Parte II: Il Significato del pellegrinaggio dell’urna


Parte II: Il Significato del pellegrinaggio dell’urna

I n cammino con Don Bosco

Sussidio di preparazione al pellegrinaggio dell’urna di don Bosco

Sussidio pratico di preghiera davanti all’urna





Parte II

Il significato del pellegrinaggio dell’urna




  1. Il culto delle reliquie nella chiesa

    • La morte secondo i cristiani del primo secolo

    • Comunità in vita e dopo la morte

    • Il ricordo dei defunti cristiani

    • Le catacombe: i primi cimiteri cristiani

    • Le persecuzioni e il culto dei martiri

    • Il culto delle reliquie dei martiri: san Pietro e san Policarpo

  1. Il senso della santità

  • Dio sorgente della santità

  • Cristo chiama la Chiesa alla santità attraverso la via dell’amore

  • Tutti i battezzati sono invitati ad essere santi

  • I santi canonizzati dalla Chiesa, “testimoni della fede”

  • Intercessori presso il Padre

  • L’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di san Domenico Savio

  • Il significato del pellegrinaggio dell’urna di don Bosco





















1 Il culto delle reliquie nella Chiesa

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1.1 La morte secondo i cristiani del primo secolo

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L’evento più importante della storia dell’umanità è la risurrezione di Gesù. Gli apostoli e i primi discepoli, dopo le apparizioni del Risorto e la discesa dello Spirito Santo, cominciarono a capire tutto quello che il Figlio aveva loro rivelato. I Vangeli affermano che in più di un’occasione Gesù aveva annunciato ai suoi discepoli la sua morte e risurrezione. Nell’episodio della risurrezione di Lazzaro Gesù offre un segno della sua potenza salvifica, indicando alla prima comunità cristiana che chiunque avesse creduto in Lui – risurrezione e vita – avrebbe avuto la vita eterna:


«Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21 Marta disse a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22 Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. 23 Gesù le disse: “Tuo fratello risusciterà”. 24 Gli rispose Marta: “So che risusciterà nell'ultimo giorno”. 25 Gesù le disse: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26 chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?”. 27 Gli rispose: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”» (Gv 11, 20–27).


Le religioni pagane, praticate nell’impero romano, riguardo alla morte avevano un’idea diversa. Per lo più si immaginava un aldilà dove le anime dei morti, come ombre, continuavano ad esistere, i “buoni” assieme ai “cattivi”.

I cristiani pensavano che per meritarsi il paradiso avrebbero dovuto credere in Gesù e seguire i suoi insegnamenti. Era essenziale far parte di una comunità cristiana, non ci si poteva salvare da soli! Da sempre Gesù ha riunito i discepoli intorno a sé e, anche dopo la Sua ascensione, i fedeli hanno continuato a riunirsi e a spezzare il pane insieme, come il Maestro aveva loro insegnato.


1.2 Comunità in vita e dopo la morte

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Per i cristiani la fede in un solo Dio e il suo culto esclusivo non era una cosa privata, ma influiva ugualmente sulla loro condotta personale e sociale. Gesù aveva rivelato che Dio è Padre: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1 Gv 3,1). Questa consapevolezza creava nei credenti un rapporto del tutto particolare fra di loro come figli di Dio, erano insomma sorelle e fratelli. San Paolo, in alcune sue lettere, paragona la comunità cristiana ad un corpo composto di tante membra – che chiama corpo mistico – dicendo che Gesù stesso ne è il capo: «Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose» (Col 1,18).

In un modo misterioso ma molto reale nella comunità dei credenti è presente Cristo: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20).

Gli Atti degli Apostoli inoltre ci testimoniano come nelle prime comunità ci fosse una vera e propria condivisione dei beni: si aiutavano i poveri, si soccorrevano le vedove, si assistevano i malati. La Chiesa, dunque, mentre i suoi componenti erano in vita, era unita, ma, grazie alle promesse di Gesù, l’unione continuava anche dopo la morte.

Riflettendo sulle parole di Gesù, sempre più la Chiesa delle origini capì che l’appartenenza al corpo mistico riguardava anche i defunti, quindi il legame della comunione non veniva rotto dalla morte. La morte non significava la fine, ma un passaggio ad una vita nuova che, dopo il giudizio finale, avrebbe riguardato anche il corpo.

