Strenna-it|Strenna 2007: Per una vera cultura della vita umana


COMMENTO DEL RETTOR MAGGIORE


Carissimi fratelli e sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana,

a conclusione dell’anno 2006, che è stato un anno di grazia per la Famiglia Salesiana, con il magnifico dono della dichiarazione dell’esercizio delle virtù eroiche di Mamma Margherita, con cui è stata dichiarata Venerabile, ed all’inizio del 2007 che si apre davanti a noi ricco di speranza, mi pongo in comunicazione con voi, come faceva Don Bosco, augurandovi pienezza di vita in Cristo, mentre vi consegno il programma spirituale e pastorale per quest’anno, che ha appunto come tema la vita.


  1. Introduzione


La strenna dell’anno scorso ha suscitato nella Famiglia Salesiana un grande entusiasmo e ha dato origine ad una moltitudine di iniziative. Con la strenna di quest’anno vorrei dare continuità ai percorsi iniziati ed allo stesso tempo aprire nuovi orizzonti.

Nel corso del 2006, che avevamo dedicato all’impegno per la famiglia, abbiamo vissuto il grande avvenimento ecclesiale del V Incontro Internazionale della Famiglia, nel quale è stato riaffermato il valore dell’amore e della vita umana, di cui la famiglia costituisce l’ambito privilegiato. Le parole del Papa, rivolte a centinaia di migliaia di partecipanti, tra cui molti membri della Famiglia Salesiana, infondono speranza e ci impegnano a proseguire il nostro cammino in difesa della vita e per il rinnovamento della famiglia, culla della vita e dell’amore.

Al tempo stesso, però, abbiamo vissuto avvenimenti drammatici, in cui abbiamo conosciuto ancora una volta il disprezzo per la vita umana: le guerre in Iraq e nel Medio Oriente, la violenza terrorista, l’avanzata inarrestabile dell’emigrazione, l’abuso e lo sfruttamento di bambini e di donne, le leggi che approvano la sperimentazione sulle cellule embrionali, ecc.

Tutto questo ci fa vedere che il grande dono della vita oggi si trova minacciato, come affermava il venerato Giovanni Paolo II rivolgendosi ai giovani nella VIII Giornata Mondiale della Gioventù: «Col trascorrere del tempo, le minacce contro la vita non vengono meno. Al contrario, acquistano dimensioni enormi. Non si tratta solo di minacce che provengono dall’esterno, dalle forze della natura o dai “Caino” che assassinano gli “Abele”; no, si tratta di minacce programmate in modo scientifico e sistematico. Il secolo XX sarà considerato un’epoca di attacchi massicci contro la vita, una serie interminabile di guerre e una distruzione permanente di vite umane innocenti. I falsi profeti e i falsi maestri hanno ottenuto il maggior successo possibile».1

Di fronte a tale realtà non possiamo rimanere indifferenti, soprattutto come membri della Famiglia Salesiana, animata dallo spirito dell’umanesimo di S. Francesco di Sales, che Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso come preziosa eredità educativa. È un umanesimo che ci fa valorizzare, difendere e sviluppare tutto il positivo presente nella vita delle persone, nelle cose e nella storia, credere nella forza del bene ed impegnarci a promuoverlo più che a lamentarci del male, amare la vita e tutti i valori umani che in essa si incontrano.2

Dobbiamo sentirci interpellati dal Dio amante della vita. Se la vita umana sgorga dallo Spirito stesso di Dio, se è soffio divino, se siamo stati creati a sua immagine e somiglianza, necessariamente sulla nostra esistenza aleggia l’amore divino. Dio ama tutti gli esseri. Non può odiare nulla di quanto ha creato amorosamente.

Contro ciò che possono pensare coloro che vivono con l’oscura convinzione che Dio costituisca una minaccia per l’essere umano ed una presenza opprimente, che occorre eliminare per vivere e godere più pienamente dell’esistenza, noi vogliamo proclamare la nostra fede in Dio come il miglior amico dell’uomo e il difensore più sicuro della sua vita. Così si è manifestato lungo la storia di Israele e così si esprime l’autore del libro della Sapienza.

Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato; se avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. E come potrebbe sussistere una cosa, se tu non volessi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita; poiché il tuo spirito incorruttibile è in tutte le cose. Per questo castighi poco alla volta i colpevoli e li ammonisci, ricordando loro i propri peccati, perché, rinnegata la malvagità, credano in te, Signore(Sap 11,24-12,2).

Dio dà la vita per amore, la mantiene nell’amore e la destina ad amare. Ed è l’amore di Dio che ci spinge ad amare la vita, a promuoverla con un servizio responsabile, a difenderla con speranza, ad annunciarne il valore ed il senso, specialmente ai giovani più deboli e indifesi, a quanti vanno alla deriva tra il vuoto e l’inquietudine.

Per questo propongo a tutta la Famiglia Salesiana di lasciarsi guidare da questo Dio amante della vita e dal suo amore per la vita e di impegnarsi con decisione nella difesa e nella promozione di essa.

In un momento in cui la vita è particolarmente minacciata, come Famiglia Salesiana ci impegniamo a:

  • assumere con gratitudine e con gioia la vita come un dono inviolabile,

  • promuovere con passione la vita come un servizio responsabile,

  • difendere con speranza la dignità e la qualità di qualsiasi vita, soprattutto di quella più debole, povera e indifesa.

Questa strenna vuol essere una “riaffermazione precisa e ferma del valore della vita umana e della sua inviolabilità, ed insieme un appassionato appello a tutti e a ciascuno, in nome di Dio: rispetta, difendi, ama e servi la vita, ogni vita umana! Solo su questa strada troverai giustizia, sviluppo, libertà vera, pace e felicità!”.3


  1. Ambiguità della cultura attuale della vita


Papa Benedetto XVI diceva ai sacerdoti della Diocesi di Roma: «Credo che, in certo modo, è questo il nucleo della nostra pastorale: aiutare a fare una vera opzione per la vita, a rinnovare il nostro rapporto con Dio come il rapporto che ci dà vita e ci mostra il cammino per la vita».4

Il nostro primo sforzo dev’essere orientato, dunque, a cercare di discernere alcune delle gravi contraddizioni della cultura del nostro tempo, cogliere gli interrogativi che pone il modo di vivere dell’uomo contemporaneo, valorizzare quel che c’è di positivo nella vita moderna per potenziarlo e denunciare la “cultura di morte” che minaccia l’esistenza dell’essere umano e del suo mondo.


Il valore della vita umana proclamato e difeso, ma anche aggredito e minacciato.

L’uomo moderno ha acquisito, indubbiamente, una consapevolezza molto più viva della dignità della persona umana e dei suoi diritti inviolabili. Oggi, si reagisce vigorosamente contro la pena di morte, la tortura, i maltrattamenti o qualunque offesa che degradi la persona. Le legislazioni moderne e i provvedimenti sociali raccolgono in molteplici modi questa esigenza di rispetto della persona e di difesa della vita umana.

Ma sarebbe un errore ignorare le sopraffazioni che si continuano a commettere contro ciò che si proclama socialmente e ciò che viene codificato nelle leggi. La vita umana viene eliminata prima del parto mediante azioni abortive; e lo stesso succede in situazioni più o meno terminali, in virtù di una malintesa “pietà” verso l’ammalato o di una proclamata “morte dignitosa” o eutanasia.

È uno scandalo che grida al cielo l’esistenza di numerosi bambini e bambine maltrattati o abusati sessualmente, di donne costrette a prostituirsi, sfruttate e schiavizzate da gruppi organizzati al servizio del mercato del sesso.

Particolarmente desolante è lo spettacolo di tante persone, specialmente giovani, prese nel vortice della droga, del consumo dell’alcool, o che si danno ad uno stile di vita sventato, disordinato e irresponsabile.

