo mette prima con i piedi
per terra e poi in ginocchio. È questo il vero “appello”
di Dio. Rispondere “presente” è tremendamente
difficile. Possiamo solo ripeterci, come fa la Bibbia,
che Dio è giusto, anche se i nostri occhi sono velati
dalle lacrime e non riescono a vedere chiaramente.
Dovremmo comportarci come i bambini che, quan-
do sentono male, piangono per invocare la mamma.
Il dolore ci fa piangere e Dio viene ad aiutarci.
4. L’ingiustizia
La vita non è giusta: andate avanti! (Ammi-
raglio Mc Raven)
Non sempre è sufficiente vivere nel bene e nel vero
per essere trattati bene dalla vita. Anche Charlie
Chaplin lo sostiene in un famoso aforisma: «Ti
criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà
difficile che incontri qualcuno al quale tu possa
piacere così come sei! Quindi vivi, fai quello che ti
dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, che
non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi
intensamente ogni giorno della tua vita prima
che l’opera finisca senza applausi».
Come accettarlo «È facile dare
la colpa delle vostre sventure a
qualche causa esterna, smettere di
provarci perché credete che la
sfortuna si accanisca contro
di voi. È facile pensare che
siano stati il posto in cui siete
cresciuti, il modo in cui vi hanno
trattato i vostri genitori o la scuola
che avete frequentato a determina-
re il vostro futuro. Nulla potrebbe
essere più lontano dal vero. La gente
comune e gli individui eccezionali sono tutti defi-
niti dal modo in cui hanno affrontato le ingiustizie
della vita» (Ammiraglio Mc Raven).
5. La caducità
Tutto cambia e muore
La vita è davvero un’avventura pericolosa: nessuno
di noi ne uscirà vivo. Su qualcuno dei nostri cromo-
somi c’è la data di scadenza. C’è, da qualche parte e
ne spiamo con apprensione i segni.
L’idea della nostra finitudine è insopportabile. Tut-
tavia, lo sappiamo, i nostri figli crescono, i nostri
amici si allontanano, il nostro corpo si trasforma.
Esistono diversi modi per dare l’illusione della per-
manenza: aggrapparsi ai segni esteriori della giovi-
nezza, accumulare beni materiali, difendersi dalle
malattie, rifiutare qualsiasi sviluppo, essere in ipe-
rattività per fuggire il faccia a faccia con se stessi.
Come accettarlo Il cambiamento non è una mi-
naccia, ma una condizione dell’esistenza. Ci sono
però persone pronte a cogliere i segni dei cambia-
menti e anticiparli in modo da non trovarsi spiazza-
ti. Si collocano al comando della cabina di pilotag-
gio della vita, tengono conto delle caratteristiche
dell’apparecchio, del bollettino meteorologico,
della propria esperienza di pilota, degli obiettivi e
anche della necessità, qualche volta, di modificare
il piano di volo.
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2.2 Page 12

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STORIE DI GIOVANI
Claudia Gualtieri
Stoffa di santità
Antonio Ruoti, 19 anni,
ha composto un canto dedicato
a Domenico Savio.
«Guardare alla sua vita mi aiuta
a vivere meglio alcune sfide
del quotidiano».
«“Stoffa di santità” è un canto-preghiera, un dia-
logo di un giovane qualunque, come me, con Do-
menico Savio e la sua storia. Il testo, infatti, oltre a
ripercorrere le tappe fondamentali del cammino di
Domenico verso la santità – il primo incontro con
don Bosco, la ricetta della santità, la visione della
felicità piena del Paradiso –, contiene gli insegna-
menti che un giovane di oggi può ricavare dall’e-
sperienza di Domenico, per poterli incarnare in un
itinerario personale verso la santità.
Domenico Savio non è un modellino precon-
fezionato di santità, è un giovane che vive
l’adolescenza con tutte
le sue problematiche,
come qualsiasi giova-
ne: la sua grandezza sta
nella capacità di lasciarsi
guidare dal Signore
proprio attraverso le dinamiche dell’ordinarietà, nel
lavorare su se stesso e sui propri limiti a partire dal
desiderio di una vita piena, santa appunto».
Come ti è venuta in mente
questa idea?
Sette anni fa, da membro del gruppo Amici di
Domenico Savio, feci – con i miei coetanei – la
promessa di imitare Domenico fuori e dentro
l’Oratorio “per percorrere in breve tempo la via
della santità”, con la vita di fede, la docilità, la
testimonianza. Conoscevo poco la sua figura, mi
bastavano i racconti dei miei animatori. Quest’an-
no Domenico è entrato in modo dirompente nella
mia vita, come se avesse voluto lui stringere a tutti
i costi un’amicizia con me.
Allora ho voluto conoscerlo un po’ di più, ho ini-
ziato a leggere qualche libro su di lui: guardare alla
sua vita mi aiuta a vivere meglio alcune sfide del
quotidiano; sto imparando, grazie a lui, a mettere la
mia “stoffa” a disposizione dei “sarti” che la Vita mi
fa incontrare. Domenico mi insegna a dare valore a
ogni singolo istante.
In tanti mi hanno chiesto com’è nato il testo di
questo inno e a tutti ho risposto: “Ha fatto tutto
Domenico”. È andata davvero così. Eravamo sulla
Sila, a Righio, quest’estate, per un campo biblico.
Una sera l’ispettore della congregazione salesiana
dell’Italia meridionale, don Angelo Santorsola, mi
ha fatto la proposta di scrivere il testo dell’inno: ho
risposto subito di sì, nonostante non mi fossi mai
cimentato nella composizione di un testo musicale.
Una strofa alla volta durante le ore di meditazione e
preghiera, e in 2-3 giorni il testo era quasi comple-
to. Ha fatto tutto Domenico.
La preghiera è stata la prima fonte di ispirazione,
perciò dico che le parole non appartengono tutte a
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2.3 Page 13

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Come insegna san Domenico Savio,
non vi è bisogno di fare grandi cose,
perché anche le cose più piccole,
come un semplice canto, conducono
alla santità.
me. La natura della Sila poi ha collaborato in ma-
niera significativa: chi c’è stato sa benissimo che
lì il Signore si fa sentire più del solito. La vita di
Domenico, in particolare quella descritta da don
Bosco, è stata un riferimento costante durante la
stesura del testo: è la sua esperienza, il suo sistema
valoriale, la sua ambizione al Paradiso – quello che
si vive e costruisce ogni giorno – che ho cercato di
trasmettere con le mie parole.
A chi lo hai dedicato?
Per me è ancora difficile credere che una cosa gran-
de come questa, un sogno, sia diventata realtà. Pos-
so dire che mi sento fortunato e onorato: Domenico
si è servito di me per farsi conoscere a tanti altri
giovani come me. È una bella responsabilità, spero
di esserne stato all’altezza.
Oltre a essere un nuovo canto salesiano, “Stoffa di
Santità” è un inno, perché è stato scelto dall’ispet-
tore come la colonna sonora per questo nostro anno
pastorale incentrato sulla Santità giovanile. È un
inno, dunque, perché nell’inno ci si identifica, l’in-
no unisce tutti con il suo ritmo e il suo significato:
lo abbiamo pensato come uno strumento efficace
per coinvolgere sotto un unico carisma quanti più
giovani possibile, in quest’anno dedicato a loro.
Noi giovani siamo alla continua ricerca del nostro
posto nel mondo, per noi potenzialmente è più fa-
cile essere santi, perché possiamo ancora decidere
che direzione dare alla nostra vita: la Santità è sem-
plicemente una chiamata ad essere pienamente noi
stessi, a esprimere la nostra unicità. Santità giova-
nile significa intravedere in ogni attimo, in ogni
amico, in ogni situazione, un’occasione per scoprire
la presenza di Dio nella quotidianità.
STOFFA DI SANTITÀ
Un incontro di sguardi
ti ha cambiato la vita:
gli occhi di un sarto che
vedevano in te un capolavoro.
Una scritta sul muro
ti ha indicato la via:
guadagnare anime
per portarle a Dio.
Rit. Stoffa che profuma di santità,
gioia che assicura la libertà
basta poco:
ama, prega e studia finché puoi.
desiderio assoluto
è abitare il cuore di dio.
L’ho imparato da te:
rimpicciolirsi un po’
non può rendermi meno,
ma far diventar
ancora migliore.
Un amico così può ispirar la mia età:
esser santo è facile,
devo esser come te!
Rit. Stoffa …
Domenico,
con te il Paradiso
non è solo una conquista,
è stile di vita,
pienezza del cuore
da qui all’eternità.
Oh che bella cosa vedo mai!
Che bella cosa vedo mai!
Oh che bella cosa vedo mai!
Rit. Stoffa…
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Marina Lomunno
Valsalice
C lasse 1966, lombardo di Angera sul Lago
Maggiore, exallievo di Valsalice (maturità
classica nel 1985, «Ho mandato in pensio-
ne uno dei miei insegnanti») salesiano dal
1986 e sacerdote dal 1994, don Pier Majnetti dirige
dal 2015 una delle scuole paritarie più antiche e co-
nosciute a Torino e non solo: il liceo fu istituito nel
1879 da don Bosco le cui spoglie mortali riposaro-
no qui fino al 1929 quando furono trasferite nella
Basilica di Maria Ausiliatrice. Per l’anno scolastico
2019-20 gli iscritti sono 858, di cui 600 al liceo
classico e scientifico e 258 alle medie.
Incontro con don Pier
Majnetti salesiano,
direttore del Liceo fondato
da don Bosco, uno dei
più stimati da sempre di
Torino. «Noi formiamo
buoni cristiani e onesti
cittadini, è la nostra
scommessa».
Don Pier
Majnetti:
«Siamo una
delle scuole
paritarie con
la retta più
bassa».
Don Pier i suoi allievi garantiscono
che lei li conosce tutti per nome: da
quando è salesiano ha seguito diverse
generazioni di giovani. Chi sono i suoi
allievi oggi?
Proprio all’inizio dell’anno scolastico, con una ven-
tina dei nostri professori e quattro exallievi
di 19-20 anni, abbiamo trascorso qualche
giorno in montagna per cercare di capire
chi sono gli adolescenti che entrano oggi
a Valsalice. Questo l’identikit tracciato:
sono giovani dalle grandissime potenzia-
lità e possibilità rispetto alle generazioni
passate. Non solo possibilità eco-
nomiche – e qui mi permetta
di sfatare il pregiudizio che
Valsalice sia una scuola
solo per «ricchi»: su 858
certamente la maggioran-
za dei ragazzi appartiene a
famiglie del ceto medio e
medio alto ma poi ci sono
ragazzi che provengo-
no da famiglie normalissime, altri hanno genitori
che fanno molta fatica a far quadrare il bilancio ma
hanno deciso di investire in istruzione per i propri
figli. Altre ancora in difficoltà che sosteniamo –
come nella tradizione delle scuole salesiane – senza
pretendere. E poi è bene ricordare che siamo una
delle scuole paritarie di Torino con la retta più bas-
sa: un liceale costa all’anno alle famiglie 3590 euro
e un allievo delle medie 3240 euro. Con l’80% delle
rette paghiamo gli stipendi agli insegnanti, 60 laici,
il resto lo utilizziamo per mantenere il più possibile
una struttura in ordine e adatta ai tempi. E non
abbiamo crisi di iscrizioni: confidiamo nella possi-
bilità di mantenere l’attuale flusso di richieste.
Perché è così complicato oggi
il mestiere di genitori?
Oggi il malessere del proprio figlio è quasi insop-
portabile e il nostro intervento sulle famiglie e sui
ragazzi è cercare di far capire loro che non esiste
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2.5 Page 15

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nulla di prezioso che non costi. Per cui occorre
avere la pazienza dei tempi lunghi: si semina e a
volte la piantina non viene su come speravamo e
bisogna riseminare. I genitori oggi vogliono piani-
ficare tutto della vita dei figli, non ci devono essere
intralci sulla crescita, non si deve cadere lungo la
strada, non ci devono essere deviazioni. Ma senza
salite, senza tratti in cui non ti arrampichi per rag-
giungere la cima, ne manca un pezzo, non si cresce.
Cito sempre una telefonata urgente di una mam-
ma: «Direttore, mia figlia è in bagno che piange,
com’è possibile che l’esame di terza media sia finito
con un 9 e non con un 10?». Le ho riposto: «Si-
gnora, ma di che cosa stiamo parlando? Piangiamo
sui problemi veri della vita, sul referto di un can-
cro, su un posto di lavoro perso, su un amore che
non abbiamo protetto ed è finito, sulla solitudine,
sui bambini che muoiono sotto le bombe o per la
fame. Un 9 anziché un 10 è un ‘dolorino’, il mon-
do non casca, la scuola non va a pallino, il futuro
di sua figlia non è compromesso. Se qualcosa non
è andato come pensavo io, ci sarà un motivo ma
giriamo pagina e andiamo avanti se no quando ar-
riveranno le vere tragedie della
vita sua figlia non riuscirà
più a rialzarsi».
Come si educano oggi a Valsalice
«buoni cristiani ed onesti cittadini»
come raccomandava don Bosco ai suoi
educatori?
