Strenna-it|Strenna 2020: Buoni Cristiani e Onesti Cristiani

STRENNA 2020

«Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra» (Mt 6,10)

BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI”




PREMESSA


Quando ho pensato alla Strenna di quest’anno, insieme ad altri confratelli salesiani, ho percepito chiaramente quanto il tema fosse importante ed affascinante. Semplice nel titolo, però ampio e complesso da sviluppare. Dopo il lavoro di queste settimane l’ho percepito ancora più chiaramente. Mi sembra un tema affascinante, utile e complesso.

Credo sinceramente che abbiamo bisogno, nella nostra Famiglia Salesiana, in ciascuno dei nostri gruppi, nelle diverse nazioni in cui ci troviamo, e con le opere più svariate, di rivolgere lo sguardo su quegli aspetti che hanno a che vedere con la formazione del cristiano e del cittadino.


Dobbiamo rendere sempre più esplicito il messaggio che la nostra missione è Evangelizzatrice e Catechizzante. Senza questo, non siamo Famiglia Salesiana. Possiamo essere ‘fornitori di servizi sociali’, ma non apostoli di bambini, bambine, adolescenti e giovani.


Allo stesso tempo è più che evidente che nella nostra missione di educatori non possiamo ‘vivere in un limbo’, senza che nulla abbia a che vedere con la vita, la giustizia, l’uguaglianza di opportunità, la difesa dei più deboli, la promozione di una vita civile ed onesta. Questa dimensione è oggi più urgente che mai, dal momento che le società in cui viviamo non credono molto in questi valori. Noi, quando educhiamo, da che parte stiamo? Proprio in forza di questa domanda è così attuale e necessaria la riflessione della Strenna di quest’anno.


A tutto ciò si aggiunge un nuovo ostacolo. Il binomio educativo di Don Bosco, quello stesso binomio che lo orientava nell’Italia dell’Ottocento, si può ritenere ancora valido in un “mondo salesiano” in cui la Famiglia di Don Bosco può trovare casa in paesi con diverse religioni o con una maggioranza non-cristiana, o in società post-cristiane, o addirittura in nazioni ufficialmente laiche o antireligiose?


Per ciò che concerne questo ultimo aspetto, ovvero una Strenna in cui parlare di come essere Buoni Cristiani in società non cristiane, mi sono giunte domande da alcune di queste regioni; ve le presento, contengono indubbiamente una grande sensibilità pastorale. Eccone alcune.


Nelle Ispettorie con una grande maggioranza non-cristiana (altre religioni, agnostici o indifferenti), questa Strenna sarà ben accolta nella misura in cui riuscirà ad offrire qualche spazio di riflessione e qualche idea per l’azione educativa in ambienti “non cristiani” o “postcristiani”. Come si potrebbe presentare il binomio educativo di Don Bosco in modo che anche i nostri laici e giovani non-cristiani possano accettarlo, comprenderlo, seguirlo e metterlo in pratica?


Ai tempi di Don Bosco, nel contesto di una società a maggioranza cristiana, l’utilità sociale era segno di autentica religiosità.

Oggi invece, nei 134 paesi del mondo in cui si è diffuso il carisma, sentiamo piuttosto il bisogno di mantenere l’equilibrio in un atteggiamento di apertura e di inclusione nel processo educativo “per e con” i giovani e i laici non-cristiani, partendo dal primo annuncio del Vangelo di Gesù Cristo attraverso il Sistema Preventivo che crea le relazioni, un clima di famiglia dove si educa e dove la fede viene trasmessa per osmosi.


Bisogna tenere conto degli ambienti pluri-culturali e multi-religiosi delle 40 Ispettorie salesiane che vivono nelle Chiese minoritarie tra le grandi religioni del mondo, soprattutto in Asia e in Africa.


Non basta ripetere quanto Don Bosco ha fatto nell’Ottocento. Possiamo imparare dalle esperienze dei Salesiani che vivono oggi il Sistema Preventivo in paesi a maggioranza non cristiana. Sicuramente hanno tante ricche esperienze di vita, hanno saputo interpretare il pensiero di Don Bosco in contesti multi-religiosi e multi-culturali che il nostro Padre neppure avrebbe potuto immaginare.


Buoni cristiani e onesti cittadini in ambienti a maggioranza non-cristiana o post-cristiana. Ci facciamo alcune domande precise:


  • Come mettere in pratica il binomio di Don Bosco tra i giovani e i laici collaboratori non cristiani?

  • Come mantenere l’equilibrio tra l’apertura ai non cristiani e il primo annuncio del Vangelo?

  • Come tradurre il concetto di ‘buon cristiano’ per la maggioranza dei collaboratori laici non cristiani?

  • Come mettere in pratica il pilastro della ‘Religione’ nei contesti multi-religiosi nei quali ci troviamo?

  • Come educare i giovani e i laici ai tre pilastri della Spiritualità del Sistema Preventivo di Don Bosco: Ragione –Religione- Amorevolezza?

  • Come tradurre nella vita quotidiana i ‘buoni cristiani’ di Don Bosco nella missione condivisa con tanti non cristiani?

  • Il Rettor Maggiore crede che il Sistema Preventivo di Don Bosco possa essere pienamente vissuto e messo in pratica anche dai laici collaboratori di altre religioni?

  • Come includere i non cristiani nella Comunità Educativo Pastorale (CEP)?

  • Cosa dicono gli stessi non cristiani che sono coinvolti nella missione educativa salesiana?

  • Quali sono le espressioni più attraenti della pratica del Sistema Preventivo di Don Bosco?


Credo che durante lo sviluppo della Strenna si potranno trovare indicazioni che rispondono in un modo o in un altro a questi quesiti, ovviamente più che legittimi, che mi sono stati fatti pervenire.



BUONI CRISTIANI E ONESTI CITTADINI in Don Bosco1



Più di qualcuno si chiederà se questo binomio educativo fu utilizzato e proposto da Don Bosco stesso. Bene, questo è uno degli aspetti che approfondisce con rigore accademico don Braido. Proprio lui ci ha fatto capire che don Bosco ha seguito sempre questo cammino o proposta educativa, formulato con queste stesse parole o parafrasato, cambiandone le sfumature in base ai suoi interlocutori. Ma il tema della relazione tra educazione dei giovani e il bene della società, insieme a quello della salvezza eterna, può essere considerato una costante. Questo binomio è stato infatti utilizzato con queste diverse formulazioni nel corso degli anni.

Farli onesti cittadini e buoni cristiani (1857)

Farsi buoni cristiani ed onesti artigiani (1857)

Possano diventar tutti buoni cittadini e buoni cristiani (1862)

Fare tutti buoni cristiani ed onesti cittadini (1872)

Educare la gioventù all'onore del cristiano ed al dovere del buon cittadino (1873)

Divenivano buoni cristiani ed onesti cittadini (1875)

Fare quel po’ di bene che posso ai giovanetti abbandonati, adoperandomi con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società (1876)

Preparare buoni cristiani alla Chiesa, onesti cittadini alla civile società (1877)


In molti dei suoi scritti, in particolare nelle lettere, Don Bosco ha lasciato ben definito il binomio educativo-pastorale con queste espressioni (sempre secondo don Braido, come fonte scientifico-storica):


  • Farne buoni cittadini e buoni cristiani è lo scopo che ci proponiamo;

  • Farne buoni Cristiani ed onesti cittadini;

  • Sono (...) utili cittadini e buoni cristiani;

  • Diventano buoni cristiani, onesti cittadini;

  • Entrando un giovane in quest'Oratorio deve persuadersi che questo è luogo di religione, in cui si desidera di fare dei buoni cristiani ed onesti cittadini;

  • Ridonarli alla civile società buoni cristiani e buoni cittadini;

  • Educati a virtù cristiane e civili (...) farne buoni cristiani ed onesti cittadini;

  • Si tratta di renderli onesti Cittadini e buoni Cristiani;

  • Vivere sempre da buoni cristiani e da savii cittadini;

  • Speranza che essi diventino buoni cristiani, onesti ed utili cittadini;

  • Sont maintenant de bons chrétiens et d'honnêtes citoyens;

  • Io godo assai nel sapere che voi (...) vivete da buoni cristiani, da cittadini Onorati;

  • Dovunque vi troviate mostratevi sempre buoni cristiani e uomini probi;

  • Scopo dei nostri collegi è di formare dei buoni cristiani, e degli onesti cittadini;

  • Per essere poi ridonati alla civile Società buoni cristiani, onesti cittadini;

  • Escono buoni Cristiani e bravi cittadini;

  • Ritornarli alla Società buoni cristiani ed onesti cittadini;

  • Educarli in modo da farne buoni cittadini e veri cristiani.

  • Buon cristiano e onesto cittadino;

  • Apprendendo a vivere da buoni cristiani e da savii cittadini;

  • Ammaestrati a vivere da buoni cristiani e savii cittadini;

  • Diventano buoni cristiani, savii cittadini;

  • Rendendoli buoni cristiani ed utili cittadini;

  • Continuate dunque ad essere buoni cristiani e savii cittadini;

  • Dare alla civile società dei membri utili, alla Chiesa dei cattolici virtuosi, al Cielo dei fortunati abitatori;

  • Farne buoni cittadini e buoni cristiani;

  • Ridonarli (...) alla civile società buoni cristiani, onesti cittadini;

  • Faran vedere al mondo come si possa (...) essere Cristiani e nello stesso tempo onesti e laboriosi cittadini;

  • Istruirli, educarli e farne così dei buoni cristiani ed onesti cittadini;

  • Quanti buoni figliuoli, quanti padri cristiani ed onesti, quanti migliori cittadini di più non potremmo dare alle famiglie, alla Chiesa, alla società;

  • Rendersi buoni cristiani ed onesti cittadini;

  • Restituirli alla famiglia, alla società, alla Chiesa buoni figliuoli, savii cittadini, esemplari cristiani;


Come possiamo notare, come se si trattasse di una partitura musicale, la melodia è sempre la stessa, ma con diverse sfumature. Lo presenta in modo inequivocabile don Braido in uno studio che ci ha permesso di comprendere che Don Bosco non è un teorico. È un uomo di azione. È, però, uomo di azione che «riflette» sul senso delle sue iniziative pastorali. Perciò, mentre non sorprende che il lessico utilizzato e i concetti espressi risultino semplici e ripetitivi, emerge chiaro che il suo operato si muove lungo linee d’azione ben precise e chiara consapevolezza «teorica», sia a livello di conoscenza delle situazioni e dei problemi sia per quanto riguarda le soluzioni operative messe in pratica. I due aspetti risaltano con particolare evidenza in una delle sue espressioni più care e ripetute: «buon cristiano e onesto cittadino».



1.1 BUONI CRISTIANI Vivendo nella Fede nel Signore e con la guida dello Spirito…


Se si ritorna alle nostre origini, quando era Don Bosco alla fine di dicembre ad offrire con messaggi personalizzati la Strenna per il nuovo anno a ciascuno dei ragazzi e dei primi Salesiani, si coglie come “vivere nella fede” fosse quanto di più prezioso e insieme più naturale il primo Oratorio avesse da offrire a chi viveva là, sia i ragazzi che i loro educatori. Era lo specchio di una realtà di vita dove i primi Salesiani, le mamme dell’Oratorio, i laici che aiutavano e i giovani, formavano una vera famiglia nella stessa casa.


