Bollettino_Salesiano_202001

Bollettino_Salesiano_202001



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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GENNAIO 2020
Buoni cristiani
e onesti cittadini

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
Il divano e la pistola saccoccia, frugò, rovistò con segni di
dispetto. Poi fra stralunato e inve-
lenito balzò in piedi, osservando a
destra e a manca. Niente...
Chiunque avrebbe capito che Don Bosco non era rimasto seduto:
bisognava stare all’erta.
calmo, aveva fatto qualche passo ver-
Era agitato da un mal
so l’uscio. «Che cosa cerca, signore?»
represso nervosismo.
domandò. «Qui in tasca, avevo
Parlava, ma quasi stra- una cosa... chissà come... dove sarà
parlava, saltando di palo andata?». «Avrà creduto di averla,
in frasca: dava l’impres- mentre invece...». «No, no» ribatté
sione che non sapesse da il ribaldo smaniando e portandosi
che parte incominciare, anche nella stanza vicina.
a giudicare da come si Con mossa rapida don Bosco si avvi-
interrompeva, gestico- cinò alla porta, impugnando con una
lando. Il dubbio che la
mano la maniglia e con l’altra l’arma.
faccenda fosse seria divenne A vedersela puntata contro, l’assassino
certezza quando, a causa del sbigottito non seppe come rispondere
S ono un divanetto abbastanza
elegante, di poche pretese ma
caro a tantissime persone. Ai
dimenarsi, dalla sua tasca sgusciò una
rivoltella finendo tra i miei cuscini.
Era di calibro piccolo, a sei colpi.
alla domanda: «È questo l’arnese che
cercava?». Tentò di impadronirsene,
ma si bloccò a sentirsi intimare: «Alt!
miei cuscini si sono appoggiati
Con la massima indifferenza, senza Esca subito. Dio le usi misericordia».
ragazzi, giovani e adulti di tutte le età, dar nell’occhio al forsennato, don
E mentre una mano teneva l’arma
ricchi (pochi) e poveri (tanti). Veniva- Bosco adagio adagio vi pose sopra puntata, l’altra aprì la porta. Il malin-
no tutti per il mio padrone che era per la mano da prestigiatore e la fece
tenzionato esitava, ma dovette cedere
tutti semplicemente “don Bosco”.
scomparire. L’interlocutore passò
udendo che dall’anticamera stava
Li riceveva con lo stesso rispetto con dal dire sconclusionato al parlare
arrivando qualcuno. Fuori c’era una
il quale trattava i grandi signori. Li provocatorio: ce n’era a sufficienza carrozza con i complici in attesa.
invitava a sedere sui miei cuscini,
per accendere la miccia di un alterco. Don Bosco non fece alcuna denun-
stando egli seduto al tavolino, e li
A un dato momento, girò lo sguardo cia. Quello era un «avvertimento» in
ascoltava con la maggior attenzione in modo fulmineo, come per accer- piena regola. Ma per lui era perfetta-
come se le cose da loro esposte fosse- tarsi della situazione: deciso ormai a mente inutile: ci voleva ben altro per
ro tutte molto importanti. Anche se passare all’azione, cacciò la mano in fargli cambiare strada.
erano piccoli, con il moccio al naso,
sporchi, malvestiti…
Nel dicembre del 1880, si presen-
LA STORIA
tò un signore venticinquenne, cui
il Santo cortesemente fece cenno
di sedergli accanto su di me. Quel
gesto di cortesia non tenne conto
dell’aspetto del visitatore: nei suoi
occhi c’era un lampeggiare bieco.
Raccontano le Memorie Biografiche (XIV 516-18): «Nelle Camerette di don Bo-
sco, nella stanza a sinistra dell’altare si vede un mobile: sulla soglia c’è una
vetrata semicircolare rientrante, al lato sinistro un divano con due cuscinetti
agli angoli. Lì, accanto a don Bosco, tante persone trovarono pace e conforto,
consiglio e guida, e sovente il dono della grazia di Dio».
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GENNAIO 2020
GENNAIO 2020
ANNO CXLIV
NUMERO 01
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
Buoni cristiani
e onesti cittadini
La copertina: «Essere come Lui»: la strenna
del nostro Rettor Maggiore sull’esempio educativo
di don Bosco (Disegno di Stefano Pachì).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6
6 SALESIANI NEL MONDO
Perù
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 STORIE DI GIOVANI
I ragazzi del Fantabosco
14 LE CASE DI DON BOSCO
Cagliari
18 L’INVITATO
Simba
22 SALESIANI
14
Destini incrociati
24 MISSIONE SALESIANI
La speranza nella discarica
28 SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
30 CASA MADRE
Il campanile racconta
32 COME DON BOSCO
34 LA LINEA D’OMBRA
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
24
38 FMA
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Simone
Calvano, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Claudia
Gualtieri, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Enrico Lupano, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Giampietro Pettenon,
O. Pori Mecoi, Kirsten Prestin, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Quattro ragazzi
e un sogno
Un minuscolo foglietto di carta scritto
da un diciassettenne è il più commovente
e prezioso della nostra storia.
C ari amici e amiche, cari amici del carisma
di don Bosco, lettori del Bollettino Sale-
siano, strumento umile di comunicazione
salesiana tanto caro a don Bosco stesso,
suo fondatore, vi scrivo da Roma.
Poco prima di iniziare a scrivere queste righe, ho
celebrato l’Eucaristia insieme al Consiglio Genera-
le della Congregazione Salesiana (Salesiani di Don
Bosco), nelle “Camerette”, cioè in uno spazio che
era una stanza e una cappella con un piccolo altare
dell’epoca, dove don Bosco celebrò la Messa fino
al 17 maggio 1887. Morì a Torino qualche mese
dopo, il 31 gennaio 1888.
In quello spazio ristretto, modesto e
raccolto, il mio pensiero è volato per
qualche istante non solo alle ultime eucaristie cele-
brate da don Bosco durante il suo ultimo soggiorno
romano, costellate di preoccupazioni e di lacrime,
ma ad un’altra stanzetta, ancora più modesta, a
Torino, dove la sera del 26 gennaio 1854, mentre
nella città impazzava un freddo polare e la gente
si affrettava avvolta in pesanti mantelli, don Bo-
sco parlava a quattro giovanotti che seguivano con
gli occhi sgranati le sue parole: «Vi prometto che la
Madonna ci manderà oratori vasti e spaziosi, chie-
se, case, scuole, laboratori…»
Erano le “profezie” che qualche anno prima ave-
vano fatto rischiare a don Bosco l’internamento in
manicomio.
I quattro erano poco più che ragazzi, ma avevano
una fiducia sconfinata in don Bosco. Tra quei quat-
tro c’erano le pietre fondamentali della Congrega-
zione Salesiana.
Ho tra le mani un documento storico che è un pic-
colo pezzo di carta di 10,5 centimetri di lunghezza
per 5 centimetri di larghezza scritto da uno di quei
ragazzi. L’autore è il giovane Michele Rua. E su quel
piccolo pezzo di carta ha scritto quanto segue: «La
sera del 26 gennaio 1854, ci radunammo nella stan-
za di D. Bosco: esso D. Bosco, Rocchietti, Artiglia,
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Cagliero e Rua e ci venne proposto di fare coll’aiuto
del Signore e di S. Francesco di Sales una prova di
esercizio pratico della carità verso il prossimo per ve-
nire poi ad una promessa; e quindi, se sarà possibile e
conveniente di farne un voto al Signore. Da tale sera
fu posto il nome di Salesiani a coloro che si propose-
ro e si proporranno tale esercizio».
Dei quattro, tre (Rocchietti, Cagliero e Rua) di-
vennero salesiani.
Da un minuscolo seme
Fuori, il vento fischiava gelido intorno al Rondò
della Forca. In quel momento nel mondo succe-
devano eventi da “grande storia”: Karl Marx stava
scrivendo Il Manifesto, in America Samuel Colt in-
ventava la super rivoltella, a qualche centinaio di
metri da quella cameretta, Camillo Cavour firmava
la legge per la chiusura di 337 conventi e nei quar-
tieri militari i soldati si preparavano per la stupida e
crudele guerra di Crimea.
Eppure, mentre il mondo non se ne sapeva nulla,
quel giovane prete e i suoi quattro ragazzi davano il
via ad una “start up” che non ha smesso di crescere
e compiere meraviglie.
È ammirevole che questo piccolo verbale ci sia giunto,
ma ciò che è veramente ammirevole e prodigioso è
l’intuizione e la visione di questo grande uomo santo
che è don Bosco, con un cuore pieno di passione
educativa ed evangelizzatrice verso i suoi ragazzi.
Lo Spirito Santo ha fatto lievitare quel primo in-
contro con quattro dei suoi ragazzi, fino alla Con-
gregazione e alla Famiglia Salesiana di oggi, che
è diffusa in 136 nazioni del mondo, per prendersi
cura di ragazzi, ragazze, adolescenti e giovani, so-
prattutto i tanti che la nostra epoca dimentica.
Dal nulla è cresciuto un albero bellissimo. Un albe-
ro che oggi ha migliaia di amici e benefattori grazie
ai quali possiamo fare tanto bene. Un albero che ha
come rami migliaia e migliaia di laici che condivi-
dono il carisma di don Bosco e che lavorano ogni
giorno nelle case di tutta la famiglia salesiana del
mondo.
Senza trionfalismo e invitandoci sempre a prendere
coscienza della nostra responsabilità, dico tante volte
ai miei fratelli e sorelle del mondo che siamo custodi
di un grande Tesoro che non ci appartiene, che è un
Dono dello Spirito Santo alla Chiesa per il bene dei
bambini e dei giovani, ma che dobbiamo custodire e
far fruttificare, come con i talenti del Vangelo.
Questa è la nostra grande responsabilità, perché im-
maginare oggi una Chiesa e un mondo senza i figli
e le figlie di don Bosco in mezzo ai giovani sarebbe
difficile, o almeno gli mancherebbe quella predile-
zione data loro dal “Padre e Maestro della gioventù”,
come ha dichiarato san Giovanni Paolo II.
Un foglietto scritto da un ragazzo di diciassette anni.
Davvero inizio più umile non poteva avere la nostra
storia. Che testimonia anche l’incredibile “genio”
(modernissimo anche in questo) di don Bosco: una
congregazione per i giovani fondata da giovanissimi.
Lascio su questa pagina che compare in tante lin-
gue sui bollettini salesiani del mondo il mio saluto
e il mio augurio.
Grazie a nome di don Bosco per la simpatia che
avete per il nostro carisma, il nostro sogno e tutto
ciò che è il motivo della nostra vita: Gesù Cristo
Signore e i giovani.
Che il nostro santo fondatore vi benedica. Con af-
fetto.
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SALESIANI NEL MONDO
Giampietro Pettenon
Perù
Dinamici, instancabili e generosi, in
questa nazione bellissima e difficile,
i salesiani tengono aperte le porte
delle loro case a tutti: ai giovani
delle città e a quelli delle zone
più sperdute della selva e delle
montagne e ultimamente ai tanti
migranti del Venezuela.
Iprimi salesiani arrivarono in Perù nel 1891. Era
la prima spedizione missionaria che fece don
Rua, il primo successore di don Bosco alla guida
della Congregazione Salesiana, dopo la morte
del fondatore, avvenuta nel 1888.
Attualmente le opere salesiane in Perù sono 16, di-
stribuite in tutte le regioni del paese. Ci sono gran-
di scuole frequentate quotidianamente da migliaia
di allievi che vanno dalla scuola dell’infanzia alle
superiori. Ci sono poi tante parrocchie, sia nelle
città, sia nella foresta amazzonica con decine e de-
cine di cappelle sparse in villaggi così remoti che il
missionario riesce a visitare una sola volta all’anno.
Una bella iniziativa che i salesiani del Perù han-
no avviato da alcuni anni è quella della “Casa Don
Bosco”. Si tratta di convitti, sono attualmente una
decina, affiancati alla scuola o alla parrocchia sa-
lesiana, in cui vengono accolti i ragazzi più poveri.
Spesso sono ragazzi con problemi familiari, non
orfani ma in famiglie numerose, con i genitori am-
malati e impossibilitati a lavorare per il sostenta-
mento dei figli. A volte sono figli di ragazze madri
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che, per sposarsi, lasciano il figlio dai salesiani ed
iniziano una nuova vita.
Le Case Don Bosco accolgono anche ragazzi pove-
ri e semplici che vengono dai villaggi più lontani e
sperduti, i cui genitori sopravvivono lavorando un
piccolo pezzo di terra e non potrebbero mai pagare
un posto in un collegio pubblico per permettere ai
figli di frequentare le scuole che nel proprio villag-
gio non ci sono.
Ordinariamente in ognuna della Case Don Bosco
vivono una cinquantina di ragazzi in clima di fa-
miglia, proprio come avveniva anche da noi fino
all’avvento del boom economico degli anni ’60 e ’70
dello scorso secolo.
I ragazzi del Venezuela
L’ultima frontiera della povertà che i salesiani del
Perù si sono trovati a gestire è quella dei profughi
venezuelani che fuggono dal caos nel quale il Ve-
nezuela è precipitato di recente. In America Latina
i due paesi che accolgono più profughi venezuelani
sono la Colombia ed il Perù. Le stime ci dicono
che attualmente i rifugiati del Venezuela approdati
in Perù sono un milione. Il loro sogno è arrivare
a Lima, dove qualche occupazione si può sempre
trovare. Numerosissimi sono i giovani soli che sono
arrivati in Perù a piedi, attraversando la Colombia
e l’Equador. Hanno impiegato mesi per arrivare,
camminando senza sosta ed approfittando di qual-
che mezzo di fortuna, quando si trovava. Sono par-
titi senza un soldo in tasca, all’avventura, disperati
perché nel proprio paese non c’è da mangiare, non
ci sono medicine, non c’è più nulla!
Essendoci un’ala del collegio salesiano in Lima che
non era utilizzata, i figli di don Bosco hanno deciso
di destinarla ad un centro di prima accoglienza dei
ragazzi del Venezuela. Ora sono 52 i giovani accol-
ti, dai 18 ai 25. Arrivano in città stanchi, delusi,
dimagriti.
L’anima di questo apostolato è padre José, l’econo-
mo ispettoriale di tutte le opere salesiane del Perù.
Costui passa tutto il giorno in ufficio fra bilanci,
contratti, rendiconti... e dopo cena prende l’auto e
va a stare con i ragazzi del Venezuela fino a tarda
notte. Questo stare con i giovani, ci dice lui è la
“messa a terra”, quella degli impianti elettrici, per
capirci. Cioè quel contatto con la realtà giovanile
che lo aiuta a dare senso al servizio amministra-
tivo che quotidianamente la congregazione gli
chiede di svolgere. Rientra a volte a mezzanotte,
ma spesso anche più tardi. Sì, perché questi gio-
vani vengono avviati subito a trovarsi un lavoro,
spesso anche irregolare, ma pur sempre un lavo-
ro. Uno di questi giovani si imbarca ogni matti-
na, alle 4.00, su un peschereccio per 7 dollari al
giorno... ed una volta è finito pure in mare aggan-
ciato dalla pesante rete da pesca calata nelle acque
dell’oceano Pacifico. Oltre ai pesci hanno ripesca-
to anche lui. Se l’è cavata con un bello spavento.
Le ore lavorative in Perù sono per tutti almeno 10,
a volte anche 12, perché per vivere la gran parte
della gente svolge più di un lavoro. I giovani quin-
di rientrano in Casa Don Bosco non prima delle
otto, nove di sera. Si fanno una doccia, cenano e
poi stanno un po’ insieme. Sono questi i momenti
in cui il sistema educativo di don Bosco trova il suo
spazio naturale. Fra una chiacchiera e l’altra si può
dire una buona parola, si può intuire la sofferenza di
chi sta in silenzio, si può trovare il tempo per ascol-
A pagina
precedente:
Il direttore di
Missioni Don
Bosco con
una piccola
peruviana.
Sotto: Le case
salesiane
accolgono
centinaia
di ragazzi
anche nelle
zone più
disagevoli
del Paese.
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SALESIANI NEL MONDO
Molti ragazzi
delle scuole
salesiane
provengono
dalle zone
andine più
disperse.
tare confidenze personali che questi poveri gio-
vani non hanno più nessuno con cui condividere,
ed essere ascoltati. Assieme a padre José c’è anche
padre Marino. Costui è un missionario originario
della mia terra, il Veneto, partito dal bellunese per
le missioni una sessantina di anni fa ed approdato
in Perù. Padre Marino ha 88 anni e si trova nella
casa di riposo dei salesiani. Invitato da padre José
ad andare una sera a visitare i giovani venezuelani,
non ha più smesso di farlo. È praticamente rinato,
questo anziano sacerdote un po’ sordo, amatissi-
mo dai giovani. Li incontra con tutta la ricchezza
della sua lunga esperienza di prete e di educatore.
Capace di consolare, incoraggiare, amministrare il
perdono del Signore a coloro che si accostano a lui
per il sacramento della riconciliazione.
C’è poi la signora Roxana, la cuoca del centro che
ha un largo e buon sorriso e che prepara la cena e
la distribuisce man mano che i gio-
vani rientrano stanchi dal lavoro.
Anche lei è un punto di riferi-
mento indispensabile nell’o-
pera salesiana perché, oltre ai
sorrisi, è capace di dare una
carezza e sussurrare qualche
buona parola all’orecchio dei
giovani, proprio come una
brava madre. Dio solo sa
quanto ne hanno bisogno,
ora che sono lontani
dalla propria casa, dal-
la propria famiglia,
dalla loro mamma.
Padre José, padre
Marino, Roxa-
na.... sono i nomi di don Bosco, don Borel, mamma
Margherita per i ragazzi del Venezuela che arriva-
no a Lima, proprio come i ragazzi poveri nella To-
rino dell’Ottocento che scendevano dalle valli del
Piemonte e arrivavano a Valdocco a cercar lavoro
ed un futuro migliore.
Cusco
Il nostro viaggio in Perù continua con la visita alle
comunità salesiane che sono nella sierra, cioè nella
zona andina, e poi nella selva della conca amazzo-
nica.
Lasciamo Lima per dirigerci a Cusco, l’antica ca-
pitale imperiale degli Inca a 3300 metri di altitudi-
ne. L’aria è rarefatta ed ogni movimento fa venire
il fiatone.
La città ha un centro storico coloniale stupendo e i
siti archeologici degli Inca, pur ridotti a pochi re-
sti dai coloni spagnoli che volevano cancellare la
cultura pagana incaica, raccontano di un passato
glorioso di una società ben organizzata.
Nella città di Cusco i salesiani gestiscono una scuola
con un migliaio di allevi molto apprezzata dalla gente
del luogo, tanto che per ogni posto disponibile nelle
classi del primo anno ci sono una cinquantina di ri-
chieste di iscrizione. La gran fatica non è quella di
trovare gli allievi, ma di fare una selezione per vedere
quali poter accogliere! Ci sono poi l’oratorio festivo e
la Casa Don Bosco, cioè il collegio che accoglie una
cinquantina di ragazzi poveri ed abbandonati che
hanno problemi familiari oppure vengono dalle valli
andine più disperse e tutti trovano al Don Bosco una
nuova famiglia che li accoglie e li accompagna nel
cammino formativo fino a trovarsi un lavoro.
Da Cusco procediamo in discesa verso l’interno
del Perù e la zona della selva, in auto, per strade
sempre più strette, piene di curve, su pendii con
dirupi scoscesi che fanno venire i brividi quando si
guarda in basso il torrente che scorre a volte anche
cinquecento metri più in basso, ovviamente senza
guardrail, in cui l’asfalto e le buche si contendono
lo spazio della carreggiata in egual misura.
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Le sfide di Monte Salvado
Dopo un intero giorno trascorso in macchina, fa-
cendo tappa in altre due piccole opere salesiane che
gestiscono le Case di Don Bosco, cioè i collegi per
ragazzi poveri, a sera inoltrata arriviamo alla meta
del nostro viaggio: l’opera salesiana di Monte Sal-
vado.
Siamo nella zona in cui la sierra cede il passo alla
selva. Sempre in montagna, ma a soli 1100 di al-
titudine, vicino al torrente, in una grande scuola
agricola che si trova al centro di una proprietà di
circa 80 ettari di terra, non tutti coltivati perché
alcuni terreni sono in pendii troppo ripidi. La tem-
peratura è tropicale, ci sono insetti che pungono,
ma la frutta qui è buonissima!
I duecento ragazzi e ragazze che frequentano la
scuola sono campesinos, cioè figli di agricoltori che
vivono coltivando la terra. Povera gente che vive
isolata spesso nelle zone alte delle montagne. Por-
tano i figli a frequentare l’unica scuola superiore
presente in queste zone isolate, infatti la metà de-
gli allievi vive nei due collegi annessi alla scuola.
Quello maschile è proprio vicino alle aule scolasti-
che, quello delle ragazze invece è nel vicino paese
di Quabrada Honda.
Stare con questi ragazzi è una bella esperienza per-
ché sono semplici e diretti, un po’ timidi e chiusi,
come tutti i montanari. Si respira un vero clima di
famiglia. Stare a contatto con la natura e con gli
animali, imparare a trasformare i prodotti della
terra (producono ottime marmellate e gustosi suc-
chi di frutta) educa i giovani alla pazienza e alla
dedizione di cure continue per vedere i risultati del
proprio lavoro. Gli aranceti, le coltivazioni di caf-
fè e cacao, gli ortaggi, insieme con galline, conigli,
mucche e maiali sono l’habitat nel quale studiano
e, alla fine dei cinque anni, si diplomano ogni anno
i figli dei campesinos della valle.
Non mancano le sfide per i salesiani che devono
gestire una simile opera.
La prima sfida è quella educativa, perché non è fa-
cile trovare docenti che accettino di vivere in que-
sto luogo sperduto per essere insegnanti della scuo-
la agricola... molto più facile cercare una cattedra in
città dove tutti i comfort sono a portata di mano.
La seconda sfida da affrontare è quella economica,
perché le famiglie di questi allievi sono poverissi-
me. Vivono di un’agricoltura di sussistenza che non
permette loro di pagare la retta per la frequenza e
ancor meno quella per metter in convitto i figli. Per
questo la scuola agricola ha anche una sezione pro-
duttiva con la vendita di animali e prodotti della
terra. Ma non è facile vendere in città, le distanze
sono enormi!
La terza sfida è quella tecnologica. La scuola è così
isolata che non arriva l’energia elettrica. I salesiani
hanno costruito una piccola centrale idroelettrica
che, sfruttando l’acqua del torrente vicino, produce
l’energia elettrica. Quando però siamo nella stagio-
ne secca e l’acqua scarseggia... il problema energe-
tico diventa serio.
Il futuro quindi di questa scuola è duro da affron-
tare, ma certamente non possiamo abbandonare
questa presenza così salesianamente significativa.
È proprio per questi ragazzi poveri ed abbandonati
che don Bosco ha speso tutta la vita, fino all’ultimo
respiro. Non ci resta che confidare nella Provvi-
denza per andare avanti!
Attualmente
le opere
salesiane in
Perù sono
16. Ci sono
grandi scuole
frequentate
quotidiana-
mente da
migliaia di
allievi e tante
parrocchie, sia
nelle città, sia
nella foresta
amazzonica.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Sette consigli di
San Francesco di Sales
1. Conosci a fondo la tua
umanità e accettala con bontà
«Abbiate pazienza con tutti, ma
soprattutto con voi stessi; voglio dire
che non vi turbiate per i vostri difetti
e che abbiate sempre il coraggio
di liberarvene. Sono contento se
ricominciate tutti i giorni; non c’è
miglior mezzo per perfezionare
la propria vita spirituale che
ricominciare sempre e non pensare
mai di aver fatto abbastanza».
Un commerciante si presentò al mae-
stro e cercò di sapere da lui qual era
il segreto di una vita di successo. Il
maestro gli rispose: «Fai felice una
persona ogni giorno!». E poi, dopo
una breve pausa, aggiunse: «... puoi
essere anche tu questa persona».
E dopo un po’ aggiunse ancora:
«Questo vale soprattutto quando sei
tu questa persona».
Essere buoni con se stessi significa
prima di tutto una cosa: accettarsi
come si è. Io riesco a cambiare solo
ciò che ho accettato. Prima di tutto
devo quindi riconciliarmi con la mia
storia di vita, con il mio carattere, con
i miei punti di forza e con le mie de-
bolezze. E anzitutto devo riconciliar-
mi con il mio corpo, così com’è.
2. Tienila sotto controllo,
perché sia unita e forte
«I nostri nemici possono presentarci
tutti gli inviti e le esche che
vogliono, possono piazzarsi sulla
soglia della porta del nostro cuore
cercando di entrare, possono farci
tutte le promesse immaginabili;
finché da parte nostra saremo decisi
a rifiutare, non è possibile che
offendiamo Dio».
Un contadino vide passare un cavalie-
re che in una nuvola di polvere galop-
pava a tutta forza sulla strada. Pieno di
curiosità gli chiese: «Dove vai?» Senza
fermarsi il cavaliere gli rispose: «Chie-
dilo al cavallo!»
La vita è tutto quello che abbiamo. Ed
è tutta e solo nostra. Non possiamo
essere burattini nelle mani di qualcun
altro. Siamo il burattinaio di noi stes-
si. La vita d’ogni uomo è un bene a sé
stante e irripetibile. E siccome è l’uni-
ca vita di cui disponiamo, ne consegue
ch’è troppo preziosa per consentire che
altri ce la sciupino a proprio vantaggio.
3. Tratta ogni cosa
con equilibrio e pazienza
«Nelle relazioni con gli altri ci vuole
una tazzina di scienza, un barile di
prudenza e un oceano di pazienza».
Un uomo osservava con curiosità la
nascita di una farfalla dal bozzolo. La
bestiola si contorceva e faceva tentativi
immani per liberarsi dall’involucro che
la teneva prigioniera: le sue ali deboli e
impalpabili si contraevano e distende-
vano con sforzi penosi. L’uomo si im-
pietosì e con le sue grosse dita squarciò
il bozzolo, afferrò le ali della farfalla e
le distese. Quella farfalla non volò mai.
Era proprio la fatica di uscire dal boz-
zolo che rendeva robuste ed efficienti
le sue ali. L’uomo di buon cuore le ave-
va alleviato la pena e affrettato i tempi,
ma così l’aveva condannata a strisciare.
La pazienza non è la virtù dell’atte-
sa passiva o dell’immobilità. Essa,
invece, abita decisamente nello spiri-
to e nel cuore di chi vuole costruire
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Gennaio 2020