In una società ed in un mondo sempre più sviluppati, in cui le possibilità di una vita dignitosa sono sempre più abbondanti, cresce, ciò nonostante, il numero di persone escluse, costrette a vivere al limite della sussistenza, nazioni e interi continenti sfruttati e dimenticati, come se si trattasse di esseri di seconda categoria.


Qualità di vita: una meta ambigua.

Per molto tempo la preoccupazione dei popoli si è concentrata nell’assicurare le condizioni fondamentali ed indispensabili per riuscire a sussistere. Era l’unico obiettivo cui si poteva aspirare, quando non vi erano quasi risorse per aspettarsi molto di più. Da qualche anno in qua la qualità di vita è diventata una nuova meta della società e degli individui.

Questa preoccupazione per la qualità della vita può condurre a conseguenze molto diverse, a seconda dell’intento che la anima: se è ispirata da una volontà umanitaria di sviluppare le condizioni più favorevoli all’espansione e allo sviluppo di una vita dignitosa per tutti gli esseri umani, oppure se diventa un’esigenza in se stessa assoluta, di ispirazione utilitaristica ed edonistica, in base alla quale si misura, si valuta e persino si giunge ad escludere dalla vita coloro che non raggiungono un determinato livello. In tal modo si introduce una divisione, per esempio tra malati che vengono curati con ogni tipo di mezzi ed ammalati con scarsa qualità di vita (certi disabili, anziani senza famiglia, ammalati cronici, ecc.) che possono essere trascurati ed ai quali si può, al limite, negare una terapia più efficace. Ci sono vite che sono ritenute meno importanti o meno utili, vite che sono di troppo e che arrivano al punto di essere percepite come una minaccia per il benessere degli altri e per questo vengono eliminate.

Per consentire a pochi un’alta qualità di vita, con mentalità edonistica e consumista, si sta favorendo il degrado e la distruzione dell’ecosistema planetario (inquinamento nelle sue diverse forme, cambio climatico, crisi delle risorse idriche, riduzione della biodiversità, ecc.), favorendo un modello di sviluppo non sostenibile e che compromette gravemente il futuro di tutta l’umanità.


Crescita dell’aggressività distruttiva.

Insieme a tanti segni che dimostrano come stia crescendo la stima per la vita umana, la considerazione per ogni vivente e il rispetto dell’ambiente naturale, aumentano purtroppo anche le manifestazioni di violenza sempre più grave e distruttiva. Pensiamo alle guerre e al commercio di armi che le sostiene, che continuano ad accumulare migliaia di vittime innocenti; così pure i crudeli combattimenti tra popoli ed etnie, che obbligano intere popolazioni ad abbandonare le proprie abitazioni e a cercare rifugio fuori della propria patria; così la crescente violenza xenofoba contro gli immigranti, che vengono considerati un pericolo e una minaccia, sfruttati negando loro i diritti più fondamentali.

Esistono anche altre forme di violenza che provengono da un atteggiamento anti-vita, mosso da esperienze di frustrazione delle aspirazioni più profonde della persona; cresce allora in essa l’ostilità, il rifiuto e l’odio alla vita e agli atri; si distruggono le cose, si maltrattano le persone, si danneggia gratuitamente… Tale violenza domina molte volte nelle bande giovanili o in gruppi che promuovono azioni violente nelle strade, ecc.


Una cultura anti-vita


L’aspetto che desta maggiore preoccupazione è il diffondersi di una forma di pensare, di valutare e di comportarsi che appare come normale, presentata a volte persino sotto specie di difesa della libertà, e che più che difendere e promuovere la vita la sta conducendo verso il deterioramento, lo svuotamento e, al limite, verso la sua stessa eliminazione. È ciò il Papa Giovanni Paolo II chiamava una “cultura di morte”: “Siamo di fronte – scriveva – a una realtà più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall’imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera ‘cultura di morte’…. Si scatena così una specie di ‘congiura contro la vita’. Essa non coinvolge solo le singole persone nei loro rapporti individuali, familiari o di gruppo, ma va ben oltre, sino ad intaccare e stravolgere, a livello mondiale, i rapporti tra i popoli e gli Stati”.5


Di fronte a questa situazione ci sentiamo profondamente interpellati come educatori, che vogliono aiutare i giovani a scoprire e promuovere il valore assoluto di ogni vita, soprattutto della vita umana. Ecco alcune di queste sfide e interpellanze:

Il fondamento ultimo del valore assoluto di ogni vita umana.

Perché ogni vita umana merita di essere difesa e rispettata sempre ed in qualunque situazione e circostanza? Ci sono vite che valgono più delle altre?

Dove si trova il criterio per una qualità di vita veramente degna della persona umana?

La sfida della promozione della vita per tutti, soprattutto per i più deboli e indifesi.

È umano che proprio la grande sensibilità dell’uomo contemporaneo nei confronti di una vita più piena e migliore si converta molte volte nella maggiore minaccia per la vita dei più deboli e indifesi?

La sfida dell’evangelizzazione in questo contesto e in questa cultura.

Come affrontare questa cultura contraria alla vita ed annunciare in essa il “Vangelo della vita” come forza risanatrice e vivificante per tutti?

Come promuovere nelle nostre comunità, tra i giovani e nella Famiglia Salesiana uno stile di vita secondo la proposta di Don Bosco, che porti tutti ad amare, valorizzare, difendere e promuovere la vita come dono e come servizio?


  1. Coinvolgimento della Famiglia Salesiana nella difesa della vita.


Questa visione della realtà non sarebbe realistica se non mettessimo in risalto i molti sforzi, impegni e realizzazioni che stanno compiendosi in tutte le parti del mondo da parte dei diversi gruppi della Famiglia Salesiana. Come esempio, voglio presentarvi alcune delle iniziative più comuni e significative nella nostra Famiglia, mentre, allo stesso tempo, vi invito a conoscere, valorizzare e sviluppare le risorse, iniziative e possibilità già esistenti in ogni paese o regione. Ecco un elenco, certamente incompleto, di iniziative che attestano l’impegno della Famiglia Salesiana per la vita:

  • I movimenti di solidarietà suscitati di fronte alle grandi sciagure accadute in questi ultimi anni (“tsunami”, terremoti, inondazioni, incendi, attentati, guerre…), che dimostrano la disponibilità e la sensibilità di tanta gente, soprattutto di quella semplice, per rispondere con generosità alle necessità degli altri e per difendere la vita dei più poveri, dando loro speranza e futuro.

  • L’accoglienza quotidiana di tanti giovani in situazione a rischio, ragazzi di strada, giovani disoccupati, ecc., da parte di migliaia di educatori, che con grande generosità e senso salesiano impiegano la loro vita per aiutarli a superare la loro situazione di emarginazione e di rischio e poter affrontare con maggior qualità il loro futuro.

  • I vari programmi di aiuto ai rifugiati e agli immigranti che la Famiglia Salesiana porta avanti in diversi paesi, impegnandosi nella loro accoglienza ed educazione e nell’aiutarli ad integrarsi positivamente nella nuova cultura.

  • Le iniziative in corso nell’Africa, come i programmi “Stop au SIDA!” e “Love matters”, per venire incontro al dramma dell’AIDS che attanaglia questo provato continente, condannando a morte milioni di persone e lasciando nel contempo milioni di orfani. La Famiglia Salesiana mette in atto strategie preventive orientate a informare professionalmente i giovani sul tema e a formare le loro coscienze, consapevoli che questa pandemia non si vince con i profilattici ma con un’efficace educazione.

  • Le migliaia di educatori ed educatrici che nelle diverse opere e presenze salesiane sono impegnati nell’educazione dei giovani, preparandoli affinché possano inserirsi nel mondo del lavoro.

  • L’ingente lavoro umanitario, educativo e di evangelizzazione che si compie nelle missioni, e che costituisce molte volte una delle poche possibilità di difesa della vita e di promozione umana integrale per migliaia di persone e per intere popolazioni.