È impressionante il numero di Santi e Beati che hanno abitato quei poveri ambienti durante la vita di don Bosco. É stata una scuola di santità reciproca, un crescere insieme nella fede. Se è vero, per esempio, che don Bosco ha aiutato Domenico Savio a crescere nell’amore per Dio, non è meno grande l’influenza di Savio e dei suoi compagni su don Bosco, sulla sua “formazione permanente” come uomo di Dio. “La fede si rafforza donandola”2. Dal dono reciproco di una fede intensamente vissuta è nata la scuola di santità che continua a nutrire il cammino spirituale della Famiglia Salesiana in tutto il mondo.


L’armonia tra fede e vita sta al cuore del carisma di don Bosco, sul cui volto e nella cui storia si contempla “uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva come se vedesse l’invisibile”3.


Vivere nella fede” è oggi il dono più prezioso che possiamo scambiarci, qualunque sia il nostro stato di vita, età, vocazione e anche religione. Nella ecclesiologia di comunione che nutre e trasforma il cammino della Chiesa, e che è così intensamente messa in pratica e incoraggiata da Papa Francesco, l’identità di ogni gruppo e persona si realizza e si rivela nel diventare dono per gli altri, così come nel saper accogliere il dono di chi è chiamato a essere discepolo del Signore in qualsiasi stato di vita e vocazione.


Per quanti di noi siamo consacrati nella Famiglia Salesiana non è forse “vivere nella fede” il centro e il cuore di quello che siamo chiamati ad essere e offrire, incarnato nella specificità di ogni vocazione particolare e di ogni persona?


Se noi consacrati non siamo l’icona dell’“accordo di natura e di grazia”, dell’incontro fecondo tra la chiamata e l’amore di Dio e la generosa quotidiana risposta della sua libertà, su quale altro “tesoro nel campo” si potrà mai contare perché la vita abbia un senso, anzi pienezza di significato, così da diventare sale e luce, capace di dare sapore e illuminare l’esistenza di coloro che vivono con noi?


Il Sinodo sui Giovani ha mostrato con disarmante chiarezza che ciò che le nuove generazioni si attendono da quanti hanno dedicato la vita interamente al Signore è di trovare “testimoni luminosi e coerenti”4.


Ma dobbiamo dire lo stesso per i laici, i genitori, i giovani: se la fede è dono, dono è anche la vita di fede. Non è il risultato di grandi abilità personali e ferrea forza di volontà. Qualsiasi contributo nostro, che pure entra a far parte del dialogo tra grazia e libertà, non si colloca mai al di fuori dell’amore preveniente di Dio, della presenza tanto discreta quanto efficace dello Spirito, in ciascuno, nella comunità, nella Famiglia Salesiana, nella Chiesa, nel mondo, nella storia, nell’universo intero. Lo Spirito è forza creatrice ed è l’energia che porta a compimento, che dal granello di senape del Regno fa crescere il grande albero.



1.2. BUONI CRISTIANI vivendo nell’Ascolto del Dio che ci parla.


Non c’è dono più grande che tu possa offrire ad un’altra persona di una perfetta attenzione”. Questa era la conclusione a cui era giunto un saggio missionario dopo tanti anni di servizio nella convulsa periferia di una grande città.


In tanti modi stiamo cercando di riscoprire la capacità di ascolto, arte fondamentale anche per l’accompagnamento personale. Imparare ad ascoltare è stato uno stimolo forte che il Sinodo sui Giovani ha offerto a tutta la Chiesa.


E c’è un ascolto che ha radici ancora più profonde, e da esso dipende gran parte della vitalità dell’ascolto tra di noi. L’ascolto ha radici che si protendono verso l’alto. È l’ABC di ogni vocazione, che è sempre un incontro di chiamata e risposta, che si rinnova ad ogni nuovo risveglio.

L’ascolto di Dio è un mistero che non si può contenere in qualche pratica o momento particolare. Si realizza “per opera dello Spirito Santo” e di solito non avviene per salti improvvisi, ma per la progressiva maturazione che si compie attraverso lunghi pellegrinaggi, come i tanti di cui ci parla la Scrittura e che si contemplano nelle vite dei nostri santi.


C’è una predisposizione all’ascolto di Dio, tanto più preziosa quanto più difficile nella maggior parte dei contesti sociali in cui viviamo, segnati da un eccesso costante di stimoli mediatici e da ritmi sempre più intensi di attività. La predisposizione preziosa è quella di ‘disporci al silenzio’.


Il silenzio è la grammatica attraverso la quale si esprime il linguaggio tra Dio e l’uomo.

C’è una parola che da sempre si distingue tra tutte le altre, la parola attraverso cui Lui ci parla: la Sacra Scrittura. Essa non si impone, dipende sempre dal nostro ascolto, dalla sintonia del cuore e dalla sua familiarità con il silenzio con Dio. Ascoltando questa Parola affetti e pensieri iniziano a modellarsi su quanto il Vangelo ogni giorno rivela. L’ascolto di Dio nelle persone che ci circondano e negli eventi che ci accadono si fa più attento, vediamo più in profondità.

Su questo sentiero cresce la coerenza tra quello che si ascolta e si annuncia e quello che si vive. E l’ascolto di Dio che ci parla richiede quotidiano esercizio, come fa un artista o un atleta nella specialità in cui eccelle.



1.3. BUONI CRISTIANI con il bisogno di Evangelizzare e offrire il primo annuncio e la catechesi “Questa società nel suo principio era un semplice catechismo” (MB IX, 61).


Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù… Realmente non ebbe a cuore altro che le anime” 5. Questa testimonianza da parte di chi forse più di ogni altro ha conosciuto don Bosco e ‘fatto tutto a metà con lui ’, ci fa percepire in modo quasi sensibile l’intensità della carità pastorale del nostro padre. Non si è mai tirato indietro di fronte alle sfide più crude della povertà, iniziando dalle prigioni di Torino, dove il Cafasso lo aveva spinto ad entrare per ‘imparare a fare il prete’. Allo stesso tempo, non ha mai rinunciato a proporre le mete più alte di crescita spirituale a tutti, tanto a Magone come a Savio, adattandosi al cammino di ciascuno. Detto con il linguaggio di oggi: “Imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà”6.


È sorprendente la modernità di questo approccio pastorale, che sa camminare al fianco di ogni giovane, anche i più provati (pensiamo alle presenze della Famiglia Salesiana nei campi profughi o tra i migranti), e trovare proprio là il terreno buono per il seme del vangelo, senza proselitismi e senza paure, perché fede e vita non hanno mai ‘divorziato’ là dove si è rimasti fedeli al carisma che lo Spirito ha donato alla Chiesa con i nostri santi di famiglia.


Papa Francesco ci ricorda che non si deve mai rinunciare al primo annuncio, o posporlo in attesa di situazioni più idonee o di tempi migliori. Ci dice:


Ho insistito molto su questo in Evangelii gaudium e penso che sia opportuno ricordarlo. Da un lato, sarebbe un grave errore pensare che nella pastorale giovanile «il kerygma venga abbandonato a favore di una formazione che si presupporrebbe essere più “solida”. Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio». Pertanto, la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo. Lo farà attingendo a varie risorse: testimonianze, canti, momenti di adorazione, spazi di riflessione spirituale con la Sacra Scrittura, e anche con vari stimoli attraverso le reti sociali. Ma questa gioiosa esperienza di incontro con il Signore non deve mai essere sostituita da una sorta di “indottrinamento”7.


Veramente crediamo quanto è importante il primo annuncio? Guardiamo al mondo giovanile nel suo insieme: i rapidissimi cambi che viaggiano alla velocità del digitale creano una formidabile diversità di culture, di approccio alla vita nel suo insieme, con un ‘gap’ tra generazioni forse molto più profondo rispetto a quello delle epoche precedenti. Non è forse il mondo di chi è nato dopo l’anno 2000 una terra ancora da evangelizzare? Le generazioni delle reti sociali, già molto oltre ai giovani di questo millennio nati ai tempi di internet, sono in attesa di qualcuno che sia capace di portare loro per la prima volta la luce e la forza del Vangelo, parlando la loro lingua e sintonizzandosi sulle loro frequenze.


Chi manderò? Chi andrà per noi?” (Is 6,8). Queste antiche parole di Isaia non potrebbero risultare più moderne se le pensiamo sulle labbra della intera comunità ecclesiale che si rivolge a noi, Famiglia Salesiana, come a coloro che per carisma, per dono dello Spirito, sono nati per essere specialisti dell’incontro con i giovani, pronti a stare con loro così come sono e dove sono, anche nelle diversità di credo religioso. Tirarsi indietro da questa sfida missionaria è come tirarsi fuori dalla Famiglia Salesiana, dallo spirito che Don Bosco ci ha trasmesso.


Attenzione però a non confondere il primo annuncio con qualcosa di minimo, di riduttivo, di così “innocuo” da non lasciare quasi traccia o segno di sé.


Don Bosco spesso ricordava che tutto è iniziato da “un semplice catechismo”. La sua storia, inseparabile da quella dei giovani con cui è vissuto, mostra con indubitabile chiarezza che semplice non significa affatto superficiale.


Quando si giunge alla “esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo”, spesso sono i giovani stessi a diventare missionari e evangelizzatori di chi li accompagna, perché chiedono una testimonianza e condivisione della vita di fede autentica e profonda.


Qui sta il genio di Don Bosco: rimane accessibile a tutti, e insieme coi suoi giovani non teme di puntare dritto alla santità; nulla di meno.


E in questo cammino si apre un campo affascinante e impegnativo: fare della ‘catechesi’ non solo una serie di incontri per bambini e ragazzi necessari per accedere alla Prima Comunione o alla Cresima; fare della ‘teologia’ non solo una serie di esami che occorre sostenere per poter essere ordinati sacerdoti. Catechesi è crescere nella comprensione della vita illuminata dalla fede; teologia è entrare con la mente e col cuore nella bellezza del mistero di Dio così come si è rivelato in Gesù. Se come membri della Famiglia Salesiana ci lasciamo affascinare da questa “luce gentile” fino a innamorarcene, e riprendiamo a nutrire il cuore e la mente con questi tesori, anche il nostro modo di essere educatori-pastori si illuminerà. E dico di più: con questo cuore sapremo come esserci e come stare in mezzo ai giovani e alle famiglie che praticano altre religioni o che si professano agnostici o atei. L’atteggiamento sarà quello di una vera condivisione e di una testimonianza semplice nel più delicato rispetto delle diverse fedi.


Come agli inizi dell’Oratorio di Valdocco, la crescita nella fede può avvenire solo insieme: più è intenso il cammino spirituale di chi accompagna, più lo sarà anche quello dei giovani e della gente, che, ‘più per osmosi che per processi logici’, tenderà a seguirne le orme. Sarà a sua volta il cammino del suo popolo che spingerà chi fa da pastore a crescere sempre di più, a farsi più vicino alla sorgente per rispondere alla sete di chi gli chiede, spesso senza parole, di fargli incontrare il Signore.



1.4. BUONI CRISTIANI vivendo una vera spiritualità salesiana


A Pentecoste lo Spirito Santo dà inizio al tempo della Chiesa e della missione. Grazie allo Spirito la spiritualità e la missione vanno di pari passo. Non è possibile separare la missione dalla spiritualità né la spiritualità dalla missione. Per questa ragione, quando non riusciamo a vivere in modo integrato la missione e la spiritualità, molto probabilmente busseranno alla nostra porta la stanchezza e la confusione o il nostro accontentarci di “intrattenere” gli altri con le nostre attività, però senza arrivare a ‘toccare’ nel profondo la vita di ciascuno.


