Strenna_2005_it


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STRENNA 2005 - COMMENTO
RINGIOVANIRE IL VOLTO DELLA CHIESA, CHE È LA MADRE DELLA NOSTRA FEDE
Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,
al fine di farla comparire tutta gloriosa,
senza macchia né ruga o alcunché di simile,
ma santa e immacolata (Ef 5,25.27).
Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Angelo; o meglio, il cui nome era Giovanni. Sì,
Giovanni XXIII, il Papa buono che, sospinto dallo Spirito, un giorno si alzò e volle una nuova
primavera per la Chiesa. Con un gesto inatteso, egli non solo ne aprì le finestre, ma ne spalancò le
porte, perché vi entrasse lo Spirito. Il Concilio Vaticano II, da lui convocato, è stato come un
ciclone che è entrato all'improvviso in un ambiente chiuso e bloccato, un 'vento che si abbatte
gagliardo' (At 2, 2), come il giorno di Pentecoste nel Cenacolo.
In occasione del 40° anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, alla luce della Lumen
Gentium e della Gaudium et Spes, che ci hanno fatto vedere la Chiesa come Mistero, Popolo di Dio,
Corpo di Cristo, Madre dei credenti, Serva del mondo, consapevoli che 'è compito della Chiesa
riflettere la luce di Cristo in ogni epoca della storia e fare risplendere il volto di Cristo alle
generazioni del nuovo millennio' (NMI 16). Perciò, rivivendo lo spirito di quell'avvenimento
straordinario, ci impegniamo a:
'Ringiovanire il volto della Chiesa, che è la Madre della nostra fede'.
Ringiovanire la Chiesa: dono e compito
Non potevamo non fare memoria riconoscente di questo anniversario della conclusione del Concilio
Vaticano II, che è stato un grande evento dello Spirito, una vera Pentecoste per la Chiesa universale.
Già don Egidio Viganò, mio predecessore, aveva ricordato che esso sarebbe stato la nostra carta di
navigazione per il terzo millennio. Oggi è nostro compito assumere e far fruttificare il dinamismo
venuto dal Concilio, un'autentica folata di aria fresca che ha riempito di Spirito Santo i polmoni
della Chiesa, al cui continuo rinnovamento ci impegniamo a collaborare. Le Costituzioni conciliari
Lumen Gentium e Gaudium et Spes, arricchite dalla recente riflessione della Novo millennio
ineunte, saranno il nostro punto di riferimento.
Diversamente da ciò che è avvenuto con la precedente strenna, quest'anno non ci sarà una proposta
pastorale che la segue. Allora accennavo che tale proposta ci avrebbe accompagnato per alcuni
anni; non era infatti realistico pensare di concretizzare in breve tempo gli impegni che vi si
prospettavano. Anche quest'anno perciò essa continua ad essere l'orizzonte e il punto di riferimento
delle iniziative pastorali, da realizzare nei diversi luoghi dove la Congregazione e la Famiglia
Salesiana svolgono il loro servizio alla Chiesa e ai giovani. Questo vale ancora maggiormente per
l'impegno circa la santità giovanile, che trova nella proposta pastorale il suo centro e nella strenna
attuale un grande stimolo.Ringiovanire la Chiesa è un dono esaltante ed un impegno esigente; ma
che cosa significa ringiovanire? Inizio dalla considerazione negativa di che cosa non significhi. Non
si tratta di fare un'operazione di 'lifting' o di cosmesi; questo si adatterebbe bene con l'odierna
cultura consumistica dell'effimero e dell'immagine, non però con la forza rinnovatrice dello Spirito.

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Non si tratta neppure di limitarsi ad operare alcuni cambiamenti esterni di convenienza od alcuni
ritocchi superficiali di adattamento, necessari per far apparire la Chiesa aggiornata alle mode del
tempo e simile alle altre istituzioni sociali. Per renderla bella ed attraente, si tratta di impegnarsi ad
innestare in essa energie nuove, proprio come fa lo Spirito Santo; occorre fare ciò che fa il Signore
Gesù: amare la Chiesa e spendersi per lei. Il tema della strenna di quest'anno trova la sua migliore
esegesi nell'affermazione della lettera agli Efesini, che dice: 'Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se
stesso per lei, al fine di farla comparire tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile,
ma santa e immacolata' (Ef. 5, 25-27). Questo testo è bello, coinvolgente e propositivo; è tutto da
studiare, contemplare e vivere. Il suo senso fondamentale è evidente: Cristo ama la Chiesa, la
purifica, la santifica, la nutre.
Il suo è un amore di benevolenza, non di compiacenza. La Chiesa di cui si parla non è una realtà
ideale e astratta, ma è la Chiesa storica e concreta. Cristo la trasforma per renderla bella, splendente,
vera, santa. Egli si spende per lei, prende l'iniziativa, non si risparmia, al fine di toglierle ogni
macchia e ruga.
Questo è il nostro compito: amare la Chiesa fino a dare noi stessi per lei, così come Cristo l'ha
amata. La bellezza del volto della Chiesa deve riflettere la bellezza del suo Signore, il Cristo
Crocifisso e Risorto.
- la bellezza dell'amore, che nella passione ci rivela il Signore Gesù, 'il più bello tra i figli dell'uomo'
(Sal. 45, 3), 'disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori' (Is. 53, 3), dalle cui 'piaghe noi
siamo stati guariti' (Is. 53, 5c).
- la bellezza dell'amore, che nella risurrezione è capace di far rotolare la pietra che chiude la tomba
e di sedersi sopra di essa, con le bende che avvolgevano il crocifisso per terra e il sudario piegato in
un luogo a parte, inaugurando così la nuova creazione (Mc. 16, 2; Gv. 20, 6-7).
Questa è la bellezza che salverà il mondo e che noi siamo chiamati a far risplendere nella Chiesa.
Non è vanità; è la bellezza dell'amore.
Nostro impegno è anche far sì che la Chiesa rassomigli sempre più alla 'nuova Gerusalemme' (cf.
Ap. 21, 10-23), che discende dal cielo, adorna come sposa per il suo sposo. Far sì che essa sia una
comunità rinnovata dal soffio dello Spirito, che la anima e fa nuove tutte le cose; una comunità
arricchita da molteplici carismi e ministeri, che la mantengono viva e dinamica; una comunità
aperta e accogliente, soprattutto nei confronti dei poveri, ai quali è inviata e tra i quali diviene
credibile e luminosa; una comunità che vive la passione per la vita, la libertà, la giustizia, la pace, la
solidarietà, valori a cui oggi è particolarmente sensibile l'umanità; una comunità che è lievito di
speranza per una società degna dell'uomo e per una cultura ricca di riferimenti etici e spirituali. Far
sì che essa diventi sempre più una Chiesa giovane, nella quale i giovani si trovano a casa, come in
famiglia.
La nuova Gerusalemme è un'immagine che parla di una realtà escatologica, cioè che tocca le cose
ultime, che vanno al di là di ciò che l'uomo può compiere con le sue forze. Questa Gerusalemme
celeste è un dono di Dio riservato per la fine dei tempi. Ma non è un'utopia. - una realtà che può
cominciare ad essere presente fin da ora In ogni luogo nel quale si cerchi di dire parole e di fare
gesti di pace e di riconciliazione, anche provvisori, in ogni forma di convivialità umana che
corrisponda ai valori presenti nel Vangelo, c'è una novità, fin da oggi, che dà ragioni di speranza.
[1]

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Ringiovanire la Chiesa vuol dire farla tornare alle sue origini e alla sua giovinezza; come le Chiese
degli Atti degli Apostoli, delle Lettere di Paolo e dell'Apocalisse, essa vive della forza della Pasqua
e della potenza della Pentecoste, realizza la verità di Cristo e la libertà dello Spirito, si ricorda
'dell'amore di prima' (cf. Os. 2,9). Una Chiesa che torna alle sue radici apostoliche è coraggiosa
nella martyria, cioè nella testimonianza del Signore Gesù e del suo Vangelo, giungendo fino alla
consegna della vita.
- caratterizzata dalla euangelia, ossia dalla comunicazione del Vangelo a tutti; essa esiste per
evangelizzare, come esplicitamente afferma l'Evangelii Nuntiandi, il documento più importante
sull'evangelizzazione, che Paolo VI ha promulgato dieci anni dopo la conclusione del Concilio.
- convocata dalla leitourgia, poiché la salvezza non è una conquista da ottenere, ma una realtà da
celebrare con riconoscenza e da rendere presente ed efficace in ogni tempo e in ogni luogo.
- impegnata nella diakonia, di cui la Gaudium et Spes ha tratteggiato in maniera chiara il
significato: la Chiesa non è signora, ma serva del mondo.Ringiovanire la Chiesa è farla diventare
casa per i giovani. La Chiesa sarà giovane se ci saranno i giovani, soprattutto adesso che cresce la
disaffezione, almeno in alcune parti del mondo, appunto per il volto visibile della Chiesa. Di
conseguenza occorre individuare un cammino mistagogico e pedagogico per condurre i giovani alla
Chiesa e farli diventare Chiesa. A questo punto ritorna ancora una volta illuminante l'icona dei
discepoli di Emmaus, che ci aiuta a intendere la Chiesa come madre e maestra, che si fa compagna
di strada di tutti gli uomini e donne che cercano il senso della vita, li apre alla rivelazione di Dio
nella Scrittura, illumina la loro mente e riscalda il loro cuore, offre la comunione del Corpo di
Cristo, sì da farli diventare comunità. Si tratta di fare della Chiesa la casa di quanti credono in
Cristo risorto e vogliono testimoniare la fede in Lui. La strenna è dunque un invito a fare giovane la
Chiesa e fare che i giovani siano Chiesa.
Giovanni Paolo II, nel suo messaggio per la V Giornata Mondiale della Gioventù del 1990, tra le
altre cose scriveva ai giovani di tutto il mondo: 'Prendete il vostro posto nella Chiesa, che non è solo
quello di destinatari di cura pastorale, ma soprattutto di protagonisti attivi della sua missione. La
Chiesa è vostra, anzi, voi stessi siete la Chiesa'. È un invito per i giovani di ogni latitudine e di ogni
tempo.
Una testimonianza, un modello, un'icona
Cercando di comprendere che cosa vuol dire la strenna, vorrei proporvi una testimonianza, un
modello e un'icona.
Innanzitutto vi presento una testimonianza, che mi è rimasta viva nella mente e nel cuore. Mi ha
fortemente impressionato la testimonianza di don Vecchi durante la malattia, non principalmente
perché si trattava del Rettor Maggiore, ma perché essa era segno dell'identificazione di un uomo
con la volontà di Dio, nel momento in cui questa forse meno coincideva con la sua. Quando la croce
gli si è presentata davanti all'improvviso, senza agenda né calendario, egli ha accolto l'infermità
come ciò che meritasse il suo amore. La sua testimonianza esprimeva l'atteggiamento di un vero
credente, di uno che molte volte aveva consolato altri provati dalla sofferenza e che, giunto il
momento di dare prova della propria fede, ha saputo essere un vero figlio di Abramo, il padre dei
credenti.
Dopo l'intervento chirurgico, don Vecchi aveva alimentato la speranza di un totale ricupero, sorretto
dalla preghiera dell'intera Famiglia Salesiana che lo affidava all'intercessione di suo zio, il Beato
Artemide Zatti. Come buon uomo di governo, aveva tanti piani in mente; ma ha dovuto imparare il