Per questo motivo si rifiutava l’usanza pagana della cremazione e si voleva inumare (seppellire) i propri cari, seguendo anche in questo l’esempio del Signore sepolto e risorto.

Mentre i pagani parlavano di “necropoli”, cioè città dei morti, i cristiani consideravano i loro cimiteri come dormitorio (coemeterium), come luogo del riposo dove si dormiva fino alla risurrezione. Prendendo alla lettera la fede nella risurrezione, le tombe si utilizzavano generalmente una sola volta.

Nella Roma antica, invece, si era abituati a gettare i defunti in grandi fosse comuni, venivano buttati persino neonati abbandonati e schiavi che non valevano più niente.


1.3 Il ricordo dei defunti cristiani

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La responsabilità vicendevole e la solidarietà che caratterizzava le prime comunità cristiane non finiva con la morte, comprendeva anche i cari defunti; se infatti il defunto non poteva permettersi una degna sepoltura, la comunità ne garantiva la deposizione in una tomba decorosa. Questo profondo rispetto verso i defunti come fratelli di fede era del tutto nuovo nella Roma antica.

Il lutto per la morte di parenti amati o di cari amici, come pure la gratitudine per il tempo vissuto assieme, spingeva i cristiani a visitare continuamente le loro tombe. Anche i pagani visitavano i defunti, ma i cristiani avevano una motivazione più profonda: la loro fede. Erano profondamente sicuri che sarebbero stati insieme anche nel futuro, quando si sarebbero riconciliati ancora, una volta per sempre. Sapendo di essere tutti figli dell’unico Padre, sorelle e fratelli di fede, pensavano: Qui dove dormono i nostri cari dormiremo anche noi fino al giorno della risurrezione, nel luogo comunitario di riposo; sepolti insieme, senza badare a reputazione, carica, ricchezza o povertà. Sapevano che un giorno sarebbero stati tutti inclusi nella preghiera per la pace dei defunti.


1.4 Le catacombe: i primi cimiteri cristiani

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Nel primo secolo i cristiani di Roma non avevano cimiteri propri. Se possedevano dei terreni, seppellivano là i loro defunti, altrimenti ricorrevano ai cimiteri comuni usati anche dai pagani. Per tale motivo san Pietro fu sepolto nella necropoli sul Colle Vaticano, aperta a tutti; come pure san Paolo fu sepolto in una necropoli della via Ostiense.

Soprattutto nel secondo secolo il cristianesimo cominciò a espandersi e a convertire pagani appartenenti a famiglie ricche o benestanti. Questi credenti avevano dei terreni o dei cimiteri di famiglia che misero a disposizione dei fratelli di fede. Come è risaputo, il cristianesimo dovette però attraversare delle grosse difficoltà, soprattutto a causa del paganesimo e di alcuni imperatori romani. Essendo monoteisti, i cristiani si rifiutavano di considerare l’imperatore dominus et deus, signore e Dio, scatenando i pregiudizi e l’ira delle autorità. Altre dicerie e falsità diedero origine a una vera e propria ostilità che si trasformò in persecuzione, a volte anche programmata. Così poteva capitare che i cristiani, visitando i loro defunti e pregando presso le loro tombe, venissero disturbati e oltraggiati dalla plebe o che trovassero le tombe macchiate e profanate.

Cresceva così il desiderio di un luogo sepolcrale riservato alla comunità, dove si potessero ricordare i defunti senza correre il rischio di essere disturbati. Aumentando i cristiani, aumentava anche il bisogno di nuove sepolture. Una legge romana garantiva il diritto di servirsi della proprietà terriera che si estendeva anche alla parte sotterranea; bastava solo scavarne quello di cui si voleva usufruire rispettandone i limiti.

Ebbero così inizio le catacombe. Molte di esse sorsero e si svilupparono attorno a dei sepolcri di famiglia. Col passare del tempo le aree funerarie si allargarono, talvolta per iniziativa della Chiesa stessa. Il più famoso è il caso delle catacombe di san Callisto: la Chiesa ne assunse direttamente l'organizzazione e l'amministrazione.