Certamente il nostro faro è la scuola di don Bo-
sco che sosteneva che non è il singolo – e lui era
un educatore affascinante – che educa, ma è tutto
l’ambiente, la comunità educativa diremmo oggi,
dove respiri dei valori che non hanno bisogno di
essere spiegati e che si rifanno al Vangelo. Per fare
un esempio: qui entri in una scuola dove sai che la
volgarità è messa al bando, non ti viene in mente di
sporcare i muri perché l’ambiente è bello e curato
ed è naturale difenderlo perché è anche tuo. E nel
bello stiamo bene tutti, se i bagni sono puliti e or-
dinati non li vandalizzi. Qui l’ora di religione – cul-
tura religiosa – è obbligatoria (io stesso insegno in
15 classi). Così pure – anche se sei non praticante,
agnostico o ateo – vieni invitato alla preghiera mat-
tutina, il nostro “buon giorno”, dove si affrontano
temi di attualità di cronaca, eventi straordinari op-
pure richieste che arrivano dai ragazzi più grandi.
Ancora, proponiamo altri momenti formativi, la
confessione, gli esercizi spirituali. E i ragazzi par-
tecipano perché trovano un messaggio accattivante
per la loro vita e poi chissà…
Valsalice è una
“casa” storica della
Congregazione
Salesiana. Al centro
conserva la prima
tomba di don
Bosco.
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LE CASE DI DON BOSCO
politici, imprenditori, amministratori, professioni-
sti e padri e madri di famiglia responsabili.
Una Messa
nella
bellissima
cappella
dell’Istituto.
Qual è la sua idea di scuola?
Una scuola in cui la cultura rimanga al centro. Al-
cuni programmi ministeriali recenti sulla Costitu-
zione e la cittadinanza attiva li trovo preziosi tanto
che stanno mettendo in discussione alcuni nostri
interventi. E poi chiediamo a inostri insegnanti che
siano anche educatori: è molto impegnativo, è una
missione che deve essere valorizzata e sostenuta.
Oggi è impensabile insegnare Foscolo e poi il resto
‘sono cavoli tuoi’. Puoi sapere tutto di Foscolo ma
se sei una brutta persona che non ti accorgi delle
sofferenze o delle ispirazioni dei tuoi allievi non
funziona. Conosco tanti insegnanti-educatori ap-
passionati dei ragazzi e del loro mestiere che ogni
giorno vengono messi a dura prova sia nelle nostre
scuole che in quelle statali. Certo, ci piacerebbe che
lo Stato considerasse le scuole paritarie come una
risorsa enorme da un punto di vista educativo e non
un problema. Noi formiamo buoni cristiani e onesti
cittadini, è la nostra scommessa. E di quanto la no-
stra società abbia bisogno di cittadini «alla don Bo-
sco» è sotto gli occhi di tutti a partire dalle piccole
cose: giovani che non imbrattino le cose comuni,
che non compiano atti vandalici o di bullismo, che
alzino lo sguardo e si accorgano che c’è chi piange
perché ha meno di te e così ti interroghi: “Io che
posso fare per migliorare la sua condizione?». E poi
Don Bosco diceva che in ogni giovane
c’è un punto su cui far leva, anche
in quelli più «discoli e pericolanti»:
a Valsalice ci sono i ragazzi discoli e
pericolanti?
Non con tutti i nostri ragazzi riusciamo a fare brec-
cia, anche a Valsalice ci sono insuccessi educativi.
Don Bosco diceva che c’è un punto su cui far leva
per arrivare al cuore di ogni giovane, anche quello
che più ti è ostile. Non sempre ce la facciamo perché
occorre rispettare la libertà del ragazzo che abbiamo
di fronte, della sua famiglia, per cui a volte qualcu-
no, anche se sono casi rari, lascia Valsalice perché
non riusciamo a trovare quel punto «su cui far leva»
e cioè la risposta giusta alle sue domande. Accade
per incapacità nostra, perché arriviamo fino ad un
certo punto e poi perché non tutto dipende da noi.
Le sconfitte educative, come diceva don Bosco agli
insegnanti, agli educatori e a noi salesiani sono uno
stimolo a non arrenderci mai: finché ci siamo ce la
metteremo tutta perché insieme vogliamo fare un
pezzo di strada che possa aiutare a crescere «te come
ragazzo e me come educatore, insegnante o prete».
Anche noi educatori diventiamo persone migliori
grazie ai nostri ragazzi se ci mettiamo in ascolto.
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Come parlare di fede ai nostri giovani?
Su questi temi notiamo che c’è molta confusione sia
per quanto riguarda la pratica religiosa, la vita sa-
cramentale e la conoscenza della Scrittura sia per i
valori etici. C’è ormai una fede «self service» dove
ognuno fa quello che può, che riesce, che crede. Non
esiste una ricetta. Noi cerchiamo di far capire ai no-
stri ragazzi che la fede innanzitutto è un rapporto
con Gesù, è una storia d’amore e, come tutte le storie
d’amore, ha bisogno di crescere con calma, quotidia-
namente con la pazienza dei tempi lunghi. C’è l’in-
namoramento che è travolgente e poi inizia il vero
cammino. Perché la storia d’amore maturi c’è biso-
gno di un contesto, di un ambiente educativo bello,
accattivante: per i giovani questo è importantissimo.
Che cammino proponete a Valsalice?
Valsalice offre proposte di fede concrete anche di
vita sacramentale come le confessioni, 5 o 6 volte
all’anno. La risposta è buona: diamo la possibilità
di incontrare tanti sacerdoti salesiani e diocesani
durante un’ora di scuola. C’è chi va a confessarsi
per saltare un’ora di lezione – ed è la scelta più im-
matura – ma c’è anche chi ha bisogno di parlare,
di capire a che punto è nella vita. Non sappiamo
dove sfociano queste proposte: intanto seminiamo,
siamo disponibili ad ascoltare i ragazzi senza im-
porre nulla. Poi c’è l’ora di religione che da noi non
è facoltativa: io insegno in 15 classi. Non è cate-
chismo ma è cultura religiosa che aiuta i ragazzi a
fare un po’ più di chiarezza sulla religione. Nelle
nostre classi c’è un po’ di tutto: ci sono i ragazzi
che stanno facendo un bel cammino di fede, chi
è impegnato in parrocchia e in oratorio o nell’as-
sociazionismo cattolico, l’agnostico, e anche l’ateo
che durante la preghiera del mattino non fa il segno
della Croce, e chiede di essere rispettato ma par-
tecipa alla preghiera. A Valsalice, tutti i giorni si
inizia con la preghiera del mattino: 10 minuti, noi
la chiamiamo «Il buon giorno», dove si affrontano
temi di attualità, di cronaca, eventi straordinari op-
pure approfondiamo temi proposti dai ragazzi più
grandi. Infine proponiamo gli esercizi spirituali per
il triennio delle superiori. La partecipazione è libera
ma sono in pochi a non partecipare perché è un bel
momento di classe insieme ai coordinatori, gli in-
segnanti e gli ex allievi. I ragazzi hanno bisogno di
testimoni e di un’ambiente accogliente: questo vale
anche per le parrocchie, gli oratori e le associazioni
cattoliche. Senza pretendere che tutti la pensino allo
stesso modo: neppure Gesù è riuscito a fare in modo
che tutti la pensassero come lui e non l’ha preteso.
Però non possiamo esimerci dal presentare la figura
di Gesù e dall’invitare i ragazzi ad affidarsi spesso
alla Madonna e al Signore. Ho chiesto ad un mio
allievo che si preparava all’esame di Stato: «Come
va la maturità?». E mi ha risposto: «Direttore, non
ho mai pregato così tanto come in questi giorni».
Imparare a chiedere aiuto nella vita è fondamentale
perché non ce la puoi fare da solo…
«I ragazzi
hanno
bisogno di
testimoni in
un ambiente
accogliente».
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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Don Maurizio Rossi
«Porto don Bosco nell’oceano Indiano»
Puoi autopresentarti?
Sono nato nel nord est dell’Italia a Bassano del
Grappa, in una famiglia contadina, in cui c’era la-
voro, pane, e una vita semplice, senza tante prete-
se. In quegli anni ho imparato che cosa voleva dire
«San Martino» per contadini e mezzadri in affitto:
il padrone, l’11 Novembre, poteva dire alle fami-
glie: «Partite non siete più graditi nella mia terra».
E le famiglie dovevano far fagotto in pochi giorni
e partire alla ricerca di un’altra casa e di un altro
terreno da lavorare.
Don Maurizio:
«Tornando
a casa una
domenica,
dissi alla
mamma:
“Mamma,
voglio partire
anch’io
missionario”».
Com’è nata la tua vocazione?
Alla mia prima comunione, a sette anni, mia zia
Eda, cognata della mamma, mi aveva regalato un
piccolo libro di san Domenico Savio e la sua storia
di ragazzo santo all’oratorio di don Bosco; ricordo
fin da allora la promessa di Domenico «la morte
ma non peccati».
Ogni domenica com’era abitudine per tutti noi ra-
gazzi, si andava a messa e al catechismo a piedi –
anche con il freddo e con la neve – e ricordo che nel
mese missionario, ottobre, rientravano spesso dei
sacerdoti missionari che portavano la loro testimo-
nianza. In quelle occasioni – durante le prediche e
le testimonianze di quegli uomini con il saio con-
sumato e la lunga barba – gli occhi e la fantasia di
noi ragazzi vedevano già le missioni sconfinate di
questi “eroi delle terre lontane” che avevano lasciato
il loro – il nostro paesello – per portare la Parola di
Cristo fino ai confini del mondo.
Tornando a casa una domenica dissi alla mamma:
“Mamma, voglio partire anch’io missionario”. La
mamma mi ascoltò e non disse niente, mi esortò
solo a continuare bene la scuola e a studiare anco-
ra il catechismo, e aggiungeva come suo consue-
to «impara l’arte e mettila da parte» e «ricorda di
essere umile, perché solo l’agnello umile allatta da
due madri».
Negli anni Sessanta e Settanta, in Italia ci fu il
boom economico: allora l’Italia aveva un tasso di
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crescita che sfiorava quasi il 7%. Terminati gli studi
della 3a media tutti noi ragazzi eravamo avviati al
lavoro, che era molto e vario, per imparare un me-
stiere e ricevere uno stipendio che avrebbe aiutato
la nostra famiglia a vivere un po’ meglio. Di conti-
nuare gli studi, per le famiglie contadine non se ne
parlava nemmeno, non c’erano possibilità.
Lavorando, imparai diversi mestieri: l’agricoltore,
il falegname, l’elettricista, l’operatore telefonico, il
metalmeccanico. Intanto avevo incominciato a fare
il catechista in parrocchia ed ero impegnato in varie
attività dell’associazionismo giovanile con partico-
lare attenzione alla dimensione missionaria.
Il tempo passò. L’idea del missionario ritornava
sempre e più insistente. A Roma, da ormai due
anni c’era un papa polacco venuto “da un paese lon-
tano” e la sua storia di operaio divenuto poi prete,
aiutò molto la mia vocazione.
Alla fine del 1980 diedi le dimissioni dal mio lavo-
ro, per tentare di rimettermi a studiare. In quell’oc-
casione per la prima volta, vidi una lacrima sulla
guancia di papà. Cercavo di tranquillizare la fami-
glia dicendo «voglio ritornare a studiare e poi ve-
dremo». Mio fratello più giovane, Tarsillo anche lui
un po’ commosso, una sera mi disse: «Tu non torne-
rai più indietro, tu arriverai fino in fondo». Il fino
in fondo era il sogno di diventare prete missionario.
Da gennaio a luglio, andai in una comunità sale-
siana di Venezia, e un bravo salesiano ingegnere,
don Nivardo Castenetto, mi aiutò a preparare e a
superare l’esame della 3° Istituto Tecnico. Fu molto
dura ma ci riuscii. Il settembre successivo entrai in
noviziato salesiano a Pinerolo, terminandolo con la
professione religiosa l’8 settembre 1982. Degli al-
lora 21 professi, 4 giovani salesiani erano della mia
Ispettoria «Veneta Est». Un giovane ispettore di 36
anni, appena nominato, don Luigi Zuppini, venne
ad accogliere i nostri primi voti a Pinerolo. Dopo
quasi quarant’anni quei giovani salesiani sono
tutt’ora in Congregazione, due sono a Venezia, don
Beraldo Gianni, direttore e signor Gatti Giuseppe
e due sono dal 1990 missionari, uno in Cina, don
Roberto Tonetto, e io nell’oceano Indiano.
Perché sei partito per le Missioni?
Nel 1978 i salesiani celebrarono il loro Capitolo
Generale a Roma: in quell’anno il Rettor Maggiore
dei salesiani don Egido Vigano, lanciò il «Proget-
to Africa». Ogni ispettoria delle circa 90 in quel
tempo si impegnava a fondare una comunità sale-
siana per i giovani del Progetto Africa. La nostra
ispettoria, allora Veneta Est, aveva avuto il Mada-
I vivaci scolari
della scuola
salesiana di
Port Louis.
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
La gente di
Mauritius
è molto
sensibile e
soffre per
le disparità
etniche.
gascar, nell’oceano Indiano. Nel dicembre del 1981
i primi missionari partenti don Bepi Miele e don
Salon Giuseppe, venivano a salutarci in noviziato e
già a invitarci ad andare con loro in missione. Loro
partitivano, ma avevano acceso in alcuni di noi il
sogno missionario.
Il 30 giugno 1990 fui ordinato sacerdote. Il 7 no-
vembre dello stesso anno partivo Missionario per il
Madagascar. Ho lavorato prima nella casa salesiana
del nord ovest, Mahajanga, poi al centro a Mia-
rinarivo Ijely, poi più a sud a Fianarantsoa, poi a
Tulear e nell’ottobre 2018, l’obbedienza mi porta
quasi al centro dell’oceano Indiano, nell’isola che si
chiama come me, Mauritius.
Qual è il tuo impegno attuale?
