Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunit%C3%A0 salesiana di Beitgemal (1891-1958)


Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunit%C3%A0 salesiana di Beitgemal (1891-1958)

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Al Coadiutore Angelo Bormida,
primo a lavorare per mantenere viva
la memoria di quanto è accaduto a Beitgemal.
Si configurò come vero discepolo di Gesù,
nello spirito che possiamo battezzare “Beitgemaliano”,
perdonando ai suoi persecutori mentre moriva.

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SOMMARIO
Presentazione
Introduzione
Capitolo primo
BASI EPISTEMOLOGICHE E SCELTE
Capitolo secondo
LA COMUNITA DI BEITGEMAL 1891 – 1958
Capitolo terzo
SIMONE SRUGI
Capitolo quarto
LETTURA CREDENTE DEL VISSUTO DI SIMONE SRUGI E DELLA COMUNITA
DI BEITGEMAL
Capitolo quinto
ELEMENTI PER UNA SPIRITUALITÀ SALESIANA IN MEDIO ORIENTE
Conclusione
Bibliografia
Allegati
Indice
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ABBREVIAZIONI E SIGLE1
ACB
ACG
AG
AIMOR
ASC
C
CCC
FMA
GS
Informatio
LG
MOR
Positiones
seu articuli
SDB
Summ.
Archivio Comunità Beitgemal. Bet Shemes, Israel.
Atti del Consiglio (Capitolo) Generale della Società Salesiana.
CONCILIO VATICANO II, Decreto Conciliare Ad Gentes sulla attività pastorale
della Chiesa, 7 dicembre 1965, in Enchiridion vaticanum, 1. Documenti ufficiali
della Santa Sede 1971. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 1971,
1087-1242.
Archivio Ispettoriale Medio Oriente. Betlemme, Palestina.
Archivio Salesiano Centrale. Roma, Italia.
Costituzioni della Società di san Francesco di Sales, Roma, S.D.B., 1984.
Catechismo della Chiesa cattolica, LEV, Città del Vaticano, 1992.
(Istituto delle) Figlie di Maria Ausiliatrice.
CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo, 7 dicembre 1965, in Enchiridion vaticanum, 1.
Documenti ufficiali della Santa Sede 1971. Testo ufficiale e versione italiana,
EDB, Bologna 1971, 1319-1644.
Informatio, in Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi Dei
Simoneis Srugi Laici Professi Societatis Salesianae, Roma, 1988, 1-233.
Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa, 21
novembre 1964, in Enchiridion vaticanum, 1. Documenti ufficiali della Santa
Sede 1971. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 1971, 284-445.
Ispettoria Salesiana del Medio Oriente: «Gesù adolescente».
Positiones seu articuli, in Positio super virtutibus. Beatificationis et
Canonizaionis Servi Dei Simoneis Srugi Laici Professi Societatis Salesianae,
Roma, 1988, 1-50.
Salesiani di don Bosco.
Summarium, in Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi
Dei Simoneis Srugi Laici Professi Societatis Salesi Roma, 1988, 1-381.
1 Fonti bibliche, patristiche e documenti del magistrao vengono indicati con le sigle e le abbreviazioni d‘uso.
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PRESENTAZIONE
Dall‘inizio tre criteri mi hanno orientato nella scelta del presente lavoro di ricerca,
da cui mi attendo questi risultati:
Che gli apporti finali fossero utili per me e per i miei.
Che mettessi in dialogo i due componenti del mio curriculum: teologia spirituale e
scienza della formazione.
Che fossero un sforzo reale di dialogo fra fede, cultura e vita.
Utilità: Le scienze si sviluppano grazie alle riletture creative o approfondite delle
conoscenze che si possiedono come patrimonio comune. Ciò che è vero per tutte, lo è per
le due che particolarmente mi riguardano: la teologia e la pedagogia. Ma, onestamente, il
mio non è un interesse di far avanzare la scienza per amore della scienza. Il mio interesse è
di rinforzare la struttura mentale, che mi sono costruito lungo gli anni di studio, affinché
mi permetta un approccio intelligente a quella realtà che dovrò affrontare giorno dopo
giorno. L‘indagine, quindi, è finalizzata anzitutto a darmi qualche strumento per questo
mio compito esistenziale; poi desidero che possa essere di qualche utilità anche per quelli
della mia terra di missione: i salesiani del Medio Oriente. Se la mia tesi è un apporto anche
per le scienze, o può essere di proficuo per qualche altro: Deo gratie!, ma certamente è un
di più.
Dialogo curricolare: Io appartengo a una delle primissime generazioni a ottenere
una laurea in «Teologia Spirituale / Formazione dei formatori e degli animatori
vocazionali». Sono convinto che questo percorso accademico è frutto di una intuizione
intelligentissima, che merita approfondimento e sviluppo. Perciò mi pare opportuno
esprimere un intento di dialogo2 sereno e arricchente fra i due approcci, cercando una
integrazione, anche scientifica, dell‘area teologico-spirituale e quella pedagogico-
metodologica.
Dialogo fra fede, cultura e vita: di fronte all‘Università io mi sento ambasciatore
del vissuto reale affrontato dai salesiani del Medio Oriente (perciò mi pare giusto e
arricchente confrontare l‘Università anche dal nostro punto di vista); e contempo-
2 Parlo di intento di dialogo non perché sia una novità assoluta, ma perché la teologia e la pedagogia (nel loro
sviluppo scientifico) hanno voluto giustamente difendere la loro autonomia; e adesso questo nuovo
curriculum ci permette di avere un approccio scientificamente interdisciplinare, e di questa opportunità me ne
penso approfittare.
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Presentazione
raneamente di fronte ai miei confratelli del Medio Oriente sono ambasciatore delle
prospettive e degli approfondimenti offerti dall‘Università; ma questo servizio di
mediazione lo realizzo io con la mia vita e dalla mia vita (e non può non essere così).
Questa mediazione la realizza un giovane latinoamericano, missionario, prete novello, con
una storia concreta, con alcune virtù ben nascoste e tanti difetti ben evidenti, con sogni,
con paure, con una voglia matta di arrivare al campo di lavoro. Sono io: con delle
sensibilità artistiche-pastorali-spirituali concrete, che a priori, quasi sempre senza volerlo
esplicitamente, seleziono cosa comunicare da una sponda all‘altra.
Questi criteri mi hanno portato alla scelta del tema: Lettura credente del vissuto di
Simone Srugi e della comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958). Elementi per una
spiritualità salesiana in Medio Oriente. Le motivazioni saranno ampiamente giustificate
nell’introduzione e nel primo capitolo.
Adesso vorrei solo sottolineare la coscienza, che ho sempre avuto, di avere scelto
un tema abbastanza panoramico. Tale scelta ha i suoi pregi e i suoi limiti. Allo stesso
modo, molto presto ho capito che mi obbligavo a servirmi come fonte principale di
materiale archivistico e non tanto bibliografico.
Per l‘ampiezza del lavoro presento tanti aspetti senza, però, l‘opportunità di
realizzare grandi approfondimenti. Poi, ho corroborato che un lavoro simile richiede delle
basi storicistiche, anche letterarie, che io non possiedo.
Comunque le opzioni fatte mi offrivano la possibilità di trovare delle belle
sorprese… e infatti le ho trovate. A voi la lettura.
Da parte mia, mi sento soddisfatto di essere stato fedele ai tre criteri spiegati sopra.
Vorrei concludere ringraziando il Cielo, per tutte le opportunità formative che mi
ha donato; vorrei ringraziare anche, per la loro testimonianza, due dei protagonisti di
questo lavoro: i coadiutori Angelo Bormida e Simone Srugi. Per me sono lo stimolo più
efficace per essere creativamente fedele nella mia vocazione di salesiano in Medio Oriente;
ringrazio l‘Università Pontificia Salesiana per il suo prezioso servizio nella mia formazione
intellettuale: specialmente vorrei ringraziare ai docenti dell‘Istituto di Teologia spirituale,
nella persona del suo direttore Jesús Manuel Garcia. Il mio ringraziamento anche ai docenti
della FSE, nella persona di Giuseppe Roggia e ai docenti esterni, come Amedeo
Cencini…; ringrazio il mio Ispettore don Maurizio Spreafico e l‘attuale comunità di
Beitgemal (don Antonio, don Domenico, don Attilio, il sig. Adelino, don Giuseppe, don
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Presentazione
Wieslaw, Violetta, Leila, Simonet) per l‘accoglienza, la testimonianza e la loro dedizione
alla missione in questa «Terra Santa»; A tutti grazie di cuore.
Roma, 24 maggio 2011
Solennità di Maria Ausiliatrice
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INTRODUZIONE
L‘uomo è nato per ricordare e la memoria è necessaria per vivere pienamente.
Ovviamente non una memoria come semplice capacità di conservare nella mente tutto quel
che è accaduto, ma una memoria intelligente e attenta, capace di ricordare e coordinare, de
cogliere il senso più profondo degli eventi e riviverle…
La comunità salesiana di Beitgemal in Israele, che conta già 120 anni di storia, è
erede e custode di tante ricchezze e risorse; di vissuti di santità altamente qualificati, di
espressioni di fede duramente provata per le difficili situazioni politiche, economiche,
sociali, religiose ed ecclesiali che hanno dovuto affrontare i salesiani nella storia della
comunità.
Ma questa storia corre il pericolo di essere dimenticata, e con ciò si perderebbe
anche la ricchezza spirituale di quanto Dio ha suscitato in quella terra: custode non solo di
memorie bibliche ma anche di santità salesiana.
Perciò, possiamo considerare come prezioso e opportuno uno sforzo di lettura
credente della storia di Beitgemal, per riappropriarsi del passato (convinti che Dio ha
attuato in esso), e così capire meglio nel presente l‘identità dei salesiani nel Medio Oriente
affrontando l‘attuale situazione come un‘ora di grazia, e infine per aprire la memoria, la
ragione e la volontà all‘azione dello Spirito che continuerà a guidare i salesiani in Medio
Oriente nel futuro.
La mia preoccupazione non è tanto lo studio storico-critico delle vicende della
comunità di Beitgemal e neppure quello di offrire un progetto per ottimizzare l‘attività
pastorale in questa comunità; quanto piuttosto quello di offrire una lettura della storia della
comunità rileggendola nella fede, per aiutare i confratelli di tutta l‘Ispettoria MOR ad
appropriarsi di essa; assumendo come propri i momenti più splendenti ma anche quelli più
oscuri, le esperienze di santità ma anche quelle di peccato, convinto che Dio è stato
presente lungo questa storia e misteriosamente sempre la guida.
È Dio che adesso ci invita a integrare il tutto, e lasciare che tutto sia redento nel
mistero della sua Pasqua, custodendo queste opere Dei nella memoria, cercare di cogliere
in essa quegli elementi teologico-spirituali identificanti per la formazione dei confratelli
che attualmente appartengono alla comunità Ispettoriale del MOR ma anche per la
formazione delle nuove generazioni.
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Introduzione
Quindi l‘interrogativo costante che accompagnerà la ricerca è il seguente: cosa ha
suscitato Dio nella comunità di Beitgemal che aiuti oggi i confratelli dell‘Ispettoria a
crescere nella propria identità di salesiani in Medio Oriente?
Ecco quindi come sarà articolato il lavoro.
Il primo capitolo sarà la presentazione delle basi epistemologiche su cui si basa la
realizzazione del lavoro, anche se dichiarano e giustificano le scelte fatte, cioè: perché la
lettura credente della storia di una comunità, perché Beitgemal e, infine, perché la
attenzione al periodo del 1891 al 1958.
Il secondo capitolo presenterà la comunità salesiana di Beitgemal: inizialmente
verrà presentata una cronistoria attraverso i periodi di direttorato, seguita da una sintesi
della vita e della presenza dei confratelli in comunità (chierici, coadiutori, sacerdoti,
confratelli ammalati e anziani) e per ultimo una presentazione biografica delle figure più
rilevanti.
Nel terzo capitolo ci fermeremo sulla figura di Simone Srugi: presentazione della
vita, della sua vocazione e formazione e della sua spiritualità.
Nel quarto capitolo si proporrà la lettura credente del vissuto di Beitgemal cercando
di cogliere gli elementi teologico-spirituali che emergono di essa.
Nel quinto capitolo si identificheranno gli elementi spirituali-formativi che
possono contribuire allo sforzo di rinnovare l‘identità propria dei salesiani in Medio
Oriente e il senso d‘appartenenza alla comunità Ispettoriale.
Nella conclusione, infine, si individueranno i preghi e limiti del lavoro e i possibili
successivi approfondimenti.
Le fonti principali sono archivistiche: composte dalle cronache della comunità di
Beitgemal (32 quaderni di cronaca dettagliata e 4 di sintesi di alcuni periodi), delle lettere
mortuarie dei confratelli (88), delle biografie dei confratelli più significativi, lettere varie,
la Positio del processo di Simone Srugi e i suoi scritti (6 quaderni di ricordi, la raccolta dei
suoi propositi degli esercizi spirituali e materiale vario).
Queste fonti si trovano in tre archivi: Archivio Centrale Salesiano (ACS); Archivio
Ispettoriale Medio Oriente (AIMOR); Archivio della Comunità di Beitgemal (ACB). La
ricerca cominciò recandomi all‘AIMOR in cui ebbi l‘opportunità di investigare per un
periodo di tre settimane. L‘AIMOR è ben organizzato; forse con molte lacune o
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Introduzione
informazioni mancanti. Lì sono riuscito ad identificare un primo elenco dei salesiani che
hanno vissuto a Beitgemal3, trovare le loro lettere mortuarie, leggere informazioni varie
sulla fisonomia della comunità, sul problema della proprietà dei terreni e alcune note che
mi rimandarono alla cronaca della comunità di Betlemme, dove sono raccontati i
particolari delle vicende de «la questione dei confratelli arabi», la coinvolgente storia del
sig. Angelo Bormida e notizie veramente preziose sulla vita di don Rosìn, che è
normalmente sconosciuta. Infine, ho trovato gli scritti originali di Simone Srugi (di cui
avevo la certezza che non fossero mai stati trascritti, né pubblicati; così mi accinsi a questo
compito per poterne disporre in questa ricerca e divulgarne la memoria).
In seguito ho trascorso altre tre settimane nella comunità di Beitgemal, dove ho
trovato un archivio, formato prevalentemente da fogli, che ho nominato ACB; lì si trovano
le cronache della comunità e documenti vari. Per sviluppare il secondo capitolo mi sono
dato il compito di leggere tutte le cronache4 e scrivere un sunto di esse.
Infine nell‘ACS ho trovato l‘informazione mancante sugli elenchi dei salesiani; la
Positio di Simone Srugi, e materiale vario: i più interessanti furono gli interscambi
epistolari, che si trovano nelle cartelle: ASC 31.22 MO, ASC 38 Betlemme, ASC 38
Beitgemal, ASC 275 Belloni.
Dalla sequenza dei capitoli si evidenzia che il metodo utilizzato sarà quello
specifico della teologia spirituale, e quindi storico-teologico, nelle sue due componenti:
all‘inizio prendendo in considerazione la storia della comunità di Beitgemal secondo
quanto potrà essere raccolto dalle fonti, analizzandola dal punto di vista storico-critico e
poi interpretandola con dei criteri teologici, cercando di determinare le costanti spirituali
che possono contribuire a delineare l‘identità dei salesiani in Medio Oriente.
3 Però non si è finiti fino a quando si trovò tutta l‘informatione nell‘ACS.
4 Con la difficoltà di trovare periodi con abbondantissima informazione e altri molto scarsa.
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Capitolo primo
BASI EPISTEMOLOGICHE E SCELTE
«Ma guardati e guardati bene
dal dimenticare le cose che tuoi occhi hanno viste:
non ti sfuggano dal cuore,
per tutto il tempo della tua vita.
Le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli de tuoi figli»
(Dt 4,9)
L‘uomo è nato per ricordare e la memoria è necessaria per vivere pienamente.
Infatti il modo di guardare al nostro passato è uno degli indicatori più veritieri per
verificare la nostra maturità oggi e persino la qualità della nostra fede.
Siamo figli del nostro passato, generati da esso. Soventissimo ritorniamo ad esso
per trovare le nostre radici, per comprendere la nostra vita oggi, per rimpiangerlo, per
riconciliarci con il proprio passato oppure per rinnegarlo e dimenticarlo.
Il ricordare autentico, cioè il saper leggere la storia alla luce della fede, è l‘unica via
per l‘integrazione della propria identità. La persona, la comunità, il gruppo carismatico,
non possono accogliere ed esprimere la propria identità in un solo istante compiutamente.
Hanno bisogno di una serie di esperienze e situazioni diverse, che arricchiscono e svelano
progressivamente tale identità.
Una lettura credente della propria storia non è una attività spontanea, né automatica,
richiede un serio lavoro spirituale, per fondere in modo pieno e armonico la storia passata e
la complessità della realtà presente.
Come membro dell‘Ispettoria salesiana del Medio Oriente mi sento in comunione
con tanti confratelli che, da una forma o altra, esprimono questo desiderio di riappropriarci
dalla nostra storia per rafforzare la fede, il carisma e la propria identità.
Convinti che Dio ha scritto la nostra storia lungo questi 120 anni della presenza
salesiana in Medio Oriente, c‘è un profondo desiderio di attingere sapienza da questa storia
per affrontare con maggior maturità nella fede le provocazioni con le quali il presente ci
sfida.
Per offrire un contributo significativo in questo lavoro spirituale della nostra
Ispettoria, propongo in questa tesi l‘approfondimento su alcuni elementi per una spiritualità
salesiana in Medio Oriente attraverso una lettura credente della storia della comunità
salesiana di Beitgemal.
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Basi epistemologiche e scelte
Il nostro discepolato a Cristo, proprio in fedeltà a Lui che ci ha chiamati lì – nei
posti che hanno visto la sua vita umana e il dispiegarsi delle primitive comunità cristiane –
e allo Spirito che ci ha arricchito con doni particolari, deve essere connotato da due
aggettivi: il nostro discepolato deve essere salesiano e medio orientale.
Una ricapitolazione credente della nostra storia si presenta come un compito
ineludibile per rispondere alle sfide di solidificare l‘identità carismatica salesiana, di far un
serio sforzo di inculturazione, di rafforzare nei confratelli il senso d‘appartenenza alla
comunità Ispettoriale e di progettare cammini seri di inserimento nell‘Ispettoria sia dai
confratelli locali che dai missionari.
1. Lettura credente della storia
Historia magistra vitæ dice la famosa sentenza di Cicerone.
Attualmente negli ambiti della teologia spirituale e nelle scienze della formazione
l‘aforisma latino viene tanto precisato e chiarito nei suoi diversi aspetti, ma allo stesso
tempo guadagna una profondità inimmaginabile. Al punto che in certo modo diventa
criterio fondamentale per i due approcci.
Per la teologia la storia è fondamentale perché il dialogo tra l‘uomo e Dio, sotto il
segno dello Spirito, si realizza nell‘orizzonte dell‘esperienza umana. Dio si è donato a noi
nella storia e come storia, e ridandole il suo senso originario ha fatto diventare la storia:
storia di salvezza.
La teologia spirituale ruota intorno al mistero di Cristo vissuto nella fede dal popolo
di Dio, a livello esperienziale. Il processo di questa esperienza cristiana è costituito
dall‘incontro tra Dio che si dona e l‘uomo che crede accogliendo, nella fede e nell‘amore,
Dio stesso; ma la specificità della teologia spirituale si trova nel fatto che questa accentra
la sua attenzione nella vita-storia comunicata dal Padre in Cristo per mezzo dello Spirito,
per cogliere in essa il dinamismo teologico dell‘esperienza cristiana e capire come fare per
arrivare alla comunione con Dio5.
Per le scienze della pedagogia della formazione imparare dalla storia, soprattutto
dalla propria storia o dalla storia comune dalla quale bisogna appropriarsi, è un compito
5 Cfr. J.M. GARCÍA, La teologia spirituale oggi. Verso una descrizione del suo statuto epistemologico, in La
teologia spirituale. Atti del Congresso Internazionale OCD (Roma 24-29 aprile 2000), Roma,
OCD/Teresianum, 2001, 205-238.
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Basi epistemologiche e scelte
basilare e insostituibile per ogni candidato alla vita consacrata o presbiterale. Il formando
sarà veramente tale quando la sua fede riesca a leggere la storia e ne penetri il senso
profondo, mentre la propria storia – passata e presente – offre sempre nuovi stimoli e
argomenti, contenuti e motivazioni, a volte pure interrogazioni e provocazioni alla fede; e
così insieme, fede e storia scoprono l‘originale agire di Dio-che-salva, o ciò che rende
l‘esistenza umana di ognuno «storia di salvezza», una storia del tutto personale, inventata
da Dio e vissuta dall‘uomo6.
Certamente dire che Historia magistra vitæ è può rimanere semplicemente un bello
slogan. Per superare questa difficoltà e fare dell‘approfondimento un vero strumento di
aiuto e riflessione nell‘accompagnamento spirituale e formativo sono molto preziosi i
criteri offerti tanto dalla teologia spirituale quanto dalle scienze della formazione.
1.1. L’esperienza spirituale cristiana nella teologia spirituale
Quando parliamo di esperienza spirituale cristiana non si vuole indicare qualcosa di
unicamente soggettivo o sperimentale, ma si fa riferimento al vissuto umano integrale e
autentico, che costituisce un vero e proprio sapere cristiano e, quindi, una categoria
teologica.
«In questo senso si può ipotizzare una fondazione teologica dell‘esperienza
cristiana nella sua originalità; non superando la fede, ma riconducendola alla fede
appunto perché, (…), non esiste una fede che non sia storica e una intelligenza della
fede che non sia intelligenza di una storia e che non derivi dalla storia i propri
interrogativi e la ricerca delle relative risposte»7.
L‘esperienza spirituale cristiana si appoggia su molte strutture, prima fra tutte sulla
fede così come è trasmessa dalla Chiesa e ricevuta quale dato oggettivo; e in secondo
luogo sui sacramenti, mediante i quali ci viene comunicata la vita divina nel
prolungamento del mistero pasquale di Cristo.
Il vissuto cristiano, oggetto specifico dello studio della teologia spirituale, si
connota rigorosamente come cristiano perché fondato sull‘oggettività dell‘evento Cristo.
Perciò riflette sul vissuto di una Verità divina rivelata che ha caratteristiche proprie, tra cui
quella perennità che la sottrae al divenire della storia umana. La spiritualità prima di essere
«atteggiamento dell‘uomo» è presenza, grazia, dono dello Spirito di Dio. Per questo la
6 Cfr. A. CENCINI, L’Albero della vita. Verso un modello di formazione iniziale e permanente, Milano, San
Paolo, 2005, 229.
7 J.M. GARCÍA, Teologia dell’esperienza, 119.
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Basi epistemologiche e scelte
teologia spirituale che sostiene il vissuto, la storia, come fonte di sapienza sa di necessitare
il sostegno e la verifica della conoscenza proveniente dalla teologia sistematica.
Per la teologia spirituale la historia diventa magistra vitæ se si accetta il paradosso
della relazione assimetricamente interdipendente dei componenti oggettivi e soggettivi
della vita cristiana in quanto partecipazione del credente alla vita divina8. Perciò se la
teologia spirituale sottolinea l‘esperienza vissuta, come sapienza teologica, sa che questa,
mentre più è autentica più è sottomessa, nella carità e nella libertà e creatività dei figli di
Dio, alla esperienza che emerge già in modo normativo nella Sacra Scrittura e si
cristallizza in modo privilegiato nel vissuto dei santi, lungo il ricco percorso della
tradizione ecclesiale.
1.2. La vita parla se c’è un cuore che ascolta9
Dalla loro parte le scienze della formazione ci avvertono di un doppio pericolo nel
rapporto vita (storia) e formazione (sapienza).
Frequentemente si è commesso lo sbaglio di svalutare l‘interiorizzazione della
esperienza come un legittimo e teologico punto di approccio per comprendere la realtà. Si
è promossa piuttosto una visione molto teorica, con il presupposto che la formazione
consiste nell‘imparare sulla fede e sui buoni costumi e il resto si svilupperebbe
automaticamente; perché secondo il pensiero di Platone: non si può conoscere il bene e non
praticarlo. Ma la storia ha abbondantemente dimostrato l‘ingenuità, almeno parziale, di
questa idea.
Invece, bisognerebbe superare lo schema che presuppone nel conoscere o
memorizzare tutte le verità della fede, la loro esplicazione secondo una giusta teologia
sistematica e i comportamenti morali da essi derivati come compito principale della
formazione:
«Quanto povera sia la nostra cultura religiosa [e analogamente la nostra
formazione da consacrati] può farcisi spaventosamente chiaro se riflettiamo quanto
poco siamo esercitati a comprendere Dio partendo dalla nostra stessa vita, o questa
8 La fede si presenta come un processo in cui si opera un‘interazione continua tra l‘oggettivo, che dà la
forma, ed il soggettivo, che da esso è appunto fondato e costituito. Infatti non si può entrare in rapporto con
Gesù Cristo, se non nella fede e, proprio nell‘atto stesso in cui la fede fonda questo rapporto, l‘oggetto della
fede viene personalizzato. In altre parole, la Verità di Dio (fides quae) non è prodotta dalla risposta
dell‘uomo (fides qua), anche se è nella decisione di credere che essa può essere percepita. Cfr. A.
STAGLIANO, La teologia «che serve». Sul compito scientifico-ecclesiale del teologo per la nuova
evangelizzazione, Torino, SEI, 1996, 92.
9 Cfr. A. MANENTI, Vivere gli ideali, II. Fra paura e desiderio, Bologna, EDB, 2001.
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Basi epistemologiche e scelte
vita prendendo le mosse dalla sua guida. L‘esistenza cristiana dovrebbe pur
significare che siamo sorretti non soltanto da una convinzione teorica, bensì dalla
viva conoscenza che Egli guida la nostra vita. Ma allora ogni evento conterrebbe
un‘automanifestazione di Dio e proprio in tal modo una conoscenza di noi stessi»10.
Altrettanto sbagliato è un approccio alla realtà di taglio sperienzialista, più moderno
e avanguardista, ma nello stesso modo ingenuo. Questa visione ha il presupposto che la
giusta comprensione della realtà sia qualcosa di molto semplice e quasi intuitivo, qualcosa
che può essere affidato tranquillamente a ogni soggetto, ritenuto automaticamente capace
di leggere e interpretare correttamente tutto della sua vita.
Eppure è vero che la vita parla, historia magistra vitæ, ma solo se c‘è un cuore che
ascolta:
«In realtà spesso finisce, nei nostri ambienti formativi, che non si pone mano
in modo sistematico a un piano educativo che metta il soggetto in condizioni di
ascoltare integralmente la vita o di porre il suo cuore in ascolto della vita e della
storia, un cuore non solo docile, ma docibilis, capace di riconoscere Dio che rivela i
lineamenti singolari del suo volto nella misura piccola e limitata della vita della
creatura, di ascoltare quella Parola a essa affidata e a nessun altro, e in cui è nascosto
pure il mistero della sua stessa identità creaturale, del suo io»11.
Se la formazione non aiuta a esercitarsi in questo ineludibile compito di imparare a
imparare della vita e della storia sarà una formazione che solo riuscirà a offrire una
parziale abilità a diventare grandi ripetitori di nozioni imparate o trasmettitori di esperienze
altrui, e non testimoni di una sapienza maturata nei propri giorni e nella propria carne.
1.3. Convergenze e divergenze fra gli approcci… dalla apparente contraddizione alla
complementarietà.
Le due prospettive, cioè quella della teologia spirituale e quella della pedagogia
della formazione, con le sottolineature e interessi diversi che le sono proprie, coincidono
largamente in questa sensibilità di valorizzare l‘esperienza, la vita, la storia come luoghi
teologici e fonti di sapienza.
È a partire dal vissuto dell‘uomo in Cristo che si raccoglie e si tematizza tanto il
contenuto della spiritualità come quello della formazione. Il fulcro di tale esperienza è il
suo intrinseco legame con la storia della salvezza, orientata verso la pienezza in Cristo così
come è vissuta nella Chiesa.
10 R. GUARDINI, Accettare se stessi, Brescia, Morcelliana, 1992, 32-33.
11 A. CENCINI, L’Albero della vita, 130.
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Basi epistemologiche e scelte
Ma ecco che sorge una apparente contraddizione nel criterio di quali esperienze
valorizzare di più. Per la teologia spirituale sono i santi -la loro esperienza, vita e storia- i
migliori testimoni di questo vissuto cristologico-ecclesiale in quanto che in essi la storia
della salvezza raggiunge i suoi vertici. I santi possono essere considerati come il
«laboratorio» della teologia spirituale, il campo privilegiato di ricerca.
«La storia della spiritualità cristiana non può fare a meno dei ―referenti
spiritualidel ―modellidi santità, capaci di interpretare un‘epoca e di diventare un
punto di riferimento per ogni tempo, indicando alcune linee forza (= costanti) e
offrendo una comprensione unitaria e sistematica dell‘intera esperienza di fede. I
vissuti di santità sono, di sua natura, teologicamente eloquenti, fino a diventare
fenomeni teologici»12.
Mentre che le scienze della formazione non solo si riferiscono principalmente alla
propria esperienza del formando (la sua vita, la sua storia) ma insistono di trasformare tutte
le esperienze (tutta la vita, tutta la storia) in luogo teologico e fonte di sapienza e non solo
quelle cristianamente più eccellenti.
La funzione principale della formazione è modellare un cuore aperto allo Spirito
«…capace di vivere esplicitamente la fede come fonte di significato, come criterio di
lettura del vissuto e dell‘esistente, di ciò che egli sente nel cuore, che lo seduce e attira, lo
spaventa e inquieta, ma anche quella parte dell‘esperienza umana, passata e presente,
propria di ogni uomo, più faticosa da accettare e contrastante il naturale bisogno di felicità
e armonia umana, e cioè il disagio, l‘aggressivo, il vuoto, l‘oscuro, il rifiuto di sé, la
sofferenza, la vecchiaia, il fallimento, l‘insuccesso, il cambiamento, la crisi, la morte…»13.
Incluso il male e il peccato; tanto proprio come l‘altrui e incluso quello comune.
Ecco l‘apparente contraddizione: la teologia spirituale si concentra nel vissuto
«eccellente e garantito dalla Chiesa» mentre le scienze della formazione insistono in tutti i
vissuti, e forse a maggior ragione, in quelli più disassociati al centro vitale della propria
persona, centro che per un credente non può che essere il mistero pasquale.
Ma, come abbiamo lasciato intravedere dal sottotitolo la contraddizione è solo
apparente. Il vissuto dei santi è appunto eccellente perché, da un modo o da un altro, hanno
saputo accogliere l‘azione dello Spirito Santo nella propria vita ricapitolando tutto nella
croce del Figlio. È la docibilità del loro cuore che è modello per noi, piuttosto che le
diverse espressioni o i risultati del loro cammino spirituale.
12 J.M. GARCÍA, Teologia dell’esperienza cristiana – giustificazione epistemologica e interdisciplinarietà,
Roma, 2009, 122.
13 A. CENCINI, L’Albero della vita, 130-131.
15