1.5 Le persecuzioni e il culto dei martiri

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Come abbiamo sopra accennato, nei primi secoli dopo Cristo, i cristiani vennero accusati di slealtà verso la patria, di ateismo, di empietà e di odio verso il genere umano. Tra le altre cose erano sospettati di delitti occulti, come l'incesto – infatti si consideravano tutti fratelli e sorelle –, l'infanticidio e il cannibalismo rituale – dicevano di mangiare il corpo di Cristo –. Per via delle loro colpe erano considerati anche la causa di calamità naturali, come la peste, le inondazioni e le carestie.

Per questi motivi la religione cristiana fu posta fuori legge e perseguitata, perché considerata il nemico più pericoloso del potere di Roma, basato sull'antica religione olimpica e sul culto dell'imperatore, strumento e simbolo della forza e dell'unità dell'Impero. Molti cristiani furono uccisi, diversi diedero la vita pur di non rinnegare la fede in Cristo. Le parole di Gesù sul martirio iniziavano tragicamente a realizzarsi:


«Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome» (Lc 21,12).

«Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra» (Gv 15,20).


I primi tre secoli furono l'era dei martiri.

Nel 313 con il cosiddetto «Editto di Milano», gli imperatori Costantino e Licinio concessero la libertà di culto alla Chiesa. In ogni caso, prima di Costantino, la persecuzione non fu sempre continua e generale, cioè estesa a tutto l'impero, né fu sempre egualmente crudele e cruenta. A periodi di persecuzioni seguirono periodi di relativa tranquillità.

I Martiri diventarono i Testimoni della fede per eccellenza. Il grande scrittore cristiano Tertulliano afferma che «il loro sangue è stato seme di nuovi cristiani». Gradualmente, il ricordo dei defunti diventava più intenso quando si trattava di fare memoria di fratelli che avevano messo in pratica le parole di Gesù fino a sacrificare la vita, il bene più grande:


«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…» (Mt 5,11).


I martiri cominciano ad essere venerati e invocati dalle Chiese particolari in genere nel dies natalis, cioè nel giorno della loro nascita al cielo. Una prassi costante della Chiesa è quella di riunirsi in assemblea liturgica o sul luogo dove i martiri avevano reso la loro testimonianza di fede a Dio, oppure presso i loro gloriosi sepolcri. Molti fedeli cominciarono addirittura a farsi seppellire vicino alle loro tombe. Visitando le catacombe di san Callisto si può notare come, vicino al sepolcro della martire Cecilia, si trovino numerosi loculi di devoti defunti.

La preghiera sulle tombe dei martiri unisce in comunione di lode e di supplica i membri della Chiesa sulla terra a quelli che già contemplano il volto di Dio. Questa comunione ha il momento più forte nell'Eucaristia, quando il cielo e la terra, gli angeli, i santi e tutti i fedeli in cammino si associano alla stessa lode per mezzo di Cristo Signore, nell'unità dello Spirito Santo, a gloria di Dio Padre.


1.6 Il culto delle reliquie dei martiri: san Pietro e san Policarpo

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Tra i primi martiri che hanno dato la vita per difendere il Vangelo svetta tra tutte la testimonianza di san Pietro. Abbiamo spiegato che fu sepolto nella necropoli sul Colle Vaticano, aperta a tutti.

Nel 1952 furono ripresi gli scavi sotto l'attuale altare papale della Basilica di San Pietro, con risultati che ci aiutano a capire quanto fosse importante per i primi cristiani venerare le tombe dei martiri, nelle quali erano deposte le loro reliquie. Venne rinvenuta un'edicola funeraria appoggiata a un muro contemporaneo detto 'rosso' per il colore e particolarmente prezioso per i numerosi graffiti sovrapposti. Essi vennero decifrati da studiosi molto preparati. Tutti contengono invocazioni a Pietro. Al suo nome sono uniti talvolta i nomi di Cristo e di Maria, si trovano l'augurio della vita “in Cristo” e “in Pietro”, il cui nome viene espresso dalla sua simbolica chiave. Nella stessa necropoli vaticana, sulla tomba dei Valerii, venne ritrovata questa scritta:


«Petrus, roga pro sanctis hominibus chrestianis ad corpus tuum sepultis:

Pietro, prega per i santi uomini cristiani sepolti presso il tuo corpo».