  • L’impegno profuso nelle missioni con una ingente attività orientata non solo a preservare l’esistenza di popoli indigeni, ma soprattutto al loro sviluppo, al loro riconoscimento pubblico, sociale, con i loro propri diritti di lingua, cultura, cosmovisione, organizzazione sociale, rappresentanza politica.

  • Il lavoro di tante famiglie che con difficoltà, ma con dedizione e generosità, sono impegnate in uno sforzo quotidiano di educazione e di difesa della vita.

  • Il volontariato nelle sue diverse forme: sociale, missionario, vocazionale.

E tante altre iniziative e realtà, che giorno per giorno stanno costruendo una rete che sostiene un grande numero di persone minacciate e in pericolo, e promuovono con decisione e generosità l’impegno di costruire uno stile di vita più umano, solidale ed evangelico, creando in tal modo la “cultura della vita”.

Credo che con questa grande quantità e qualità di gruppi di persone possiamo e dobbiamo affrontare le grandi sfide che ci presenta oggi la difesa della vita. La strenna è uno stimolo ad approfondire la propria vocazione alla vita, un invito ad unire le forze ed a proseguire nei nostri impegni per poter rispondere con creatività e dinamismo alle enormi sfide.



  1. Il Dio che ama la vita


Dalle prime pagine del libro della Genesi fino all’ultima pagina del libro dell’Apocalisse, la Sacra Scrittura manifesta la fede e la convinzione profonda del Popolo di Dio che la vita proviene da Dio e bisogna viverla davanti a Lui, che la tutela e la protegge. È una benedizione di Dio, che fa brillare in questo dono il suo amore e la sua generosità. È il maggiore dei beni che Dio può concedere.

Per questo, la prima cosa da fare è quella di godere di vivere. Il primo comando che riceviamo da Dio è quello di vivere; un comando che non è scritto su tavole di pietra, bensì scolpito nel più profondo del nostro essere. Il nostro primo gesto di obbedienza a Dio è quello di amare la vita, accoglierla con cuore grato, curarla con sollecitudine, sviluppare tutte le possibilità che sono racchiuse in essa.

La Bibbia mette continuamente in risalto il rapporto diretto della vita con Dio. La vita dell’uomo viene da Dio; è, come rilevava Giovanni Paolo II, “un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura”.6 Dio è l’unico Signore della vita; l’uomo non può disporre di essa. Vita e morte sono nelle mani di Dio: “Egli tiene in suo potere l’anima di ogni vivente e il soffio di ogni carne umana” (Gb 12,10). Ogni vita viene da Dio e Dio la protegge. Non crea l’uomo per lasciarlo morire, ma affinché viva (cfr. Sap 2,23).

Proprio per questo il Dio della vita è il “Dio dei poveri”, che riescono appena a sopravvivere; è il “Dio della giustizia”, che difende coloro che sono minacciati dagli abusi e dalle ingiustizie dei forti e dei potenti (cfr. Codice dell’Alleanza, in Es 21,1-23,9). Solo il Dio fedele alla vita può rivelarsi lungo la storia come difensore della vita del povero, del debole, della vedova, dello straniero, dell’indifeso. Conoscere questo Dio significa praticare la giustizia che dà vita e lottare contro l’ingiustizia che uccide. Credere in Lui vuol dire promuovere la solidarietà con chi soffre e muore abbandonato. Ascoltare la sua voce è aprire l’orecchio e il cuore alla sua costante chiamata: “Cosa hai fatto di tuo fratello?” (cfr. Gn 4,9-10).

Il Dio che già nell’Antico Testamento si rivelava come “amico della vita”, si è incarnato in Gesù Cristo. In Lui i discepoli hanno potuto vedere coi loro occhi e toccare con le loro mani Colui che è “Parola di vita” (cfr. 1 Gv 1,1). Le sue parole e i suoi gesti sono orientati a promuovere, fin d’ora, vita e salute nell’essere umano. Infatti fu questo il ricordo che rimase di Gesù nella prima comunità: “Dio ha consacrato in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, che passò facendo del bene e sanando tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38).

Per Gesù la vita è un dono prezioso, “più del nutrimento” (Mt 6,25). Salvare una vita prevale anche sul sabato (cfr. Mc 3,4), perché “Dio non è un Dio dei morti, ma dei viventi” (Mc 12,27). La difesa della vita umana è un’idea centrale nel programma del Regno. I due aspetti – la proclamazione del Regno e la cura per la vita dell’uomo – integrano il contenuto della sua attività messianica, così come appare sempre nei racconti evangelici: “Gesù andava attorno per tutta la Galilea … proclamando il vangelo del Regno, guarendo ogni malattia e ogni infermità tra il popolo” (Mt 4,23; 9,35; Lc 6,18). Anzi, l’attività guaritrice è quella che meglio caratterizza il Messia. È lì dove più immediatamente si manifestano le opere dell’inviato di Dio: “I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri” (Mt 11,5).

Anche nel vangelo di Giovanni la vita è il valore centrale. Gesù è portatore e garante di una vita “eterna” e definitiva, cioè una vita che Dio comunica ai suoi figli e che avrà la sua consumazione ultima al di là di questo mondo. Per questo l’evangelista ci presenta Cristo come “il pane della vita” (Gv 6,35.48), “la luce della vita” (Gv 8,12); “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “la risurrezione e la vita” (11,25), a tal punto che ogni uomo o donna “che crede in lui, anche se muore, vivrà” (Gv 11,25).

Questa vita eterna può essere sperimentata già fin d’ora dal credente: “chi crede ha vita eterna” (Gv 6,47); chi ascolta la sua parola “ha vita eterna … ed è passato dalla morte alla vita” (Gv 5,24); “chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha vita eterna ed egli lo risusciterà nell’ultimo giorno” (Gv 6,54). Ma l’esperienza fondamentale che garantisce l’apertura e l’orientamento della nostra vita attuale verso questa salvezza eterna è sempre l’amore: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3,14).

Gesù non solo apprezza la vita e la difende, ma anche dona la sua stessa vita come servizio supremo di amore affinché l’umanità non termini nella morte e nella distruzione definitiva. “Io do la mia vita… Nessuno me la toglie. Io la do volontariamente. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla” (Gv 10,17-18). Se Gesù dona se stesso fino alla morte non è certamente perché disprezzi la vita, ma perché ama tanto la vita e la vuole per tutti, anche per i più infelici e disgraziati, e la vuole definitiva, piena ed eterna.

Questa “vita crocifissa” per amore è “scandalo e stoltezza” secondo i modelli di vita oggi vigenti nella società. Ma dal punto di vista della fede cristiana, essa costituisce il criterio ultimo di ogni vita che voglia essere pienamente umana e non sfigurata o alterata dall’egoismo, dalla mancanza di solidarietà, dall’ingiustizia. Anzi, questa “vita crocifissa” è per i credenti la rivelazione suprema dell’amore di Dio per l’uomo e della sua stima e difesa della vita umana: è il “Vangelo della vita”.

Questo vangelo culmina nella resurrezione. Il Dio che risuscita Gesù è un Dio che mette vita là dove gli uomini mettono morte. Così predicano gli apostoli: “Voi l’avete ucciso… ma Dio lo ha risuscitato” (At 2,23-24). Colui che crede in questo Dio risuscitatore, “Dio dei vivi”, comincia ad amare la vita in modo radicalmente nuovo e con un amore totale. La fede pasquale spinge il credente a mettersi dalla parte della vita dovunque questa si veda lesa, oltraggiata o distrutta. La sua lotta contro la morte non nasce solo da qualche imperativo etico, ma dalla fede in questo Dio risuscitatore, che vuole che l’uomo partecipi per sempre alla sua stessa vita divina. Raggiunge qui il suo culmine la verità cristiana sulla vita: «La sua dignità non è legata solo alle sue origini, al suo venire da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino di comunione con Dio nella conoscenza e nell’amore di Lui. È alla luce di questa verità che sant’Ireneo precisa e completa la sua esaltazione dell’uomo: ‘gloria di Dio’ è, sì, ‘l’uomo che vive’, ma ‘la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio’».7


  1. Lasciamoci guidare dall’amore di Dio per la vita


L’amore di Dio per la vita ci stimola all’impegno: a testimoniare, proclamare ed amare il valore della vita umana. Giovanni Paolo II ha scritto: “È necessario far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle pieghe più recondite dell'intera società”.8 Tale annuncio comporta di proporre con chiarezza e decisione il carattere inviolabile della vita.