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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qualcosa che sia coerente e duri nel
tempo. È la virtù dei genitori, degli
educatori, di tutti coloro che hanno
qualcuno da amare, qualcuno per cui
investire la propria vita e con cui con-
dividere un progetto e un ideale.
La pazienza è la virtù del legame.
Dissemina le sue tracce nei gesti quo-
tidiani dell’ascolto, dell’accoglienza,
della solidarietà, del dialogo, della
tenerezza; ma anche nelle situazioni
di incomprensione, di sconfitta o di
sofferenza. Pazienza significa anche
saper sempre ricominciare.
4. Metti al centro il tuo cuore
«È necessario che le vostre parole
escano dal cuore più che dalla
bocca. Si ha un bel dire, ma il cuore
parla al cuore e la lingua parla solo
alle orecchie».
Una suora missionaria stava accura-
tamente curando le piaghe ripugnanti
di un lebbroso. Faceva il suo lavoro
sorridendo e chiacchierando con il
malato, come fosse la cosa più natu-
rale del mondo.
A un certo punto chiese al malato:
«Tu credi in Dio?».
Il pover’uomo la fissò a lungo e poi
rispose: «Sì, adesso credo in Dio».
Una vera e tenera umanità non ha bi-
sogno di parole.
5. Fai dell’amore e della
compassione la legge del tuo
rapporto con gli altri
«Sforzatevi di acquisire la dolcezza
del cuore verso il prossimo
considerandolo come opera di
Dio, e che infine godrà, se piacerà
alla Bontà divina, il Paradiso che è
preparato anche per noi. E coloro
che il Signore sopporta li dobbiamo
sopportare teneramente, con
grande compassione per le loro
infermità spirituali».
La compassione è un modo nuovo,
non competitivo, di stare insieme
agli altri e ci apre gli occhi a vicenda.
Quando rinunciamo al nostro desi-
derio di essere importanti o diversi,
quando ci lasciamo dietro le spal-
le il bisogno di avere nella vita una
nicchia speciale, quando il nostro
interesse principale è essere come
gli altri e vivere questa uguaglianza
nella solidarietà, allora siamo capaci
di vederci l’un l’altro come un dono
unico. Raccolti insieme nella comu-
ne vulnerabilità, scopriamo di avere
tante cose da darci a vicenda. I doni
individuali possono essere messi al
servizio di tutti.
6. Scopri la gioia della
dimensione spirituale della vita
«Se possibile bisogna evitare di
rendere noiosa la nostra scelta di
Dio. Ve l’ho detto e ve lo scrivo
ora: non voglio una vita cristiana
capricciosa, confusionaria,
malinconica, fastidiosa,
pessimistica; ma una pietà dolce,
serena, piacevole e calma. Vivete
nella gioia di aver scelto questo
tipo di vita».
Per qualcuno alzarsi la mattina è
un problema; per altri è un momento
di gioia. La differenza sta nell’ave-
re un buon motivo per accogliere la
nuova giornata. È importante perce-
pire la gioia delle piccole cose, la bel-
lezza del qui e ora. Come una tazzina
di caffè, il saluto di un vicino, l’ariet-
ta fresca del mattino, una preghiera
sincera a Dio, fare le smorfie e sor-
ridersi nello specchio del bagno. Ed
essenziale: un vero atto d’amore nei
confronti del lavoro che vi impegne-
rà nella giornata e per le persone che
saranno con voi: sono i doni seminati
dal Buon Dio sulla vostra strada.
7. Rapporta sempre tutto a Dio
«Fa come i bambini che con una
mano si aggrappano a quella del
papà e con l’altra raccolgono le
fragole e le more lungo le siepi;
anche tu fai lo stesso: mentre con
una mano raccogli e ti servi dei beni
di questo mondo, con l’altra tieniti
aggrappata al Padre del cielo,
volgendoti ogni tanto verso di Lui,
per vedere se le tue occupazioni e i
tuoi affari sono di suo gradimento.
Fa attenzione a non lasciare la
sua mano e la sua protezione,
pensando così di raccogliere e
accumulare di più».
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2.2 Page 12