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significato della parola di Gesù a Pietro: 'Quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti
cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi' (Gv. 21, 18b). Così ha accolto la malattia, come una
nuova annunciazione di Dio; e questa lo ha trovato pronto: con l'evoluzione del tumore, egli si
accorgeva che il Signore lo stava preparando per l'incontro definitivo.
Mentre ci trovavamo insieme, durante gli esercizi spirituali, egli chiese di celebrare il sacramento
dell'unzione degli infermi, preceduto da una confessione con don Brocardo. In quella occasione egli
fece la sua professione di fede dinanzi al Consiglio Generale, al direttore della Casa generalizia e ad
altri pochi confratelli:
'Rendo grazie a Dio che mi ha dato nella Chiesa una madre. Lei mi ha fatto nascere come figlio di
Dio. Lei mi ha aiutato a crescere e maturare attraverso la Parola e i Sacramenti. Lei mi ha fatto
scoprire la mia vocazione, il mio ruolo nella Chiesa e nella società. Lei mi accompagna in questo
momento della mia vita. Lei mi attende come vera mamma nel cielo'. Poi aggiunse: 'Adesso affido a
voi la Congregazione. Prendetela in mano e portatela avanti'.
È la testimonianza di un credente, che ha sperimentato la Chiesa come Madre, ha saputo dare prova
della fede e, giunto il momento di affidarsi a Dio, ha detto come Paolo 'Io sono persuaso che né
morte né vita' né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù' (Rm. 8,
38-39).
Vi propongo ora un modello.
Quest'estate sono stato ad Annecy, una città per noi ricca di significato, perché ci parla di San
Francesco di Sales, il modello a cui Don Bosco ha attinto alcuni tratti spirituali e pastorali. Di lui
ricordiamo l'amore alla Chiesa, che lo rese prudente e determinato con i calvinisti, che non gli
lasciarono neppure prendere possesso della sua sede episcopale; lo zelo del buon pastore, che offre
ai suoi fedeli ristoro nei pascoli del vangelo e cerca le pecore perdute; la rinomata bontà, che egli
assunse come metodo pastorale e per la quale divenne noto a tutti, persino ai suoi avversari;
l'umanesimo ottimista, che lo faceva convinto della bontà della creazione e delle energie di bene di
ogni persona, anche se era consapevole delle ferite del peccato; la convinzione che la santità è a
portata di tutti e va vissuta secondo la propria vocazione.
Studiando San Francesco di Sales, scopriamo il suo senso di Chiesa, che scaturisce dal suo
ministero pastorale e dalla sua spiritualità. Egli è per noi un esempio da imitare nell'essere Chiesa e
nel costruire la Chiesa: deciso nelle sue scelte e nel contempo magnanimo nel suo stile. Egli è il
santo patrono, che Don Bosco ha voluto darci come intercessore e modello a cui ispirarci. Per
questo nei vari luoghi visitati ho pregato intensamente, chiedendogli la grazia di ottenerci il suo
stesso amore per la Chiesa e la sua capacità di vincere i suoi nemici con la fede e la bontà.
Vi offro infine una icona.
Si tratta della cappella Redemptoris Mater, quel capolavoro che si trova nel Palazzo apostolico a
Roma e che è l'omaggio fatto dai Cardinali a Giovanni Paolo II, in occasione del giubileo della
nascita di Gesù di Nazareth, Salvatore del mondo. Essa in maniera eloquente ci presenta la Chiesa
come Madre nello stile dell'arte bizantina, traboccante di colori, di luce e di movimento. Quanto mi
piacerebbe che tutti avessero l'opportunità di visitare e di ammirare questa bellissima
rappresentazione iconografica della Chiesa Madre.
Tutto in essa diventa dinamismo e splendore. Il cosmo è ricco di senso e di vita, grazie alla
realizzazione del disegno salvifico di Dio, dalla creazione del mondo sino alla sua consumazione,

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quando tutti saremo tutto in Cristo. In essa ci viene presentata la storia della salvezza, così come
viene narrata dal cantico della lettera agli Efesini (1, 3-14). L'originalità di questa cappella sta nel
fatto che essa è stata concepita come un'icona, che ci parla del disegno di salvezza di Dio e della sua
realizzazione nella Chiesa come suo sacramento. Maria, Madre del Redentore, è nostra Madre
dall'inizio del mondo in Eva, ai piedi della Croce, alla nascita della Chiesa nel Cenacolo, fino alla
fine del mondo come donna gloriosa. Ella è icona della Chiesa nostra Madre.
Chiesa, luce delle genti, mistero e sacramento di salvezza
La Chiesa è chiamata a riflettere lo splendore di Cristo, che è la 'luce delle genti', per illuminare
l'umanità, che da una parte è accecata dal bagliore delle proprie conquiste scientifiche e
tecnologiche e del proprio potere economico, sino al punto di pensare che può e deve prescindere da
Dio, e che dall'altra parte è avvolta nelle tenebre della povertà, dei conflitti sociali, razziali,
interetnici, del relativismo e della confusione morale. La Chiesa ha un ruolo imprescindibile da
giocare oggi, anche se in condizioni mutate; essa non si trova più, come alcuni ancora pretendono,
in quella fase della storia in cui la scienza e la coscienza umana non erano capaci di rispondere a
molte questioni e quindi la Chiesa doveva svolgere un ruolo di supplenza; essa ha il compito di
illuminare l'umanità con il Vangelo.
Le prime parole della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium sono significative ed
esprimono il suo ruolo odierno: 'Essendo Cristo la luce delle genti, questo santo Concilio, adunato
nello Spirito Santo, ardentemente desidera con la luce di Lui, splendente sul volto della Chiesa,
illuminare tutti gli uomini annunziando il Vangelo ad ogni creatura'. Papa Giovanni XXIII aveva
parlato della Chiesa come 'luce delle genti'; utilizzando questa espressione, il Concilio l'applica a
Cristo, che è 'la luce delle genti' che splende sul volto della Chiesa. Così esso riprende le parole
dell'oracolo di Simeone, attribuite al Salvatore (Lc. 2, 32). [2]
Secondo la dottrina conciliare, l'origine della Chiesa precede la storia, poiché essa esiste già nel
disegno primordiale del Padre, che l'ha voluta come sacramento di salvezza. Il Figlio, che vive da
sempre presso Dio, mediante l'incarnazione si è inserito nella storia; così Egli dà anche inizio alla
Chiesa nel tempo. Tuttavia è ritornando all'eternità che Egli diventa il principio di vita e di sviluppo
della Chiesa; la risurrezione gli permette infatti di effondere lo Spirito Santo, che è l'anima di essa.
[3] La Chiesa viene quindi dalla Trinità: 'Ecclesia de Trinitate'.
'La struttura della Chiesa poggia su due fondamenti ugualmente essenziali: Cristo e lo Spirito Santo.
Cristo è sua origine, fine e limite; lo Spirito è la luce che fa risplendere Cristo ai suoi occhi e la
forza che la conduce per suo tramite al Padre. Senza Cristo la Chiesa non sarebbe quello che è;
senza lo Spirito non saprebbe ciò che è'. [4] Cristo è il fondamento della Chiesa; lo Spirito è
memoria di Cristo e coscienza della Chiesa. Lo Spirito svolge una triplice funzione ecclesiale: Egli
è il consolatore durante il tempo dell'assenza fisica di Gesù, alimentando l'attesa della Chiesa che
come sposa attende il ritorno del suo sposo; Egli è l'avvocato nella nostra lotta contro il peccato
personale e sociale; Egli è il maestro che ci ricorda le parole di Cristo e ci rivela la Sua persona.
La vitalità della Chiesa è proporzionale alla fedeltà con cui essa ascolta e segue la voce dello
Spirito. Questi abitando in lei la conduce incessantemente a Cristo, perché, incontrando se stessa in
Lui, si rinnovi mediante la contemplazione amorosa della Sua persona, la meditazione attenta delle
Sue parole, l'attuazione audace del Suo messaggio. Lo Spirito continua a plasmare la Chiesa,
conformandola a Cristo; e la Chiesa si realizza prendendo coscienza di essere fondata su Cristo.
'La prima caratteristica della coscienza della Chiesa è perciò quella di essere mistero, in quanto ha
Dio stesso come contenuto costitutivo e organo vivificante. Lungo i secoli la Chiesa tenterà di