La vita dell’essere umano è fragile, precaria ed effimera, ma è una realtà sacra e inviolabile. Dio ha infuso il proprio alito nell’uomo, lo ha creato “a sua immagine e somiglianza” (Gn 1,27). Nessuno può disporre della vita a proprio capriccio, né della propria né dell’altrui. Questa vita ricevuta da Dio è il fondamento della dignità costitutiva e indistruttibile di ogni uomo, il primo valore su cui si basano e si sviluppano tutti gli altri valori e diritti.

Il comandamento di Dio è chiaro e inequivocabile: “Non uccidere” (Es 20,13). Anche se formulato in modo negativo, esso esprime il senso fondamentale del valore della vita e continua a stimolarci a riaffermarlo oggi.

Di fronte ai numerosi attentati contro la vita, oggi acquista un’importanza decisiva il compito di promuovere un’educazione più sensibile al valore della vita, al suo rispetto e alla sua difesa; un’educazione capace di offrire una visione integrale della vita e della salute e di apportare senso etico alla persona. Le nuove generazioni hanno bisogno di incontrare genitori ed educatori che siano dei veri “maestri di vita”. Hanno bisogno che si insegni loro ad essere grati per la vita, a vivere in modo sano e moderato, ad assumere la responsabilità della propria esistenza, a costruirla, ad integrare fallimenti, difficoltà, rinunce, sofferenze, a celebrare la vita e il Dio che ce la dona, a viverla nell’amore e nella dedizione.

Per assolvere questo compito è necessario ricordare la vocazione e la missione della famiglia. La sua responsabilità educativa sgorga dalla sua stessa natura e dalla sua specifica missione; il fatto, cioè, di essere comunità di vita e di amore e di essere destinata a “custodire, rivelare e comunicare l’amore”.9 La famiglia annuncia il vangelo della vita soprattutto educando i figli alla venerazione per la vita, ad essere riconoscenti per il dono di Dio.

Si tratta di un lavoro attento di formazione della coscienza morale. Con la sua parola e la sua testimonianza, nelle relazioni e nelle decisioni quotidiane, la famiglia può insegnare, educare ed aiutare a vivere i grandi valori della libertà, del rispetto agli altri, dell’accoglienza, del dialogo, del senso della giustizia, della solidarietà, della dedizione di se stesso. In questo modo, con fiducia e coraggio, i genitori educheranno i figli ai valori essenziali della vita umana.



  1. Don Bosco amante e promotore della vita per i giovani, soprattutto i più poveri


Per noi, membri della Famiglia Salesiana, l’amore e l’impegno per la vita trova in Don Bosco un modello e un maestro.

Fin da ragazzo Don Bosco dimostra una grande vitalità; impara da sua madre, mamma Margherita, a scoprire la bellezza della natura e della vita; sa godere dello splendore del paesaggio, delle colline e dei campi in fiore che attorniano i Becchi, contempla ammirato le notti stellate, si affeziona ad un uccellino, che segue con tenerezza. In tutte queste cose sua madre gli insegna a scoprire l’opera di Dio creatore che si prende cura dei suoi figli, la sua sapienza e la sua infinita potenza e soprattutto il suo amore. In tal modo Giovanni si apre ad una visione positiva e provvidenziale della vita, sa godere dei momenti semplici della vita contadina ed affrontare, senza scoraggiarsi, le difficoltà che trova fin da giovane nella sua stessa casa. Con questo spirito cerca di comunicare la gioia ai suoi compagni, intrattenendoli nei giorni festivi con una grande varietà di giochi; ma è mosso sempre da un intento educativo: renderli migliori ed aiutarli a compiere i doveri del buon cristiano. Ancora giovane studente a Chieri, fonda con i suoi amici la “Società dell’allegria”, la cui prima norma era precisamente quella di stare sempre allegri e procurare di non offendere mai il Signore.

Da sacerdote, percorrendo le strade di Torino e visitando le carceri, Don Bosco comprende che i giovani cercano la felicità, desiderano godere della vita, sentirsi accolti ed apprezzati; e se a volte vivono la loro aspirazione seguendo vie sbagliate che li conducono fino al carcere, non è perché siano cattivi, ma perché non trovano persone che credano in loro e che li aiutino a sviluppare positivamente le proprie energie e qualità. Per questo Don Bosco impegna la sua vita a loro favore e crea con essi un ambiente positivo di vita, in cui possano sperimentare la gioia di vivere, con ampie possibilità di giocare e di divertirsi, di formarsi e di trovare lavoro, di sentirsi amati, accettati e valorizzati in un clima di famiglia. Il gioco, la musica, il teatro, le escursioni e le passeggiate sono per Don Bosco strumenti importanti di educazione e cammino per conquistare il cuore e in questo modo aiutare questi giovani a sviluppare le migliori qualità, a sentirsi capaci di fare il bene e di rendersi utili agli altri e alla società. E in questo modo Don Bosco li porta a conoscere ed a vivere l’amicizia con Gesù Cristo.

Possiamo dire che Don Bosco vive con i suoi giovani a Valdocco una vera pedagogia della vita, della gioia e della festa; li invita, anzi, ad impegnarsi essi stessi a promuovere tra i compagni questo ambiente. Scrive nella biografia di Francesco Besucco: «Se vuoi farti buono pratica tre sole cose e tutto andrà bene (…) Eccole: Allegria, Studio, Pietà. È questo il grande programma, il quale praticando tu potrai vivere felice e far molto bene all’anima tua». La gioia è caratteristica essenziale dell’ambiente familiare ed espressione dell’amorevolezza, risultato logico di un regime basato sulla ragione e su una religiosità, interiore e spontanea, che ha la sua sorgente ultima nella pace con Dio, nella vita di grazia.10 Per questo la gioia è per Don Bosco non solo un mezzo per rendere accettabile la serietà dell’educazione. ma una forma di vita che tiene conto della realtà del ragazzo e del suo desiderio di vivere; Don Bosco lo capisce e vuole che si realizzi pienamente, comprende che l’esigenza più profonda del giovane è la gioia di vivere, la libertà, il gioco, l’amicizia. Ma soprattutto Don Bosco come sacerdote crede profondamente che il cristianesimo non è una religione di proibizioni, ma, al contrario, è la religione della vita, della felicità, dell’amore; per questo mediante la pedagogia della festa e della gioia apre i giovani a Gesù Cristo, li conduce ad un rapporto personale di amicizia con Lui. Di fronte ad un’immagine di vita cristiana che questi giovani ricevevano dalla società del loro tempo come di una vita triste, carica di rinunce e di proibizioni, una vita poco adatta alla gioventù, Don Bosco propone loro una forma di vita cristiana felice e gioiosa.

Don Bosco santificò il lavoro e la gioia. Era il santo della giovialità cristiana, della vita cristiana attiva e gioiosa … In questo consiste la sua vera originalità. “In uno slancio geniale della sua carità piena di comprensione umana, convinto delle naturali e oneste esigenze della gioventù e della vita sana, Don Bosco santificò insieme col lavoro la gioia, la gioia di vivere, di operare, di pregare”.11

Don Bosco vive e sa comunicare a tutti i suoi figli, collaboratori ed amici una visione positiva e integrale della vita; crede nella bontà e nella dignità di ogni persona umana, soprattutto di ogni giovane, in special modo del più povero e pericolante; scriveva: «L’educatore deve persuadersi che tutti o quasi tutti questi cari giovani hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che loro vien fatto, ed un cuore sensibile, facilmente aperto alla riconoscenza».12 Perciò crede nella capacità di ricupero di ogni giovane, nell’efficacia del lavoro educativo, quando è vissuto con dedizione generosa e si segue il metodo della ragione e dell’amorevolezza.

