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DON VECCHI E IL CG25

Buona Notte 26/2/2002
Don Luc Van Looy
Vicario del Rettor Maggiore

È doveroso iniziare la serie di Buone Notti del Capitolo Generale, pensando a don Vecchi, dato che non possiamo dare a lui la parola in diretta.

Ringrazio prima di tutto, anche a nome suo, tutti i confratelli che hanno dimostrato affetto e hanno pregato e animato altri a pregare durante questo periodo. Abbiamo insistito con il Signore che si desse la guarigione e la salute a don Vecchi, ma siamo certi che Egli ha preparato qualche altro miracolo più necessario alla Congregazione.

Il periodo della malattia è stato intenso e ricco per noi. Il Consiglio Generale ne ha vissuto da vicino tutto il processo e siamo stati fortunati di esserci trovati tutti radunati al momento che iniziava la malattia e anche quando il Signore l’ha chiamato a sé.

Il sentimento che ci ha riempito il cuore la mattina della sua morte è stato che “il Signore ci aveva visitato”.

L’esperienza che abbiamo fatto nell’accompagnare il nostro padre ci ha anche permesso di conoscerlo meglio, e forse conoscerlo diversamente: non si è mai lamentato di disagi o del dolore che certamente sentiva. Anzi, quando la necessaria cura richiedeva sforzi anche grandi, divertiva quanti lo stavano aiutando.

Per lui, il periodo difficile probabilmente è stato l’inizio, quando non credeva di essere ammalato o quando no si rendeva conto della gravità dell’intervento chirurgico.

Un momento forte di svolta è stato quando ha deciso lui di trasferirsi all’infermeria dell’UPS, e poi quando ha chiesto di ricevere il sacramento degli infermi, durante il quale ha poi pronunciato il suo bellissimo intervento, che testimoniava la sua grande fede che accettava la sua situazione. Abbiamo goduto dell’amabilità e della vicinanza fraterna e serena di don Vecchi.

In  un certo modo è stato un periodo di non poca incertezza, perché non si poteva programmare molto a lungo termine. Ho incontrato molta comprensione da parte delle Ispettorie quando era necessario cambiare programmi o cancellare viaggi.

Don Vecchi però era certo di arrivare al Capitolo, fino a quando, nel mese di novembre, ha incominciato a dirci che non sarebbe durato ancora molto.

Ha goduto immensamente dell’incontro con i Vescovi salesiani nel mese di maggio, commosso all’Udienza col Santo Padre in Piazza San Pietro e durante la processione di Maria Ausiliatrice a Torino. Ancora tempo dopo diceva che aveva sofferto per non aver potuto rivolgere la parola a conclusione della processione e benedire la folla.

Ha deciso lui di affidarsi al signor Zatti. Ha deciso lui di lasciare la Casa Generalizia e affidarsi alle cure delle suore di don Variara. Per un certo periodo scherzava con le suore sul fatto che in infermeria c’era una comunità mista, ma che suor Fanny non era la sua direttrice, gli altri scherzavano con lui chiamando la superiora: “La signora direttore”. Tanti scherzi e barzellette, tango cantati, con “asado” e pranzi organizzati dai confratelli dell’UPS, tanta allegria in quell’infermeria, e tante volte… si addormentava in carrozzella durante l’Eucaristia.

Ma a noi interessa ora la sua preoccupazione per il Capitolo. Voleva arrivarci. Preparò lo schema di ogni parte della Relazione sullo stato della Congregazione. Stese su un foglio le cose da dire nel discorso di apertura. Chiese ad alcuni confratelli di preparare l’omelia per la Messa di apertura. Volle scrivere un libro sui ragazzi in difficoltà per darlo ai capitolari e speriamo di potervelo regalare fra qualche settimana. Si trova in stampa.

Ma aveva alcune preoccupazioni per il Capitolo stesso e per il futuro della Congregazione. Il Capitolo – diceva – deve puntare sull’essenziale, non perdersi in dettagli, evitando di disperdersi in tematiche laterali.

Non trattate il tema del coadiutore”, diceva riferendosi alla “comunità mista”, ossia al tema del coadiutore-direttore di comunità.

State attenti a formulare bene il tema delle strutture” – diceva – perché aveva paura che il Capitolo perdesse molto tempo  su questo argomento, temendo che dopo tante discussioni si tornerebbe al punto di partenza. Era convinto che le nostre strutture corrispondono a quanto si vuole, anche perché il Rettor Maggiore può prendere tante iniziative anche a questo livello senza toccare le Costituzioni.

Non aumentate le Regioni”, disse in uno degli ultimi raduni del Consiglio a cui partecipò, per non aumentare il numero dei Consiglieri Generali.

Al futuro della Congregazione pensò molto durante la malattia. La malattia infatti aveva anche eccitato la sua fantasia, facendolo sognare e insistere su progetti futuri, chiedendoci con insistenza di preparare già un iter di realizzazioni, affidandolo a qualche Consigliere. In primo luogo c’era il “Progetto coadiutore salesiano”, in rapporto alla figura di Artemide Zatti; insisteva di celebrare un anno speciale del coadiutore. Il “Progetto della spiritualità” lo voleva realizzare con le Figlie di Maria Ausiliatrice. Faceva chiamare la Madre, la Preside dell’Auxilium e fece preparare un progetto concreto da realizzare a Cremisan.

Il “Progetto laureandi” sorse dalla sua preoccupazione di qualificare i confratelli, un tema che ha sostenuto lungo tutto il suo rettorato. Un’attenzione nuova si era introdotta, come risultato logico della sua preoccupazione per la Congregazione e lo stato di salute in cui si trovava: era l’attenzione per i confratelli ammalati, ma in particolare per le case destinate a loro. Insistette per un certo periodo sulla costruzione di ospedali, in collaborazione con Congregazioni come quella di don Variara. Un giorno mi spiegò le misure delle camere, delle porte del bagno, ecc.

Pensava molto alla Famiglia Salesiana, all’importanza dell’unità, della formazione dei Cooperatori ed Exallievi, all’autonomia dei Cooperatori come associazione di fedeli laici, con assistenza spirituale da parte dei salesiani.

Era felice quando vedeva andare avanti la costruzione della “Biblioteca Don Bosco” dell’UPS.

Cari confratelli, abbiamo vissuto un periodo ricco, con un Rettor Maggiore che fino all’ultimo respiro ha dato la sua vita, la sua intelligenza, la sua preoccupazione, l’accettazione della sua situazione, per la Congregazione, per noi dunque. Diceva che “è doloroso trovarsi nella necessità di farsi servire”, ma era talmente libero e disponibile, sereno e docile che non smise di sorprendere chi lo aiutava e lo curava. “Ci fa sperimentare – diceva – che la vita per avere valore deve appoggiarsi su Dio”.

Concludo con un ringraziamento al Padre per averci permesso di vivere questa esperienza e ringraziando don Vecchi per essere stato un modello così eloquente di salesianità.



Buona notte!