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STORIE DI GIOVANI
Claudia Gualtieri
I ragazzi del
Fantabosco
Nel sorprendente e creativo mondo
del Movimento Giovanile Salesiano
è nata l’idea di alcuni ragazzi
impegnati da sempre all’interno
delle realtà salesiane. La loro idea
si chiama “IL FANTABOSCO”
e sono proprio loro a spiegarci
meglio di che cosa si tratta.
il fantacalcio, ovvero una competizione dove alcuni
giocatori si incontrano e creano la propria squadra con
giocatori di serie A (la massima competizione italiana); si
fa un’asta e, attraverso un’App, si creano le competizioni.
A quel punto, i giocatori creano una lega con la quale
competere. Il progetto, in sé, consiste nella creazione
di una lega composta da squadre dove ognuno di noi,
secondo le regole del fantacalcio, affronta un cam-
pionato che alla fine prevede dei premi.
L’idea è nata circa un anno fa da una sem-
plice proposta da parte di alcuni di noi del
gruppo di amici creatosi grazie al Movi-
mento Giovanile Salesiano (MGS). Si
percepiva nel gruppo il bisogno di non perdersi ora
che, diventati adulti, non possiamo essere più coin-
volti nel MGS come prima.
Il Movimento Giovanile Salesiano ci ha reso una
famiglia e parte di un unico grande progetto che è
quello di don Bosco. Attraverso questa nostra ini-
ziativa vogliamo mantenere i contatti semplicemen-
te perché, proprio da quando ci siamo conosciuti
in MGS, ci vogliamo bene e siamo uniti da un le-
game profondo che rispecchia in pieno l’insegna-
mento salesiano. È iniziato tutto per scherzo, ma poi
abbiamo creato una vera e propria competizione, dove
tutti ci diamo battaglia e ci divertiamo al massimo. Il
nome ovviamente richiama il nostro ispiratore don Bosco,
la nostra direzione e la base dalla quale parte tutto e
senza la quale non ci saremmo incontrati. Poi, richiama
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Gennaio 2020

2.3 Page 13

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CAMMINATE CON I PIEDI PER TERRA,
E CON IL CUORE, ABITATE IL CIELO
Il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è nato ufficialmente
nel 1988, centesimo anniversario della morte di san Giovanni
Bosco, ed è costituito dai giovani che sono coinvolti e parte-
cipano alle proposte e alle attività delle case salesiane. Sono
due gli elementi d’identità del MGS: il riferimento alla Spiri-
tualità Giovanile Salesiana (SGS) e il collegamento tra gruppi,
associazioni e realtà giovanili che ad essa si ispirano.
Il MGS accompagna ragazzi/e e giovani, sia a livello personale
sia nelle dinamiche di gruppo e ambiente, nella loro crescita
personale, perché, come diceva don Bosco, possano essere
«buoni cristiani, onesti cittadini e in futuro degni abitato-
ri del cielo». Campi privilegiati di impegno per i giovani del
MGS sono la vita ecclesiale, l’impegno apostolico, personale
e comunitario, l’impegno socio-politico e l’impegno per una
società equa, fraterna e solidale.
Durante i vari eventi organizzati, i momenti di formazione, e gli
incontri di festa, i giovani si ritrovano a condividere esperien-
ze molto spesso indimenti-
cabili. In queste occasioni,
ragazzi, all’inizio sconosciuti
gli uni agli altri, solamente
accomunati da questo spirito
particolare ereditato da don
Bosco, creano una rete di
amicizia difficile da compren-
dere a chi osserva da fuori. Per questo, quando il passaggio
all’età adulta costringe questi ragazzi ad allontanarsi, almeno
fisicamente, da tutto ciò, nasce un bisogno di sentirsi ancora
legati concretamente, oltre che spiritualmente. Può succede-
re, così, che i giovani ingegnino un modo per rivivere, anche
a distanza, le emozioni e la bellezza della salesianità sempre
vissute insieme.
Email: mgsitalia@donboscoitalia.it
Lo scopo principale è unirsi, fare rete e crescere
sempre di più. Abbiamo scelto questa modalità per-
ché è un modo per rimanere in contatto attraverso
il gioco, fondamento del carisma di don Bosco.
Questo progetto è indirizzato a tutti coloro che,
come noi, vogliono rimanere in contatto e vivere il
mondo salesiano, anche da diverse parti del mondo!
Attualmente, noi membri del progetto siamo 16
ma l’obiettivo è di formare più leghe ed accogliere
sempre più ragazzi come noi. Chi volesse aderire a
questo progetto può scriverci una e-mail a fanta-
bosco1994@libero.it. Dopo una breve chiacchierata,
prendiamo l’iscrizione e poi si va a formare la lega.
Anche se al momento il nostro progetto si concre-
tizza solamente nel fantacalcio, abbiamo l’obiettivo,
in futuro, di creare eventi per vivere la convivialità e
ampliare gli orizzonti. Il nostro, quindi, è un modo
per stare in contatto, conoscere persone e vivere un
particolare aspetto della Salesianità: rimanere uni-
ti! (Giuseppe Scordamaglia)
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Simone Calvano
Cagliari L’Oratorio
nato dal cuore
L’Oratorio San Paolo di Cagliari quest’anno
compie cinquant’anni, ma la sua storia
inizia qualche decennio prima, con il
sorgere del nuovo rione e la nascita
dell’omonima Parrocchia.
Oggi la comunità
di San Paolo si sta
preparando per
festeggiare i 50
anni dell’Oratorio.
E naturalmente
con il sorriso del
Rettor Maggiore.
Sono gli anni della ricostruzione post bellica
e quello che, oggi, è il centralissimo quar-
tiere di San Benedetto era, a quei tempi,
l’estrema periferia della città. Cagliari è in
un momento di grande fermento e il lato nord sem-
bra offrire le migliori potenzialità di sviluppo. La
via Dante, una strada lunga e dritta che è oggi una
delle principali vie dello shopping, attraversa buona
parte della città e si interrompe, quasi bruscamente,
ai piedi di uno spiazzo dove si intravedono i ba-
gliori della campagna: boschetti di querce, carrubi,
mandorli e vigne che anticipano l’agro cagliaritano.
Proprio qui, nel punto di chiusura della via Dante
sorgerà, con il tempo, la nuova chiesa parrocchiale.
Le strade asfaltate sono ancora poche, l’illumina-
zione è inadeguata, non ci sono ancora scuole né
mezzi pubblici. Gli abitanti sono, per la maggior
parte, operai, pescatori, artigiani e impiegati. Mol-
ti sono ancora disoccupati. Nel quartiere che si sta
sviluppando, però, c’è già una presenza importante
per la spiritualità delle famiglie che pian piano van-
no insediandosi. Presso la casa delle Ancelle della
Sacra Famiglia, infatti, si prega, si sta assieme, i
bambini vanno a giocare e fare catechismo. Ogni
domenica alcuni sacerdoti di buona volontà vanno
a celebrare la Santa Messa nel bel salone delle suore
dove questa nuova comunità va via via formando-
si. Le suore, con il loro ausilio, si preoccupano che
siano proprio i giovani e i ragazzi a frequentare la
Messa. All’inizio non è semplice convincerli ma,
complici le attività ricreative organizzate e la voglia
dei ragazzi di stare insieme, la presenza dei giovani
alle Messe si fa sempre più numerosa.
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Nel giugno del 1951, grazie al paziente lavoro delle
suore e dei sacerdoti, circa duecento, fra ragazzi e
ragazze del quartiere, ricevono la Prima Comunio-
ne e la Cresima nel giardino dell’asilo. È una gran-
de festa per tutto il rione che, come un’unica grande
famiglia, si attiva da settimane per rendere tutto
gioioso. Il primo Oratorio è nato lì tra i giovani
che si incontrano, giocano, sperano, costruiscono
e crescono. Durante la cerimonia, l’arcivescovo di
Cagliari, monsignor Paolo Botto, si commuove nel
constatare l’amore e l’impegno che questa giovane
comunità ha messo per preparare il luogo della ce-
rimonia: un giardino pulito, fiorito, addobbato con
grazia e si prende l’impegno di aiutarli. Il suo im-
pegno fiorisce e si inizia a parlare della costruzione
della nuova chiesa.
L’arrivo dei Salesiani
Intanto nel quartiere, popolato da centinaia di gio-
vani, nascono e si sviluppano le prime associazioni.
Tra queste la Pro Dante, prima squadra di calcio del
quartiere, i cui dirigenti incontrano costantemente
don Stefano Giua, direttore dell’Istituto Salesiano
di Cagliari, e portano a sua conoscenza la necessità
della presenza continua di un sacerdote nel quartie-
re. L’occasione si presenta nel 1955 quando i sacer-
doti, che sino ad allora hanno contribuito a tenere
viva la fede presso la Casa delle suore, non sono più
in grado di assicurare la Messa domenicale. Proprio
in quell’anno, con il consenso ufficiale del vescovo,
i salesiani cominciano ad operare nel quartiere.
I Salesiani, sei in tutto, non si limitarono alla ce-
lebrazione della Messa domenicale ma ciascuno di
essi si occupava di dirigere un’associazione organiz-
zandola al meglio e facendola crescere. Da subito
si instaura, tra i giovani e i Salesiani quel clima di
confidenza che va oltre il rapporto sino ad allora
sperimentato con i precedenti sacerdoti. Anche le
attività si diversificano, oltre al gioco e allo sport, i
Salesiani affiancano i ragazzi nei compiti e li aiu-
tano nello studio, organizzano gite lungo tutto il
corso dell’anno e la domenica li portano al cinema
in Viale Fra Ignazio. Accanto ai ragazzi, vengono
radunati anche gli adulti e si iniziano a porre le basi
per lo sviluppo di nuove associazioni tra cui quella
dei Salesiani Cooperatori.
Nel dicembre di quello stesso anno, arriva il nuovo
responsabile della Comunità: don Paolo Villasan-
ta. Uomo infaticabile, si occupa di tutto: dall’orga-
L’Oratorio San
Paolo è, oggi,
nuovamente
popolato
di giovani
di tutte le
età. Molti
dei giovani
che hanno
visto nascere
l’Oratorio oggi
sono ancora lì,
con i figli
e i nipoti.
Gennaio 2020
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
nizzazione delle funzioni liturgiche al catechismo,
dalla schola cantorum alle attività sportive. La sua
continua presenza tra la gente a fianco dei giovani,
dei bisognosi e degli infermi dà un forte impulso
alla crescita della collettività e rafforza le basi di
quelle relazioni che ancora oggi la legano alla Fa-
miglia Salesiana di San Paolo. È lui che pone la
prima pietra della Chiesa che viene consacrata nel
1961, ma per la nascita ufficiale del nuovo Oratorio
si dovrà attendere ancora quasi un decennio.
La nascita ufficiale dell’Oratorio
Intanto i Salesiani diventano il cuore della nuo-
va collettività. La loro presenza allegra e dinamica
sostiene e fa maturare centinaia di famiglie e final-
mente, nel 1970, nasce ufficialmente l’Oratorio San
Paolo. All’inizio solo maschile, viene aperto alle ra-
gazze verso i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il primo direttore è don Riccardo Macchioni, un
giovanottone napoletano, alto, magro, sorridente,
con un carattere allegro e fumantino. È quello che ci
vuole per la guida di un Oratorio posto al centro di
una piazza molto problematica, in cui per tanti anni
decine di giovani sono stati, e a volte sono tutt’oggi,
gli artefici di spacci e traffici di ogni genere.
All’interno, però, grazie al carisma salesiano, il bello
comincia a fiorire e il cortile, sotto la sapiente guida
della Comunità Salesiana e l’occhio vigile di diversi
laici, diventa il luogo dove stare con gli amici, in-
contrarsi, confrontarsi, scambiare due chiacchiere,
a volte anche litigare. Dove iniziano le prime espe-
rienze di animazione, dove i più grandi, con don
Bosco, imparano a prendersi cura dei più piccoli.
I Salesiani innaffiano con l’allegria e la semplicità
dello stare assieme e i talenti dei ragazzi sbocciano
e si mettono a servizio dell’intera collettività. Così
il piacere di suonare o di cantare diventa servizio
nell’animazione della messa, nascono i primi circo-
li culturali che ancora oggi animano con musica e
teatro tanti momenti di festa del nostro Oratorio;
nascono i primi gruppi apostolici e si sperimentano
i primi campi scuola. Ma l’Oratorio non è mai sta-
Nel corso
degli anni
la Comunità
Salesiana
ha lavorato
parecchio per
conquistare
e mantenere
i ragazzi,
sempre più
sommersi
da mille
attività, per
consegnare
loro i valori
della Fede.
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Gennaio 2020