Nella mia comunità salesiana “S. Francesco di Sa-
les” qui a Port Louis, la capitale, siamo quest’anno
4 confratelli, Marcellin parroco della parrocchia
salesiana “Rochebois”, Heriberto che è l’incaricato
della Pastorale giovanile della Diocesi, Patrick un
novello sacerdote, vicario della parrocchia, e io. Ho
l’incarico di direttore ed economo della comunità
salesiana, e direttore del Centro Professionale, il
«College Technique Saint Gabriel».
La situazione pastorale e giovanile della Diocesi di
Port Louis (Mauritius) è molto diversa da quella
del Madagascar dove ho lavorato per quasi 28 anni.
Il mio primo anno qui, ho dovuto guardarmi in-
torno, ascoltare e imparare dai miei confratelli che
già conoscevano la vita e la situazione della chiesa
e dei giovani. I cristiani qui sono «minoranza», ma
grazie a Dio, la coesistenza con le altre culture e
religioni è pacifica, rispettosa e tollerante.
Un altro aspetto che fa onore a questa terra è quello
che ha ricordato il Papa, l’11 settembre scorso qui
da noi: «Attenti a non disperdere il meraviglioso
patrimonio umano e sociale che Mauritius rappre-
senta nel mondo» e ha aggiunto «per restare un mo-
dello di convivenza e sviluppo, la vostra nazione ha
bisogno di comprendere e vincere ora nuove sfide».
Ci descrivi le isole Mauritius
e l’opera salesiana?
Mauritius fa parte delle isole dette mascaregne e
cioè le isole dell’oceano Indiano sul lato orientale
del continente africano. Sono le Comore, le Sey-
chelles, l’Isola di Réunion (francese) e la nazio-
ne di Mauritius che comprende più isole, la più
grande è Mauritius 2050 km2, come la Provincia
di Padova. Mauritius è una repubblica indipen-
dente dal 1968, si parla inglese, francese, creolo,
bhojpuri e altre lingue minori.
I cristiani cattolici sono circa il 24%, cristiani non
cattolici (9%), induisti (48%), musulmani (17%),
altri (2%). La popolazione è composta da gruppi
etnici diversi: indo-mauriziani (48%), creoli (41%),
sino-mauriziani (8%), franco-mauriziani (3%).
Nel 1998, monsignor Piat, tutt’ora vescovo di
Mauritius, aveva visitato a Roma il nostro Rettor
Maggiore, don Juan Edmundo Vecchi, e aveva
chiesto dei salesiani per continuare l’opera iniziata
nel 1974 dai Fratelli di S. Gabriel, francesi, che do-
vevano partire per mancanza di vocazioni. I primi
due salesiani sono arrivati a Mauritius l’8 dicembre
del 2000. Si occuparono delle 3 scuole tecniche che
esistevano allora, conosciute con il nome di «Colle-
ge technique Saint Gabriel».
Ora il «College Technique Saint Gabriel» è una
scuola sola e l’unica scuola professionale della diocesi.
Nel mese di settembre scorso abbiamo festeggiato i
20
Marzo 2020

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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45 anni di fondazione del «College Tecnique Saint
Gabriel». In quell’occasione monsignor Piat ha voluto
rilanciare questa unica scuola professionale per farne
un Istituto tecnico professionale che in un prossimo
futuro potrà accogliere fino a 750 allievi. Sarà «Le
Lycée Professionnel Saint Gabriel – Don Bosco».
Questa scuola professionale accoglie ora circa 200
tra ragazzi e ragazze tutti sopra i 15 anni. In 3 anni
prepara questi giovani al diploma nelle sezioni di
Meccanica auto, Manutenzione industriale, Im-
pianti elettrici, Saldatura, e Scuola alberghiera con
pasticceria e cucina. Ogni anno ci sono almeno 2-3
volte più domande di quelle che possiamo accoglie-
re. Molti sono «i ragazzi di don Bosco» con vari
problemi: famiglie monoparentali o affidati ai non-
ni, in cui la violenza in casa è all’ordine del giorno.
La droga purtroppo è il flagello di molti giovani.
La droga sintetica viene loro offerta gratis e qua-
si davanti alle scuole. Lo Stato reprime e castiga,
e mette in prigione, ma non aiuta a prevenire per
uscire da questo flagello. Ogni sabato, celebro la
Messa in una prigione diversa, a Mauritius ce ne
sono almeno dieci, due delle quali per minori.
Quasi ogni sabato, visitando le prigioni per cele-
brare la messa e confessare, incontro molti giovani
intorno ai 20 anni. Sono in maggioranza loro, creo-
li e cattolici, che affollano le prigioni di Mauritius.
Com’è il rapporto con la popolazione?
La gente ci stima e ci vuole bene, sanno che siamo
salesiani e che lavoriamo per i giovani. Lo vedo qua-
si ogni giorno qui alla scuola Professionale e spesso
ogni sabato e domenica, quando vado a celebrare
nelle diverse chiese (la diocesi ha 48 parrocchie). Vi-
sta l’età media dei preti (più di 65 anni e più della
metà sono missionari) spesso, su domanda del nostro
vescovo, siamo anche disponibili ad andare a cele-
brare là dove mancano i preti, anziani e ammalati.
La gente di Mauritius è molto sensibile e soffre tan-
to per le disparità etniche, soprattutto i creoli che
sono discendenti dalle antiche famiglie di schiavi
e che sono i più emarginati e discriminati. Nelle
scuole statali infatti i giovani creoli sono emarginati
e addirittura rifiutati. Nelle scuole tecniche statali,
arrivano a chiudere le sezioni se vedono che la mag-
gioranza degli alunni è creola. Nella scuola attuale,
in cui le lingue usate sono l’inglese e il francese, in
tutte le scuole, dalle elementari, si insegna in inglese:
i creoli hanno notevoli difficoltà con questa lingua e
spesso si ritrovano a 15 anni che, o non hanno an-
cora il diploma di 5° elementare, o sono andati un
po’ più avanti e si sono fermati alla seconda media
ma non arrivano ad avere il diploma per continuare.
Ogni anno a Mauritius ci sono circa 4500 ragazzi e
ragazze che escono dal circuito scolastico e finiscono
spesso sulla strada.
Voglio soprattutto ringraziare il nostro vescovo,
monsignor Piat, cardinale di Santa Romana Chiesa,
che da sempre è attento ai giovani e in particolare ai
giovani emarginati, agli ultimi e ai più poveri. Per
rispondere a questa urgenza della sua diocesi, ogni
anno vuole moltiplicare il centro di formazione pro-
fessionale per accogliere sempre più giovani.
La gente
ci stima
e ci vuole
bene, sanno
che siamo
salesiani
e che
lavoriamo
per i giovani.
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3.2 Page 22

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CREATIVITA` SALESIANA
Testo e foto: Nicole Stroth
Birikino
Un tendone
rosso e giallo
La famiglia di don Bosco
si è presentata alla
101a Giornata Cattolica
tedesca a Münster in
modo “salesiano”, con
una grande tenda da circo
rossa e gialla e molte
attrazioni. È stata un polo
di attrazione per bambini
e adolescenti.
Una tenda di
circo ospita
giochi e
spettacoli
tutto il
giorno, poi
alla sera si
trasforma in
una stupenda
cappella.
L e palline da giocoliere si librano in aria con
movimento regolare, tanto che a volte si
vede lo spicchio giallo, a volte quello rosso
o quello blu. La postura della giovane artista
mostra quanta coordinazione e quanta concentra-
zione si celino dietro questi movimenti compiuti
senza sforzo apparente. Johanna non perde di vista
le palline. Molti bambini si sono radunati intorno
all’artista quindicenne e la guardano affascinati con
grande interesse. Dopo un momento di disatten-
zione, una delle palline perde la traiettoria e cade
a terra. Johanna la raccoglie e comincia a spiega-
re ai bambini radunati intorno a lei come debbano
destreggiarsi i giocolieri. È entrata in scena all’età
di sei anni e da allora fa parte del Circo dei bam-
bini e dei giovani Birikino della Casa Don Bosco
di Chemnitz, in Sassonia. Johanna è intervenuta in
qualità di collaboratrice nella tenda da circo della
famiglia di don Bosco alla 101a Giornata Catto-
lica tedesca che si è tenuta a Münster. «Mi piace
proporre i miei numeri da giocoliere e mi diverte
insegnarli agli altri. L’unico problema è che, se ci
sono troppi spettatori, non è possibile seguire bene
tutti», ha detto.
Per poter presentare un programma vario e interes-
sante per le famiglie durante la Giornata Cattolica,
la tenda del circo Giovanni, che si trova normal-
mente sul terreno del Centro Don Bosco Jugend-
werk di Bamberga, è stata spostata a Münster dal
9 al 13 maggio. «Una squadra di dieci giovani ha
impiegato tre giorni per collocarla qui, lavorando
dodici ore al giorno», ha spiegato don Johannes
Kaufmann. In qualità di responsabile della pasto-
rale giovanile e vocazionale dell’Ispettoria tedesca
dei Salesiani di Don Bosco, è il principale referen-
te di tutte le attività all’interno della tenda, che si
trova in una posizione molto comoda, sulla strada
che porta dalla stazione principale al centro storico
di Münster. Come si può vedere fin da lontano, è
meta di molti visitatori.
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Lavoro di squadra
e tanto divertimento
Un’altra attrazione è il cosiddetto “biliardino uma-
no” delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Magdebur-
go. «È bello che possano giocare insieme persone di
ogni età, a partire dai sei anni. Il castello gonfiabile
è adatto solo ai più piccoli. Al biliardino genitori
e figli possono giocare insieme», ha spiegato suor
Lydia Kaps, responsabile del Centro Don Bosco
di Magdeburgo. Il principio di base di questa atti-
vità è semplice: come nel calcio balilla, i giocatori
disposti su file consecutive prendono posto dietro
una stanga e possono spostarsi a sinistra o a destra
solo con i loro compagni di squadra. Occorre col-
laborare e il divertimento è assicurato. Di fronte a
questo gioco si forma dunque una coda di visitatori
che vogliono parteciparvi. Nemmeno quando co-
mincia a piovere la gioia di giocarvi si attenua. E
anche suor Lydia Kaps vi partecipa sportivamente.
Corre dietro la pallina gialla quando per un tiro
troppo poderoso atterra sull’erba. Ma la Figlia di
Maria Ausiliatrice è ben equipaggiata, con scarpe
da ginnastica nere. Per suor Lydia Kaps la Giornata
Cattolica è un ottimo modo per mostrare «che pure
noi suore, anche con l’abito, siamo vicine alla gente
e ci dedichiamo ad attività ricreative”.
Il biliardino umano, il circo interattivo e vari giochi
educativi e avventurosi intorno alla tenda del circo
mettono appetito. Il bistrot Mamma Margherita è
aperto al pubblico dalla mattina alla sera in due tende
bianche a forma di pagoda. È gestito da tirocinanti
dell’Istituto Don Bosco di Aschau am Inn, dell’O-
pera Giovanile Don Bosco Sassonia e del centro edu-
cativo gestito dalla Caritas Don Bosco di Würzburg.
Stamattina Nina e Anna si occupano del bar. Accanto
a loro ci sono diverse tazze, di fronte a loro due ther-
mos. «Un caffè, per favore», domanda loro la respon-
sabile. Mentre Anna aziona la leva della macchina per
il caffè, Nina toglie le briciole. «Abbiamo molti clien-
ti», dice. «Ieri abbiamo servito bretzel e vari clienti li
hanno apprezzati». Nina sta frequentando insieme ad
Anna un corso di formazione a Würzburg.
DON BOSCO ARTISTA
Già don Bosco collegava elementi circensi ed educazione. Da
ragazzo, la domenica eseguiva piccoli spettacoli per gli abitanti
del suo piccolo paese natale, camminando sulla corda, compien-
do numeri di abilità o facendo sparire e poi ricomparire monete.
Prima dell’ultimo numero, chiedeva regolarmente al pubblico
di recitare il rosario con lui e ripeteva l’omelia che aveva ascol-
tato in chiesa quella mattina. Anche quando in seguito si pren-
deva cura dei giovani a Torino, i giochi e le lezioni erano parte
integrante del suo oratorio, annesso a un centro giovanile con
cappella, cucina, camere, laboratori e aule.
Un’atmosfera diversa
A un certo punto cala il silenzio nella tenda, dove
fino a pochi secondi fa bambini e adolescenti si
impegnavano a sperimentare i numeri del circo e
si sentiva musica allegra in sottofondo. Gli occhi
dei bambini guardano con attenzione il narratore,
che dà vita a episodi tratti dalla Bibbia con l’aiuto
di diapositive. È il “fenomeno Kasperle”, dal nome
di una maschera della commedia: anche con pochi
mezzi tecnici, i bambini si entusiasmano. La tenda
da circo è la stessa, ma l’atmosfera è completamente
cambiata. Lo stesso accade in occasione delle ini-
ziative mattutine e serali per le famiglie e il relax,
un momento di meditazione con accompagnamen-
to musicale proposto dalle 21 alle 22 per adolescen-
ti e adulti.
«È
divertente,
ma anche
faticoso»,
spiega Anna
sorridendo.
«Di sera i
piedi fanno
male. Ci
siamo
abituati, ma è
stressante».
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3.4 Page 24

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GENERAZIONE “LAUDATO SII”
ANS
Amare Madre Terra
La terra di don Bosco ha ospitato
il primo incontro internazionale
tra Scuole Agrarie Salesiane di
diverse aree del mondo. Il tema
“Ridare la terra ai giovani” ha
dimostrato la vitalità e il futuro
delle scuole agricole.