Tornare al primo amore


Oggi molti sociologi parlano della società della stanchezza. Papa Francesco dice che anche noi operatori pastorali possiamo vivere stanchi. Perché ci stanchiamo tanto? Qualcuno potrebbe dire che abbiamo l’agenda piena di impegni..., però “...il problema non sempre è l’eccesso di attività, ma soprattutto sono le attività vissute male, senza le motivazioni adeguate, senza una spiritualità che permei l’azione e la renda desiderabile.” 8. Evidentemente la causa di tante stanchezze non dobbiamo cercarla nella nostra agenda ma in noi stessi, nella mancanza di motivazione e nella disconnessione con la quale viviamo la missione e la spiritualità.


Per curare questa stanchezza dobbiamo capirne le cause. Tornare al primo amore dà vita nuova. Ricordiamo come Don Bosco, negli ultimi anni della sua vita, vide anche lui che nell’Oratorio di Valdocco si era perso il primo amore. Perciò da Roma scrisse una lettera ai giovani e ai Salesiani dell’Oratorio dove metteva a confronto la vita e la gioia dei primi anni con la crisi che si stava vivendo. Nell’Oratorio si era persa la gioia, la vita, la fiducia. In conclusione, bisognava tornare al primo amore.


A.- Spiritualità


È vero che la parola spiritualità è di moda, però è altrettanto vero che questa parola è molto ambigua. Possiamo vedere un rifiorire del desiderio di spiritualità in luoghi e contesti molto diversi, sebbene molte delle proposte di spiritualità che oggi vanno di moda non abbiano niente a che vedere con Gesù e il suo Vangelo.


Nonostante questa ambiguità, bisogna riconoscere che il desiderio di spiritualità può essere la porta di ingresso verso la vita cristiana per quanti sono in ricerca. “In alcuni giovani riconosciamo un desiderio di Dio, anche se non con tutti i contorni del Dio rivelato. In altri possiamo intravedere un sogno di fraternità, che non è poco. In molti ci può essere un reale desiderio di sviluppare le capacità di cui sono dotati per offrire qualcosa al mondo. In alcuni vediamo una particolare sensibilità artistica, o una ricerca di armonia con la natura. In altri ci può essere forse un grande bisogno di comunicazione. In molti di loro troveremo un profondo desiderio di una vita diversa. Sono autentici punti di partenza, energie interiori che attendono con apertura una parola di stimolo, di luce e di incoraggiamento” 9.


Questo atteggiamento di apertura ci porta a chiederci cosa stiamo facendo come Famiglia Salesiana a favore di questi giovani e adulti “in ricerca”. Quello che noi possiamo offrire è un po’ di luce e di incoraggiamento. Questa preoccupazione è urgente, soprattutto in quei contesti in cui i segni religiosi hanno perduto forza e vigore, anche se questi contesti si trovano ormai ovunque. Sapersi mettere in comunicazione con quelli che cercano significa aprire ponti di relazione. Forse è questo quello che chiede il Santo Padre quando dice “...lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero. 10.

E riconosciamo bene in questo sguardo lo stile e il modo in cui il nostro amato padre Don Bosco si avvicinava e accompagnava i suoi ragazzi.


B.- Spiritualità cristiana


Nel vasto campo della spiritualità noi ci collochiamo all’interno della spiritualità cristiana. C’è una spiritualità cristiana fondamentale che nasce dal messaggio essenziale del Vangelo e che porta anche l’impronta dei valori più caratteristici di ciascun momento della storia all’interno della Chiesa. Non possiamo dimenticare che il Cristianesimo si incarna nella storia e punta a trasformare l’uomo concreto nella sua situazione culturale. Perciò la spiritualità cristiana deve rispondere alle necessità di ogni tempo e deve esprimersi con le categorie del tempo presente. E non c’è dubbio che questi valori che nascono dal Vangelo in tutti i contesti, in tutte le culture e in tutti i tempi, siano ponti molto preziosi di comunicazione, dialogo ed incontro con le altre religioni.


Il punto decisivo nella vita spirituale è scoprire il mistero di Dio nel mondo e nella nostra vita perché “Dio sta agendo nella storia del mondo, negli avvenimenti della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano11.”. Qui troviamo il fondamento del discernimento. Perché Dio non sta in ozio ma è in azione, e la missione della Chiesa è fare in modo che ogni uomo e ogni donna incontrino il Signore che è già Presenza e agisce nelle loro vite e nei loro cuori. Da questo modo di intendere la missione la pastorale giovanile ha come obiettivo aiutare ogni giovane ad incontrarsi con il mistero di Dio che sta agendo nella storia, nella sua vita e nel suo cuore.

Don Bosco ha saputo sempre leggere gli avvenimenti della vita dalla prospettiva di Dio. Per vivere dalla prospettiva di Dio è necessario un centro vitale che unifichi la persona, dal momento che una persona spirituale è una persona solida, unificata e ben strutturata grazie all’azione dello Spirito Santo. In questo senso la persona spirituale è cosciente di essere figlio di Dio, possiede l’intelligenza della fede che gli permette di percepire il mistero di Dio e il senso del mondo e della storia, e vive la sua fede in una comunità di fratelli al servizio del Regno di Dio.


Quanto detto ci aiuta ad apprezzare e a capire in modo straordinario l’importanza che Papa Francesco riserva nel suo Magistero alla spiritualità. La affronta in tutti i suoi grandi documenti:

La spiritualità del discepolo missionario12.

La spiritualità ecologica13.

La spiritualità matrimoniale e familiare 14.

La santità come origine e meta della vita spirituale15 .


Spero (dice Papa Francesco) che tu possa stimare così tanto te stesso, prenderti così sul serio, da cercare la tua crescita spirituale” 16.Perché indubbiamente la spiritualità tocca la vita. Una vita fatta di sogni, esperienze, relazioni, progetti e scelte. Dobbiamo essere capaci di animare i nostri giovani a correre il rischio di sognare e di scegliere; a vivere intensamente e sperimentare; a gustare l’amicizia con Gesù; a crescere e maturare; a vivere la fraternità; ad impegnarsi; ad essere missionari coraggiosi.


C.- Spiritualità salesiana


Parliamo di una spiritualità salesiana, come espressione carismatica dentro il ‘grande fiume’ della spiritualità cristiana. Il sostantivo è la spiritualità cristiana e l’aggettivo è il concreto stile carismatico.


La Spiritualità Salesiana non si capisce senza comprendere l’esperienza spirituale di Don Bosco. Il nostro padre fu un sacerdote che si è dedicato all’educazione e all’evangelizzazione dei giovani, fondatore di diversi movimenti apostolici a favore della gioventù, e padre di una famiglia carismatica con una chiara e forte spiritualità apostolica.


Per questo la Spiritualità Salesiana trova le sue radici nell’esperienza spirituale che visse Don Bosco, che vissero i primi salesiani, le prime salesiane, i laici collaboratori e i giovani dell’oratorio. In questa tradizione spirituale vediamo un modo particolare di intendere la vita cristiana; l’azione educativa, pastorale e sociale; la proposta pedagogica e spirituale che chiamiamo Sistema Preventivo. La nostra Spiritualità presenta alcune peculiarità che le sono molto proprie: è una spiritualità del quotidiano, una spiritualità pasquale della gioia e dell’ottimismo, una spiritualità dell’amicizia e della relazione personale con Gesù, una spiritualità di comunione ecclesiale, una spiritualità mariana, una spiritualità del servizio responsabile che propone sempre, come ha fatto Don Bosco, la meta di essere “buoni cristiani e onesti cittadini”. Cerchiamo di promuovere la dignità di ogni persona e dei suoi diritti; esercitarsi a vivere con generosità in famiglia e favorire la solidarietà soprattutto con i più poveri; svolgere il proprio lavoro con onestà e competenza; promuovere la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; rispettare il creato e favorire l’accesso alla cultura. Tutto questo fa parte della nostra spiritualità, del nostro modo di essere Famiglia Salesiana e messaggio evangelico secondo il carisma di Don Bosco nei diversi luoghi del mondo.



1.5. BUONI CRISTIANI di fronte alla sfida degli ambienti non cristiani, post-credenti o post-cristiani


Al contrario viviamo in un mondo dove incontriamo non solo giovani credenti, ma anche giovani che si stanno allontanando dalla fede, giovani che professano altre confessioni religiose e giovani che non ne professano nessuna.


Questa pluralità di situazioni ci permette di ricordare il mandato missionario ricevuto a Pentecoste. Dove ci invia Gesù? Non ci sono frontiere, non ci sono limiti: ci invia a tutti, dal momento che per il Vangelo non ci sono limiti né frontiere. Il Signore ci invia a tutti e la missione salesiana ci porta a tutti. “Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. E ci invita ad andare senza paura con l’annuncio missionario, dovunque ci troviamo e con chiunque siamo, nel quartiere, nello studio, nello sport, quando usciamo con gli amici, facendo volontariato o al lavoro, è sempre bene e opportuno condividere la gioia del Vangelo”17.


È per questo che la missione è tanto stimolante quanto esigente. A cosa dobbiamo pensare per poterci avvicinare a livello pastorale anche ai giovani che si allontanano dalla fede e a coloro che professano altre religioni o che non ne professano nessuna? Ovvero, i contesti non cristiani o post-cristiani.


Alcuni pericoli ci minacciano


Nei contesti cristiani, come in quelli non cristiani o post-cristiani, dobbiamo evitare sia il fondamentalismo che il relativismo, così come l’esclusivismo e il sincretismo.


Il fondamentalismo, credendo di avere in tasca la verità, si chiude al dialogo, si fa ‘forte’ e intransigente nelle sue convinzioni, ma in modo reazionario e intollerante. Il relativismo a sua volta parte dalla convinzione che non vi siano certezze né verità cognitive o normative assolute. L’ambiente culturale postmoderno trova nel relativismo il proprio habitat naturale e vede come una aggressione insopportabile qualsiasi pretesa di verità. Né il fondamentalismo né il relativismo aiutano nella proposta pastorale.


L’Instrumentum Laboris dell’ultimo Sinodo sui giovani offre una pista interessante. “Non si tratta di rinunciare allo specifico più prezioso del cristianesimo per conformarsi allo spirito del mondo, né è questo che i giovani chiedono, ma occorre trovare il modo per veicolare l’annuncio cristiano in circostanze culturali mutate. In linea con la tradizione biblica, è bene riconoscere che la verità ha una base relazionale: l’essere umano scopre la verità nel momento in cui la sperimenta da parte di Dio, l’unico veramente affidabile e degno di fiducia” 18. L’Instrumentum Laboris suggerisce di percorrere la strada relazionale e di potenziare una pastorale relazionale. Sembra ci stia indicando che la porta di ingresso sta nella cura delle relazioni. Sappiamo bene che il Sistema Preventivo di Don Bosco è sempre stato un esercizio pratico di questo principio relazionale.


Altri due pericoli sono l’esclusivismo e il sincretismo. Il primo, l’esclusivismo, mostra due facce. Una si riferisce all’offerta di una proposta rivolta soltanto ad un’élite, i giovani e gli adulti più pronti. La seconda si riferisce alla censura di qualsiasi proposta pastorale, con la scusa di rispettare la sensibilità di ogni persona. In conclusione, sarebbe una proposta pastorale solo per pochi o addirittura l’assenza assoluta di proposta pastorale. Nessuno di questi percorsi è buono. Se la nostra proposta di pastorale non si preoccupa dei più lontani, stiamo mostrando la nostra poca fiducia nel progetto evangelico, e, forse, quanto la nostra idea di pastorale sia elitaria. E se scegliamo la censura, la nostra fiducia nel progetto di evangelizzazione è molto poca. La censura sarà la strada migliore per non occuparsi pastoralmente di nessuno.