I giovani abbandonati e devianti dovevano essere aiutati a trovare il più elementare senso della vita; ciò esigeva di stimolare in loro il desiderio di vivere, per guadagnarsi col lavoro e col sudore della fronte i mezzi per mantenere, essi ed i loro familiari, una vita dignitosa. Per quelli che vivevano carenze affettive Don Bosco si proponeva di creare un ambiente ed una ricca rete di rapporti familiari e di amicizia, capaci di ricomporre una vita affettiva piena di intense implicazioni operative ed emozionali.

Don Bosco inoltre era convinto che la fede cristiana e l’amicizia con Gesù Cristo costituiscono l’energia più forte ed efficace per sostenere lo sforzo educativo e per condurre ad uno stile di vita gioioso e felice qui sulla terra e garantire una felicità per sempre nella vita eterna. Per questo collocava – e lo proclamava con chiarezza – l’obiettivo educativo supremo nella santità; non come una meta per alcuni privilegiati, ma come ideale proposto a tutti, come diceva nella ‘buona notte’ che spinse Domenico Savio ad assumere l’impegno della santità: «È volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; e un gran premio è preparato in cielo a chi si fa santo».13

È costante in lui, prete ed educatore, la volontà di valorizzare e di sviluppare quanto vi è di positivo nella vita e nel cuore di ogni persona, di promuovere una vita cristiana capace di gustare e valorizzare ciò che di umano, di positivo e di nobile esiste nella vita di ogni giorno e nel cuore delle persone, anche delle più disgraziate, sforzandosi allo stesso tempo di aprire l’educazione e la cultura a Gesù Cristo, convinto che solo in Lui può essere pienamente salvata.14

Seguendo quindi Don Bosco, come Famiglia Salesiana siamo chiamati a testimoniare e ad annunciare che la vita umana è sacra ed inviolabile, e che perciò non solo non deve essere soppressa, ma dev’essere positivamente protetta e difesa. Il valore della vita è parte integrante del vangelo di Gesù. In una cultura e una civiltà che minaccia radicalmente la vita, la Famiglia Salesiana di Don Bosco dev’essere particolarmente sensibile ad un servizio educativo che curi e accolga tutta la vita e la vita di tutti 15; capace specialmente di accompagnare e proteggere, oltre alla vita nascente, la vita minacciata di tanti giovani che si dibattono nella povertà, nell’emarginazione, nella sofferenza, nel vuoto di ideali e del nonsenso. È soprattutto per la vita di questi giovani che siamo chiamati ad essere “segni e portatori dell’amore di Dio”16.



  1. Impegno della Famiglia Salesiana a favore della vita


La Chiesa ha ricevuto il vangelo della vita ed è mandata ad annunciarlo ed a farlo divenire realtà. Tale vocazione e missione richiede l’azione generosa di tutti i suoi membri, anche della Famiglia Salesiana. Insieme, dobbiamo sentire “il dovere di annunciare il vangelo della vita, di celebrarlo nella liturgia e nell’intera esistenza, di servirlo con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione”.17

Di fronte a tante solenni proclamazioni a favore della vita, che coesistono accanto a profondi atteggiamenti anti-vita, il nostro servizio educativo-pastorale deve testimoniarne ed annunciarne il valore, impegnarsi a difenderla ed a promuovere un’autentica cultura della vita.


    1. Difendere il valore di ogni vita umana


La vita umana si è vista sempre circondata da pericoli, minacciata di violenza e di morte. Oggi le minacce alla vita non solo non sono diminuite, ma stanno acquistando dimensioni allarmanti, venendo addirittura programmate in forma sistematica e scientifica. A volte si arriva al punto di considerare espressione di progresso e di civiltà la morte provocata violentamente.

Persistono le antiche minacce, frutto dell’odio, della violenza o di interessi contrapposti (omicidi, guerre, massacri), aggravate dall’incuranza e dalla mancanza di solidarietà. Accanto a queste forme, c’è la violenza esercitata contro milioni di esseri umani che tirano avanti a malapena e muoiono di fame, il commercio scandaloso di armi che continua nonostante tante denunce, lo scompenso degli equilibri ecologici, la diffusione della droga, gli incidenti dovuti al traffico, gli attentati terroristici, che causano vere e proprie stragi nell’umanità. Dalle sue fasi iniziali fino ai momenti terminali la vita umana soffre l’incomprensibile assedio degli esseri umani stessi.

Di fronte all’attuale suo oscuramento, è quanto mai necessario e urgente difendere il valore inviolabile e sacro di ogni vita umana. Per questo dobbiamo promuovere tra noi e nei giovani un atteggiamento positivo verso la vita. Ciò presuppone di:

Considerare la vita come un dono.

Spesso la vita è ritenuta un prodotto della capacità e del potere dell’uomo, più che un dono di Dio. Questa mentalità puramente produttiva induce facilmente una sottile discriminazione nei confronti delle vite indesiderate, scomode o ‘improduttive’: bimbi non nati, anziani, handicappati fisici o mentali, vite difettose. Considerare la vita un dono porta a viverla in atteggiamento di gratitudine, di lode e di profonda gioia, ad impegnarsi a prenderne cura e ad amarla, cercando di svilupparne tutte le virtualità positive.

Promuovere una visione integrale della vita.

Per tutti gli esseri umani la vita è molto più che il semplice benessere materiale o il progresso economico; la vita è un percorso verso la realizzazione personale, una realizzazione che abbraccia non solo l’attività materiale, economica o sociale, ma anche il progresso nella vita spirituale. La difesa della vita richiede di assumere la responsabilità di prendersi cura, amare e sviluppare tutte le possibilità della vita e della natura, per condurle alla loro pienezza ed all’autentica qualità umana. Vivere con una visione integrale della vita richiede anche di superare l’attivismo esagerato, che ci impedisce di curare altri aspetti importanti della vita come l’incontro personale e l’amicizia, il silenzio e la contemplazione, la gioia e la bellezza, il servizio gratuito.


    1. Proteggere la vita dei poveri


Preziosa e degna di rispetto è ogni vita umana. Ne consegue che si giustifica non solo la vita sana, utile, felice, ma anche la vita sminuita, la vita nel dolore e nella malattia, quella del bambino non nato e quella dell’anziano invalido. Non solo è preziosa la vita dei potenti; lo è anche la vita dei poveri e degli abbandonati.

Come figli e figlie di Don Bosco ci sentiamo particolarmente chiamati a proteggere e prenderci cura della vita di tanti giovani che devono aprirsi un cammino nella povertà, ai margini della società del benessere. Dobbiamo essere capaci di immaginare e di creare nuove forme di presenza missionaria nel mondo dell’emarginazione e dell’esclusione. Ecco alcuni suggerimenti concreti:

Cura dei giovani a rischio.

Ogni presenza salesiana deve impegnarsi a rispondere alle crescenti sfide che ci presentano i giovani che vivono nell’emarginazione o in situazioni a rischio: ragazzi di strada, senza famiglia o lontani da essa, giovani senza formazione e senza lavoro; gli immigrati, soprattutto i giovani che arrivano soli, senza la loro famiglia; giovani esposti alla delinquenza o vittime dello sfruttamento sessuale, e tante altre situazioni degradanti, in cui la vita umana è esposta al pericolo e offesa.