2.6 Page 16

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Basi epistemologiche e scelte
Consideriamo che le due visioni siano alquanto complementari. Le scienze della
formazione sottolineano l‘attenzione al passato-presente della persona perche tutto goda
dalla grazia della redenzione. Mentre la teologia spirituale sottolinea l‘attenzione al
presente-futuro della persona offrendo i percorsi e i traguardi che i santi hanno già
esperimentato lungo la storia della Chiesa.
«Il problema si pone precisamente nel tentativo di comprendere l‘esperienza
in quanto globalità o unità sistemica. Il pensiero umano e la scienza non possono
fare altro che frammentare ciò che di per se non è frammentato nella realtà. Infatti
nella realtà prima esiste l‘unità sistemica, poi viene la comprensione di essa. Nello
sforzo per comprendere l‘esperienza globale, lo sviluppo del pensiero umano, lungo
la storia, ha portato l'uomo alla ―psecializzazione‖ nello studio della realtà, con la
finalità di raggiungere una conoscenza più controllata dei dati studiati. Ma la
―psecializzazione scientifica‖ non risponde alla realtà (essa non esiste spezzata nei
settori specializzati), ma risponde a una certa condizione dell'intelligenza umana
limitata. Sono i limiti che spingono a fare delle ―scelte scientifiche. Lo scienziato
quindi sceglie un settore di studio e una prospettiva particolare secondo una sua
finalità scientifica, e di conseguenza esclude il resto. Il vantaggio, come è stato già
detto, è quello di avere una conoscenza più approfondita, ma lo svantaggio consiste
nel fatto di non poter cogliere scientificamente delle realtà complesse che possiedono
degli elementi che fin dal principio sono stati esclusi dall'ambito scelto, e che non
possono essere compresi nella prospettiva scelta.
A questo punto l'interdisciplinarità diventa uno strumento molto importante
perché ci permette di cogliere più dimensioni della stessa realtà, avvicinandoci
meglio alla sua comprensione così come essa è»14.
1.4. In sintesi
La storia è una delle maestre più importanti della vita perché il mondo, l‘umanità, la
Chiesa e ogni persona, e relative ad esse le loro storie, sono state create in Cristo e in vista
di Lui, perciò ognuna di queste storie, ciascuna a suo livello, sono originariamente
destinate in Cristo a diventare storia di salvezza.
Non diciamo che ogni storia è storia di salvezza; diciamo che ogni storia è
originalmente chiamata a diventare storia di salvezza attraverso l‘azione dello Spirito nella
rivelazione e la sua accoglienza, da parte dell‘uomo, nella fede. Creandosi un specialissimo
vincolo tra rivelazione-fede e storia, di asimmetrica reciprocità, la storia si riempie di senso
diventando nel suo significato più profondo magistra vitæ.
14 J.M. GARCÍA, Teologia dell’esperienza, 119.
16

2.7 Page 17

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Basi epistemologiche e scelte
2. Ispettoria Salesiana del Medio Oriente (MOR)
Il nostro approfondimento vuole essere un esercizio di lettura nella fede della storia
comune dei salesiani in Medio Oriente, con l‘augurio di aiutare ad approfondire la propria
identità e stimolare ad un esercizio simile sulla propria storia personale dei salesiani
membri di questa Ispettoria.
Si cerca con questa rilettura nella fede di offrire un contributo concreto di fronte
all‘ineludibile bisogno che i confratelli del MOR (gli attuali e le future generazioni)
crescano nell‘identità Ispettoriale e si sforzino con coraggio nel compito
dell‘inculturazione del carisma:
«Insisto su quest‘ultimo punto: a voi non è chiesto di svolgere un generico
lavoro pastorale, ma di incarnare il carisma salesiano nella terra d’Oriente. Avete
perciò bisogno di confrontarvi con le fonti, attivare dei cammini sistematici di
formazione di tutti i confratelli alla luce di ciò che la Congregazione ha detto e dice
oggi»15.
2.1. Descrizione dell’Ispettoria
L‘Ispettoria salesiana del Medio Oriente, tra le ispettorie del mondo salesiano, è
certo quella che rappresenta maggior varietà di popoli, lingue e religioni, distribuita com‘è
su tre continenti (Europa, Asia, Africa) e su sette paesi: Egitto, Israele, Palestina, Libano,
Siria, Turchia e Iran. Non è molto lontano dalla realtà il giudizio che questa sia attualmente
l‘Ispettoria più complessa della congregazione dei figli di don Bosco.
Il numero totale di confratelli è di 10716. Di cui: 86 confratelli sacerdoti con voti
perpetui, 9 coadiutori con voti perpetui e 12 confratelli in formazione iniziale. Ci sono 34
confratelli locali e 73 missionari. I confratelli appartengono a 22 nazionalità diverse, di cui
i gruppi più nutriti sono: Italia (46), Siria (14), Egitto (13), Polonia (6), India e Libano (4).
2.1.1. Le ricchezze dell‘Ispettoria
L‘Ispettoria del Medio Oriente rappresenta la presenza della Congregazione
salesiana nei luoghi che hanno visto la vicenda umana del Figlio di Dio, la prima
diffusione della predicazione evangelica, la nascita e il diffondersi delle prime comunità
cristiane, il fiorire della Chiesa secondo i diversi riti.
15 P. CHAVEZ, Lettera del Rettor Maggior a conclusione della Visita Straordinaria, 29.06.2004, 3.
16 Di questi 93 sono incardinati nel MOR mentre gli altri 14 sono temporaneamente nell‘Ispettoria. Si trovano
4 confratelli in situazione particolare e 7 temporalmente ascritti ad altre ispettorie.
17

2.8 Page 18

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Basi epistemologiche e scelte
L‘Ispettoria conta con una storia di quasi 120 anni (1891-2011) che ha visto tanti
salesiani collocati in maniera evidente sulla frontiera dei giovani e in particolare dei più
poveri.
Certamente la ricchezza più grande su cui contare sono stati e continuano ad esserlo
i confratelli.
Tanti di essi sono missionari che hanno dimostrato l‘atteggiamento interiore di chi è
pronto a «lasciare» la propria vita (coetera tolle) per donarla a coloro a cui Dio manda (da
mihi animas).
Altri sono i confratelli locali che si sono lasciati sedurre da Dio e dal carisma di don
Bosco, e a questo ultimo lo hanno arricchito, oltre con i doni personali, con il bagaglio
culturale e religioso dell‘oriente, delle loro Chiese, teologie e spiritualità.
Grazie alla generosa donazione che i confratelli hanno fatto di se stessi, le opere
sono assai apprezzate dalle autorità civili ed ecclesiastiche17, oltre che dalle migliaia di
persone che si sono beneficiati dei servizi prestati.
La storia di questa terra è storia di santità. Anche nella Famiglia salesiana sono stati
abbondanti i frutti di santità, fra cui emergono il venerabile Simone Srugi (salesiano
coadiutore da Nazareth) e la Serva di Dio Mathilde Salem (cooperatrice salesiana
d‘Aleppo). Insieme a loro ci sono stati tanti altri confratelli, segnatamente coadiutori, che
in umiltà e dedizione totale hanno vissuto la loro consacrazione religiosa al servizio dei
giovani.
2.1.2. Le difficoltà nella vita dell‘Ispettoria
Nel Medio Oriente non mancano le difficoltà politiche18 e altrettanto quelle
economiche19. Non si sa fino a quando dureranno le singole situazioni, ma è evidente che
17 È opportuno notare che l‘Ispettoria deve mantenere rapporti con 6 Patriarchi, con lo stesso numero di
Nunzi o Delegati Apostolici, e con 18 vescovi.
18 Si pensi al duro conflitto tra lo Stato d‘Israele e la realtà del popolo Palestinese; le gravi tensioni fra Israele
e i diversi paesi arabi; la recente guerra contro l‘Iraq che ha inasprito il rapporto con il mondo occidentale;
l‘esasperazione dell‘islam radicale (Al-Qaeda e i fratelli musulmani); i conflitti del Libano; la dura posizione
di confronto da parte dall‘Iran; la mancata definizione di alcuni problemi legati a minoranze etniche.
19 La situazione di instabilità politica e la continua minaccia di guerre non permettono uno sviluppo sicuro
delle economie locali. La grande fonte di ricchezza che viene dal petrolio è controllata dai governanti, che
però mancano di farla rifluire in interventi significativi per il miglioramento delle condizioni sociali ed
economiche. Le condizioni di povertà si presentono marcate soprattutto all‘interno dei popoli arabi. Spesso i
giovani presentano scoraggiamenti per mancanza di un‘effettiva prospettiva di futuro.
18

2.9 Page 19

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Basi epistemologiche e scelte
gli effetti si prolungheranno per molti anni e alcuni non saranno reversibili, come la
l‘islamizzazione del Libano e della Palestina per la fuga dei cattolici.
A livello della gestione del personale dell‘Ispettoria il bel mosaico politico, di cui
essa è composta, comporta una serie di difficoltà per l‘intercambio dei confratelli (anche
per la conoscenza fra di loro) oltre alla problematicità per inviare il personale più idoneo
nei diversi luoghi. A questo si aggiunge la sfida d‘imparare le diverse lingue (o di tradurre
in essi i testi carismaticamente fondamentali), ma anche di adattarsi alle diversità di culture
(o situazioni), mantenendo la fedeltà carismatica.
In queste circostanze diventa molto difficile, non solo il coordinamento pastorale o
una programmazione d‘insieme, ma soprattutto creare un senso d‘appartenenza e d‘identità
Ispettoriale. È difficile creare identità in un contesto tendenzialmente dispersivo, marcato
da grandi distanze geografiche, politiche, culturali, ecclesiali.
2.1.3. Le sfide più importanti
Fra le sfide prioritarie possiamo riscontare una provocazione basilare: Il Signore ci
chiama a solidificare la nostra identità carismatica, facendo un serio sforzo di
inculturazione, rafforzando il senso d‘appartenenza alla comunità Ispettoriale.
Questo esige:
Da un lato, la cura costante della propria identità salesiana, mediante la preghiera,
l‘amore a don Bosco, il senso di appartenenza alla Congregazione, lo studio e la riflessione
sul «magisterio» salesiano odierno (Costituzioni, Atti dei Capitoli Generali, Lettere del
Rettor Maggiore, Orientamenti dei Dicasteri della Congregazione).
Dall‘altro un grande amore alla gente affidata da Dio come destinatari, sforzandosi
di conoscere sempre più la loro storia, la loro lingua, la loro cultura, la loro fede (non si
può continuare a rimanere degli «stranieri», a motivo dello stile di vita o della lingua
abitualmente adoperata in comunità o nella preghiera).
Si vuole inoltre un grande amore per la comunità Ispettoriale, sapendosi non liberi
battitori ma membri di una comunità dove esprimere la comunione fraterna ed apostolica.
Se le distanze sono un ostacolo oggettivo per crescere in questa sensibilità, quello solo
vuol dire che bisognerà sforzarsi di più per aprire la mente e il cuore alla comunione che
salverà i singoli confratelli dalla solitudine affettiva e da quelle forme di progressivo
19

2.10 Page 20

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Basi epistemologiche e scelte
«sbiadirsi» della nostra identità di consacrati, che sono, specie nel contesto orientale, una
palese forma di controtestimonianza, che non attira, ma allontana le possibili vocazioni.
2.2. In sintesi
L‘Ispettoria salesiana del Medio Oriente a 120 anni di storia è erede e custode di
tante ricchezze e risorse; ma anche molto provata dalle difficili situazioni politiche,
economiche, sociali, religiose ed ecclesiale dei paesi in cui vive e lavora.
Oggi sente particolarmente chiamata ad affrontare la sfida di solidificare l‘identità
carismatica salesiana, facendo un serio sforzo di inculturazione, rafforzando nei confratelli
il senso d‘appartenenza alla comunità Ispettoriale.
Da quanto è detto sopra, possiamo considerare, come prezioso e opportuno dono,
uno sforzo di lettura credente della propria storia per riappropriarsi del passato (convinti
che Dio ha attuato in esso), capirsi meglio nel presente affrontando l‘attuale situazione
come un‘ora di grazia, e infine per aprire la memoria, la ragione e la volontà all‘azione
dello Spirito che continuerà a guidare l‘Ispettoria nel futuro.
3. Chiamati a vivere in comunità (1° scelta)
Sarebbe interessante e un impegno molto prezioso realizzare questa lettura
spirituale su tutta la storia dell‘Ispettoria; ci offrirebbe un vero e completo patrimonio
comune, oltre che ha una visione (anche teologica) dell‘insieme del corso degli eventi. Ma
certo, mentre più ampio e complesso è il raggio di azione per analizzare, più presuppone
un serio studio dei diversi componenti o tappe, se non si vuole fare una lettura superficiale
che genera conclusioni che poco hanno a che vedere con la realtà storica. Nel nostro caso
concreto, non ci sono le condizioni per assumere una simile impresa.
Un‘altra opzione sarebbe favorire il versante biografico o agiografico. Concentrarsi
nella vita di un confratello esemplare o importante nelle vicende della storia dell‘Ispettoria,
e tanto più teologicamente significativo se di questo confratello è in corso la causa di
beatificazione. Di per sé questo sarebbe un buon contributo. Il pericolo che potrebbe
sorgere è rimanere in una visione troppo particolare e legata alla personalità e ai doni di
natura e di grazia di una sola persona.
La nostra proposta, a metà delle possibilità precedente, è quella di concentrarsi
nella storia d‘una comunità. Certo che questa scelta non supera automaticamente nessuno
20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Basi epistemologiche e scelte
dei pericoli: può continuare ad essere un campo investigativo molto abbondante, con il
pericolo di fare una lettura superficiale, e contemporaneamente una visione molto parziale,
tanto più se si considerano le distanze (geografiche, politiche, sociale, economiche,
storiche, ecclesiali, pastorali, vocazionali) che separano, nell‘Ispettoria del Medio Oriente,
una comunità dall‘altra.
Ma sono diverse le ragioni che mi spingono a una scelta simile:
Una ragione carismatica: se per i salesiani vivere e lavorare insieme è una esigenza
fondamentale e la via sicura per realizzare la propria vocazione20, una meditazione sulla
loro storia che desidera approfondire la propria identità vocazionale dovrebbe vederle così:
in comunità.
Una ragione di coerenza: perché ciò che si desidera è appunto recuperare il valore
dell‘«insieme» della vita comunitaria. Infatti, a ragione del senso di appartenenza
Ispettoriale, che si vuole aiutare a rafforzare, il patrimonio storico-spirituale di una
comunità è patrimonio di tutti.
Una ragione di progettualità: se si vuole arrivare a riscattare nella memoria il
patrimonio storico-spirituale di tutta l‘Ispettoria, lo studio su una comunità non è un
contributo indifferente (sarebbe la storia di una su tredici comunità attualmente erette).
E adesso la domanda è spontanea: su quale comunità realizzare lo studio?
4. La comunità di Beitgemal (2° scelta)
Se è vero che ognuna delle presenze salesiane nell‘Ispettoria, anche quelle chiuse o
sospese, sono patrimonio meritevoli d‘approfondimento storico-spirituale, ci sono diverse
ragioni che mi spingono a orientare la scelta sulla comunità di Beitgemal:
La Chiesa e i membri dell‘Ispettoria riconoscono nel salesiano coadiutore Simone
Srugi il confratello che, lasciandosi guidare dall‘azione dello Spirito, ha risposto con più
generosità, fedeltà e perseveranza alla chiamata di configurarsi permanentemente ai
sentimenti di Cristo. Questo confratello, preziosissimo dono di Dio al MOR e a tutta la
famiglia salesiana, è vissuto la totalità della sua vita consacrata, quasi 50 anni, in
Beitgemal. Questo è il motivo fondamentale che mi spinge a scegliere questa comunità.
20 Cfr. C 49.
21

3.2 Page 22

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Basi epistemologiche e scelte
Beitgemal è una delle opere fondate dal canonico Antonio Belloni prima dell‘arrivo
effettivo dei salesiani. Da ciò, che Beitgemal sia una delle tre comunità, insieme a
Betlemme e Cremisan, che esistono dall‘inizio della storia dell‘Ispettoria; quindi conta con
i 120 anni di presenza salesiana.
Beitgemal è l‘unica comunità salesiana che gode la fortuna d‘essere custode di un
«luogo santo» o comunque relazionato con personaggi neotestamentari. Questo dono esige
delle responsabilità non indifferenti, ma forse la principale dovrebbe essere la crescita
spirituale in coerenza con quella memoria che si è chiamati a salvaguardare e testimoniare.
È a tutti noto che la storia di Beitgemal oltre ad essere collegata al fondatore
dell‘Ispettoria, don Bellone, e alla figura di Simone Srugi conta nella sua storia la presenza
di salesiani esemplari come don Eugenio Bianchi (grande formatore e «santo» confratello)
e don Mario Rosìn (ucciso in circostanze molto vicine al martirio).
Attualmente è in corso un arbitrato ecclesiastico per definire la proprietà del
patrimonio materiale che una volta fu di don Antonio Bellone, allora canonico del
Patriarcato Latino di Gerusalemme, il quale facendosi salesiano passò l‘amministrazione di
tutti i suoi averi alla congregazione dei figli di don Bosco. Questo arbitrato riguarda in
forma peculiare la comunità di Beitgemal. Il punto è che qualunque sia il risultato l‘opera
dovrà soffrire una svolta. Perciò pare, a prescindere del risultato, sia il momento più
opportuno di raccogliere nella memoria tutto quanto Dio ha suscitato in questo terreno che
fu proprietà di Gamaliele, sede del sepolcro di santo Stefano protomartire, e che il Beato
Michele Rua battezzò con il soprannome di «casa della carità».
5. Periodo dal 1891-1958 (3° scelta)
Sebbene si offrirà il riassunto delle cronache della comunità nei suoi 120 anni, così
come i dati statistici dei salesiani che hanno vissuto in essa tutto questo periodo, pare più
opportuno restringere lo studio alla prima metà della vita della comunità.
Questo primo segmento può essere demarcato dalla fondazione dell‘opera fino alla
prima chiusura dell‘orfanatrofio nel 1958 come conseguenza dalla drastica diminuzione
degli allievi e l‘insicurezza regnante avvenute dopo la guerra del 1948.
Il periodo scelto coincide largamente con quella della vita e l‘opera di Simone
Srugi, vissuto a Beitgemal prima come aspirante, ascritto e poi come salesiano dal 1892
fino alla sua morte nel 1943. Ma si prolunga fino ai due fatti che hanno influito molto a
22

3.3 Page 23

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Basi epistemologiche e scelte
disperdere la sua memoria cioè: nel 1948 quando le popolazione mussulmane, a cui lui
dedicò il suo servizio di infermiere e mulinaio, sono state cacciate dalle loro terre e sono
dovute fuggire; e poi nel 1958 quando l‘orfanatrofio a cui consacrò la sua vita viene
chiuso.
23

3.4 Page 24

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Capitolo secondo
LA COMUNITÀ DI BEITGEMAL 1891-1958
«Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato l’opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
Tu, per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
Perché non con la espada conquistarono la terra,
ne fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto,
perche tu li amavi».
(Salmo 43)
La comunità salesiana di Beitgemal, in luogo piacevole, è situata sulla cima di un
colle, a trenta km a ovest di Gerusalemme21, si erge in mezzo ad un vasto terreno di circa
400 ettari.
Per quanto ci è noto Beitgemal si può identificare con l‘antico villaggio cristiano di
Kfargamla22, paesino sorto in diretta relazione con la villa di Gamaliele, il grande dottore
della legge di cui si parla negli Atti degli apostoli23.
Per avvicinarci al vissuto della comunità di Beitgemal inizialmente verrà presentata
una cronistoria attraverso i periodi di direttorato; seguita da una sintesi della vita e della
presenza dei confratelli in comunità (chierici, coadiutori, sacerdoti, confratelli ammalati e
anziani); ci soffermeremo poi a uno dei problemi comunitari di grande rilievo che è passato
alla storia con il nome di «l‘assunto dei confratelli arabi» e per ultimo una presentazione
biografica delle figure più rilevanti fra i confratelli vissuti nella comunità.
1. Cronistoria della comunità24
La fondazione della casa di Beitgemal risale al 1879, quando il venerando canonico
Antonio Belloni, dopo aver aperto un orfanatrofio cattolico a Betlemme, decise di
21 Lat. N. 31°43‘28‘‘ – Log. E. Greenwich 34°58‘49‘‘; alt. 320 m.
22 ―Beit‖ che vuol dire casa nel ebraico e nel arabo, e ―kfarche vuol dire ―ivllaggio, insediamento‖.
23 At 5, 34-42.
24 I dati di questo numerale sono pressi di fonti archivistiche (Archivio Comunità Beitgemal: ACB),
specificamente delle cronache che consistono in: 32 quaderni di cronaca dettagliata e 4 di sintesi di alcuni
periodi.
24

3.5 Page 25

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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
comprare questa vasta proprietà agricola25 che nel suo pensiero doveva essere una
succursale di Betlemme.
Don Belloni nel fondare Beitgemal aveva uno scopo ben preciso e determinato:
iniziare una scuola agricola per stendere la sua opera caritatevole verso un numero
maggiore di orfani. A fare ciò venne incoraggiato dal grande benefattore di Beitgemal, il
neo-convertito al cattolicesimo Marchese inglese Lord Bute, il quale nel consegnargli una
forte somma gli disse: «Comprate con questo denaro altro terreno e fate la vostra scuola
agricola. Il progetto vostro è ottimo, cercate di realizzarlo quanto prima; la Palestina è un
paese essenzialmente agricolo ed ha bisogno di agricoltori intelligenti e capaci»26.
Don Belloni faceva conto sulla produzione della vigna dell‘olivo e dei cereali per il
mantenimento e il progresso non solo della scuola agricola, ma anche per l‘orfanatrofio
aperto in Betlemme.
Un terzo scopo di don Belloni nel comprare Beitgemal fu di far ritornare la località
al culto cristiano, poiché fin d‘allora una diffusa tradizione identificava Beitgemal con
l‘antica Kafargamala dove ci sarebbe stato il sepolcro di santo Stefano.
Infatti Beitgemal fu successivamente per quanto ci è noto27:
a.- Kfargamla: la villa di Gamaliele, il gran dottore della legge, maestro di Saulo
(san Paolo) e Stefano (santo Stefano protomartire).
b.- Kafargamala: parrocchia cristiana in cui nel V° secolo si fece il favoloso
ritrovamento del sepolcro di: santo Stefano protomartire, Gamaliele, Nicodemo e Abibos.
Si sa, che nel 415 d.C. un certo prete di nome Lucianos, «parroco» greco di una
località in Palestina, chiamata Kafargamala, invia una lettera alle Chiese d‘Oriente e
d‘Occidente in cui annuncia, con gioia, la scoperta della tomba del protomartire Stefano,
insieme a quella di Nicodemo28, del Rabbino Gamaliele, membro autorevole del Sinedrio e
zio di Nicodemo29, e quella di uno dei suoi due figli, Abibos.
Nel 614 i Persiani di Cosroe distrussero tutte le chiese della Palestina, dalla più
grande alla più piccola, fatta eccezione della chiesa della Natività a Betlemme. Anche la
25 I vasti terreni che compongono la proprietà di Beitgemal furono acquistati nel corso di dieci anni (1869-
1879), a poco a poco, e man mano che affluivano le offerte dei benefattori. Alla fine riuscì ad appropriarsi di
un terreno di circa 600 ettari.
26 Cronaca 1869, in ACB, 1869.
27 Cfr. Lettera di Luciano. Allegato N° 1.
28 Cfr. Gv 3.
29 At 5, 34-39.
25