L’altra faccia della moneta è il sincretismo. Una proposta pastorale sincretista si caratterizza per un miscuglio di proposte prese in prestito da diverse visioni del mondo. La proposta sincretista cerca sempre novità senza applicare alcun criterio di discernimento.


Viene da chiedersi se siano quindi possibili alcune proposte? Sì, lo sono:


Avere cura dei semi del Verbo


La prima proposta è quella di cercare e avere cura dei semi del Verbo. Il Concilio Vaticano II ha incoraggiato questa dottrina che, d’altra parte, si appoggia su una tradizione di molti secoli, già formulata nel II secolo da parte di un padre della Chiesa come San Giustino.


Richiamando questa dottrina, il Concilio ha voluto riconoscere i diversi gradi della verità che ci sono nelle diverse tradizioni religiose e culturali. In questi semi il Verbo è già presente, anche se soltanto in germe, e la direzione verso cui vanno è il Verbo. Questo è di grande aiuto nella nostra proposta pastorale nei contesti non cristiani o post-cristiani che ci chiedono di cercare spazi e luoghi di intesa e collaborazione. Quei ‘punti di incontro’ li troviamo su aspetti come il valore dell’umano e della dignità umana, la ricerca della pace, l’acquisire virtù come la compassione e il rispetto per l’altro, lo straniero, il diverso; la cura del Creato, l’ecologia...

Tutte queste motivazioni sono anche di grande attualità e sensibilità sociale mondiale e di sicuro questo ci suggerisce che possiamo cominciare da ciò che è semplice.


Il dialogo


La seconda proposta pastorale in contesti non cristiani e post-cristiani deve essere il dialogo, e con questo torniamo alla nostra riflessione sul tema relazionale.


Sottolineo l’importanza del dialogo, che ha bisogno di altre abilità come quella di saper ascoltare, parlare in modo comprensibile, essere capaci di proporre esperienze di comunione. Il dialogo non consiste soltanto nel dare pareri. Quando dialoghiamo dobbiamo sforzarci di comprendere l’esperienza che l’altro vive e il pensiero che ha. È importante perciò favorire sempre un clima di rispetto di fronte alle innegabili differenze, così come riconoscere che il dialogo richiede umiltà per ammettere i propri limiti e fiducia per apprezzare le proprie ricchezze.


Il dialogo pastorale di cui parliamo è, innanzitutto, una conversazione sulla vita umana, in atteggiamento di apertura verso i giovani, condividendo le loro gioie e le loro fatiche, i loro desideri e le loro speranze, i loro valori religiosi, trattandosi di un esercizio di incontro personale e comunitario che ci arricchisce enormemente: “Così impariamo ad accettare gli altri nel loro differente modo di essere, di pensare e di esprimersi. Con questo metodo, potremo assumere insieme il dovere di servire la giustizia e la pace, che dovrà diventare un criterio fondamentale di qualsiasi interscambio” 19.


Il valore della Testimonianza


Un’altra prospettiva non meno importante è quella che fa riferimento alla Testimonianza. Il valore della testimonianza basato sulla coerenza, l’impegno e la credibilità. I giovani ci possono perdonare molti errori però ci chiedono di essere coerenti, credibili, e impegnati a favore degli altri. Essi sono i testimoni del nostro tempo.


L’annuncio


Papa Francesco ricorda con insistenza l’importanza di annunciare il Vangelo. “non vi può essere vera evangelizzazione senza l’esplicita proclamazione che Gesù è il Signore e senza che vi sia un primato della proclamazione di Gesù Cristo in ogni attività di evangelizzazione”20. L’annuncio non dovrà mai essere proselitismo, e in ogni contesto avrà una diversa espressione; per esempio non sarà uguale l’annuncio del Vangelo in contesti non cristiani o in contesti post-cristiani.

Tale annuncio racchiude nella sua essenza le tre grandi verità del cristiano: Che Dio ci ama, che Cristo ci salva, e che lo Spirito dà vita e accompagna nella vita.


Come fare questo annuncio? Soprattutto con la certezza di sapere che l’annuncio si propone e rimane aperto affinché per la Grazia dello Spirito possa suscitare la fede. Inoltre, l’annuncio deve essere fatto con uno stile caratterizzato da prossimità e vicinanza, e deve essere personalizzato, pur trovandosi in gruppo o in comunità, deve cioè arrivare a ciascuna persona. Nessuna risorsa né strategia pastorale potrà mai sostituirlo.

Ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia, questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (1Pt 3,15-16a).



1.6. BUONI CRISTIANI decentrati da se stessi


La missione è una caratteristica dei discepoli del Signore. Ricordiamo che quando Papa Francesco descrive, nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, le caratteristiche della spiritualità del discepolo missionario, pone il mandato missionario nel più profondo dell’essere umano. “La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo” 21. Il Santo Padre pone la missione al centro dell’esistenza.


a.- La tua vita per gli altri


L’incontro con Dio mi tira fuori da me stesso per andare verso gli altri. Viene chiamata da alcuni ‘antropologia del dono’, che si può sintetizzare con l’espressione ‘la tua vita per gli altri’. Per questo una persona attenta agli altri è una persona capace di sguardo attento e compassionevole invece dell’indifferenza che tanto si radica nel cuore di molte persone in questi tempi, rendendoci incapaci di provare compassione di fronte alle grida degli altri.

Una persona aperta agli altri è capace anche di riconoscere il dono ricevuto mettendo i propri talenti a servizio degli altri. La dedizione verso gli altri, e soprattutto i più bisognosi, si trasforma così per davvero in una pratica di fede ed è fondamento di ogni vita cristiana.

Quando un incontro con Dio si chiama “estasi”, è perché ci tira fuori da noi stessi e ci eleva, catturati dall’amore e dalla bellezza di Dio. Ma possiamo anche essere fatti uscire da noi stessi per riconoscere la bellezza nascosta in ogni essere umano, la sua dignità, la sua grandezza come immagine di Dio e figlio del Padre. Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri con l’amore e cercare il loro bene” 22.


b.- Dall’‘io’ all’‘eccomi’


Questo modo di intendere la vita aperta agli altri ci invita a passare dall’ ‘io’ all’‘Eccomi’. La cultura dell’io spiega molto bene il mondo in cui viviamo. Questa cultura offre grandi possibilità (crescita personale, autonomia, sviluppo della persona), ma nasconde anche grandi fragilità (persone che si tengono alla larga e che sono poco aperte agli altri, narcisismo, presentismo).


L’antropologia biblica presenta il credente come colui che è capace di dire ‘Eccomi’. Nella Scrittura vediamo che queste parole furono pronunciate in momenti significativi della vita da Abramo, Mosè, Samuele, Isaia, Maria di Nazareth, dallo stesso Gesù che, secondo la Lettera agli Ebrei, entrando in questo mondo disse: ‘Eccomi, Signore, io vengo per fare la tua volontà’. (Eb 10, 7).


Dando importanza al valore dell’‘io’, e non potrebbe essere altrimenti, possiamo intendere la vita cristiana come un cammino di trasformazione dall’ ‘io’ all’ ‘Eccomi’. Fare questo passo permette di aprirsi ad un mistero che trascende. Quando diciamo, con fede, ‘Eccomi’ si sta generando in noi un atteggiamento e una disposizione che apre l’esistenza allo Spirito Santo che guida e accompagna la nostra vita, per trovare il modo di essere e di vivere che più ci identifica come esseri umani. È l’essenza di ogni vocazione, con sguardo di credente in Gesù Cristo, e “la vita che ci dona è una storia d’amore, una storia di vita che desidera mescolarsi con la nostra e mettere radici nella terra di ognuno23.”



2. ONESTI CITTADINI



2.1. I giovani ci aspettano nella ‘casa della Vita’


Una delle migliori e più attuali interpretazioni che possiamo fare della nostra missione salesiana è quella di continuare a garantire la nostra scelta di incontrare i giovani là dove essi si trovano e nelle situazioni che vivono. I giovani ci stanno aspettando, ed è la loro vita quotidiana, il presente, il luogo dove dobbiamo incontrarli. Non ci sarebbe promozione umana né impegno sociale, e nemmeno evangelizzazione e cammino di fede, se non si tenesse come punto di partenza il luogo dove i giovani e le famiglie e tutte le persone si trovano.

La capacità di andare loro incontro, imparata da Don Bosco, parla in noi di impegno con le loro vite, parla di prendere sul serio la loro situazione e, soprattutto, del desiderio profondo di fare comunione con loro e di fare della loro causa la nostra causa. È per questo che non possiamo dimenticare il nostro carisma fondativo come Famiglia Salesiana di incontrare i giovani là dove essi si trovano, e con loro, proprio là, lavorare impegnati a migliorare e a trasformare una realtà che ci interpella sempre. Di conseguenza, ogni processo di promozione umana deve essere visto come parte, e non come fine in se stesso, di un processo più profondo e ampio di promozione, che porta la persona a fare della propria vita uno spazio di incontro con gli altri, di scambio di doni per costruire una società più giusta e degna per tutti, come anticipo del Regno dei Cieli che si costruisce già su questa terra, se in noi ci sono i principi della buona notizia di Gesù.

Non credo si debba ammettere che l’impegno sociale, la “militanza” in associazioni che promuovono il bene dei giovani e della società siano istanze incompatibili con la proposta evangelica. Nel Padre Nostro si può cogliere la ‘politica’ della fraternità e della giustizia, la solidarietà, la riconciliazione, il rispetto, l’uguaglianza e la protezione dei più deboli. Non si può dire che siano incompatibili i diversi modi di fare il bene. Basta che questo bene consideri la persona nel suo insieme e ogni persona, evitando discriminazioni e particolarismi.

Quando a Gesù presentavano le situazioni di quelli che “non erano dei nostri”, subito Egli rispondeva facendo suoi quelli che non erano esplicitamente contrari. Chi non è contro di noi, è con noi.



2.2. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani alla Cittadinanza e all’ impegno sociale.


Forse si tratta di uno dei ‘luoghi comuni’ sui quali talvolta ci basiamo per liberarci di questioni scomode, come quando si dice che Don Bosco non si metteva in politica indicando che la sua politica era quella del “Padre Nostro”. Giustamente bisogna chiarire di che politica si tratta.

Vale la pena riflettere su questo argomento e scoprire che portare nel campo della politica le indicazioni del Padre Nostro non fa che confermare l’impegno umano ed evangelico a favore di ciò che preoccupa le persone o che condiziona le loro vite. E più che dare un senso diverso al Padre nostro, riducendolo ad un vuoto spiritualismo, disinteressato alle cose “qui sulla terra”, si deve dare un senso a partire da Dio che cerca il bene e la felicità dell’umanità, di tutti i suoi figli e le sue figlie.


Per i nostri giovani di oggi, abituati come sono alle cose pratiche, ai risultati facili, all’effetto immediato delle loro azioni, con le difficoltà che incontrano per realizzare cammini e itinerari o accettare la fatica della semina e la lunga attesa prima di vedere i frutti, risulta imprescindibile educare all’impegno sociale come percorso che può introdurre molti nel cammino della vita cristiana.

Non c’è vita cristiana autentica, potremmo dire, senza impegno sociale, ovvero senza giustizia e carità, senza servizio a favore degli altri, e soprattutto dei più bisognosi, dei più fragili, dei ‘senza voce’, degli abbandonati e degli scartati, così come non esiste il buon samaritano senza l’uomo bisognoso, o Don Bosco senza i giovani poveri, abbandonati e in pericolo.