L’evento, dal titolo “Expo Lombriasco 2019
– Fiera Internazionale ‘AgriCultura’” ha fa-
vorito la condivisione, la formazione, la spi-
ritualità salesiana e lo sviluppo di progetti
comuni, e il bilancio è stato molto più che positivo.
All’incontro hanno preso parte 8 scuole sale-
siane: quella anfitrione di Lombriasco (Torino),
tre dall’Argentina (Venado Tuerto, San Ambro-
sio, Rodeo del Medio), e una ciascuna da Irlanda
(Limerick), Albania (Cerrik), Francia (Ressins) e
Ghana (Sunyani). In totale erano presenti 22 stu-
denti provenienti dall’estero, accompagnati da 7
docenti, oltre ai docenti e agli allievi degli ultimi
tre anni dell’istituto di Lombriasco, e ai referenti
dell’ salesiana “Volontariato Internazionale per
lo Sviluppo” ( ) che cooperano ai progetti agrico-
li in Albania e Ghana.
Mentre per quanto riguarda i visitatori della fiera
i numeri sono stati anch’essi lusinghieri, con oltre
4000 ingressi.
Giovedì 3 ottobre, le scuole hanno vissuto un forte
momento di spiritualità, visitando con grande at-
tenzione, i principali luoghi di don Bosco in Pie-
monte: la Casa Madre salesiana a Valdocco e il
Colle Don Bosco. Nei due giorni successivi, invece,
le delegazioni delle diverse scuole, oltre a presen-
tare le proprie realtà ed attività formative e pro-
duttive, hanno illustrato ciascuna un progetto già
attivo dedicato al settore Agricolo, Agroindustriale
e Agroalimentare, sul tema dell’innovazione, della
sostenibilità e dell’agricoltura sociale.
Durante la manifestazione molti sono stati i forum,
i convegni e i laboratori dedicati alle scuole, ai pro-
fessionisti e agli addetti del settore: dalla coltiva-
zione del bambù all’ittica, dall’irrigazione a goc-
cia al ruolo dei microorganismi per la fertilità del
suolo, dagli insetti per l’alimentazione alle nuove
frontiere dell’agricoltura…
Uno dei momenti più importanti è stato certamente
la condivisione e lo scambio di conoscenze tra gli
studenti delle Scuole Agrarie Salesiane e gli Isti-
tuti di Agraria del territorio (5 piemontesi e uno di
Roma), inerenti al tema “ridare la terra ai giovani”.
E non va sottovalutato il fatto che durante la mani-
festazione sono sorti diversi progetti di collabora-
zione internazionale tra aziende e realtà produttive
del territorio e scuole salesiane – in particolare con
gli istituti di Cerrik (Albania) e Sunyani (Ghana).
La mattinata si ė conclusa con la presentazione del
progetto “Net4Grow”: una rete tra la Scuola Sale-
siana di Lombriasco, le Scuole Agrarie Salesiane
nel mondo, gli exallievi, le imprese ed i professio-
nisti del settore che ha l’obiettivo di preservare e
sviluppare la formazione professionale agricola e
generare progetti condivisi di sviluppo locale.
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Paraguay
Istituto Agro-Pastorale
“Carlos Pfannl”
L’Istituto Agro-Pastorale “Carlos Pfannl” ha cele-
brato pochi giorni fa i suoi primi 65 anni: era il
21 novembre 1954, infatti, quando ebbe luogo la
benedizione della prima pietra dell’allora Scuola
Agraria “Carlos Pfannl”, situata nel quartiere di
Blas Garay, Compagnia Santa María, nella città di
Coronel Oviedo. Quest’opera salesiana, che porta
il nome di uno dei suoi benefattori, è stata fondata
con i giovani del terzo anno della Scuola Agraria
Salesiana di Ypacaraí. All’epoca si estendeva su cir-
ca cinquemila ettari di foreste e campi.
Don Guido Coronel, salesiano, si dedicò alla co-
struzione del gigantesco e attuale Istituto Agro-
Pastorale di Coronel Oviedo, dove fece erigere an-
che l’ampia parrocchia dedita a Maria Ausiliatrice.
L’istituto si trova a circa 140 km dalla capitale na-
zionale, Asunción, ed è nato come risposta alle esi-
genze dei giovani delle aree rurali, per offrire loro
competenze spendibili nel mondo del lavoro, se-
condo le necessità della zona. Ai suoi inizi il centro
era dedicato alla formazione di Operatori Rurali e
Periti Agronomi; ma dal 1970 offre ai suoi allievi
dei corsi di Baccellierato in Tecniche Agro-pasto-
rali e Forestali. Inoltre, a partire dal 2004, l’Istituto
Agro-Pastorale Salesiano “Carlos Pfannl” ha aper-
to le sue porte anche alle ragazze che desiderano
seguire questa specialità.
La fama della qualità dell’istituto è nota in tutto il
Paraguay, e vi si iscrivono ogni anno allievi di ogni
parte del Paese, che oltre a ricevere le competenze
tecniche vengono anche formati per diventare buo-
ni cristiani e onesti cittadini.
La direzione dell’istituto, inoltre, è da sempre impe-
gnata a migliorare i programmi del centro, per offri-
re il meglio agli allievi e alle comunità rurali che la
circondano: per questo negli anni hanno saputo dar
vita a progetti per la riduzione della povertà e il mi-
glioramento delle condizioni di vita dei produttori.
Attualmente è una delle più importanti opere sa-
lesiane del Paraguay, tenuto conto del suo prezioso
contributo alla formazione dei giovani delle aree
rurali come tecnici agricoli, nonché del sostegno
che offre alle scuole vicine e alla formazione della
popolazione locale.
Mongolia
L’agro-oratorio
Nel 2004 la comunità salesiana “Darkhan Don Bo-
sco” diede inizio ad un’esperienza agricola che nel
corso degli anni è diventata l’azienda agricola “Don
Bosco”, una meravigliosa espressione del movimen-
to ecologico salesiano. Nonostante l’agricoltura in
Mongolia rappresenti sempre una sfida, a causa del
clima estremo, che va dai +40°C in estate ai -40°C
in inverno, per i giovani, i collaboratori laici di
don Bosco e per i Salesiani Cooperatori, l’annuale
“agro-oratorio” è sempre una soddisfazione specia-
le. Quest’anno circa 40 bambini e giovani sono stati
coinvolti nell’esperienza educativa oratoriana, con
attività agricole al mattino e attività educative e ludi-
che al pomeriggio. In totale sono stati raccolti 1600
kg di zucca e di altre varietà di verdure che hanno
reso felici tutti, anche la mensa del Centro Giovanile
salesiano.
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FMA
Emilia Di Massimo
Il miracolo di Celeste
«Eravamo in giardino a sistemare
il salottino estivo pensando
all’inizio della nuova stagione
fatta di belle giornate, di serate
da trascorrere al fresco e da vivere
come avevamo già programmato.
All’improvviso è accaduto quanto
mai avremmo previsto».
Il sorriso
dolce
di Celeste.
“V ivo a Cannara (Perugia) con mia
moglie e i miei figli e, come in
tutte le coppie, i miei due bambini
sono il primo pensiero del mattino
e l’ultimo della sera, sono la forza della vita: France-
sco, 5 anni e mezzo, Celeste, una bimba di 4 anni,
sono due splendidi angioletti che ci hanno riempito
la vita di impegni e di simpatiche avventure.”
Questo è ciò che ci dice papà Danilo che, con la
consorte Eleonora, comunica la gioiosa convinzio-
ne che i figli si amano per tutta la vita perché per
sempre sono e saranno parte di te.
Dunque una famiglia serena che ama, testimonia
la vita facendola crescere e, con realismo, sa che le
difficoltà ci sono, come quella accaduta il primo
giugno 2019, e che sembrava un ordinario inciden-
te casalingo.
Il signor Danilo prosegue così il racconto, regalan-
doci pagine di vita vissuta: “Eravamo in giardino a
sistemare il salottino estivo pensando all’inizio del-
la nuova stagione fatta di belle giornate, di serate da
trascorrere al fresco e da vivere come avevamo già
programmato. All’improvviso è accaduto quanto
mai avremmo previsto. Celeste, salendo sull’alta-
lena che abbiamo in giardino, cade e sbatte la testa
sul bordo del marciapiede. Nel pomeriggio la corsa
in ospedale: Celeste comincia a manifestare segni
di malessere. Ricoverata per 7 giorni all’ospedale di
Foligno, è un susseguirsi di controlli, visite, esami,
ma niente di rilevante per il trauma che Celeste ha
subito, eppure peggiora giorno dopo giorno, a tal
punto da non riuscire più ad aprire gli occhi a causa
del forte mal di testa che aveva. La piccola peggio-
ra e si prende la decisione di trasferirla all’ospedale
pediatrico “Meyer” di Firenze, per una consulenza;
le riscontrano una trombosi celebrale. Il primario
della neurochirurgia non nasconde la gravità del-
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la situazione: Celeste rischia la rianimazione nelle
prossime ore, infatti viene portata in rianimazione
e messa in coma farmacologico per 5 giorni. Nes-
suno può dire se, risvegliandosi, riporterà lesioni
cerebrali o no. Trascorrono 24/48 ore, le più lunghe
ed estenuanti vissute da Danilo ed Eleonora.
La prima notte che la bimba passa in reparto è
un’esperienza che non si può tradurre in parole,
la vita all’improvviso viene travolta da un’oscurità
tremenda e la mente comincia a vagare senza tro-
vare una spiegazione, un interrogativo ininterrotto
risuona nel cuore: “Ritornerà la mia Celeste, quella
di prima?”.
È allora che ti chiedi se non sia il caso di “rifu-
giarsi” nella preghiera, forse c’è Qualcuno che può
evitare alla tua principessa di soffrire.
In un abbraccio spirituale
Celeste e Francesco frequentano la scuola dell’in-
fanzia delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con loro
hanno mosso i primi passi fuori dal nido familiare,
fase importantissima per ogni bambino che per la
prima volta si allontana dai suoi genitori. Le suo-
re hanno insegnato loro i valori umani e spirituali
per vivere in pienezza l’esistenza, soprattutto hanno
donato la certezza dell’amore personale ed eterno
che Dio ha per ciascuno di noi. Così, giunta la no-
tizia del ricovero di Celeste, le suore si sono strette
in un abbraccio spirituale che ha avvolto la nostra
famiglia, hanno chiesto a san Domenico Savio di
intercedere per la nostra piccola; abbiamo cammi-
nato come su di un filo di seta, attendendo insieme
agli Angeli, sia di lassù sia terreni, come mamma
Eleonora, che ha accudito nostra figlia giorno e
notte per più di 60 interminabili giorni, perché
l’amore di una madre è immenso. Il neuropsichiatra
dottor Riccardo Rizzi, che aveva molti interrogativi
circa la ripresa di Celeste, ma che si è meravigliato
ripetendo gli esami: il trombo si stava sciogliendo e
l’edema si stava riassorbendo: Celeste non avrebbe
avuto alcuna conseguenza, né cerebrale né visiva.
In pochissimi giorni la piccola si è ripresa sorpren-
dendo tutti ed in seguito ha soltanto trascorso un
periodo a Scandicci (FI) al centro di riabilitazione,
per rafforzare i muscoli delle gambe; quando è ar-
rivata si è accorta che di fronte c’è l’oratorio e ha
cantato un canto a don Bosco. Il 10 agosto 2019
Celeste è uscita dall’ospedale e ha potuto riabbrac-
ciare ciascuno dei suoi cari, le sue suore.
In internet il nome Celeste significa venuto dal cie-
lo, abitatore del cielo, indica un’un’anima allegra che
vive in maniera serena; si nutre di speranze e fa grandi
sogni che cerca di realizzare compiendo un passo alla
volta. Non ama strafare perché ritiene che gli obiettivi
si raggiungono con piccole, ma attente e concrete azioni.
Ci sembra che san Domenico Savio abbia ben ini-
ziato a trasformare in realtà il bel nome della pic-
cola principessa, soprattutto perché la guarigione
fisica di Celeste ha toccato misteriosamente il cuo-
re e la vita dei genitori, di quanti hanno conosciuto
la sua storia, quindi anche di te che hai letto questa
storia che ha il sapore di una fiaba.
«Le suore
si sono
strette in un
abbraccio
spirituale che
ha avvolto
la nostra
famiglia,
hanno
chiesto a san
Domenico
Savio di
intercedere
per la nostra
piccola».
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3.8 Page 28

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FAMIGLIA SALESIANA
P. B.
Abitare il mondo
L’ottava Assemblea Generale
dell’Istituto Secolare delle
Volontarie di Don Bosco ha eletto
un medico slovacco come nuova
responsabile maggiore.
«La nostra vocazione secolare
consacrata è un grande dono
di Dio per il mondo di oggi».
Nello scorso mese di luglio si è svolta
a Roma l’ottava Assemblea Generale
dell’Istituto Secolare delle Volontarie di
Don Bosco. Un centinaio di rappresen-
tanti provenienti da tutto il mondo hanno riflettu-
to sul tema della missione delle e hanno anche
e di lasciarsi educare dalle vicende quotidiane: quello
dell’umiltà è un dono per cui prego ogni giorno.
Come hai conosciuto la spiritualità
salesiana?
A undici anni ho incontrato per la prima volta i sa-
lesiani e ho iniziato a conoscere la spiritualità di don
Bosco. Mi è subito piaciuto lo stile di famiglia che
si viveva in quegli ambienti, l’attenzione nel coglie-
re la realtà di ciascuno, la delicatezza nell’offrire il
proprio aiuto nelle situazioni di povertà, una povertà
che era spesso più umana e relazionale che materiale.