3.6 Page 26

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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
chiesa di Kafargamala fu distrutta e, come tante altre località storiche o bibliche del
Vecchio e Nuovo Testamento, se ne perse la memoria30.
c.- Beitgemal: villaggio mussulmano.
Quando nel 1869 don Belloni fece in Beitgemal i primi acquisti, il villaggio,
decimato da tempo dalla febbre malarica, era ridotto a poche abitazioni e ancora meno
abitanti. Questi pochi superstiti del misero paesello avevano il desiderio di sbarazzarsene
di quel posto anche a poco prezzo.
Al riordinamento, messa in valore ed amministrazione del fondo, che era assai in
misere condizioni, don Belloni si occupò subito e instancabilmente31. In quei primi anni si
formò una nuova colonia composta da una piccola popolazione cristiana, formata da una
mezza dozzina di orfanelli, e alcuni addetti ai lavori della campagna e della erezione della
struttura e alcuni stranieri. Alle loro necessità spirituali provvide don Belloni32.
La scuola di agricoltura sì aprì ufficialmente il 10 dicembre 1878, con poche risorse
come generalmente capita con le opere di Dio. Scrisse lo stesso don Belloni ai suoi
benefattori:
«Dopo mille sforzi apro infine questa scuola tanto desiderata il ―10 dicembre
1878‖. Si incominciò modestamente: tre Figlie di Maria, per il governo della casa,
biancheria, infermeria; quindici allievi ed alcuni impiegati subalterni. La nostra casa
non aveva che 14 metri di larghezza e 18 di lunghezza. Soccorsi inattesi mi
permisero di continuare i lavori, in modo che ora si ha una casa di 30 metri di
lunghezza su 14 di larghezza, composta da due piani. Ultimati i lavori potremo
mettervi 30 ragazzi oltre al personale amministrativo»33.
L‘istituto fu intitolato a san Giuseppe di cui s‘era acquistato una statua per la
cappella fin dal 1873.
Già dal luglio del 1878, don Guglielmo Barberis, sacerdote italiano e prete del
Patriarcato di Gerusalemme, aveva assunto il governo della casa e di tutta l‘azienda, sotto
l‘alta direttiva di don Belloni, che ordinariamente viveva all‘orfanatrofio di Betlemme.
30 Tenendo conto che l‘invasione persiana e poi la musulmana risalgono al VII secolo, non si può sapere con
certezza fino a quando il villaggio si conservò cristiano. Ci sono delle ipotesi che affermano che l‘espulsione
dei cristiani sia accaduta alla fine del XVIII° secolo.
31 Valendosi dell‘opera di un uomo di sua fiducia, chiamato Giuseppe Rabaioli.
32 Ha stabilito come residenza Beitgemal a un prete maronita, Giovanni Tarad. Ma con ciò la desiderata
scuola agricola non era fondata, anzi i pochi giovanetti ricoverati piuttosto che nei campi e nelle materie
agricole, passavano il loro tempo nell‘apprendere il modo di far corone di rosario in madreperla. Si
cominciava proprio allora in Palestina l‘industria delle corone e di altri oggetti di pietà.
33 A. BELLONI, Relazione annuale ai benefattori 1880, in AIMOR, 1880.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Don Barberis fu uomo capace, attivo e intendente di architettura. Esercitò il suo ufficio
circa 4 anni34.
Don Barberis ebbe come collaboratori, oltre alle tre Figlie di Maria35, due preti
maroniti, un altro sacerdote e a partire dal 1881 due maestri di scuola.
In questi anni si realizzarono parecchi lavori di costruzione e sistemazione36. La
cappella nelle sue funzioni fu rallegrata da un armonium, ed a stimolo a ben fare, sotto gli
occhi dei piccoli contadini della Scuola, fu posto un gran quadro di san Isidoro agricoltore.
Di questi alunni alcuni vennero impiegati anche come aiutanti dei muratori, ed
assegnata a loro una piccola retribuzione. Già al 1881 i giovani sono 26 e questi passano le
vacanze di settembre, ottobre e novembre a Betlemme intorno al canonico Belloni. Invece
nel 1885 quando sono 48 i ragazzi, per le vacanze di agosto e settembre continuano ad
andare a Betlemme, scambiandosi la dimora con gli orfani betlemmiti.
Dopo un breve periodo, in cui don Belloni è costretto a portare in prima persona
l‘amministrazione, arriverà, poi, per la direzione don Antonio Scanzio, nativo di Biella.
Con grande soddisfazione resse il governo della scuola, per circa 9 anni, fino al mese di
maggio del 1891.
Durante quegli anni hanno avviato tanti lavori37, sempre grazie all‘aiuto di generosi
benefattori. Collaborano con don Antonio Scanzio, oltre alle suore e qualche personale
laico, due fratelli laici dell‘Opera della Santa Famiglia, istituita da don Belloni.
Dai registri economici di quel tempo si può vedere che agli alunni della scuola, a
corso terminato, si dava una modesta retribuzione per il loro lavoro, in modo che
trovassero più facile far fronte ai primi bisogni della vita nuova che stavano per
intraprendere. In quegli anni il numero di allievi arrivò a cinquanta, tutti gratuitamente
accolti nella scuola, educati, istruiti, nutriti e vestiti.
34 Alla fine di marzo 1881 termina la direzione di don Barberis, che rientra a far parte del clero del
Patriarcato di Gerusalemme. Non ci è dato a conoscere le ragioni a cui si debba attribuire il suo ritiro
dell‘Opera del canonico Belloni. Sotto il Patriarca S. B. Mons. Piavi, divenne Cancelliere della Curia. Morì
nel 1905 all‘età di 52 anni.
35 Istituzione italiana di un certo don Giacinto.
36 Compimento dell‘edificio principale, fabbricazione del portone di entrata, fondamenta della stalla, il pozzo
di Uad Bulos, istallazione del forno, costruzione di una nuova casa presso l‘orto di Fatir.
37 Il gallinaio, il porcile, la colombaia, la lavanderia, l‘acciottolamento della stalla, il cimitero, abitazioni per i
coloni, una casa a Uad Bulos, strade nelle campagne, un piccolo ponte, il cortile, la casa delle Figlie, una
grande cisterna, la sacrestia, ecc.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Beitgemal fungeva anche da parrocchia del Patriarcato latino per i cristiani cattolici
sparsi nel paese all‘intorno38.
A giugno 1891 don Scanzio consegnò la direzione a don Raffaele Pinperni39. La sua
direzione durò poco.
Da qui in avanti, con l‘apertura della Comunità salesiana a Beitgemal, si continuerà
la cronistoria riferita ai periodi di animazione dei diversi Direttori.
1.1. Varaia Antonio (1892-1894)
(9 sdb, 5 fma, 4 famigli40, 33 allievi)
I primi di gennaio di 1892 arriva come primo Direttore salesiano di Beitgemal don
Varaia, aiutato da 2 chierici e 6 coadiutori.
Don Varaia era un uomo di pietà e di assidua vigilanza. Curava assai la frequenza
dei sacramenti e il decoro del culto.
Nel villaggio di Rafat, distante circa 6 chilometri, vi era una ventina di cattolici che
approfittavano di Beitgemal per le loro pratiche religiose e spesso un salesiano andava al
villaggio per i loro bisogni spirituali.
Nello sviluppo agricolo e dell‘azienda, don Varaia non poté effettuare quanto
desiderava; tuttavia si tenne sempre alle direttive che don Belloni aveva stabilito
conservando meglio che poteva le varie sezioni.
Visita illustre, in quel primo periodo, fu l‘arrivo di Mons. Apodia Vicario del
Patriarca. In quell‘occasione si ebbe un buon numero di cresime di ragazzi e di adulti.
38 In quel periodo i battesimi amministrati furono 17, invece i morti che riposano nel cimitero sono 7.
39 Don Rafael Pinperni con commendatizie del Patriarca, di Propaganda e della Santa Sede, per circa 10 anni
aveva fatto il missionario apostolico, soprattutto attraverso la diocesi del Messico, raccogliendo con
abbondanti frutti spirituali delle anime, anche abbondanti elemosine, per l‘Opera di don Belloni, di cui fu il
più valido sostegno finanziario; tornato in Palestina, fu nominato direttore di Beitgemal. Ma una volta che ne
fece consegna ai salesiani nel gennaio 1892, si recò in Italia e fattosi salesiano fu dai superiori rimandato in
America, dapprima nel Messico e poi a San Francisco di California come parroco della Chiesa degli Italiani.
40 Famigli: è un termino proprio, che i salesiani agli inizi davano ai laici (operai o comunque collaboratori)
che vivevano nella struttura della comunità, e praticamente facevano parte di essa).
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1.2. Ruggero Corradin (1894-1896)
(9 sdb, 5 fma, 4 famigli, 35 allievi)
Don Ruggero si mostrò subito uomo di grande attività. Continuò a sviluppare
l‘azienda in tutti i fronti (con l‘aiuto economico di don Rua, don Belloni, ecc).
Cominciarono alcuni problemi legali con i confinanti.
Di facile parola e di buona pronuncia romana le sue espressioni e la sua
predicazione piacevano assai.
Avvenimento importante fu la visita di don Rua accompagnato da don Albera e dal
Marchese di Villeneuve in 1895. Don Rua lasciò scritte molte prescrizioni per la buona
direzione del fondo, ed il Marchese regalò un torchio ed un frantoio per l‘olio.
Troviamo pure che in questo tempo furono piantati circa 26.500 metri quadrati di
vigna. Da ricordarsi l‘erezione della grotta di Lourdes nel cortile della casa che fu
benedetta dallo stesso don Rua.
I superiori chiamarono don Corradin a Torino nell‘ottobre del 1896.
1.3. Cartoni Ercoli Luigi (1895-1901)
(11 sdb, 5 fma, 5 famigli, 35 allievi)
Don Cartoni ereditò una piccola comunità di cui, all‘inizio era l‘unico sacerdote. Il
lavoro era tanto, le mani poche e la situazione finanziaria non buona41. Nell‘impossibilità
di gestire i terreni in primis cominciò ad affittare ad altri.
Lui pensò al culto divino: decorando la cappella così malandata, fece un altare
nuovo, un confessionale e la cantoria; acquistò tre statue: Maria Ausiliatrice, san Giuseppe
e san Luigi e procurò abbondanti arredi sacri.
Don Cantoni poté condurre a termine l‘affare dei «cuscian» o titoli di proprietà
divisi in tante carte quanti erano gli antichi proprietari, cosa lunga e costosa per le
necessarie gratificazioni o formalità.
Nel 1899 tornando da Torino con il confratello Scavini portò 19 strumenti musicali
per formare una banda. Nel frattempo, in campagna si piantarono 7.500 piedi di vite
francese ed anche alcune centinaia di mandorli e carrubi.
41 43.000 franchi di debito.
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Nelle note della cronaca don Cartoni riporta: 25 conversioni (abiure) di giovani
greci a cattolici, due giovani inviati al noviziato di Cremisan42 e la professione perpetua di
Simone Srugi.
Finito il direttorato nel 1901 per pochi mesi veniva sostituito da Ponzo Vincenzo.
1.4. Vercauteren Carlo (1902-1907)
(10 sdb, 5 fma, 7 famigli, 33 allievi)
A quanto sembra don Vercauteren trovò Beitgemal in una situazione piuttosto
critica per la mancanza di rendite agricole in causa dell‘affitto generale delle terre a
Giovanni Bader per la somma insignificante di mille lire annuali.
Di questo periodo non abbiamo nessuna informazione. I pochi registri sono sul
miglioramento dell‘azienda. Esiste un elenco di 15 progetti-lavori che portò avanti. Anche
qui, a quanto sembra, lasciò la scuola in uno stato migliore di come l‘aveva trovata.
In aprile del 1908 vi fu la seconda visita de don Rua accompagnato dall‘Ispettore
don Cardano. Anche in questa circostanza furono rilasciate al Direttore e all‘Ispettore
parecchie disposizioni.
1.5. Gianine Isacco (1908-1914)
(14 sdb, 7 fma, 1 famiglio, 30 allievi)
Dalle poche ed interrotte note di cronaca scritte in quel tempo si rivela come don
Isacco Gianine nel suo sessennio mostrò impegno nel coltivare lo spirito di pietà, con la
frequente confessione e Comunione, tridui, novene, ecc… anche con lo zelo e il decoro
nelle feste e solennità.
La comunità prestò servizio quasi regolare a Rafat, recandosi là per le Messe e
confessioni.
Il disimpegno della scuola fu curato e si davano con regolarità ed attenzione i voti
settimanali e mensili43, non mancavano accademie, teatri, ecc… Si trova che il sopravvento
dello studio era a danno del lavoro e dell‘azienda sempre più in deperimento.
42 Morosini Giovanni e Spiridione Rumman.
43 Ancora si possono osservare i registri ottimamente eretti. Cfr. Registri scolastici 1908-1914, in ACB.
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Infatti i ragazzi non avevano se non due ore e mezzo di lavoro al giorno, compresa
l‘andata e il ritorno, e molti ne erano esenti per una ragione o altra.
Riprendono i problemi della proprietà, questa volta (1908-1912) il litigio è con lo
Scerif, deve intervenire l‘ambasciata italiana. Nel 1912 incominciava a intravedersi le
tensioni di guerra italo-turca, ma a quanto pare non si ebbero grandi fastidi.
Si deve notare che durante il 1913 e il 1914 don Eugenio Bianchi e don Alfredo
Sacchetti, invitati dal Capitolo Superiore con ampi poteri, introdussero varie riforme (la
prima di esse l‘orario di scuola) ed effettuarono parecchi lavori. Ad aprile 1913 inviarono
una relazione al Capitolo superiore, ecco il giudizio generale:
«La Colonia di Beitgemal è da parecchi anni in un periodo di crescente
decadenza. (…) Non è questa una censura né al personale attuale, né alle
amministrazioni passate; è una semplice costatazione di fatto. Non è mancata mai
certamente in nessun Direttore la volontà di far bene; ed anzi, è doveroso riconoscere
le belle iniziative di alcuni e la capacità amministrativa di altri.
Cioè che è mancato a Beitgemal una direttiva tecnica iniziale ed un piano di
lavoro da seguirsi da tutte le amministrazioni. Beitgemal è stato un vero campo di
esperienze in cui si sono sbizzarrite le capacità e le iniziative personali di molti,
occasionando forti spese non sempre rimunerative ed in molti casi inutili; e ad ogni
cambio di personale, disgraziatamente assai frequente, si è visto introdurre riforme
radicali e adottare sistemi diametralmente opposti a quelli usati anteriormente.
È così che si è visto abbandonare alcune industrie che pure erano produttive
(…); chi coltivò Beitgemal col sistema di Colonia, e chi con quello di affitto; alcuni
adottarono un sistema misto, ed altri eliminarono i coloni. Vi fu chi piantò (…); ma
vi fu chi li abbandonò ma non solo, ma, anche distrusse; ai partigiani
dell‘arboricoltura successe chi la pensava diversamente e distrusse gli alberi, e se
qualcuno pensò di riformare i boschi ed aumentare gli oliveti con vivai e nuove
piantagioni, non mancò chi tutto devastasse permettendo libero pascolo a centinaia e
centinaia di capre.
Non deve quindi recare meraviglia se le rendite di Beitgemal furono sempre
assai limitate, minime di fronte ai capitali investiti, e se il fondo si trova in un stato
di crescente deperimento»44.
La relazione continua con rapporto sullo «stato attuale delle varie aziende»,
suddiviso in tre parti: «I. Edifici e costruzioni»45, «II. Capitale agrario»46 e «III.
44 Lettera sullo stato della Colonia Agricola di Beitgemal inviata da don Eugenio Bianchi e Alfredo Sacchetti
al Capitolo Superiore dei Salesiani, in ACB, aprile 1913.
45 Casa, stalle, cantina, molino, distilleria del timo, oleificio, granai e magazzini.
46 Bestiame, attrezzi.
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Coltivazioni e terreni»47. Poi propongono 5 linee generali di un piano da svolgersi in più
periodi.
Il progetto fu approvato dal Capitolo Superiore48. Poi il Rettore Maggior don Albera
comunicava all‘Ispettore che il progetto presentato non poteva essere modificato né da
Direttori futuri, né dagli Ispettori senza speciale permesso del Capitolo Superiore.
Don Isacco Gianine terminò il sessennio in settembre 1914.
A questo punto la cronaca propone:
Prospetto generale della venuta dei salesiani 1892-191449.
Direttori 5,
Confratelli professi50 variante da 6 a 14
Suore M.A. da 5 a 7
Famigli conviventi in casa da 4 a 8
Giovani ricoverati, mantenuti ed educati circa 400
Abiure di giovani greci 70
Vocazioni 7 (D. Auad, D. Sciunnar, D. Salman, D. Spiridion, Hauile, Morosini, Srugi)
Battesimi 23
Cresime 28
Comunioni pasq. 80
Comunioni dominicali 45
Comunioni giornaliere da 25 a 35
Matrimoni 6
Sepolture 17
1.6. Bianchi Eugenio (1914-1926)
(12 sdb, da 6 a 0 poi di nuovo 5 fma, 14 fra famigli e domestici, 40 allievi)
Don Bianchi assume la direzione nel settembre 1914. Il tempo era difficile. Era
scoppiata la guerra mondiale nel mese di agosto. Fu necessario sospendere ogni lavoro non
agricolo e limitarsi a risolvere il problema dell‘esistenza.
Fino a che l‘Italia non entrò nella guerra, non vi furono grandi difficoltà né
molestie. Per questo si decise di cominciare la scuola a metà ottobre del 1914 con 38
47 Oliveto, vigneto, le vallate.
48 Questo includeva la vendita del terreno di Deiraban per la somma di F. 27.000, che servirebbero come
capitale per le spese della riforma. Qui i terreni si riducono per prima volta, da quasi 600 ettari a 500.
49 Sarebbe un quadro riassuntivo trascritto e forse ricompilato da don Sacchetti.
50 Il numero di confratelli, consorelle e famigli è per ogni singolo anno. Il resto conta la somma totale.
32

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alunni. Si riorganizzò la scuola dandole indirizzo di scuola agricola di primo grado e si
introdussero cinque ore di lavoro in due volte, mattino e sera; per tutti giovani senza
eccezioni.
Ai primi del 1915 le circostanze raccomandarono di far partire le suore FMA per
Italia e per Alessandria51. Verso i primi di agosto il Rettor Maggiore don Albera ordinava
ai salesiani italiani di lasciare la Palestina e partire verso Alessandria, ma il governo turco
dopo aver dato a tutti i rispettivi passaporti e trovandosi essi già in Giaffa negava il
permesso di imbarcarsi52.
«Da questo mese di agosto 1915 fino al 17 novembre 1917, giorno in cui le
truppe turche abbandonano Beitgemal fu una serie interminabile di vicende, di
difficoltà, di lotte sostenute per salvare le persone e la struttura dalla rapacità turca.
Vi riuscì in gran parte, e fu visibile l‘aiuto di Dio e Maria Ausiliatrice. Durante
questo periodo, nonostante tante requisizioni, furti e tasse arbitrarie Beitgemal poté
sostenere non solo il suo proprio personale ed i suoi alunni, ma anche quello delle
altre case della Palestina compresi i giovani dell‘Orfanatrofio di Betlemme che qui
vi si rifugiarono nel 1916»53.
Il 23 agosto 1915 mentre i salesiani italiani erano a Giaffa impediti di partire per
Alessandria, l‘esercito turco invase Beitgemal, e sotto scorta armata fece partire per
Ramleh tutto il personale locale e i giovani che rimasero prigionieri per vari giorni. In
questo frattempo si fece un vero saccheggio, e ritornati i salesiani per ordine delle autorità
di Gerusalemme trovarono mancante sia il danaro, i mobili, i cereali, gli animali, ecc.
Nonostante i frequenti abusi di autorità del governo e dei militari turchi ad ottobre
1915 si iniziò l‘anno scolastico regolarmente. Quell‘anno, i giovani impressionati dagli
avvenimenti si comportarono molto bene.
A gennaio 1916 don Sacchetti, stufo delle continue violenze, riuscì, con
perseveranza e molta fatica, a ottenere una carta del governatore militare in cui si diceva
che nessuno aveva il diritto di commettere soprusi ed arbitrarietà in un istituto di
beneficienza, di carità, come era Beitgemal. Questo foglio fu utilissimo per far tacere ed
anche far partire in fretta e furia alcuni mali intenzionati.
A giugno 1916 essendo stato occupato delle truppe turche l‘orfanatrofio di
Betlemme, Beitgemal accoglie 10 confratelli e 20 alunni. I refettori si convertono in
51 Il Console italiano prevedeva che anche l‘Italia sarebbe presto entrata in guerra e dispose in fretta la loro
partenza.
52 L‘Italia aveva già dichiarato guerra all‘Austria ed il 23 di agosto entrò in guerra con la Turchia.
53 Riassunto Cronaca Beitgemal 1915-1917,in ACB, 1915-1917.
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dormitori e si utilizza per il resto i locali delle suore. I giovani in tutto erano 59 e i salesiani
e i famigli 34.
Ma pian piano ricominciano gli abusi, il più gravoso fu il taglio del bosco per
provvedere la legna per la ferrovia. E il peggio arrivò il 27 agosto quando i poliziotti
portarono via tutti gli alunni per trasferirli all‘orfanatrofio turco di Gerusalemme, e con
loro si portarono via mobili scolastici, letti, macchine, strumenti, materiale scolastico,
bestiame, cereali, vitto, ecc. Un buon gruppetto di allievi riuscì a scappare durante il
viaggio di trasloco.
E fra tante calamità un raggio di sole. A settembre 1915 fu trovato, mentre si
ampliava il cortile dei ragazzi, un segmento di mosaico. È così che viene chiamato il
dominicano Maurizio Gisler. Ecco la narrazione della cronaca:
«24 settembre 1915. Arriva il P. Maurizio Gisler con don Eigman.
Desiderava di vedere il mosaico che si trovava nel cortile dei giovani. Cominciarono
con molto entusiasmo gli scavi, e scoperto il mosaico in uno dei luoghi già
conosciuti ossia a sinistra delle latrine, si trova un vero capolavoro d‘arte. Si
procedette avanti e si trovano basamenti di varie colonne ciò che dava la dimensione
di una navata laterale. Si trovò in seguito il Diaconicon ed i segni di una navata
centrale e di un abside. La meraviglia, per non dire commozione, giunse al colmo
quando sotto il mosaico si scoprì gli scavi una bella tomba con scala tagliata nella
roccia. Il padre fece un rilievo di tutto e poi si ricoprirono gli scavi per non
richiamare l‘attenzione. Egli promise di fare un studio coscienzioso, manifestando la
persuasione di trovarci in presenza del primitivo sepolcro di S. Stefano
Protomartire»54.
Arrivano orfani nuovi, e con essi quelli che erano scappati dai turchi e alcuni che
continuano a scappare55. Ma anche le arbitrarietà turche non mancano mai. Per dire una
per tutte: nel 1916 il governo turco fece la raccolta delle olive e si prese tutto il prodotto,
ma il bello arrivò nel febbraio 1917 quando hanno voluto costringere a pagare la decima,
come tassa allo Stato, di quel raccolto.
Intanto arrivano interventi del Patriarca e del Rettor Maggiore sulle questioni dei
riti, del catechismo in arabo, e la libertà di confessione56.
A maggio 12 confratelli di Cremisan sono trasferiti a Beitgemal. Si legge in una
nota successiva:
54 Cronaca 1915, in ACB, 24 settebre1915.
55 Cfr. Cronaca 1916,in ACB, 19 dicembre 1916: Giunge l‘Ispettore con il giovane Farid Asaf che si ruppe
una gamba fuggendo da una finestra dell‘orfanatrofio turco di Gerusalemme.
56 Chiedevano di attenersi al decreto della Santa Sede del 5 marzo 1913 che delucidava tutte le difficoltà in
materia.
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«L‘anno agricolo non è buono, non abbiamo la trebbiatrice né bestiame, il
mulino lavora pochissimo perché non c‘è danaro. La nostra situazione è alquanto
critica per l‘aumento del personale, ma il necessario non manca e l‘aiuto della
Provvidenza è tangibile»57.
A luglio il confratello Bormida è stato incaricato di riprodurre il mosaico che fu
scoperto e lo fa con amore e con arte. Facendo il lavoro scoprì l‘iscrizione mutilata
corrispondente al centro della chiesa. Due settimane dopo il padre Gisler scrive una lettera
al direttore congratulandosi per i lavori di Bormida e dichiarando che la questione di
Cafargamala può dirsi risolta a favore di Beitgemal.
Ma il 3 settembre Bormida viene preso dai poliziotti e portato a Betlemme.
Vengono isolate le case di Betlemme, Cremisan e Beitgemal e intanto si fanno delle
minuziose perquisizioni. Si vuole trovare ad ogni costo tracce di un telegrafo senza fili di
cui Bormida sarebbe stato l‘operatore capo. Bormida è condotto alla prigione di
Gerusalemme e poi condannato all‘esilio perché aveva confessato che prima della guerra
faceva dei semplici esperimenti scolastici di telegrafia senza fili.
Il caso più penoso, era che questa situazione fu provocata da una serie di accuse
contro i confratelli italiani fatte dai confratelli arabi di Betlemme, di fronte alle autorità
turche.
Il 21 settembre il Governatore di Gerusalemme chiama i superiori salesiani a dar
conto di: 1. Perché non si permette ai salesiani arabi far uso della lingua materna, 2. Perché
senza permesso del governo si faceva scuola a Beitgemal.
In risposta a ciò due giorni dopo viene inviata al Governatore una lettera sottoscritta
da tutto il personale di Beitgemal, arabo e tedesco, provando l‘insussistenza delle accuse
fatte ai superiori italiani.
Il 20 ottobre il console spagnolo, comunicava che il Governatore si disinteressava
delle accuse mosse contro i salesiani italiani, dicendo trattarsi di cose interne, ma il console
non poteva salvare Bormida vittima della sua sincerità ingenua.
Il 10 novembre l‘esercito turco-tedesco riceve una seria sconfitta e i giorni 12, 13,
14 e 15 i soldati che prima arrivavano a schernire la comunità, adesso affamati e feriti
mendicavano aiuto, anche se non mancò chi arrivava con minacce. A tutti si offriva da
mangiare pane, olive e verdure a sazietà, e se ne andavano più sereni.
57 Cronaca 1917, in ACB, 7 giugno 1917.
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Il 16 novembre arrivò un battaglione. Il 17 una visita di una ventina di alti ufficiali
turchi e tedeschi, questi partono e arrivano vari squadroni di cavalleria. Affrontano
l‘esercito inglese, però i canoni di questi gli dà vantaggio sui turchi, che si vedono
obbligati a ritirarsi.
Verso sera si comunica al Direttore che le truppe si sarebbero ritirate durante la
notte. Gli ufficiali, ma in modo particolare il Comandante58, salutarono affettuosamente la
comunità dei salesiani. Uno degli ufficiali confessò che qualche ora prima il Governatore
di Gerusalemme aveva telefonato e ordinato di arrestare i salesiani italiani di Beitgemal,
ma che il Comandante non vuole farlo dicendo: «questa è gente che lavora per l‘umanità.
Lasciamola in pace»59.
Ma alle altre comunità non le è andata così bene. Infatti il 26 novembre giunge la
notizia che don Rosìn (Comunità di Betlemme) e Zanchetta (Comunità di Cremisan)
venendo a Beitgemal in cerca di farina (solo una situazione critica poté spingerli in un atto
così temerario in quei giorni) furono arrestati dai soldati turchi in ritirata e condotti in
esilio, accusati di spionaggio, per essere stati trovati in zona di guerra. Gli altri confratelli
di Cremisan e Betlemme sono stati arrestati il 6 dicembre, e deportati il 7 (un giorno prima
dell‘entrata degli inglesi in Gerusalemme).
Le notizie del viaggio di esilio dei confratelli sono scoraggianti, e peggio ancora la
conferma della morte del sig. Bormida a Naplusa.
Dai primi di gennaio 1918 si comincia a riorganizzare la scuola ricevendo 35
ragazzi compresi i ritornati dall‘Orfanatrofio turco60. Con tanta fatica si ricomincia la
normalità; anche se adesso sono i confratelli tedeschi che sono minacciati all‘esilio, ma i
superiori riescono ad evitarlo.
Nelle comunità salesiane di Terra Santa, la guerra ha lasciato grandi ferite a livello
economico, ma la più dolorosa fu la divisione fra i confratelli. Anche se il focolare della
«questione dei confratelli arabi» non fu Beitgemal, non mancarono in essa le ripercussioni.
58 A cui si era rifornito di vitto e biancheria.
59 Cronaca 1917, in ACB, 17 novembre 1917.
60 Pochi giorni dopo la cacciata de turchi sono andati a Latrun con la speranza di recuperare ciò che era stato
sequestrato. Ma il turco responsabile aveva spedito tutto giorni prima e ciò che non poté portare via fu
distrutto.
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«1918. L‘anno è stato difficilissimo non solamente per ragioni economiche
ma soprattutto per ragioni di ordine interno. L‘Ispettore Don Sutera e il Direttore
Don Bianchi hanno passato momenti terribili. Ma tutto è passato. Deo Gratias!»61.
All‘inizio del 1919 si tiene la visita straordinaria con pieni poteri di don Pietro
Ricaldone, per affrontare «la questione dei confratelli arabi» e i problemi di ordine
economico. Per quest‘ultimi don Ricaldone lasciò una precisa serie di disposizioni da
seguire.
Il secondo sessennio del direttorato di don Eugenio Bianchi è marcato per una lenta
ripresa economica, per il lavoro organizzato eseguito e anche perché si è goduto della
benevolenza del governo inglese e alcuni aiuti del governo italiano.
Molto più vivace fu la ripresa delle attività educative pastorali. La scuola si
risveglia molto bene sotto la direzione di don Eugenio. Lungo il sessennio si partecipa a
diversi concorsi agricoli ottenendo numerosi premi e diplomi. Il numero di allievi è intorno
ai 48, ogni anno sono 7 o 8 che ricevono il diploma, e nell‘ultimo anno (1926) si danno
certificati per corsi specializzati d‘innesto e motocoltura.
Ma l‘aspetto più luminoso fu lo stupore causato per il ritrovamento del «sepolcro»62
di santo Stefano. Gli specialisti (dominicani e gesuiti) hanno vivaci discussioni sul tema,
ma ogni volta diventano più oscure le altri ipotesi, e più convincente l‘identificazione di
Beitgemal con la Kafargamala della lettera di Luciano.
Ed è così che don Bianchi, nel 1923, si propone di fondare la «Pia Opera di Stefano
per la diffusione del perdono cristiano». Ecco lo statuto:
61 Riassunto Cronaca Beitgemal 1918, in ACB, 1919.
62 Oggi si sa che la cripta che si pensava fosse la tomba di santo Stefano, non era in realtà altro che una parte
della Villa di Gamaliele; la vera tomba, secondo gli studi archeologici di don Andrea Strus, si trovano
comunque nei terreni di Beitgemal a pochi metri da li. Nell‘autunno del 1999, Don Andrea Strus, un
Salesiano polacco, professore all‘Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma, morto prematuramente nel
giugno del 2005, iniziò gli scavi archeologici in una località, chiamata Jiljil, sempre nella proprietà di
Beitgemal, a circa 300 metri dalla nostra casa.
Furono rinvenuti i resti di una struttura rotonda, che come ultimo uso serviva da pressoio per fare il vino. Fin
dall‘inizio però non doveva essere così, perché la struttura era eseguita molto bene e con misure bizantine
precise.
L‘ipotesi di Don Strus fu quella di un monumento funerario, un mausoleo, in onore di un personaggio
importante o di un santo.
Anzi Don Strus credette di aver trovato in questa struttura rotonda (perché Stefano, in greco, vuol dire
corona) il monumento che Giovanni, Vescovo di Gerusalemme, aveva fatto costruire a Kfargamla, per
custodire le reliquie di Santo Stefano, quando la sua salma fu portata a Gerusalemme. Cfr. A. STRUS, Bet
gemal: dalle “prime dimore” in Terra Santa agli onori dell’altare nel duomo di Pisa, Pisa, Pisa, 2004.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
«Statuto della Pia Opera di Santo Stefano Protomartire
Presso il Sepolcro di Santo Stefano e dei Santi Gamaliele, Nicodemo ed
Abibone, recentemente scoperto nell‘Orfanatrofio Cattolico di Beitgemal (Palestina)
è fondata la Pia Opera di Santo Stefano, ad onore del glorioso Protomartire, che
eroicamente imitò il Divin Maestro nella pratica della carità, perdonando ai suoi
stessi uccisori.
Scopo: La Pia Opera ha lo scopo d‘implorare da Santo Stefano, e diffondere
in mezzo al popolo cristiano, la pratica piena della carità, anche verso i nemici, per
estinguere quella fiamma di odio ancor viva nella povera umanità, cristiana ed
infedele, costituendo un centro di preghiere e di opere buone presso il Sepolcro
stesso del Protomartire. Le preghiere sono quotidianamente innalzate dagli orfanelli
cattolici e scismatici ivi educati alla pietà e al lavoro dai Figli del Ven. D. Bosco; le
opere buone vanno a beneficio loro e di altri orfanelli, musulmani, raccolti ed educati
nello stesso istituto»63.
Don Bianchi inviò una lettera al Papa datata il 20 maggio, e fu consegnata da don
Sacchetti in una udienza privata il 2 giugno. E il 9 giugno il Papa, attraverso il Segretario
di Stato, confessava il suo compiacimento per questa iniziativa, approvava e benediceva
l‘Opera e l‘arricchì con le indulgenze richieste in favore dei soci.
Il 3 agosto anche il Patriarca di Gerusalemme benediceva l‘associazione. E da quel
giorno si ristabilì la commemorazione annuale dell‘«Invenzione di santo Stefano» che
ricorreva proprio il 3 agosto64.
Anche nel 1923 si riceve in dono la statua di Maria Ausiliatrice in cemento che fu
collocata sopra la torre.
1.7. Rosìn Mario (1926-1929)
(11 sdb, 5 fma, 4 famigli e insegnanti, 45 allievi)
Nel 1926 il Rettor Maggiore don Filippo Rinaldi, presa conoscenza dell‘iniziativa
dell‘Opera di Santo Stefano e il desiderio di ricostruire il «martyrium», pubblicò il
seguente messaggio:
«Lodo la proposta… anche noi dobbiamo avere il nostro Santuario di santo
Stefano in Palestina. Sarà dedicato in modo speciale al Perdono Cristiano. Mi auguro
che tutti i Confratelli contribuiscano alla costruzione del ―Martyrium‖, propagando
l‘idea e raccogliendo offerte»65.
63 Libro di registro della «Pia Opera di Stefano per la diffusione del perdono cristiano», in ACB, 1923, 1-2.
64 Dal 1924 al 1954 si registrano 26.424 iscrizioni
65 F. RINALDI, Le prove indirette a favore del sepolcro di santo Stefano, in «Bolentino Salesiano», 54
(1930), 6.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Queste parole contribuirono non poco a far affluire offerte per lo scopo indicato. I
lavori procedettero a buon ritmo. E il 3 agosto 1928 si poté benedire la cripta.
Da parte sua la scuola ricevette un nuovo impulso con l‘arrivo come consigliere
scolastico don Giovanni Fergnani che promosse gare scolastiche, accademie e
rappresentazioni drammatiche.
Il servizio offerto dal mulino, come dell‘infermeria, è amministrato dal sig. Simone
Srugi che veniva apprezzato anche dalla scuola e dalle comunità vicine.
In febbraio del 1929 arriva una piccola stamperia. Da essa usciranno quasi tutti i
propri scritti sulla questione stefaniana.
1.8. Villa Giovanni (1929-1931)
(11 sdb, 7 fma, 6 laici, 41 allievi)
In ottobre 1929 don Bianchi è sottoposto ad una dolorosa operazione; non potrà
tornare a casa prima di sei mesi. In novembre l‘impresario Gaspere Maltese incaricato
della costruzione del Martyrium realizza una fuga improvvisa lasciando il lavoro
incompleto e con alcuni debiti che pro bono pacis sono stati saldati dalla comunità.
A gennaio si mise la prima pietra di un ambulatorio e di una scuola per i giovanetti
musulmani per famiglie indigenti in Beitgemal.
Il 3 agosto 1930 si fa la solenne benedizione del Martyrium, impartita da Mons.
Barlassina in presenza dei rappresentanti di quasi tutti gli ordini religiosi.
A dicembre 1930 si istituisce la compagnia di san Giuseppe con undici membri
scelti dal Direttore; il Presidente è il confratello Srugi. Gli ultimi giorni di dicembre la
comunità è impegnata a seguire la malattia di don Eugenio Bianchi, che ebbe come
conseguenza la sua morte, avvenuta il 11 gennaio 1931.
1.9. Sacchetti Alfredo (1931-1937)
(13 sdb, 6 fma, da 8 a 1 laico, 44 allievi)
Don Sacchetti inizia il suo direttorato il 26 agosto 1931; insieme a lui la comunità
lotta per consolidare un clima di concordia e intesa, ma non sempre è possibile.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Don Sacchetti fu famoso per le sue capacità amministrative, infatti sono registrati
tanti problemi risolti con maestria. Nonostante ciò la casa finisce ogni anno come sempre,
i conti in rosso.
Intanto, la scuola continua la sua vita ordinaria: un buon servizio educativo,
difficoltà nella gestione agricola, progressi nella ricostruzione del Martyrium di santo
Stefano, si promuove la partecipazione ai sacramenti e si registrano delle abiure, la casa è
visitata da molte persone che si congratulano per la bellezza della natura e per il servizio
caritatevole esercitato lì; la malaria attacca salesiani, allievi, contadini.
Pian piano l‘ambiente di tensione politica va peggiorando, cresce l‘insicurezza, le
difficoltà economiche, e purtroppo anche le tensioni comunitarie.
1.10. Rosìn Mario (1937-1938)
(12 sdb, 6 fma, 2 laici, 40 allievi, 20 operai)
La situazione finanziaria dell‘opera è difficile, infatti l‘anno 1937 finisce in un
grosso deficit. La situazione politica è molto delicata: gli arabi pretendono l‘indipendenza
e gli inglesi per accontentare gli ebrei non la possono concedere.
Anche all‘interno della comunità di Beitgemal le condizioni politiche avevano
danneggiato le relazioni fraterne; se non apertamente, sotto le ceneri, erano latenti due
partiti fra i confratelli.
L‘attività apostolico-educativa si svolge abbastanza bene (scuola, catechismo,
tridui, passeggiate, teatro, lavoro), nonostante i problemi che durante quest‘anno si
succedono uno dopo l‘altro.
Beitgemal è visitata parecchie volte dai ladri (11 volte), ma anche dai banditi armati
che pretendono soldi e vestiti (5 volte), di chi per malizia taglia gli alberi del bosco (1
volta) e, come se fosse poco, anche le pattuglie di poliziotti visitano Beitgemal fermandosi
a pranzo a spese del convento (4 volte). Poi continuavano i problemi di proprietà (per le
continue dispute anche legali con i vicini) e in più, la presenza dei beduini, non sempre
gradita, nella tenuta.
Il governo inglese, interessato nello studio meteorologico svolto a Beitgemal, a fine
dicembre 1937 installa un telefono di linea diretta con la stazione meteorologica di Artuf.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
L‘8 maggio viene ucciso il brigante Albattat, terrore dei distretti di Ramleh e di
Ebron, poco lontano da Beitgemal.
Il 17 giugno 4 briganti, penetrano armati in casa: vogliono il Direttore. Pretendono
100 lire palestinesi; non ottenute percuotono a schiaffi don Rosìn (con grande spavento dei
giovani e di tutta la casa). I briganti portati in prefettura riescono a prendere dai cassetti
quello che c‘è: 40 piastre.
Il 23 giugno il Direttore che ritornava da confessare i giovani e le suore di Rafat
viene lapidato. Un grande dolore per tutti. Le circostanze chiedono di far silenzio sul fatto.
1.11. Candiani Antonio (1938-1940)
(13 sdb, 6 fma, 2 laici, 40 allievi)
Don Candiani comincia il suo rettorato con la costatazione del triste stato in cui era
stata lasciata la casa materialmente, finanziariamente e moralmente.
La ripresa non è consolante: la febbre malarica attacca ragazzi, consorelle e
confratelli.
«SITUAZIONE SANITARIA – Tutta la regione di Beitgemal fu, è, e
purtroppo lo sarà malarica al cento per cento! Le migliorie fatte col rimboscamento,
e con la canalizzazione delle acque, con la ripulitura dei canali e con la cura
preventiva del chinino sono un nulla in confronto al fabbisogno per diminuire la
terribile piaga che colpisce indigeni e stranieri dimoranti in questa zona! Quest‘anno
poi tutti i nostri giovani, tutti i Confratelli e tutte le Consorelle pagarono il loro
tributo alla signora malaria, riducendo il loro corpi a scheletri ed il mio borsellino a
vuoto per pagare medici e medicine»66.
A novembre ci fu una sparatoria nei dintorni della casa dagli aerei. Gli arabi ribelli
ogni tanto, continuavano a visitare la comunità, provocando sparatorie con gli inglesi. Gli
inglesi fanno delle minuziose perquisizioni a tutta la casa. La comunità era visitata sovente
di giorno dagli inglesi, e di notte dai ribelli arabi e bisognava fare buon viso a tutti.
66 Riassunto Cronaca Beitgemal 1939, in ACB, 30 settembre 1939. Anche se, in linea di massima, è vero
quanto espone don Candiani -ci sono altri documenti che confermano quanto scrive- in onore alla verità
bisogna prendere in considerazione due fatti. Il primo è che sicuramente quello era stato un anno speciale:
certamente da tanto tempo la zona era malarica, appunto per questo don Belloni riuscì a comprare tutto
quell‘antico villaggio musulmano, è certo che i lavori di salubrità da più di 50 anni non erano un ―buco
nell‘acqua‖ (come afferma don Candiani) il fatto è che quell‘anno era stato eccezionalissimo per le troppe
piogge (con una media annua di 350mm proprio quell‘anno si arrivò a 673mm) e la temperatura con minime
molto basse e massime molto alte. Il secondo fatto è che lo stile redazionale di don Candiani è molto vicino
allo stile del profeta Geremia, certo non c‘è dubbio che ragioni per lamentarsi non gli mancavano, ma è anche
evidente -lo si vede in diversi documenti- che lui non era disponibile a dirigere un‘opera così colpita.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Le condizione politiche erano ancora incerte, pericolose, dannosissime per il
commercio, per il trasporto dei viveri e per l‘incolumità dei viaggiatori. La crisi economica
continua, e l‘abbondantissima pioggia allaga i campi: a marzo 1939 non c‘è né farina, né
grano per fare il pane. Anche le leguminose si sono totalmente perse per le eccesive
piogge, e poi per la successiva siccità e gli scirocchi. La comunità è andata avanti grazie al
frumento e alle olive che hanno dato un raccolto sufficientemente abbondante.
Nonostante ciò, la missione educativo-pastorale è andata avanti. La cronaca riporta
tutte le attività tipiche dell‘educazione salesiana. Ma, a quanto pare i risultati non erano
molto soddisfacenti:
«SITUAZIONE SCOLASTICA – Disastrosa essa pure. Con quaranta
orfanelli dai 10 ai 15 anni con difetti fisici e morali palesi e nascosti, alcuni ignari
della loro stessa lingua come lo sono dei loro stessi parenti, non possono rendere
anche solo quel minimo richiesto per dar loro un qualsiasi diploma che li dichiari
abili a qualche ufficio. È troppo limitato il tempo per lo studio delle tre lingue Araba,
Inglese ed Italiana e con almeno una infarinatura di agricoltura. Qualsiasi
programma di studi anche ridottissimo sarà per loro difficile, data la poca o nessuna
preparazione elementare che dovrebbero avere all‘entrata all‘Istituto»67.
Infatti don Rosìn aveva espresso la sua preoccupazione per lo scarso risultato
nell‘esame di catechismo. Un anno dopo, per valutare il risultato dello stesso esame don
Candiani usa l‘espressione: «meno di mediocre».
La divisione comunitaria era forse la più delicata, era demarcata da due gruppi
composti, uno dei confratelli locali (almeno la maggioranza) e l‘altro dai missionari, o
forse in questo caso sarebbe più giusto dire «gli stranieri»:
«SITUAZIONE MORALE – Purtroppo non fui capace di neutralizzare la
maligna influenza dei due partiti in Casa, ragion per cui si soffre non poco per i
malintesi inevitabili in una grande Casa come Beitgemal»68.
Nel novembre 1940 don Frey (tedesco) viene portato via dai poliziotti inglesi. Il
Direttore riuscirà a farlo riportare in poco tempo. Ma di nuovo a maggio del 1941 don Frey
è portato all‘ospizio Austriaco. E fra l‘11 e 12 giugno vengono arrestati tutti i confratelli e
suore italiane e condotti a Betlemme. Lasciando in casa due confratelli che stessero con i
giovani69.
67 Riassunto Cronaca Beitgemal 1939, in ACB, 30 settembre 1939.
68 Riassunto Cronaca Beitgemal 1939, in ACB, 30 settembre 1939.
69 Si riferiscono a Haurin Giorgio (libanese), Spiridione Roumman (libanese), perché il sig. Milani (Siriano)
e il sig. Srugi Simone (Palestinese) furono arrestati lo stesso. Srugi fu liberato, solo quindici giorni dopo,
quando i Turchi si sono convinti che era Palestinese.
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A questo punto la cronaca scrive:
«NB: Dal 13 Giugno al 31 Ottobre 1940 non si trova in casa nessuna cronaca a
causa della guerra e internamento dei confratelli. (Direttorato Don Calis)».
1.12. López Rafael Arturo (1940-1943)
(5 sdb, 0 fma, 30 allievi)
Don López arriva a novembre 1940. In questo triennio il numero di confratelli era
un po‘ variabile, salesiani vanno e vengono; si vede che l‘Ispettore faceva tutto quanto
quello che poteva per rispondere ai diversi bisogni delle comunità, con i pochi confratelli
liberi. In effetti si prova a offrire casa e scuola al gruppo di orfanelli affidati dal Signore
nonostante la malaria e la guerra. In questi anni, oltre alle visite dei poliziotti e militari
inglesi, saranno frequentissime quelle dei soldati polacchi e ogni tanto anche dei soldati
svizzeri.
Ad aprile 1941 i poliziotti fanno indagini dal sig. Haruni Giorgio e da alcuni operai
in cerca di armi. Trovano dal sig. Haruni armi vecchie e munizioni. Ad agosto, dopo il
giudizio in tribunale, per poterlo liberare si è dovuto pagare una grossa somma.
Giungo 1942 i soldati polacchi insistono di voler far di Beitgemal un ginnasio per
loro. Alla fine, faranno tante manovre militari nella tenuta; ma non riescono ad
appropriarsi della struttura della scuola, come si temeva. L‘inconveniente fu che spesso si
auto-invitavano a pranzo o a cena.
In febbraio 1943 liberano alcuni degli italiani e don Candiani ritorna in comunità.
Dopo qualche mese, giugno 1943, un breve respiro: don Botto, don Frey, il sig. Milani e il
sig. Fusi sono rilasciati in libertà… ma ripresi ad agosto.
Nel frattempo si è dovuto anche investire parecchie energie per provare a risolvere i
problemi legali di proprietà: i vicini del villaggio Zaccaria assicuravano che era loro quella
zona, ma in verità la comunità gli aveva affidato questo terreno agricolo per lo
sfruttamento.
A luglio 1943 il Direttore è portato a Betlemme perché malato, dove morirà l‘8
ottobre.
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1.13. Laiolo Luigi (1943-1946)
(Non ci sono dati sui componenti della comunità in questo travagliato periodo)
Rilasciati in libertà le consorelle e alcuni dei confratelli l‘opera può riprendere con
una certa normalità il suo ritmo. Cioè, con la normalità che i tempi di guerra consentono.
Infatti, continuano le manovre militari intorno alla casa.
Il 27 novembre 1943 muore il sig. Srugi, partecipano ai funerali gli operai
musulmani della casa e dei dintorni, molti elogi funebri nella cripta. Fu una grande perdita
per la comunità, in verità era un santo confratello.
A maggio 1944 tutti i confratelli furono definitivamente lasciati in libertà, e così la
comunità si ristabilisce al completo dopo tre anni di dubbi e confusione.
Intanto il fenomeno delle visite alla comunità diventa sproporzionato. Molte visite,
ma veramente molte, e tantissime di esse inopportune (soldati e rappresentanti politici
inglesi e arabi che arrivano proprio all‘ora di pranzo o di cena, e parecchie volte si è
costretti a offrirgli anche l‘alloggio). Questo fenomeno delle visite era così accentuato da
fare impoverire ancora di più l‘economia della casa e diventare uno dei punti principali da
trattare nelle visite Ispettoriali.
Era quasi inevitabile che l‘insieme delle circostanze non influisse nell‘andamento
della scuola. Anche se pochi i casi, il fatto è che alcuni ragazzi provano a scappare dalla
scuola, e qualcuno in realtà ci è riuscito. È riportato nella cronaca, che nell‘ottobre 1945 si
crea un malcontento fra i ragazzi per il molto lavoro e il poco studio.
In confronto a tutto ciò, i confratelli incaricati hanno fatto di tutto per mantenere lo
spirito di Valdocco nelle circostanze in cui erano costretti a vivere.
1.14. Ubezzi Bartolomeo (1946-1949)
(15 sdb, 6 fma, 40 allievi)
Nel 1946 e nel 1947 non sono apparse grandi novità. Tutto continuava più o meno
uguale, nel bene e nel male (furti, visite indesiderate, problemi di proprietà, difficoltà nella
campagna e perciò difficoltà economica, ecc).
Ma forse è opportuno concentrarsi un momento nel lavoro educativo che si portava
avanti in quegli anni; concentrarsi in ciò che aiutò i ragazzi affidati dalla Divina
Provvidenza a crescere come buoni cristiani e onesti cittadini:
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Il ritmo del tempo era scandito da due tipi avvenimenti: il primo era: i bisogni dei
lavori agricoli e il secondo fu il calendario dei festeggiamenti religiosi. Ecco un sommario
di quest‘ultimo:
Ottobre:
triduo d‘inizio dell‘anno.
Novembre:
tutti i santi e commemorazione dei fedeli defunti.
Dicembre:
novena e festa dell‘Immacolata e del Natale, santo Stefano.
Gennaio:
Epifania, san Francesco di Sales, don Bosco.
Febbraio:
Adorazione al Santissimo (accanto ai giochi per il carnevale)
Marzo:
San Giuseppe.
Aprile:
Esercizi spirituali per i ragazzi, Pasqua.
Maggio:
San Giuseppe operaio, Beata Madre Mazzarello, novena e
festa di Maria Ausiliatrice, Pentecoste.
Giugno:
Corpus Domini, Sacro Cuore (a volte celebrate insieme), san
Luigi (tante volte spostate alla fine dell‘anno scolastico), san
Pietro e Paolo.
Luglio:
Festa della riconoscenza (sempre in coincidenza con la fine
dell‘anno scolastico e a volte con la festa esterna di san
Luigi)
Agosto:
Festa dell‘Invenzione di santo Stefano, l‘assunzione di Maria,
Maria regina della Palestina (per agosto rimanevano
pochissimi ragazzi, normalmente quelli che erano totalmente
orfani)
A queste feste si deve aggiungere quella dell‘onomastico del direttore ed eventuali
occasioni speciali come la prima messa dei sacerdoti novelli, gli anniversari di sacerdozio,
e di professione religiosa. Erano occasioni preziose per avvicinarsi devotamente ai
sacramenti, per divertirsi, per far un po‘ di sport, cinema e, magari, mangiare anche la
merenda. Di solito le feste si concludevano con le accademie; basterebbe dare un sguardo
ai programmi di queste serate per intuire la qualità educativa di essi.
Altre attività pastorali furono le celebrazioni dei sacramenti dell‘iniziazione
cristiana: battesimo, cresima e comunione.
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Così, la cronaca riporta anche i tridui o le novene che gli allievi facevano pregando
per il dono della pioggia, e spesso le preghiere erano esaudite in pochi giorni.
Altra attività che diventò sempre più frequente (quasi a scadenza quindicinali) fu la
passeggiata premio per buona condotta e rendimento. Con il tempo si istituì anche la
passeggiata per i vincitori della gara catechistica che -a quanto pare- ogni anno era svolta
con più serietà.
Con l‘arrivo dell‘anno 1948 questo ritmo semi-normale si vide fortemente
sconvolto. A gennaio un confratello fugge per miracolo all‘esplosione di una bomba, nei
dintorni di Beitgemal si sentono delle sparatorie che lasciano morti e feriti, aumentano i
furti, e gli arabi diventano più prepotenti e minacciosi.
A maggio finisce il mandato inglese e, intorno a Beitgemal, si accende la guerra. A
giugno sono le truppe egiziane che girano intorno alla scuola. Ma a luglio gli ebrei
recuperano il controllo delle zone vicine. Gli egiziani e palestinesi si stabiliscono nel
terreno di Beitgemal e ogni volta di più esigono dei servizi (acqua, pane, cucina, stalla,
stanze, terrazzo). Una volta un confratello si rifiutò ad aggiustare dei fucili e gli fu imposta
una multa.
Ad agosto non si è potuto fare la vendemmia. I ragazzi furono costretti a
sospendere le loro vacanze e rimanere nell‘internato. Il 21 settembre sparano delle
cannonate sulla casa di Beitgemal, e il 15 ottobre ancora bombardamenti (una ventina di
bombe sopra la casa), e un allievo fu ferito al braccio. Il 17 ancora cinque bombe intorno
alla chiesa.
Il 18 ottobre i giovani non possono uscire a causa dei continui bombardamenti. Una
delle bombe cade sul tetto della chiesa delle suore. Verso le dieci gli arabi cominciano a
retrocedere. Gli ufficiali che sono nella comunità, stabiliscono di ritirarsi e partono verso
mezzanotte con le famiglie dei contadini arabi residenti a Beitgemal. Verso le due di notte
giunsero gli ebrei e temendo che ci fossero nell‘internato soldati arabi fecero uscire tutto il
personale davanti alla casa con le mani alzate. Si ebbe una sparatoria anche sull‘edificio
delle suore che aprirono la porta. Sono stati radunati tutti nel loro laboratorio. Le camere
sono state tutte aperte, registrate e derubate degli oggetti preziosi. Erano in 79 persone
nella casa delle suore, e rimarranno prigionieri lì per quindici giorni. Gli ebrei si portarono
via le due macchine e mille litri di vino dalla cantina. La chiesa però, che era la più
esposta, rimase incolume e chiusa, e non hanno neppure tentato di entrare.
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Tutti gli arabi dei paesi circonvicini sono fuggiti. Le truppe israeliane si
stabiliscono in alcuni ambienti della comunità creando i soliti problemi. Danno ordine di
non comunicare con gli arabi girovaganti, di non uscire dai confini della proprietà e i
giovani al lavoro devono sempre essere accompagnati da un italiano. I soldati vanno via a
marzo 1949, intanto qualche briciola hanno indennizzato (4.899 lire sterline).
E così, con la creazione dello Stato d‘Israele comincia una nuova fase, in tanti
aspetti più difficile.
Ma nel bisogno la già vecchia amicizia con il convento da Rafat si intensifica molto
più. Anche i padri lazzaristi e il ministro della foresta sono stati molti gentili con l‘opera di
Beitgemal.
1.15. Barbieri Giovanni (1950-1954)
(11 sdb, 5 fma, 3 laici, allievi da 32 a 13)
Don Barberi era stato nominato direttore di Beitgemal nell‘estate del 1949, ma
dovette aspettare parecchi mesi prima di poter attraversare le frontiere e giungere ad
assumere il nuovo incarico; di fatto soltanto riuscirà ad arrivare il 5 gennaio.
Beitgemal situata in pieno stato israeliano, venne a trovarsi di fronte a nuove ed
insospettate difficoltà. L‘attività salesiana, nelle diverse articolazione che furono provate e
che procedevano con tante fatiche, finì per ridursi al minimo. I confratelli, direttore in
testa, si adattarono a pesanti lavori agricoli, per supplire alla mancanza di mano d‘opera,
nell‘intento di salvare il salvabile.
Le famiglie dei contadini musulmani che vivevano e lavoravano a Beitgemal erano
fuggite nel ‘48, l‘opera doveva arrangiarsi da sola per far fronte alle esigenze delle
coltivazione, e dato che il convento di Rafat si trovava nelle stesse condizioni si spiegano
meglio i frequenti interscambi di aiuto.
Ma non solo gli operai, anche gli allievi cominciano a diminuire. Infatti tra i primi
faticosi compiti che affrontò don Barberi furono le pratiche per far uscire da Israele 5 dei
giovani70. Poi vedranno più pratiche simili. Per un certo tempo continuavano ad arrivare
nuovi ragazzi ma ogni anno di meno. In soli 4 anni il numero si è ridotto a 32 a 13 allievi.
70 Si può intuire che era per riunificarli con le famiglie fuggite in Siria o il Libano.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Con tutto ciò, a quanto pare, l‘attività educativa si svolge abbastanza bene. I voti di
condotta e applicazione sono tendenzialmente buoni. Anche della gara catechistica i
salesiani si sentono fieri. Rimane il fatto però, che il tempo di studio è oggettivamente
poco. Mentre le scuole agricole salesiane prevedono 16 ore di lavoro in campagna, a
Beitgemal si fanno 26; poi nei momenti più critici per la vigilanza notturna i giovani
devono coadiuvare ai salesiani nelle loro guardie. I salesiani pensano a diverse strategie per
sollevare le fatiche dei giovani, ma in tempi di crisi…
1.16. Dal Maso Eligio (1956-1958)
(10 sdb, 5 fma, 1 laico, da13 a 0 allievi)
Sotto il nuovo governo, fuggiti quasi tutti gli arabi, gli allievi vanno sempre
diminuendo di più fino al 1957 in cui la scuola praticamente viene chiusa. Né la guerra e
tanto meno le sue conseguenze erano finiti.
Nel 1957 l‘Ispettore, con il suo Consiglio, hanno preso la decisione di chiudere
temporaneamente l‘internato date le condizioni alle quali era sottomessa Beitgemal,
soprattutto gli ostacoli continui posti dalle autorità israeliane. Ma la ragione principale di
questa decisione fu che gli allievi erano troppo esposti al tiro dei militari, che erano
continuamente in manovre nelle proprietà dell‘opera.
1.17. Dal 1958-2011
La crono-storia si ferma qui, alla prima chiusura dell‘orfanatrofio, come parte dalla
nostra analisi. Ma continua dal 1958 fino all‘attualità negli allegati71 del lavoro per indicare
che questa rilettura credente non riguarda soltanto un passato «glorioso» ma che può e
deve continuare, convinti che Dio ininterrottamente si rivela ed educa nella storia di ogni
giorno.
71 Cfr. Cronostoria di Beitgemal 1958-2011. Allegato N° 3.
48