E' evidentemente una preghiera per i cristiani tumulati presso il corpo dell'Apostolo, segno che proprio lì Pietro era stato sepolto e lì veniva invocato. Sembra che già intorno al 150 d.C. questo luogo di Roma sul Colle Vaticano fosse meta di pellegrini.


San Policarpo, invece, nacque a Smirne, nell’attuale Turchia, nell'anno 69. Ireneo, suo discepolo e vescovo di Lione in Gallia, scrisse che «fu dagli Apostoli stessi posto vescovo per l'Asia nella Chiesa di Smirne», intorno all’anno 100. È venerato come discepolo dell’apostolo Giovanni e come ultimo testimone degli Apostoli. Intorno al 157 scoppia una persecuzione a Smirne. L'anziano vescovo (ha 86 anni) viene portato nello stadio, perché il governatore romano Quadrato lo condanni. Policarpo rifiuta di difendersi davanti al governatore, che vuole risparmiarlo, e alla folla, dichiarandosi cristiano. Fu ucciso mentre rendeva grazie a Dio Padre per averlo ritenuto degno di essere annoverato tra i martiri e di prendere parte al calice di Cristo.

La Chiesa di Smirne, dopo il martirio del suo vescovo Policarpo e di undici fedeli, scrisse alle Chiese vicine e a tutte le comunità della Chiesa universale raccontando della loro fine gloriosa. Aggiungeva queste parole che attestano l’importanza del culto delle reliquie dei martiri:


«Noi veneriamo degnamente i Martiri in quanto discepoli e imitatori del Signore e per la loro suprema fedeltà verso il proprio Re e Maestro, e sia dato a noi pure di divenire loro compagni e discepoli! […]

Dopo avere raccolto le ossa di Policarpo più preziose di rare gemme e più pure dell'oro fino, le riponemmo là dov'era di rito. E in questo luogo radunandoci in esultanza e letizia ogni qual volta ci sarà possibile, ci consentirà il Signore di festeggiare la ricorrenza del suo martirio, a memoria di quanti hanno affrontato già la stessa lotta e ad esercizio e preparazione di quanti la affronteranno in futuro» (Martyrium Polycarpi: XVII, 3; XVIII, 2-3).


Con gli stessi sentimenti di questi nostri fratelli di Smirne vogliamo pregare presso le tombe dei gloriosi martiri e celebrare nella gioia il loro dies natalis. Grazie alla loro intercessione la nostra fede sarà resa più salda per poter affrontare serenamente le prove della vita.


Le reliquie dei martiri e i loro resti mortali sono dei ricordi preziosi da conservare con cura. Non sono dotate di arcani poteri capaci di produrre miracoli, tutt’altro! Queste reliquie, e come vedremo anche quelle dei santi, ci mettono in contatto con la testimonianza eroica di una vita donata interamente per il Vangelo, suscitano e rinforzano in noi la fede in Cristo.

La fede in Cristo è l’unica capace di smuovere le montagne.

Ecco perché pregando presso i loro gloriosi sepolcri si ottengono tante grazie.



Nella storia della Chiesa non tutti i cristiani sono stati chiamati al martirio, ma tutti sono invitati ad essere testimoni della fede. I cristiani che più di tutti hanno realizzato questa vocazione sono i santi. Essi hanno speso la vita per il regno di Dio, ci hanno preceduto nel vivere con impegno la fede cristiana e, col loro esempio, hanno tracciato il cammino che conduce nella casa del Padre. Sono degni di essere ricordati e venerati, ci aiutano a rendere più salda la nostra fede.

Nel prossimo capitolo parleremo di loro.

2 Il senso della santità

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2.1 Dio sorgente della santità

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La parola “santo” può essere intesa in modi diversi.

Nell’Antico Testamento la santità è l’attributo esclusivo di Dio. Solo Dio è santo. «Tu solo il Santo», proclamiamo nel Gloria della Messa, e ripetiamo ancora per tre volte nel Sanctus e nelle varie preghiere eucaristiche. Le parole della liturgia eucaristica provengono dal libro del profeta Isaia, dove è descritta la rivelazione, nella quale il profeta è ammesso a contemplare, per annunziarla al popolo, la maestà della gloria di Dio:


«...Vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato... attorno a lui stavano dei serafini... proclamavano l'uno all'altro: Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,1-3).