È nostro compito accogliere questi giovani, aiutarli a recuperare l’amore alla vita e i valori autentici, educarli e formarli in modo da potersi inserire positivamente nella società, accompagnarli nel loro inserimento nel mondo del lavoro, sviluppare la loro apertura a Dio come elemento centrale di umanizzazione, annunciare loro Gesù Cristo e orientarli verso un rapporto personale con Lui, in uno stile di vita cristiana semplice, gioioso, positivo e adatto ad essi.

Accompagnamento ed aiuto a famiglie in difficoltà.

Una cura particolare meritano le famiglie che vivono gravi tensioni o che già sono spezzate, famiglie che incontrano enormi difficoltà per educare i loro figli, e altre in situazioni di disagio. In risposta alla strenna dell’anno scorso sono sorte molte iniziative di appoggio ed aiuto ai genitori nel loro compito educativo, sostegno ed orientamento di coppie in difficoltà, creazione di gruppi e comunità familiari, ecc. Vi invito a proseguire in questo cammino. Nel commento alla strenna dell’anno 2006 suggerivo una serie di atteggiamenti e di interventi, che vi invito a consolidare. La famiglia è l’ambiente primario per la difesa e la promozione della vita e come tale deve continuare ad essere oggetto privilegiato della nostra cura pastorale.



7.3 Educare al valore della vita


Per difendere e prendersi cura della vita bisogna educare al valore della vita: “Per essere veramente un popolo al servizio della vita dobbiamo, con costanza e coraggio, proporre questi contenuti fin dal primo annuncio del vangelo e, in seguito, nella catechesi e nelle diverse forme di predicazione, nel dialogo personale e in ogni azione educativa”.18

È questo un compito che ci impegna tutti: genitori, educatori, insegnanti, catechisti, teologi. Come già accennavo, le nuove generazioni hanno bisogno di trovare nei loro genitori, educatori e catechisti dei veri “maestri di vita”. Cercano da noi non solo scienza, informazione o dottrina, ma persone che mostrino loro un cammino positivo di vita e li stimolino e li accompagnino nello sviluppo delle loro migliori qualità e possibilità. Con la nostra vita e nelle nostre parole dobbiamo essere capaci di mettere in rilievo il valore assoluto della vita, impegnandoci a dare ad essa la massima qualità possibile, promovendo sempre un atteggiamento di rispetto incondizionato per le persone, suscitando una visione positiva e di speranza nei confronti di esse e del loro futuro, combattendo tutto ciò che impedisce di vivere con dignità e solidarietà. I nostri atteggiamenti e i nostri gesti di ogni giorno, anche piccoli e semplici, devono essere per i giovani una vera scuola di vita.

Come educatori dobbiamo anche saper risvegliare nei giovani la gioia di vivere, l’apprezzamento per i valori umani più profondi, il gusto del servizio gratuito agli altri e verso la natura che ci circonda; dobbiamo suscitare in essi il senso della vita come vocazione e come servizio ed educarli ad essere cittadini responsabili ed attivi nella costruzione di una società più umana, più libera e solidale.

Un altro aspetto importante dell’impegno di educare al valore della vita è quello di aiutare “i giovani a cogliere e a vivere la sessualità, l’amore e l’intera esistenza secondo il loro vero significato e nella loro intima correlazione … Solo un amore vero sa custodire la vita”.19 Per questo occorre sviluppare una vera educazione all’amore, secondo l’esperienza tipica di Don Bosco ed i criteri del suo sistema educativo. Nella proposta pastorale che accompagnava la strenna dell’anno scorso si indicavano alcuni passi da promuovere in questo senso; è importante prenderli veramente in considerazione in tutto il cammino educativo.

Difficilmente si arriverà ad un vero apprezzamento della vita umana se essa non è apprezzata nell’ambito familiare, se in esso regna un clima di violenza, se si presenta come segno di progresso l’interruzione di una vita scomoda o non desiderata, se si vive avendo per fine la competitività, il successo o il potere. La mentalità e gli atteggiamenti si trasmettono in senso positivo o negativo attraverso il dinamismo quotidiano della vita familiare. La famiglia educa o diseduca attraverso la parola e l’esempio, le scelte e le decisioni, i rapporti, i gesti e i segni concreti.

In rapporto a questo compito di educare al valore della vita vi indico alcuni ambienti e proposte educative che mi pare offrano particolari possibilità, a condizione che provvedano appunto un autentico clima di familiarità. Ne evidenzio due: l’Oratorio-Centro Giovanile e il Volontariato.


L’Oratorio-Centro Giovanile, come ambiente tipicamente salesiano, è un ambiente di vita e di accoglienza gratuita di tutti i giovani, uno spazio per il protagonismo giovanile in cui si impara a gustare la vita e ad impegnarsi per essa, un luogo in cui si stabilisce un rapporto spontaneo e gratuito tra educatori e giovani, e in cui entrambi sono coinvolti e si accompagnano in un cammino di educazione e di crescita umana e cristiana.

L’Oratorio e Centro Giovanile Salesiano deve diventare per i giovani un vero “laboratorio di vita e di vita cristiana”; l’ambiente in cui essi possano vivere il loro mondo vitale, esprimere e sviluppare i propri valori, il loro protagonismo, i loro rapporti interpersonali; un ambiente in cui trovino anche proposte educative positive e significative e persone che li accolgano e li accompagnino.

Affinché l’Oratorio salesiano possa realizzare questo impegno per la vita deve assicurare alcune condizioni importanti:

- Essere uno spazio aperto, in cui si curano i rapporti personali, si favorisce lo stare insieme, il parlare e comunicarsi gratuitamente;

- Favorire la diversità di iniziative significative per i giovani, che corrispondano alle loro attese e ai loro bisogni;

- Creare spazi in cui essi possano vivere da protagonisti;

- Promuovere una presenza attiva di adulti e di giovani adulti, animatori, che siano per i giovani dei punti di riferimento e di stimolo;

- Offrire una proposta educativa e culturale di qualità;

- Tracciare un itinerario di evangelizzazione e di educazione alla fede radicato nella vita del giovane.

In questo modo l’Oratorio diverrà il luogo in cui i giovani integrano e ristrutturano i messaggi, esperienze e valori che ricevono negli altri ambienti (in famiglia, nella scuola, nella parrocchia, con gli amici, ecc.) ed elaborano uno stile di vita significativo per il loro futuro.


Il volontariato è un’esperienza importante per i giovani, soprattutto quando si pongono il problema del loro futuro; può essere molto più che un’esperienza puntuale e passeggera, convertendosi in un’autentica scuola di vita, intesa come servizio gratuito ed efficace in situazioni di povertà e di necessità. Il volontariato, quando si realizza con un processo sistematico di preparazione, che va aiutando il giovane a maturare le proprie motivazioni, e con un accompagnamento personale e di gruppo, favorisce e sviluppa una opzione personale di vita; nel volontariato i giovani adulti imparano ad essere cittadini responsabili e cristiani impegnati.



    1. Annunciare Gesù Cristo come senso e fonte di vita


L’annuncio del vangelo della vita deve condurre i giovani all’incontro e al rapporto personale con Gesù Cristo, in cui troveranno il modello, la via e l’energia per una vita umana piena. Forse non è mai stata urgente come oggi l’evangelizzazione, l’annuncio di Gesù, di fronte ad un mondo che esalta modelli ingannevoli e seduttori, che non danno né riescono a dare un senso alla vita. I giovani soffrono molte volte un enorme vuoto interiore, che tentano di colmare con il piacere, i divertimenti, il sesso o la droga, o addirittura percorrendo le vie tortuose della violenza e della delinquenza. Ma né il piacere, né il consumo, né l’aggrapparsi a diversi modi di sfruttare l’attimo presente soddisfano le loro aspirazioni e i loro bisogni. Sono pure molti i giovani che vivono situazioni sociali ed economiche di esclusione o gravi fragilità personali, in un mondo sempre più duro. È precisamente in queste situazioni che deve risuonare come “buona notizia” il vangelo del Dio amico della vita, si deve rendere presente Gesù Cristo e la sua proposta di felicità.