5.9 Page 49

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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
2. Membri della Comunità
Una volta descritte le successioni dei fatti, ci concentriamo nelle persone.
È opportuno cominciare facendosi un‘idea dei dati numerici sui membri della
comunità, in modo che questi aiutino a dimensionare quanto è descritto posteriormente. Poi
passeremo a un‘analisi più dettagliata delle diverse circostanze esistenziali di quanti hanno
costituito la comunità di Beitgemal.
I dati numerici72 sono offerti in relazione a tre periodi concentrici, che possono
esserci utili per contestualizzare meglio la riflessione, questi sono:
Durante la vita da salesiano di Simone Srugi: 1894-1943.
Durante la prima metà della storia della comunità approfondita in questo lavoro:
1891-1958.
Durante i 120 anni di storia della comunità: 1891-2011.
72 Questi dati si basano sostanzialmente di ciò che è riportato nelle diverse annate dell‘―Elenco dei Salesiani
di Don Bosco‖. Cfr. SALESIANI DIREZIONE GENERALE, Annuario. Salesiani di don Bosco, Direzione
generale Opere Don Bosco, Roma, S.D.B., 1890>2011.
Ma, questa fonte ci offre una duplice difficoltà: La prima è che non tutta l‘Informatione riscontrata lì non
è al 100% veritiera e la seconda è uno speciale disordine negli anni 1941-1945 (a causa della seconda guerra
mondiale) tanto che gli anni 1944-1945 gli elenchi non sono stati neanche pubblicati.
Nel caso degli eventuali sbagli dispersi qua e là, ci siamo permessi di correggere quelli che grazie all‘altre
fonti eravamo totalmente sicuri che il quid pro quo era nell‘Elenco. Ma nei casi dove non abbiamo potuto
chiarire i dubbi abbiamo riportato l‘Informatione come è scritta nell‘Elenco. Questo ci apre un piccolo
margine di errore prevedendo questi dubbi casi.
Con rispetto alle lacune lasciate dal disordine d‘Informatione causate dalla guerra fra 1941 e il 1945,
possiamo dire che abbiamo provato a riempirle con quanto ricaviamo dalle altre fonti. Ma per onestà storica
bisogna dire che anche qui rimane un certo margine di errore; specialmente considerando che preoccupati dal
sopravvivere alla guerra i registri non sono ben eseguiti; questi anni coincidono poi con l‘arresto dei salesiani
italiani nella casa di Betlemme e in conseguenza con la mobilità a cui l‘Ispettore ha dovuto sottomettere i
pochi salesiani liberi per rispondere alle necessità emergenti delle diverse opere.
Nonostante ciò i dati ci riportano un contesto molto vicino a quanto storicamente è accaduto.
Per avere un‘Informatione più dettagliata di quanto si afferma Cfr. Elenco dei confratelli vissuti a
Beitgemal (1892-2011) in ordine cronologico secondo il primo anno della loro permanenza in comunità
(Allegato N° 5); Cfr. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine alfabetico (Allegato N°
6); Cfr. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal e poi usciti della Congregazione (Allegato N° 7); Cfr.
Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal che hanno cambiato d’Ispettoria (Allegato N° 8); Cfr. Elenco dei
confratelli vissuti a Beitgemal decessi nel MOR (Allegati N° 9).
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
N° di salesiani
Provenienza
Tempo
trascorso in
comunità
Modalità di
presenza
Conclusione
Simone Srugi
1894-1943
113
Confratelli locali 28
Missionari 85
1 anno 31
2 anni 22
3 anni 12
4-6 anni 16
7-10 anni 16
11-20 anni 8
21-30 anni 4
31-54 anni 4
Ascritti e Chierici 20
Chierici-sacerdoti 14
Coadiutori 45
Sacerdoti 34 (+14)
Non salesiani 26
In altra Ispettoria 37
Deceduti nel MOR 50
Periodo scelto
1891-1958
141
Confratelli locali 30
Missionari 111
1 anno 37
2 anni 24
3 anni 17
4-6 anni 20
7-10 anni 18
11-20 anni 12
21-30 anni 7
31-54 anni 6
Ascritti e Chierici 23
Chierici-sacerdoti 17
Coadiutori 54
Sacerdoti 47 (+17)
Non salesiani 31
In altra Ispettoria 46
Deceduti nel MOR 64
Tutta la storia
1891-2011
166
Confratelli locali 31
Missionari 135
1 anno 42
2 anni 28
3 anni 20
4-6 anni 23
7-10 anni 21
11-20 anni 16
21-30 anni 8
31-54 anni 8
Ascritti e Chierici 27
Chierici-sacerdoti 18
Coadiutori 60
Sacerdoti 61 (+18)
Non salesiani 32
In altra Ispettoria 52
Deceduti nel MOR 72
Appartengono MOR 10
Ecco alcune considerazioni, che escono da questi dati numerici, che possono
aiutarci a conoscere meglio la realtà della comunità:
I confratelli nel periodo studiato (1881-1958) sono stati in quantità superiore e più
mobilitati dei periodi successivi (1958-2011). Basta pensare che in 52 anni di differenza
sono solo 25 confratelli in più che hanno vissuto a Beitgemal, mentre in un periodo simile
quelli che hanno vissuto con Simone Srugi erano 113.
La proporzione fra confratelli locali e missionari durante la vita di Simone Srugi è
di 1 a 3 (25%). Poi è stato drasticamente fermato il flusso di vocazioni Palestinesi e di quei
confratelli locali che potessero vivere e lavorare nel nuovo stato di Israele. Infatti dopo la
morte di Simone Srugi solo 3 confratelli locali hanno lavorato in Beitgemal e per un
periodo di tempo abbastanza ristretto.
I confratelli che restavano in comunità meno di 3 anni erano sempre intorno al 60%
o al 50%. Ad ingrossare questi numeri fu il sistema formativo del primo periodo di don
Rua, dove le comunità apostoliche accoglievano nel loro seno aspiranti, ascritti e chierici; e
non in comunità apposite come pian piano si decise.
Dopo il 1958 fu in crescita proporzionale il numero di confratelli che vissero in
comunità per medi e lunghi periodi.
50

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Nel suo insieme la comunità è stata composta da un 17% di ascritti e chierici, 36%
di confratelli coadiutori e 47% di confratelli presbiteri. Ma la relazione sacerdoti e
coadiutori/chierici si è ribaltata lungo la storia. Basta pensare che la prima comunità era
composta da un sacerdote e il resto dai chierici e coadiutori (e così perdurò per lungo
periodo) fino ad oggi, dove da tempo non ci sono giovani formandi e la comunità è
composta da un coadiutore e cinque presbiteri.
Il numero di confratelli i quali sono usciti dalla congregazione, che nell‘insieme
della storia arriva al 20%, è altamente influenzato dalla presenza dei formandi nella
comunità, la maggioranza all‘inizio e quasi nessuno in questo ultimo periodo.
Quelli inseriti in altre ispettorie sono il 32% del totale, più o meno distribuite lungo
tutta la storia della comunità. Le ragioni dei trasferimenti sono diverse: primo bisogna
considerare che, soprattutto all‘inizio, le obbedienze erano molto libere e abbastanza
centralizzate da Torino. Era quindi prassi quasi normale passare con certa leggerezza da
una Ispettoria all‘altra secondo i nuovi bisogni (e in questo senso si trovano parecchi
salesiani che, con autentico spirito di generosità e obbedienza, non discutevano gli ordini
impartiti dai superiori); un altro gruppo sono quelli che loro stessi hanno chiesto di
ritornare in patria, dopo un periodo di convivenza e di lavoro sotto condizioni molto
esigenti; altri sono stati costretti a ritornare per motivi di salute; infine un certo numero è
stato cambiato per poter risolvere situazioni difficili.
Troviamo lungo la storia, in forma più o meno stabile, il 45% che hanno speso tutta
la loro vita nell‘Ispettoria.
141 confratelli hanno vissuto nella comunità di Beitgemal dal 1891 al 1958, in
situazioni esistenziali molto diverse fra di loro, nonostante abbiano costruito la storia
dell‘unica comunità.
Ma l‘unità della comunità non mira all‘uniformità o, peggio ancora, all‘anonimato,
ma tende ad esprimere insieme la molteplicità dei doni che lo Spirito elargisce ad ogni
membro della comunità.
«Con un'immagine tratta dal mondo della musica si potrebbe dire che la
comunità è come una grande orchestra: mentre i singoli strumenti suonano con
esattezza la loro parte, l'insieme dell'orchestra fa rivivere un capolavoro sinfonico;
più esattamente fa rivivere quel capolavoro che lo stesso Dio ha composto da sempre
per questa particolare comunità. E mentre continua a chiamare altri suonatori a far
parte di questa orchestra viva, il Signore rinnova il repertorio delle composizioni
51

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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
adattandole, di volta in volta, alle possibilità e alle caratteristiche dei maestri
d'orchestra»73.
È questa molteplicità di doni offerti dallo Spirito a cui vogliamo avvicinarci.
2.1. Giovani confratelli: aspiranti, ascritti e chierici
La formazione iniziale costituisce senza dubbio un periodo di preparazione, un
cammino di maturazione, un processo di discernimento e di crescente assunzione di
responsabilità fino alla maturità spirituale salesiana richiesta dalla professione perpetua. È
un dialogo tra il confratello e la Congregazione che tende ad accertarne l'idoneità e la
maturità in vista della sua incorporazione definitiva.
Chiariscono le attuali costituzioni: «Per il salesiano formazione iniziale, più che
attesa, è già tempo di lavoro e di santità. È un tempo di dialogo tra l'iniziativa di Dio che
chiama e conduce la libertà del salesiano che assume progressivamente gli impegni della
propria formazione»74.
Adesso vediamo come si è verificato tutto ciò nella comunità di Beitgemal.
2.1.1. I dati
N° di salesiani
Ascritti e
chierici
Provenienza
Tempo
trascorso in
comunità
Conclusione
Simone Srugi
1894-1943
Totale 34
Solo chierici 20
Chierici-sacerdoti 14
Confratelli locali 9
Missionari 25
1-3 anni 20
4-6 anni 7
7-10 anni 3
11-30 anni 3
anni 1
Non salesiani 10
In altra Ispettoria 14
Deceduti nel MOR 10
Periodo scelto
1891-1958
Totale 40
Solo chierici 23
Chierici-sacerdoti 17
Confratelli locali 9
Missionari 31
1-3 anni 24
4-6 anni 7
7-10 anni 3
11-30 anni 4
31-54 anni 2
Non salesiani 10
In altra Ispettoria 17
Deceduti nel MOR 11
Appartengono MOR 2
Tutta la storia
1891-2011
Totale 45
Solo chierici 27
Chierici-sacerdoti 18
Confratelli locali 10
Missionari 35
1-3 anni 29
4-6 anni 7
7-10 anni 3
11-30 anni 4
31-54 anni 2
Non salesiani 12
In altra Ispettoria 18
Deceduti nel MOR 11
Appartengono MOR 4
73 Progetto di vita dei salesiani di don Bosco, guida alla lettura delle Costituzioni salesiane, Roma, S.D.B.,
1986, 426.
74 C 105.
52

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2.1.2. Vita apostolica
«Lo spirito di famiglia e il dinamismo caratteristico della nostra missione rendono
particolarmente valido il contributo apostolico dei giovani salesiani»75. Così valido che nei
primi due decenni la comunità fu composta basicamente di chierici e coadiutori giovani.
Le cronache della comunità narrano l‘abbondante attività che questi chierici
proponevano per riprodurre lo spirito di Valdocco (preghiere, canti, teatri, passeggiate,
sport, giorni di festa), insieme agli impegni assunti con vera generosità e responsabilità. Il
clima generato era così propositivo che in quell‘epoca 7 dei giovani hanno risposto con
entusiasmo alla vocazione salesiana. Giovanni Morosin dodicenne fece una sosta a
Beitgemal; al riguardo narrerà: «il 27 febbraio del 1897, mi sono trovato così bene, e
affezionato all‘ambiente salesiano che ho deciso di fermarmi per sempre con Don
Bosco»76.
Anche i chierici, del periodo successivo, che hanno vissuto a Beitgemal in qualità
di tirocinanti hanno lasciato delle belle impronte:
«I tre Ch.ci (sic) si impegnarono a fondo, nonostante la difficoltà della
lingua; a loro furono impartite speciali lezioni di arabo. La loro presenza è molto
positiva»77, e ancora «Il ch. lascia definitivamente la Casa per iniziare gli studi
teologici. Durante vari anni trascorsi a Beitgemal ha sempre dato prova di grande
impegno nel suo ufficio di assistente e maestro, come pure di grande amore al lavoro
anche materiale. Tutti i confratelli vedono con rammarico la sua partenza e fanno
voti di buona riuscita. Al posto suo posto ne arriverà un altro78.
2.1.3. Tratti spirituali79
Come lascia intravedere la cronaca, a Beitgemal mai è stato facile l‘ambiente
(economico, politico, apostolico, comunitario). È vero che alcuni giovani confratelli sono
usciti della congregazione o cambiati di Ispettoria come sviluppo naturale dei propri
processi di discernimento; ma è altrettanto innegabile che le diverse situazioni difficili a
volte sono servite da catalizzatore a questi casi, al contempo che dimostravano la virtù e la
buona disposizione alla formazione di quelli che sono perseverati:
75 C 46.
76 Lettera mortuaria don Giovanni Morosin, in AIMOR, giugno 1963.
77 Cronaca 1938, in ACB, 31 agosto 1938.
78 Cronaca 1953, in ACB, 7 ottobre 1953.
79 Cfr. Lettere mortuarie di: Almagian Giovanni, Byrne Kevin, Sarchis Pietro, Cantoni Ercole Luigi, Orio
Moreno Luis, Tahat Fathallah, Frey Rodolfo, Morosini Giovanni, Galizzi Pietro, Katan (Catan) Pietro, Dal
Maso Eligio, Botto Alessandro, in ACB.
53