In particolare il parroco, don Giuseppe, è stato una
vera ‘scuola di educazione’ all’attenzione, alla vici-
nanza, all’umiltà. Tutto questo nasceva dal loro stile
di preghiera: intensa, profonda, legata alla vita.
Perché hai scelto le VDB?
Un salesiano mi ha parlato dell’Istituto. Mi ha detto
eletto la nuova responsabile maggiore che guiderà, che avrei potuto consacrarmi e restare nel mondo,
con il suo Consiglio, l’Istituto nei prossimi sei anni. svolgendo la mia professione. Mi ha detto pure che
Noi abbiamo voluto conoscerla da vicino.
le Volontarie di Don Bosco nel loro ambiente man-
Potresti presentarti brevemente
e raccontarci qualcosa di te?
tenevano un riserbo sulla loro appartenenza ad un
Istituto di vita consacrata; nessuno sapeva della loro
scelta vocazionale: tutti vedevano in loro delle per-
Mi chiamo Dagmar K. e sono slovacca. Prima di sone comuni, ma nello stesso tempo straordinarie
tutto: sono felice per tutte le chiamate/vocazioni e per i valori che testimoniavano nel loro quotidiano.
per i doni che ho ricevuto: la vita, la fede, la famiglia,
la consacrazione, l’impegno in campo medico, l’e-
sperienza missionaria… Quando penso a tutti i doni
ricevuti da Dio sento profondamente la mia inde-
gnità: Lui mi ha dato se stesso e io, per quante volte
durante il giorno possa dire ‘grazie’, sento sempre
che non è sufficiente. Sono grata per tutte le belle
amicizie profonde che ho ricevuto da Lui, per i santi
che ho potuto incontrare, per le gioie e problemi che
ho potuto sperimentare e che mi hanno formato; ho
scoperto l’importanza di essere umili, come Maria,
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3.9 Page 29

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Tutto questo mi ha affascinato e, dopo diversi anni
di preghiera fedele e di accompagnamento spiritua-
le, ho deciso di iniziare il cammino: quello che mi
ha affascinato è la possibilità di stare nel mondo, di
vedere da vicino i sogni e la bellezza dei giovani,
aiutarli a crescere in accordo con il progetto di Dio.
Come vivi la vocazione dentro
la tua professione?
Ho detto prima che sono un medico e ogni giorno
incontro tanti pazienti. A loro cerco di offrire un
servizio competente, impastato di amore e atten-
zione. Il nostro fondatore, don Filippo Rinaldi, ci
suggeriva di testimoniare più che con le parole, con
le nostre azioni, la nostra vita, il nostro modo di en-
trare in relazione. La nostra presenza tra la gente si
realizza “senza far rumore”, nella normalità di una
fedeltà gioiosa vissuta giorno per giorno lì dove ci
troviamo, ma che pian piano può cambiare la nostra
“piccola fetta di mondo”. Non vogliamo semplice-
mente “stare” nel mondo, ma “abitarlo”, farcene ca-
rico, sentire che siamo inviate per questa missione
e provare a dare risposte alle numerose sfide che
ogni giorno la società ci pone. Naturalmente, tutto
questo, coscienti della nostra umanità e delle no-
stre fragilità. Per questo, quotidianamente, prima
di iniziare la mia giornata e il mio lavoro, dedico
uno spazio di tempo alla preghiera e incontro Gesù
nell’Eucaristia; solo così dopo posso scoprirlo nel
volto dei miei pazienti e offrire Lui a tutti coloro
che incontro. Desidero che sia Lui ad operare, a
curare, a consolare, e con gratitudine sperimento
che tante persone molte volte mi dicono di sentire
la Sua presenza nel mio ambiente lavorativo.
Qual è il significato oggi
degli Istituti Secolari?
La nostra vocazione secolare consacrata è un gran-
de dono di Dio per il mondo di oggi. Nella nostra
società si è presi come in un vortice: tutti corro-
no, anche i cristiani “non hanno tempo per Dio”. Il
nostro compito, come Istituti Secolari, è quello di
avvicinare il mondo a Dio e Dio al mondo. Cono-
sciamo i problemi della vita dal di dentro, perché
noi li viviamo ogni giorno nella nostra condizione
secolare.
Come vivete il vostro
essere salesiane?
Siamo salesiane, per cui abbiamo un’attenzione
particolare agli ambiti preferenziali della mis-
sione salesiana: i giovani, i poveri, le missioni, le
vocazioni. Cerchiamo di essere presenti lì dove ci
sono giovani da accompagnare, dove ci sono poveri da
sostenere, lì dove c’è da difendere la giustizia e il bene
comune; c’è però anche uno stile con cui entriamo in
relazione, fatto di amorevolezza, tenerezza, capaci-
tà di ascolto, empatia e gioia.
Come si presenta l’Istituto
a livello mondiale?
Le nel mondo sono circa 1200, distribuite nei
vari continenti. In alcune parti del mondo, come ad
esempio in Africa, si sta assistendo ad una vera pri-
mavera: una fioritura di vocazioni che fa ben spe-
rare per il futuro. Ci sono anche alcuni problemi e
difficoltà - età avanzata in alcune zone, pericolo di
superficialità in altre -, ma con l’aiuto di Dio cer-
cheremo di andare avanti con fedeltà e rinnovato
entusiasmo.
Per saperne di più:
www.volontariedonbosco.org
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
Giuseppina Bellocchi
Nino Baglieri
Sulle ali
della croce
“Sono Nino Baglieri – disse – e
sono immobilizzato sul mio lettino.
Tanti hanno portato dei doni; io
non posso muovermi e non posso
venire all’altare, ma offro volentieri
quello che ho: la mia preghiera,
la mia croce, la mia sofferenza,
la mia vita per lei Rettor Maggiore,
per la Famiglia Salesiana, per le
vocazioni, per i giovani”.
Con la sua
testimonianza
ha saputo, nel
corso degli
anni, mostrare
a tutti il valore
della vita,
di ogni vita, e
cantare la gioia
pur essendo
inchiodato alla
sua croce.
Era il 24 novembre del 1985 e il Rettor Mag-
giore dei Salesiani del tempo, don Egidio
Viganò, si era recato in Sicilia presso il
Santuario della Madonna delle Lacrime di
Siracusa per incontrare la Famiglia Salesiana dell’i-
sola in una solenne celebrazione eucaristica. Nino
aveva voluto essere presente. Disteso sul suo lettino
in prima fila, seguiva con emozione ogni momento.
Io ero proprio accanto a lui e avevo modo di osser-
varlo bene. Lo incontravo per la prima volta. Avevo
sentito molto parlare di quel giovane, del suo in-
cidente quando era appena diciassettenne, dei suoi
dieci anni di disperazione, della sua conversione e
della sua incredibile testimonianza di gioia. Mi col-
pirono subito il suo sguardo sereno e il suo sorriso.
All’offertorio vennero portati vari doni all’altare. In
quel momento Nino chiese che gli accostassero un
microfono alla bocca per poter parlare. “Sono Nino
Baglieri – disse – e sono immobilizzato sul mio lettino.
Tanti hanno portato dei doni; io non posso muovermi
e non posso venire all’altare, ma offro volentieri quello
che ho: la mia preghiera, la mia croce, la mia sofferenza,
la mia vita per lei Rettor Maggiore, per la Famiglia
Salesiana, per le vocazioni, per i giovani”. Tutti ave-
vamo le lacrime agli occhi, anche don Viganò che
poco dopo scese dall’altare per abbracciarlo.
Iniziai quel giorno a scoprire lo spessore della san-
tità di quel giovane che ad uno sguardo superfi-
ciale poteva apparire una persona da compatire, un
“rottame umano”, ma che con la sua testimonianza
ha saputo, nel corso degli anni, mostrare a tutti il
valore della vita, di ogni vita, e cantare la gioia pur
essendo inchiodato alla sua croce.
«Ero sano, forte, robusto»
Nato a Modica, una cittadina siciliana in provincia
di Ragusa, il 1° maggio del 1951 da una modesta
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Marzo 2020

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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famiglia, trascorse la sua infanzia tra giochi e mo-
nellerie, come tanti ragazzi della sua età. Frequentò
le ultime classi della scuola elementare nell’Istitu-
to salesiano, vicinissimo alla sua casa, ma alla fine
della quinta classe preferì lasciare i libri e andare a
lavorare come garzone presso un muratore. Con-
tinuò, però a frequentare l’oratorio salesiano dove
incontrava gli amici per giocare al calcio, anche se
quando arrivava l’ora della preghiera preferiva svi-
gnarsela, scavalcando il muro del cortile perché non
era molto attratto da quei momenti per lui tanto
noiosi! La domenica, però, era sempre presente alla
messa, contento perché alla fine della celebrazione
ai ragazzi presenti veniva data una bella pagnotta
con la mortadella o un biglietto per andare al ci-
nema e, ai più assidui, un punteggio per la premia-
zione annuale. Da adolescente era sempre l’anima
della comitiva di amici: passeggiate, allegre nuotate
al mare, giochi a carte. Cominciarono anche le pri-
me simpatie, i sogni per il futuro, e a lui sembrava
di avere il mondo nelle sue mani. Nel suo diario,
molti anni dopo, scriveva: “Quanti desideri e progetti
da realizzare allora! Mi affacciavo alla vita: diventare
qualcuno importante, avere una donna accanto da far
felice, dei figli da crescere ed amare… Ero sano, forte e
robusto. Mi sembrava che dovessi conquistare il mondo
con le mie forze, bastava allungare la mano e sentivo
tutto mio”.
Erano passati pochi giorni da quando aveva festeg-
giato il suo diciassettesimo compleanno. Era il 6
maggio del 1968, festa di san Domenico Savio. Il
giorno prima, domenica, aveva voluto godere della
bella giornata primaverile e con i suoi amici era an-
dato al mare, cimentandosi in gare di nuoto e gio-
chi sulla sabbia. Il lunedì aveva ripreso il suo lavoro.
Salito sull’impalcatura, era intento ad intonacare
la facciata di un palazzo quando, verso le 11.00,
il tavolone su cui si trovava si spezzò. Un tonfo e
Nino precipitò giù per diciassette metri. Fu portato
immediatamente in ospedale: la colonna vertebrale
risultava spezzata e il corpo era totalmente immo-
bilizzato. La situazione era molto grave e i medici
prevedevano il decesso da un momento all’altro.
Uno di loro mise i genitori di fronte alla dura si-
tuazione: “Se il ragazzo riuscirà a superare questi
momenti, il che sarebbe solo frutto di un miracolo,
sarà destinato a rimanere tutta la vita in un letto”. E
azzardò la proposta dell’eutanasia: “Se credete, con
una puntura letale, risparmierete sia a voi sia a lui
tante sofferenze”. La mamma, però, grande donna
di fede, rispose subito: “Se Dio lo vuole con sé, lo
prenda, ma se lo lascia vivere sarò felice di accudirlo
per tutta la vita”. E, per prima, abbracciò la croce.
Iniziò allora una lunga via crucis da un ospedale
all’altro, da un’operazione all’altra. Le speranze
puntualmente crollavano dinanzi alla cruda real-
tà: sarebbe rimasto per sempre immobile come un
tronco secco; avrebbe potuto muovere solo un po’ la
testa. Nino sentiva la sua vita ormai finita, inutile;
in un momento aveva perduto tutti i suoi sogni, i
suoi progetti.
Nino con
la sua grande
eroica santa
mamma.
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31

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LE CASE DI DON BOSCO
tai un uomo nuovo. Dieci anni cancellati in pochi
istanti, perché una gioia sconosciuta entrò nel mio
cuore. Io desideravo la guarigione del mio corpo
e invece il Signore mi graziava con una gioia più
grande: la guarigione spirituale”. Scelse di fidarsi
di Dio, del progetto che aveva su di lui, e in questo
scoprì e sperimentò il senso della sua vita.
Incontro
con il Rettor
Maggiore
don Egidio
Viganò
nel 1985.
«Accettai e rinacqui»
Ritornò a Modica, ma lo sguardo di pietà e com-
miserazione di amici e conoscenti piuttosto che so-
stenerlo lo fecero rinchiudere in se stesso: non volle
incontrare più nessuno e si imprigionò nella sua
solitudine.
In quegli anni a Modica erano nate varie realtà ec-
clesiali: gruppi di giovani e di adulti impegnati nel-
lo studio della Parola di Dio, nella preghiera e nel
servizio. Uno di questi era il Rinnovamento nello
Spirito. Si diceva che durante i momenti di forte
preghiera avvenissero delle guarigioni. Un’amica
della famiglia Baglieri invitò alcuni giovani di que-
sto Movimento a visitare Nino e lui, sperando in un
miracolo, accettò di accoglierli. Era il 24 marzo del
1978, verso le 17.00. Nino aveva chiesto alla mam-
ma di mettergli il pigiama nuovo perché se avesse
ricevuto il miracolo voleva essere vestito nel modo
migliore. Il sacerdote che accompagnava il gruppo
impose le mani su di lui e invocò lo Spirito. Tutti si
unirono alla preghiera. Sarà lo stesso Nino, dopo, a
raccontare di quel momento: “Sentii una sensazione
stranissima, un grande calore invadere il corpo, un
forte formicolio in tutte le membra, come se una
forza nuova entrasse in me e qualcosa di vecchio
uscisse. In quel momento dissi il mio sì al Signore,
accettai la mia croce e rinacqui a vita nuova, diven-
«Mettimi una matita in bocca»
Un pomeriggio alcuni ragazzini erano andati da
Nino per fargli un po’ di compagnia e, nello stesso
tempo, fare i compiti scolastici. Uno di loro doveva
fare un disegno, ma aveva qualche difficoltà. Nino
allora disse: “Mettimi una matita in bocca e avvicina
il tuo quaderno: vedrò cosa posso fare”. Si accorse che
la sua bocca riusciva a far muovere speditamente la
matita, realizzando forme e figure. Questa scoperta
lo riempì di gioia. Provò a cimentarsi con le lettere
e in poche settimane riuscì a scrivere speditamente
in corsivo. Era lo strumento di cui aveva bisogno
per comunicare la sua esperienza. Iniziò a scrivere
poesie e riflessioni, preghiere e ricordi. Una radio
locale lo invitò a leggere i suoi scritti e tanta gente
lo seguiva. Cominciarono a giungere lettere, tele-
fonate, visite: chi chiedeva un consiglio, chi rac-
contava i suoi problemi, chi semplicemente voleva
conoscere questo giovane tanto speciale che riusci-
va a sorridere malgrado la sofferenza. Pian piano
il nome e la storia di Nino Baglieri superarono i
confini dell’isola; i giornali e la radio parlavano di
lui; anche qualche TV diede spazio alla sua espe-
rienza e iniziarono a giungere lettere da tanti Paesi
del mondo.