2.7 Page 17

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to solo dentro il cortile, diversi sacerdoti lo hanno
portato fuori, tra le panchine della piazza, hanno
intessuto relazioni, fatto a botte con i più scapestra-
ti, scavato nei bisogni e nelle vite di tanti di loro
per tirarli fuori e provare a ridare dignità a quelle
esistenze. Non tutti hanno accettato di essere salvati
e di farsi coinvolgere da questo stile di famiglia ma a
tutti, oggi, è chiaro che lì c’è una casa sempre aperta
con qualcuno sempre disposto ad ascoltarti e a mo-
strarti quale grande disegno di Dio tu sia. Una casa
dove tutto è possibile perché l’invisibile viene reso
reale dalla vivace confusione dei ragazzi, dall’impe-
gno senza sosta degli animatori, dalla profondità e
dedizione dei catechisti, dalla dolcezza e dalla fer-
mezza dei Salesiani, sempre disposti a condividere
con te una parte del tuo cammino.
Una famiglia di famiglie
Dopo un periodo di crisi, l’Oratorio San Paolo è,
oggi, nuovamente popolato di giovani di tutte le
età. Nel corso degli anni la Comunità Salesiana
ha lavorato parecchio per conquistare e mantenere
i ragazzi, sempre più sommersi da mille attività;
per consegnare loro i valori della Fede; per inse-
gnar loro a viverli con fierezza in un mondo che,
invece, li vorrebbe perdenti e per sovvertire alcuni
pregiudizi che, inevitabilmente, si sono prodot-
ti. Tra questi, il più grande era quello che vedeva
l’Oratorio come una realtà separata dalla Parroc-
chia. Complice, forse, la struttura architettonica
dei fabbricati e la predisposizione degli uffici par-
rocchiali, Chiesa e Oratorio rimanevano separa-
ti non solo fisicamente ma anche nella mente di
molti. Abbattuti quei muri, grazie anche all’arrivo
di un giovane Parroco, l’Oratorio è oggi un fer-
mento di attività: si sperimentano nuove forme di
animazione della liturgia, cresce costantemente il
numero dei giovani che frequentano i gruppi apo-
stolici, si lavora sull’integrazione e l’accoglienza
dei ragazzi stranieri, si fanno programmi su come
raggiungere i più lontani. In tutte queste attività,
i giovani, sapientemente guidati dai sacerdoti, non
risparmiano la fatica e danno se stessi sempre con
il sorriso sulle labbra.
Oggi la comunità di San Paolo, Salesiani e laici
assieme, si sta preparando per festeggiare i cin-
quant’anni dell’Oratorio. Gli appuntamenti previ-
sti sono tanti, ma lo sforzo maggiore è rappresen-
tato dalla realizzazione di un musical. Come nel
passato, tutti si sono già messi al servizio: c’è chi
dirige, chi recita, chi taglia e cuce, chi canta e chi
riadatta i testi. E allora ecco che i Salesiani sono
di nuovo al lavoro non solo per far dentro e fuori
l’Oratorio ma anche e, forse soprattutto, per inse-
gnare ai loro ragazzi che santi lo si diventa proprio
là fuori, nelle maglie della vita.
Molti dei giovani che hanno visto nascere l’Orato-
rio oggi sono ancora lì, con i figli e i nipoti. Sono
tanti i racconti di quei tempi che ancora oggi vengo-
no condivisi. Le giovani famiglie di un tempo sono
cresciute, la realtà storica e sociale del quartiere è
molto cambiata ma ciò che ti colpisce, quando entri
a San Paolo, è che tutti si conoscono perché tutti
hanno avuto una zia, un nonno, una cugina che lì
ha passato la sua fanciullezza. Tanti di loro, anche
i più giovani, condividono esperienze profonde e
spensierate allo stesso tempo. Hanno aneddoti da
raccontare e sono pronti a stringersi l’un l’altro nei
momenti di difficoltà. Seppure forestiero, a San
Paolo non ti senti mai straniero.
Ogni tanto qualcuno se ne va e, nonostante gli oc-
chi lucidi e il vuoto che lascia, non si può dire che
se ne sia mai veramente andato. Perché San Paolo
è così, una straordinaria esperienza di santità quo-
tidiana.
I Salesiani
innaffiano
i cortili con
l’allegria e
la semplicità
dello stare
assieme
e i talenti
dei ragazzi
sbocciano e
si mettono
a servizio
dell’intera
collettività.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Simba, il primo
«Sono un giovane salesiano felice, il primo sacerdote salesiano
dello Zimbabwe e missionario tra i miei connazionali»
hanno dato molti insegnamenti importanti, con la
loro cordialità, l’impegno e la dedizione per i gio-
vani. Attraverso di loro, Dio mi ha dato tanto e cre-
scendo ho sentito sorgere il desiderio di servire Dio
aiutando altri giovani come i salesiani avevano fatto
con me. Frequentando il centro vocazionale vicino
a dove vivevo ho potuto discernere e approfondi-
re le mie motivazioni e, con l’aiuto di un direttore
spirituale, ho sentito che Dio mi stava chiamando
a dedicargli la mia vita. Naturalmente ci sono molti
modi per servire Dio e i giovani, ma questo modo è
unico; mi sono sentito chiamato a dedicare la mia
vita a Dio attraverso il servizio ai giovani. Per illu-
Simba in
primo piano
con i suoi
ragazzi e la
sua felicità
esplosiva.
Puoi presentarti?
Il mio nome è Simbarashe Oscar Muza, ma in
genere mi chiamano semplicemente “Simba”. Ho
trentaquattro anni, sono un salesiano dello Zim-
babwe e ho la fortuna di essere il primo sacerdote
salesiano locale e un missionario per i miei conna-
zionali. Sono un giovane salesiano felice che desi-
dera diventare un salesiano santo.
Perché sei diventato religioso
e salesiano?
Sono felice di aver trascorso gran parte della mia
infanzia all’oratorio, dov’è avvenuto il mio primo
incontro con i salesiani. L’esperienza dell’oratorio
ha orientato la mia vita, perché ha determinato sot-
to molti aspetti quello che sono oggi. I salesiani mi
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2.9 Page 19

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strare i dettagli del mio percorso vocazionale dovrei
scrivere un libro intero.
Come ha reagito la tua famiglia?
I legami familiari nello Zimbabwe hanno un’im-
portanza essenziale e occorre ricevere il consenso
e la benedizione della famiglia, per prendere le de-
cisioni fondamentali della vita. Non ero certo di
ricevere l’approvazione della mia famiglia e ne ero
preoccupato. Sono infatti l’unico maschio di una
famiglia con quattro figli e la nostra società segue il
principio della discendenza paterna. La mia scelta
del celibato avrebbe dunque implicato che la “linea
familiare” non sarebbe continuata dopo di me. Per
questo temevo che la scelta della vita religiosa non
fosse accolta dalla mia famiglia. Sebbene la mia
famiglia sia cattolica, pensavo che per i miei con-
giunti sarebbe stato difficile lasciarmi andare via.
Con mia sorpresa, invece, accettarono e mi diedero
la loro benedizione. Sono stati una forza su cui ho
potuto contare e mi hanno sostenuto durante il mio
percorso vocazionale.
Quale incarico svolgi attualmente?
Faccio parte di una comunità di quattro confratelli
a Hwange, nello Zimbabwe, dove ci occupiamo di
un istituto professionale e tecnico e di una parroc-
chia. Sono responsabile della gestione dell’istituto
tecnico, frequentato da un centinaio di studenti.
Speriamo anche di poter istituire una scuola se-
condaria nel prossimo futuro. In parrocchia aiuto il
parroco, impegnandomi in particolare con il grup-
po giovanile, e nella nostra comunità sono assisten-
te del Rettore.
«A volte
a causa
dell‘instabilità
nel nostro
Paese occorre
il doppio
dello sforzo,
della pazienza
e della
preghiera per
fare le cose».
Com’è il lavoro che svolgi?
Il lavoro che svolgo è impegnativo e dà soddisfa-
zioni. È impegnativo perché stiamo cercando di
ampliare la scuola e di migliorare sempre la qualità
in un ambiente piuttosto difficile. A volte a causa
dell’instabilità nel nostro Paese occorre il doppio
dello sforzo, della pazienza e della preghiera per
fare le cose. Eppure nulla dà più soddisfazioni della
sensazione di fare la differenza, anche piccola, nella
vita dei giovani che incontriamo quotidianamente.
Alla fine di ogni giornata siamo dunque stanchi,
ma felici.
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
«Nello
Zimbabwe i
salesiani per
ora hanno solo
due comunità
e sono dunque
un seme che sta
germogliando.
Anche se il
nostro numero
è relativamente
piccolo e la
nostra storia
è recente,
abbiamo
prospettive
brillanti».
Come sono i vostri giovani?
I giovani a cui ci dedichiamo hanno molte poten-
zialità non sfruttate, energie che devono solo essere
incanalate per permettere loro di compiere passi da
gigante nella loro vita e per gli altri. È vero che
stanno attraversando un momento molto difficile
a causa della situazione politica ed economica del
nostro Paese, ma sembra che non manchino loro
mai ragioni per continuare a sorridere e sperare.
Sono molto creativi e disposti a imparare e a sco-
prire realtà nuove. Sono anche alla costante ricerca
di significato e hanno bisogno di qualcuno che li
ascolti. In altri termini, sono pronti a camminare...
hanno solo bisogno di una guida!
Com’è considerata la Chiesa
nello Zimbabwe?
Nello Zimbabwe molti vedono la Chiesa come una
luce in una tempesta. Questo accade perché tanti vi
si rivolgono per mantenere viva la speranza. Qui la
Chiesa è giovane, dinamica e offre anche una testi-
monianza di amore e unità in una società profon-
damente polarizzata come la nostra. Per la sua voce
profetica è percepita da alcuni come una minaccia e
da altri come un rifugio.
E i salesiani?
Nello Zimbabwe i salesiani per ora hanno solo
due comunità e sono dunque un seme che sta
germogliando. Anche se il nostro numero è re-
lativamente piccolo e la nostra storia è recente,
abbiamo prospettive brillanti: possiamo diventare
una forza di cui tenere conto. Con le nostre atti-
vità di apostolato abbiamo già potuto raggiungere
migliaia di giovani e certamente Dio vuole che
cerchiamo di fare molto di più e ci stiamo im-
pegnando. A Harare, la nostra prima comunità,
siamo impegnati in particolare nelle attività di
animazione giovanile e nel lavoro in parrocchia,
mentre nella comunità di Hwange sembra che l’i-
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Gennaio 2020

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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struzione sia il segno distintivo della nostra opera
di apostolato.
Quali sono le realtà più belle?
La realtà più bella è l’immenso campo di
opportunità che si apre per noi salesiani. Qui la
percentuale di giovani è alta ed è in ulteriore cre-
scita. Crescono dunque anche le occasioni per com-
piere opere di apostolato di ampia portata. Il futuro
è luminoso; dobbiamo solo avviarci verso di esso
con i giovani come faceva don Bosco.
Quali problemi dovete affrontare?
I problemi principali che dobbiamo affrontare qui
sono di natura strutturale. Il contesto politico ed
economico ostacola un po’ la piena realizzazione
dei sogni che i giovani nutrono. La disoccupazio-
ne e la povertà minano la speranza dei giovani e li
espongono a comportamenti rischiosi, come l’abu-
so di droghe e alcol, l’ e l’ , e all’emigrazio-
ne illegale nei Paesi vicini.
A causa di queste difficoltà molti giovani metto-
no anche in discussione la loro fede. Ho dovuto
rispondere spesso a questa domanda da parte dei
giovani: «Perché in tutto questo sembra che Dio
taccia?».
Qual è il tuo sogno?
Il mio sogno è sempre stato vedere la missione sa-
lesiana fiorire nello Zimbabwe e avere un impatto
positivo e visibile nella vita dei giovani. Sogno una
“cultura giovanile salesiana” vivace nelle zone in
cui ci troviamo. Se è successo altrove, può accadere
anche qui. Dio ci ha dato tanti giovani; vorrei che
tramite loro don Bosco potesse raggiungerne molti
altri, in modo che coloro che sono trasformati pos-
sano trasformare gli altri, sempre per la gloria di
Dio e la loro salvezza.
«La realtà più bella è l’immenso campo di opportunità che
si apre per noi salesiani. Qui la percentuale di giovani è alta
ed è in ulteriore crescita. Crescono dunque anche le occasioni
per compiere opere di apostolato di ampia portata».
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3.2 Page 22

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SALESIANI
Don Bosco Media Belgio
Destini incrociati
Un olandese indiano e
un ecuadoriano fiammingo
Andy Jebarus e Jef Delporte
sono entrambi missionari
salesiani. Andy è andato in Olanda
e viene dall’Indonesia; Jef è
passato dalle Fiandre all’Ecuador
Come hai conosciuto don Bosco?
Andy: Quando avevo 20 anni, ho incontrato un
giovane salesiano per caso in una chiesa di Jakar-
ta. Non avevo mai sentito parlare di don Bosco
prima.
Jef: Ho incontrato don Bosco in gioventù all’ora-
torio nella diocesi di Bruges, in Belgio. Ci andavo
ogni domenica con i miei amici. Ho conosciuto don
Ackaert, un sacerdote e un amico che rendeva dav-
vero viva la vita di don Bosco.
Jef: Me ne accorsi tardi. Quando avevo già 22
anni, ho chiesto a don Ackaert se potevo fare qual-
cosa “come faceva lui”. È così sono finito con le
“vocazioni adulte”. Sono stato un missionario in
Sud America per 46 anni.
Sei felice?
Andy: Tutte le vocazioni hanno le loro sfide. No-
nostante tutto, sono molto contento di ciò che sono
oggi. Sono una persona entusiasta e ottimista e
spero di restare, specialmente nella sua mente.
Jef: Ciò che mi caratterizza è che mi sento felice
come salesiano e come sacerdote. Ho anche impa-
Quando hai capito che volevi essere
missionario?
Andy: Nel 2004-2007 sono andato nelle Filippine
e in Pakistan per il mio diploma post-laurea. Nel
2004, i paesi di questa regione furono duramente
colpiti da uno tsunami. Molti bambini rimasero or-
fani e non avevano un tetto sopra la testa. I salesiani
sono intervenuti subito in Pakistan e hanno aperto
un orfanotrofio. Ho fatto domanda per collaborare
al loro progetto.
22
Gennaio 2020

3.3 Page 23

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rato molto dalla gente comune. È così che pensavo
di aver portato Gesù alla gente, ma era già lì prima
di me.
Come vedi il futuro della fede?
Andy: Sono qui ad Amsterdam per vivere total-
mente la mia fede. Voglio rendere visibile la mia
fede ai giovani e quindi rendere tangibile la presen-
za di Gesù. Tutti credono in qualcosa, penso. Se
tutti i cristiani facessero sentire la loro fede, sono
convinto che esisterebbe un grande futuro per la
fede e per Gesù Cristo.
Jef: Essere credenti è una sfida. Qui nel popolo
shuar la fede era la forza che sorreggeva tutto. Ora
guardano al mondo moderno e la loro fede sbiadi-
sce. Ma i valori della fede li attraggono, special-
mente i giovani. E quello è il nostro compito: ren-
dere vivo don Bosco, il suo cuore, la sua fede per
Dio, Gesù e la Chiesa. Oggi, con questa gente.
In che modo, come missionario, con-
tribuisci a questo futuro?
Andy: Faccio le cose ordinarie che mi sono state
affidate nel nome di Dio. Ogni giorno cerco di ren-
dere tangibile l’amore, la mansuetudine e la genti-
lezza di Cristo con le mie parole e azioni. Questo
è possibile solo rimanendo vicino alle persone e vi-
vendo tra i giovani.
Jef: Passo molto tempo con la gente, soprattutto
attraverso il lavoro giovanile. Di recente abbiamo
organizzato qui un grande congresso giovani-
le. Sono arrivati circa 500 giovani. È il 18° con-
gresso giovanile in Ecuador.
Come valuti la tua esperienza?
Andy: Essere un missionario nelle Fiandre e nei
Paesi Bassi è una grande sfida! Proprio come un
bambino, ho dovuto imparare di nuovo tutto dalla
A alla Z. La lingua è difficile, il clima è terribile,
la cultura è diversa e anche il modo di pensare e
ragionare è completamente diverso.
Jef: Sono grato alla congregazione salesiana per
tutto ciò che mi ha dato. Da Westhoek sono fini-
to qui tra gli Shuar in Ecuador. Per me è qualcosa
di speciale. Non è un mio merito, ma un dono del
Signore. E ringrazio il Signore per aver potuto fare
qualcosa per i giovani. I giovani stessi mi hanno
insegnato molto.
Hai un sogno?
Andy: Il mio sogno più grande è che le persone –
e specialmente i giovani – possano provare l’amore,
la dolcezza, la giustizia e la gentilezza di Cristo. E
prego affinché tutto quello che faccio possa avvici-
narli a Cristo.
Jef: Sì, continuare il mio lavoro in mezzo alla gen-
te e insegnare ai giovani a scoprire don Bosco.
Pensi qualche volta di tornare nel tuo
paese di origine?
Andy: Non escludo di ritornare, perché Flores
(Indonesia) è l’isola più bella del mondo! Non sono
ancora convinto di rimanere qui fino al mio ultimo
respiro. Lo Spirito Santo mi guiderà.
Jef: Sto pensando di restare qui nei miei ultimi
anni. Il mio mondo ormai ruota attorno alla gente
semplice e ordinaria del Sud America. Chiedo la
preghiera di tutti, perché senza il Signore non ce la
farei. E le persone qui mi hanno reso felice.
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3.4 Page 24