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immergersi sempre più profondamente in questa sua realtà costitutiva, sapendo di non poterla mai
esaurire, anche se si sente sempre più attratta ad essa. [5]
Tale consapevolezza era presente in Paolo VI all'inaugurazione della seconda sessione conciliare:
'Donde parte il nostro cammino, quale via intende percorrere e quale meta vorrà proporsi il nostro
itinerario? Queste tre domande hanno una sola risposta, che qui in questa ora stessa dobbiamo a Noi
stessi proclamare e al mondo annunciare: Cristo! Cristo nostro principio, Cristo nostra via e nostra
guida, Cristo nostra speranza e nostro termine - Mistero è la Chiesa, cioè realtà imbevuta di divina
presenza e perciò sempre capace di nuove e più profonde esplorazioni la coscienza della Chiesa che
si chiarisce nell'adesione fedelissima alle parole e al pensiero di Cristo, nel ricordo riverente
dell'insegnamento autorevole della tradizione ecclesiastica e nella docilità all'interiore illuminazione
dello Spirito Santo'. [6]
La Chiesa non si ferma a contemplare se stessa; si riferisce sempre a Cristo, dal quale le giunge la
vita e del quale sa di dover essere specchio vivente, e allo Spirito, che le dona questa conoscenza e
la conduce per mezzo di Cristo al Padre. La sua contemplazione è un cosciente 'atto di
ringraziamento', è Eucaristia, a Colui che vive in essa nell'attesa di un'accettazione e di una risposta
vitale. [7] quanto scrive l'autore della lettera agli Ebrei per incoraggiare la comunità di credenti,
impauriti per le difficoltà e tentati alla resa, invitandola a fissare 'bene la mente in Gesù, l'apostolo e
Sommo sacerdote della fede che noi professiamo' (Eb. 3, 1), e a 'tenere fisso lo sguardo su Gesù,
autore e perfezionatore della fede' (Eb. 12, 2a).Lo affermava lo stesso Cardinale Giovani Battista
Montini, quando era Arcivescovo di Milano: 'La Chiesa non esiste per essere bellissima e guardarsi
nello specchio dicendo: come sono bella io sposa del Signore; la Chiesa esiste propter nos et
propter nostram salutem' Per questo vedrà di aggiornarsi, spogliandosi se occorre di qualche
vecchio mantello regale rimasto sulle sue spalle per rivestirsi di più semplici forme reclamate dal
gusto moderno'. [8] Da qui deriva il compito che in ogni epoca la Chiesa ha di precisare la
coscienza che essa ha di se stessa, per scoprire gli aspetti da riformare per la salvezza di tutti.
Quando nel Credo diciamo 'Credo la Chiesa', non vogliamo dire che abbiamo fiducia nella realtà
umana della Chiesa, che come tale è limitata e imperfetta, ma che crediamo che Dio si rivela in
questa realtà umana, che è santificata dallo Spirito e costituita da Lui 'Corpo di Cristo' e strumento
di salvezza. Credere la Chiesa è dunque scoprire il suo vero mistero, è credere in Dio che ci rivela
quello che la Chiesa è, significa accoglierla come spazio di salvezza e amarla come tale. [9]
Chiesa, solidale con le gioie e le speranze dell'umanità
La Chiesa vive il suo mistero in ogni epoca storica e si sforza di dare una risposta agli imperativi
del momento, alla luce del passato e con lo sguardo rivolto al futuro. Essa sa di essere al servizio
del mondo, perché è nata da Cristo, 'che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti' (Mc. 10, 45), Il Papa Pio XI diceva: 'Non è il mondo per la Chiesa,
bensì la Chiesa per il mondo'. La Chiesa si deve infatti rapportare al Signore che la chiama, al
mondo cui è inviata, al Regno che promuove nel cuore del mondo.
È interessante evidenziare alcuni fattori esterni e interni, che hanno contribuito a determinare
l'ecclesiologia del Vaticano II. Mi sembra che essi siano bene riassunti da questa riflessione
teologica: 'Negli ultimi 25 anni si sono verificate, nella società e nelle Chiese dell'Occidente
cristiano, trasformazioni tali da costituire problemi molto seri per la cristianità occidentale nella
diffusione del messaggio cristiano. L'espansione economica e scientifica ha seguito un ritmo
vertiginoso. Il modello classico di società è entrato in crisi. Con la ribellione del Terzo mondo verso
ogni forma di neocolonialismo è stata messa in discussione la superiorità dell'Occidente.
All'emancipazione della donna, alla grande diffusione di un nuovo modello di cultura tra i giovani,

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e agli enormi problemi di ordine economico, demografico ed ecologico non possono essere sorde le
Chiese. Al loro interno sono più che mai vive le tendenze verso una maggiore partecipazione di tutti
i membri ai due momenti in cui vengono elaborate e prese le decisioni e verso un dialogo reale con
le altre Chiese e religioni. L'impegno della Chiesa a favore dell'uomo la obbliga a difenderne i diritti
ovunque essi siano violati. Nel continente sudamericano l'episcopato, i teologi e gli uomini di
chiesa hanno fatto l'opzione preferenziale per i 'poveri', intesi in un senso più ampio della sola
povertà economica. I 'poveri' hanno cominciato in questi ultimi anni a partecipare realmente alla
vita politica ed ecclesiale dei paesi latino-americani. Da oggetto di evangelizzazione si sono
trasformati in evangelizzatori'. [10]
Certamente la situazione politica, sociale, economica, culturale e persino religiosa è cambiata
ancora di più in questi ultimi 15 anni, da quando cioè nel 1989 è caduto il muro di Berlino, è finita
la guerra fredda, è emersa una nuova egemonia e si è imposta l'economia neoliberale. La situazione
ha preso poi un altro volto a partire dal 11 settembre 2001, quando il terrorismo di matrice islamica
ha fatto il suo ingresso sul palcoscenico internazionale in forma drammatica; ciò ha portato alcuni a
parlare di 'scontro di civiltà', ma nessuno si azzarda per il momento a dire come si evolverà l'attuale
conflitto. Tuttavia continua ad essere valido l'approccio della Chiesa alla realtà dell'umanità,
considerata come orizzonte e come interlocutrice della sua azione; ancora di più è valida la
prospettiva, inaugurata dalla Costituzione pastorale Gaudium et Spes, di parlare della fede non in
astratto, ma a partire dal vissuto umano e dalle vicende storiche.
Vi sono due nuovi atteggiamenti della Chiesa di oggi, presentati dalla Gaudium et Spes, che
evidenziano la sua coscienza di non essere più signora, ma serva del mondo: l'atteggiamento di
dialogo e il messaggio di ottimismo.
L'atteggiamento di dialogo nasce dal riconoscimento dell'unione fondamentale tra l'ordine della
creazione e quello della redenzione. La Chiesa riconosce pienamente la dignità della natura umana e
i diritti dell'uomo, difende i valori autenticamente umani e coopera con tutti gli uomini e le donne di
buona volontà alla costruzione di un mondo più umano. Con questo atteggiamento di dialogo la
Chiesa partecipa alla ricerca comune di soluzioni ai gravi problemi, che oggi angustiano l'umanità.
In questa collaborazione la Chiesa non si propone come obiettivo di sacralizzare, né tanto meno di
ecclesializzare la società civile, poiché riconosce l'autonomia che, per volontà del Creatore, ha la
realtà temporale. Con la sua azione la Chiesa apporta il dono inestimabile della luce del Vangelo,
con cui è capace di pronunciare parole di valore eterno, laddove finisce la sapienza umana.
Oggi la Chiesa sa che il dialogo le è assolutamente necessario, come espressione del suo mistero di
comunione e di unità nella diversità, come segno leggibile del suo impegno di creare sinergia con le
altre religioni, con le altre chiese cristiane, con tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per
collaborare alla costruzione della 'civiltà della giustizia, della pace e dell'amore'.
Questo comporta il compito di ripensare il contenuto e lo stile del servizio pastorale. Il suo
contenuto è annunciare Gesù Cristo, essere segno della nuova umanità, collaborare alla
trasformazione sociale con tutti gli operatori di bene, denunciare quanto attenta alla dignità della
persona umana. Il suo stile è quello del rispetto della diversità senza pretesa di voler imporre nulla a
nessuno, del dialogo aperto e onesto con tutti, della volontà di servizio senza cedere a compromessi.
Il messaggio di ottimismo, a sua volta, sembra incarnare il vangelo, così come viene sintetizzato
magnificamente da Giovanni: 'Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia vita eterna' (Gv. 3,16). Amare il mondo. Amare
l'umanità. Questo è, in effetti, il messaggio di ottimismo che la Gaudium et Spes ha diffuso nella
Chiesa postconciliare e al quale non è rimasta indifferente l'ecclesiologia postconciliare. La Chiesa