Mentre nell’Antico Testamento la santità era una qualità esclusiva di Dio, che lo separava dal popolo, grazie a Gesù la santità di Dio si diffonde su tutti quelli che credono in Lui. Non fa più riferimento all’idea di separazione ma a quella di comunione. Tutta la Chiesa, allora, è chiamata alla comunione con Dio e all’amore, tutta la Chiesa è chiamata alla santità.


2.2 Cristo chiama la Chiesa alla santità attraverso la via dell’amore

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Durante tutta la sua predicazione Gesù ha insegnato la via dell’amore. Interrogato poi su quale fosse il più importante dei comandamenti, rispose senza esitazione:


«Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; 30 amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi» (Mc 12,29-31).


Per spiegare più concretamente ai discepoli come fare ad amare Dio e i fratelli nella vita di ogni giorno, Gesù insegnò loro e alla folla presente, le Beatitudini del Regno (Mt 5,1-11).

È dunque mediante la pratica dell’amore che possiamo raggiungere la meta della nostra vita, la santità, Dio stesso! Più ameremo, più imiteremo Dio che è tutto amore:


«7Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore viene da Dio e chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio. 8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1 Gv 4,7-8).


Acquisendo questo stile di vita evangelico, avremo la gioia di mettere in pratica l’esortazione di Gesù: «Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48).

Gesù ha lasciato a tutta la Chiesa il compito di essere santa. Per questo ha dato la sua vita, per santificarla, cioè perché tutti quelli che credono in Lui vengano raggiunti e riempiti dall’amore di Dio. In questo modo i fedeli sono accolti nella casa della Trinità dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si amano dall’eterno e dove ora, insieme a Loro, abitiamo anche noi.

La Chiesa dunque è santa! San Paolo, come abbiamo detto, riflettendo su questo mistero, paragona la comunione dei fedeli ad un corpo: il corpo mistico. Significa che Cristo, scegliendo di morire in croce, ha unito la Chiesa al suo corpo formando un nuovo essere vivente che ha riempito di Spirito Santo, cioè di amore.


2.3 Tutti i battezzati sono invitati ad essere santi

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Nelle antiche comunità cristiane, per i motivi appena elencati, l’attributo di “santo” non era riservato a pochi eletti, ma era il modo comune con cui venivano chiamati tutti i battezzati. Ecco come san Paolo saluta la comunità di Corinto nella sua prima lettera:


«Paolo, chiamato a essere apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio, e il fratello Sostene, 2 alla Chiesa di Dio che è in Corinto, ai santificati in Cristo Gesù, chiamati santi, con tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore loro e nostro: 3 grazia a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo» (1 Cr 1,1-3).


Paolo chiama santi tutti i fedeli riempiti dall’amore di Dio grazie al sacrificio di Gesù, ma allo stesso tempo li invita a continuare a camminare nell’amore:


«Vi preghiamo e vi esortiamo nel Signore Gesù a progredire sempre di più. 2 Infatti sapete quali istruzioni vi abbiamo date nel nome del Signore Gesù. 3 Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate» (1 Ts 4,2-3).


Come si può realizzare il progetto d’amore che Dio ha su di noi? Come fare per camminare nella via dei santi? Si potrebbero dare molte risposte, ma fondamentalmente si tratta di mettere in pratica ancora una volta le parole di Paolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5).


2.4 I santi canonizzati dalla Chiesa, “testimoni della fede”

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La madre Chiesa, nella sua sapienza, fin dai suoi inizi ha pensato che per aiutare i fedeli a camminare nella via dell’amore non fosse necessario scrivere dei trattati teologici, magari complessi e poco accessibili ai semplici. Ha invece capito che la scientia amoris – la scienza dell’amore – non si impara sui libri, ma seguendo l’esempio di quei fedeli che più di tutti hanno saputo avere gli stessi sentimenti di Gesù. Sono questi i testimoni della fede di cui abbiamo parlato.