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MISSIONE SALESIANI
KIRSTEN PRESTIN; foto: Don Bosco Mission Bonn
La speranza
nella discarica
Traduzione di Marisa Patarino
Nella discarica di Honiara
(Isole Salomone, Oceania),
enormi mucchi di immondizia
si accumulano e il fetore sembra
insopportabile. Molte famiglie
sopravvivono frugando nei rifiuti
cercando qualcosa di utile.
I figli devono aiutare i genitori
e non vanno a scuola.
I Salesiani vogliono interrompere il
ciclo della povertà e propongono
formazione professionale per
giovani e corsi di alfabetizzazione
per bambini.
L e famiglie frugano nella spazzatura fino
a notte fonda. Sperano di trovare qualcosa
che possa trasformarsi in denaro. Vivono di
ciò che altri gettano via: plastica, metallo,
bottiglie, generi alimentari andati a male, carta e
cartone. Ogni giorno le famiglie cercano materia-
le riciclabile da poter vendere per pochi centesimi.
Le montagne di rifiuti sono diventate la loro casa.
Cinquanta famiglie, duecentocinquanta persone,
vivono ai margini della discarica di Honiara, la ca-
pitale delle Isole Salomone.
Molti abitanti delle isole vicine sono attratti dalla
capitale. Sperano di trovarvi un lavoro e una vita
migliore. Anche tra gli 84 000 residenti nella capi-
tale il tasso di disoccupazione è però alto. Le Isole
Salomone sono uno degli Stati più poveri dell’O-
ceania. Migliaia di persone vivono in abitazioni di
fortuna, un numero crescente di loro non ha un ri-
fugio. Il sobborgo Ranadi si trova nella parte orien-
tale della capitale. Qui c’è anche la discarica della
città, con due baraccopoli. «La maggior parte delle
famiglie nelle Isole Salomone non può sfuggire al
circolo vizioso della povertà. Molti non riescono a
fare fronte nemmeno alle necessità fondamentali
della vita quotidiana o a mandare i figli a scuola»,
ha sottolineato don Srimal Priyanga Silva, diret-
tore dell’Istituto tecnico Don Bosco Henderson di
Honiara. I bambini a loro volta saranno poveri e
non avranno prospettive future. «Questo circolo
vizioso può essere spezzato solo con l’educazione
e una buona formazione», ha detto il sacerdote con
convinzione.
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Gennaio 2020

3.5 Page 25

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L’autobus Don Bosco
I bambini e gli adolescenti dovrebbero aiutare i ge-
nitori al lavoro. La maggior parte di loro non ha
mai frequentato la scuola. Nelle Isole Salomone
non è prevista alcuna istruzione obbligatoria. Il
30% dei bambini che abbandonano la scuola ele-
mentare non sa leggere e scrivere. Anche i ragaz-
zi delle scuole secondarie hanno questo problema.
«Le famiglie che vivono qui non possono permet-
tersi le scuole statali per i figli. Solo cinque bambi-
ni che vivono a Ranadi vanno a scuola», ha detto
don Srimal. Dall’inizio del 2019, don Bosco offre
corsi di alfabetizzazione per i bambini in età per
frequentare la scuola elementare. Viene anche in-
segnato loro a contare e a scrivere. Vi partecipano
circa settanta bambini e ragazzi di età compresa
tra cinque e quindici anni. Il pulmino dell’Istitu-
to Don Bosco li va a prendere nella discarica e li
riaccompagna dopo tre ore. A scuola i ragazzi e
le ragazze consumano anche uno spuntino. Quasi
tutti i bambini sono malnutriti e spesso presentano
ferite o lesioni che richiedono cure. Un’infermiera
che lavora nell’istituto li cura. Molti bambini sono
mandati dai genitori in discariche contaminate alla
ricerca, ad esempio, di parti metalliche che possano
essere rivendute.
Vivere nella discarica determina anche conseguen-
ze sulla salute: sono qui diffuse malattie respira-
torie, patologie della pelle e dissenteria. Un altro
problema è che gli abitanti di Ranadi non hanno
accesso all’acqua potabile. «L’ambiente non è salu-
bre. Non ci sono servizi igienici. Inoltre i bambini
nuotano e fanno il bagno in corsi d’acqua inqui-
nati», ha spiegato don Srimal con preoccupazione.
All’inizio dell’anno in corso il centro Don Bosco
ha messo a disposizione dei residenti di Ranadi due
serbatoi per l’acqua.
Guardare al futuro con coraggio
«Qui la vita è molto difficile. Viviamo in un am-
biente malsano», ha detto Philip Samani, di diciot-
to anni. Il giovane ha abbandonato la scuola dopo
la quarta elementare. Non sapeva né leggere né
scrivere. Da bambino ha dovuto aiutare i suoi geni-
La maggior
parte delle
famiglie
nelle Isole
Salomone non
può sfuggire
al circolo
vizioso della
povertà. Molti
non riescono
a fare fronte
nemmeno
alle necessità
fondamentali
della vita
quotidiana o a
mandare i figli
a scuola.
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3.6 Page 26

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MISSIONE SALESIANI
tori. Ogni giorno cercava nella spazzatura qualcosa
di utile e lo vendeva per pochi centesimi. Cercava
anche avanzi di generi alimentari, con cui erano
alimentati i maiali che la famiglia teneva. «Quando
i sacerdoti sono venuti nella nostra baraccopoli e
ci hanno invitati a visitare il loro istituto, mi sono
sentito incoraggiato. L’istruzione è molto impor-
tante! Ora posso sperare in un futuro migliore».
Anche la diciannovenne Rose Betty ha lasciato
presto la scuola. Dopo che sua madre l’ha abban-
donata, ha dovuto occuparsi dei suoi sei fratelli.
Tutti i bambini hanno dovuto lavorare insieme
per contribuire alla sopravvivenza della famiglia.
La discarica era la loro seconda casa. Ogni gior-
no setacciavano le montagne di immondizia. «La
mia speranza è poter trovare un buon lavoro grazie
alla formazione presso l’Istituto tecnico Don Bo-
sco. Così potrò provvedere
meglio alla mia famiglia»,
ha detto Rose. La giova-
ne taglia e cuce con entu-
siasmo.
Per le ragazze la situazione nelle discariche è par-
ticolarmente difficile. Si sposano presto e hanno
anche figli presto. Molte hanno subito violenza
sessuale.
Diventare lavoratori qualificati
Presso l’Istituto tecnico Don Bosco Henderson ol-
tre trecento studenti frequentano i corsi di costru-
zione dei veicoli, tecnologia informatica, manu-
tenzione e assemblaggio di macchine. Si tengono
anche corsi di carpenteria. Inoltre, i giovani posso-
no anche acquisire competenze riguardanti l’ambi-
to del turismo. I corsi hanno una durata triennale
e il terzo anno gli studenti sono impegnati in stage
in ambienti di lavoro. Tre Figlie di Maria Ausi-
liatrice tengono anche corsi di cucito e di sartoria.
«Quasi tutti i nostri allievi trovano un lavoro, dopo
aver terminato il percorso di formazione. L’attesta-
to rilasciato dalla nostra scuola li aiuta a inserirsi
nel mondo del lavoro, perché hanno acquisito pre-
Nella casa di
don Bosco,
i bambini
sono accolti,
assistiti e
finalmente
felici.
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Gennaio 2020

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Nelle isole
non c’è
l’obbligo
scolastico.
Nella casa
di don Bosco
i bambini
imparano
a leggere
e a scrivere.
parazione e competenze», ha detto don Srimal.
Elizabeth Wakena ha sei figli di cui prendersi cura.
Solo uno di loro va a scuola. Il desiderio di Eli-
zabeth è che ci vadano tutti. «Io non sono potuta
andare a scuola e vorrei che i miei figli ne avessero
l’opportunità», spiega la signora, che è anche molto
impegnata nella comunità di cui fa parte. «Voglio
un futuro migliore per i miei figli, lontano dalla
spazzatura, e questo risultato può essere raggiunto
solo con l’istruzione».
DON BOSCO NELLE ISOLE SALOMONE
Dal 2000 l’Istituto tecnico Don Bosco Henderson propone percorsi
di formazione professionale ai giovani di età compresa tra diciotto e
ventitré anni. Dall’inizio di quest’anno all’offerta formativa sono stati
aggiunti corsi di alfabetizzazione che preparano gli allievi a frequen-
tare regolarmente una scuola.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono impegnate nelle Isole Salomone
da gennaio 2007. Nel 2010 hanno aperto un pensionato per ragazze a
Henderson. La struttura si trova di fronte all’Istituto tecnico Don Bosco
e ospita trentasei ragazze di età compresa tra sedici e vent’anni.
Philip Samani, di diciotto anni. Da bambino ha dovuto aiutare i suoi
genitori. Ogni giorno cercava nella spazzatura qualcosa di utile e lo vendeva
per pochi centesimi. Cercava anche avanzi di generi alimentari, con cui
erano alimentati i maiali che la famiglia teneva. «Quando i salesiani sono
venuti nella nostra baraccopoli e ci hanno invitati a visitare il loro istituto,
mi sono sentito incoraggiato. Ora posso sperare in un futuro migliore».
Gennaio 2020
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3.8 Page 28

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SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
B.F.
A volte basta un’idea
Con i rifiuti si può pagare il conto
del medico o la scuola. Succede
in Indonesia e in India. Ed è solo
un inizio. Grazie all’intuizione di
giovani coraggiosi.
Il dottor
Gamal
Albinsaid,
di 24 anni.
Permette ai
più poveri di
pagare le cure
con la “merce
di scambio”
che hanno: i
loro rifiuti.
Èun sistema che funziona in Indonesia dal
2010 grazie all’iniziativa di un giovane
medico, Gamal Albinsaid, di 24 anni. Nel
2010, i servizi medici del suo paese copriva-
no solo il 33% della popolazione. In Indonesia, inol-
tre, metà della popolazione sopravvive con meno di
2 dollari al giorno. In particolare, il “medico dei
rifiuti”, com’è noto, è stato molto colpito il giorno
in cui ha saputo della morte di un bambino di età
inferiore ai 3 anni a causa della diarrea, solo perché
i suoi genitori non potevano permettersi di pagare
per il medico. Per Albinsaid la salute deve essere un
diritto umano riconosciuto e rispettato. Così ha de-
ciso di fondare la Garbage Clinical Insurance ( )
nella sua città natale di Malang, East Java.
È un programma di assicurazione sanitaria che
permette ai più poveri di pagare per la loro con-
sultazione con la “merce di scambio” che hanno:
i loro rifiuti. L’Indonesia produce circa 80 000
tonnellate di rifiuti al giorno e si stima che questa
cifra aumenterà di cinque volte entro il 2050. Ha
preso sul serio l’equazione: spazzatura = denaro =
servizi medici. Semplice (ma nessuno lo aveva vi-
sto) e geniale: l’iniziativa affronta due problemi in
un colpo solo: non solo consente l’accesso ai servizi
medici per i più poveri, ma contribuisce a proteg-
gere l’ambiente.
I pazienti devono separare la spazzatura che ge-
nerano a casa e portarla in una delle cliniche
ogni fine settimana. L’organico diventerà fertiliz-
zante e il non organico sarà rivenduto. Il valore
della spazzatura di una persona in un mese può
arrivare fino a 10 000 rupie indonesiane (0,60 €),
che finanzia il trattamento di un paziente. I 15
medici e 12 infermieri che lavorano nelle cliniche
del ricevono lo stipendio dai rifiuti che arriva-
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Gennaio 2020

3.9 Page 29

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no al centro medico. Quasi un centinaio di volon-
tari collaborano al progetto. Oggi il programma
raggiunge circa 2000 beneficiari e si è diffuso in
altre città dell’Indonesia.
Tutto grazie solo ad un giovane medico di 24 anni.
Dove la spazzatura paga la scuola
Una coppia ha deciso di creare una scuola in cui le
famiglie pagano i costi con la plastica. Più specifi-
catamente, ogni bambino dovrebbe portare a scuo-
la, chiamata scuola del forum Akshar, almeno 25
pezzi di plastica monouso a settimana.
I fondatori, Parmita Sharma e Mazin Mukhtar,
originariamente hanno creato una scuola gratuita
per bambini di famiglie senza risorse. Dopo un po’
si resero conto che le famiglie bruciavano quotidia-
namente i rifiuti di plastica durante i mesi inverna-
li e decisero di intervenire per eliminarli. Hanno
chiesto ai genitori di pagare per la scuola dei loro
figli con i rifiuti di plastica.
Gli studenti producono mattoni ecologici con i rifiuti
che portano e vengono pagati per il loro lavoro. In
È NATA (E CRESCE)
LA “DON BOSCO GREEN
ALLIANCE”
una bottiglia di plastica inseriscono tra 20 e 40 altri
pezzi di plastica. E con gli eco-mattoni costruiscono
e arricchiscono lo spazio scolastico. Grazie all’espe-
rienza, i giovani hanno imparato che bruciare pla-
stica fa male alla salute e hanno convinto i genitori
a smettere. In effetti, i genitori firmano un impe-
gno a non bruciare di nuovo la plastica.
La scuola è iniziata con 20 studenti e oggi ne han-
no già superati un centinaio. La coppia fondatrice
spera di replicare il modello in tutta l’India: 100
scuole pubbliche sono state proposte per essere ri-
formate nei prossimi 5 anni.
Il dottor
Albinsaid
nel suo
centro. Oggi
il programma
raggiunge
più di duemila
persone
e si sta
diffondendo.
Ha raggiunto oltre cento istituzioni aderenti
in un solo anno.
«Siamo una rete internazionale di giovani delle isti-
tuzioni e organizzazioni di Don Bosco impegnate
nella tutela dell‘ambiente. Ci concentriamo su tre
aree in particolare: combattere l‘inquinamento – ri-
durre il riscaldamento globale – eliminare le plasti-
che usa e getta. Mentre Don Bosco ha reagito alla
crisi della Rivoluzione Industriale, stiamo cercando
di rispondere all‘attuale crisi ambientale».
Gennaio 2020
29

3.10 Page 30

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CASA MADRE
Enrico Lupano
Il campanile
racconta
È possibile salire per la visita al campanile
destro della Basilica di Maria Ausiliatrice.
È stato, infatti, allestito un percorso
di visita che accompagna il visitatore
a scoprire alcuni dei tesori nascosti
nei locali di servizio della Chiesa costruita
dal santo dei giovani nel 1868. Un viaggio
affascinante e commovente nel sogno
di don Bosco e nel miracolo di Maria.
La scala che
porta ai primi
piani del
campanile,
che un tempo
ospitavano gli
alloggi di alcuni
salesiani.
Il giorno dell’inaugurazione della Basilica, a
tavola con tutti i “pezzi grossi” invitati da don
Bosco, il celebre teologo Margotti fece questo
brindisi: «Dicono che don Bosco ha scienza, ed
io non ci bado; anzi gliela getto in faccia. Affer-
mano che don Bosco è un santo, ed io me ne rido.
Dicono che don Bosco fa dei miracoli, ed io non
discuto. Ma c’è un miracolo che io sfido chiunque
a negare; ed è questa chiesa di Maria Ausiliatrice,
venuta su in tre anni e senza mezzi; una chiesa che
costa un milione!»
I miracoli non erano finiti. E la Madonna provvide
a tutto il resto.
L’allestimento interno del sacro edifizio era fini-
to, e a don Bosco mancavano ancora quasi tutti gli
oggetti necessari pel servizio religioso. Iddio però,
che è padrone del cuore degli uomini, ispirava a più
persone di fargli avere quanto occorreva senza che
ne fossero richieste. Da Roma gli fu mandato un
calice veramente elegante. La coppa era d’argento
col gambo di bronzo dorato, di notabile altezza,
con varii lavori di molto pregio. Era un dono del
dott. Tancioni professore di medicina e chirurgia
alla Università di Roma. Per grave malattia trovan-
dosi all’estremo della vita, perduta ogni speranza
30
Gennaio 2020