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ha optato per la solidarietà totale con l'umanità e con le sue conquiste, offrendo il senso ultimo che
queste hanno nel piano divino del Creatore.
La diffusione di questo messaggio ha costituito l'impegno principale della Chiesa postconciliare a
livello universale e soprattutto a livello delle Chiese del Terzo mondo. A tale impegno hanno
concordemente partecipato pastori, teologi e semplici fedeli; le tensioni esistenti non hanno mai
messo in discussione questa collaborazione fondamentale; al contrario, sono state fonte di nuove
energie.
Frutto di questi processi di dialogo e ottimismo è il destarsi di una nuova coscienza ecclesiale nelle
grandi masse dei cristiani, che ora si sentono partecipi e, per alcuni aspetti, protagonisti della vita
ecclesiale nelle loro comunità. Inoltre il cristiano comincia ad imparare a farsi uomo con gli uomini,
senza per questo rinunciare alla sua vocazione divina. Ciò gli impone di armonizzare l'impegno
terreno con il suo destino ultraterreno. La sua fede cristiana lo spinge a mettersi al servizio degli
uomini e a scorgere nel più diseredato un fratello da aiutare a liberarsi da ogni oppressione e a
vivere come figlio di Dio. [11]
Oggi risulta ancora assai bello ed entusiasmante il Proemio della Gaudium et Spes, perché conserva
tutta la sua freschezza e forza propositiva; non resisto perciò alla tentazione di trascriverlo, anche
perché le nuove generazioni forse non lo conoscono e sono meno familiarizzate con esso. Non vi
nascondo la gioia e l'entusiasmo per questa visione della Chiesa, che desidero condividere con tutti i
membri della Famiglia Salesiana, in modo che sia comunicata ai giovani, perché la amino e si
consegnino per essa.
Unione della Chiesa con l'intera famiglia umana
'Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti
coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo,
e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è
composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro
pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a
tutti. Perciò essa si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia'.
[12]
A chi si rivolge il Concilio'Per questo, il Concilio Vaticano II, avendo penetrato più a fondo il
mistero della Chiesa, passa ora senza esitazione a rivolgere la sua parola non ai soli figli della
Chiesa, né solamente a tutti coloro che invocano il nome di Cristo, ma a tutti indistintamente gli
uomini, desiderando di esporre loro come esso intende la presenza e l'azione della Chiesa nel
mondo contemporaneo.
Esso ha presente perciò il mondo degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte
quelle realtà entro le quali essa vive; il mondo, che è teatro della storia del genere umano e reca i
segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e
conservato nell'esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del
peccato, ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del maligno, liberato e destinato, secondo
il proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento'. [13] A servizio dell'uomo
'Ai nostri giorni, l'umanità scossa da ammirazione per le sue scoperte e la sua potenza, agita però
spesso ansiose questioni sull'attuale evoluzione del mondo, sul posto e sul compito dell'uomo
nell'universo, sul senso dei propri sforzi individuali e collettivi, ed ancora sul fine ultimo delle cose
e degli uomini. Per questo il Concilio, testimoniando e proponendo la fede di tutto intero il popolo

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di Dio, riunito da Cristo, non può dare dimostrazione più eloquente della solidarietà, del rispetto e
dell'amore di esso nei riguardi della intera famiglia umana, dentro la quale è inserito, che
instaurando con questa un dialogo sui vari problemi sopra accennati, arrecando la luce che viene dal
vangelo e mettendo a disposizione degli uomini le energie di salvezza che la Chiesa, sotto la guida
dello Spirito Santo, riceve dal suo Fondatore. Si tratta di salvare la persona umana, si tratta di
edificare l'umana società. l'uomo dunque, ma l'uomo singolo integrale, nell'unità di corpo ed
anima, di cuore e coscienza, di intelletto e volontà, che sarà il cardine di tutta la nostra esposizione.
Pertanto il santo sinodo, proclamando la grandezza somma della vocazione dell'uomo e affermando
la presenza in lui di un germe divino, offre all'umanità la cooperazione sincera della Chiesa al fine
di stabilire quella fraternità universale che corrisponda a tale vocazione. Non è mossa la Chiesa da
alcuna ambizione terrena; essa mira a questo solo: a continuare sotto la guida dello Spirito Paraclito
l'opera stessa di Cristo, che è venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non
a condannare, a servire e non ad essere servito. [14]
Ecco, miei cari, perché è tanto preziosa la presenza della Chiesa nel mondo. È luce che aiuta a
trovare il disegno di Dio sull'umanità e guida l'intelligenza verso soluzioni pienamente umane. È
lievito che collabora alla trasformazione profonda dell'umanità, innestando in essa energie di bene.
È forza solidale nel compito di edificazione della società attuale. Se è vero che la Chiesa ha bisogno
dell'umanità, di cui fa parte e di cui condivide gioie e speranze, angosce e sofferenze, è ugualmente
certo che l'umanità ha bisogno della Chiesa, chiamata ad essere in essa 'sale della terra', 'luce del
mondo', 'città sul monte'.
La Chiesa esiste per essere segno del Regno di Dio. Per rendere visibile e credibile questo segno, la
Chiesa si deve rinnovare e convertire, ringiovanire e purificare. Per questo essa deve approfondire
le sue scelte fondamentali: la passione per Dio, che la liberi da qualsiasi conformazione al mondo
nei suoi criteri, valori, atteggiamenti, comportamenti; la fraternità e comunione ecclesiale, in modo
che essa possa diventare punto di riferimento per il mondo ed essere attraente e convincente; lo
slancio missionario, che l'aiuti a vincere la paura o timidezza dei discepoli radunati a porte chiuse
nel Cenacolo, e la porti ad annunciare il Vangelo a tutti; l'impegno di servire, sviluppando simpatia
e solidarietà verso tutti; la scelta per i poveri, che sono il suo marchio di identità, qualità, fecondità.
Verso una immagine giovane di Chiesa
Specialmente agli Atti degli Apostoli, che ci presentano l'origine della Chiesa, possiamo attingere
ispirazione, volontà e dinamismo, per impegnarci nel compito inderogabile di ringiovanire la
Chiesa. Come accennavo all'inizio di questa riflessione, negli Atti sono presenti i tratti specifici e
costanti di una Chiesa, che vuole mantenersi fedele al suo Signore ed essere feconda nei confronti
del mondo.
Una Chiesa martiriale
Innanzitutto la Chiesa manifesta una natura 'martiriale', cioè sa dare ragione della sua fede, perché è
chiamata ad essere testimone del Signore Crocifisso e Risorto. Per questo spesso la Chiesa è una
realtà
controculturale, nel senso che è portatrice di un Vangelo che non si addice alla mentalità del
mondo. In questo suo carattere paradossale, che appare molto chiaro nel discorso della montagna
del vangelo di Matteo e nel discorso della pianura del vangelo di Luca, risiede appunto la sua forza
profetica e la sua significatività.

1.10 Page 10

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Certo, il coraggio di opporsi alla mentalità comune, di denunciare modi di agire affermati ma non
per questo meno ingiusti, comporta la solitudine, il rifiuto, in certi casi la persecuzione e persino la
morte, come difatti sperimentano tanti fratelli e sorelle in diverse parti del mondo. Stando a quanto
dice Gesù nel discorso della montagna, in particolare nelle Beatitudini, si potrebbe dire che quando
i credenti non sono in qualche modo perseguitati, disprezzati, emarginati, devono interrogarsi se
non siano venuti meno al loro compito profetico. Chi è complice dei peccati del mondo d'oggi, chi
non crea fastidio, chi non mette in crisi, chi non denuncia i problemi drammatici che ci affliggono e
di cui nessuno vuol parlare, rischia di tradire il Vangelo.
Una fede autentica invece è sempre accompagnata dal martirio, dalla testimonianza vissuta nella
quotidianità, nell'adempimento dei propri doveri, nell'impegno ecclesiale e sociale. Non va
dimenticato che i martiri, di ieri e di oggi, quelli canonizzati e quelli non ufficialmente riconosciuti,
non sono soltanto la gloria della Chiesa, ma anche un punto di riferimento per tutti i credenti,
chiamati a rendere testimonianza della propria fede in qualsiasi circostanza della vita.
Una Chiesa liturgica
In secondo luogo, la Chiesa è una comunità 'liturgica', che celebra la sua fede, fa crescere nuovi
figli attraverso l'iniziazione cristiana, porta il credente alla piena configurazione a Cristo. La liturgia
è una vera scuola di santità, perché trasforma l'esistenza personale e comunitaria in preghiera.
Anche se la disaffezione nei confronti della Chiesa sembra spesso avere origine dalla mancanza di
fascino di tante liturgie, non si può cancellare né il valore né il bisogno di un'autentica vita
celebrativa. Questo, oltre alla necessità di una catechesi liturgica che ci introduca nei misteri e ci
aiuti a maturare nella fede, implica di curare la qualità delle celebrazioni, in modo che siano
semplici e belle, dignitose e feconde.
Nel celebrare dobbiamo recuperare il senso del gratuito e del mistero, le ragioni per la festa, la
dimensione comunitaria. Siamo invitati a dare alla liturgia il luogo che le corrisponde come 'fonte e
culmine della vita cristiana' (SC 10). Qui mi vorrei riferire in particolare all'Eucaristia, sacramento
supremo dell'amore di Cristo e della unione con Lui. Nell'Eucaristia ciascuno riceve Cristo e Cristo
riceve ciascuno. Non possiamo dimenticare che, come diceva De Lubac, 'la Chiesa fa l'Eucaristia, e
l'Eucaristia fa la Chiesa'.
Ciò conferisce all'Eucaristia domenicale un'importanza capitale: essa è un incontro, che irrobustisce
la nostra coscienza di saperci membri di un popolo che cammina per il mondo con lo sguardo fisso
nel cielo. Partecipare alla celebrazione domenicale significa assumere la vita di tutta la settimana
per farla diventare offerta a Dio e testimoniare nella società che per noi Dio è Dio e che Gesù Cristo
è vivo, operante nella nostra comunità. La fedeltà al mandato 'Fate questo in memoria di me' (Lc.
22, 19) si riferisce all'atto liturgico, ma anche al compito di attualizzarlo e prolungarlo nella
consegna della propria vita per la salvezza del mondo.
Dobbiamo imparare a vivere la domenica come giorno della Chiesa, giorno dell'uomo, giorno del
Signore. È particolarmente suggestivo il prefazio X delle domeniche del tempo ordinario, che
presenta questo giorno come anticipo della 'domenica senza fine', quando l'uomo si vedrà
definitivamente libero da ogni lavoro, fatica, lacrima, dalla morte stessa e avrà pace, amore, vita
senza fine.
Da ottobre 2004 ad ottobre 2005 Giovanni Paolo II ha indetto l'Anno dell'Eucaristia, nel quadro di
un progetto pastorale additato nella Novo millennio ineunte, in cui invitava ogni cristiano a 'ripartire
da Cristo', a impegnarsi in una 'misura alta della vita cristiana' ed a esercitarsi nell''arte della
preghiera'. Per noi risulta importante vivere quest'anno in sintonia con tutta la Chiesa. L'Eucaristia 'è