L’evangelizzazione è la migliore proposta di vita umana piena e felice. Per questo dobbiamo impegnarci a realizzarla con franchezza e dedizione in tutti gli ambienti giovanili. Data la varietà di questi ultimi, l’evangelizzazione esige proposte diverse secondo la situazione dei giovani a cui ci dirigiamo. Ne segnalo tre importanti:

  • Negli ambienti in cui i giovani vivono nell’indifferenza e nella superficialità di una vita vuota o materialista, proporremo loro un cammino graduale, che li aiuti a scoprire e ad apprezzare i valori più positivi e più profondi, a sperimentare la gioia dell’interiorità e del silenzio, a risvegliare la loro ricerca di senso, ad aprirsi a Dio, sviluppando la dimensione religiosa della vita.

  • Quanto ai giovani che vivono una pratica religiosa abitudinaria e superficiale, o solamente al servizio dei propri interessi e bisogni, li aiuteremo a scoprire la persona di Gesù, a entusiasmarsi di Lui, fino a promuovere in loro una opzione personale e decisa a seguirlo, impegnandosi in un itinerario serio di educazione alla fede.

  • Invece, per coloro che già prendono parte a gruppi o movimenti di formazione cristiana proporremo un cammino sistematico che li aiuti a personalizzare sempre più la loro fede, a celebrarla e a tradurla in vita, fino ad una opzione vocazionale matura di vita cristiana.

Promuovere questi itinerari di educazione alla fede è il contributo più prezioso e più significativo che possiamo offrire nel nostro impegno a favore della vita.



    1. Ringraziare per la vita e celebrarla


Frutti dell’annuncio del vangelo della vita sono la gioia, l’ammirazione, la lode, la gratitudine verso Dio, amante della vita, per il suo dono. L’annuncio suscita un atteggiamento profondo di celebrazione del vangelo della vita. Ogni vita, in quanto dono di Dio, ha non solo una dimensione di impegno e di compito da svolgere, ma anche di culto. Già di per sé è manifestazione di lode, perché ogni vita umana è un prodigio di amore. Accoglierla costituisce già lode e rendimento di grazie.

Celebrare la vita suggerisce e spinge a coltivare uno sguardo contemplativo: davanti alla natura, al mondo, alla creazione, alla vita, verso cui molte volte abbiamo degli atteggiamenti utilitaristici o consumisti; davanti alle persone, con cui spesso manteniamo dei rapporti superficiali o funzionali; davanti alla società e alla storia, che tante volte consideriamo solo secondo i nostri interessi… Occorre superare i nostri comportamenti egoistici per giungere ad un atteggiamento contemplativo, che comporta uno sguardo in profondità per cogliere e ammirare la bellezza e la grandezza del mondo, delle persone, della storia. Occorre imparare ad accogliere, rispettare ed amare le cose, le persone, la vita in tutte le sue forme. Bisogna saper godere del silenzio, imparare l’ascolto paziente, l’ammirazione e la sorpresa di fronte all’imprevisto e all’inimmaginabile. Bisogna saper fare spazio all’altro, per poter stabilire con lui un nuovo rapporto di intimità e di confidenza.

Da questa prospettiva contemplativa sorge la lode e la preghiera. Celebrare la vita è ammirare, amare e pregare il Dio della vita, che ci ha intessuto nel seno materno. Significa benedirlo e ringraziarlo : “Ti celebrerò perché sono stato fatto in modo stupendo; meravigliose sono le tue opere” (Sal 139,14). La vita dell’uomo costituisce uno dei prodigi più grandi della creazione.



    1. Prendersi cura della creazione con amore


Il Dio biófilo (philópsychos è il termine usato da Sap 11,26) non ama solo la vita umana, ama ogni vita, perché tutto il creato è opera del suo amore. Insieme al valore e alla dignità della vita umana, la Sacra Scrittura esprime anche, fin dalle prime pagine, il riconoscimento esplicito della bontà della natura: “Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco che era molto buono” (Gn 1,31). Animali, piante, firmamento, sole, oceani … tutto è buono, tutto ha valore in se stesso.

Ma questo riconoscimento è reale solo quando l’uomo riconosce la dignità della terra, rispetta la natura, accoglie e accetta la ricchezza insita nelle creature. E solo questo riconoscimento reale conduce all’affermazione del loro valore e dei loro diritti e, di conseguenza, a superare il saccheggio e l’abuso, ad uno sviluppo rispettoso dell’ambiente e ad una convivenza armoniosa con la natura.

La civiltà industriale ha favorito la produzione e l’efficienza, ma spesso ha disumanizzato l’uomo, convertendolo in semplice produttore/consumatore. La cultura della vita ci porta ad un vero atteggiamento ecologico: l’amore verso gli esseri umani, gli animali e le piante, l’amore a tutto il creato, l’impegno a difendere e promuovere tutti i segni di vita contro i meccanismi di distruzione e di morte. Davanti alle minacce di sfruttamento disordinato, di oppressione della natura, di sviluppo insostenibile, è opportuno ricordare le parole del Gran Capo Seattle: quel che ferisce la Terra, ferisce i figli e le figlie della Terra.

L’ecologia costituisce un autentico segno della solidarietà umana, che implica ovviamente la conservazione e l’uso delle risorse della Terra – afferma la Santa Sede in un documento redatto in preparazione al Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile del 2002. Tale sviluppo deve basarsi su “solidi valori etici, senza i quali nessun progresso sarà sostenibile”. Per questo “il concetto di sviluppo sostenibile si può comprendere solo nella prospettiva di uno sviluppo umano e integrale”. In questo senso chiede che si adotti il termine di “ecologia umana” che “implica assicurare e salvaguardare le condizioni morali nell’interazione degli esseri umani con l’ambiente”. La cura della famiglia, la promozione e la protezione del lavoro, la lotta contro la povertà, lo sviluppo dell’educazione e dei servizi sanitari, la solidarietà tra nazioni al servizio di uno sviluppo umano integrale … sono alcuni degli elementi che la Santa Sede presenta per una ecologia degna della persona umana.20

La cura e l’amore del creato, l’impegno/preoccupazione per l’ecologia, vanno promossi nel quadro della vita di ogni giorno, educandoci ed educando i giovani a rispettare la natura e ad averne cura, ad usare dei suoi beni (l’acqua, le piante, gli animali, le cose…) con moderazione ed avendo sempre di mira il bene di tutti, a suscitare un impegno positivo di difesa e di sviluppo sostenibile della terra e delle risorse naturali … Formare e sviluppare una mentalità ed un atteggiamento ecologico è oggi un elemento importante di una educazione integrale.

Come non evocare a questo punto san Francesco d’Assisi ed il suo Cantico delle Creature?

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti fior et herba.

Laudato si’, mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.



  1. Conclusione: due testi da condividere


A mo’ di sintesi di quanto detto, vi presento innanzi tutto il testo elaborato dalle diverse tradizioni religiose radunate per il IV Parlamento delle Religioni del Mondo, a Barcellona nel 2004:


OFFERTA AL MONDO


Noi cittadini e cittadine del mondo,

gente del cammino, gente che cerca,

eredi del legato di antiche tradizioni,

vogliamo proclamare:

- che la vita umana è, per se stessa, una meraviglia;

che la natura è la nostra madre e il nostro focolare,

e che dev’essere amata e preservata;

- che la pace dev’essere costruita con sforzo,

con la giustizia, col perdono e la generosità;

- che la diversità di culture

è una grande ricchezza e non un ostacolo;

- che il mondo ci si presenta come un tesoro

se lo viviamo in profondità,

e le religioni vogliono essere dei cammini

verso tale profondità;

- che, nella loro ricerca, le religioni trovano forza e senso

nell’apertura al Mistero inafferrabile;

- che fare comunità ci aiuta in questa esperienza;

- che le religioni possono essere un punto di accesso

alla pace interiore, all’armonia con se stesso e col mondo,

ciò che si traduce in uno sguardo ammirato, gioioso e grato;

- che noi che apparteniamo a diverse tradizioni religiose

vogliamo dialogare tra di noi;

- che vogliamo condividere con tutti

la lotta per fare un mondo migliore,

per risolvere i gravi problemi dell’umanità:

la fame e la povertà,

la guerra e la violenza,

la distruzione dell’ambiente naturale,

la mancanza di accesso ad un’esperienza profonda di vita,

la mancanza di rispetto per la libertà e la differenza;

- e che vogliamo condividere con tutti

i frutti della nostra ricerca

delle aspirazioni più alte dell’essere umano,

nel rispetto più radicale di ciò che ciascuno è

e col proposito di poter vivere tutti insieme

una vita degna di essere vissuta.