E d’altra parte, non può esserci una politica e un’azione sociale autentica senza la promozione della persona. L’impegno sociale e l’azione politica devono essere espressione della priorità che hanno le persone e la promozione umana dentro la società.

Può essere che quella certa dicotomia che alcuni sottolineano fortemente tra il cammino di santità (vita spirituale) e l’impegno sociale (vita di cittadino) possa farsi concreta quando le mete sono la dignità del lavoro e lo sviluppo cristiano attraverso di esso, la fede dalle opere, l’impegno con i poveri e la giustizia sociale come esperienza coerente del Vangelo.


La dimensione sociale non è estranea all’esperienza della fede, ed è precisamente nell’impegno sociale che si deve rendere più profonda la dimensione trascendente di ogni azione umana. Papa Francesco nella “Christus Vivit” fa un’interessante lettura della capacità che hanno i giovani di impegnarsi socialmente e attribuisce all’amicizia con Cristo questa dedizione alla vita piena. È tutta una proposta pastorale per noi educatori ed evangelizzatori dei giovani.

Voglio incoraggiarti ad assumere questo impegno, perché so che «il tuo cuore, cuore giovane, vuole costruire un mondo migliore. Seguo le notizie del mondo e vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna. I giovani nelle strade. Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento. Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento! Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo. A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. Continuate a superare l’apatia, offrendo una risposta cristiana alle inquietudini sociali e politiche, che si stanno presentando in varie parti del mondo. Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondo migliore. Cari giovani, per favore, non guardate la vita “dal balcone”, ponetevi dentro di essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si è messo dentro; non guardate la vita “dal balcone”, entrate in essa come ha fatto Gesù».[92] Ma soprattutto, in un modo o nell’altro, lottate per il bene comune, siate servitori dei poveri, siate protagonisti della rivoluzione della carità e del servizio, capaci di resistere alle patologie dell’individualismo consumista e superficiale 24”.



2.3. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani all’impegno nel servizio politico.


La società che Don Bosco aveva in mente era una società cristiana, costruita sui fondamenti della morale e della religione. Oggi la visione della società si è trasformata: viviamo in una società secolare, costruita sui principi dell’uguaglianza, della libertà, della partecipazione, ma la proposta educativa salesiana conserva la sua capacità di formare un cittadino cosciente delle proprie responsabilità sociali, professionali, politiche, capace di impegnarsi per la giustizia e per promuovere il bene comune, con una speciale sensibilità e preoccupazione per i gruppi più deboli ed emarginati. Si deve, pertanto, lavorare per un cambio di criteri e per la visione della vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di gratuità, della lotta per la giustizia e la dignità di ogni vita umana” 25.


È un dato di fatto che, tutelati dalle ‘regole del gioco’, molti sistemi sociopolitici contemporanei dominino o sottomettano i cittadini più di quanto vorremmo o potremmo credere. I nostri ambienti educativi devono preparare i giovani a rispondere a simili questioni con senso politico e partecipazione civica responsabile. Mi domando:


Come possiamo aiutare i giovani ad acquisire le conoscenze, le capacità, le competenze e gli atteggiamenti essenziali per poter sviluppare una cittadinanza effettiva, libera e coerente?

Come Famiglia Salesiana, come possiamo essere cittadini salesianamente corresponsabili in questo tempo?


In un presente fragile e frammentato, dove la dimensione politica della vita si pensa molte volte sia connivente con la corruzione e la mancanza di etica, dove esiste l’anemia di una prassi che punta soprattutto all’individualismo, dobbiamo riproporci di educare i nostri giovani all’impegno nel servizio di una ‘cittadinanza onesta’ in ambito politico-sociale.


Tra le tante politiche (economiche, sociali, educative, sanitarie, internazionali..) possiamo scegliere come Famiglia Salesiana quella del “Padre Nostro”, quel del “pane quotidiano”, quella dei “piedi scalzi” nel “sempre” dei più poveri (Mc 14, 7), bisognosi della vera politica della giustizia e della carità. Vogliamo stare e dobbiamo continuare a stare dalla parte del “politicamente incorretto” perché scegliamo di prendere le parti di coloro che non hanno voce. Lo diceva Monsignor Romero: “La dimensione politica della fede si scopre e la si scopre correttamente piuttosto attraverso un’attività concreta a servizio dei poveri (…) che si incarna nel loro mondo, annuncia loro una buona notizia, dà una speranza, ne incoraggia i processi di liberazione, difende la loro causa e partecipa al loro destino” 26.

Perciò, come educatori e come cristiani, come Famiglia Salesiana di Don Bosco oggi, aspiriamo ad un’azione politica che sia sociale: una azione che contribuisca alla solidarietà, alla fraternità umana, al vero incontro che accetta e rispetta l’altro, alla realizzazione del “Regno di Dio” qui e ora


Educare i nostri giovani con questa visione e questo criterio di partecipazione politica, orientando al bene comune, ragione di essere e fine della vita politica, implica che si educhi con forte convinzione a:

  • la dignità e i diritti degli uomini, cercando sempre il bene integrale della comunità e della persona umana;

  • la custodia e la tutela della dignità trascendentale della persona, fatta ad immagine di Dio;

  • la promozione di uno sviluppo integrale, sostenibile e solidale di tutto l’umano e di tutti gli esseri umani;

  • la globalizzazione della carità e della solidarietà, soprattutto verso i poveri, i deboli e gli esclusi, contro l’enorme bolla dell’indifferenza, dell’esclusione e dell’egoismo;

  • la realizzazione della fraternità come principio regolatore dell’ordine economico e dello sviluppo di tutte le potenzialità dei popoli;

  • la diffusione della sussidiarietà come partecipazione libera e responsabile dalle basi di una società democratica, dove tutti hanno voce e possono partecipare;

  • la destinazione comune dei beni della terra, come cultura dell’incontro e della condivisione; anche la cura della casa comune, con una ecologia naturale e umana di convivenza, armonia, pace e benessere presente e futuro.


Questo esige da noi un lavoro educativo che risvegli e coltivi l’umanità di ogni uomo e donna, che lo faccia crescere nell’autocoscienza della sua vocazione, dignità e destino; un lavoro educativo anche nelle ‘nuove generazioni politiche’ affinché non si allontanino dalla partecipazione alla vita pubblica, appassionati del bene, carismaticamente presenti dove si prendono le decisioni sul futuro.

Come ci dice Papa Francesco: “Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei politici, dei grandi leader, delle grandi aziende. Sì, la loro responsabilità è enorme. Ma il futuro è soprattutto nelle mani delle persone che riconoscono l’altro come un “tu”, e se stessi come parte di un “noi 27”. Un noi che chiede di andare oltre il silenzio, oltre l’indifferenza, affinché tutti noi, cittadini di questo tempo, possiamo compiere la nostra missione nella comunità.


Questo sguardo non è estraneo a ciò che in essenza ci identifica come carisma salesiano. Come esempio serva quello delle Costituzioni e dei Regolamenti dei SDB quando si dice che: “la dimensione sociale della carità appartiene all’educazione della persona sociale e politicamente impegnata a favore della giustizia, della costruzione di una società più giusta e più umana, scoprendo in essa una ispirazione pienamente evangelica” 28 , e allo stesso modo in tanti documenti dei diversi gruppi che fanno parte della nostra grande famiglia.


Il Beato Alberto Marvelli, oratoriano di Rimini, fu un esempio di tutto questo. Sentì e visse l’impegno in politica come un servizio e una risposta dell’espressione della fede vissuta nel mondo, nella ‘polis’, cercando di incarnare nella sua vita gli ideali della solidarietà e della giustizia che la Chiesa del suo tempo predicava e che lui conosceva grazie alla lettura delle encicliche sociali. Per lui la politica era amore, era l’estrema conseguenza della carità sociale e strumento di verità. Così lo descriverà san Giovanni Paolo II nell’omelia della sua Beatificazione: “Nella preghiera cercava ispirazione anche per l’impegno politico, convinto della necessità di vivere pienamente come figli di Dio nella storia, per trasformarla in storia di salvezza”. Un giovane che si lasciò educare nella scuola dell’impegno socio-politico per una azione di sintesi tra fede e vita per la trasformazione del mondo. Alberto capì molto bene con la sua vita cosa significasse il servizio agli altri nella cittadinanza.


Per questa ragione continua ad essere un cammino indispensabile “avanzare nella direzione di una convalida aggiornata della ‘scelta socio-politico-educativa’ di Don Bosco. Questo significa formare una sensibilità sociale e politica che porta ad investire la propria vita come missione per il bene della comunità sociale, con un riferimento costante agli inalienabili valori umani e cristiani” 29.


Questa è una sfida nella nostra educazione socio-politica delle giovani generazioni nella quale dobbiamo ancora crescere molto. “Essere onesto cittadino comporta oggi per un giovane che egli promuova la dignità della persona e i suoi diritti, in tutti i contesti; che viva con generosità nella famiglia e si prepari a formarla sulla base della reciproca donazione; che favorisca la solidarietà, specialmente con i più poveri; che sviluppi il proprio lavoro con onestà e competenza professionale; che promuova la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; che rispetti la creazione e favorisca la cultura” 30.


L’educazione ha una dimensione politica in se stessa: l’azione educativa è un modo di intervenire nel mondo. Questo implica curare di più la dimensione politica dell’educazione, della cittadinanza, dell’impegno con la società, con le famiglie dei nostri giovani e con loro stessi.

Questa è oggi, e sarà sempre, una grande sfida nel nostro essere educatori per rendere possibile una realtà che generi nuovi standard etici. Non possiamo accontentarci, perciò, che le nostre opere educative sfornino laureati ma non cittadini impegnati nel cambiamento, critici di fronte alle diverse realtà, competenti non solo per la “formazione” ricevuta ma capaci di “trasformazione” della stessa realtà come agenti di cambio e miglioramento, di speranza e rinnovamento nel mondo dell’economia, della politica, dell’educazione, del lavoro, dell’impegno sociale, dei mass media…., e per un mondo nuovo di cittadinanza attiva, protagonisti del bene comune. Come educatori della Famiglia Salesiana, consacrati e laici, dobbiamo continuare con convinzione questo cammino in modo che, piantato il seme, questo possa crescere nel tempo e diventare atteggiamento e stile di vita.



2.4. ONESTI CITTADINI educando i nostri giovani all’onestà e alla legalità.


Ci sono domande che mi sembra non possiamo smettere di farci quando pensiamo di educare e accompagnare i nostri giovani nella loro formazione come onesti cittadini capaci di vincere le tentazioni di ciò che è facile, del denaro guadagnato senza fatica né professionalità.


Come possiamo aiutare gli adolescenti e i giovani che incontriamo ogni giorno a prendere decisioni e risolvere i problemi della loro vita con verità e onestà?

Come possiamo offrire esperienze che li aiutino a guadagnare fiducia in se stessi e, allo stesso tempo, a riconoscere la rettitudine dei comportamenti?


Dovremmo essere capaci di educare alla verità che rende liberi, alla bellezza della trasparenza, senza doppie vite o autoinganni, senza cadere nelle forme di schiavitù che opprimono, o nelle risposte senza etica che debilitano la persona nella sua interiorità. Gesù lo visse in prima persona con l’onestà e la trasparenza del suo annuncio: restituendo la libertà ai prigionieri, la vista ai ciechi, la libertà agli oppressi e proclamando un anno di grazia del Signore (cf Lc 4, 18-19); lavando i piedi ai suoi come esempio di servizio agli altri, vivendo le “ricchezze insondabili” di amore e verità che gli costarono la vita sulla croce, davanti a tutti. Soffrì nella propria carne l’ingiustizia strutturale che corrompe a causa dell’egoismo, l’autoreferenzialità, la ricerca dei propri interessi e la menzogna che, ripetuta tante volte, diventa “verità” fino ad uccidere.