Quando nella Famiglia Salesiana nacque il gruppo
di secolari consacrati salesiani, i Volontari con Don
Bosco (CDB), lui chiese di farne parte ed ebbe la
gioia di pronunziare i suoi voti perpetui il 31 ago-
sto del 2004. Giunse l’anno 2007. L’inverno era
stato molto rigido e una bronchite particolarmente
fastidiosa affliggeva Nino. In gennaio si teneva-
no a Roma le Giornate di Spiritualità e il Rettor
Maggiore lo aveva invitato a dare la sua testimo-
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nianza; il medico, però, non gli dava il permesso
di viaggiare e lui ne era molto rammaricato perché
non voleva rispondere negativamente all’invito del
Successore di don Bosco. Alla vigilia dell’incontro,
però, sentendosi un po’ meglio, chiese al cognato di
accompagnarlo: “Su, andiamo a dare l’ultima testi-
monianza!” disse. Sentiva che il Paradiso si avvi-
cinava. E a Roma, ad un’assemblea attenta e com-
mossa, lui parlò ancora una volta della sua storia,
del suo amore per don Bosco, dell’importanza di
lavorare per i giovani. “Ci vuole molto più impegno
da parte nostra per portare Cristo ai giovani, per
annunciarlo, non soltanto con le parole, ma soprat-
tutto con la nostra vita, con la nostra testimonianza
di vita… Cerchiamo di non restare chiusi dentro
gli uffici e le sacrestie ad aspettare i giovani che
vengono, mentre essi purtroppo si perdono… An-
diamo a cercare i giovani là dove si trovano”. Sem-
brano le parole di papa Francesco quando invita ad
essere una Chiesa in uscita!
finito nei loro titoli. E realmente la santità era stato
l’unico interesse, il solo obiettivo di Nino. In tanti
avevano assistito, alcuni anni prima, ad una scena
che dice, simpaticamente, qual era il suo desiderio
più profondo. Una volta aveva avuto l’occasione di
incontrare il cardinale Sodano, allora Segretario di
Stato Vaticano. Questi, scherzando, mise sulla te-
sta di Nino la sua berretta rossa ed esclamò: “Ehi
Nino, vorresti essere cardinale?”. E lui: “No”. “Ma
allora vorresti forse essere Papa?” incalzò ancora il
cardinale. La risposta fu precisa e disarmante: “No
eminenza: vorrei essere solo santo!”.
Una matita
in bocca: lo
strumento
con cui
ha potuto
comunicare
al mondo.
Le scarpette per poter correre
Le sue condizioni di salute iniziarono a peggiorare
rapidamente. In ospedale dissero che non c’era più
nulla da fare. Lui, cosciente e sereno, consegnò al
suo confessore il testamento spirituale da leggere al
suo funerale e chiese alla sorella di preparare ogni
cosa per rivestirlo dopo la sua morte: voleva che gli
facessero indossare la tuta da ginnastica e che gli
mettessero ai piedi le scarpette per poter correre, li-
bero, dopo 39 anni di immobilità, nei giardini del
Paradiso. Appena si divulgò la notizia, molta gen-
te si radunò nella stradina di accesso alla sua casa
per stargli vicino con la preghiera e accompagnarlo
nel suo ultimo viaggio. Era il 2 marzo. Con un filo
di voce disse alla sorella: “Vedo il Signore, vedo la
Madonna!”. Furono le sue ultime parole. La mattina
seguente, primo venerdì di quaresima, serenamente,
partì per la Casa del Padre. Una marea di persone si
riversò nella cittadina: volevano dare l’ultimo saluto
al “santo di Modica”, come ormai tutti lo chiamava-
no e come tanti giornali, quel giorno lo hanno de-
LA CAUSA DI BEATIFICAZIONE
Il 3 marzo del 2012, trascorsi cinque anni dalla morte, si è aperta
la causa di beatificazione nella Diocesi di Noto (Siracusa). Sono
numerose le grazie che vengono segnalate per sua intercessio-
ne e moltissime le persone che si recano in visita nella sua casa
per pregare accanto al suo letto.
Oltre i libri scritti da Nino per raccontare la sua esperienza, se-
gnaliamo il bel libro di Giuseppina Bellocchi “Nino Baglieri L’at-
leta di Dio” Elledici.
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Lsoafferenza
EMERGENZA UOMO
Il tempo si è fatto breve: o l’uomo
torna ad essere umano o i dinosauri
torneranno a trotterellare sulla Terra.
Se l’emergenza ecologica è allarmante,
l’emergenza antropologica è drammatica.
Urge fermare lo scardinamento
dell’uomo con proposte concrete
come quelle che, di mese in mese,
offriamo ai lettori.
P otrà non piacere, ma questa è la corsia
preferenziale che ci fa davvero umani. La
sofferenza umanizza come nessun’altra
esperienza. Certo, soffrire è scomodo. Ma
perché ostinarci a credere che sia inutile? «Dalla
ferita esce sangue, però entra saggezza!» recita un
proverbio delle Isole Capo Verde. Quanta verità in
così poche parole!
Il dolore ci impedisce d’essere distratti: la soffe-
renza concentra, fa entrare in se stessi, crea
silenzio. Chi soffre è sempre solo!
Il dolore fa uscire dal nostro ‘io’: chi
soffre si appoggia agli altri: pa-
renti, amici, medici, infermie-
ri per un aiuto.
Il dolore ci fa guardare in alto
o per benedire o per maledire:
è impossibile restare neutrali da-
vanti alla sofferenza!
Ricapitolando: la sofferenza ci fa guar-
dare dentro il nostro io; ci fa guardare
fuori del nostro io; ci fa guardare sopra
il nostro io.
Tre mosse che danno spessore all’uo-
mo.
Ha tutte le ragioni lo psichiatra Giacomo
Dacquino: «La sofferenza è una grande
educatrice: l’uomo certe cose deve gua-
dagnarsele con la sofferenza perché non
gli sono elargite in altro modo. Una certa
dose di dolore quindi è necessaria: è per
questa ragione che il dolore
abita il mondo». Più sin-
tetico era lo scrittore-patriota Niccolò Tommaseo:
«L’uomo che non conosce il dolore, rimane sempre
bambino». È una verità che verifichiamo quotidia-
namente.
Non è forse vero che tutti avvertiamo se la persona
con la quale parliamo o con la quale abbiamo a che
fare ha già incontrato la sofferenza o no?
Chi ha sofferto è più mite, più comprensivo,
più capace di empatia, più attento, più
compassionevole. In una parola sola,
più umano. Al contrario, chi non ha
sofferto è più duro, più freddo,
più insensibile, più indifferente,
meno umano.
Il ritorno del sacrificio
Sia chiaro che non vogliamo esaltare la
sofferenza. Saremmo sadici, disumani
(esattamente il contrario di ciò che in-
vitiamo ad essere nella nostra rivista).
Gesù stesso non ha cercato la sofferen-
za, non l’ha esaltata. Non ha mai detto:
«Soffrite come ho sofferto io», ma ha
detto: «Amatevi come io vi ho amati!
(Gv 13,34).
Dunque no all’esaltazione della sofferenza
(nessuno ‘dolorismo’!) ma una netta presa di
posizione a favore della educazione alla sof-
ferenza, fin dall’infanzia, perché il dolore
favorisca la crescita umana. Sì,
educazione alla sofferenza.
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Oggi la capacità di sopportazione del dolore di-
minuisce sempre più. Un tempo tagliarsi
con un coltello o sbucciarsi le ginoc-
chia cadendo per strada faceva meno
male: oggi lo fa molto di più!
È mancata quell’educazione che è la
via maestra che fa sì che il bambino
che nasce uomo diventi umano.
Le strategie dell’educazione alla soffe-
renza non mancano: le abbiamo abbon-
dantemente presentate in altri lavori. Qui
ci limitiamo ad una sola: il ritorno al sa-
crificio. Anche se oggi è parola proibita, il
‘sacrificio’ resta una legge psicologica che
non ammette eccezioni. Il sacrificio, in
quanto esperienza di sofferenza, porta la
volontà in palestra e abilita a superare le
immancabili battaglie dell’esistenza.
Come non si può fare un referendum per
l’abolizione delle regole di grammatica,
così non può essere oggetto di referendum
l’abolizione dall’educazione della rinuncia,
della privazione.
Ecco, allora, una manciata di sacrifici ag-
giornati:
Bere l’acqua del sindaco e non quella delle bol-
licine.
Fare i compiti senza la televisione accesa.
Lasciare l’ascensore ed usare le scale.
Non fare telefonate chilometriche.
No alla televisione personale in camera.
No alla pretesa d’essere ‘firmato’ dal cappellino
alle scarpe.
Restano, comunque, validi i sacrifici di sempre:
Balzare dal letto al primo squillo della sveglia.
Aspettare che tutti siano serviti.
Mangiare le carote che non piacciono.
Rifarsi il letto.
Salutare tutti, anche quelli che nessuno saluta.
Aiutare il compagno di classe preso in giro da
tutti.
Accontentarsi degli abiti del fratello maggiore.
Qualcuno potrà, forse, anche sorridere. In realtà
sono proprio questi piccoli gesti che fanno crescere
un Uomo, non un soprammobile. Solo sul vocabo-
lario ‘successo’ arriva prima di ‘sudore’! Solo sul voca-
bolario, in nessun altro caso, tanto meno quando si
tratta di vittorie alte e preziose.
Prendiamo, ad esempio, il caso della perla. Ecco
come avviene il miracolo di una pietra così prezio-
sa. Un granellino di sabbia penetra nella conchiglia
attraverso le valve socchiuse.
I tessuti del mollusco reagiscono dolorosamente
al corpo estraneo e lasciano cadere sul granello di
sabbia, che non possono eliminare, tante piccole
gocce come lacrime che sono i sali preziosi che for-
mano la perla. Dalla sofferenza di una conchiglia
nasce una perla.
Dalla sofferenza di un uomo nasce l’UOMO!
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
LBaelvleerzaza
Nella nostra società dell’apparire, della ri-
cerca ossessiva della perfezione, del trion-
fo incondizionato dell’estetica, quello del-
la bellezza sembra essere diventato uno
dei miti più radicati e pervasivi. Propinato in modo
più o meno esplicito o subliminale dai mass-media,
esibito apertamente nella pubblicità, imposto dalle
mode e dai modelli culturali dominanti, esso agi-
sce prepotentemente sull’immaginario collettivo,
rafforzando la convinzione che una bella presen-
za sia condizione indispensabile per raggiungere il
prestigio, l’amore e la felicità.
La bellezza diventa, così, una merce da mettere in
mostra sul mercato della notorietà, una risorsa da
investire con scaltrezza per raggiungere più rapi-
damente i propri obiettivi, un passepartout che apre
Non ti trucchi
e sei più bella,
le mani stanche
e sei più bella.
Con le ginocchia sotto il mento,
fuori piove a dirotto,
qualcosa dentro ti si è rotto
e sei più bella.
Sovrappensiero,
tutto si ferma,
ti vesti in fretta
e sei più bella.
E dentro hai una confusione,
hai messo tutto in discussione,
sorridi e non ti importa niente, niente...
E sei più bella quando sei
davvero tu, / e sei più bella
quando non ci pensi più... /
Se un’emozione ti cambia
anche il nome, / tu dalle
ragione, tu dalle ragione. /
Se anche il cuore richiede
attenzione, / tu fatti del
bene, / tu fatti bella per
te, per te, per te... / Tu fatti
bella per te! (Paola Turci)
con facilità le porte del successo. Da cui il recente
proliferare dell’industria della bellezza, che offre
un rimedio per ogni difetto o inestetismo, illuden-
doci di poter manipolare senza conseguenze il no-
stro corpo quale oggetto privo di sacralità o, peggio
ancora, strumento per raggiungere altri scopi.
Eppure, per uno strano paradosso, mai come nella
presente fase storica sembriamo diventati incapaci
di scorgere la vera Bellezza che germoglia intorno a
noi e dentro di noi. Sembriamo diventati ciechi di
fronte alla grazia, l’armonia, l’ordine e la propor-
zione della natura che ci circonda, così come del
nostro stesso corpo, perfetto microcosmo in cui si
specchia e si condensa la bellezza ineffabile della
Creazione. E inseguiamo un ideale estetico tanto
più irraggiungibile quanto più è il frutto di artifi-
ci e camuffamenti, senza accorgerci che la bellezza
autentica risiede proprio in quelle imperfezioni, in
quei minuscoli e impercettibili particolari, in quei
tanto temuti “segni del tempo” che raccontano la
nostra storia, racchiudono in sé le nostre fragilità e
ci rendono unici e irripetibili.