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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ne’ mezzi umani, venne dagli amici incoraggiato a
fare una novena a Maria Ausiliatrice con promes-
sa di fare qualche dono alla chiesa di Valdocco,
se guariva. Dalla promessa all’esser fuori pericolo
passò appena la metà della novena. Compiva fedel-
mente il suo voto e voleva che sopra il calice fosse
ricordato il celeste favore da lui ricevuto.
Il sig. M. Luigi Borgognoni, guarito da un ostina-
tissimo male di stomaco dopo avere invocata Ma-
ria, per compiere il voto fatto mandava da Roma
due calici di metallo dorato. Pure da Roma la si-
gnora Francesca Giustiniani, per una importan-
tissima grazia ricevuta, dalla quale era derivata la
fortuna e la felicità di tutta la sua famiglia, spediva
a don Bosco un reliquario di metallo dorato che
racchiudeva una particella del sacratissimo Legno
della Croce del Salvatore colla rispettiva autentica.
Una signora francese d’alto lignaggio, la Duchessa
Laval di Montmorency, inviò a sufficienza camici,
cotte, amitti, animette, corporali, tovaglie, tovagli-
ni con alcune pianete. Una signora fiorentina offer-
se un elegante incensiere con navicella. Un signore
torinese provvide i candelieri, le croci e le carte -
gloria per tutti gli altari.
Piviali, tunicelle, pianete, messali, pissidi, lampade
per le solennità, lampade ordinarie, olio per le me-
desime, campanelli per la sagrestia, campanelli per
i singoli altari, ostensori, palliotti, quadri, tovaglie
di vario genere, le ampolline e perfino le funi delle
campane, tutto venne in breve tempo provveduto,
ma in modo e misura che nemmeno un oggetto re-
stò duplicato e senza che neppur uno di essi venisse
a mancare al bisogno.
Lo stesso Sommo Pontefice aveva donato uno stu-
pendo cereo lavorato con molta maestria».
I nuovi musei-memoria che stanno nascendo a Val-
docco presenteranno molti di questi doni della Ma-
donna.
Per info scrivere a
enrico.lupano@31gennaio.net
Tra le tante memorie
esposte ci sono
alcune curiosità,
come i quadranti
degli orologi voluti
da don Bosco e il
meccanismo di
allora ancora in
buono stato.
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
È ora di fermarci
Che cosa sta succedendo al cuore
umano? Nel cielo dei giovani non
brillano più stelle, ma solo il sibilo
dei satelliti. Non c’è orizzonte
davanti a loro, alle spalle non
hanno alcuna radice in grado
di nutrire la loro memoria.
In agosto, alcuni turisti a Mont-Saint Michel in
Normandia, hanno preferito filmare una mam-
ma che annegava nel tentativo di salvare la figlia
Victorine piuttosto che aiutarla.
Nello stesso anno a Roma un pensionato è piombato
a terra in pieno centro, si sarebbe salvato dell’infarto
se qualcuno si fosse accorto e l’avesse subito soccorso.
Due esempi dell’attuale coma emotivo, due esem-
pi di disumanità! Che cosa sta succedendo al cuore
umano? Il lettore ci scuserà per l’insistenza sul ne-
gativo (per carattere siamo sulla sponda diametral-
mente opposta), ma sentiamo il dovere di insistere
per allarmare contro lo scardinamento dell’uomo
umano. Ecco, dunque, alcuni fatti che urlano.
Intossicati dalla verdura comprata al mercato: tra
le foglie c’erano le piante velenose.
39 cadaveri trovati nel container di un Tir prove-
niente dalla Bulgaria.
Si comprano alloggi e quadri con i soldi dell’a-
zienda e la fanno fallire.
Il figlio uccide la madre novantenne, per deru-
barla.
La Capitale è in balia di ragazzi fuori di testa
Follia sui binari a Bologna, ragazzini sfidano i
treni ad Alta velocità
Per vendetta contro la moglie che lo ha lasciato,
uccide le tre figlie.
Spara ed uccide quattro persone per aver occupa-
to un parcheggio privato.
La mamma getta la neonata nel cassonetto della
spazzatura.
È vero: sono fatti estremi, ma significativi
dell’atmosfera di disumanità e indifferenza totale
che sta infettando il nostro contesto sociale ovunque
e a tutti i livelli.
Ti spaccano le orecchie con i motorini a tutto gas,
seminano gomme americane in ogni angolo, non sa-
lutano, non chiedono scusa, dicono parole che sem-
brano tirate su dalle fogne…: parliamo dei ragazzi
d’oggi (salvo le piacevolissime eccezioni che, grazie a
Dio, non mancano!). Eccezioni che, purtroppo, sono
una conferma della regola. I telefonini squillano
ovunque, i giocatori di calcio si danno testate sullo
stomaco, i giovani sputano come scaricatori di porto.
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Gennaio 2020

4.3 Page 33

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UN BAMBINO
Indicando il disegno, la maestra gli chiese, con un
gran sorriso: «Di cosa sono fatte le stelle?»
«Di luce» rispose Andrea sicuro, senza neanche ca-
pire che cosa stesse dicendo.
«E perché?» chiese la maestra, presa dall’entusiasmo.
Eleonora fissava il figlio, che la guardava in cerca di
una risposta a una cosa che nessuno sa.
«Perché, Andrea?» domandò Eleonora con dolcezza.
«Perché la Terra è piena di buio.»
Stiamo esagerando? Magari fosse così. La maledu-
cazione trionfa e tutti ne facciamo le spese!
È tempo di fermarci. È tempo di riportare l’umanità
nell’uomo!
«Non sono nati però così, lo sono diventati crescendo
in una società che, espropriandoli della voce della
coscienza e del principio di responsabilità, li ha
trattati – e li tratta – unicamente come consumatori»
scrive Susanna Tamaro. «L’individuo, con il suo
culto narcisista, ha divorato la persona. Nel suo
cielo non brillano più stelle, ma solo il sibilo dei
satelliti. Non c’è orizzonte davanti a loro, alle
spalle non hanno alcuna radice in grado di nutrire
la loro memoria. Sono cresciuti nell’immediatezza
e nell’apparenza, perché questo è il banchetto che
è stato preparato per loro. E in questo banchetto,
gli adulti al massimo si sono offerti nel ruolo di
camerieri. Abbiamo creduto, ci è piaciuto credere,
alla favola bella che i cuccioli d’uomo non siano
molto diversi dai funghi: nascono da una spora e da
quella si sviluppano naturalmente, senza bisogno di
alcun intervento esterno».
Invito a ritornare umani
Attenzione! Quando diciamo ’umanità’ non inten-
diamo, qui, l’insieme degli uomini, ma tutto quel
complesso di qualità e sentimenti positivi che ci
distinguono dalle bestie. Tali qualità e sentimenti
positivi saranno l’oggetto dei nostri interventi che,
di mese in mese, offriremo al lettore. Dunque par-
leremo del bel garbo, della tenerezza, della genti-
lezza, dell’occhio buono, della gratitudine, del sor-
riso, delle parole buone… Tutti fattori umanizzanti
capaci di impiantare il più bel capolavoro dell’uni-
verso: un uomo profumato di umanità.
L’obiettivo dei nostri interventi è chiaro: invitare i
lettori a ritornare umani.
«Non possiamo arrenderci a tanto imbarbarimen-
to! Ora forse, davanti a tanta distruzione, davanti a
tanta disperazione, è venuto il momento di dire che
non è così. Non siamo funghi, né meduse, ma una
specie con un altissimo grado di complessità. E
questa complessità, per svilupparsi nei ragaz-
zi in modo positivo, ha bisogno di essere
guidata da regole, paletti e limiti tracciati
con fermezza dalla generazione che
li ha preceduti. Regole, paletti
e limiti che crescendo potran-
no anche abbandonare – per-
ché questa è la nostra grande e
inquietante libertà – ma sen-
za i quali non avranno mai
la possibilità di diventare
davvero adulti».
Ricuperare il pianeta sta
bene (anzi: benissimo), ma
se non si ricupera l’Uomo, è come
restaurare la reggia e, nello stesso
tempo, uccidere il re.
UN UOMO UMANO
Un anno prima di morire (1987) il poeta Giuseppe Un-
garetti, guardando la sua vita passata (aveva compiuto
da poco gli 80 anni) confessava a se stesso: “Non so
che poeta sia stato in tutti questi anni. Ma so d’esse-
re stato un uomo: perché ho molto amato, ho molto
sofferto, ho anche errato, cercando di riparare il mio
errore come potevo, e non ho odiato mai.
Proprio quello che un uomo deve fare: amare molto,
anche errare, molto soffrire e non odiare mai!”.
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4.4 Page 34

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Idesnotsipese
Schiavi delle loro paure, prigionieri del pre-
sente e privi di progettualità: è questa l’im-
magine dei giovani adulti che sempre più
spesso restituiscono le indagini condotte
in ambito psicologico. Una rappresentazione che,
tracciando i contorni di una inconsapevole “cat-
tività”, ben fotografa la difficoltà di tanti giovani
di mettersi in gioco, riconquistando uno spazio di
libertà in cui sperimentare la costru-
zione creativa del proprio progetto di
vita.
Dietro l’apparenza di un vissuto or-
dinario e segnato dalla tentazione di
restare in disparte, senza mai espor-
si e correre rischi, quali spettatori
«Se non è in grado di
essere niente / aspetta
paziente / un posto
vacante sul carro vincente.
/ Quasi senza accorgersi
che vive in cattività…».
Per dare nuovo slancio
al proprio progetto
esistenziale, diventa
necessario ritagliarsi nella
frenesia quotidiana uno
spazio di riflessione.
Quasi senza accorgersi che vive in cattività,
continua quasi senza accorgersi che vive in cattività...
Senza sporgersi troppo, senza dare nell’occhio,
senza mai togliersi quelle catene di dosso,
quasi a dire non posso,
sempre al suo posto
ubbidiente e composto, mentre cova il suo mostro.
Lo tiene nascosto,
lo ciba col vuoto, lo cresce, ogni giorno è più grosso,
ma è privo di idee, è privo di forma, secondo chi c’è;
è privo di slancio, pensieri più grandi e stima di sé,
ma poi stima di che?
Se non è in grado di essere niente,
aspetta paziente un posto vacante sul carro vincente.
Quasi senza accorgersi che vive in cattività,
continua quasi senza accorgersi che vive in cattività...
34
Gennaio 2020
passivi di un copione scritto e interpretato da altri,
spesso si celano, infatti, insicurezze profonde, un
vuoto esistenziale che si nutre dell’incapacità di
sospingere lo sguardo oltre gli angusti recinti del
contingente. E nell’inconcludente barcamenarsi
tra i tanti impegni che scandiscono la quotidianità
senza riuscire a riempirla di senso, si finisce con
il perdere il filo del proprio personale racconto,
messo in stand-by e lasciato a languire in attesa di

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La paura che cresce alle volte può uccidere:
fa paura decidere, uscire, sorridere, vivere.
Sei programmato a reprimere
la paura che diventa odio e poi l’odio che c’hai
è tutto ciò che rimane.
Ma anche quest’odio l’hai un po’ preso in prestito
e neanche ad odiare sei originale;
è già pronto e servito, monoporzione,
un jingle riuscito che sta in rotazione,
e senza sapere né quando né come
ripete a memoria un copione.
Come un infermiere in oncologia,
come la droga o la pornografia,
alla fine si abitua e la soglia si alza
e non fa più effetto, non è mai abbastanza...
Quasi senza accorgersi...
Ti senti padrone e invece sei schiavo,
in balia del tuo peggio che ti sfugge di mano.
Ti senti padrone e invece sei schiavo...
Quasi senza accorgersi che vive in cattività,
continua quasi senza accorgersi che vive in cattività,
ogni giorno senza accorgersi...
(Willie Peyote, Cattività, 2019)
trovare nuove energie per ripren-
derne in mano la trama.
Non a caso, gli psicologi parlano di
“sospensione esistenziale”, prendendo a prestito
dal linguaggio della chimica la fenomenologia
riferita alla dispersione delle particelle di una
sostanza in un liquido o in un altro materiale.
Proprio come in una sospensione, l’identità dei
giovani adulti appare, infatti, frammentata e qua-
si polverizzata, resa opaca da una condizione di
strutturale precarietà e insoddisfazione che impe-
disce loro di dare trasparenza alla propria biogra-
fia e di restituire un senso unitario a una pluralità
di esperienze spesso vissute in modo superficiale
e discontinuo.
Nella prospettiva del percorso verso l’adultità come
costruzione narrativa del proprio progetto di vita,
tale condizione equivale a un’interruzione del testo
biografico. Mentre il passato
appare noto, tangibile, sedi-
mentato nella memoria, il futuro resta
nebuloso e privo di certezze, al punto
da rendere preferibile la scelta di vivere schiaccia-
ti sul presente, prigionieri della paura di osare e
percorrere strade nuove, che inchioda in un “im-
mobilismo inquieto” simile a una corsa sul posto
che disperde energie senza condurre da nessuna
parte.
Per riprendere il filo del discorso della propria vita
e dare nuovo slancio al proprio progetto esistenzia-
le, diventa allora necessario ritagliarsi nella frene-
sia quotidiana uno spazio di riflessione in cui far
sedimentare e decantare le tante particelle in so-
spensione che compongono la propria identità. È,
infatti, questo l’imprescindibile punto di partenza
per restituire trasparenza e intelligibilità al proprio
percorso di vita e per trovare dentro di sé le risorse
necessarie per vincere le proprie paure e ricomin-
ciare a progettare e a scrivere il proprio futuro.
Gennaio 2020
35