Come educatori dobbiamo mettere in pratica e favorire l’onestà e la legalità. Come? Con la prevenzione. Ai giorni nostri capita spesso di ascoltare tanti ‘canti di sirena’ che propongono come la cosa più naturale il conseguire tutto facilmente per strade che corrompono l’interiorità della persona e danneggiano la sua integrità, la forza, la verità di ciò che siamo. “La società nel suo insieme è chiamata a impegnarsi concretamente per contrastare il cancro della corruzione nelle sue varie forme. (…) La corruzione è una delle piaghe più laceranti del tessuto sociale, perché lo danneggia pesantemente sia sul piano etico che su quello economico: con l’illusione di guadagni rapidi e facili, in realtà impoverisce tutti, togliendo fiducia, trasparenza e affidabilità all’intero sistema.” 31

Cosa stiamo facendo come educatori per rinforzare preventivamente nella vita dei nostri giovani la convinzione sulla necessità di essere onesti?

Che esempi, che idee, che contenuti stiamo trasmettendo perché i giovani, e anche le loro famiglie, non arrivino ad accettare come normale ciò che è ingiusto, la menzogna, la falsità e il proprio vantaggio a qualsiasi prezzo?

Cosa costruiamo con l’educazione e i valori evangelici in aspetti essenzialmente umani come la coscienza, la capacità critica, la denuncia a favore della verità, l’autenticità e la giustizia?


La corruzione è “un processo di morte” che è diventato consueto in tante società ed è, certamente, un vero male e un grave peccato (del quale non si parla), anche se, tuttavia, non può confondere la speranza portata dal Signore Gesù. Una speranza che dobbiamo seminare come forza in ciascuno dei nostri giovani. E sapendo che le scuole e le associazioni giovanili sono sempre strumenti di educazione civica, è di vitale importanza che chiunque si preoccupa per l’educazione e la società si chieda che tipo di cittadino presuppongono i nostri programmi educativi. Gli educatori oggigiorno subiscono enormi pressioni per ridurre l’educazione all’insegnamento e all’apprendimento di materie e alla preparazione di esami.

Mi piacerebbe pensare che la maggior parte degli educatori, almeno gli educatori delle presenze della Famiglia Salesiana nel mondo, credano che le scuole, al di là di insegnare ai bambini a leggere e scrivere, a risolvere problemi matematici e a capire la scienza e la storia, servano anche come una influenza meravigliosa nella visione del mondo e, pertanto, siano uno strumento importante e potente per dare forma alla nostra società, per cambiarla in meglio. È importante insegnare ai giovani a farsi domande, a mettersi in discussione e a mettere in discussione ciò che ci propongono come ideali di vita; ad esporre i propri punti di vista e le proprie prospettive; a prendere in considerazione i propri ambienti e le circostanze specifiche di vita, il proprio passato e i sogni per il futuro; a considerare se stessi cittadini attivi, disponibili, capaci, critici e ben attrezzati per influire nella vita pubblica.


Educare vuol dire tutto questo. “Educare vuol dire aiutare i singoli a ritrovare se stessi, accompagnarli con pazienza in un cammino di recupero di valori e di fiducia in sé; comporta la ricostruzione delle ragioni per vivere scoprendo una nuova visione della vita più positiva. Educare dice anche una rinnovata capacità di dialogo, ma anche di proposta ricca di interessi e saldamente ancorata a quello che è essenziale per una vita migliore; coinvolgere i giovani in esperienze che li aiutino a cogliere il senso dello sforzo quotidiano; offrire strumenti fondamentali per guadagnarsi da vivere, rendendoli capaci di agire da soggetti responsabili in ogni circostanza. L’educare richiede di conoscere le problematiche sociali giovanili del nostro tempo”32 .



2.5. ONESTI CITTADINI sensibili e corresponsabili in un mondo in movimento e migrazione


Permettetemi, a titolo esemplificativo di ciò che voglio sostenere, di fare riferimento a quanto ho vissuto io stesso nelle diverse visite di questi anni. Sono rimasto molto ammirato dall’enorme creatività e dall’impegno dei miei confratelli e della Famiglia Salesiana, che hanno saputo dare risposte al fenomeno impressionante dei nostri giorni che è la migrazione umana. L’ho constatato a Kakuma, un campo di rifugiati nel nord del Kenya che accoglie circa 190.000 persone. I miei confratelli SDB sono l’unica istituzione autorizzata a vivere dentro lo stesso campo, prendendosi cura integralmente dei giovani provenienti da varie parti dell’Africa, soprattutto dal Sud Sudan e dalla Somalia, attraverso la formazione professionale, l’oratorio e il centro giovanile, e le attività educativo-pastorali. L’ho visto anche nella significativa presenza di Tijuana, in Messico. In quella frontiera tra il sud e il nord economico del mondo, con la mensa e la rete di oratori, rispondono ai bisogni di centinaia di giovani in cerca di futuro, li accompagnano e prevengono il pericolo della violenza e della droga, offrendo opportunità educative. Anche nella nostra comunità del ‘Sacro Cuore’ di Roma abbiamo un piccolo ma dinamico centro giovanile, frequentato da giovani universitari e volontari, che in un ambiente oratoriano accolgono giovani migranti e rifugiati di diverse parti del mondo. Così potremmo percorrere tutto il mondo della nostra Famiglia Salesiana e trovare da tutte le parti risposte creative ai bisogni dei giovani migranti, dal momento che questa sensibilità nasce dal nostro DNA salesiano. Credo di poter affermare, senza paura di sbagliarmi, che siamo figli e figlie di un emigrante, che accolse emigranti e inviò i suoi figli missionari a prendersi cura di emigranti.


Il fenomeno


Il fenomeno migratorio riguarda oggi più di 1000 milioni di persone; è il più grande movimento di persone di tutti i tempi, si è trasformato in una realtà strutturale delle società contemporanee e costituisce una realtà sempre più complessa dal punto di vista sociale, culturale e religioso, esacerbata dall’esistenza della migrazione irregolare. Le cause del fenomeno sono varie: dalle asimmetrie sociali ed economiche planetarie, alle crisi politiche e sociali che si trasformano in conflitti armati e le persecuzioni etniche e religiose, fino alle migrazioni per motivi climatici come la desertificazione di varie parti del pianeta e anche l’enorme facilità e possibilità di comunicazione e mobilità che ci sono oggi.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, i migranti internazionali oggi sono 271,6 milioni, circa il 3,5% della popolazione mondiale. Di questi, 39 milioni sono minori di 18 anni. L’emigrazione interna (ovvero quella che si verifica all’interno di una nazione) era stimata, secondo dati del 2009, a 790 milioni di persone.

Un capitolo particolare e più drammatico è quello dei 70.8 milioni di persone costrette a migrare: 41,3 milioni di migranti, soprattutto persone che per conflitti bellici, hanno dovuto migrare all’interno del proprio Paese. Quelli che abbandonano il loro paese sono 25,9 milioni di rifugiati, più 3,5 milioni di persone richiedenti asilo. Questi sono i dati ufficiali dell’ONU, pur sapendo che i numeri potrebbero essere ancora superiori. La metà di questi migranti forzati sono minori di 18 anni. Sono stati calcolati 111.000 minori senza famiglia, non accompagnati. Sempre più i rifugiati vivono nelle città (61%), essendo più invisibili.


Don Bosco


Per la nostra Famiglia Religiosa il fenomeno della migrazione non è una novità carismatica.

Proprio Don Bosco emigrò dalla serenità e dall’austerità della zona rurale de I Becchi a Chieri, e dopo alla controversa città di Torino. Fin dagli inizi Don Bosco affrontò questa realtà. I primi giovani che accolse nel suo oratorio erano emigranti stagionali o permanenti, provenienti dalle zone rurali in cerca di lavoro nel capoluogo piemontese; giovani stranieri che non parlavano né italiano né piemontese. In una discussione con alcuni parroci di Torino, che pensavano che Don Bosco tenesse lontano i giovani dalle loro parrocchie, il santo rispose che erano tutti stranieri:


Perché son quasi tutti forestieri, i quali rimangono abbandonati dai parenti in questa città, o qui venuti per trovare lavoro, che non poterono avere. Savoiardi, Svizzeri, Valdostani, Biellesi, Novaresi, Lombardi sono quelli che per ordinario frequentano le mie adunanze. […] la lontananza dalla patria, la diversità di linguaggio, l’incertezza del domicilio, e l’ignoranza dei luoghi rendono difficile, per non dire impossibile, l’andare alle parrocchie... ”33.


L’avventura missionaria salesiana comincia con l’attenzione agli emigranti italiani in Argentina. Don Bosco esortò così la prima spedizione missionaria del 1875:


Andate, cercate questi nostri fratelli, cui la miseria o la sventura portò in terra straniera, e adoperatevi per far loro conoscere quanto sia grande la misericordia di quel Dio, che ad essi vi manda pel bene delle loro anime”.34


La Congregazione Salesiana ai tempi di Don Rua e di don Albera consolidò l’attenzione agli emigranti italiani, e anche polacchi e tedeschi. Basti pensare al grandissimo lavoro che si realizzò tra gli emigranti; già nel 1904, soltanto in America, c’erano 450.000 emigranti assistiti dai salesiani35. Con Don Rua si istituì anche una “Commissione Salesiana dell’Emigrazione” che fu operativa per diversi anni. Il servizio fatto a favore degli emigranti fu enorme, sia per gli emigranti europei in America, Africa, Medio Oriente o nella stessa Europa, come per gli emigranti che scappavano dall’Europa dell’Est fino all’Europa Occidentale ai tempi del regime comunista.

Quindi il fenomeno migratorio, in un modo o nell’altro, è sempre stato presente nella nostra storia salesiana. La sfida della migrazione umana giovanile è oggi molto più estesa e complessa a causa della sua dimensione culturale, sociale, religiosa, a causa del suo grande impatto demografico, e i nuovi aspetti legati alle tecniche di informazione, globalizzazione, facilità di trasporti. Di fronte a questa realtà una pastorale di comunione (più inclusiva ed integrante) si rende più necessaria rispetto a quella tradizionale, etnico-nazionale dell’attenzione ai connazionali. Anche noi ci troviamo di fronte a fenomeni nuovi e drammatici come quello dei rifugiati, dei minori non accompagnati e la tratta di persone. Tutto questo pone grandi sfide alla nostra Famiglia Salesiana di fronte a questo nuovo ‘continente giovanile’ del secolo XXI^.


Visione di futuro


Alla domanda su quali giovani incontriamo oggi nel mondo, certamente questi milioni di giovani costretti a migrare ci interpellano. Si tratta di una realtà che, oltre ad essere una presenza di frontiera, in situazioni di emergenza, la maggior parte delle Opere della Famiglia di Don Bosco accolgono nelle loro realtà centinaia di migliaia di bambini, adolescenti e giovani migranti di prima o seconda generazione che si integrano serenamente nelle nostre comunità educative. Questo servizio prezioso, generalmente molto silenzioso e discreto, offre un aiuto importante ai giovani che migrano offrendo loro un riparo e aiutandoli in una effettiva e naturale integrazione nella Società civile e a volte nella Chiesa.

La nostra azione in questo impegnativo mondo della mobilità umana dobbiamo realizzarla a partire dalla nostra identità carismatica:

Focalizzandoci prima di tutto sui bambini, gli adolescenti e i giovani, offrendo loro percorsi educativo-pastorali di un certo spessore.