Inizialmente venivano scritte le testimonianze del martirio dei fedeli chiamate gli Atti o le Passioni dei martiri. Dopo il terzo secolo, vennero scritte anche le vite di santi monaci, di santi vescovi e di altri santi fedeli che erano proposti come modelli riusciti di santità. La Chiesa cominciò a pronunciarsi ufficialmente e a segnalare personalmente degli esempi di vita cristiana, che venivano chiamati santi. Molte volte erano i fedeli stessi che colpiti dalla testimonianza di questi grandi cristiani, insistevano perché fossero subito riconosciuti santi dalla Chiesa.

I santi venivano imitati da tutti. Si era convinti, e lo si è tuttora, che dopo la morte fossero già entrati nella casa della Trinità, che fossero ammessi subito al cospetto del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.


2.5 Intercessori presso il padre

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Proprio perché convinti della loro vicinanza al Padre i santi furono considerati dei potenti intercessori. Si prega Dio per l’intercessione dei santi perché a loro, che hanno amato Gesù con impegno per tutta la vita, il Padre per mezzo del Figlio (nello Spirito Santo) non vorrà certo rifiutare il favore di cui il fedele ha bisogno. Loro che sono così vicini potranno più facilmente raccontare le ansie e i problemi che affliggono i fedeli sulla terra. In questo modo si rafforza l’unione tra la Chiesa pellegrina sulla terra e la Chiesa celeste che già contempla il volto di Dio.

I santi non erano quindi dei defunti ‘qualunque’. La preghiera per i defunti, di cui abbiamo parlato prima, aveva un significato diverso. In molte iscrizioni nelle catacombe si trovava scritto: «Poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati», proprio perché pregando per loro si voleva in un certo senso accelerare il loro incontro col Padre. Invece la preghiera rivolta ai santi è una preghiera di intercessione, diversa – è sempre bene precisarlo – dalla preghiera di adorazione che può e deve essere rivolta solo alla Santissima Trinità.


Per questo motivo i santi cominciarono ad essere venerati come i martiri.

Anche i resti mortali e le loro reliquie furono venerati con la stessa devozione.



Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Dogmatica “Lumen Gentium”, che tratta proprio della Chiesa, sintetizza con queste parole quello che abbiamo cercato di spiegare finora.


«La Chiesa ha sempre creduto che gli apostoli e i martiri di Cristo, che con l'effusione del loro sangue diedero la suprema testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi angeli e ha devotamente implorato il soccorso della loro intercessione. A questi in breve se ne aggiunsero anche altri, che avevano più da vicino imitata la verginità e la povertà di Cristo e infine altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane e le grazie insigni di Dio raccomandavano alla devozione e all’imitazione dei fedeli.

Il contemplare infatti la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura (cfr. Eb 13,14 e 11,10); nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le cose mutevoli del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità. Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo (cfr. 2 Cor 3,18), Dio manifesta agli uomini in una viva luce la sua presenza e il suo volto. In loro è egli stesso che ci parla e ci dà un segno del suo Regno verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni (cfr. Eb 12,1) e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati.

Non veneriamo però la memoria degli abitanti del cielo solo per il loro esempio, ma più ancora perché l'unione della Chiesa nello Spirito sia consolidata dall'esercizio della fraterna carità (cfr. Ef 4,1-6). Poiché, come la cristiana comunione tra i cristiani della terra ci porta più vicino a Cristo, così la comunità con i santi ci congiunge a lui, dal quale, come dalla loro fonte e dal loro capo, promana ogni grazia e la vita dello stesso popolo di Dio. È quindi giusto che amiamo questi amici e coeredi di Gesù Cristo, che sono anche nostri fratelli e insigni benefattori, e che per essi rendiamo le dovute grazie a Dio, rivolgiamo loro supplici invocazioni e ricorriamo alle loro preghiere e al loro potente aiuto per supplicare grazie da Dio mediante il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro, il quale solo è il nostro Redentore e Salvatore. Infatti ogni nostra vera attestazione di amore fatta ai santi, per sua natura tende e termina a Cristo, che è “la corona di tutti i santi”, e per lui a Dio, che è mirabile nei suoi santi e in essi è glorificato» (LG 50).