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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
«Beitgemal, particolarmente in quei tempi era una casa molto povera e
conosceva molte privazioni, fino al punto che i chierici tirocinanti mandati lì,
scapparono. Nell‘opinione stessa della Ispettoria lì venivano mandati i meno
intelligenti e qualificati»80.
Dalle storie dei 10 chierici, successivamente diventati presbiteri e poi deceduti
appartenendo all‘Ispettoria, appaiono giudizi in forma reiterativa come: «datosi con slancio
a corrispondere alla divina chiamata», «si evidenziano progressi nella vita di perfezione»,
«pietà, semplicità, candore di animo», «dava luminosi esempi di lavoro», «spirito di
sacrificio», «carità verso il prossimo».
Particolare menzione merita il chierico Farah Tommaso81, dalla Galilea, che
primeggiò fra i suoi compagni per lo studio assiduo, pietà sincera ed amabili trattative della
sua anima bella. Mentre i superiori cominciarono a nutrire le più care speranze su di lui,
per le doti veramente ammirevoli della sua mente e del suo cuore, fu assalito da un terribile
morbo che, dopo due anni di inaudite sofferenze, lo trascinò nel sepolcro. Il suo ambìto
studio, in questi due anni di forzata inazione, fu di ricopiare gli esempi di don Andrea
Beltrami della cui biografia era appassionato lettore. Erano tempi difficili per le comunità
della Palestina82, la guerra era entrata anche nelle comunità salesiane, e una dolorosa
separazione esisteva fra i confratelli. Tommaso si offrì vittima al Signore perché ritornasse
a risplendere l‘accordo e la pace83.
2.2. Coadiutori
I salesiani coadiutori sono i soci laici della congregazione. La qualifica laicale
imprime un lineamento concreto e complementare alla loro vocazione: «Il salesiano
coadiutore porta in tutti i campi educativi e pastorali il valore proprio della sua laicità, che
lo rende in modo specifico testimone del Regno di Dio nel mondo, vicino ai giovani e alle
realtà del lavoro»84.
80 Summ., in Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi Dei Simoneis Srugi Laici
Professi Societatis Salesianae, Roma, 1988, 289.
81 A dire il vero, la storia del chierico Tommaso Farah è più legata a Cremisan che a Beitgemal. Ma
riportiamo qui la sua testimonianza, comunque molto significativa e anche esa in pericolo di essere
dimenticata.
82 Cfr. Il punto successivo «la questione dei confratelli arabi», p. 61.
83 Cfr. Lettera mortuaria Chierico Farah Tommaso, in AIMOR, aprile 1919.
84 C 45.
54

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L‘Ispettoria del Medio Oriente conta nella sua storia abbondanti testimonianze di
splendidi coadiutori85. Adesso ci concentriamo in coloro che hanno vissuto a Beitgemal.
2.2.1. Dati
N° di
coadiutori
Provenienza
Tempo
trascorso in
comunità
Conclusione
Simone Srugi
1894-1943
45
Confratelli locali 12
Missionari 33
1-3 anni 24
4-6 anni 3
7-10 anni 8
anni 7
31-48 anni 3
Non salesiani 14
In altra Ispettoria 13
Deceduti nel MOR 18
Periodo scelto
1891-1958
54
Confratelli locali 13
Missionari 41
1-3 anni 29
4-6 anni 4
7-10 anni 9
11-30 anni 9
31-54 anni 3
Non salesiani 17
In altra Ispettoria 13
Deceduti nel MOR 24
Tutta la storia
1891-2011
60
Confratelli locali 13
Missionari 47
1-3 anni 31
4-6 anni 4
7-10 anni 10
11-30 anni 10
31-54 anni 4
Non salesiani 17
In altra Ispettoria 15
Deceduti nel MOR 27
Appartengono MOR 1
2.2.2. Vita apostolica
Tante attività apostoliche realizzate dai coadiutori sono comune del ceppo
salesiano: insegnamento del catechismo, assistenza dei ragazzi, insegnamento di materie
culturale (come le lingue) o tecniche (come l‘agricoltura).
Ma quasi sempre queste attività erano realizzate insieme a particolari lavori, nei
quali finivano per specializzarsi: per molti confratelli la campagna fu il loro campo di
lavoro e di santificazione, ma anche la cura degli animali, l‘infermeria, il mulino, il forno,
le costruzioni, l‘aiuto nella cucina, guardaroba, portineria, sacrestia, approvvigionamenti,
contabilità, economia.
Di tutto ciò, la cosa più importante, è riconoscere il modo di realizzare queste
attività e lo spirito con cui venivano attuate. I confratelli laici ebbero parecchie volte uffici
di poca apparenza, ma li disimpegnavano sempre con precisione e fedeltà, attirandosi non
solo l‘ammirazione e il rispetto degli allievi e operai, in gran parte musulmani, ma
giungevano ad allacciare con loro rapporti di schietta cordialità, per la delicatezza e la
bontà con cui sapevano trattare tutti, senza distinzione di età e di religione. Addirittura
85 Cfr. E. FORTI, Fedeli a Don Bosco in Terra Santa, Leuman, Elle Di Ci, 1988.
55

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alcuni hanno avuto delle cariche peculiare: sindaco-mediatore di pace nei villaggi
musulmani (Haruni Giorgio).
Si riscontrano diversi giovani, ebrei e mussulmani, che in contatto di amicizia con i
coadiutori salesiani hanno deciso di ricevere il battesimo.
2.2.3. Tratti spirituali86
La comunità possiede testimonianze realmente belle. Fra gli elementi più comuni
possiamo riscontrare la passione per il lavoro, l‘austerità, il sacrificio (sereni nell‘adattarsi
a orari scomodi), l‘obbedienza e l‘umiltà. I coadiutori a Beitgemal si sono dimostrati
scrupolosi nell‘adempiere le proprie attribuzioni e rendere conto di esse; hanno avuto un
profondo senso di responsabilità unito a un spirito di sacrificio a tutta prova.
Da genuini figli di don Bosco però sapevano associare il lavoro alla preghiera. La
loro fede era semplice e robusta; rinnovata con la meditazione, la lettura spirituale e le
pratiche di pietà. Regolarissimi nella vita comune, attingevano dai sacramenti, a costo
anche di gravi sacrifici, la forza per alimentare le loro molteplici attività.
Nei rapporti umani erano cordiali e simpatici. Si distinguevano per la loro
semplicità, solleciti nelle attenzioni ai confratelli. Erano elementi di unione in comunità:
unendo furbizia, simpatia e affettuoso rispetto.
Avevano il dono di farsi amici coloro che incontravano, non con cultura, ma con la
testimonianza della vita. Per ragioni di uffici erano molto conosciuti anche in ambienti non
cristiani dove non si vergognavano di professare con semplicità la propria fede suscitando
dappertutto accoglienza e simpatia. Godevano della stima più grande presso i contadini
musulmani.
2.3. Sacerdoti
«Il salesiano presbitero o diacono apporta al comune lavoro di promozione e di
educazione alla fede la specificità del suo ministero, che lo rende segno di Cristo Pastore,
particolarmente con la predicazione del Vangelo e l‘azione sacramentale»87. I compiti che
hanno disimpegnato i salesiani presbiteri a Beitgemal sono molteplici, ma c‘e stato un
86 Cfr. Lettere mortuarie di: Deferraris Giovanni, Tesio Marco, Pogliotti Luigi, Zanchetta Giacomo,
Bonamino Giovanni Battista, Flesia Giovanni, Liverani Giuseppe, Baccaro Antonio, Hauila Giuseppe,
Haruni Giorgio, Biagi Nicola, Kren Giuseppe, Ghezzi Luigi, Aloi Giuseppe, Zodo Fulvio, Prometti Giovanni,
Fusi Giuseppe, Chiaudano Nicola, Combaz Naim, Castelli Giovanni, in AIMOR.
87 C 45.
56

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denominatore comune di assolvere i propri compiti con cuore sacerdotale, essere
annunciatori della Parola, santificatori e animatori della comunità.
2.3.1. Dati
N° di salesiani
Chierici e
sacerdoti
Provenienza
Tempo
trascorso in
comunità
Conclusione
Simone Srugi
1894-1943
Totale 48
Chierici-sacerdoti 14
Sacerdoti 34
Confratelli locali 11
Missionari 37
1-3 anni 21
4-6 anni 11
7-10 anni 8
11-30 anni 6
anni 2
Non salesiani 3
In altra Ispettoria 16
Deceduti nel MOR 29
Periodo scelto
1891-1958
Totale 64
Chierici-sacerdoti 17
Sacerdoti 47
Confratelli locali 12
Missionari 52
1-3 anni 29
4-6 anni 13
7-10 anni 9
11-30 anni 10
31-54 anni 3
Non salesiani 3
In altra Ispettoria 20
Deceduti nel MOR 39
Appartengono MOR 2
Tutta la storia
1891-2011
Totale 79
Chierici-sacerdoti 18
Sacerdoti 61
Confratelli locali 12
Missionari 67
1-3 anni 34
4-6 anni 17
7-10 anni 10
11-30 anni 14
31-54 anni 3
Non salesiani 3
In altra Ispettoria 26
Deceduti nel MOR 42
Appartengono MOR 7
2.3.2. Vita apostolica
I sacerdoti a Beitgemal si sono disimpegnati come direttori, prefetti, economi,
maestri (soprattutto in lingue e musica), assistenti, animatori di gruppi e responsabili della
campagna. Fra di loro si distinguono grandi studiosi, confessori e predicatori. I presbiteri di
Beitgemal hanno esercitato il loro ministero pastorale con le comunità cristiane dei dintorni
e specialmente con le comunità religiose di Rafat; oltre che con i confratelli e le consorelle,
con i giovani e con gli operai della casa.
Molti di loro sono ricordati come veri apostoli che si sono prodigati generosamente
nel fare il bene, con umiltà e semplicità, con larghezza di cuore e con tanta bontà.
La fede robusta e l‘ardente carità hanno fatto di loro uomini generosi, pronti al
servizio del prossimo, fino alla totale abnegazione di se stessi. Si sono donati
completamente alla loro missione educativa: amando sinceramente i giovani e
prodigandosi soprattutto per i più poveri.
Questo spirito di laboriosità era alimentato da una profonda pietà, che aveva
talvolta espressioni di evangelica semplicità, ed era associato ad un grande amore alla
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povertà. Tanti di loro si sono dimostrati lavoratori abnegati (specialmente nella campagna)
nei momenti duri e provati dell‘opera.
I periodi di transizione, soprattutto quando si prolungavano, portavano sempre
difficoltà e problemi imprevisti e mettevano a dura prova la fede, l‘abilità e la pazienza di
coloro che avevano le maggiori responsabilità. Nei diversi periodi e prove non sono
mancate le tentazioni di abbandonare tutto ciò.
Il Rettor Maggior don Ricaldone nel 1939 rispondeva a una lettera di sfogo inviata
dal Direttore in un momento di scoraggiamento: «Se non ti conoscessi, sarei quasi tentato
di tirarti le orecchie, ma siccome so che sei un bravissimo figliolo mi limito a dirti:
carissimo, rimani al tuo posto, dove ti vuole il Signore e porta con generosità la tua croce.
Avendo dei debiti potrai recitare con maggior fervore il Pater Noster, ripetendo con fede:
Dimitte nobis debita nostra88.
E tanti di loro sono rimasti a caricare la croce fin dove le forze, fisiche e spirituali,
gli hanno permesso… e alcuni, con l‘aiuto del Signore, si sono consumati fino alla fine per
i giovani e i poveri di Beitgemal.
2.3.3. Tratti spirituali89
Abbiamo insistito abbastanza sulle situazioni difficili vissute a Beitgemal; infatti,
come mostrano i dati, tre di loro abbandonarono il sacerdozio, diversi hanno chiesto
cambio di comunità e anche d‘Ispettoria, altri si sono trasferiti per diverse necessità,
obbedienze o motivi di salute.
Un gruppo, non indifferente, di sacerdoti si sono mantenuti fedeli
nell‘adempimento della loro missione. Loro hanno dovuto incarnare i tratti tipici del
ministero sacerdotale nelle condizioni imposte dal particolare apostolato salesiano svolto a
Beitgemal.
Fra di loro riscontriamo grandi studiosi e altri confratelli piuttosto semplici, uomini
energici e forti e altri poco robusti, alcuni molto attivi e intraprendenti e altri con un stile
88 Lettera di don Ricaldone a don Antonio Candiani, in ACB, 12 settembre 1939.
89 Cfr. Lettere mortuarie di: Varaia Antonio, Testori Luigi, Latour Giacomo, Fergnani Giovanni, Nahas
Giovanni, Pasquali Eugenio, Ponzo Vincenzo, Vercauteren Carlo, Lopez Rafael Arturo, Gosslar Karl,
Sacchetti Alfredo, Bonatti Costantino, Marsegaglia Pietro, Calis Joseph, Luserna Sebastiano, Villa
Giovanni, Laiolo Luigi, Auad Atalla, Candiani Antonio, Galliani Giuseppe, Barbieri Giovanni, Spiridione
Roumman, Reggio Antonio, Ubezzi Bartolomeo, Ponzetti Giulio, Sciueri Khalil, Morra Michelangelo, in
AIMOR.
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abbastanza calmo. Ma in mezzo a questi e altre legittime differenze si possono individuare
alcuni tratti comuni:
Sensibilità per i poveri, specialmente gli orfani, con una generosa laboriosità per
evangelizzarli, educarli e servirli. Si denota uno zelo inestinguibile nel prodigare il bene
alle anime attraverso l‘esercizio del ministero sacerdotale nell‘animazione comunitaria,
nella predicazione e nella santificazione (attraverso i sacramenti) della porzione di popolo
di Dio a loro affidata.
Da buoni salesiani erano coscienti che il dami anime non può essere sconnesso al
cetera tolle; da ciò che si riscontri frequentemente sacrifici eroici, atteggiamento di
obbedienza, regolarità nel compimento del proprio dovere, amore al lavoro, pazienza e
mortificazione austera.
Fra le esempi più edificanti offerti da questi uomini fu la loro capacità di lasciarsi
interpellare, nella loro formazione spirituale, dalle diverse circostanze che hanno dovuto
affrontare.
Hanno dimostrato di avere il senso del concreto e la capacità di saper cogliere
l‘essenziale in ogni cosa e in ogni circostanza. Da ciò che la loro volontà di fare il bene
fosse fedelmente sostenuta nel nome di Dio, pagando di persona per la testimonianza dei
valori del regno; imparando, sulla propria pelle, che il bene non si ottiene senza sacrifici.
A Beitgemal riscontriamo salesiani di vivissima pietà, fedeli alle pratiche
comunitarie e assidui ai colloqui personali con Gesù, pieni di espressioni affettuose,
profonde e talvolta mistiche.
La vivissima devozione a Maria vissuta a Beitgemal, era manifestata nella vita
quotidiana e anche nelle grandi feste. Così, anche la devozione a san Giuseppe era molto
sentita.
Il contatto con la pluralità (rituale, religiosa, culturale) ha portato molti di loro a
sviluppare gli atteggiamenti tipicamente salesiani dell‘apertura e la cordialità. Infatti
parecchi hanno dimostrato d‘aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono della simpatia e di
essersi impegnati a modellare le proprie capacità relazionali sulla mitezza del cuore di
Cristo.
Infine, il sacerdozio di molti confratelli di Beitgemal è stato segnato dalla vicinanza
alla memoria di santo Stefano e dal lavoro di dilatazione del perdono cristiano, onorando
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questa memoria (oltre alla diffusione devozionale) con le loro testimonianze d‘indulgenza
cristiana nella quotidianità della vita, ma anche con gesti eroici.
2.4. Confratelli anziani e ammalati
Per un salesiano, abituato a un‘attività esuberante, la malattia grave e le infermità
della vecchiaia sono prove particolarmente penose, che costituiscono un appello a una fede
più viva e a una forma nuova di fedeltà ed esigono un approfondimento della propria
vocazione90.
A Beitgemal, oltre al naturale ciclo della vita e all‘indebolimento fisico prodotto
dalle strettezze e dalle situazioni difficili, i confratelli spesso hanno dovuto fare conto con
la malaria, che in diversi casi li ha portati alla morte, o comunque lasciava gravi
ripercussioni nella loro salute.
Nei racconti delle lettere mortuarie si possono identificare diverse prospettive da
cui lasciarsi interpellare:
Dall‘esperienza vissuta dai confratelli, in prima persona, questi duri momenti erano
un proprio Kairos (tempo di grazia) nella formazione e crescita spirituale. Rinnovando
quotidianamente l‘offerta della propria esistenza segnata dal dolore si univano alla
passione redentrice del Signore. Certamente, per tanti, fu un appello di rilancio della loro
anima salesiana.
Dall‘atteggiamento intimo di offerta di sé in Cristo al Padre per la salvezza del
mondo, sgorgava spontaneamente le preghiere esplicite, che occupavano un posto
privilegiato nelle lunghe ore di pazienza dei salesiani sofferenti, in unione con i confratelli
e in favore dei giovani.
Durante questi periodi di malattia i confratelli testimoniavano a tutti la loro
formazione spirituale, l‘amore per Dio e per la congregazione.
Tante volte non volevano disturbare nessuno e si curavano da soli, senza esprimere
un lamento o una recriminazione contro questo o quel disturbo, accettando dalle mani di
Dio la loro situazione.
Bellissime sono le testimonianze dei loro sforzi per continuare, anche in attività
ridotta, a contribuire con il lavoro apostolico della comunità:
90 Cfr. Progetto di vita dei salesiani, 433.
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«Era una tempra di lavoratore forgiato a contatto con le prime generazioni di
salesiani. Non poteva mai star fermo. Quando lo si accompagnava a riposare, la frase
di congedo era sempre la medesima: ―es avete bisogno di me, chiamatemi!»91.
«Sempre vigile, sempre al suo posto, nonostante l‘età e gli acciacchi, con
ammirevole spirito di sacrificio spese senza risparmio le sue ultime energie»92.
Ma il Kairos era anche per i confratelli più giovani che avevano l‘opportunità di
esprimere l‘amore e la riconoscenza per i predecessori, tante volte padri e maestri nella
fede, e circondarli di cure e affetto:
La sua Via Crucis fu vedersi destinatario di speciali attenzioni e riguardi
quando il suo desiderio era sollevare la carica della comunità. Ma i confratelli erano
certi che i patimenti da lui sofferti e offerti a Dio assicuravano l‘efficacia della
missione comune93.
3. La questioni dei confratelli arabi
Durante la prima guerra mondiale si manifestò in forma esasperata una difficoltà
relazionale che sussisteva dall‘inizio nell‘Ispettoria del Medio Oriente. L‘epicentro del
problema fu vissuto a Betlemme, ma non senza ripercussioni nel resto delle comunità, in
forma speciale a Beitgemal.
Si tratta del superamento di nazionalismi tra missionari stranieri e vocazioni locali,
la tensione di piantare il carisma originario e un serio sforzo d‘inculturazione... Problemi e
difficoltà che possono essere esacerbati da circostanze occasionali. ILLa conflagrazione
mondiale finì per alimentare le tensioni preesistenti, anche senza volerlo, in seno alle
comunità, nelle quali vivevano confratelli italiani, francesi, belgi, tedeschi, spagnoli e
naturalmente arabi.
Le fonti archivistiche rivelano con chiarezza questo momento di conflitto.
«Il contrasto incominciò a esprimersi poco a poco più apertamente, dopo che
le opere della Palestina nel 1904 vennero poste sotto il Protettorato italiano. Ciò che
suscitò la reazione dei confratelli arabi, oltre le ragioni generali facilmente
comprensibili, fu il fatto che negli Orfanatrofi la lingua italiana aveva finito per
prevalere sulla lingua araba in tutte le espressioni della vita, anche in quelle religiose
e liturgiche.
Ora quando nel 1915 l‘Italia entrò in guerra contro gli Imperi Centrali, tutti
gli italiani, parecchi dei quali erano direttori delle case salesiane o vi occupavano
posti di responsabilità, dovettero abbandonare i loro incarichi e le loro case e furono
91 Lettera mortuaria di Fergnani Giovanni, in AIMOR, dicembre 1932.
92 Lettera mortuaria di Laiolo Luigi, in AIMOR, dicembre 1959.
93 Lettera mortuaria di Casagrande Ferdinando, in AIMOR, agosto 1977.
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raccolti a Giaffa. Tutte le cariche allora vennero assunte dai confratelli arabi, che
salutarono con gioia l‘ora di una propria affermazione nelle case, dove finora erano
piuttosto in posizione subordinata. Ma, contro ogni previsione ed attesa, il governo
dell‘Impero ottomano all‘ultimo momento impedì ai confratelli italiani di partire e di
andare in Egitto: anzi essi furono rimandati alle case salesiane, dove ripresero le
cariche e le responsabilità che avevano prima.
Fu l‘occasione che fece esplodere una forte presa di posizione contro gli
italiani e, per riflesso, contro i superiori»94.
Le forme più evidenti con cui si manifestò sono: restrizioni dell‘uso dell‘arabo a
vantaggio dell‘italiano e del francese; accuse di discriminazione tra europei e arabi nella
distribuzione di cariche e uffici; persistente dualismo, in alcune comunità, tra il personale
autoctono e quello europeo; sospetto di tradimento da parte di alcuni salesiani arabi come
causa della prigionia di salesiani italiani; aperta disobbedienza ai superiori italiani, e
volontaria reclusione dei principali di essi nell‘orfanotrofio di Betlemme.
Per l‘imprudenza di qualcuno, il contrasto divenne pubblico, con intervento di
autorità ecclesiastiche e perfino civili, e inviti (tra reticenze e resistenze) da parte dei
superiori a presentarsi a Torino per chiarire le cose. La questione parve così difficile che il
Consiglio Ispettoriale, nella seduta del 2 maggio 1918, suggerì al Capitolo Superiore, come
unica soluzione possibile, il «licenziamento dalla Congregazione di sei di Betlemme [...].
Se questo castigo non si credesse di estenderlo a tutti, almeno sia applicato ai caporioni
[...]. Gli altri siano mandati fuori dell‘Ispettoria Orientale e separati l‘uno dall‘altro»95. E
tutto questo a guerra appena finita, mentre le case funzionavano a metà e i salesiani si
sforzavano di rimarginare le ferite. Era indispensabile una visita straordinaria da Torino.
Ecco la relazione tracciata da don Ceria, lo storico della Congregazione:
«Finita la guerra, perdurava nella case salesiane della Palestina un
perturbamento interno, che aveva origini lontane e non cessava di causare seri
disturbi. Il nazionalismo, acceso dopo la cacciata del Sultano dai Giovani Turchi e da
essi alimentato senza posa, infiammava gli Arabi, anche quelli resisi salesiani,
quando don Belloni aveva incorporato la sua opera palestinese alla Congregazione di
don Bosco. Nulla peggio della passione politica fomenta dissensi, rivalità e partiti.
Nel caso nostro, l‘antipatia del nuovo Governo turco verso gli Europei serviva ad
attizzare continuamente il fuoco, soprattutto contro gli Italiani. Ne derivò uno stato
di cose insopportabile, che oramai era conosciuto fuori e scandalizzava le
popolazioni. Appena tornò possibile viaggiare, don Albera, desideroso di ristabilire
94Informatio, in Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi Dei Simoneis Srugi Laici
Professi Societatis Salesianae, Roma, 1988, 120-121.
95 Fonti archivistiche più importanti sul tema: Corrisp. con D. Albera, D. Ricaldone e D. Gusmano di D.
Sutera (alcune di queste lettere formano un Memoriale) in ASC 31.22 MO, dal sett. 1912 al dic. 1919;
Memorandum di D. E. Bianchi a D. Ricaldone, in ASC 31.22 MO, 22.10.1918. E disperse: Corrisp. con D.
Albera e D. Ricaldone di D. Arena, Simonetti, Vercauteren, Villa G., in ASC 31.22 MO, 1918.
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la pace, mandò in Palestina con pienezza di poteri il Consigliere professionale del
Capitolo Superiore don Pietro Ricaldone. Egli, sbarcato il 17 dicembre 1918 in Asia,
si trattenne più di due mesi nel paese di Gesù, finché, con il suo tatto improntato a
carità e prudenza, non gli parve di aver avviato le cose verso la normalità. Questa
però non fu raggiunta tutta d‘un tratto, né così presto, com‘era sembrato dover
avvenire; una buona volta tuttavia la si conseguì e non venne mai più turbata»96.
Magari fosse stato vero il giudizio, piuttosto desiderio, di don Ceria quando
affermava che la «normalità» «una buona volta la si conseguì non venne mai più turbata».
Certamente non si sono raggiunte di nuovo espressioni così scandalose; ma la storia
dimostra che la ferita non si era guarita (basta ricordare quanto si è narrato dei problemi
comunitari del 1939).
A questo punto pare opportuno sottolineare alcuni problemi aperti: è stato
realmente sciolto il problema? In quale misura si è data una sana risposta alle cause del
problema, piuttosto che risolvere solo le conseguenze? Il metodo di risoluzione è stato il
più giusto? Che conseguenza ha portato? (in altre parole: si è raggiunta realmente la pace?
E a quale prezzo?) Nella memoria viva dell‘Ispettoria si ricordano questi fatti o si sono
dimenticati? (Si avvia presente l‘adagio: chi non conosce la storia è costretto a ripeterla).
Quanto è accaduto si ricorda con maturità cristiana o al massimo si trasmettono delle
leggende urbane che alimentano le ragioni per continuare a dividerci e offenderci gli uni
contro gli altri? Quanto si è imparato dell‘esperienza? C‘è la disponibilità per rileggere
nella fede gli avvenimenti e uscire cresciuti da tale ricordo? È proprio questo il lavoro
formativo-spirituale che una lettura credente deve aiutare ad affrontare.
Nel 1918 la vicenda finì con vari salesiani locali che chiesero ed ottennero di
passare al clero diocesano, accolti dal Patriarca latino di Gerusalemme97; gli altri,
distribuiti nelle varie case, alcuni in ispettorie italiane, si reintegrarono nella vita salesiana.
4. Salesiani rappresentativi
È conosciuto che la storia di Beitgemal è strettamente relazionata con le vicende di
grandi salesiani che sono vissuti in questa opera e in essa hanno manifestato in maniera
ammirevoli la loro radicalità nella sequela di Cristo.
Nonostante la descrizione precedente, merita adesso mettere in evidenza il profilo
di quelle figure che hanno tratteggiato il volto della comunità di Beitgemal. Questi sono
96 E. CERIA, Annali IV, Torino, Edizione Internazionale, 1951, 68-69.
97 Corrisp. con D. Albera, lett. di D. Sutera, in ASC 31.22 MO, 9.10.1919; Corrisp. coi Capit., lett. di D.
Sutera a D. Gusmano, in ASC 31.22 MO, 19.01.1919.
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don Antonio Belloni, il sig. Angelo Bormida, don Eugenio Bianchi e don Mario Rosìn.
Ovviamente i vissuti di questi grandi salesiani sono accompagnati anche da quello dei
Simone Srugi, ma la sua figura verrà presentata dettagliatamente nel terzo capitolo.
4.1. Don Antonio Belloni98
Il canonico Antonio Belloni, detto Abuliatama (Padre degli orfani della Palestina),
nacque in Borgo Sant‘Agata (Italia) il 20 agosto 1831 da Giuseppe Belloni e da Paola
Armelio. Fatti gli studi nel seminario diocesano di Albenga, sentendosi chiamato dal
Signore alle missioni, nel 1855 entrò nel Collegio Brignole Sale di Genova. Dove fu
ordinato sacerdote il 19 dicembre 1857. Dalla Sacra Congregazione di Propaganda Fide
destinato al Patriarcato Latino di Gerusalemme, pieno di sacro entusiasmo partiva il 22
aprile 1859.
Dal Patriarca Monsignor Valerga mandato nel seminario di Betgiala, mentre
attendeva con zelo all‘educazione e istruzione dei chierici, vedendo le penose difficoltà in
cui si trovavano molti ragazzi cristiani e non, mosso dal vivo Spirito dal Signore, in una
casetta vicino al Seminario aprì una scuola e poco dopo, il 20 maggio 1863, un piccolo
orfanatrofio col figlio di un povero cieco che la Provvidenza gli affidava.
In breve tempo, non essendo più sufficiente la casetta di Betgiala, il 1 luglio 1864,
l‘orfanatrofio fu trasportato a Betlemme, dove prese grande sviluppo, grazie allo zelo di
don Belloni e l‘aiuto di illustri benefattori, da diventare una delle più insigne istituzioni
benefiche della Palestina.
Il gran desiderio di raccogliere il maggior numero di giovani abbandonati lo mosse
ad aprire nel 1878 una grande scuola a Beitgemal, un‘altra, nel 1886, a Cremisan, e a
preparare la scuola di Nazareth che fu poi inaugurata nel 1896. Quante fatiche e quante
pene gli siano costate tutte queste opere, lo sa solo il Signore, per la cui gloria unicamente
lavorava don Belloni.
«Don Belloni cercava anzitutto di dare ai suoi figli una formazione religiosa.
Insisteva molto sul catechismo: stabiliva a questo fine delle gare, premiava i
vincitori.
La Messa quotidiana, la recita delle preghiere del mattino e della sera e del
S. Rosario, la visita al SS. Sacramento, la Confessione e la Comunione fatte bene,
erano la base del suo sistema educativo. Di nulla si preoccupava tanto quanto di fare
98 Cfr. Lettera mortuaria di don Antonio Belloni, in AIMOR, agosto 1903; G. SHALHUB, Abuliatama, il
“Padre degli orfani” nel paese di Gesù, il can. A. Belloni, Torino, SEI, 1955; J. BORREGO, I salesiani nel
Medio Oriente (pro-manuscripto), Betlemme, in AIMOR, 1983.
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di questi giovani buoni figlioli di Dio, instillare loro un delicato senso di moralità
cristiana»99.
La Provvidenza, con gli aiuti materiali, gli mandava anche eccellenti collaboratori.
Per avere il personale necessario agli orfanatrofi il Signore gli ispirò la fondazione
dell‘opera dei Fratelli della Santa Famiglia che ebbe inizio nella Festa del Patrocinio di san
Giuseppe 1874.
Don Belloni era grande ammiratore di don Bosco, del quale rispecchiava le
iniziative e il 9 novembre 1890, col pieno consenso della Sacra Congregazione di
Propaganda Fide, affidava alla Congregazione Salesiana tutta l‘opera sua; ed Egli stesso si
fece salesiano, professando il 7 luglio 1893.
Questa aggregazione, che aveva consolato tanto il cuore del buon Canonico perché
assicurava la perpetuità dell‘opera sua, fu contrastata delle autorità ecclesiastiche locali.
Don Belloni rimase, con tutta la sua convinzione, accanto ai salesiani. E quando i salesiani,
non potendo accettare le condizioni che voleva imporre il Patriarca Piavi, si dichiararono
pronti a ripartire, don Belloni si manifestò pronto a partire con loro. Gli furono ritirate le
insegne canonicali, ed il buon Padre non vide in quell‘atto che una più perfetta adesione
alla vita religiosa che aveva generosamente abbracciato. Ma questa convinzione di don
Belloni spinse il Patriarca ad accettare la presenza dei salesiani.
Ma non fu questa la prima contrarietà che don Belloni ha dovuto subire. Fin dal
1863 egli aveva dovuto lottare con avversari di ogni genere: ecclesiastici, religiosi, civili;
con gli stessi betlemitani in mezzo ai quali si trovava, non sopportando essi che agli
orfanelli fosse insegnato il lavoro degli oggetti di pietà. Aveva lottato con la miseria e
sopportato anche pazientemente l‘abbandono di alcuni dei suoi cooperatori e
l‘ingratitudine di qualche beneficato. Fiducioso in Dio aveva sempre continuato a spargere
il bene a larga mano. Fu generoso sempre con tutti, e quella mano che proteggeva l‘orfano
sapeva sollevare tanti altri disgraziati. La carità secondo lui non doveva avere confini né
barriere.
Fattosi salesiano continuò a mantenere la direzione dell‘Orfanatrofio di Betlemme;
preoccupandosi però sempre delle necessità delle altre case di Palestina.
Travagliato da lunga malattia di diabete, sopportata con cristiana rassegnazione,
circondato dai suoi confratelli ed orfanelli, ai quali rivolgeva le più tenere parole e lasciava
99 G. SHALHUB, Abuliatama, 38.
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i più affettuosi ricordi, dal suo caro Orfanatrofio di Betlemme, volava al Cielo nella sera
del 9 agosto 1903.
4.2. Angelo Bormida100
Figlio di Giacomo Bormida e Anna Biglia, nacque a Torino il 14 gennaio 1870.
Entrò all‘Oratorio il 10 novembre 1881 e di là, con slancio generoso, si trasferì a San
Benigno Canavese dove cominciò il noviziato il 20 novembre 1888 e poi fece la
professione religiosa il 18 novembre 1890. Uomo di forti propositi fece subito la
professione perpetua e chiese di andare in missione, dove dimostrò il suo attaccamento alla
congregazione per la quale profuse tutte le belle doti del suo impegno.
Fu abilissimo maestro falegname e di banda, d‘ingegno versatile ebbe sempre
buona riuscita in qualunque impresa gli fosse stata affidata dai superiori. Dopo la
professione religiosa fu mandato per qualche tempo a Sarria (Spagna) e quando sentì il
bisogno di un valente falegname per le Scuole Professionali di Betlemme, fu pronto a
partire per la Palestina.
Arrivò a Betlemme l‘8 ottobre 1891 e vi rimase per 25 anni, ricominciando ogni
anno con lo stesso impegno le consuetudinarie occupazioni. Non poté mai ritornare in
patria e non si allontanò da Betlemme che al principio del 1916 durante la prima guerra
mondiale. Insieme agli altri confratelli italiani dovette recarsi a Beitgemal, essendo stato
occupato dai soldati Turchi l‘Orfanatrofio di Betlemme. Rimase a Beitgemal circa due anni
e, spirito intraprendente, cercò in ogni modo di vincere la noia del domicilio coatto. È così
che divenne benemerito della congregazione e della Chiesa perché, sotto la direzione
dell‘illustre benedettino P. Maurizio Gisler, intraprese quegli scavi che condussero al
ritrovamento del primitivo sepolcro del protomartire santo Stefano in Beitgemal
(Kafargamala).
Fu la prima vittima dolorosa della guerra. Preso già di mira dalle autorità turche in
Betlemme, per insinuazioni malintenzionate degli stessi confratelli salesiani di origine
araba, fu perseguitato anche nel ritiro di Beitgemal, dove venne arrestato il 4 settembre
1917 sotto l‘accusa di avere un apparecchio di telegrafia senza fili che non esisteva.
Condotto nelle prigioni di Betlemme e Gerusalemme, doveva essere deportato a
Damasco, ma ammalatosi di tifo, non potendo resistere ai maltrattamenti ed alla fatica del
100 Cfr. Lettera mortuaria del sig. Angelo Bormida, in AIMOR dicembre 1917; E. FORTI, Fedeli a don
Bosco in Terra Santa, 21-40.
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viaggio, fu lasciato moribondo nella prigione di Naplusa. Aggravatosi fu trasferito
all‘ospedale militare turco.
Riconosciuto come cristiano e religioso dalle suore di san Giuseppe, ebbe tempo di
ricevere i sacramenti, di raccontare le vicende della sua prigionia e di manifestare tutta la
sua riconoscenza alle buone suore. Morì perdonando i suoi persecutori l‘11 dicembre 1917.
4.3. Eugenio Bianchi101
Figlio di Natale e Rosa Bizzocchi era nato a Coriano (Rimini) il 26 marzo 1853.
Fece i suoi studi nel Seminario di Rimini e fu ordinato sacerdote il 17 marzo 1877.
Era cappellano in un chiesa di Rimini quando, nel 1880, si decise per un viaggio
alle principali città d‘Italia e acquistò allo scopo un biglietto ferroviario circolare. Torino
doveva essere la prima tappa, perché desiderava vedere don Bosco che già conosceva per
fama: di fatto lo vide e gli parlò.
Che cosa gli abbia detto il santo non si sa; sta di fatto che don Bianchi abbandonata
l‘idea del viaggio, andò a Lanzo a fare gli esercizi spirituali, al termine dei quali era
irrevocabilmente deciso a restare con don Bosco.
Ritornato in patria per pochi giorni, il 4 ottobre 1880 si presentò all‘oratorio ed il 13
dello stesso mese incominciava a San Benigno il suo Noviziato. Emise i voti perpetui il 4
ottobre 1881 e rimase per 5 anni in quella casa, dove faceva un po‘ di tutto, come egli ebbe
a dire, ma, in realtà si sa che coadiuvava efficacemente ed anche sostituiva don Giulio
Barberis, nella sua cura e formazione dei giovani novizi.
Di fatto, quando si aprì a Foglizzo la casa di Noviziato per i chierici, don Bosco
stesso vi mandò don Eugenio come direttore. Vi rimase fino al 1897, prodigando le cure
più assidue a oltre un migliaio di giovani ascritti, e tutti conservavano vivo nel cuore il
ricordo della sua bontà paterna, che raggiungeva in molti casi le tenerezze di una madre.
Compativa la giovinezza ed esigeva soltanto quel poco di cui ciascuno era capace. Don
Eugenio Bianchi formò a Foglizzo una legione di valenti salesiani che si sparsero poi per
tutto il mondo. Fra i novizi che avviò alla vita salesiana troviamo: il Beato Luigi Variara, il
Beato Augusto Czartoryski, il venerabile Andrea Beltrami e il venerabile Vincenzo Cimati.
101 Lettera mortuaria di don Eugenio Bianchi, in AIMOR, gennaio 1931.
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La sera del mercoledì santo 1896 un forte sbocco di sangue gli troncò la parola: le
sue condizioni divennero subito gravi e si temette per la sua vita; ma si rianimò e fu
mandato in un luogo di cura. A Foglizzo non ritornò più.
Nel novembre 1897 era Direttore ad Ivrea. Ad Ivrea il campo del suo lavoro fu
anche più vasto; ma don Bianchi si mostrò all‘altezza del compito affidato. In quella casa
vi erano i figli di Maria, chierici novizi o chierici studenti di filosofia: vi erano di molti
nazioni d‘Europa e la maggioranza non giovani. Gli stranieri sono unanimi nell‘affermare
che don Bianchi ebbe per loro riguardi e finezze indimenticabili. Anche a Ivrea, come a
Foglizzo, la sua direzione era forte, come a un vero padre si conviene. Più volte fu sentito
manifestare commosso il timore che abbia ad attenuarsi fra i salesiani quel senso della
paternità quale egli la sentiva. La sua larghezza nel compatire, il suo costante ottimismo
hanno sostenuto tante anime nelle ore tristi dello sconforto, hanno salvato tante vocazioni
dal naufragare. Li vi rimase fino ai primi mesi del 1911, quando ricaduto ammalato i
superiori lo mandarono a Bordighera per rimettersi.
Nel 1912 gli fu affidata la missione di iniziare la visita ad alcune Colonie Agricole
Salesiane. A tale fine il 9 novembre si imbarcava per la Palestina. Il Rettor Maggiore ve lo
mandava per qualche mese… vi rimase per oltre 18 anni fino alla morte.
Beitgemal divenne la sua casa. Ne fu Direttore dal 1914 al 1926: vi dedicò con
entusiasmo la sua attività e, con grande tatto, seppe tenere ben uniti a sé i suoi confratelli.
Questo fu il segreto di quei felici risultati della Scuola di Beitgemal, in quel periodo
riconosciuta come Colonia modello in Palestina.
Durante la guerra mondiale egli fu il padre affettuoso di tutti i Salesiani di Palestina
che si rifugiarono a Beitgemal, unica casa a cui fu permesso di rimanere aperta, in
compagnia di 200 soldati turchi. Dovette assistere a sequestri, confische e depredazioni che
sopportò con grande rassegnazione, confortando, nello stesso tempo, chi disperatamente
lottava per ridurre al minimo le conseguenze di quei disastri. Passata la bufera della guerra,
don Bianchi con ardore rinnovato si rimise al lavoro; ed ebbe la consolazione di vedere
rifiorire la sua cara colonia.
A Beitgemal la Provvidenza gli riservava la gioia di vedere coronato con felice
successo il frutto del lavoro di quelli che con i loro studi, ricerche e scavi, identificarono
l‘antica Kafargamala in Beitgemal e ne scoprirono il sepolcro di santo Stefano. E dopo il
lieto avvenimento, egli si adoperò con zelo instancabile all‘organizzazione della Pia Opera
del Perdono Cristiano in onore di santo Stefano, ed alla costruzione di un Tempio decoroso
68