Giungere a questa consapevolezza, arrivare a com-
prendere ciò che già i Greci avevano capito quan-
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do facevano coincidere il “bello” col “buono”, cioè
che la vera bellezza scaturisce dall’equilibrio e dal-
la trasparenza del cuore, da quel genuino candore
che – a prescindere da ogni stereotipo o modello
estetico codificato – sembra far brillare di luce pro-
pria le persone buone, è un percorso impegnativo
e non privo di difficoltà. Esso richiede la capaci-
tà e la disponibilità a liberarsi dai tanti imperati-
vi e condizionamenti che ci vengono imposti dai
mass-media, dalle ultime tendenze della moda e,
ancor più, dal giudizio impietoso degli altri che
inevitabilmente influenza la nostra autostima e si
riverbera sulla percezione che abbiamo di noi stessi.
Ma, soprattutto, implica la necessità di disfarsi di
quelle lenti di superficialità e indifferenza attraver-
so le quali siamo abituati a guardare il mondo e
noi stessi, per assumere un rinnovato sguardo con-
templativo capace di andare oltre il velo attraente,
ma talvolta ingannevole, dell’apparenza e cogliere
il senso profondo delle cose, sottraendole al rischio
dell’insignificanza e dell’anonimato.
Ma, forse, proprio questa rappresenta una delle
sfide più esigenti e insieme stimolanti dell’adultità:
Passano inverni
e sei più bella.
E finalmente ti lasci andare,
apri le braccia,
ti rivedrai dentro una foto,
perdonerai il tempo passato,
e finalmente ammetterai
che sei più bella...
E sei più bella quando sei davvero tu,
e sei più bella quando non ci pensi più...
Se un'emozione ti cambia anche il nome,
tu dalle ragione, tu dalle ragione.
Se anche il cuore richiede attenzione,
tu fatti del bene,
tu fatti bella per te,
per te, per te...
Tu fatti bella per te!
(Paola Turci, Fatti bella per te, 2017)
imparare a guardare se stessi e la realtà circostan-
te con occhi nuovi, vincendo quella sensazione di
opacità e inadeguatezza che troppo spesso ci perva-
de e riuscendo con la nostra creatività e originalità a
“far belle” tutte le cose.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Lcoimoppeerraatotoreresalesiano?
Che fra i grandi benefattori di
don Bosco ci fossero l’imperatore
Francesco Giuseppe e la sua famiglia
è una sorprendente novità.
La storia sconosciuta di don Bosco non fini-
sce mai di stupire. Si sa ad esempio che don
Bosco fra i suoi generosi benefattori contava
conti, marchesi, principi, re di Savoia e d’Ita-
lia con le rispettive consorti spesso più caritatevoli
dei singoli mariti. Ma che fra questi grandi bene-
fattori ci fossero l’imperatore Francesco Giuseppe,
sua madre Marianna, e suo figlio, il duca Rodolfo
di Asburgo, è una novità assoluta, che possiamo
documentare grazie al recente ritrovamento di in-
teressanti documenti.
L’immagine di don Bosco,
vivo o defunto
Nel corso di un Convegno internazionale organiz-
zato nel 2014 dall’ (Associazione Cultori di
Storia Salesiana) è emerso il fatto che la figura di
don Bosco nell’immaginario pubblico internazio-
nale del suo tempo e anche successivamente (nelle
pubblicazioni, sui giornali, nelle corrispondenze
private), aveva mille sfaccettature: praticamente la
sua figura era poliedrica, o forse meglio, un mosai-
co dalle mille tessere.
Forse proprio facendo leva su questa immagine
pubblica positiva, don Bosco ad un certo punto del-
la sua vita ha puntato ai massimi livelli nella ricerca
dei suoi benefattori.
Ed eccolo allora il 3 febbraio 1886 prendere in
mano la penna e scrivere una lettera alla casa im-
periale di Vienna. Non aveva nessuna casa né in
Austria, né in Ungheria, né in Trentino – all’epoca
appartenente all’impero austro-ungarico – ma colà
si leggeva il Bollettino Salesiano.
Tant’è che da tempo aveva chiesto al ministro
competente di poterne inviare copie con spedi-
zioni agevolate in quel territorio dove si parlava
italiano.
All’Imperatore d’Austria,
Ungheria e Boemia Francesco
Giuseppe
Don Bosco esordisce dicendo al suo corrispondente
che come imperatore cattolico non può non cono-
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scere “come in Roma nel nuovo quartiere del Ca-
stro Pretorio si stia fabbricando una Chiesa in ono-
re del Sacro Cuore di Gesù ed un Ospizio annesso,
capace di dare ricetto a 500 giovanetti abbandonati
e di qualunque sia nazione (corsivo del redattore) che
capitassero a Roma”.
Precisa subito che il progetto, con un preventivo di
3 milioni di lire (vari milioni di Euro attuali), era di
iniziativa papale e che era stato affidato per la sua
realizzazione a lui e ai Cooperatori salesiani. Ma
purtroppo per mancanza di fondi correva il rischio
di sospendere i lavori. Motivo per cui aveva lanciato
una lotteria di piccoli doni.
Pertanto, confidando quanto Sua Maestà Imperia-
le fosse “animata nel promuovere le opere buone,
specialmente quando tornano a vantaggio della
gioventù” si prendeva la libertà di mandargli 600
biglietti di tale lotteria.
Un segno di riconoscimento
Come aveva già fatto con “l’Augusta Imperatrice
defunta Marianna d’Austria”, don Bosco si permet-
teva di iscrivere sua Maestà “al novero dei Coope-
ratori Salesiani e mandargliene il Diploma colla
raccolta del Bollettino Salesiano nella fiducia che Sua
Maestà avrebbe perdonato il suo ardire e gradito
l’iscrizione alla Pia Associazione”. Concludeva in-
vocando “le più elette benedizioni del Cielo sopra la
Maestà Vostra, sull’Imperiale sua famiglia e sopra
il vasto suo Impero”.
Avrà gradito l’imperatore cattolico tale iscrizione?
Che ne avrà fatto del diploma di Cooperatore sa-
lesiano? Avrà trovato tempo per dare uno sguardo
a qualche pagina del Bollettino salesiano? Non lo
sappiamo, ma di certo a don Bosco non è mancato
il coraggio, lui, già povero contadinello e prete di
oratorio di periferia, di rivolgersi nientemeno che
ad un imperatore straniero, di supplicarlo onde lo
aiutasse nella sua opera in favore dei giovani poveri
ed abbandonati di una città straniera, come Roma,
dove fra l’altro il papa si dichiarava “prigioniero”
del governo italiano.
Ed il figlio?
Don Bosco non si accon-
tentò di scrivere all’im-
peratore, si rivolse anche
al figlio, sua altezza reale
Rodolfo d’Asburgo-Lo-
rena, arciduca d’Austria
e Principe della Coro-
na d’Austria, Ungheria e
Boemia. Con lui don Bo-
sco però dimezzava il nu-
mero dei biglietti della
lotteria inviati, solo 300,
ma anche a lui inviava il “diploma di Cooperatore
Salesiano colla raccolta legata del mensile Bolletti-
no”. Ovviamente non gli nascondeva di aver fatto
lo stesso con l’“Augusto suo Genitore”. Poteva ri-
fiutarsi, presumendo che papà avesse trattenuto e
pagato i biglietti della lotteria?
Anche in questo caso non sappiamo se la suppli-
ca sia andata a buon fine. Amiamo crederlo, visto
anche che don Bosco, come suo solito, allargava il
panorama delle sue preghiere ed invocava “sopra la
degnissima Augusta sua Consorte la Principessa
Stefania e sopra tutta la Principesca sua famiglia, le
celesti benedizioni”.
Globalizzazione della carità
Non sarebbe stata l’ultima volta che don Bosco si
sarebbe rivolto alle teste coronate. Pochi mesi dopo
avrebbe inviato una circolare in varie lingue in città
Europee, all’imperatore del Brasile, alla Regina del
Madagascar ecc. per chiedere soccorsi spirituali e
materiali per una grande spedizione missionaria in
America Latina.
Evidentemente a don Bosco, ormai settantenne e
quasi ombra di se stesso, non bastavano “180 case,
e 200 mila ragazzi di tutte le nazionalità cui dare
una buona educazione” e “orientarli o verso gli stu-
di scientifici o verso un mestiere, secondo le loro
particolari attitudini”. La sua carità non conosceva
confini né geografici né esistenziali.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di marzo
preghiamo per la Causa di
Beatificazione della Serva
di Dio Matilde Salem.
Matilde Chelhot in Salem nac-
que ad Aleppo il 15 novembre
1904. La condizione agiata del-
la famiglia non impedì a Matil-
de una spiccata vita interiore. Il
15 agosto 1922 sposò Georges
Elias Salem. La gioia di questa
unione fu però ben presto ap-
pannata dall’impossibilità di
diventare madre e dalla fragile
salute dello sposo. Infatti il 26
ottobre 1944 rimase vedova.
Fu allora che lei scoprì la voca-
zione di dedicarsi totalmente
al prossimo con un amore più
vasto. La sua famiglia furono
i giovani poveri della sua cit-
tà. La “Fondazione Georges
Salem”, affidata ai figli di don
Bosco chiamati nel 1947, sarà
d’ora innanzi la sua casa e la
sua famiglia. Lì deporrà le spo-
glie dello sposo e lì pure sarà
sepolta lei stessa. Si arricchì di
varie esperienze spirituali: be-
nefattrice salesiana, figlia di S.
Francesco d’Assisi, cofondatri-
ce dell’Opera dell’Amore Infini-
to. Quanto poi a carità, non ci
fu istituzione benefica che non
la vedesse impegnata come so-
stenitrice: Società catechistica,
conferenze di S. Vincenzo, co-
lonie estive per ragazzi poveri
e abbandonati, Vicepresidenza
della Croce Rossa, beneficenza
islamica, opera in favore dei
giovani poveri... Il lunedì di
Pentecoste del 1959 si scoprì
colpita da un cancro. In rispo-
sta alla diagnosi dei medici, un
solo commento: “Grazie, mio
Dio”. Fu una via crucis di 20
mesi. Per testamento distribuì
tutti i suoi beni a favore delle
varie opere di beneficenza, tan-
to da poter dire: “Muoio in una
casa che non mi appartiene
più”. Morì in fama di santità il
27 febbraio del 1961 a 56 anni
di età. L’Inchiesta diocesana
di beatificazione fu aperta ad
Aleppo il 13 novembre 1995.
Ringraziano
Vorrei presentare la vicenda che
ha visto coinvolto mio figlio, un
ragazzo di 19 anni, patentato
da pochi mesi. La sera del 29
ottobre 2018 mio figlio stava
tornando a casa con la sua mac-
china contento della sua tanto
sospirata autonomia quando,
all’improvviso, oramai arrivato
nei pressi di casa, senza nem-
meno rendersi conto, viene
colpito fortemente da un’altra
macchina di piccola cilindrata.
Lui con la piccola macchina fi-
nisce contro una macchina sul
lato opposto di una strada prin-
cipale della città. Mi arriva la sua
chiamata avvisandomi, in ma-
niera tranquilla e quasi scoccia-
Preghiera
Dio, Padre di misericordia,
che hai voluto donarci in Matilde Salem,
un mirabile esempio di carità verso il prossimo,
specialmente verso i giovani e verso i poveri,
e di amore verso la Chiesa.
Con fervida preghiera e solerti iniziative di bene
la tua Serva lavorò per l’avvento dell’unità tra i
cristiani,
la santificazione del clero
e la prosperità della fondazione Georges Salem.
Ti supplichiamo di voler glorificare la tua Serva,
affinché il suo esempio sia per i tuoi fedeli
stimolo a ben operare,
a testimonianza del tuo divino progetto di salvezza
e del tuo amore.
Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore.
ta, che aveva fatto un incidente
e di raggiungerlo. Io, avendolo
sentito tranquillo, ho pensato
che fosse stato lui a provocare
qualche piccolo incidente poi-
ché patentato da poco. Appena
arrivati sul luogo dell’incidente,
sono stata raggiunta da mio
figlio che mi dice di stare bene
e lo abbraccio ma, nel vedere la
sua macchina ridotta ad un rot-
tame, mi sono sentita male. Mi
viene incontro un ragazzo che si
scusa e mi dice di non aver visto
lo Stop e di aver preso la macchi-
na di mio figlio; con lui erano in
macchina altri quattro ragazzi.
Osservo da vicino entrambe le
macchine e noto che avevano
gli airbag completamente aper-
ti, erano entrambe rotte dalla
parte anteriore e quella di mio
figlio aveva anche la ruota po-
steriore destra completamen-
te entrata nell’abitacolo della
macchina, in poche parole le
macchine erano da buttare... e
i ragazzi illesi miracolosamente
tutti, mio figlio che ha subito
l’incidente e i quattro ragazzi
che erano nell’altra macchina.
Riflettevo intanto che la mano
di Dio si era posata su tutti que-
sti ragazzi che si erano miraco-
losamente salvati da un impatto
che avrebbe potuto fare delle
vittime in particolare mio figlio
che ha subito l’impatto violento.