Il secondo testo che vi presento a modo di conclusione è, come gli anni scorsi, una favola che evidenzia l’importanza dell’atteggiamento positivo davanti alla vita. È quel che segna la differenza tra la cultura della morte, in cui possiamo vivere senza nemmeno rendercene conto, e la cultura della vita, che riempie di gioia, di colore e di generosità l’esistenza propria e quella altrui.

Visitando la Bielorussia, sono rimasto gradevolmente colpito dal gruppo di giovani che ho incontrati a Minsk e dalla rappresentazione di una storia da loro messa in scena. Mi è piaciuta tanto e mi è sembrata così illuminante che mi sono detto: ecco quanto vorrei comunicare a tutta la Famiglia Salesiana, ecco quanto vorrei fare con ciascuno dei membri di essa: dare il mio ombrello giallo, quello che anch’io ho ricevuto da Don Bosco.


L’OMBRELLO GIALLO


C’era una volta un paese grigio e triste, dove, quando pioveva, tutti gli abitanti giravano per le strade con degli ombrelli neri. Sempre, rigorosamente, neri.

Sotto l’ombrello tutti avevano una faccia corrucciata e triste… E non può essere diversamente sotto un ombrello nero!

Ma un giorno che la pioggia scrosciava, più fitta che mai, comparve all’improvviso un signore un po’ bizzarro che passeggiava sotto un ombrello giallo. E come se non bastasse, quel signore sorrideva.

Alcuni passanti lo guardavano scandalizzati da sotto il nero parapioggia che li riparava, e mugugnavano:

«Guardate che indecenza! È veramente ridicolo con quel suo ombrello giallo. Non è serio! La pioggia invece è una cosa seria e un parapioggia non può che esser nero!».

Altri montavano in collera e si dicevano l’un l’altro: «Ma che razza di idea è mai quella di andare in giro con un ombrello giallo? Quel tipo è solo un esibizionista, uno che vuol farsi notare a tutti i costi. Non è per niente divertente!».

In effetti non c’era niente di divertente in quel paese, dove pioveva sempre e gli ombrelli erano tutti neri.

Solo la piccola Natasha non sapeva cosa pensare. Un pensiero le ronzava in testa con insistenza: «Quando piove, un ombrello è un ombrello. Giallo o nero che sia, quel che conta è avere un ombrello che ripari dalla pioggia».

Per di più, la piccola s’accorgeva che quel signore sotto il suo ombrello giallo aveva l’aria d’essere perfettamente a suo agio e felice. Si chiedeva il perché.

Un giorno, all’uscita dalla scuola, Natasha si accorse di aver dimenticato il suo ombrello nero a casa. Scosse le spalle e si incamminò verso casa a testa scoperta, lasciando che la pioggia inzuppasse i suoi capelli.

Il caso volle che di lì a poco incrociasse l’uomo dall’ombrello giallo, il quale le propose sorridendo:

«Bambina, vuoi ripararti?».

Natasha esitò. Se accettava, tutti l’avrebbero presa in giro. Ma ecco subito l’altro pensiero: «Quando piove, un ombrello è un ombrello. Che sia giallo oppure nero, che importa? È sempre meglio avere l’ombrello che inzupparsi di pioggia!».

Accettò e si riparò sotto l’ombrello giallo accanto a quel signore gentile.

Allora capì perché egli era felice: sotto l’ombrello giallo il cattivo tempo non esisteva più! C’era un gran sole caldo nel cielo azzurro, dove gli uccellini volavano cinguettando.

Natasha aveva un’aria così sbalordita che il signore scoppiò in una risata: «Lo so! Anche tu mi prendi per un pazzo, ma voglio spiegarti tutto. Un tempo, ero triste anch’io, in questo paese dove piove sempre. Avevo anch’io un ombrello nero. Ma un giorno, uscendo dall’ufficio, dimenticai l’ombrello e m’incamminai verso casa, così com’ero. Strada facendo, incontrai un uomo che mi offrì di ripararmi sotto il suo ombrello giallo. Come te, ho esitato perché avevo paura di essere diverso, di rendermi ridicolo. Ma poi accettai, perché avevo ancor più paura di buscarmi un raffreddore. E mi accorsi – come te – che sotto l’ombrello giallo il cattivo tempo era sparito. Quell’uomo mi insegnò perché sotto l’ombrello nero le persone erano tristi: il ticchettio della pioggia e il nero dell’ombrello le immusoniva, e non avevano alcuna voglia di parlarsi. Poi, improvvisamente, l’uomo se ne andò e io mi accorsi che avevo in mano il suo parapioggia giallo. Lo rincorsi, ma non riuscii più a trovarlo: era scomparso. Così, ho conservato l’ombrello giallo e il bel tempo non mi ha più lasciato».

Natasha esclamò:

«Che storia! E non sente imbarazzo a tenersi l’ombrello di un altro?».

Il signore rispose:

«No, perché so bene che questo ombrello è di tutti. Quell’uomo l’aveva senza dubbio ricevuto anche lui da qualcun altro».

Quando arrivarono davanti alla casa di Natasha, si salutarono.

Appena l’uomo, allontanandosi, scomparve, la ragazzina si accorse di avere in mano il suo ombrello giallo. Ma ormai quel signore gentile chissà dov’era.

Così Natasha si tenne l’ombrello giallo, ma sapeva già che presto avrebbe di nuovo cambiato proprietario, sarebbe passato in altre mani, per riparare dalla pioggia e portare il “bello stabile” ad altre persone.


Concludo rinnovando gli auguri di Buon Anno 2007, con l’impegno ad essere degni credenti di un Dio che ama la vita, mentre insieme a Lui, come Famiglia Salesiana, lavoriamo per la costruzione di una cultura della vita.




Don Pascual Chávez Villanueva

Rettore Maggiore



1 Giovanni Paolo II, Discorso durante la Veglia di Preghiera per l’VIII Giornata Mondiale della Gioventù a Denver, del 14-8-1993, in L’Osservatore Romano, 17/18-8-1993.

2 Cfr. Carta della Missione della Famiglia Salesiana, nn. 9. 10. 16.

3 Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium Vitae (EV), 5

4 Al Clero della Diocesi di Roma. Quaresima 2006, in L’Osservatore Romano, 4-03-2006, p. 4ss

5 EV 12

6 EV 34

7 EV 38

8 EV 80

9 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris consortio, 17

10 Cfr. P. Braido, Prevenire non reprimere. LAS, Roma 1999, pp. 324-325

11 F. Orestano, citato da P. Braido, op. cit. p. 236.

12 A. da Silva Ferreira, Il dialogo tra don Bosco e il maestro Francesco Bodrato – 1864, RSS 3 (1984) 385.

13 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico… p. 50, OE XI p. 200.

14 Cfr. P. Braido, op. cit. p. 233.

15 Cfr. EV 87

16 Costituzioni SDB, 2

17 EV 79

18 EV 82

19 EV 97

20 Cfr. Documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace in occasione del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg (26 agosto-4 settembre 2002).