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
La Comunità di Beitgemal 1891-1958
presso la tomba del santo. Ne vide eretta una parte, il Martyrium, nella quale investì
l‘intera eredità di famiglia.
Don Bianchi seppe temprare con la dolcezza del salesiano la forza del carattere
romagnolo, e lavorò con zelo per Dio e per le anime. Lo sostenne una pietà profonda: fu
devotissimo del Sacro Cuore e di Maria Santissima. Celebrava la santa messa con diligente
esattezza e con devozione edificante. Dopo l‘amore a Dio e alla Vergine un altro amore
giganteggiò nella sua anima generosa: l‘amore per don Bosco e per la Congregazione.
Ebbe la consolazione di rivedere l‘Italia nel 1929 per la Beatificazione di don
Bosco, ma nell‘ottobre di quell‘anno dovette sottoporsi ad una operazione molto dolorosa.
Non potendo sopportare una seconda, ritornò a Beitgemal per prepararsi alla morte.
Ricevette per tempo gli ultimi sacramenti ed all‘alba dell‘11 gennaio 1931 spirò
placidamente.
4.4. Mario Rosìn102
Nato a Trieste l‘8 novembre 1875. Inviato in Palestina subito dopo il noviziato
nell‘anno 1891 con un stuolo di chierici e coadiutori, primo innesto vigoroso della
Congregazione Salesiana nella Famiglia di don Belloni. Ma mentre i suoi compagni di
missione, dopo aver lavorato in Oriente per tanti anni, furono poi inviati dall‘obbedienza in
altre destinazioni, egli solo rimase sul campo di lavoro, instancabile, nell‘esaurimento di
tutte le sue energie, per dare a tante generazioni di poveri orfani, vitto, vestito e mestiere.
Arrivato al paese di Gesù fino alla sua tragica morte trascorsero 47 anni, lavorando
e sacrificandosi per il bene dei giovani nelle case di Betlemme, Cremisan, Nazareth e
Beitgemal.
Era veramente un religioso esemplare, anche se la sua virtù interiore era talvolta
celata da un esteriore quasi rude. Tra le virtù che più spiccavano in lui c‘era una costante
sincerità, ingenuamente e coraggiosamente manifestata anche nei momenti più difficili.
La sua fede alimentata con l‘osservanza esatta delle pratiche di pietà rendeva forte e
illimitata la sua confidenza in Dio sia di fronte alle strettezze materiali del suo orfanatrofio
che nell‘accettare le disposizioni dell‘obbedienza e nel sopportare le contrarietà e prove
della vita.
102 Lettera mortuaria di don Mario Rosìn, in AIMOR, luglio 1938; O. PEDRAZZI, Una croce in terra santa.
In memoria di don Mario Rosìn, Roma, Scuola Salesiana del Libro, 1938.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Animato sempre dal più puro spirito religioso di povertà e obbedienza, scrupoloso
fino al più duro sacrificio: i mezzi che la Provvidenza gli inviava non si fermavano nelle
sue mani, ma subito prendevano la via più breve dei suoi numerosi creditori: sembrava
provare ripugnanza per il denaro. Non si permise mai il più piccolo comodo, la più piccola
particolarità a tavola; non sentiva bisogno di medici o di medicine; dovunque fu direttore,
non si servì mai del letto: a Betlemme dormiva su una sedia, sul pianerottolo di una scala
che dava sul terrazzo, e d‘estate sul duro pavimento, appoggiando il capo su una cassettina
di legno. Nella sua stanza si trovò uno strumento di disciplina, ch‘egli doveva usare di
nascosto. Al mattino, alle 4 era sempre in piedi per la messa e le confessioni.
Uno degli episodi più dolorosi nella vita di don Rosìn fu durante la 1ª guerra
mondiale. Dichiarato prigioniero poco tempo prima che gli Inglesi facessero l‘entrata a
Gerusalemme, fu destinato con altri confratelli ed essere internato nel cuore della Turchia.
Due di essi lasciarono la vita in viaggio per stenti e malattia. A don Rosìn toccò andare in
prigione a Damasco e fu gettato in un salone ove si trovavano riuniti malfattori di ogni
genere. La sala risuonava di imprecazioni, di motti luridi e di risse. Quella di vivere con
simili criminali, diceva egli, era stata per lui la pena più dolorosa della vita.
Ad Angora fu trasportato all‘ospedale, malato di tifo. Uscito dall‘ospedale passò un
anno di privazioni e stenti con altri deportati a Keskin. Passata la bufera, ritornò operoso e
con piena fiducia al suo posto di pacifico combattimento. E continuò la sua opera benefica
per altri 20 anni, facendo il bene a tutti e il male a nessuno.
Nel 1937, per una seconda volta, malgrado la sua resistenza, accettò la direzione
della Casa di Beitgemal.
Nello stesso anno, le autorità inglesi, per aver più facilmente i dati meteorologici
rilevati dall‘osservatorio locale di Beitgemal, collegarono la casa con il posto di polizia
nella stazione ferroviaria di Artuf con la linea telefonica. E date le sommosse degli arabi
palestinesi contro gli inglesi che sospettavano proteggere gli israeliti, gli arabi pensarono
che il telefono servisse per lo spionaggio contro di loro, tanto più che uno dei capi era stato
catturato e ucciso dalla polizia, poco dopo l‘istallazione del telefono. Perciò gli arabi ribelli
giurarono vendetta contro il Direttore della Casa salesiana.
Don Rosìn pregato dal Patriarca di occuparsi delle confessioni delle due comunità
della vicina Rafat, dove era stato eretto il nuovo santuario alla regina della Palestina, si
recava lì puntualmente ogni settimana. Fu compiendo questo delicato dovere di sacerdote
che il Signore lo ritenne maturo per il cielo.
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La Comunità di Beitgemal 1891-1958
Il 23 giugno ritornando da Rafat alla comunità, un omaccione, con la faccia velata,
gli attraversa la strada, afferra le briglie del cavallo e obbliga a don Rosìn a scendere. Poi
manda un fischio e altri 14 uomini sbucano dai vicini nascondigli, poi dichiarano: «Tu hai
fatto impiantare un telefono tra casa tua e Artuf; tu hai fatto arrestare e uccidere Issa Battat
[il capo ribelle accennato]. Ora abbiamo l‘ordine di uccidere anche te».
Don Rosìn messo così improvvisamente e rudemente di fronte alla morte certa,
scoppiò in singhiozzi e rispose: «Ma no, io sono un povero prete, che non ho mai fatto del
male a nessuno». Le sue parole furono coperte dallo scrosciare dei colpi di pietra. Nella
vittima allora, il pensiero del sacrificio della vita, da lui previsto e annunziato in momenti
di intimità ai confratelli, e forse invocato, riprese il dominio delle sue facoltà, e non più un
gemito, né un lamento sfuggì al suo labbro fino all‘esalazione dell‘estremo respiro.
Fino qui il racconto del vissuto della comunità di Beitgemal; che abbiamo cercato
affrontare da diverse prospettive per avere una visione, la più completa possibile. Fatti,
date, numeri, storie, volti, ci hanno raccontato un vissuto relazionale ricco di umanità e di
carisma. Umanità che si mostra insieme ferita dal peccato e redenta dall‘amore di Gesù.
Carisma salesiano che fornisce prove dalla sua validità universale, che non nasconde però
le difficoltà di realizzare una sana inculturazione.
In piena continuità con questo capitolo, nel successivo ci soffermeremo nella figura
del sig. Srugi, il dono di Dio più prezioso fiorito nell‘Ispettoria MOR. Entrambi i capitoli si
illuminano a vicenda e insieme formano la base storico-critica della nostra ricerca.
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Capitolo terzo
SIMONE SRUGI
«O Padre, cha hai suscitato nella Chiesa d’Oriente Simone Srugi
umile apostolo di unità e testimone innamorato del Tuo Figlio Gesù
nel mondo che ancora non ti conosce
con la missione di Buon Samaritano delle anime e dei corpi,
ti preghiamo di rendere anche noi coraggiosi imitatori delle sue virtù
perché si compia, nello Spirito, il tuo disegno d’amore».
(proposta per la Preghiera coletta)
Beitgemal fu il campo di vita e azione del più grande dei figli di don Bosco in Terra
Santa. Ecco la intima relazione fra il precedente capitolo secondo e il presente capitolo
terzo. Non si può capire la storia di Beitgemal senza mettere in evidenza la vita di Simone
Srugi; ma neanche si può comprendere la grandezza del buon samaritano di Nazareth se si
sradica del suo contesto vitale, cioè l‘opera e la comunità di Beitgemal.
1. Biografia
1.1. Infanzia e adolescenza
Simone Srugi, ultimo di 10 figli di Azar e Dalleh Ibraim Khawali, nacque a
Nazareth il 27 aprile 1877. A circa 15 giorni dalla nascita, con la solennità che è in uso nei
paesi orientali, venne conferito al neonato il battesimo e con il battesimo anche il
sacramento della cresima, come è consuetudine nella Chiesa Orientale. Il battesimo fu
conferito nella parrocchia greco-cattolica di Nazareth.
Simone, essendo il padre di rito greco-cattolico melkita, nella sua fanciullezza
dovette seguire la pratica religiosa di questo rito e ne assimilò la spiritualità nei limiti del
suo animo infantile.
Un fatto doloroso, che dovette poi influire sulle vicende, e con tutta probabilità
anche sul carattere di Simone, fu la perdita dei genitori. Non è sicuro quando egli diventò
orfano, perché le versioni sono diverse103, ma sicuramente molto presto. Rimasto orfano,
Simone, ultimo dei fratelli, venne accolto dalla nonna paterna.
Per gli anni della fanciullezza Simone è ricordato come un ragazzo di buona indole,
calmo, molto pio, esile nella persona come un filo d‘erba, piuttosto timido e mesto come
conseguenza naturale del suo essere orfano.
103 Informatio, 37.
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Simone Srugi
«Durante la sua fanciullezza era timido e facilmente piangeva per piccole
cose, perché sentiva di essere orfano. Era calmo e ubbidiva alla nonna, ma come tutti
i ragazzi qualche volta faceva il sordo quando lo chiamavano. Era un ragazzo
ordinario come tanti altri»104.
Verso gli 11 anni, nel 1888, entrò nell‘Orfanatrofio di Betlemme, fondato da don
Antonio Belloni. Qui probabilmente fece la prima comunione, migliorò la sua
frammentaria istruzione precedente e fu avviato, per la sua debole costituzione, al mestiere
del sarto. Per le future occupazioni si formò una preparazione generale più che discreta,
imparando tra l‘altro l‘italiano e il francese.
Simone, entrò nell‘Orfanatrofio di Betlemme nel momento in cui l‘opera era al
vertice del suo fiorire e mentre la presenza paterna di don Belloni faceva sentire a tutti
l‘efficacia del suo fascino spirituale105.
Qui rimase per 4 anni. Diversi elementi lasciano pensare che, certamente educato
nel rito latino, abbia continuato ad avere anche un qualche contatto esteriore col proprio
rito e che questo abbia favorito in lui, il perdurare dello spirito proprio del suo rito
nativo106.
Intanto, nel 1891, l‘Istituzione di don Belloni passò alla congregazione Salesiana,
che ne continuò la missione benefica.
1.2. All’Orfanatrofio di Beitgemal: aspirantato e noviziato
I superiori salesiani, avendo scoperto nel giovane Srugi i segni della vocazione
religiosa, lo trasferirono, nel 1892, al vicino Orfanatrofio di Beitgemal, che era pure casa di
aspirantato e noviziato.
A scuola, Simone, era serio, impegnato e di esempio ai compagni: fin d‘allora si
manifestò «perfetto ed esemplare in tutto»107. I superiori lo sceglieranno per far guidare la
preghiera in chiesa, per la lettura spirituale e come aiutante nell‘assistenza dei piccoli,
distinguendosi in questo per delicatezza di tatto e carità. Veniva chiamato il Domenico
Savio di Beitgemal. Fu membro attivo delle Associazioni interne e perciò imparò a
104 Summ., 164.
105 L‘ambiente era povero, ma gioioso. Teatri, accademie e premiazioni, passeggiate, musica vocale e
strumentale erano mezzi di ricreazione e di educazione insieme e facevano dell‘Orfanatrofio un centro di vita
simpatico e molto stimato dai cattolici ed anche degli ortodossi e dai mussulmani. Cfr. G. SHALBUB 164ss.
106 Cfr. Informatio, 51.
107 Summ., 274.
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Simone Srugi
relazionarsi con i compagni con quel tatto e quello spirito di apostolato che furono poi
caratteristica di tutta la sua vita.
Ammesso al Noviziato, a poco più di 15 anni, manifestò subito la preoccupazione
di santificare il lavoro con atti ardenti di amore verso Dio. Pompando l‘acqua dal pozzo
alle vasche, aveva preso questo proposito: «Ad ogni giro un atto di amor per Dio, per la
conversione dei peccatori»108.
Emise la prima professione nella Casa Salesiana di Cremisan il 31 ottobre 1896; e
la professione perpetua a Betlemme il 20 settembre 1900.
1.3. Il profilo della personalità
A Beitgemal, Simone, fu sacrestano, maestro e assistente dei ragazzi
dell‘orfanatrofio, mugnaio, infermiere, sarto, addetto in un piccolo negozio di alimenti. Era
il tipo di confratello laico voluto da don Bosco, il «factotum», sempre pronto e disponibile,
capace di fare molte cose, sacrificato, dalla bontà che affascina, amante del silenzio e del
raccoglimento, tutto lavoro e pietà, a servizio della comunità. Era aperto e conosciuto da
tutti per il suo grande zelo apostolico109.
Era una persona gracile, di media statura, dalla voce esile, moderata. Il vestito era
dimesso e povero, ma pulito e ordinato. Si era fatto del vestito una specie di divisa, dalla
giacca chiusa al collo, con l‘immancabile Crocifisso appeso al collo. Aveva uno sguardo
profondo, occhi neri e vivaci, dominato da un continuo controllo di sé. Il suo sorriso e gli
occhi conquistavano gli uomini, vera espressione di un‘anima tutta di Dio.
Era abitualmente raccolto e amante del silenzio: quando rispondeva parlava con
calma e con serenità, dopo aver ben riflettuto. Non aveva prestanza fisica, ma tutta la sua
figura era un riflesso della sua intensa vita interiore e della presenza di Dio in lui.
La giornata di Simone Srugi si svolgeva tutta tra le pratiche di pietà e le sue
molteplici occupazioni, passando dall‘una all‘altra con naturalezza: dalla presenza tra i
ragazzi, all‘ambulatorio, al mulino. Trovava anche il tempo per nutrirsi spiritualmente con
letture di periodici, libri di ascetica e vite dei santi110.
108 Summ., 21.
109 Cfr. Informatio, 73.
110 Cfr. E. Forti, Un buon samaritano concittadino di Gesù, Leumann, Elle Di Ci, 1967, 94.
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Simone Srugi
Amava moltissimo la vita di comunità e si premurava di essere presente ai vari atti
comunitari nella preghiera, nella ricreazione, nei pasti e in tutte le altre attività. Era
puntuale ed esatto come un orologio, come se in ogni momento obbedisse a una chiamata
di Dio.
In mezzo alle situazioni drammatiche, vissute a Beitgemal, Simone, si mantenne
sempre sereno nel turbine di quelle vicende, incoraggiando gli altri con la fiducia nel
Signore e adoperandosi per mitigare i disagi della grave situazione. L‘enorme prestigio che
godeva presso la gente rendeva efficaci i suoi interventi.
Nella «questione dei confratelli arabi» nata per ragioni di nazionalismo, si voleva
coinvolgere anche Simone Srugi per il grande prestigio che godeva nell‘Ispettoria. Egli si
mantenne assolutamente al di sopra di ogni divisione, fu sempre attaccatissimo ai superiori
e alla Congregazione e si adoperò con la sua influenza per favorire la pace tra i confratelli.
1.4. Amico dei giovani
Simone Srugi, nonostante le sue molte occupazioni, si intratteneva abitualmente e
volentieri con i giovani dell‘orfanatrofio. Li amava con grande affetto, specialmente perché
orfani; quasi a supplire la mancanza dei genitori; li trattava sempre con grande bontà, ma,
come educatore, non mancava di amabile fermezza nel correggere i loro difetti111.
Li aiutava in tutte le loro necessità materiali e si prestava per l‘assistenza: la sua
presenza garantiva sempre ordine e gioia nell‘ambiente. Naturalmente la sua prima
preoccupazione era quella delle anime112, che aspirava a far vivere in grazia di Dio e
lontani dal peccato: per questo era lieto di preparare i piccoli alla prima Comunione,
partecipava tra i ragazzi a tutte le funzioni religiose, edificando con il suo esempio, li
aiutava a far visite, a recitare il rosario, a partecipare alla Crociata Eucaristica113. Era un
vero animatore spirituale dei giovani.
Particolarmente efficace era la sua presenza in cortile, sempre perseguendo un
intento educativo. I giovani, per la sua umiltà e semplicità, gli si accostavano con grande
confidenza. Egli rendeva a loro tanti piccoli servizi, come temperare le matite, guidare gli
inesperti a fare qualche disegno, aggiustare un vestito, preparare strumenti di gioco: e
intanto non perdeva occasione per dire sempre una buona parola, che aveva un effetto
111 Cfr. Informatio, 78.
112 Cfr. Summ., 168.
113 Crosciata Eucaristica: una sorta di gruppo giovanile ripreso da una realtà non salesiana.
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Simone Srugi
infallibile nell‘animo dei ragazzi. Affermava uno dei suoi allievi, che si riconosceva
piuttosto sbarazzino:
«Quando faceva da assistente il Sig. Srugi, le sue sgridate erano consigli
paterni, e la sua rabbia era soltanto un sorriso amabile e io filavo per questa sua
maniera dolce e affettuosa che aveva. La sua bontà era tale che bisognava ascoltarlo
e volergli bene. Con il suo amore per noi giovani egli conquistava la nostra stima, i
nostri animi»114.
La sua sola presenza faceva evitare parole sconvenienti ed offensive: egli
comunque non tralasciava di richiamare in bel modo chi mancava. Sentiva vivissima la
responsabilità dell‘assistenza per far evitare il male e portare positivamente i giovani a fare
il bene. Negli ultimi tempi si faceva condurre su una sedia ai margini del cortile per vedere
ancora i giovani, stare tra loro e assisterli.
Per molti anni, esercitò l‘ufficio di cerimoniere, provando grande gioia nel
promuovere il culto del Signore. Chiamava per tempo i ragazzi, li istruiva accuratamente
nelle cerimonie, li edificava con il suo contegno raccolto e con le sue esortazioni alla pietà.
Le funzioni eseguite impeccabilmente e con fervore, per merito di Simone Srugi
erano vere scuole di devozione e di vocazioni.
1.5. Lavoratore e apostolo
Fu un lavoratore instancabile e adempì fedelmente le sue svariate occupazioni fino
a quando dovette mettersi a letto, aspettando il riposo del Paradiso.
Era calmo e raccolto, ma sempre in movimento, non perdeva un minuto di tempo,
passava da una occupazione all‘altra come unico riposo115.
La principale occupazioni di Srugi per molti anni fu quella dell‘ambulatorio,
un‘opera provvidenziale per la scarsità di assistenza sanitaria nella regione. Egli fece
l‘infermiere per una disposizione naturale a far del bene ai corpi e alle anime. Imparò da
sé, studiando con diligenza, ma anche attraverso l‘aiuto di una suora diplomata in
infermeria e da un dottore che passava di tanto in tanto a controllare il suo operato in
ambulatorio.
A giorni fissi egli era nell‘ambulatorio dalle 8 alle 14. Nei non infrequenti casi di
epidemia di malaria e di influenza, le giornate erano faticosissime. Gli ammalati erano
114 Summ., 205.
115 Cfr. Informatio, 83.
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Simone Srugi
molti, quasi tutti musulmani, e venivano da lui anche da lontano. Si aveva in lui una
fiducia illimitata, più ancora che nei dottori, tanto che i musulmani lo chiamavano, il
«maestro», il «dottore».
«L‘ambulatorio fu il testimonio quotidiano della sua bontà, carità paziente
verso il prossimo, ma in modo particolare verso i poveri musulmani, verso i poveri
malati. Mai che mostrasse fastidio, noia per qualcuno o si facesse vedere seccato: il
suo tatto era amabile, dolce, quasi silenzioso. Conquistava l‘animo delle persone con
la vera sua bontà d‘animo, con la carità di Cristo. Fu davvero verso tutti i poveri e i
malati, come il buon samaritano. La sua carità non conobbe soste o limiti e la
prodigò fino all‘ultima goccia delle sue forze»116.
Era un lavoro difficile per il numero delle persone, sia per la grossolanità della
gente, sia perché, spesso, gli portavano dei casi disperati. Egli accoglieva tutti, trattava tutti
con estrema bontà e pazienza, rimandava tutti contenti: era veramente «il buon
samaritano»117 del Vangelo e curava gli ammalati vedendo in essi lo stesso Gesù.
Altra occupazione era quella del mulino. La gente veniva al mulino salesiano,
abbandonando i propri mezzi primitivi per la macina. Bisognava seguire le macchine e poi
mettere in fila la gente, mantenere l‘ordine, restituire a tutti quanto gli avevano affidato per
essere macinato, dirimere le questioni. C‘era da perdere la pazienza in ogni momento con
quella gente facile al litigio. Srugi accoglieva tutti con il suo sorriso, con buon tatto e
carità: era considerato il padre di tutti ed il mulino diventava luogo di edificazione e di
catechesi.
Srugi santificava il suo lavoro con costanti e ferventi atti di elevazione a Dio:
«Gesù, Gesù!» diceva mentre preparava l‘ago per le iniezioni. «Gesù!» mentre medicava
una ferita - «Sia lodato Gesù Cristo», «Viva il Paradiso!» erano sue espressioni abituali.
Incontrando qualcuno il suo saluto era: «Viva Gesù, Viva Maria!». E desiderava che lo si
salutasse o si rispondesse allo stesso modo. Anche i musulmani avevano imparato questo
saluto e lo rivolgevano a Srugi con venerazione e senso religioso.
1.6. Gli ultimi giorni
Il sig. Srugi morì all‘età di 65 anni, il 27 novembre 1943. Durante tutta la vita ebbe
acciacchi e gravi malattie: alla fine fu consumato dalla fatica e dalla malaria. Già dal 1941
si vedeva declinare, ma a chi gli consigliava di riposarsi, rispondeva: «Oh sì, mi riposerò in
116 Summ., 169.
117 È il titolo fissato nella biografia del Servo di Dio di Ernesto Forti.
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Simone Srugi
Paradiso; ancora un poco… presto… sento che sono alla fine, ma mi riposerò in
Paradiso»118.
Fu fedelissimo fino alla fine al suo proposito che aveva scritto nel 1934: «Mai
nessun lamento in tutto quello che mi può accadermi, ma soffrire tutto in silenzio per
amore a Gesù mio sposo»119.
Esausto di forze, finché poté, si trascinava in chiesa e passava ore ed ore davanti al
Santissimo, oppure si faceva portare in cortile su una sedia e godeva guardando i ragazzi a
giocare. «Viva Gesù!» era il saluto che rivolgeva a coloro che lo andavano a trovare.
Il 19 ottobre 1943, a sua richiesta, ricevette il Santo Viatico e il 24 ottobre gli fu
amministrato il sacramento degli infermi; sorridente, rispondeva con chiarezza e pietà al
sacramento e tutti coloro che lo osservavano e accompagnavano ne erano edificati. Al
termine della funzione disse: «ora posso morire tranquillo».
Non si lamentava; accettava con riconoscenza quanto si faceva per lui. Soffriva
molto, ma con il sorriso sulle labbra soleva dire: «Il Signore Gesù soffrì di più». Un
giorno, in un momento di crisi, gli sfuggì: «È terribile quando manca il respiro», ma subito
si corresse: «No! No! Il Signore lo vuole: va bene»120.
In uno degli ultimi giorni, per l‘arsura, manifestò il desiderio di avere un po‘ di
ghiaccio, per rinfrescarsi. Ma poco dopo, mandò a chiamare il Direttore e gli disse: «Non
mandi più nessuno a prendere il ghiaccio: Gesù in Croce ha sofferto la sete: voglio
imitarlo!»121.
La morte lo colse nella notte sul 27 novembre, senza agonia, senza che nessuno gli
fosse al fianco perché aveva rimandato l‘infermiere. Era in atteggiamento sereno di
preghiera. Lasciò questa terra senza disturbare nessuno, silenzioso e umile come aveva
vissuto, per quel «bel Paradiso» a cui aveva aspirato per tutta la vita.
2. Spiritualità
Simone Srugi condusse una vita modesta, senza grandi fatti esteriori, tutta pietà e
lavoro. Visse tutto, solo e sempre per Dio, con animo gioioso, senza stanchezza o
118 Summ., 46.
119 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 25 agosto 1927, in AIMOR, 1927. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 441,
497].
120 Summ., 258.
121 Summ., 253.
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Simone Srugi
cedimento, in circostanze sempre difficili e spesso drammatiche. Non cercò mai nulla per
sé, ma si consacrò totalmente al bene del prossimo.
La sua straordinaria santità, consisteva nel seguire la «piccola via» dell‘amore,
realizzò l‘eroismo del quotidiano santificato, imitò come concittadino di Gesù, le virtù
eroiche della vita della Sacra Famiglia. Con grande fervore visse tutti gli impegni come
cristiano e religioso; con una visibile e intensa gioia spirituale.
Tutti gli atti della esistenza erano animati da una intenzione soprannaturale; la sua
unione con Dio era ininterrotta; intensissimo il fervore eucaristico e mariano; inalterabile la
serenità di spirito, anche in circostanze difficili; aveva un perfetto dominio delle passioni.
Si abbandonò con fiducia filiale alla Provvidenza; ebbe totale disponibilità verso gli altri
nei quali vedeva sempre Gesù; fu di una operosità instancabile per fare il bene; dimostrò
una pazienza superiore ad ogni contrarietà. Il sorriso fioriva perennemente sulle sue labbra
e disposto e composto era il comportamento della sua umile persona122.
2.1. Vita nello Spirito di Gesù
Alla vita divina partecipiamo nella modalità proprie di figli nel Figlio. Da ciò che
la fede, la speranza e la carità rinviano alla persona di Gesù, alla sua eterna relazione con il
Padre. Quindi l‘esperienza profonda di questi tre doni di Dio (le virtù teologali) sono la
migliore espressione della tensione spirituale con cui Srugi ha vissuto il suo constante
conformarsi al Figlio.
2.1.1. Fede
Simone Srugi ebbe una fede viva, profonda, inalterabile. Si può dire che egli, come
l‘uomo giusto, visse di fede ed espresse la fede in tutte le manifestazioni della vita: nella
pietà, nel lavoro, nei suoi rapporti con gli altri. Si sentiva dire di lui con linguaggio
orientale: «Srugi è un uomo di Dio; Dio conduce la sua mano; è un profeta…»123.
La fede di Simone Srugi si manifesta prima di tutto nella sua unione con Dio: essa
era una disposizione costante, profonda e filiale. Pregava continuamente, pregava bene,
rivolgendosi a Dio, alla Vergine, a San Giuseppe. Le sue conversazioni, chiunque
accostasse, erano sempre su temi spirituali o terminavano almeno con un pensiero. Lo si
122 Cfr. Positiones seu articuli, in Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi Dei
Simoneis Srugi Laici Professi Societatis Salesianae, Roma, 1988, 13-15.
123 Summ., 23.
79