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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il luogo privilegiato dove la comunione è costantemente annunciata e coltivata. Proprio attraverso la
partecipazione eucaristica, il giorno del Signore diventa anche il giorno della Chiesa, che può
svolgere così in modo efficace il suo ruolo di sacramento di unità' (NMI 36).
Una Chiesa evangelizzatrice
Il terzo elemento caratteristico della Chiesa riguarda la sua forza evangelizzatrice e la capacità di
annunciare Cristo e il suo Vangelo. Tertulliano diceva che 'Cristiani non si nasce, si diventa'. [15]
Questa 'è un'affermazione particolarmente attuale, perché oggi siamo in mezzo a pervasivi processi
di scristianizzazione, che generano indifferenza e agnosticismo. I consueti percorsi di trasmissione
della fede risultano in non pochi casi impraticabili. Non si può dare per scontato che si sappia chi è
Gesù Cristo, che si conosca il Vangelo, che si abbia una qualche esperienza di Chiesa. Vale per
fanciulli, ragazzi, giovani e adulti; vale per la nostra gente e, ovviamente, per tanti immigrati,
provenienti da altre culture e religioni. C'è quindi bisogno di un rinnovato primo annuncio della
fede'. [16]
Non va dimenticato che aumenta, almeno in Europa, il numero di famiglie che non chiedono più il
Battesimo per i loro bambini, il numero di ragazzi battezzati che non accedono più agli altri
Sacramenti, il numero di coloro che dopo aver ricevuto il sacramento della Confermazione lasciano
di frequentare la Chiesa.
Torna così più pressante l'appello ad evangelizzare seriamente. Questo oggi si realizza attraverso
un'accoglienza cordiale e gratuita che dispone positivamente le persone alla evangelizzazione, con
l'annuncio esplicito di Cristo come Salvatore del mondo, l'ascolto della parola di Dio, e
l'accompagnamento personale che facilita la maturazione delle persone 'finché non sia formato
Cristo in esse' (Gal. 4, 19).
Lo scopo è di formare discepoli innamorati di Cristo e imitatori fedeli del Signore Gesù, che sanno
che la loro vocazione consiste nell'essere 'sale della terra', 'luce del mondo', 'città sul monte',
insomma uomini e donne che fanno del Vangelo il loro programma di vita e che sono consapevoli
della responsabilità che hanno 'davanti agli uomini'. Per Gesù il discepolo è tanto necessario al
mondo, quanto lo è il sale per conservare i cibi o la luce per vedere. Esiste il pericolo che il
discepolo rinneghi la sua fede. In questo caso il detto di Gesù sul sale manifesta tutta la sua forza,
che potremmo così esprimere: 'Voi siete miei discepoli; ma se il discepolo perde la sua caratteristica
di discepolo, chi gliela potrà ridare? Non serve più a nulla per il mondo. È come un oggetto che si
può buttare via, perché sia calpestato e disprezzato dagli uomini'.
Una Chiesa diaconale
Infine la Chiesa ha una caratteristica 'diaconale'; essa sa che la sua missione è servire il popolo di
Dio e il mondo. Questo compito non è esclusivo del Papa, dei vescovi, preti, religiosi o laici
impegnati, ma di tutti i battezzati che, in ragione del loro Battesimo, condividono la missione del
loro Signore e Maestro. Ciò richiede di imparare a servire, essere attenti ai bisogni degli altri, fare
sempre il primo passo per andare incontro, assumere impegni generosi, diventare apostoli.
I cristiani sono chiamati ad aiutare gli uomini a vincere la disillusione e l'apatia, gioire delle realtà
belle della vita, attivare la capacità di sognare un futuro a misura d'uomo, inventare nuovi rapporti
tra persone e tra Stati, rispettare la natura, porre fine per sempre alla guerra. Forse anche tra i
credenti si annida lo scetticismo di chi non crede che un mondo alternativo all'attuale sia possibile.
La Chiesa non può deludere le attese e le aspirazioni legittime, specialmente quelle più profonde,

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delle popolazioni benestanti o impoverite, affamate o sazie, dell'Occidente o dell'Oriente, del Nord
o del Sud.
Una Chiesa diaconale è solidale con i più poveri, con coloro che non hanno nessun altro difensore
che prenda in mano la loro causa, se non Dio. Quando la speranza anima la vita di chi è povero, Dio
e l'uomo si sono già incontrati, perché solo con l'aiuto di Dio il povero può sperare là dove non c'è
futuro. La speranza dei poveri è già fede che vive. Di questo anche i profeti d'oggi sono
consapevoli. Il loro compito è di riconoscere la fede dei poveri e testimoniare il vangelo
dell'assoluta solidarietà di Dio con loro.
Senso ecclesiale in Don Bosco e nella tradizione salesiana
Don Bosco ha saputo vivere la fedeltà al Signore Gesù, mentre sperimentava quotidianamente la
dolorosa realtà ecclesiale del suo tempo. Il suo senso vivo di Chiesa fu principalmente un
atteggiamento e un'esperienza di collaborazione con tutte le energie e risorse al suo bene. Don
Bosco esprimeva il suo amore alla Chiesa attraverso un trinomio semplice, ma profondo: amore
verso Gesù Cristo, presente principalmente nell'Eucaristia che è l'azione centrale della Chiesa;
devozione a Maria, Madre e Modello della Chiesa; fedeltà al Papa, Successore di Pietro e centro di
unità della Chiesa.
Si tratta di tre elementi inseparabili tra loro, che si illuminano mutamente e trovano la loro
convergenza nella persona di Cristo. Il sogno di Don Bosco, chiamato 'delle due colonne', è una
esemplificazione immediata e suggestiva di queste forze dinamiche, dei tre 'amori' di Don Bosco,
che edificano la Chiesa: Eucaristia, Maria, Pietro. La Chiesa di Don Bosco ha una forma
eucaristica, una figura mariana, un fondamento petrino.
Questo 'sensus Ecclesiae' si presenta in modo ammirevole nella fusione che Don Bosco fece dei
titoli di 'Ausiliatrice' e di 'Madre della Chiesa'. [17] È interessante constatare come Don Bosco
avesse capito molto bene che il rinnovamento della Chiesa doveva passare attraverso una matura
pietà mariana, convinto che si perde il senso della Chiesa Madre là dove si perde il senso della
vocazione materna di Maria. Questo ci fa intravedere lo stretto rapporto che esiste tra la Chiesa
Madre e l'evangelizzazione, tra Maria, la Chiesa e l'azione apostolica. Ciò significa che il 'senso
della Chiesa' deve tradursi quotidianamente in un profondo senso di appartenenza e in un impegno
responsabile come credente.
Nella Lettera Edificante, scritta al ritorno da Roma il 14 giugno 1905, parlando di Don Bosco
modello di attaccamento alla Chiesa, don Rua scrisse: 'Quanti conobbero Don Bosco durante la sua
carriera mortale o ne lessero la vita meravigliosa, mentre ne ebbero ad ammirare le virtù
straordinarie, avranno senza dubbio dovuto convincersi che egli non viveva che per Dio, che in ogni
tempo, in ogni luogo, in ogni benché minima azione era guidato dallo spirito del Signore. Per noi
suoi figliuoli pare quasi impossibile rappresentarci Don Bosco se non col volto acceso di santo zelo
e colle labbra aperte in atto di ripetere il suo motto prediletto: Da mihi animas, caetera tolle.
Credo di non andar errato pensando che
anche voi non potete raffigurarvelo altrimenti che quale perfetto modello di sacerdote, immemore di
se stesso, intento unicamente a procurare la gloria di Dio ed a guidare un gran numero di anime al
cielo. E se noi avessimo vaghezza di domandargli come abbia fatto a sormontare tante difficoltà, a
passare vittorioso tra gli scogli, a continuare imperturbato il cammino tracciatogli dalla Provvidenza
e fondare la sua Pia Società, sembra che egli con quella fisionomia bonaria e sempre raggiante di
carità e dolcezza ci risponda colle parole di S. Paolo: nos autem sensum Christi habemus, quasi