4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Don Bosco e la
“salvezza” degli ebrei
di ieri e di oggi
Un rabbino francese a fine
occupazione (giugno 1944) chiese
a don Alessandrini perché i
salesiani avessero “salvato” tanti
ebrei. Rispose semplicemente:
“Non abbiamo fatto che il nostro
dovere”.
Don Bosco era figlio del suo tempo, in cui
l’espressione “extra ecclesia nulla salus” era
intesa in senso strettamente letterale, os-
sia che solo il battesimo nella fede della
chiesa cattolica apriva le porte della salvezza eter-
na. Da qui anche la sua ardente preoccupazione per
la salvezza degli indios della Patagonia, dove inviò
schiere di missionari in risposta all’invito del Si-
gnore: “andate dunque e fate discepoli tutti i popo-
li, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo (Mt 28, 19).
Ma anche in casa propria, a Torino-Valdocco, come
risulta dalle nostre memorie, non mancarono bat-
tesimi di giovani o adulti convertiti dal protestan-
tesimo e dall’ebraismo. Soprattutto non era facile
questa ultima conversione, anche dopo l’emancipa-
zione del 1848, a motivo delle possibili ostilità della
famiglia e della comunità ebraica cui il neoconver-
tito apparteneva, non escluse pesanti conseguenze
sul suo futuro in ambito lavorativo ed economico.
Don Bosco comunque coltivava amicizie con vari
ebrei anche di primo piano. Uno fra gli altri il
commendatore Giuseppe Malvano, segretario del
ministero degli Esteri, cui non solo professava “in-
cancellabile gratitudine” per quanto aveva fatto in
favore dell’Oratorio, ma anche dichiarava che tutti
i suoi giovani in lui riconoscevano “un vero insigne
benefattore” (lett. 1° nov. 1878).
Pur pienamente convinto che la salvezza si trova-
va solo nella fede cattolica, don Bosco era lontano
dal viscerale antisemitismo che si sarebbe scatenato
in Europa mezzo secolo dopo per motivi politici
(affare Dreyfus e lotta Francia-Germania), per non
dire fra le due guerre mondiali.
Un altro giovane ebreo a Valdocco
Per avere una formazione adeguata a ricevere il bat-
tesimo era giocoforza che il candidato si affidasse ad
una struttura adeguata (ad es. all’Ospizio dei catecu-
meni di Torino, di Pinerolo…) o ad una persona in
grado di farlo, magari in forma privata. Don Bosco,
da tempo in relazione con il vescovo di Casale, fu
36
Gennaio 2020

4.7 Page 37

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lui giudicato tale. Ecco dunque che il 17 luglio 1851
monsignore gli scriveva se era disponibile a catechiz-
zare un certo “nostro antico [conoscente?] De Ange-
lis ‘pieno di desiderio di istruirsi per ricevere il santo
battesimo’. La risposta di don Bosco del 29 agosto fu
positiva, quasi entusiastica: “Io sono pronto ad occu-
parmi totis viribus e di buon grado”.
Ma c’era un però. Don Bosco era a conoscenza delle
possibili conseguenze per il neoconvertito ed im-
mediatamente esprimeva al vescovo le sue appren-
sioni al riguardo: “avrei bisogno che ella avesse la
bontà di farmi significare” tre cose: “Se aggiunti
[i parenti] siano favorevoli. 2. se tale deliberazione
sia quella di una volta [di cui si era parlato?] oppure
una novità. 3. Se ricevuto il battesimo possa guada-
gnarsi il vitto coll’industria personale”.
Il rischio che il De Angelis perdesse l’appoggio
della famiglia (fra cui l’eredità), e della comunità
ebraica (fra cui il lavoro) e dunque potesse presu-
mere di “mettersi a carico” di altri, e magari di don
Bosco, era evidente. Don Bosco non poteva che
premunirsi contro quel rischio, considerato anche
che le sue risorse economiche erano sempre inferio-
ri al bisogno dei suoi ragazzi.
Non è dato sapere se l’aspirante catecumeno sia poi
stato accolto a Valdocco per il tempo della sua for-
mazione cristiana – il vescovo ne avrebbe pagato la
pensione – e se abbia colà ricevuto il battesimo. Ma
rimane un fatto che don Bosco si era reso disponi-
bile per la “salvezza” di quella persona.
Da uno… a settanta
Quasi un secolo dopo, nel 1943-1944, il collegio
salesiano Pio XI di Roma apriva generosamen-
te le porte a settanta ragazzi ebrei, onde “salvarli”
dalla cattura, dalla sicura deportazione nei campi
di concentramento nazisti e dunque da una mor-
te praticamente certa. Don Francesco Antonioli e
don Armando Alessandrini, rispettivamente diret-
tore ed economo dell’Istituto Pio XI, a rischio delle
loro vite e della stessa casa salesiana, li accolsero
uno per uno, per pochi giorni o per tanti mesi, fa-
cendoli “confondere” tra tutti gli studenti cattolici
della scuola. Chiesero loro solo di imparare canti,
preghiere e usanze cristiane, onde evitare eventuali
riconoscimenti da parte dei tedeschi. E al rabbi-
no francese che a fine occupazione (giugno 1944)
chiese a don Alessandrini perché avessero “salvato”
tanti ebrei, risposero semplicemente: “Non abbia-
mo fatto che il nostro dovere”.
In occasione del 50° dell’avvenimento (1994) i due
salesiani vennero insigniti del prestigioso titolo
ebraico di “Giusti fra le Nazioni” ed il passato 18
ottobre 2019, in occasione del 75° della Liberazione
di Roma e nel 90° della fondazione dell’Istituto, la
Fondazione Internazionale Raoul Wallenberg, alla
presenza di varie autorità, ha apposto sull’ingres-
so principale la targa che identifica l’Istituto come
“House of Life”, ossia luogo di rifugio e di salvezza
di persone ebree perseguitate.
LO SCUDO DELL’ALTRO. LA MEMORIA DEL DOVERE
Per saperne di più e non dimenticare, nell’ambi-
to del Piano Nazionale Cinema per la scuola, dal
MIUR e dal MIBACT è stata finanziata la docu-
fiction “Lo scudo dell’altro. La Memoria del Dove-
re” in collaborazione con l’Istituto Storico Sale-
siano, la Senape Production, la Madriland Art e
il Centro Cooperazione Culturale. I giovani allievi
dell’Istituto hanno rimesso i panni dei ragazzi di
allora e si sono rivestiti delle loro emozioni, della
paura, della fame e del freddo e infine della gioia
per la liberazione tanto attesa. Un film per le scuo-
le, per gli oratori, per gli ambienti giovanili, tutto
da vedere e su cui riflettere anche e soprattutto in
questi tempi.
Gennaio 2020
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FMA
Emilia di Massimo
Salesianamente mistica
Il primo luglio 2019, è
stata avviata la Causa
di Beatificazione e
Canonizzazione di suor
Rosetta Marchese, Figlia
di Maria Ausiliatrice.
Ha reso visibile
il soprannaturale
vivendo in pienezza
la sua umanità.
Rosetta nasce ad Aosta il 20 ottobre 1922,
dai genitori viene educata ai valori del-
la saggezza umana e della fede cristiana;
frequenta la scuola materna e le tre prime
classi elementari presso le Figlie di Maria Ausi-
liatrice. Attiva all’oratorio, respira un ambiente
autenticamente salesiano, sereno e vivace, fondato
sulla gioiosa donazione apostolica delle suore; è
in tale clima che sboccia la vocazione religiosa di
Rosetta. Il 5 agosto 1941 fa la prima professione
religiosa. Educatrice, insegnante, assistente, forma-
trice, Consigliera e Madre Generale, suor Rosetta
ha percorso un cammino di conformazione a Gesù
fino all’offerta della sua vita per la santità dell’Isti-
tuto, per i sacerdoti, per la salvezza della gioventù.
Il Capitolo Generale XVII, al primo scrutinio del
24 ottobre 1981, la proclama Superiora Generale.
Le sue prime parole dopo l’elezione sembrano sin-
tetizzare la linearità del suo itinerario spirituale:
«Chiedo alla Madonna di dire per me il suo “fiat”,
ma anche il suo Magnificat perché l’Istituto mi
ha sempre dato tutto, ma ora mi dà tutto se
stesso».
A distanza di soli otto mesi dalla sua ele-
zione, giungono le prime avvisaglie di una
leucemia inesorabile. L’8 marzo 1984
Madre Rosetta completa il suo viag-
gio terreno.
La fede s’incarna
nella pienezza umana
In Madre Rosetta è possibile con-
templare uno dei capolavori con
cui lo Spirito Santo ha arricchito
l’Istituto delle Figlie di Maria Au-
siliatrice e la Chiesa non per i ruoli
che ha svolto, ma per la ricchezza di
umanità che ha testimoniato. Oltre alle doti di go-
verno, si delineano peculiari doni di maternità spi-
rituale: capacità di ascolto, dono del discernimento,
chiarezza di idee e fermezza nelle decisioni.
L’interiorità e l’ardente amore per il prossimo, spe-
cialmente per la “cara gioventù”, come lei amava
chiamarla, sono i tratti che emergono costante-
mente. Non risulta che abbia fatto studi teologici
particolari, ma dal momento che lei vive in modo
intenso la “sponsalità della sua consacrazione”, ad
ogni nuovo incarico che le viene affidato nelle va-
rie comunità dove è mandata dalle Superiore, dice
come espressione abituale, perché ne è profonda-
mente convinta: «Mi spalanco ad una nuova mater-
nità». Per lei questa è la condizione più favorevole
per accompagnare chi le è affidato. Chi è madre si
fa sempre precedere dall’amore, quello che si espri-
me in modo maturo, libero e liberante. Il suo è un
amare senza possedere, un servire senza dominare.
Per questo è capace di guidare le consorelle e i laici
nel cammino della santità.
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Gennaio 2020