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Simone Srugi
sentiva pregare sempre, anche a voce alta, con invocazioni ardenti, nella sua stanza, in giro
per il cortile, al mulino o all‘ambulatorio. La sua vita era una contemplazione affettuosa di
Dio e una piena adesione alla sua Volontà124.
Molte volte, durante la giornata andava in cappella a pregare, specialmente prima e
dopo il lavoro.
Fu fedelissimo fino agli ultimi giorni di malattia alle pratiche comuni: non ne
tralasciava alcuna, per nessun motivo. Per molto tempo lesse la meditazione in comunità,
calmo, devoto, tutto compenetrato dalla verità che andava approfondendo. Faceva la
comunione quotidianamente ed ogni sabato era assiduo alla confessione. Serviva volentieri
l‘Eucaristia con contegno edificante.
La parola di Dio era oggetto di speciale e devota attenzione. La ascoltava con vivo
interesse in cappella, ne ricordava i minimi particolari, ne parlava lungo la settimana nelle
conversazioni a edificazione di chi lo avvicinava. Se non comprendeva qualcosa
dell‘omelia andava umilmente a chiedere spiegazioni al predicatore125.
Lo zelo ha fatto di Srugi un infaticabile apostolo per il bene delle anime. Ha svolto
in primo luogo l‘apostolato della testimonianza e non avvicinava alcuno senza la
preoccupazione di portarlo a Dio. A tutti faceva sentire un richiamo alle cose celesti, senza
ostentazione, ma anche senza timori. Rivolgeva i suoi inviti ai ragazzi dell‘orfanatrofio, ai
confratelli, a quanti venivano al mulino o all‘ambulatorio. A tutti parlava di Gesù e di
Maria. L‘ambulatorio e il mulino erano avvolti dal soprannaturale per la sua presenza.
Non mancò di rivolgere la sua azione anche nel difficilissimo ambiente dei
musulmani. Da loro era stimato non solo per la bontà e la perizia di infermiere, ma più
ancora per la presenza di Dio che avvertivano attraverso la sua persona: e questo li
avvicinava inconsapevolmente al cristianesimo.
Egli, provava una gioia straordinaria tutte le volte che, prevedendo prossima, con
finissimo intuito, la morte dei bambini, li battezzava. «Ho salvato un‘anima – esclamava –
ho mandato un‘anima in Paradiso»126. Dai registri risulta che furono certamente più di 360 i
battesimi amministrati ai bambini musulmani.
124 Cfr. Summ., 22.
125 Cfr. Positiones seu articuli, 19.
126 Positiones seu articuli, 20-21.
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Simone Srugi
Si pensa che grazie anche all‘azione spirituale di Srugi si debbano le molte
conversioni e le abiure che i salesiani di Beitgemal hanno suscitato con la loro presenza
apostolica.
«La sua fede si manifestava in modo particolare nella santificazione delle
piccole cose della vita quotidiana, nel fare tutto per Dio. I suoi propositi, che erano
poi fedelmente praticati, esprimevano la volontà di non fare il più piccolo peccato
veniale, di non dar dispiacere ai superiori, di non lamentarsi per nulla, di osservare
esattamente la Regola… Era attento a non disturbare i confratelli, premuroso nel
salutare e ringraziare per ogni piccola cosa, gentilissimo in ogni contatto, pronto a
fare piccoli favori, disposto a accettare osservazioni senza reagire, assolutamente
muto su tutto quello che poteva tornare a sua lode o merito. Erano i gesti di carità
che sgorgavano da un‘anima ricca dello spirito di fede e del pensiero di Dio»127.
2.1.2. Speranza
La speranza in Simone Srugi rifulse attraverso la sua incrollabile aspirazione dei
beni celesti e il distacco dalle cose della terra, il pieno abbandono alla Divina Provvidenza,
la fiducia di salvarsi e di salvare le anime per misericordia divina.
Srugi camminò su questa terra con lo sguardo e l‘anima sempre rivolta al Cielo: si
sarebbe detto che ne godesse in anticipo la felicità128.
Fu anche un apostolo della speranza con la sua parola e con tutto il suo
atteggiamento spirituale. Gli ammalati e gli sfiduciati della vita, cristiani o musulmani,
partivano da lui, anche se non guariti, con la certezza che Dio, come un buon Padre non li
avrebbe abbandonati, infatti, riprendevano forza e coraggio per affrontare le difficoltà della
vita e risentivano la gioia dell‘esistenza. Chi lo avvicinava partecipava della sua fiducia
nella bontà del Signore: ai moribondi soprattutto sapeva infondere questo sereno
abbandono in Dio.
«Non ho mai conosciuto alcuno che come lui avesse tanta familiarità col
Cielo. Era il pensiero del Paradiso che lo accompagnava e guidava in tutte le
circostanze della vita sia nelle cose prospere che nelle avverse. E questo pensiero
quasi cosa naturalissima lo inculcava con tatto a tutti coloro che lo avvicinavano,
fossero confratelli, giovani, ammalati, operai e anche musulmani, come ne fanno
fede molte testimonianze. Quante volte abbiamo sentito da lui la frase: ―Praadiso,
Paradiso!»129.
127 Positiones seu articuli, 21.
128 Cfr. Summ., 8.
129 Summ., 8.
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Simone Srugi
La speranza cristiana gli fece guardare sempre con serenità la realtà della morte,
nella certezza assoluta della misericordia di Dio e nell‘attesa del Paradiso verso cui
tendeva con tutta la forza del suo spirito.
2.1.3. Carità
La più grande prova dell‘amore di Dio è fare la sua volontà: Srugi non ebbe altro
intento che questo. Era esattissimo nella osservanza amorosa delle leggi di Dio e della
Chiesa e non se ne sarebbe dispensato per nessun motivo. Era amabile, ma irremovibile in
questa obbedienza130.
La stessa diligenza poneva nella osservanza della Regola della Congregazione, in
cui vedeva l‘espressione della volontà di Dio. La sua conformità alla Volontà di Dio era
assoluta, ma spontanea e gioiosa.
L‘amore verso Dio si rivelava con una evidenza che incantava, pregava in ogni
momento, compiva il suo lavoro, trattava con il prossimo: da tutto il suo comportamento,
che era quello di un figlio verso il Padre celeste, si avvertiva che egli amava Dio con tutto
il cuore, con tutta la mente e con tutta l‘anima131.
Dall‘amore verso Dio, sgorgava naturale in Simone, la carità verso il prossimo.
Durante tutta la sua vita egli non ha mai pensato a se stesso, ma ha fatto tutto e sempre
quello che era bene per gli altri, per amore di Dio.
La sua carità, nella modestia della sua persona e delle sue occupazioni, era fatta di
comprensione e di bontà, di infinita pazienza, di disponibilità completa di sé, di sacrificio
spontaneo, di inattese finezze di buon cuore, di servizio infaticabile.
La sua carità era spirituale e materiale, verso i cristiani e i non cristiani, verso chi lo
amava o chi lo ingiuriava.
La legge della carità richiamava in lui coerentemente quella del perdono. Non
mancarono coloro che lo ingiuriarono e lo percossero. «Gesù ha sofferto di più» era la sua
frase abituale in queste circostanze132.
130 Cfr. Summ., 79-80.
131 Cfr. Informatio, 173-175.
132 A Nazareth durante una passeggiata con un confratello fu scambiato per ebreo e reso vittima di violenza.
Egli si limitò a calmare il confratello che avrebbe voluto reagire e disse: «Andiamo. Si vede che nessuno è
ben visto nella propria patria. Anche Gesù fu trattato così». Summ., 128.
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Simone Srugi
2.2. Vita morale
Le virtù sono attitudini ferme, disposizioni stabili, perfezioni abituali
dell‘intelligenza e della volontà che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e
guidano la nostra condotta secondo la ragione e la fede. Esse procurano facilità,
padronanza di sé e gioia per condurre una vita moralmente buona133. Srugi si mostra come
uomo virtuoso, mosso dal desiderio di seguire a Cristo con radicalità, praticando il bene
liberamente come espressione della sua docilità allo Spirito, che lo anima e spinge a una
donazione totale della propria persona.
2.2.1. Prudenza
Srugi dimostrò prudenza soprannaturale sapendo valutare bene ogni situazione, pur
nella semplicità del suo spirito, e per sé, seppe scegliere sempre Dio, l‘anima, il Paradiso,
la preoccupazione di evitare il peccato, l‘amore verso il prossimo. Ebbe una ricca sapienza
divina che lo guidò a vedere solo e sempre gli uomini e le vicende sotto la luce di Dio.
«Il suo ardente spirito missionario lo spingeva a lavorare per la conversione
dei musulmani. L‘impresa, ardua in stessa, non lo scoraggiò mai. In questo però il
Servo di Dio procedeva con somma prudenza, ben conoscendo l‘ambiente nel quale
lavorava. Un musulmano affermava: ―Mi invitò a farmi cristiano, ma senza fare
alcuna pressione su di me‖»134.
I contatti quotidiani con i musulmani esigevano un tatto particolarmente prudente.
Srugi usava con loro, un linguaggio calmo, pacato, con termini che non urtassero la loro
suscettibilità: anzi il suo linguaggio li affascinava anche quando parlava loro di Gesù e di
Maria.
2.2.2. Giustizia
Il servo di Dio fu giusto prima di tutto verso Dio, a cui ha tributato con spirito
filiale tutto e sempre quello che gli era dovuto. Tutto era per Dio, nella preghiera, nel
lavoro, nel rapporto con gli altri. Lo ringraziava continuamente con le aspirazioni del cuore
e con la corrispondenza delle opere.
Nel 1938 quando fu ucciso don Mario Rosìn, Srugi, in circostanze pericolosissime di guerriglia, medicò
l‘esecutore del delitto e a chi si meravigliava del suo gesto rispondeva «E non dobbiamo amare anche i nostri
nemici?». Summ., 183.
Un giorno un Beduino, che egli non aveva potuto accontentare, gli gridò «Tu sei piccolo: se ti prendo ti
ammazzo». Ritornato in seguito per farsi curare, Srugi mormorò: «bisogna aver pazienza» e lo medicò.
133 Cfr. CCC, 1804.
134 Positiones seu articuli, 31.
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Simone Srugi
«Gesù mi ha tanto amato da soffrire, morire, darsi completamente per me. Io pure
voglio soffrire tutto per suo amore, amarlo e morire per lui».
Non era minore la giustizia verso il prossimo. Nei confratelli, nei giovani e nelle
persone esterne, sapeva trovare sempre il lato buono, ne rispettava e ne faceva rispettare
con amabili richiami il buon nome, non parlava se non in bene.
Ricordava spesso le parole del Rettor Maggiore: «Pensiamo bene di tutti, facciamo
del bene a tutti». Non fu mai visto fare un torto e, se gli avveniva di fare dispiacere a
qualcuno, cercava umilmente di rifare i buoni rapporti.
Aveva il culto della gratitudine e ringraziava per ogni minimo favore che gli si
facesse135.
Era stimato per il suo amore alla giustizia e per la sua rettitudine. I contadini,
cristiani e musulmani, che andavano all‘ambulatorio o al mulino si fidavano delle risposte
che dava. Era l‘uomo «taman» -giusto, perfetto- e si aveva piena fiducia nella sua parola e
nel suo operato136.
La fiducia che si aveva sulla sua equanimità faceva sì, che spessissimo venisse
scelto come arbitro tra contendenti. Egli sapeva dire le parole opportune che inducevano a
cessare la violenza e il più delle volte era sufficiente il prestigio della sua presenza per
mettere in soggezione i litiganti.
Le liti sanguinose dei villaggi gli facevano arrivare le ferite da medicare ed egli
curando il corpo, cercava poi di portare la pace nei cuori. Frequenti litigi e ruberie
avvenivano anche presso l‘ambulatorio e il mulino tra gente grossolana e non sempre per
bene. Egli interveniva a giudicare e tutti si rimettevano: «Così ha detto il Mu-allem Srugi»
e bastava: la sua sentenza era inappellabile.
2.2.3. Fortezza
Simone Srugi dimostrò l‘eroismo nella pratica della fortezza prima di tutto con il
dominio che seppe esercitare sul suo carattere. Fu costantemente mite e dolce di animo,
lineare nella sua azione, equilibrato e sereno di spirito in ogni giudizio e decisione. Ebbe
molto da lavorare e soffrire, la sua giornata era lunga e sacrificata e gli dava occasione di
amarezze senza fine: nonostante ciò non venne mai meno il suo sorriso, non cessava di
135 Cfr. Informatio, 183-184.
136 Cfr. E. Forti, Un buon samaritano concittadino di Gesù, 39.
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Simone Srugi
parlare di Cielo, di conformità alla volontà di Dio, di fiducia nella sua bontà. Chi gli era
vicino e collaboratore si accorgeva che questo atteggiamento gli costava grande sforzo e
sacrificio, anche se il suo carattere era naturalmente buono.
Le malattie non lo risparmiarono. Subì gravi febbri malariche, soffrì molto per i
dolori di denti, ebbe vari altri disturbi. Tutto sopportò sempre senza lamentarsi mai,
curandosi da solo finché gli fu possibile, mostrando la gioia di offrire le sue sofferenze al
Signore:
«Quando penso alle sofferenze delle anime del Purgatorio, tutto mi sembra facile e
dolce. E bisogna pure che noi soffriamo qualcosa in espiazione dei nostri peccati»137.
«Signore, Voi pagate con qualche travaglio chi vi fa qualche servizio. Oh, che prezzo
inestimabile è mai questo per coloro che davvero vi amano»138.
Anche nelle occasioni più difficili e preoccupanti Simone Srugi non fu mai visto
fare un gesto di dispetto, adirarsi, parlar male di qualcuno, usare espressioni di ironia o di
ripicca personale. Ripreso qualche volta da qualche confratello, taceva e attendeva che
passasse la tempesta.
Allo stesso modo, nei momenti difficili raccontati della storia di Beitgemal, Simone
Srugi tra tante angherie, persecuzioni e ricatti non perdette mai la calma, riuscì ad
affrontare e a frenare l‘intemperanza dei banditi e confortò i confratelli.
2.2.4. Temperanza
Srugi fu straordinariamente temperante. Si diceva di lui che mangiava come un
uccellino e non si sapeva come potesse sostenersi con tutto il lavoro che svolgeva: era un
digiuno continuo.
Rifuggiva con prontezza e decisione ogni comodità, gusto proprio, ricercatezza,
soddisfazioni di cui poteva fare a meno. Il vestito era modestissimo, la stanza aveva
l‘essenziale per riposare, si privava della sua frutta per darla agli ammalati, sacrificava il
sonno per assistere chi aveva bisogno o per fare qualche lavoro necessario139.
137 Summ., 82-83.
138 Positiones seu articuli, 34.
139 Cfr. Positiones seu articuli, 36.
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Simone Srugi
2.3. I voti religiosi
Simone Srugi era riconosciuto come un religioso perfetto. La sua esemplarità balza
chiarissima dall‘esatta osservanza dei voti.
2.3.1. Povertà
Srugi non solo era povero, ma amava la povertà e la praticava esemplarmente.
«Quando posseggo Dio e la sua grazia sono ricco abbastanza»140.
Non cercò nulla per sé. Con un distacco assoluto, servendosi solo di quello che
fosse strettamente necessario. Andava fino alle sfumature della povertà «Cercherò di
purificare l‘anima mia con il distaccarmi da ogni cosa terrena e materiale per imitare
Nostro Signore Gesù Cristo che era poverissimo»141.
La sua fiducia era tutta nella Provvidenza. «Provvidenza, Provvidenza, come è
buona la Provvidenza!»
Essendo addetto al mulino e al pubblico negozio attiguo, Srugi doveva per necessità
maneggiare denaro. Per questo teneva ordinati i registri, con calligrafia nitida e chiara. Alla
sera consegnava tutto il ricavato al superiore, puntualmente e con precisione. Da chi
doveva pagare sapeva esigere il giusto prezzo, ma usava tutte le industrie per venire
incontro a chi aveva particolari necessità142.
2.3.2. Castità
Il suo comportamento era modesto e riservato, non fu mai inteso pronunciare una
parola meno che corretta, non si notò un gesto di leggerezza o di eccessiva libertà che
potesse offuscare la sua purezza.
Nel trattare con i giovani era aperto e cordiale e sapeva dimostrare loro il suo
interessamento e il suo affetto: il suo tatto però era sempre improntato alla massima
delicatezza.
Per conservare la castità usò i mezzi classici della ascetica cristiana: la preghiera, il
pensiero della presenza di Dio, l‘osservanza religiosa, la vigilanza e la penitenza, la fuga
dell‘ozio143.
140 Summ., 224.
141 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 25 agosto 1927, in AIMOR, 1927. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 434].
142 Cfr. Positiones seu articuli, 38-39.
143 Cfr. Informatio, 191.
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Simone Srugi
2.3.3. Obbedienza
Aveva un concetto altissimo dell‘obbedienza, nella quale egli vedeva la volontà di
Dio e il mezzo della propria santificazione.
«Tutto quello che facciamo per obbedienza diventa oro. Ciò che comandano
i superiori è la volontà di Dio. Dobbiamo essere molto furbi, per non lasciar passare
occasione senza farci dei meriti per il Paradiso mediante l‘obbedienza»144 «Con
l‘obbedienza si è santi»145.
I superiori e la Regola erano per lui espressione viva e concreta della volontà di
Dio. La sua obbedienza pratica alle disposizioni dei superiori era filiale, ilare, indifferente
a qualunque occupazione o ordine gli si desse. Quando ne vedeva il caso, esponeva con
molta umiltà il suo parere, ma era poi prontissimo a fare quanto diceva il superiore.
L‘osservanza religiosa della Regola stava in cima ai suoi pensieri. Non era
scrupoloso e formalista, ma esatto fino agli ultimi particolari, senza dispensarsi mai, se non
per forza maggiore. Considerava la Regola, anche nelle più piccole disposizioni, come
volontà di Dio e perciò come mezzo di perfezione: la leggeva e meditava continuamente,
sulla Regola formulava i suoi propositi, rinnovava ogni giorno la professione religiosa146.
Era fedelissimo e semplice come un fanciullo nella pratica del rendiconto al
superiore. Seguiva l‘orario della casa con la puntualità di un orologio. «Sarò giudicato
secondo la osservanza della santa Regola e dei santi Voti: perciò osservanza scrupolosa»147.
2.4. Donazione totale e fama di santità
Srugi svolse la sua vita consacrata e la sua attività apostolica a Beitgemal per quasi
50 anni, semplice, umile, infaticabile, senza alcuna pretesa e alcun lamento, tutto rivolto a
Dio e tutto dedito a fare del bene agli altri, santificandosi nell‘adempimento dell‘umile
dovere quotidiano.
«Facendomi religioso mi sono donato interamente al mio Dio, anima e corpo; ed
Egli mi ha accettato volentieri per suo. Farò tutto a sua maggior gloria»148. La sua vita fu
tutta perfettamente coerente con questo proposito di generosa donazione formulato nella
sua giovinezza.
144 S. SRUGI, Massime per i confratelli 3, in AIMOR. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 407].
145 Summ., 155.
146 Cfr. Informatio, 192-193.
147 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 17 agosto 1931, in AIMOR, 1931. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 472].
148 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 21 agosto 1938, in AIMOR, 1938. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 532].
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Simone Srugi
Srugi godette fama di santità in vita e dopo morte. Non si tratta di ammirazione
generica, ma di fama di santità vera, come confermato dai suoi Superiori, confratelli,
consorelle, ed ex-allievi.
Il Beato don Rua, che aveva conosciuto Simone in una visita a Beitgemal, diceva ai
confratelli: «Seguite il confratello Srugi, registrate le sue parole e i suoi atti, perché si tratta
di un santo»149.
Questo era la convinzione generale, anche dei musulmani che ebbero la fortuna di
incontrarlo.
«Essi affermano unanimemente che Srugi è un Santo; venivano da lui non
solo perché avevano fiducia nella sua professione di infermiere, ma perché era
stimato un ―oumo di Dio‖. ―Pecrhé venite qui da lontano? – si chiedeva ai malati –
Non ci sono da voi medici e infermieri? – ‖. ―Sì – rispondevano –, ma non hanno le
mani benedette del Signor Srugi; egli è un santo. Nelle sue mani esiste la perfezione
di Dio»150.
Il ricordo di Simone Srugi si mantiene vivo, anche se le vicende politiche hanno
cambiato completamente la situazione locale e hanno sradicato quasi totalmente la
popolazione che egli assistette materialmente e spiritualmente.
A 70 anni circa della morte del sig. Srugi, il messaggio che Dio ha voluto
trasmetterci è più che attuale. Appunto questo è ciò che si pretende approfondire nei
capitoli successivi dove la storia raccontata fin qui sarà interpretata con criteri teologici.
149 Positiones seu articuli, 49.
150 Positiones seu articuli, 49.
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Capitolo quarto
LETTURA CREDENTE DEL VISSUTO DI SIMONE SRUGI E DELLA
COMUNITÀ DI BEITGEMAL
«Il Signore Dio mi ha dato una lingua da imparanti151,
perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola.
Ogni mattina fa attento il mio orecchio
perché io ascolti come gli imparanti.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio
E io non mi sono tirato in dietro»
(Is 50, 4-5)
La memoria ha bisogno di diventare biblica e spirituale. La memoria biblica è
quella del credente, che legge la storia, la propria e quella del mondo, alla luce degli
interventi di Dio, con lo stile e la modalità descritte nel libro sacro.
Diventa soprattutto memoria Dei, più che semplice memoria di uomini, come storia
scritta da Lui e che la creatura, o la comunità credente, conosce, rilegge o evidenza. Per i
credenti autentici è lo Spirito che educa e anima questa memoria «Egli vi insegnerà ogni
cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»152, «Egli vi guiderà alla verità tutta
intera»153. Egli è la sintesi vitale capace di produrre la memoria spirituale perché riesce a
cogliere il significato radicale della realtà, riempiendo di senso tutte le tensioni paradossali
della vita. Questa è la via per diventare uomini spirituali, membri di una comunità di
intensa vita spirituale.
Potremmo dire che uomini spirituali sono quelli che riescono a cogliere il
significato radicale della realtà, ciò che non appare subito a prima vista, ma che pure anima
il reale e ne costituisce, per l‘appunto, l‘anima; percepibile al di là degli aspetti appa-
rentemente diversi della realtà medesima.
«L‘uomo spirituale è libero, non è legato all‘immediato e al materiale; può
spaziare in altri universi di significato, può aprirsi al trascendente e al mistero, può
dare pieno respiro e risposta a quell‘esigenza insopprimibile di senso e verità della
151 Il termine « » לםודsi può tradurre come allievo, discepolo, iniziati, imparanti; questi anche se sinonimi,
ogni uno sottolinea una sfumatura diversa. Allievo indica uno che impara qualcosa di un altro; discepolo
aggiunge un valore vitale a questo apprendimento; iniziati segnala già un primo percorso realizzato nella
comprensione esistenziale del mistero (o del Mistero), la traduzione più letterale, accettando il neologismo,
sarebbe «imparanti» ciò sottolinea (senza che perciò si deva perdere la ricchezza semantica degli altri
termini) la disposizione più intima a lasciarsi guidare. Perciò adopererò nel resto della ricerca il termine
imparante come sinonimo di discepolo, per suscitare la risonanza biblica che permetta sottolineare questa
diposizione profonda al ascolto del Mistero.
152 Gv 14, 26.
153 Gv 16, 13.
89