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volesse dirci che mai non pensò né operò secondo i dettami del mondo, e sempre e dovunque si
sforzò di riprodurre in se stesso il divino modello, Gesù Cristo, e così gli venne fatto di compiere la
sua missione.
Né v'era pericolo che egli errasse nella pratica di questo spirito del Signore, poiché in tutto egli
voleva essere guidato da quella Chiesa che è colonna e fondamento della verità. Esaminiamo la sua
vita intera, e noi troveremo Don Bosco premuroso anzitutto di essere sempre ubbidientissimo figlio
della Santa Chiesa, disposto ad ogni sacrificio per propagarne le dottrine e sostenerne i diritti. Non
solo ne osservava le leggi, ma ancora ne preveniva i desideri. Di qui ne viene che noi suoi figli
abbiamo ora la ineffabile consolazione di vedere sancite dalla infallibile Autorità del Sommo
Pontefice molte cose che tanti anni fa Don Bosco, profondo conoscitore dei tempi e sicuro
interprete dello spirito della Chiesa, con zelo instancabile c'inculcava. I fatti lo provano'. [18]
Nella stessa linea, parlando del senso ecclesiale di Don Bosco, don Luigi Ricceri scriveva: 'Il suo
concetto pratico di religione, il suo criterio pastorale di azione, è una visione superpolitica e
superculturale del cristianesimo, concretizzato nella Chiesa che ama vedere fondata su Pietro e gli
Apostoli e sui loro successori, il Papa e i Vescovi: 'Qualunque fatica è poca, diceva, quando si
tratta della Chiesa e del Papato' (MB V, 577). Era la sua una visione radicata nella certezza della
presenza viva dello Spirito Santo nella Chiesa, nella convinzione che il Papa è il Vicario di Cristo
sulla terra, e nella coscienza (e devozione) che la Madonna è l'Ausiliatrice dei Cristiani. In coerenza
con tale senso creò iniziative, illuminò decisioni, accettò difficili compiti, e anche sofferse
incomprensioni e ingiustizie'. [19]
E più in avanti, in quella stessa lettera, don Ricceri stigmatizzava 'un pratico dissenso ecclesiale
(come) atteggiamento di alcuni che prescindono dagli orientamenti del Magistero, magari con
manifestazioni sporadiche e svariate di contestazione pubblica. La loro condotta praticamente
prescinde dal 'dono di illuminazione del ministero' del Papa e dei Vescovi. Alla radice di simile
atteggiamento - da cui Don Bosco era del tutto alieno - suole trovarsi un sociologismo
nell'interpretazione del mistero della Chiesa, che non salva né la sua istituzione divina, né la sua
distinzione dal mondo. Il 'popolo di Dio' in tale prospettiva diviene semplicemente il popolo, e
l'assemblea di base sostituisce l'iniziativa dello Spirito Santo svuotando le mediazioni istituzionali.
Anche questo atteggiamento appare in aperta contraddizione con la prassi di Don Bosco, e del tutto
estraneo alla più chiara tradizione salesiana'. [20]
In seguito, tra i criteri per orientare l'attività salesiana, accanto a quello di curare il realismo della
nostra missione, don Ricceri indica quello di essere solidali con l'opzione della Chiesa. 'Innanzitutto
la Chiesa ha optato da sempre e in forma definitiva per Cristo, il suo Signore, come la sposa per lo
sposo. Ecco il primato assoluto d'amore e di verità che illumina tutta la sua missione e guida la sua
attività. Ma sullo sfondo di questa opzione fondamentale ci sono delle scelte pastorali che la Chiesa
formula nelle differenti situazioni storiche. Di fronte al momento cruciale che il mondo vive, la
Chiesa ha fatto la sua scelta concreta nel Concilio Ecumenico Vaticano II. In tale scelta 'si è rivolta,
non deviata', verso l'uomo d'oggi, lo ha guardato con gli occhi di Dio, dopo aver considerato se
stessa come un 'sacramento' che deve servire alla sua salvezza. Il Concilio ha voluto una sua
presenza utile e liberatrice nella promozione umana; una presenza, però che si concretizza in un
impegno di ordine religioso'. [21]
'Dal nostro amore per Cristo nasce inseparabilmente l'amore per la sua Chiesa', dice l'articolo 13
della Costituzioni dei SDB. Abbiamo ricevuto dal nostro Padre Don Bosco una particolare
sensibilità per quella capacità della Chiesa di costruire 'l'unità e la comunione fra tutte le forze che
lavorano per il Regno'. Lo spirito salesiano ci costituisce come centri di comunione di molte altre
forze e come costruttori e promotori della Chiesa tra i giovani. Per questo dobbiamo esprimere e

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manifestare un singolare amore alla Chiesa mediante una fedeltà dinamica e responsabile ai suoi
insegnamenti, uno sforzo generoso di comunione e di collaborazione con tutti i suoi membri, e
soprattutto con un impegno incondizionato per aprire la Chiesa ai giovani e i giovani alla Chiesa, in
modo che tutti possano trovare in essa il volto di Cristo e i tesori della Salvezza.
Forse nessuno come don Egidio Viganò ha sviluppato nella riflessione e nell'azione questo 'sensus
Ecclesiae'. Egli ne ha parlato esplicitamente presentando la dimensione ecclesiale della devozione a
Maria Ausiliatrice. [22] Nella lettera su 'L'animazione del direttore salesiano' scrisse: 'Il Direttore,
perché prete, deve curare ecclesialmente il significato e gli orizzonti dell'attività pastorale sua e
della comunità; deve saper vivere e far vivere in sintonia e collaborazione con il Papa, con i
Vescovi e con i sacerdoti; promuovere le relazioni con loro, la simpatia, l'amicizia, la stima e la
collaborazione; non per diplomazia o per semplice convenienza, ma perché tutto questo costituisce
un aspetto importante del contenuto del suo servizio alla comunità salesiana'. [23]
Nella lettera 'La nostra fedeltà al successore di Pietro' don Viganò ci dice che 'tra le componenti di
una spiritualità giovanile salesiana c'è appunto un forte 'senso di Chiesa' con appositi atteggiamenti
da creare, da sviluppare e da tradurre in esperienza vissuta'. [24] Nella stessa lettera poi egli li
concretizza in alcuni punti particolarmente strategici: il concetto di Chiesa come 'Mistero', che aiuta
a superare visioni ecclesiologiche minimaliste o devianti; l'immagine del Papa quale primo e
supremo Pastore, contro ogni visione sociologica; l'inclusione dei contenuti del magistero del Papa
nelle nostre attività di evangelizzazione, contro un'adesione semplicemente affettiva o sentimentale
ma non operativa; l'accoglienza, in vista del carattere pastorale e pedagogico della vocazione
salesiana, delle direttive morali e dell'insegnamento sociale del Papa, per contestare il
permissivismo e l'egoismo della cultura odierna. [25]
Come Famiglia Salesiana, noi lavoriamo con la Chiesa e per la Chiesa; cerchiamo di 'sentire cum
Ecclesia'; apparteniamo alla Chiesa; viviamo nella Chiesa; siamo Chiesa. Potremmo esprimere
questo 'sensus Ecclesiae', che portiamo inscritto nel nostro carisma, con una dossologia
ecclesiologica: 'Per la Chiesa, con la Chiesa, nella Chiesa, a Te Dio Padre onnipotente, per mezzo
del Figlio, nello Spirito ogni onore e gloria, per tutti i secoli dei secoli. Amen'.
Per una pedagogia dell'essere Chiesa e vivere con la Chiesa
Dicevo all'inizio che il nostro compito è quello di far innamorare gli altri della Chiesa, specialmente
i giovani. Questa è una sfida più che mai importante, appunto perché qua e là si percepisce una
tendenza sempre più grande a vivere un cristianesimo senza Chiesa. Vi sono cristiani che non hanno
rinunciato al rapporto con la Chiesa, ma che non appartengono e che non si identificano con
nessuna comunità; essi sono simili a coloro che gironzolano per un supermercato e fra le diverse
offerte scelgono quelle che più loro aggradano.
Sappiamo che l'identificazione con Cristo è sempre anche un'identificazione con il suo Corpo, con
la sua Chiesa, con coloro che gli appartengono. Questo è un criterio di verifica di autentica identità
cristiana. Ma allo stesso tempo l'appartenenza alla Chiesa ha senso soltanto come strumento di
appartenenza a Cristo: il nostro sì a lei è espressione del nostro sì a Lui. Ebbene, secondo il testo
citato di Paolo agli Efesini, questa identificazione si realizza attraverso il battesimo e la vita
sacramentale, si codifica nella professione di fede, si vive nell'orientamento della vita cristiana, si
esprime nella preghiera.
La domanda cruciale è allora come educare i giovani ad essere Chiesa e a vivere con la Chiesa. In
un mondo sempre più plurale, secolarizzato, relativista, la formazione dei credenti richiede una
chiara e significativa testimonianza della comunità cristiana, in modo che possa offrire ai giovani