Mantenendo il nostro approccio educativo-evangelizzatore, evitando di essere ridotti ad una ONG. Il soggetto della missione è affidato ad una comunità educativa in comunione di vita tra consacrati e laici competenti per questa delicata missione.

Sostenendo una ‘presenza educativa’ con la quale ci inseriamo il più possibile nello spazio geografico ed esistenziale dei nostri destinatari.

Essendo educatori e amici che stanno con loro non semplicemente come agenti umanitari, come fornitori di servizi a loro favore, ma come educatori e pastori.

Puntando sulla “prevenzione”, cercando di offrire ai giovani la possibilità di sviluppare le competenze nel proprio contesto culturale, per potersi inserire con dignità in esso, senza l’urgenza di dover emigrare. Ogni giovane ha diritto a non dover emigrare.

Con una presenza sempre più coordinata, più istituzionale, più visibile e professionale. Si tratta di una grande opportunità di intervento per la Famiglia Salesiana, dove ciascun gruppo può mettere a disposizione i propri doni per la missione. Il volontariato missionario e il Movimento Giovanile Salesiano trovano un immenso orizzonte di impegno con questa Gioventù in movimento.


Questo continente in movimento ci interpella con forza nel secolo XXI proponendoci che la loro esistenza possa essere motivo per tutti noi di una vera fonte di rinnovamento pastorale, carismatico e vocazionale.



2.6. ONESTI CITTADINI che si prendono cura della casa comune come ci chiedono i giovani


L’impegno per la casa comune (visione dell’ecologia proposta dalla Laudato si’) non è un impegno in più: è un orizzonte che interpella per intero la nostra cultura, fede, stile di vita, missione, educazione e evangelizzazione. Inoltre, l’ecologia ci parla anche di una proposta educativa integrale (nei suoi valori umani e spirituali).

Quando parliamo di cura della casa comune o di cura del Creato, non siamo di fronte ad una scelta opzionale, bensì ad una questione essenziale di giustizia, dal momento che la Terra che abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno dopo di noi. L’ambiente è un prestito che ogni generazione riceve e che deve trasmettere alle generazioni successive.


Alcune proposte pastorali


Conversione ecologica


La prima proposta ha molto a che vedere con un cambio di mentalità e di sguardo sulla realtà. Papa Francesco ci invita a "prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo."36Per questo dobbiamo adottare una spiritualità radicalmente nuova, una spiritualità in cui il nostro impegno per la cura della Terra è intenso ed efficace nella misura in cui si radica in una conversione ecologica effettiva.


Siamo chiamati ad andare alle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo utilizzando delle tecniche, ma anche cambiando come esseri umani. Ognuno deve passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, da “ciò che voglio io” a “ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio”.


Accompagnare il protagonismo giovanile nell’impegno per la casa comune


Molto probabilmente ciò che nessuno avrebbe potuto immaginare, e tanto meno i ‘grandi e potenti di questo mondo, è che la più grande reazione e protesta potesse venire dai giovani e in un movimento quasi mondiale. Ci sono giovani nel mondo molto preparati sulle questioni ecologiche e che esercitano una cittadinanza attiva per la salvaguardia della casa comune.


      • Greta Thunberg, giovane attivista svedese di 16 anni, ha detto ai leader mondiali radunati a New York per il Summit ONU sul clima del 2019: Avete rubato i miei sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote. Siamo all'inizio di un'estinzione di massa e tutto ciò di cui si può parlare è denaro e fiabe di una crescita economica eterna. Come osate! Ci state deludendo. Ma i giovani cominciano a capire il vostro tradimento37.


      • Queste parole forti stanno sfidando i leader e cambiando le prospettive degli adulti e guidando un vasto movimento di giovani per salvare la casa comune. La ‘Generazione Laudato Si’ ne è un esempio concreto. È il “Settore Giovani” del Movimento Cattolico Mondiale per il clima, una rete internazionale di oltre 800 organizzazioni cattoliche. Esse si stanno mobilitando per la giustizia climatica e per chiedere alla Chiesa e al mondo di agire. In qualità di membri attivi di questa rete internazionale, rappresentano la Famiglia Salesiana i gruppi ‘Don Bosco Green Alliance’ e il ‘Movimento Giovanile Salesiano’.


      • Come educatori dei giovani, noi accompagniamo non solo chi si è già messo le scarpe ma anche ci preoccupiamo di quanti sono stesi sul divano davanti alla finestra, o allo schermo. Allo stesso tempo, ricordiamo bene che i giovani sono bravissimi a stimolare i loro coetanei, a mettergli le scarpe38.


Verso una ecologia umana


L’ecologia ambientale intrinsecamente ci spinge a riflettere sull’ecologia integrale. Dagli anni 1970, da Papa San Paolo VI ai vari Papi che si sono susseguiti nel tempo, tutti hanno sempre insistito su questo aspetto. ‘L’ecologia umana’ è un termine introdotto da papa San Giovanni Paolo II nella sua lettera enciclica Centesimus Annus39. Recuperando questa parola, Papa Francesco dice che ‘la distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado40.


L’opera educativa e culturale


      • San Giovanni Paolo II, di fronte alla crisi ecologica, parlava già della necessità e dell’urgenza41 di una grande opera educativa e culturale.

      • Le nostre proposte educative per la cura della casa comune prevedono le tre fasi dell’Informare, Educare e Fare cultura42 .

      • Di fronte al fenomeno del consumismo, bisogna ricordare ai giovani delle nostre realtà tre principi (3R : ridurre, riutilizzare e riciclare.

      • Noi sappiamo bene che le tematiche ecologiche sono conseguenza delle strutture ingiuste. Per affrontarle abbiamo bisogno delle strutture virtuose di grazia, di riconciliazione, di guarigione, e di ecologia ambientale, umana, sociale e integrale43. Sono queste le strutture che noi come educatori dobbiamo proporre ai giovani.

      • Per iniziare dei percorsi che portino ad una cittadinanza ecologica ci sono riflessioni fondamentali molto vicine alla nostra sensibilità salesiana. Per esempio, il nostro confratello Joshtrom Isaac Kureethadam lavora nel Dicastero della Chiesa che si occupa di questo aspetto. Nel suo libro I Dieci Comandamenti Verdi troviamo tanti spunti per continuare a sviluppare nei nostri giovani una grande sensibilità verso il Creato, per sognare e fare diventare realtà quanto i nostri governanti non vogliono prendere sul serio per motivi economici e interessi vari.



2.7 Nella difesa dei diritti umani e specialmente dei diritti dei minori


Sento un’urgente necessità di fare un forte richiamo alla nostra Famiglia perché, nel presente e nel futuro, possiamo distinguerci per la difesa di ogni minore. L’essenza del messaggio che voglio trasmettere è proprio questa:


Lo scopo per cui siamo stati suscitati dallo Spirito Santo in Don Bosco come Famiglia Salesiana è quello di donare tutta la nostra vita ai minori, ai giovani, ai ragazzi e alle ragazze del mondo, dando la priorità soprattutto ai più indifesi, ai più bisognosi, ai più fragili, ai più poveri.

Per questo dobbiamo essere esperti nel settore della difesa di tutti i diritti umani, specialmente quelli dei minori, e domandare perdono fino alle lacrime qualora qualcuno non avesse agito così. Non possiamo essere complici di nessun abuso, intendendo con questo l’abuso di «potere economico, di coscienza, sessuale» - come è stato definito in occasione del Sinodo su I giovani, la fede e il discernimento vocazionale44.


Come Famiglia di Don Bosco siamo parte di tutti gli sforzi che la Chiesa intera compie a favore dei diritti umani. Come tutti sappiamo, il linguaggio dei diritti è entrato nella vita della Chiesa con lo sviluppo della dottrina sociale. La Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai nostri giorni tali diritti vengono promossi ovunque.

Mentre la società civile opera in modi diversificati a difesa dei diritti umani, noi, Famiglia di Don Bosco, così come la Chiesa, siamo chiamati oggi a recuperare la dimensione oggettiva dei diritti umani, basata sul riconoscimento della “dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana, [che] costituisce il fondamento della libertà della giustizia e della pace nel mondo45. Senza una tale visione, si instaura un cortocircuito dei diritti e si favorisce “la globalizzazione dell’indifferenza che nasce dall’egoismo, frutto di una concezione dell’uomo incapace di accogliere la verità e di vivere un’autentica dimensione sociale46”. La tentazione moderna è di sottolineare molto la parola “diritti”, tralasciando quella più importante: “umani”. Se i diritti perdono il loro nesso con l’umanità, diventano solo espressioni di gruppi di interesse.


  • Per Don Bosco il ragazzo emarginato non è un beneficiario passivo, un semplice destinatario a cui dare assistenza o offrire servizi. Don Bosco auspica una nuova visione del ragazzo emarginato: una relazione educativa tra educando ed educatore, che anticipa la visione del ragazzo come soggetto di diritti, che la Convenzione di New York ha sancito per la prima volta trent’anni fa, il 20 novembre 1989, come strumento di diritto internazionale oggi legalmente vincolante per 193 Stati.

  • I diritti dei minori e il Sistema Preventivo hanno in comune alcuni principi di base. Entrambi hanno lo stesso obiettivo, cioè lo sviluppo integrale e il benessere totale dei bambini. Sia i diritti dei bambini che il Sistema Preventivo hanno alcuni compiti da svolgere per poter realizzare i loro obiettivi a favore dei bambini. Questi compiti comprendono la cura integrale delle persone, la formazione di personale responsabile, la creazione di un ambiente sano, lo sviluppo di linee guida per una disciplina positiva e la formulazione di protocolli per la protezione dei minori.


In difesa dei diritti dei minori


  • 1.- Dal 21 al 24 febbraio 2019 si è svolto il ‘summit’ della Conferenza Episcopale Cattolica del mondo su ‘La protezione dei minori nella Chiesa’. Vi hanno partecipato 190 leader ecclesiastici e i presidenti di 140 Conferenze Episcopali. Nell’incontro Papa Francesco ha detto che in docilità allo Spirito Santo, dobbiamo sentire il grido dei piccoli che chiedono giustizia. Sappiamo bene che ogni scandalo può rendere invisibile la luce del Vangelo47, e l’abuso di potere e di coscienza fanno tanto male e sono pericolosissimi.


  • 2.- Non possiamo parlare di diritti dei minori senza fare riferimento alla ‘Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza’ delle Nazioni Unite, che definisce un fanciullo come ogni essere umano di età inferiore ai diciotto anni e fornisce uno standard per la cura e la protezione, l'identificazione, la gestione dei casi, il reporting e il rinvio. Identifica quattro aspetti dei diritti dei bambini: la partecipazione dei bambini alle decisioni che li riguardano; la protezione dei bambini contro la discriminazione e tutte le forme di abbandono e sfruttamento; la prevenzione dei danni e l'assistenza ai bambini nei loro bisogni fondamentali.


  • 3.- Nel nostro Progetto Educativo Pastorale, l'ascolto dei minori è importante e vitale, come spesso ribadito dal Sinodo48. Esso apre la strada alla piena partecipazione. E la partecipazione contribuisce allo sviluppo personale, porta a migliori decisioni e risultati, serve a proteggere i minori, contribuisce alla preparazione e allo sviluppo della società civile, alla tolleranza e al rispetto per gli altri e rafforza la responsabilità.