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Tre distintivi di santità
Volendo mettere in risalto alcuni aspetti-chiave,
potremmo evidenziarne tre: capacità di accompa-
gnamento di giovani e di adulti; apertura ecclesiale;
umanità armonizzata in una profonda vita di fede.
Madre Rosetta Marchese spicca per l’arte dell’ac-
compagnamento spirituale. La sua ricchezza uma-
na, la gioia della sua scelta vocazionale, la sua spe-
ciale attitudine educativa traboccano nelle relazioni
con le persone e divengono orientamento rispettoso
della libertà altrui. Madre Rosetta accoglie ogni
persona nella situazione in cui è, ma la sospinge a
capire che c’è nella sua vita un sogno da realizzare.
Aiuta le persone, soprattutto le più fragili, a non re-
primere sentimenti e inclinazioni, ma a svilupparne
le energie positive per aprirsi al dono, per liberare
le proprie capacità di amare e anche il coraggio di
percorrere la via della croce.
Madre Rosetta ha un profondo senso ecclesiale e
forma le giovani e le consorelle nello spirito di un
grande amore alla Chiesa e di un’attiva collabora-
zione alla sua missione. Sente la Chiesa come il suo
habitat naturale, la sua famiglia, e cerca in tutti i
modi di contribuire all’estensione del Regno di Dio
mettendo in atto una grande opera di coinvolgi-
mento. Con gioia vive nel cuore di una Chiesa che
si rinnova al soffio del Concilio Vaticano II e ne
gusta tutta la bellezza e la novità di prospettive.
sagge che facilitano la vita e la missione educativa
salesiana.
È flessibile ai cambiamenti, libera nelle sue scelte
e anche nelle sue parole, non si lascia condizionare
dalle situazioni. È donna dalla femminilità dolce
e forte, dall’acuta capacità di intuire situazioni e
persone, dall’emotività ricca e spontanea nelle sue
manifestazioni, dalla risata schietta, dalla parola
arguta. Sa esprimere i sentimenti anche più profon-
di, li condivide con immediatezza e semplicità; sa
intessere buone relazioni con tutti, aprire il dialogo
anche con persone problematiche e difficili, far sor-
ridere con le battute simpatiche, incoraggiare senza
mai cadere in frasi retoriche. Se è eccessivamente
esigente con qualcuna più fragile, Madre Rosetta
chiede perdono, sa riconoscere i propri sbagli e le
proprie impazienze. Nella sua relazione formativa
ripete che l’umano è importante e
deve essere costantemente arricchi-
to e portato a maturazione da per-
sone adulte. È convinta che “la fede
s’incarna nella pienezza umana”, la
presuppone e dunque non va re-
pressa, ma fatta fiorire e sviluppare.
Sa per esperienza personale e per la
sua missione di accompagnatrice di
anime che la maturità umana è tale
soltanto quando porta ad integrare
la fede, lo “sguardo di fede sereno”
che sa vedere la presenza di Dio in
tutte le circostanze della vita. Chi
l’avvicina percepisce in lei un co-
stante atteggiamento contemplativo
che, senza distoglierla dai vari im-
pegni che l’assorbono, ne vivificavano azione e pa-
rola. Nelle relazioni con le persone la sua parola ha
sempre il sapore di Dio.
Istantanee
della vita
di Madre
Rosetta. Era
dotata di
un sorriso
aperto e
comunicativo.
Dolce e forte
Un aspetto della figura di Madre Rosetta che la
rende particolarmente attuale oggi: è una donna
aperta alla bellezza, alla bontà, alle innovazioni
Chi fosse interessato ad approfondire la vita di Madre Rosetta
può leggere la biografia Pietra viva per un sacerdozio santo, richie-
dendola alla Casa generalizia delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Via
dell’Ateneo Salesiano, 81, 00139 Roma.
Gennaio 2020
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio
preghiamo per la Causa di
Canonizzazione del Beato
Bartolomeo Blanco Marquez,
Salesiano Cooperatore,
martire.
Bartolomeo nasce a Pozoblan-
co, in Spagna, il 25 novembre
1914. Sua mamma morì prima
che il bimbo compisse i quattro
anni. Figlio e padre andarono
a vivere dagli zii. Orfano anche
di padre a dodici anni, dovette
lasciare la scuola e mettersi a la-
vorare da seggiolaio nel piccolo
laboratorio del cugino. Quando
nel settembre 1930 arrivarono i
Salesiani, Bartolomeo frequen-
tò l’oratorio e aiutò come cate-
chista. Trovò in don Antonio do
Muiño un direttore che lo spin-
se a continuare la sua forma-
zione intellettuale, culturale e
spirituale. Più tardi entrò nell’A-
zione Cattolica, di cui fu segre-
tario e dove profuse il meglio
di sé. Trasferitosi a Madrid per
specializzarsi nell’apostolato fra
gli operai presso l’Istituto So-
ciale Operaio, si distinse come
oratore eloquente e studioso
della questione sociale e della
dottrina sociale della Chiesa.
Ottenuta una borsa di studio,
poté conoscere le organizzazio-
ni operaie cattoliche di Francia,
Belgio e Olanda. Nominato
delegato dei sindacati cattolici,
nella provincia di Cordoba fon-
dò otto sezioni. Fu un cristiano
impegnato, testimoniando una
profonda vita interiore e una
dedizione generosa all’aposto-
lato sociale. Quando esplose la
rivoluzione, il 30 giugno 1936,
Bartolomeo ritornò a Pozoblan-
co e si mise a disposizione della
“Guardia Civile” per la difesa
della città che dopo un mese si
arrese ai rossi. Si consegnò il 18
agosto. Accusato di ribellione,
fu portato in carcere, dove conti-
nuò ad avere un comportamen-
to esemplare: “Per meritarsi il
martirio, bisogna offrirsi a Dio
come martiri!”. Venne processa-
to e condannato a morte a Jaén.
Disse: “Avete creduto di farmi
un male e invece mi fate un
bene perché mi cesellate una
corona”. Fu fucilato il 2 ottobre
1936 a Jaén. Prima di ricevere
il colpo mortale esclamò: “Viva
Cristo Re!”. È stato beatificato il
28 ottobre 2007.
Ringraziano
Desidero ringraziare di cuore
Maria Ausiliatrice, Madre Maz-
zarello e san Domenico Savio
perché in tre diversi frangenti
della mia vita ho sperimentato
il loro amorevole aiuto. Ancora li
prego affinché mi accompagni-
no e benedicano la mia famiglia.
Maini Maria Grazia
Ventimiglia (IM)
Vorrei ringraziare san Domeni-
co Savio per la nascita del mio
Michele Domenico avvenuta il
22 marzo 2019 a sole 30 settima-
ne di gestazione. La gravidanza è
iniziata male dall’inizio per un di-
stacco di placenta, in seguito ho
contratto infezione alla vescica e
reni e si è conclusa con un parto
prematuro. Ho pregato san Do-
menico Savio con fede affinché
il Signore per sua intercessione
ascoltasse la mia preghiera! E il
Signore ci ha ascoltati!
Annarita - Taranto
Incoraggiata da quanto ho let-
to, mi sono rivolta alla beata
Preghiera
Ti ringraziamo, o Dio nostro Padre,
perché hai sostenuto fino alla
testimonianza suprema
il beato Bartolomeo Blanco, giovane laico,
salesiano cooperatore.
Egli ha versato il suo sangue
per amore tuo e della Chiesa.
Ti preghiamo, concedici,
per il suo esempio e la sua intercessione,
di rispondere generosamente alla tua chiamata,
fino al dono totale della nostra vita.
Per sua intercessione ti chiediamo la grazia di...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 5 novembre 2019, nel corso del Congresso peculiare dei
Consultori Teologi presso la Congregazione delle Cause dei
Santi, è stato dato all’unanimità parere positivo in merito
alla fama di santità e all’esercizio delle virtù eroiche del Ser-
vo di Dio del Servo di Dio Ignazio Stuchlý, Sacerdote Pro-
fesso della Società di San Francesco di Sales (1869-1953).
Eusebia Palomino, chieden-
dole che ottenesse per mio
figlio la grazia di trovare il la-
voro di cui da vario tempo era
rimasto privo. La mia preghiera
è stata esaudita; infatti poco
tempo dopo mio figlio è stato
assunto al lavoro a tempo de-
terminato, e successivamente a
tempo indeterminato.
Bettarini Daniela
Campi Bisenzio (FI)
Sono un’exallieva salesiana.
Voglio ringraziare san Dome-
nico Savio per la nascita di
mia figlia Michela, avvenuta il
31.01.1987 e per la nascita di
mio nipotino Francesco, avve-
nuta il 13.12. 2016. Chiedo per
entrambi la protezione di san
Domenico Savio.
Siviero Marita
S. Ambrogio di Torino
Intendo confermare la mia de-
vozione a san Domenico Sa-
vio per avermi protetto in un
brutto momento della mia vita.
Circa tre anni fa mi fu riscontra-
to un tumore al seno. Fui presa
da una così forte agitazione,
che mi sembrava di soccombe-
re, come se tutto il mondo mi
fosse crollato addosso. Iniziai
subito a pregare san Domenico
Savio con una novena, ripe-
tuta poi con i miei famigliari.
Tre mesi dopo, fui operata e
guarii completamente, tanto
che dopo i dovuti controlli il
medico specialista mi disse di
dimenticare questo episodio,
poiché ero perfettamente sana.
Desidero ringraziare vivamente
san Domenico Savio e chiedo la
sua protezione su tutta la mia
famiglia.
P. P. - Tuenno (TN)
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5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Monsignor Dominic Jala
Salesiano, SDB Arcivescovo di Shillong, morto a
Wilbur Springs (USA), l’11 ottobre 2019, a 68 anni.
Dominic Jala era nato il 12 luglio
1951 a Mawlai-Shillong, aveva
fatto il noviziato a Shillong tra il
1963 e il 1964 ed era stato ordi-
nato sacerdote il 19 novembre
1977. Il suo motto era: “Crescere
nell’unità dello Spirito Santo”.
Nel suo servizio alla Congre-
gazione è stato Direttore dell’I-
stituto “St. Antony” di Shillong
(1989-92), Direttore della Casa
Ispettoriale di Guwahati (1992-
93) e dell’Istituto “Don Bosco” di
Shillong (1993-96). Per l’Ispetto-
ria “Maria Ausiliatrice” di Guwa-
hati è stato Vicario (1990-93),
Consigliere (199-96) e Ispettore
(1996-2000).
Appena 48enne, il 22 dicembre
1999, fu nominato arcivescovo
di Shillong. Dal 2016 era anche
Amministratore Apostolico del-
la diocesi di Nongstoin, sempre
nello Stato di Meghalaya.
Come presule è stato Presiden-
te della Commissione per la
Liturgia della Conferenza dei
Vescovi Indiani, dal 2003 al
2007 e da 2015 in poi, ed era
membro della Commissione
Internazionale per la Liturgia
di lingua Inglese (ICEL). È stato
salesiano per 50 anni, sacerdo-
te per 42 e arcivescovo per 19.
Commentando su Twitter la
morte di monsignor Jala, il Pri-
mo Ministro indiano, Narendra
Modi, si è detto “angosciato”, e
ha osservato che l’arcivescovo
salesiano “sarà ricordato per il
suo impeccabile servizio alla
società e per la passione per il
progresso di Meghalaya”.
Più di 100mila persone accorse-
ro al suo funerale: era amatissi-
mo dai fedeli della sua diocesi.
È stato il primo prelato indiano
del gruppo tribale Khasi, una
delle più importanti etnie del
Meghalaya. D’intelletto raffi-
nato, parlava correntemente
latino, tedesco, italiano, fran-
cese, spagnolo, garo, hindi,
greco, ebraico e inglese. Egli ha
sostenuto le piccole comunità
cristiane e ne ha incentivato la
diffusione nel nord-est indiano,
così come i corsi domenicali di
catechismo in ogni parrocchia
e villaggio. Al momento era im-
pegnato nella prima traduzione
del messale dal latino al Khasi;
egli era incaricato della trascri-
zione dal latino all’inglese ed
era a metà dell’opera.
Questo il messaggio del cardi-
nale Oswald Gracias, arcivesco-
vo di Mumbai e presidente dei
vescovi indiani: «La notizia della
morte dell’arcivescovo Dominic
Jala in un tragico incidente stra-
dale in California ha scioccato
tutti noi. Appena tre settimane
prima, eravamo stati insieme a
Roma per la visita ad limina. Egli
è stato il principale celebrante
della nostra messa nella basili-
ca di san Paolo. La sua presenza
agli incontri con le congregazio-
ni di Roma durante le visite ha
sempre fatto la differenza.
Pensavo che sarei andato con
lui alla Congregazione per il
culto divino e la disciplina dei
sacramenti per presentare
il nostro nuovo messale per
l’India. Invece l’incidente è
avvenuto due giorni prima. In
questo dicastero tutti hanno
espresso il loro immenso ap-
prezzamento per l’arcivescovo
Dominic Jala: il prefetto cardi-
nale Robert Sarah, e il segre-
tario monsignor Arthur Roche.
La Chiesa in India sentirà molto
la sua assenza. Per le questioni
liturgiche, il suo ruolo era sem-
plicemente insostituibile. La
Ccbi [Conferenza dei vescovi di
rito latino, uno dei tre rami della
Chiesa indiana] si affidava total-
mente a lui per tutte le edizioni
liturgiche. Spesso a Roma mi
hanno parlato del prezioso con-
tributo della Chiesa indiana. Io
sapevo che era soprattutto meri-
to di monsignor Jala. Di recente
egli ha presentato un documen-
to all’Assemblea plenaria che è
stato molto apprezzato. Egli ha
anche rappresentato l’India alla
Commissione internazionale
per l’inglese nella liturgia ed era
un membro di grande valore.
Abbiamo lavorato insieme in
diverse commissioni, sia nella
Conferenza episcopale indiana
sia nella Ccbi. Egli era sempre
equilibrato, aveva buon giudizio
e dava saggi consigli. Ho perso
un amico.
L’arcivescovo Dominic Jala era il
leader indiscusso della Chiesa
nel nord-est dell’India. Di recen-
te mi ha detto quanto suo padre
fosse stimato dalla comunità
cristiana e dalla società civile di
Shillong».
La cattedrale di Shillong
affollatissima nel giorno del funerale
dell’amatissimo arcivescovo.
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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Associazione di laici
credenti che, per concessione pontificia,
può aggregarne altre - 14. Il capo della
tonnara - 15. Mezzo agrume - 16. Vi
si raccolgono le figurine - 17. Il punto
nel calcio - 20. Pietre dure di colore
verde-azzurro - 22. Estate a Parigi - 23.
Il Fleming creatore di 007 - 25. Il grande
poeta di Recanati - 28. Il “Sasso” dell’Ap-
pennino centrale - 29. XXX - 31. Una
nota… reale - 32. Gli enti comunali
assistenziali che sostituirono nel ’37 le
? Congregazioni di carità (sigla) - 33. Nel
caso in cui - 34. A te - 35. Lo ripeteva il
Gigante quando sentiva “odor di cristia-
nucci” - 38. Avide, incontentabili - 40.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Sigla di Asti - 41. Lo si colma di gelato
- 43. Le ha pari il capace - 44. Esame
ECCEZIONALE ORDINARIETÀ
Si era ai primi giorni del mese di novembre, nel 1860, quando Giuseppe
Dalmazzo, quindicenne di Cavour (paese in provincia di Torino), conobbe don
attitudinale - 45. Precedette l’IVA - 46.
Lo Jacopo del quale Foscolo scrisse le Ul-
time lettere - 48. Gli estremi del Sudan
- 49. In maniera provvisoria.
Bosco e fu testimone oculare del seguente, straordinario episodio che riportò
con dovizia di particolari anni dopo, da adulto, quando era ormai diventato sa-
cerdote salesiano. Era entrato da pochi giorni all’Oratorio e seguiva un corso di retorica, l’arte dello
scrivere e del parlare, ma per via del vitto troppo sobrio a cui non era abituato era già intenzionato
ad allontanarsene. In una di quelle mattine, andò presso don Bosco per confessarsi, in mezzo a
una folla di tanti altri giovani che circondava il Santo. Un inserviente gli si avvicinò per avvisarlo
che non si poteva dare ai giovani (che continuavano a seguire la Messa) le pagnottelle per la cola-
zione, perché il pane era terminato e che non si poteva prenderne più in panetteria tanto era alto il
debito contratto. Questa notizia sembrò non preoccupare minimamente don Bosco che dispose di
cercarne nella dispensa e nei refettori. E non preoccupava neanche il giovane Dalmazzo perché era
intenzionato ad andarsene, dopo la Messa, e a fare colazione a casa propria. Sul finire della funzio-
ne, tornò l’inserviente con poche pagnotte, assolutamente insufficienti a soddisfare i tanti giovani
presenti, ma ancora don Bosco lo tranquillizzò. Finite le confessioni si alzò e si avviò verso la sacre-
stia dove si sarebbe distribuito il pane. Ricordando i tanti racconti uditi sulle prodezze e i prodigi
VERTICALI. 1. Un titolo ecclesiasti-
co - 2. Poco rapido! - 3. Lo diventa il
brutto anatroccolo - 4. Prefisso per
“uguale” - 5. Un secco rifiuto - 6. Le-
sione dell’epidermide - 7. Passare ai
fatti - 8. Lo fu Giuda - 9. La Norma
che valse l’Oscar a Sally Field - 10. La
sigla dei Paesi Bassi - 11. La penisola
che comprende Spagna e Portogal-
lo - 12. La indossa l’astronauta - 13.
Chiude la preghiera - 18. Acciuga -
19. Lo è l’ottone - 21. Colorata a pen-
nello - 24. Vi si trova la sede storica
di don Bosco il giovane Dalmazzo, incuriosito, si posizionò
Soluzione del numero precedente in modo da osservare bene come si sarebbe risolta la si-
dell’Alfa Romeo - 26. Io allo specchio
- 27. Manifesto… da cameretta - 28.
tuazione. Poteva vedere la cesta e la ventina di pagnotelle Un bovino africano - 30. Sveglie - 36.
che vi era dentro e poteva vedere don Bosco consegnarle Include tutti gli attori di un film - 37.
seraficamente. Insomma, dai a uno, dai a un altro, tutti i Le belve… che ridono - 39. Al centro
trecento ragazzi ebbero le loro pagnotte! Il XXX di don
Bosco si era compiuto… e il giovane Giuseppe Dalmazzo
non andò più via e rimase con il Santo fino alla sua morte.
della giostra - 40. Si usa per cucire
- 41. Insieme a - 42. Sono pari nel
sofisma! - 45. Istituto Professionale
(sigla) - 47. Così inizia il semestre.
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LA BUONANOTTE
B.F. Disegno di Fabrizio Zubani
Il fuoco
consumarlo per quei pigri e inetti.
Il volto scuro dell’immigrato era una
smorfia di vendetta nella fievole luce
del fuoco ormai spento. Stringeva
forte il pugno intorno al suo pezzo
S ei persone, colte dal caso nel
buio di una gelida nottata, su
un’isola deserta, si ritrovaro-
L’uomo che stava al suo fianco vide
uno che non era del suo partito. Mai
e poi mai avrebbe sprecato il suo bel
di legno. Sapeva bene che tutti quei
bianchi lo disprezzavano. Non avreb-
be mai messo il suo pezzo di legno
no ciascuna con un pezzo di legno in pezzo di legno per un avversario
nelle braci del fuoco. Era arrivato il
mano. Non c’era altra legna nell’isola politico.
momento della vendetta.
persa nelle brume del mare del Nord. La terza persona era vestita ma-
L’ultimo membro di quel mesto
Al centro un piccolo fuoco moriva lamente e si avvolse ancora di più gruppetto era un tipo gretto e diffi-
lentamente per mancanza di combu- nel giaccone bisunto, nascondendo dente. Non faceva nulla se non per
stibile.
il suo pezzo di legno. Il suo vicino profitto. Dare soltanto a chi dà, era
Il freddo si faceva sempre più insop- era certamente ricco. Perché dove- il suo motto preferito. Me lo devono
portabile.
va usare il suo ramo per un ozioso pagare caro questo pezzo di legno,
La prima persona era una donna,
riccone?
pensava.
?
ma un guizzo della fiamma illumi-
nò il volto di un immigrato dalla
Il ricco sedeva pensando ai suoi beni, Li trovarono così, con i pezzi di le-
alle due ville, alle quattro automo- gno stretti nei pugni, immobili nella
pelle scura. La donna se ne accorse. bili e al sostanzioso conto in banca. morte per assideramento.
Strinse il pugno intorno al suo pezzo Le batterie del suo telefonino erano Non erano morti per il freddo di
di legno. Perché consumare il suo scariche, doveva conservare il suo fuori, erano morti per il freddo di
legno per scaldare uno scansafatiche pezzo di legno a tutti i costi e non dentro.
venuto a rubare pane e lavoro?
Forse anche
nella tua famiglia,
nella tua comunità,
davanti a te c’è
un fuoco che sta
morendo.
Di certo stringi
un pezzo di legno
nelle tue mani.
Che ne farai?
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
salvare molte anime.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Stefano Vanoli
Il regolatore
del Capitolo Generale
Le case di don Bosco
Chieri
Memorie di un portentoso
adolescente
Salesiani nel mondo
Uganda
Terra dei martiri
e dei miracoli salesiani
Salesiani
Don Eugenio Baldina
«I miei primi novant’anni
con don Bosco»
Tempo dello Spirito
4 virtù per prevenire
la rabbia
Una cura per il nostro tempo
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente personalità
giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta
con D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di € ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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