2.6 L’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di san Domenico Savio

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La Congregazione salesiana, in Italia e in alcune altre ispettorie, ha già vissuto l’esperienza del pellegrinaggio dell’urna di San Domenico Savio. Nel 2004, il Rettor Maggiore ha colto l’occasione del 50° anniversario della morte di Domenico Savio per rilanciare la santità giovanile, proprio a partire dall’esempio della vita del giovane santo. La strenna del 2004 recitava così:


«riproponiamo a tutti i giovani con convinzione la gioia

e l`impegno della santità come misura alta di vita cristiana ordinaria».


In quegli anni il Papa Giovanni Paolo II stava proponendo a tutta la Chiesa, e in modo speciale ai giovani, la prospettiva della santità, come fondamento e punto centrale del programma pastorale per il nuovo millennio:


«Giovani di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del nuovo millennio! Siate contemplativi ed amanti della preghiera; coerenti con la vostra fede e generosi nel servizio ai fratelli, membra attive della Chiesa ed artefici di pace» (Messaggio per la XV Giornata Mondiale della Gioventù 2000).


Il pellegrinaggio dell’urna fu una straordinaria occasione per riscoprire la testimonianza e l’esempio di Domenico. Pregando presso l’urna, piccoli e grandi hanno messo nelle sue mani tante preghiere e intenzioni perché lui, che aveva tanto amato il Signore, potesse intercedere per loro. Tante mamme in attesa pregavano per i loro bambini sicure che Domenico, loro protettore, si sarebbe interessato con Gesù di esaudire le richieste che fossero in sintonia con la volontà del Padre. Tanti giovani hanno ripreso in mano la vita di Domenico Savio, scritta da don Bosco stesso, che già tanto bene aveva fatto a generazioni di giovani cristiani, vescovi e papi compresi.

Fede, preghiera, desiderio di santità e grazie speciali sono i frutti più belli che il Padre, attraverso l’intercessione di Domenico, ha voluto donare ai fedeli accorsi a visitare l’urna pellegrina.

2.7 Il significato del pellegrinaggio dell’urna di don Bosco

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Al termine del nostro piccolo itinerario, traiamo le conclusioni che al lettore sono ormai, in gran parte, già chiare.

Anche in questo caso l’occasione è straordinaria. La strenna del 2008 ci ha invitato a «educare i giovani secondo il cuore di don Bosco»; il Capitolo Generale 26, nella stessa linea, ci ha chiesto di tornare alle fonti del nostro carisma a partire dal motto del Fondatore: «Da mihi animas, cetera tolle». Il Rettor Maggiore desidera che tutta la Famiglia salesiana continui ad evangelizzare i giovani che il Signore le affida, con questi stessi sentimenti. Per fare questo è necessario che essa rifletta sulla propria identità. È, pertanto, fondamentale continuare ad amare e ad approfondire don Bosco. La strenna del 2009 è così formulata:


«Impegniamoci a fare della Famiglia Salesiana

un vasto movimento di persone per la salvezza dei giovani».


Due grandi avvenimenti giustificano e arricchiscono la scelta del tema della Strenna per il 2009:

  • il 150º anniversario di fondazione della Congregazione Salesiana;

  • la preparazione del bicentenario della nascita di don Bosco (1815-2015).


Con il ricordo del 150° della Congregazione Salesiana si dà inizio alla preparazione al bicentenario della nascita di don Bosco. Tale celebrazione significherà fedeltà rinnovata a don Bosco, alla sua spiritualità, alla sua missione; sarà un Anno santo "salesiano".





Il pellegrinaggio dell’urna sarà un’occasione per riprendere in mano la vita di don Bosco come desidera il Rettor Maggiore. La testimonianza della sua vita ci aiuterà ad imitarne la fede, l’amore per il Signore e lo zelo per i fratelli, soprattutto i giovani più poveri. Tutta la Famiglia salesiana del mondo si incontrerà per pregare presso l’urna, costituendo una comunità di fedeli chiamata da Cristo alla santità che desidera santificarsi seguendo l’esempio di don Bosco. Pregando presso l’urna, piccoli e grandi metteranno nelle sue mani tante preghiere e intenzioni perché lui, che ha tanto amato il Signore, possa intercedere per loro.




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