  • 4.- Conoscenza e riflessione più approfondita sui diritti dei minori: si tratta di molti documenti e dichiarazioni costantemente pubblicati sui diritti umani e soprattutto sui diritti dei minori. Alcuni sono a livello ecclesiale e globale, altri sono a livello di regione o a tema specifico49. L’ignoranza di questi documenti ci impedirà sicuramente di essere degli educatori efficaci. Quindi dobbiamo studiarli a fondo e diffonderli nelle nostre realtà.


  • 5.-Lavorare in rete con altre agenzie: nella missione di protezione e promozione dei diritti dei minori, abbiamo bisogno di fare rete con molte altre agenzie che lavorano con un ‘approccio basato sul diritto’. Ce ne sono veramente tante, governative e non governative. In alcune Ispettorie del mondo alcuni Salesiani fanno parte del "Consiglio di Giustizia Minorile" (Juvenile Justice Board), attraverso il quale sono in grado di difendere e proteggere i diritti dei minori. Ci sono altri Salesiani che sono avvocati e che difendono i diritti dei minori nei tribunali civili e ottengono giustizia per loro. Questa è un'ottima piattaforma per diffondere i valori evangelici nei settori secolari.


  • 6.- Il ‘Sistema di protezione dell'infanzia’, è definito dall’UNICEF come "l'insieme di leggi, politiche, regolamenti e servizi necessari in tutti i settori sociali per sostenere la prevenzione e la risposta ai rischi connessi alla protezione”. Tante delle nostre presenze sono interamente dedicate ai servizi sociali e ai centri per giovani a rischio. Questo deve continuare ad essere, come Famiglia Salesiana, il nostro ‘piccolo ma grande’ contributo.


  • 7.- È indispensabile che in ogni Opera della nostra Famiglia nel mondo ci sia un "Codice Etico" che definisca molto chiaramente ciò che ci si aspetta da tutti, dai consacrati, dalle consacrate, dagli educatori laici, e che stabilisca chiaramente anche ciò che costituisce grave violazione del Codice Etico stesso.


  • 8.- Infine, ma si tratta di un aspetto fondamentale in quanto persone consacrate, ciò che deve essere rafforzato è il nostro rapporto personale e comunitario con Cristo. La sua compagnia dovrebbe ispirarci a lavorare di più per proteggere i bambini e i minori che Lui tanto ama e che ha indicato come modelli di discepolato.


  • Il sistema preventivo e i diritti umani: Due proposte


    • Insieme stiamo facendo tante cose buone e belle per la promozione dei diritti umani. Per essere più efficaci in questo ministero dobbiamo però cambiare strategia nel nostro modo di pensare e di agire. Dobbiamo diventare una Famiglia di Don Bosco che sostiene la dimensione sociale della carità50 e promuove i diritti umani attraverso un uso creativo del Sistema Preventivo. Questo è il necessario cambio di paradigma.


  1. Passare dal vedere il Sistema Preventivo semplicemente come un'alternativa al Sistema Repressivo, a vederlo come un eccellente strumento per promuovere i diritti umani: Finora tante volte siamo stati abituati a considerare il Sistema Preventivo solo come un sistema di educazione diverso dal Sistema Repressivo. Non abbiamo prestato tutta l’attenzione al suo potenziale in materia di diritti umani. Dobbiamo studiare ed elaborare il suo potenziale intrinseco per la promozione dei diritti umani e utilizzarlo per gli stessi.


  1. Passare dalla formazione della legge che rispetta i cittadini ai diritti che rivendicano i cittadini: Abbiamo sempre enunciato uno degli obiettivi dell'educazione come formazione di onesti cittadini e abbiamo capito che ciò significa formare cittadini rispettosi della legge. Questo non sarà sufficiente nel futuro in un mondo sempre più complesso. Dobbiamo educare i giovani a rivendicare i loro diritti; infatti se i diritti non vengono rivendicati, è molto probabile che vengano ignorati51.



L’ULTIMA PAROLA... ASCOLTANDO DON BOSCO STESSO CHE PARLA DI POLITICA



Concludo questa lunga narrazione nella quale ho fatto riferimento a tanti aspetti, a mio giudizio molto importanti e della massima attualità, dando la parola allo stesso Don Bosco. Tra le tante possibili citazioni ho scelto il discorso che ha indirizzato agli ex-allievi che il 15 luglio 1883 erano ritornati all’Oratorio per festeggiare Don Bosco. Incredibilmente, una buona parte del discorso di Don Bosco si riferisce alla politica. Penso che sia molto illuminante e molto in sintonia con quanto ho sviluppato fino a qui. Dice così:


Oltre l’aiuto del cielo, quello che ci facilitò e ci faciliterà di fare del bene è la stessa natura dell’opera nostra. Lo scopo al quale noi miriamo torna benvisto a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi, che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi ha qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce, oppure che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata, o pericolante, per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonore, e forse anche alla prigione, ecco a che mira l’opera nostra. Or qual uomo assennato, quale autorità potrebbe impedircela?

Ultimamente, come sapete, io fui a Parigi, e tenni discorso in varie chiese, per perorare la causa delle opere nostre, e, diciamo francamente, per ricavar quattrini, onde provvedere pane e minestra ai nostri giovani, i quali non perdono mai l’appetito. Or bene, tra gli uditori ve n’erano di quelli che vi si recavano unicamente per conoscere le idee politiche di Don Bosco; dal momento che taluni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti ad un partito, e via dicendo; onde vi furono delle benevole persone, che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole cessarono tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e Don Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all’altro della Francia. No davvero, con l’opera nostra noi non facciamo della politica; noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù, e salvare delle anime. Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni governo.

La politica si definisce la scienza e l’arte di ben governare lo Stato. Ora l’opera dell’Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell’America, in tutti i paesi, dove si è già stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa , tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero dei piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidi alle pubbliche autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace.

Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire. ”52.


Con la mediazione materna di nostra Madre, Immacolata ed Ausiliatrice, chiediamo a Dio Padre che ci conceda il suo Spirito per continuare a fare una vera politica del Padre Nostro per i giovani di oggi, in una società che ci esorta, davanti alle sue disuguaglianze, a non restare zitti o passivi, e in un mondo sempre bisognoso di Dio, sempre più dobbiamo essere Testimoni-Discepoli-Missionari del Dio che, rispettando così scrupolosamente la libertà umana, ogni giorno è disposto all’Incontro con i suoi figli e le sue figlie.


Per questo preghiamo:



Signore Gesù,

Sai quanto ci costa mettere in pratica il tuo Vangelo;

aiutaci a contemplarti in Don Bosco,

a vedere il tuo amore nei suoi gesti,

a discernere il tuo cammino nelle sue azioni,

ad imparare la tua misericordia nel suo affetto.

Donaci luce per interiorizzare lo stile

con il quale Don Bosco fu tuo discepolo,

modella il nostro cuore come il tuo di Buon Pastore,

e dacci la forza per trasformare in vita ed in opere le tue parole. 53







Don Ángel Fernández Artime, SDB

Rettor Maggiore

1 Il commento che sviluppo e che farà riferimento al binomio‘ Buoni Cristiani e Onesti Cittadini’, salesiano proprio perché secondo il cuore di Don Bosco, è stato ampiamente studiato e approfondito da Pietro Braido, Buoni cristiani ed onesti cittadini, RSS, vol. 24, 1994 (p. 36-42)

2 Redemptoris Missio, 3

3 Costituzione e Regolamenti SDB, n. 3

4 Sinodo dei Vescovi, I Giovani, la fede e il discernimento vocazionale. Instrumentum Laboris, 175

5 Costituzioni degli SDB 21, citando a Don Rua 1 24.8.1894

6 C, 38

7 Francesco, Christus Vivit, 214.

8 Francesco, Evangelii Gaudium, 81.

9 Francesco, Christus Vivit, 84

10 Ibid, 67

11 Francesco, Angelus del 28 ottobre 2019

12 Cf. Francesco, EG, 239-288

13 Cf. Francesco, LS, 181-213

14 Cf. Francesco, AL, 278-289

15 Cf. Francesco, GE per gran parte del suo contenuto.

16 Francesco, ChV, 159

17 Ibid, 177

18 Sinodo dei Vescovi, I Giovani, la fede e il discernimento vocazionale, o.c., 55

19 Francesco, EG, 250

20 Ibid, 110

21 Ibid, 273

22 Francesco, ChV, 164

23 Ibid, 252.

24 Francesco, ChV, 174

25 P. Chávez, Atti del Congresso Internazionale sul Sistema Preventivo e i Diritti Umani, p. 82

26 Mons. O. Romero, Discorso pronunciato in occasione del Dottorato Honoris Causa conferitogli dall’Università di Lovanio, pronunciato il 2 febbraio 1980.

27 Francesco, Videomessaggio inviato a TED 2017

28 Costituzioni e Regolamenti dei Sdb, 32 e 22 rispettivamente.

29 P. Chávez, ACG 415. Come Don Bosco educatore

30 Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di Riferimento, p. 99, facendo riferimento al CG23, n. 178

31 Francesco, Udienza ai Funzionari della Corte dei Conti, Città del Vaticano, 18 marzo 2019

32 Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, o.c., 85

33 Bosco G., Memorie dell’Oratorio, ISS, Fonti Salesiane. Don Bosco e la sua opera. LAS, Roma, 2014, 1250.

34 Ceria E., Memorie Biografiche del beato don Bosco, Vol. XI, Torino 1930,385.

35 Motto F., Bosco (Don) Giovanni e la missione dei Salesiani per i migranti, in, Battistella G. (a cura di). Migrazioni. Dizionario Socio-Pastorale, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, 62.

36 Francesco, LS, 19

37 See #FridaysForFuture e #Climatestrike.

38 Papa Francesco, Discorso ai giovani in occasione del viaggio apostolico in Cile, 17 gennaio, 2018.

39 Joshtrom Isaac Kureethadam, I dieci comandamenti verdi. Torino: Elledici, 2016, 142.

40 Francesco, LS, 5

41 Centesimus Annus, 36

42 Aldo Coda Negozio, Guglielmo Aldo Ellena, Gestire il pianeta terra, Torino: Società editrice internazionale, 1995, P. XI.

43 Tebaldo Vinciguerra, ‘Ecologia’, Note di pastorale giovanile, p.74.

44 Sinodo dei Vescovi, o.c. Documento Finale 30.

45 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 10 dicembre 1943 (di seguito: DDU), preambolo

46 Francesco, Discorso al Consiglio d’Europa, Strasburgo, 25 novembre 2014

47 Benedetto XVI, Lettera Pastorale del Santo Padre ai Cattolici d’Irlanda, (Marzo 2010)

48 Sinodo dei Vescovi, I giovani..., o.c., 6

49 Motu Proprio, On the protection of minors and Vulnerable Persons, issued on 29, March, 2019 - Council of the Baltic Sea States Secretariat, Guidelines: promoting the human rights and the best interests of the child in transnational child protection cases, Sweden: 2015. - Rachel Hodgkin and Peter Newell, Implementation Handbook for the Convention on the Rights of the Child, UNICEF, 2007.

50 GC XXIII, nos. 204, 209, 212

51 Jose Kuttianimattathil, ‘Don Bosco’s Educative Method and the tenets of the Universal Declaration of Human Rights’; in: Charles Maria, Pallithanam Thomas, Dörrich Hans-Jürgen, Reifeld Helmut; In Defence of the Young; New Delhi 2010.

52 ISS, Fonti Salesiane. Don Bosco e la sua opera. LAS, Roma, 2014, 106

53Xabier Matoses, Spirito Salesiano, en J. José Bartolomé (ed), Luce sui miei passi. Elledici, 2016,

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