Prima di andare a letto chiedo
a mio figlio di vedere il Santo
del giorno e mi dice: “Oggi si
ricorda Michele Rua”. Inizial-
mente il nome non mi dice
molto. Guardiamo su internet e
scopriamo con grande stupore
che è il Beato, primo successore
di san Giovanni Bosco. Siamo
rimasti increduli: mio figlio ha
frequentato gli istituti salesiani
e io l’università salesiana “Auxi-
lium” di Roma. Abbiamo sentito
forte l’intercessione di questo
uomo che ha amato tanto i gio-
vani come san Giovanni Bosco
e ha contribuito tanto al bene
e al futuro dei giovani ieri come
oggi. Ringraziamo il Signore e il
Beato Michele Rua che ha inter-
ceduto per la vita di mio figlio e
degli altri ragazzi!
Manuela Malerba,
Ladispoli (Roma)
40
Marzo 2020

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Padre Juan Bottasso
missionario e docente universitario,
morto a Quito (Ecuador), il 24 dicembre 2019
a 83 anni.
Come volesse che fossimo
gioiosi al momento della sua
partenza, padre Juan Bottas-
so, fondatore di Abya Yala, ha
pensato di morire la vigilia
di Natale. Era così, ed è così
che dovremmo ricordarlo: con
quella gioia, quel sorriso, quel
particolare senso dell’umori-
smo, quell’intelligenza che era-
no il suo distintivo.
Padre Bottasso è stato un gran-
de missionario salesiano, uno
dei pionieri nella difesa delle
popolazioni indigene dell’E-
cuador. L’Ispettoria salesiana
“Sacro Cuore di Gesù” ha an-
nunciato la sua morte intorno
alla mezzanotte del 24 dicem-
bre, attraverso i suoi social net-
work, affermando “che la sua
Pasqua di Risurrezione possa
essere annuncio di fecondità di
nuovi grandi missionari per la
Chiesa e la Famiglia Salesiana”.
Nato a Peveragno (Piemonte), il
27 settembre 1936, ha studiato
dal 1947 nell’Istituto Salesiano
di Valdocco, Casa madre dei Sa-
lesiani a Torino. Nel 1952 entrò
nel Noviziato di Monte Oliveto,
a Pinerolo. Chiese di partire
missionario e si imbarcò per
l’Ecuador, quando aveva meno
di 25 anni. Studiò teologia a
Bogotá, ma il suo cuore era
sempre con le missioni salesia-
ne a Sucúa, dove venne inviato
dopo l’ordinazione sacerdotale,
nel 1963.
Trascorse sei decenni vivendo,
conoscendo e difendendo gli
indigeni Shuar, costruendo
ponti tra la Chiesa e gli indi-
geni, e aprendo strade verso
una nuova comprensione del
significato della missione evan-
gelizzatrice tra i popoli indige-
ni, anticipando una “Chiesa in
uscita” con un “volto e un cuore
indigeni”.
«Juan Bottasso è stato il mio
grande ispiratore nel processo
di rinnovamento missionario
e nello studio delle culture»,
sostiene padre Caldeira, nuo-
vo responsabile della comu-
nicazione del Pan-Amazonian
Church Network (REPAM), che
ha approfondito l’eredità cul-
turale e apostolica di Padre
Bottasso nello sviluppo del
suo master in comunicazione,
«Il suo lavoro con gli Shuar, ma
soprattutto nella fondazione
dell’Università Politecnica Sa-
lesiana (UPS) di Quito e nell’e-
ditrice Abya-Yala, mi ha aiutato
molto a capire il nuovo modello
missionario».
Come teologo e antropolo-
go, padre Bottasso è stato un
pioniere nella formazione del
movimento indigeno in Amaz-
zonia nel 1964, sostenendo
“una presenza missionaria
rispettosa delle culture e soli-
dale con le rivendicazioni terri-
toriali degli indigeni, la lingua
e l’educazione interculturale”,
come affermano coloro che
conoscevano la sua abilità e
preparazione intellettuale, nel-
la direzione della casa editrice
Mundo Shuar, da lui creata nel
1975, che in seguito avrebbe
dato vita a quello che oggi sono
l’Abya Yala Cultural Center, la
casa editrice Abya Yala e il Mu-
seo Abya Yala.
Indubbiamente, il suo dinami-
smo illuminato nel mondo edi-
toriale e accademico, ha aperto
strade in difesa delle culture
originarie del Paese.
“Il suo insegnamento, la sua
dedizione e il suo lavoro per i
poveri, insieme all’immenso
dono della persona che è stato
rimangono con noi per sem-
pre”, ha dichiarato con enorme
cordoglio l’UPS, di cui Padre
Bottasso è stato vicerettore a
Quito dal 1995 al 1999.
“Quando si perde una cultura
si perde un’eredità”, diceva
sempre. Ed è per questo che
ha voluto raccogliere ad Abya
Yala ciò che poteva sulle cul-
ture. È stata una svolta: prima
che qualsiasi casa editrice
ecuadoriana fosse su Internet,
Abya Yala lo era già, negli anni
Novanta, quando questo era
ancora un mistero. Ha insistito
che Abya Yala non fosse solo
una casa editrice, ma anche un
luogo di incontro: un museo,
un centro di ricerca, un luogo
di consultazione, una scuola di
antropologia applicata. ll suo
progetto era grande quanto i
suoi sogni. Diceva che per per-
seguire alcuni sogni, soprattut-
to quelli che hanno a che fare
con la gestione culturale, era
meglio chiedere il perdono che
chiedere il permesso. Era de-
terminato a digitalizzare i docu-
menti e a salvarli ordinatamen-
te da quello che poteva essere
l’oblio. Si è sforzato di recupe-
rare gli archivi missionari, tra
cui i 100 quaderni che fanno
parte del diario di Yankuam,
Luis Bolla, che tanto ammirava.
L’opera era enorme: 14 volumi
che, se non fosse stato per pa-
dre Juan, sarebbero andati per-
duti. Ha raccolto in un catalogo
tutto ciò che i salesiani avevano
scritto sui popoli indigeni. E,
come un’instancabile formica,
ha lavorato giorno dopo gior-
no, recuperando documenti, vi-
deo, registrazioni, per l’archivio
salesiano e per Abya Yala.
Per padre Juan c’è solo grati-
tudine e ora la speranza che
sia una fiamma accesa per la
ricerca, per l’approfondimento
dei temi sull’interculturalità,
sulla Chiesa, sulle popolazioni
indigene, sulla cultura e sul pa-
trimonio. Padre Juan è stato un
grande dono alla nostra vita.
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41

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Sa scrivere in versi
- 4. Le bardature dei cavalli - 11. Ci
precedono in marcia - 12. Savona (sigla)
- 14. Congiunzione avversativa - 15.
Al… al plurale - 16. Iniziali di Stallone -
17. Erano usati per variare la luminosità
delle lampadine - 22. La terra del Dalai
Lama - 24. Sommesso chiacchiericcio
- 27. La Cercato nota annunciatrice di
anni fa - 28. XXX - 30. Nacque dalla
joint venture tra Alfa Romeo e Nissan
negli anni ‘80 - 31. La fine di ieri! - 32.
Una metà dell’abside - 33. Lo Zero can-
? tante (iniz.) - 35. Banca vaticana (sigla)
- 36. La certifica l’anagrafe - 38. Il Santo
patrono degli orafi, dei maniscalchi, dei
carrettieri, dei netturbini e, di recente, an-
?
La soluzione nel prossimo numero.
che dei garagisti - 40. È in competizione
con Mediaset - 42. Le han dispari i mon-
ti - 44. Industria francese specializzata in
UNA TRAGEDIA SFIORATA
cosmetica - 46. La gamba per gli inglesi
- 47. Preghiera - 48. Sultano che fu un
Quando, il 4 marzo del 1848, a Torino venne firmato lo Statuto del Regno
grande stratega e valoroso guerriero.
di Sardegna, detto Statuto Albertino, si creò un clima difficile di convi-
venza soprattutto tra i liberali che vedevano la nuova costituzione come
un progresso e i rappresentanti del clero che si trovarono oppressi e ber-
sagliati da molti episodi di anticlericalismo. Si scatenò la caccia ai nemici
dello statuto additando quali colpevoli retrogradi l’Arcivescovo, i Gesuiti, il Convitto di don
Guala e don Cafasso, eccetera. Don Bosco scrisse: «In quei giorni, una specie di frenesia si
diffuse tra i giovani. Si radunavano in vari punti della città, nelle vie e nelle piazze, prendevano
d’assalto preti e chiese. Ogni offesa alla religione e ogni sfregio contro i preti erano considerati
delle belle imprese. Io fui più volte assalito in casa e per strada. Un giorno, mentre facevo cate-
chismo, un XXX sfondò una finestra, mi forò la veste tra il braccio e il torace, e andò a fare un
largo squarcio nel muro». Il Santo si trovava nella cappella Pinardi e i ragazzi che erano con lui
furono terrorizzati dall’improvviso attentato. Fu proprio don Bosco, ancora scosso dall’accaduto
di cui era stato il bersaglio, a trovare l’animo per rassicurarli con parole leggere: «È uno scherzo
un po‘ pesante. Mi dispiace per la veste, che è l’unica che ho. Ma la Madonna ci vuole bene». Un
ragazzo raccolse il proiettile conficcato nel muro: una rozza pallottola di ferro. «Un’altra volta,
mentre io ero in mezzo a una moltitudine di ragazzi, in
Soluzione del numero precedente pieno giorno un tale mi assalì con un lungo coltello alla
mano. E fu un miracolo se, correndo a precipizio, potei
ritirarmi e salvarmi in camera. Il teologo Borel scampò
pure per miracolo a una pistolettata». Molti giornali
alimentavano l’odio contro i preti. Uscirono grossi tito-
li anche contro don Bosco: «La rivoluzione scoperta a
Valdocco», «Il prete di Valdocco e i nemici della patria».
VERTICALI. 1. Elemento di pietra po-
sto ai lati della strada per segnarne il
ciglio - 2. In un giornata sono 24 - 3.
Studiano il cosmo - 5. Copiare, fare
allo stesso modo - 6. Napoli (sigla) - 7.
L’inizio della mareggiata - 8. Esercito
Italiano - 9. Comunità primitiva, clan -
10. Si occupa di segni zodiacali - 13.
Il catino naturale attraversato dall’Ar-
no - 16. Nel caso in cui - 18. L’espres-
sione che accompagna e sottolinea
un salto - 19. La località che ci ricor-
da una “spigolatrice” - 20. A te per i
francesi - 21. Contrazione muscolare
incontrollata - 22. Quella di marcia
va rispettata - 23. L’insieme di borse
e valigie che si portano in viaggio -
25. Sminuzzato - 26. Esclamazione di
dolore - 29. Un nome comunemente
usato per cinema e hotel - 34. Regna-
va su tutte le Russie - 37. Era amandi
quella di Ovidio - 39. Si spendono a
Tokyo (y=i) - 41. I confini d’Italia! -
43. Dentro - 45. Il centro del Creato.
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Marzo 2020

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F. Disegno di Fabrizio Zubani
Un padre
Più tardi, mentre un medico ne
constatava il decesso, mi appoggiai
contro la parete nell’angolo più lon-
tano della stanza, piangendo silen-
ziosamente.
Mi si avvicinò un’infermiera che
Q uel giorno era morto mio
padre. Era una fredda
giornata di gennaio, grigia e
Mia madre mi fece trasalire: non
saprò mai perché le prime parole
che mi rivolse dopo la morte di mio
mi mise un braccio sulle spalle per
confortarmi; non riuscivo a parlare,
bloccato dal pianto, ma desidera-
di bufera. Nella stanzetta d’ospedale, padre furono: «Era così fiero di te. vo dirle: «Non sto piangendo per la
lo tenevo fra le braccia, quando
Ti amava moltissimo».
morte di mio padre. Sto piangendo
all’improvviso i suoi occhi si spalan- In qualche modo, la reazione che pro- perché mio padre non mi ha mai
carono, assumendo uno sguardo di vai a quelle parole mi fece capire che detto che era orgoglioso di me; non
sgomento che non avevo mai visto in esse contenevano qualcosa di molto mi ha mai detto che mi amava.
lui. Ero certo che l’angelo della
importante sul mio conto: erano come Naturalmente si dava per scontato
morte fosse entrato nella camera.
un improvviso raggio di luce, come che io sapessi queste cose, così come si
Poi mio padre cadde indietro e io
un pensiero sorprendente sul quale dava per scontato che fossi cosciente
?
appoggiai con delicatezza la sua testa prima di allora non mi ero mai soffer- dell’importante ruolo che avevo avuto
sul cuscino; gli chiusi gli occhi e dissi mato; ma al tempo stesso, provavo un nella sua vita e del grande posto che
a mia madre che era seduta vicino al dolore preciso, come se fossi cosciente avevo occupato nel suo cuore, ma lui
letto, intenta a pregare: «È finito
che avrei conosciuto meglio mio
non me lo aveva mai detto».
tutto, mamma. Papa è morto».
padre nella morte che in vita.
Uno strano
maleficio qualche volta
ci blocca e ci impedisce
di pronunciare le parole
che farebbero la felicità
nostra e di quelli che ci
stanno accanto.
Sono parole semplici,
come «Ti amo», «Sei
veramente in gamba»,
«Sono così felice di
starti accanto», «Grazie
perché ci sei». Anche
nel Vangelo per far
parlare i muti ci
vuole un miracolo.
Marzo 2020
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
salvare molte anime.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Mario Robustellini
Don Bosco in Etiopia
Le case di don Bosco
Terni
Dal 1927 in cammino
con i giovani
Salesiani nel mondo
Madagascar
Rinascere nel Centro
Don Bosco
I nostri eroi
Carlo Crespi
Il “santo” di Cuenca
Figlie di Maria Ausiliatrice
A piedi nudi
Con i poveri in Guatemala
Come don Bosco
Emergenza uomo
La tenerezza
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente personalità
giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta
con D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di € ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.