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un'immagine evangelica della identità della Chiesa e della sua missione nel mondo. Essa domanda
anche un cammino di fede, in particolare una solida catechesi, che aiuti a maturare la loro coscienza,
in modo che possano aprirsi a tutto ciò che è umano, armonizzare le loro scelte con quelle della
madre Chiesa, rendere testimonianza della propria fede, insomma identificarsi con Colui che si è
identificato con noi, sì da essere figli del Padre e fratelli degli uomini.
Siamo consapevoli che la testimonianza della comunità ha una forza notevole di credibilità e di
sostegno; si educa alla fede con ciò che si è e si vive, più che con ciò che si dice e si insegna. Il
cammino di educazione dei giovani alla Chiesa comincia con un impegno sincero della comunità
ecclesiale ad approfondire le sue opzioni fondamentali, cioè la passione per Dio che la raduna per
mezzo di Cristo nello Spirito, la fraternità tra tutti i battezzati, la preoccupazione evangelizzatrice,
la volontà di servizio alla società, la priorità verso i più poveri.
Seguendo queste grandi opzioni la comunità cristiana scopre le vie per convertirsi e per resistere
alle diverse tentazioni di oggi: la tentazione di piegarsi senza discernimento evangelico ai criteri,
valori, atteggiamenti e comportamenti di una società, che tende ad erigersi come idolo seducente
per i credenti; la tentazione della paura che sovente ci rinchiude tra le mura della Chiesa, con un
atteggiamento di sfiducia e persino di rivendicazione davanti alla società; la tentazione
dell'individualismo e della passività, della rincorsa agli onori e al denaro, della paura di essere
emarginata con gli emarginati.
In questo sforzo di conversione la nostra identità ecclesiale deve essere sempre più trasparente, per
divenire significativi, per rendere visibile e credibile quanto annunciamo. Perciò le nostre opere di
qualsiasi tipo, scuole, centri di formazione professionale, università, case di accoglienza,
parrocchie, oratori, centri giovanili, città dei ragazzi, devono avere come primo scopo
l'evangelizzazione, l'annuncio della buona novella della salvezza che Dio vuole dare a tutti nel suo
Figlio Gesù.
La gestione professionale delle opere e la serietà per portare avanti un programma nelle attività che
svolgiamo non deve oscurare mai il primato che corrisponde all'evangelizzazione. 'Prive di uno zelo
struggente per il vero Dio, la teologia e la pastorale si ridurrebbero a pura tecnica ed attività
organizzativa. Anche la Chiesa deve cacciare sempre dal tempio i mercanti: 'Portate via queste cose
e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato'(Gv. 2, 16)'. [26]
Non va dimenticato che le strutture, che sono necessarie per la missione, corrono sovente il rischio
di oscurarla, quando non c'è un'anima che le faccia splendenti. Mi domando se la crescente
difficoltà ad identificarsi con la Chiesa non sia anche conseguenza del fatto che essa in alcune parti
venga percepita come non seriamente preoccupata di solidarizzare con i più bisognosi, come non
identificata con la sofferenza del mondo, come troppo chiusa e sicura di se stessa.
Nel cammino per rendere più significativo il volto della Chiesa, si devono curare i segni che la
esprimono e la manifestano. Molte persone scoprono e sentono la Chiesa attraverso i segni che di
essa trovano nella vita quotidiana; tali segni possono suscitare nuovi legami o fortificare quelli già
esistenti, possono congelare o indebolire o rilanciare i movimenti di avvicinamento alla Chiesa. Per
questo è importante che la comunità cristiana faccia crescere i segni della Chiesa.
Vi sono alcuni segni privilegiati, che aiutano l'adesione dei giovani alla Chiesa: il segno
dell'accoglienza cordiale ed evangelica, che manifesti un atteggiamento di apertura gratuita, di
ascolto incondizionato, di volontà sincera di servizio; il segno della qualità umana e cristiana dei
servizi di assistenza, educazione, cura pastorale; il segno della verità della vita liturgica e della
preghiera della comunità cristiana, che si esprima in una celebrazione orante, partecipativa, curata,

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in sintonia con i problemi e le situazioni della società; il segno dei pastori che vivano una vita
evangelica pervasa dalla passione per Dio, con una capacità di accoglienza e di sintonia con la
gente, soprattutto con i giovani e i poveri, un servizio gratuito, un impegno sincero per la
comunione. Attraverso questi segni i giovani sono introdotti all'esperienza di Chiesa ed aiutati ad
aprirsi ad essa.
Insieme alla testimonianza, è urgente promuovere tra i giovani un cammino di fede che porti ad
incontrarsi personalmente con Cristo, a vivere la vita sacramentale, ad inserirsi sempre più
consapevolmente nella Chiesa, a conoscerla ed amarla, a impegnarsi in essa e vivere per essa. Una
delle aree del cammino di fede dei giovani riguarda appunto la crescita verso una intensa
appartenenza ecclesiale; anche la spiritualità giovanile salesiana propone un'esperienza di
comunione ecclesiale. Questo è l'impegno fondamentale della comunità cristiana e in concreto delle
nostre comunità educative; l'attenzione al cammino di fede dei giovani esprime la maternità della
Chiesa, che si prende cura dei suoi figli e li aiuta a crescere. Questo richiede alcune specifiche
scelte.
Far conoscere la Chiesa
Occorre aiutare i giovani a superare un'immagine parziale della Chiesa, spesso vista soltanto nei
suoi aspetti istituzionali, come se fosse una organizzazione sociale e politica simile alle altre,
oppure identificata con la gerarchia, o al contrario ridotta ad una realtà puramente spirituale,
individuale e ideale. Questo richiede un'accurata catechesi sulla Chiesa secondo le linee offerte
dalla Lumen Gentium e dalla Gaudium et Spes, ma anche una introduzione alla vita concreta della
Chiesa, facendo conoscere i suoi progetti, le sue preoccupazioni, le sue migliori iniziative, persone e
comunità significative. Un'informazione fidata, positiva e continua contribuirebbe certamente a
promuovere una conoscenza più reale e più significativa della Chiesa.
Far crescere il senso di Chiesa
Si tratta di sviluppare nei giovani il senso di appartenenza ad essa: noi apparteniamo alla Chiesa ed
essa appartiene a noi. Siamo stati convocati da Gesù a formare la sua famiglia e a continuare
insieme la sua missione nella storia. Non può esistere una coscienza chiara della propria identità
cristiana senza il senso vivo di appartenenza alla comunità cristiana. Ciò richiede pure di sviluppare
atteggiamenti di apertura, dialogo e simpatia verso l'uomo, come ha fatto la Chiesa nel Concilio
Vaticano II, che ha cercato di comprendere le situazioni dell'umanità e di collaborare con tutti gli
uomini e le donne di buona volontà al compito di costruire un mondo più umano.
Questo si impara e si verifica nella vita familiare e sociale; la propria famiglia e i propri ambiti di
vita devono essere scuola e laboratorio di comunione. 'Essere cristiano importa un nuovo modo di
essere uomo; esige una conversione, quella proprio richiesta dal Vangelo, da Cristo' In questa
prospettiva l'intervento dell'educatore cristiano, del pastore di anime, mira alla formazione di una
certa disposizione di spirito, che non è solo conoscenza, ma in cui a questa si uniscono
atteggiamenti che includono l'inclinazione della volontà, della emotività, della sensibilità, di tutto
l'uomo, verso l'integrazione tra un fatto di esperienza e un punto di riferimento fisso o abituale; è
l'adesione di fede al piano di amore e di sa
lvezza di Dio in Gesù Cristo'. [27]
Per questo nel cammino di educazione al senso di Chiesa è importante formare la coscienza sociale
dei giovani attraverso la Dottrina sociale della Chiesa, sia per imparare a vivere la dimensione
sociale e politica della fede, sia per rendersi più solidali con i problemi che assillano la vita di tanti

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uomini e donne nel mondo che vivono in situazioni inumane, e per generare volontari, apostoli e
missionari.
Far fare esperienza di Chiesa
Il senso di Chiesa e di appartenenza non si crea in forma astratta, ma attraverso l'esperienza della
vita cristiana nelle diverse situazioni della persona, incominciando dalla famiglia, chiamata a
ragione da Paolo VI la Chiesa domestica, e continuando nella parrocchia, in cui si realizza
normalmente l'esperienza di comunione di fede, di speranza, di carità. Nel caso nostro noi facciamo
esperienza di Chiesa con i giovani nei diversi tipi di Comunità Educative Pastorali, che devono
essere segno di fede, scuola di fede, centro di comunione e partecipazione, 'fino a poter diventare
una esperienza di Chiesa' (Cost. 47).
Si tratta allora di irrobustire la propria comunità di fede in tutte le espressioni educative pastorali,
per farle diventare lievito di trasformazione sociale. È quanto testimoniano i sommari degli Atti
degli Apostoli: 'Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna,
nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni
avvenivano per opera degli apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e
tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà o sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti,
secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il
pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la stima di
tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che si erano salvati'
(At. 2,42-47). A partire dalla vita delle comunità, si impose una cultura alternativa all'impero
romano e un modello sociale caratterizzato non dall'ansia di possedere, ammassare ed essere i
primi, ma dalla volontà di condividere, servire ed essere solidali.
Questo richiede anche di qualificare i momenti della vita ecclesiale, come sono il battesimo, la
catechesi, la partecipazione all'Eucaristia, l'ascolto della Parola, l'accesso al sacramento della
Riconciliazione, gli incontri di gruppi e di comunità, i ritiri e le celebrazioni dei momenti forti
dell'anno liturgico, i momenti di convivenza e di fraternità, il contatto con il territorio, ecc. Nulla si
deve banalizzare; tutto può e deve favorire la maturazione del senso ecclesiale.
Far trovare la vocazione nella Chiesa
Il cammino di educazione alla fede deve aiutare a passare dalle buone disposizioni d'animo alle
convinzioni salde, da queste alle motivazioni trainanti, poi ai progetti di vita, quindi alla consegna
totale a Dio e agli altri. Ecco che cosa significa amare la Chiesa e consegnarsi per essa. L'amore alla
Chiesa si manifesta anche in questa capacità di lasciarsi afferrare da Cristo, al punto di rinunciare ai
propri interessi e progetti e mettersi completamente a sua disposizione per continuare nella propria
persona la sua opera di costruzione del Regno. L'adesione alla Chiesa, resa possibile dalla
conoscenza della sua realtà, sviluppata da un progressivo senso di appartenenza ad essa ed
accresciuta con concrete esperienze ecclesiali, matura nell'impegno vocazionale.
'Chi ai nostri giorni si pone a servizio della Chiesa dovrà essere convinto, fin nelle più nascoste
pieghe della sua esistenza, della possibilità di mostrare all'uomo, anche in mezzo ad un mondo
secolarizzato ed ateo, le orme di Dio nella storia e nella propria vita. Questo impegno ad essere
testimoni viventi dell'esperienza di Dio nel nostro mondo deve animare e pervadere i diversi campi
di attività e settori di lavoro pastorale in cui si traduce ogni ministero o servizio' Oggi più che in
passato è vero dunque che Dio ha bisogno degli uomini'. [28]

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Faccio auguri che tutti noi possiamo amare, seguire ed imitare Gesù con l'ardore, la convinzione e
la fedeltà delle grandi colonne della Chiesa, San Pietro e San Paolo. Così potremo confessare
pubblicamente la nostra fede e il nostro amore come loro due: 'Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti
amo' (Gv. 21, 17); 'Signore, da chi andremo? solo tu hai parole di vita eterna' (Gv. 6, 68); 'So a chi
ho dato la mia fiducia' (2 Tim. 1, 12); 'Vivo nella fede nel Figlio di Dio che mi ha amato sino a
consegnarsi per me' (Gal. 2, 20). Allora la nostra fede si tradurrà in carità operativa e diventerà
testimonianza credibile e convincente.
Auspico che tutti noi possiamo raggiungere il traguardo cui è arrivata Santa Teresa di Gesù
Bambino: 'Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel
cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l'amore, e in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà
in realtà'. [29]
A mo' di conclusione: come i colori dell'arcobaleno
Finisco raccontando una leggenda indigena americana, All the Colors of the Rainbow, che mi
sembra un appello a mettere insieme quanto di meglio c'è in noi per creare qualcosa di bello,
luminoso, affascinante e, al tempo stesso, significativo, come può esserlo un arcobaleno.
La Chiesa è la comunità dei discepoli di Gesù, che ricordano e fanno presente il suo amore all'uomo
e il suo impegno di offrire pienezza di vita. Per essere credibili ed efficaci, abbiamo però bisogno di
lasciar da parte la nostra autosufficienza e di mettere in comune le nostre potenzialità e risorse, fino
ad essere una Chiesa giovane, senza macchia né ruga né alcunché di simile, ma bella e splendente.
'Raccontano che un giorno i colori del mondo incominciarono a litigare: ognuno di loro pretendeva
di essere il migliore, il più importante, il più utile, il favorito.
Il Verde disse:
- 'Certamente il più importante sono io, segno di vita e di speranza. Sono stato scelto per l'erba, gli
alberi, le foglie. Senza di me tutti gli animali morirebbero. Guardate la campagna: mi vedrete
dappertutto'.
L'Azzurro l'interruppe:
- 'Tu pensi soltanto alla terra, ma considera il cielo e il mare. L'acqua è il fondamento della vita, le
nuvole la portano su dal mare profondo. Il firmamento offre spazio e pace e serenità. Senza la mia
pace, tutti voi non sareste niente'.
Il Giallo ridacchiò:
- 'Voi siete tutti troppo seri. Io porto la risata, l'allegria e il calore nel mondo. Il sole è giallo, la luna
è gialla, le stelle sono gialle. Ogni volta che tu guardi un girasole, il mondo intero incomincia a
sorridere. Senza di me non ci sarebbe la gioia'.L'Arancione fece risuonare la sua tromba:
- 'Io sono il colore della salute e della forza. Posso essere scarso, ma sono prezioso perché servo i
bisogni della vita umana. Io porto le vitamine più importanti. Pensate alle carote, alle zucche, alle
arance, ai manghi e alle papaie. Non sono continuamente in giro, ma quando riempio il firmamento
all'aurora o al tramonto, la mia bellezza è così impressionante che nessuno fa più caso a voi'.
Il Rosso non poté trattenersi oltre e gridò:

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- 'Io sono il capo di tutti voi. Io sono sangue e la vita è sangue. Sono il colore del pericolo e del
coraggio. Sono disposto a lottare per una causa. Io porto fuoco nel sangue. Senza di me la terra
sarebbe vuota come la luna. Sono il colore della passione e dell'amore, della rosa rossa, della
poinsezia (la stella di natale) e del papavero'.
Il Porpora si tirò su fino alla sua massima altezza. Era veramente alto e parlò con grande dignità:
- 'Io sono il colore della sovranità e del potere. Re, capi e vescovi hanno scelto sempre me, perché
sono segno di autorità e di sapienza. La gente non mi mette in discussione, si limita ad ascoltarmi e
ad ubbidirmi'.
L'Indaco parlò, molto più tranquillamente di tutti gli altri, ma con maggior decisione:
- 'Badate a me. Sono il colore del silenzio. Difficilmente avvertite la mia presenza, però senza di me
voi tutti diventate superficiali. Io rappresento il pensiero e la riflessione, il crepuscolo e l'acqua
profonda. Voi avete bisogno di me per l'equilibrio e il contrasto, per la preghiera e la pace
profonda'.
E così i colori continuarono a vantarsi, ognuno convinto della propria superiorità. La discussione si
andò facendo sempre più forte e aspra. All'improvviso ci fu un sorprendente flash di fulmine
brillante e scoppiò un tuono. Poi incominciò a piovere a dirotto. I colori si accovacciarono pieni di
timore, avvicinandosi l'un l'altro per conforto.
In mezzo al clamore, la Pioggia iniziò a parlare: 'Colori insensati, state lì a lottare tra voi, ciascuno
cercando di dominare sugli altri. Non sapete che ognuno è stato fatto per uno scopo speciale, unico
e differente? Unite le mani e venite da me'.
Facendo come era stato detto loro, i colori si unirono e si presero per mano. La Pioggia continuò:
'D'ora innanzi, quando piove, ognuno di voi si stenderà lungo il firmamento in un grande arco di
colore come memoriale che tutti voi potete vivere in pace. L'arcobaleno è un segno di speranza per
il domani'.
E così, ovunque la pioggia bagna il mondo e un arcobaleno appare nel firmamento, ricordiamoci di
apprezzare gli altri, di darci la mano, di creare comunione e di essere un segno di speranza per
l'umanità'. [30]
A Maria, la Madre di Dio, sotto la cui protezione intraprendiamo questo nuovo anno 2005, affido
ognuno e ognuna di voi, carissimi membri della Famiglia Salesiana, educatori e giovani del mondo.
Ella, la Madre della Chiesa, ci insegni ad essere e a saper formare discepoli diletti e annunciatori
gioiosi del suo Figlio. Ella ci aiuti a riconoscere la Chiesa come nostra Madre, che sempre ci genera
e ci rigenera nella fede.
Con affetto e riconoscenza, in Don Bosco.
Don Pascual Chávez Villanueva,
Rettor Maggiore
[1] C.M. MARTINI, Perché la Bibbia è il libro del futuro dell'Europa, Cesano Boscone, 9 maggio
2004.

2.10 Page 20

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[2] Cf. J. GALOT, Il Cristo Rivelatore, fondatore della Chiesa e principio di vita, in Vaticano II -
Bilancio e prospettive, venticinque anni dopo 1962-1987, a cura di R. LATOURELLE, Cittadella,
Assisi 1987, pp. 343-360.
[3] Ivi, p. 347.
[4] O. GONZÁLEZ, La nuova coscienza della Chiesa, in La Chiesa del Vaticano II, Opera
collettiva diretta da G. BARAÓNA, Vallecchi, Firenze 1965, pp. 238-239.
[5] Ivi, p. 240.
[6] PAOLO VI, Discorso di apertura del secondo periodo del Concilio, 29 settembre 1963, in
Enchiridion Vaticanum 1, EDB, Bologna, 1993, nn.143-145.150.153.
[7] Cf. O. GONZ&aACUTE;LEZ, La nuova coscienza della Chiesa, op. cit., p. 241.
[8] G.B. MONTINI, Discorsi e scritti milanesi, vol. III: 1954-1963, a cura di G. E. MANZONI,
Istituto Paolo VI, Brescia, 1997, p. 930.
[9] Cf. Seguir a Jesucristo en esta Iglesia, Lettera pastorale dei Vescovi di Pamplona e Tudela,
Bilbao, San Sebastián e Vitoria, Quaresima - Pasqua di Resurrezione 1989, pp. 13-16.
[10] A. ANTON, L'Ecclesiologia postconciliare: speranze, risultati, prospettive, in Vaticano II -
Bilancio e prospettive venticinque anni dopo 1962-1987, a cura di R. LATOURELLE, Cittadella,
Assisi 1987, p. 363.
[11] Cf. A. ANTON, op. cit., pp. 386ss.
[12] Gaudium et spes, n. 1.
[13] Gaudium et spes, n. 2.
[14] Gaudium et spes, n. 3.
[15] TERTULLIANO, Apologetico, 18, 4.
[16] CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario delle Parrocchie in un
mondo che cambia. Nota pastorale, Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana, Numero 5-6, 1
luglio 2004, p. 140.
[17] G. BOSCO, Meraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice,
Torino 1868, in Opere edite, vol. XX, Editrice Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, pp.
198-199.
[18] M. RUA, Lettera Edificante. Lo spirito di D. Bosco Vocazioni Buona Stampa, 14 giugno 1905,
dalle Lettere Circolari, Edizione Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, pp. 384-385
[19] L. RICCERI, I Salesiani e la responsabilità politica, in Lettere Circolari di don Luigi Ricceri
ai Salesiani, Edizione Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma, p. 942.
[20] Ivi, p. 951.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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[21] Ivi, pp. 951-952.
[22] E. VIGANÒ, Maria rinnova la Famiglia salesiana di don Bosco, ACG 289, Roma 1978.
[23] E. VIGANÒ, L'animazione del direttore salesiano, ACG 306, Roma 1982, p. 12.
[24] E. VIGANÒ, La nostra fedeltà al Successore di Pietro, ACG 315, Roma 1985, p. 26.
[25] Cf. E. VIGANÒ, La nostra fedeltà al Successore di Pietro, ACG 315, Roma 1985, pp. 26-30.
[26] K. LEHMANN, Vale la pena rimanere nella Chiesa e vivere per essa, in J. RATZINGER - K.
LEHMANN, Vivere con la Chiesa, Queriniana, Brescia 1978, p.36.
[27] L. MACARIO, Appartenenti a Cristo nella Chiesa - Note di pedagogia ecclesiale, in AA.VV. In Ecclesia,
LAS, Roma, 1977, p. 487.
[28] K. LEHMANN, Vale la pena rimanere nella Chiesa e vivere per essa, in J. RATZINGER - K.
LEHMANN, Vivere con la Chiesa, Queriniana. Brescia 1978, p.33-34.
[29] Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 229.
[30] All the Colors of the Rainbow, Basata su una originale Leggenda Americana, presentata da
Leon Orb, 2 giugno 2004.