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Lettura credente del vissuto
mente umana, può essere continuamente presente alla sua vita, al presente come al
passato»154.
Spirituale, in particolare, non va inteso come ciò che si oppone al materiale, ma
come simbolo del relazionale: se spirituale, infatti, deriva da Spirito, lo Spirito nella Trinità
è soprattutto relazione, comunicazione, ascolto e dialogo, amore, convivialità delle
differenze, terra comune d‘incontro tra polarità diverse…, per questo una comunità
spirituale è una comunità relazionale, comunità che può entrare in contatto profondo con la
realtà, specie con quella interpersonale, rispetta la peculiarità e la differenza dell‘altro e ne
recepisce l‘appello, si lascia provocare dalle relazioni che stabilisce la propria storia.
È lo stesso Spirito che accompagna ad accogliere la ricchezza e la povertà della
propria storia unica ed irrepetibile, provocando innanzitutto la guarigione della memoria e
avviando la riconciliazione con il proprio passato in una integrazione di esso, senza tagli e
vittimismi, raccogliendo tutti gli apporti preziosi dell‘esperienza155. È l‘accoglienza dello
Spirito che ci permette diventare uomini spirituali dalla coscienza pasquale, liberi di
cogliere sempre più in ampiezza e profondità il senso dei propri vissuti, ma anche di
modificare, almeno fino a certo punto, le risposte agli eventi di vita e di morte; di dare una
dimensione pasquale all‘esperienza del male subìto, di attutire l‘urto e la violenza di
un‘eventuale sofferenza o fallimento, di scoprire il positivo nel negativo.
L‘essere davvero uomini spirituali e pasquali consente di rileggere in forma
credente la propria storia e così essere presenti alla propria vita in ogni momento di essa,
non perché fuori del tempo, ma proprio perché responsabili della propria storia. Ecco
l‘esercizio che adesso ci proponiamo di completare nella storia di Beitgemal raccontata nei
capitoli precedenti.
154 A. CENCINI, L’albero della vita, 208.
155 I membri di una comunità spirituale sono responsabili della vita, degli altri, di sé stessi, dei doni ricevuti
da Dio, della sua presenza manifestata nei giorni della loro vita, ma soprattutto sono responsabili di fronte a
Dio della storia che Dio ha ―srcittonel loro passato e che continua nell‘oggi.
Una comunità spirituale sa… leggere e scrivere, non è analfabeta, è in grado di riconoscere quella
scrittura misteriosa di Dio manifestata nella propria storia, la decifra in continuazione, ne scruta il senso
profondo, la coglie nel passato, ―igà scritta‖, ma la interpreta costantemente al presente, come una voce di cui
sente l‘eco, in una sintesi continua che ha il sapore denso della preghiera e della contemplazione, come luogo
e modo di questo esercizio credente. Cfr. A. CENCINI, L’albero della vita, 208-209.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Lettura credente del vissuto
1. Discepoli a Beitgemal
I salesiani sono chiamati per vocazione a vivere la vita da discepoli del Signore156. È
grazie al dono della chiamata del Padre, a seguire Gesù Cristo più da vicino, che, con il
dono del suo Spirito, i figli di don Bosco sono inviati ad essere apostoli dei giovani,
educatori nella fede.
Questa logica da «prima discepoli poi apostoli», anzi «apostoli perché discepoli», è
istaurata da Dio all‘inizio della storia della salvezza e con più chiarezza dall‘inizio della
Chiesa.
Già i Dodici, prima di essere scelti come apostoli, sono stati discepoli, ossia si sono
messi alla sequela e alla scuola di Gesù. Essi in realtà non avrebbero potuto svolgere la
funzione e l‘attività missionaria, se non fossero stati autentici seguaci di Cristo, se in Lui,
anche essi, non fossero diventati figli del Padre, in un itinerario permanente e mai finito di
configurare i propri sentimenti ai sentimenti del Figlio.
«Il discepolato infatti consiste nell‘impegno tenace a seguire il Maestro ogni
giorno della vita. Gli apostoli hanno potuto rendere discepole le nazioni, perché
prima sono stati autentici discepoli di Gesù, soprattutto dopo la discesa dello Spirito
Santo»157.
In una lettura attenta della storia di Beitgemal possiamo intravedere questa logica
del discepolato, cioè «maestri nella fede perché discepoli nella fede», ma non solo, ci
permette anche d‘avvertire alcuni elementi identificativi dell‘essere discepoli del Signore
da salesiani in Medio Oriente.
a. Discepolato: perché i salesiani a Beitgemal sono prima di tutto dei battezzati. Di
fatto è nell‘itinerario di diventare veri discepoli che si gioca l‘essenza e l‘identità più
profonda dei cristiani. «L‘assoluto dell‘uomo è il Regno; e il discepolo è colui per il quale
questa è l‘affermazione dominante, come l‘orizzonte nel quale si colloca, si sviluppa e si
interroga la vita»158. Tutto ciò, coscienti che il Regno è concretamente dato e presente in
Gesù Cristo. Allora il discepolo sa essenzialmente che il centro non è se stesso, ma che la
persona si realizza, anzi esiste, solo in Cristo.
«Questa è l‘ubbidienza radicale, l‘ubbidienza della fede.
156 C 3.
157 S. PANIMOLLE, Inviati nel mondo ad annunziare l’amore salvifico di Dio per rendere discepoli a tutta
la genti, in ID. (edd), Apostolo discepolo missione 4. Dizionario di spiritualità bibblico-patristica, Roma,
Borla, 1993, 11.
158 G. MOIOLI, Il discepolo, Milano, Glossa, 2000, 12.
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Lettura credente del vissuto
Quando diciamo che il discepolo è colui che ubbidisce a Gesù
Cristo, l‘ubbidienza radicale è questa.
Io non mi do i contorni che voglio, perché questi non sono i
contorni della verità, non sono i contorni della giustizia, del bene. Io devo
prendere i contorni, devo prendere la forma da Gesù Cristo.
Questo in alcuni momenti ci appare come una stoltezza. Ma la
sapienza è prendere i contorni di Gesù Cristo, anche se può essere per noi
una grande crocifissione, perché i contorni che abbiamo da noi stessi non
sono quelli di Gesù Cristo, ma di Adamo.
La croce più vera del cristiano consiste nell‘essere discepoli.
Consiste in questa ubbidienza, per cui impariamo a dire: ―la verità non
sono io e non è neanche l‘umano‖. Noi accettiamo che l‘umano è la verità,
è il bene; ma la sapienza della fede ci dice che non è l‘umano la verità, il
bene. La verità, il bene è un umano concreto: è l‘umano concreto di Gesù
Cristo»159.
b. Discepolato: perché i salesiani a Beitgemal sono, appunto, salesiani. Anche don
Bosco avvertiva che il fine principale per diventare salesiano dovrebbe essere la salvezza
della propria anima; chiaramente il carisma salesiano propone tutto ciò attraverso il
servizio ai più piccoli e ai più poveri. Attualizzando la mentalità teologica ecclesiale di don
Bosco questa «salvezza della propria anima» non vuol dire altro che l‘accoglienza della
chiamata del Padre, nello Spirito, a metterci alla sequela di Gesù per diventare, lungo la
propria storia, figli nel Figlio. I salesiani sono chiamati a diventare educatori nella fede,
appunto perché la loro identità più profonda e di essere «allievi» nella fede.
c. Discepolato: perché i salesiani a Beitgemal vivono e lavorano nel contesto del
Medio Oriente. L‘alta stima che la mentalità delle società del Medio Oriente ha per gli
«uomini di Dio» suscita una grande sfida spirituale-formativa. Cominciando dai confratelli
locali che hanno dovuto imparare a gestire questa crescita sociale come istrumento per
mettersi al servizio di Dio e del suo Regno e non per benefici o capricci personali.
Mantenere la coscienza d‘essere anzitutto discepolo, diventa difficile dove la mentalità ti
considera superiore: maestro. Ma questo atteggiamento vitale di «imparanti» è il
messaggio più forte che i confratelli arabi hanno potuto proclamare con la loro vita.
159 G. MOIOLI, Il discepolo, 13.
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Lettura credente del vissuto
d. Discepolato: perché anche i confratelli missionari hanno affrontato una sfida
simile giacché chiamati a portare la Buona Novella dovevano sommergersi nella logica
dell‘Incarnazione (per essere rappresentanti dell‘amore di Dio e non dei loro paesi, culture,
o di se stessi)160. Vivere secondo i criteri dell‘Incarnazione esige una continua Kenosi che
solo in Cristo può trovare la sua fonte, il suo sostentamento e la sua destinazione.
e. Discepolato: perché è questa la testimonianza più forte offerta da Simone Srugi.
La preghiera in lui era frutto della coscienza della grandezza di Dio che attuava nella sua
piccolezza. In Srugi, fra le sue abbondanti virtù, risalta l‘umiltà; infatti si è potuto
constatare il suo desiderio di lavorare nel silenzio, nascosto, tutto sotto un‘obbedienza
esemplare. Nel carattere e nel fisico si mostrava come uno di basso rango, uno fatto non
per comandare o insegnare ma, al contrario, per obbedire e imparare. Ed ecco il paradosso:
proprio lui, che si identificava come un permanente «imparante» (discepolo) fu
riconosciuto, ed è ricordato anche dai musulmani, con il titolo di «muaallem Srugi» cioè
«maestro Srugi». È questa la sottolineatura che Simone Srugi offre al patrimonio spirituale
salesiano: si può diventare maestri dei giovani nella fede solo se si vive con profondità da
discepoli nella fede.
Adesso ci fermiamo a evidenziare alcuni elementi fondamentali di questa
esperienza di discepolato vissuta a Beitgemal. Un discepolato centrato in Gesù e nel suo
Vangelo, un discepolato vissuto nella Chiesa, un discepolato con una impronta e un
metodo spirituale proprio del carisma salesiano e, infine, un discepolato che illumina la
vita quotidiana e con essa si confronta e si arricchisce.
1.1. Discepoli di Cristo e del suo Vangelo
«Essere vero discepolo di Gesù»161 si proponeva Simone Srugi nei suoi programmi
spirituali. Questo proposito è la risonanza della convinzione profonda dei protagonisti della
160 Infatti è anche vero che il confratello missionario porta con sé, oltre ai doni personale, una ricchezza
culturale, pastorale, carismatica prese dalla cultura e Ispettoria di origine che è chiamato a condividere.
Perciò, non di rado, il missionario è convinto che arriva in Ispettoria a «portare», a «donare», a «lavorare», a
«educare e evangelizzare», a «salvare» con il pericolo di dimenticare che la sua prima missione è crescere nel
Signore, e che nella cultura e la storia della società e dell‘Ispettoria dove arriva, Dio è già presente, perciò
sono «terra santa» dove si deve entrare con sommo rispetto, «togliendosi le scarpe». A dire il vero, nella
sequela al Signore è molto di più quello che il missionario è chiamato a imparare che a insegnare (oltre che a
la lingua e il resto delle componenti culturali).
161 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 25 agosto 1927, in AIMOR, 1927. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 428].
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storia di Beitgemal. Pare scontato dirlo, ma realmente è Gesù, e la sequela che suscita, ciò
che troviamo alla base di tutte le espressioni di carità generosa e spirito di sacrificio di don
Belloni, del sig. Angelo Bormida, di don Eugenio Bianchi, di don Mario Rosìn e del sig.
Simone Srugi.
Gesù è l‘inizio162 sia dell‘esistenza, sia della Chiesa, sia della vita consacrata163, sia
del carisma salesiano164.
I nostri salesiani non seguivano una virtù (obbedienza, povertà, castità) o una
attività (l'educazione degli orfani, la missione fra i musulmani, ecc.), ma seguivano
una Persona che volevano imitare nella sua pienezza e un Vangelo che volevano vivere
nella sua globalità.
Imitare Cristo vuol dire guardarlo come modello, vuol dire ricordare che il
cammino di santificazione a cui si è chiamati come salesiani165 è un cammino di
«cristificazione»166. Al punto di unirsi a Lui così come afferma san Paolo: «Non sono più io
che vivo, ma Cristo vive in me»167. È questo il senso profondo dei propositi di Simone
162 Cfr. Gv 1, 1.
163 In principio c‘è Gesù, con il suo fascino, che predica il Regno di Dio e invita alla conversione (Mc 1, 15):
E, subito dopo, c‘è Gesù che chiama alcuni – i Dodici (Mc 1, 16-20) - a seguirlo, perché ―stessero con
lui‖, per apprendere il suo modo di vivere. Li invita a lasciare ogni cosa: mestiere, tradizioni, beni, famiglia,
un avvenire programmato. ―Ed essi, lasciando subito le reti e il padre Zebedeo sulla barca con i servi,
partirono e lo seguirono(Mc 1, 20).
Attorno a Gesù si formano così due tipi di discepolato, due modi di vivere la sua sequela:
- I più vivono la conversione al Regno nella vita familiare e nella professione;
- Un piccolo gruppo invece è chiamato dal Signore a stare con lui lasciando famiglia e professione:
“Chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui” (Mc 3, 13-14). E‘ il gruppo di quelli che
potranno dire con Pietro: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito” (Mt 19, 27).
Il gruppo di quelli che lasciano tutto riceve due compiti:
- Il primo compito: ―staer con Gesùin un rapporto particolare con lui. Gesù vuole accanto a sé un
gruppo d‘Israeliti, perché partecipino al suo modo di vivere, al suo modo d‘essere che dice
dedizione totale al Padre e ai fratelli. . Si tratta - secondo una felice espressione del Vaticano II, poi
ripresa dai documenti seguenti – di ―seguire Cristo più da vicino‖;
- Il secondo compito: annunciare la buona novella e diffondere il Regno di Dio. Li chiamò – dice
Marco – ―per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni‖ (Mc 3, 15).
Gesù dunque, dopo aver annunciato il Regno a tutti chiamandoli ad una sequela di conversione, sceglie i
Dodici innanzitutto perché imparino a vivere con lui e come lui, e poi perché possano agire come lui e in suo
nome.
164 Lo spirito di Don Bosco «non senza una particolare disposizione di Dio, attinge la sua originale natura e
forza dal Vangelo» Cfr. PAOLO VI, Motu proprio «Magistraioon vitae» del 24 maggio 1973 con cui ha
elevato a Università l'Ateneo Salesiano, in «ACG» 54 (1973) 272, 77.
Per comprendere il spirito salesiano nel suo elemento centrale, bisogna andare più in là della persona di Don
Bosco. Bisogna andare alla Sorgente cui egli ha attinto: la persona stessa di Cristo, il suo «Cuore», vale a dire
Cristo in quanto è la piena rivelazione della Carità divina.
165 Cfr. C 25.
166 Ef 4, 19.
167 Gal 2, 20.
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Srugi: «Voglio rinnegare me stesso, le mie vanità, il mio orgoglio, i miei caprici e le mie
comodità e portar la mia croce di ogni giorno per essere vero discepolo di Gesù»168.
Questa configurazione a Cristo si esprime nel vissuto del giorno dopo giorno, ma
può aprire il cuore fino alla consegna totale di sé nell‘amore misericordioso; questa fu
l‘esperienza del sig. Angelo Bormida che si sentì discepolo del Signore incluso nel suo
supplizio di morte: «Non è nulla; anche nostro Signore è stato flagellato e maltrattato.
L‘unica grazia che gli chiedo è quella di aiutarmi a sopportare tutto con pazienza, sino alla
fine»169.
Ma per arrivare a tale identificazione con il Maestro, ci vuole una vita di familiarità
con Lui. Questa è la testimonianza di vita di don Eugenio Bianchi a cui Gesù era diventato
un amico sempre presente; anzi l‘Amico con il quale intrecciava, durante tutta la sua
faticosa giornata, un dolcissimo, confidente colloquio.
Questa profonda relazione Don Eugenio l‘esprimeva con una devozione tenerissima
verso il Nome di Gesù e il profumo se ne andava spargendosi dappertutto; ma il discepolo
prediletto, Simone Srugi, superò il maestro, così da diventare davvero il «Cantore di
Gesù»170.
«Viva Gesù nei nostri cuori, nelle nostre anime, nelle nostre opere, nella nostra vita
e nella nostra morte»171. Così ripeteva Simone Srugi per scolpire nelle tenere menti degli
orfani di Beitgemal il ricordo del divino Maestro e la segreta sua azione divinizzante
nell‘anima.
Discepoli, sempre discepoli. Questa coscienza aprì i nostri salesiani alla vera umiltà
e alla sincera riconoscenza della grandezza di Gesù Cristo, l‘unico Maestro. In questo
senso risulta emblematico quanto è accaduto con don Belloni e l‘origine della processione
del Santissimo Sacramento a Betlemme; altamente significativo per la profondità spirituale
ma anche per la fecondità apostolica:
«Tutti avevano inneggiato a don Belloni, ma il sant‘uomo, nel discorso di
chiusura dell‘accademia, sentì il bisogno di rettificare tante parole al riguardo.
168 S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 25 agosto 1927, in AIMOR, 1927. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 428].
169 E. FORTI, Fedeli a don Bosco in Terra Santa, Leuman, Elle Di Ci, 1988, 38.
170 «Il saluto di Srugi era ―Viva Gesùe lo diceva sorridendo come se avesse il miele in bocca. (…) Lo
pronunciava con piacere, con amore, con devozione, togliendosi rispettosamente il berretto. (…) Ripeteva:
Viva Gesù! Viva Maria! Fino a tre volte di seguito, e lo diceva con tanta devozione che sembrava come
rapito da una grande gioia. Il suo volto, quando pronunciava quel saluto, mi pareva che fosse quasi
trasfigurato e la sua anima tutta in Cielo». E. FORTI, Il buon samaritano concittadino di Gesù, 154.
171 E. FORTI, Il buon samaritano concittadino di Gesù, 155.
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―oI sono un pover‘uomo – concluse con grande umiltà il buon Padre –; è il
Signore Gesù Cristo che ha fatto. A lui solo, dunque, onore e gloria. Dobbiamo
ringraziarlo. Anzi, voglio che lo facciamo pubblicamente e in maniera solenne. Per
la festa del Sacro Cuore faremo una processione col Santissimo per le vie della
Città‖.
Quando don Belloni voleva una cosa, neppure il governo turco riusciva a
spuntarla. E di fatto la processione sfilò composta e devota per le vie di Betlemme,
che seguì esultante il trionfo del Salvatore nell‘Ostensorio.
Da quel giorno (…) la bella cerimonia non si smise più; anzi se ne ampliò il
circuito e, di anno in anno si fece più numerosa la partecipazione dei fedeli e del
clero, sì da farne la processione eucaristica più solenne di tutta la Palestina»172.
1.2. Discepoli nella Chiesa
«Dal nostro amore per Cristo nasce inseparabilmente l'amore per la sua Chiesa,
popolo di Dio, centro di unità e comunione di tutte le forze che lavorano per il Regno»173.
Nel mistero della Chiesa è presente e operante lo stesso mistero di Dio Padre che
ama tutti, del Figlio che redime, dello Spirito che santi fica. Dal cuore della Chiesa
proviene un dinamismo pastorale che la rende sacramento di unità:
«Piacque a Dio di chiamare gli uomini a partecipare della sua stessa vita non
tanto ad uno ad uno, ma di riunirli in un popolo nel quale i suoi figli dispersi si
raccogliessero in unità»174; la rende anche «universale sacramento di salvezza, che
svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo»175.
Una delle caratteristiche dello spirito salesiano è appunto quella della
«ecclesialità»:
«Ciò riguarda senza dubbio la Chiesa universale, sia per la sua natura
sacramentale, segno e strumento efficace di salvezza, sia per il suo ministero di
comunione tra le diverse vocazioni, carismi e ministeri, sia per la sua missione
operante nel mondo; ma riguarda anche le Chiese particolari, cioè in concreto le
Chiese locali in cui siamo inseriti»176.
La storia di Beitgemal illustra due particolarissimi aspetti di questa sequela di
Cristo nella Chiesa; essi sono il rapporto con la gerarchia e la comunione con il clero e con
altri ordini religiosi.
172 E. FORTI, Fedeli a don Bosco in Terra Santa, 27.
173 C 13.
174 AG 3
175 GS 45; Cfr. LG 48.
176 Progetto di vita dei salesiani, 164.
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1.2.1. Rapporto con la gerarchia
Come dimostra la cronistoria, permanentemente c‘è stato un buon rapporto fra la
comunità salesiana di Beitgemal e i pastori della Chiesa, soprattutto con il Patriarcato
Latino a cui la comunità appartiene. I Patriarchi e Vescovi hanno visitato non poco
l‘orfanatrofio di Beitgemal e queste visite erano un vero piacere per gli illustri ospiti e per
tutti membri dell‘opera. Per un bel periodo le visite diventarono a scadenza regolare,
suscitando un programma tradizionale di affettuoso interscambio fra il Patriarca, la
comunità e gli orfanelli.
«Nei rapporti con le autorità ecclesiastiche – Patriarchi, Delegati Apostolici,
Vescovi, ecc. – che spesso devono destreggiarsi con Roma e con le autorità civili, i
Salesiani cercano di praticare il saggio consiglio dato da don Bosco ai primi
missionari, e che don Rua formula così per il Medio Oriente nella persona del suo
primo Ispettore: ―Fa‘quanto puoi per entrare bene nelle grazie del Patriarca e del
clero del Patriarcato. [...] Col Patriarca è meglio procedere con molta larghezza‖. E
don Nai seppe praticare così bene questo consiglio che, due anni dopo, poteva
confidare a don Barberis: ―lIPatriarca mi ama come un fratello177»178.
I Patriarchi hanno dimostrato fiducia nei salesiani a Beitgemal affidandogli la cura
pastorale dei cristiani che vivevano nei dintorni179, anche la cura pastorale delle comunità
religiose di Rafat, e altri servizi richiesti (come l‘interessamento per i ragazzi delle
famiglie ebreo-cristiane arrivate dalla Polonia nel dopo guerra). Con questi impegni i
salesiani si sono dimostrati responsabili e generosi, anche se nell‘adempierli hanno dovuto
investire non poco soldi, tempo, fatica e inclusa la vita.
Dall‘altra parte, anche i salesiani ricorrevano ai loro pastori con fiducia, quando
pensavano che questi potevano aiutarli nelle diverse necessità. E parecchie volte sono stati
accolti e esauditi.
Due argomenti hanno suscitato delle tensioni fra la gerarchia e i salesiani: il
possesso delle proprietà delle opere che appartenevano a don Belloni e la gestione
dell‘attività pastorale e vocazionale dei salesiani in rapporto alla Lettera Apostolica
Orientalium Dignitas.
177Lettere di don Rua a don Nai, in ASC 9.131 Rua M., 12.10.1902 e 28.11.1902. Lettera di don Nai a don
Barberis G., in ASC 275 Nai L., 10.1.1904.
178 J. BORREGO, I salesiani in Medio Oriente, 26.
179 In fatti Beitgemal fu l‘unica parrocchia che i salesiani hanno assunto nei primi 50 anni della storia
dell‘Ispettoria.
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1.2.1.1. Le proprietà delle opere Belloniane
Con rispetto alla proprietà bisogna rifarsi all‘inizio, quando l‘unione fra la famiglia
religiosa di don Belloni e i salesiani era appena stata fatta giuridicamente in piena regola:
«Don Rua definì ―dloorosa sorpresa‖180 il mutato atteggiamento del Patriarca
dopo il suo ritorno da Roma, e lo attribuì ―porbabilmente‖ ad alcuni ―hce spinsero
monsignore per assicurare al Patriarcato la proprietà dell‘Opera belloniana»181.
Il Patriarca, giudicando i beni dell‘Opera della Sacra Famiglia come beni di diritto
ecclesiastico comune, quindi della diocesi di Gerusalemme e come tali non convertibili in
proprietà privata, impose delle clausole per la loro tutela amministrativa.
Don Belloni, a voce e per iscritto gli dimostrò la sua indipendenza dal Patriarcato,
dichiarata «in modo formale» da Mons. Valerga; gli mandò una copia della Convenzione
con i Salesiani, gli fece sapere che aveva già emesso i voti nella loro Congregazione, e che,
con molto rammarico, né lui né il rappresentante dei Salesiani potevano accettare le
condizioni da lui poste182.
Come risposta, Mons. Piavi dall‘inizio del 1891 sospese ogni sussidio
all‘Orfanotrofio, e decise di privare don Belloni del titolo di canonico. Questi confessò che
in cuor suo ne provò un certo piacere183.
La questione dovette passare a Propaganda Fide184. Questa impose dure condizioni
ai superiori salesiani185. La risposta di don Rua è netta: esaminata attentamente la
questione, nonostante la piena volontà di assecondare in tutto i desideri del Patriarca, non
può accettare tali condizioni, e i Salesiani si vedranno «obbligati, sebbene a gran
180 Lettera (minuta) senza data di D. Rua a Propaganda, in ASC 38 Betlemme, Conv. B-R.
181 G SHALHUB, Abuliatama, 132; J. POLACEK., I salesiani di don Bosco e le figlie di Maria Ausiliatrice
nella Palestina, specialmente tra il 1891 e il 1910, Roma, Archivio PIO, 1976, 83.
182 Lettera di Mons. Piavi a D. Belloni, in ASC 38 Betlemme, Conv. B-R, 5.7.1892; Lettere di D. Belloni a
mons. Piavi, in ASC 38 Betlemme, Conv. B-R, 3 e 9.7.1891.
183 Cfr. Lettere di D. Belloni a D. Barberis, in ASC 275 Belloni, 2-9-1981, 23.12.1891, 2.2.1892.
184 Questa chiede a don Belloni di redigere, insieme con il Patriarca, una nuova Convenzione relativa
all‘aggregazione della sua Opera ai Salesiani, con l‘approvazione definitiva di Roma. Don Belloni, nel timore
che si imponessero ai Salesiani condizioni inaccettabili, persuade il card. Simeoni che ―avrie persone mal
informate soffiano nella questione affine d‘obbligare i Salesiani a ritirarsi‖, e questo porterebbe la sua Opera
alla rovina.
185 Il Prefetto di Propaganda risponde con una lettera a don Rua nella quale precisa le dure condizioni
dell‘aggregazione: la proprietà dell‘Opera belloniana appartiene sempre alla diocesi di Gerusalemme; il fine
principale dev‘essere l‘educazione della gioventù povera della Palestina, con preferenza per quella della
diocesi patriarcale; le collette in favore dell‘orfanotrofio si faranno con previo permesso di Propaganda, a cui
si dovrà rendere conto annualmente di quanto raccolto; e infine l‘Opera rimarrà sotto la protezione del
governo francese.
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malincuore, ad abbandonare la posizione presa [cioè ritirarsi dalle Opere di don
Belloni]»186.
La Prefettura di propaganda Fide rispose con alcune accuse pesanti contro la
Congregazione; don Rua prese l‘occasione, in una visione retrospettiva di tutta la vicenda,
per riaffermare che «la Pia Società non ha altro in mira che di fare del bene, e questo
sempre in pienissimo accordo con S.ta Sede Apostolica, come ci insegnò il nostro
indimenticabile fondatore e padre don Bosco»; e avanzò il fondato sospetto «che in questo
affare sia incorso qualche malinteso»187.
Il Capitolo Superiore decise di ritirare i Salesiani dalla Palestina, previo consiglio
del S. Padre. Don Durando lo comunicava a don Belloni. Questi, con santa disperazione, il
20 novembre 1892 scriveva una forte lettera a Propaganda Fide, nella quale, dopo aver
chiarito ciò che si poteva, supplicava di giungere al più presto a un accordo con i Salesiani
che permettesse di continuare a lavorare «per il bene spirituale e temporale degli orfani di
Palestina», altrimenti si sarebbe visto obbligato ad abbandonare totalmente l‘Opera.
Don Belloni ebbe pure contatti epistolari personali con il Patriarca, che finalmente
cambiò atteggiamento. Si dimostrò così ben disposto verso i figli di don Bosco – anche se
a caro prezzo – che alla fine del 1892 scrisse a Propaganda in loro favore. In conclusione,
il Prefetto di Propaganda, visto che le cose non erano «come lui credeva» – scrive – «ritira
le ultime disposizioni [...] e rimette ogni cosa alla prudenza del Patriarca», che assicura don
Belloni di sentirsi ben felice di autorizzare i Salesiani a restare a Betlemme, Cremisan e
Beitgemal.
In tutta questa vicenda fu certamente la volontà decisa di don Belloni che sconvolge
il Patriarca e lo spinse a trovare un accordo più benevolo.
1.2.1.2. Lettera Apostolica Orientalium Dignitas
Si tratta di un documento fondamentale per l‘attività apostolica missionaria nel
Medio Oriente, e quindi anche per quella realizzata dai salesiani a Beitgemal. Le istituzioni
latine che lavoravano tra gli orientali si sentirono richiamate da Roma in alcuni dei suoi
paragrafi.
186 Lettera del card. Simeoni a D. Rua, in ASC 38 Betlemme, Conv. B-R , 23.9.1891. Ci sono due lettere di
risposta, una di cinque, l‘altra di quindici pagine, senza data. La prima è senza dubbio il testo definitivo,
accuratamente elaborato, mentre la seconda ne è la minuta. Quest‘ultima è firmata dal ―Rettor Maggiore dei
Salesiani, sac. Michele Rua‖.
187 Lettere di D. Rua al card. Ledochowski, in ASC 38 Betlemme, Conv. B-R , 31.3 e 6.4.1892.
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Lettura credente del vissuto
Il documento ebbe la sua gestazione nel Congresso Eucaristico di Gerusalemme,
celebrato proprio l‘anno dell‘arrivo dei salesiani. Il Bollettino Salesiano ne parlava
ampiamente188. In questo articolo per la prima volta troviamo la parola «fratelli» applicata
agli ortodossi: i salesiani si sintonizzarono gradualmente non senza incertezze con il nuovo
orientamento della Chiesa cattolica, di cui il Congresso Eucaristico fu chiara espressione.
Frutto concreto e immediato furono le conferenze patriarcali tenute in Vaticano
nell‘ottobre del 1894, che portarono alla Lettera Apostolica di Leone XIII Orientalium
dignitas Ecclessiarum del 30 novembre, che è considerata «la Charta Magna delle
relazioni tra orientali e occidentali, e quanto di meglio potevano desiderare i più esigenti
paladini dell‘autonomia orientale»189.
All‘azione salesiana interessarono subito gli articoli:
1°- che minaccia la sospensione a divinis e l‘esclusione dalle sue cariche al
missionario latino che «educa qualche Orientale a passare al rito latino»;
3°- che nelle scuole latine d‘Oriente vuole che gli alunni di rito orientale abbiano
un sacerdote del medesimo rito per la messa e la catechesi nella propria lingua, per la
spiegazione del proprio rito, e tutto questo almeno le domeniche e i giorni di precetto,
procurando che gli alunni esterni partecipino al proprio rito;
10°- che proibisce di ricevere Orientali di ambo i sessi in un Ordine o istituto
Latino senza le lettere testimoniali del proprio Ordinario.
Ma di fronte alla realtà dell‘opera di Beitgemal - con alunni di diversi riti –
nonostante il desiderio di pronta obbedienza al Papa non si sapeva come muoversi, perché
il decreto ordinava che per ogni 25 individui residenti in un Istituto, ci sia un sacerdote del
loro rito, ma la Società Salesiana non ne aveva nessuno, non c‘erano soldi per pagarli, e gli
esperimenti di accoglierli come professori esterni non erano risultati positivi.
188 «Dalle Crociate in poi Gerusalemme non vide mai spettacolo sì grande di fede. Erano le due Chiese,
quella d‘Oriente e quella d‘Occidente, che colla molteplicità dei riti onde si adornano, con slancio si univano
tra loro per rendere testimonianza sublime di fede e di amore alla SS. Eucaristia, sotto la guida del
Rappresentante del Papa,Vicario di Gesù Cristo, loro Fondatore e Capo. [...] E a rendere questa
dimostrazione [...] non solo concorsero i vari riti delle Cristianità unite, ma ben anche i fratelli scismatici [...].
Il Patriarca greco, il Vescovo armeno ed il copto, dissidenti, ricevendo l‘invito del Presidente del Congresso,
gli fecero cordiali accoglienze. [...] Voglia Iddio essere adorato in questo Sacramento di amore aprire
davvero gli occhi a questi nostri fratelli, trarli dai loro pregiudizi e guidarli nell‘unione con la Chiesa
Romana» Il Congresso Eucaristico di Gerusalemme, in «Bolletino Salesiano» 17 (1893) 1255.
189 ASS XXVII (1894-95) 257-264.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Lettura credente del vissuto
Poi come si sarebbe potuto avere salesiani di riti orientali, per educare gli allievi nel
loro rito, se c‘erano tante difficoltà per accettare giovani di riti orientali nella
Congregazione?
Perciò i salesiani si domandavano se, in questo caso, non fosse lecito accettare con
più agilità, prima come novizi e ammettere poi alla professione perpetua, giovani di rito
orientale per aver a suo tempo sacerdoti di tale rito?
Infatti dalla casa di Beitgemal – stando alla cronaca – sono uscite sette vocazioni
salesiane di rito orientale. Ma non era facile gestire l‘insieme delle disposizioni (a dire il
vero, anche perché esigeva una mentalità di ecumenismo rituale a cui tanti non erano
abituati).
Possiamo vedere come la cronaca del 1900 ne riporta le difficoltà concrete di
realizzare tutte le regole nonostante la buona volontà di seguire lo spirito con cui sono state
emanate:
«Tra i maestri di lingua araba abbiano qui un giovane sui 25 anni che fu già
alunno di don Belloni, di religione cattolica maronita, e che io accetterei da
aspirante. Ora egli, mentre fa la scuola, desidera studiare per abbracciare la vita
ecclesiastica e farsi in seguito salesiano. Ma siccome egli è maronita, desidero che
ella [don Durando] mi dica se egli può apprendere il latino, far gli studi filosofici e
teologici in latino e farsi salesiano cambiando da rito maronita in rito latino, oppure
è necessario che mantengasi nel suo rito, studiando filosofia e teologia in arabo.
Avverandosi quest‘ultimo caso, la prego d‘indicarmi come dobbiamo regolarci»190.
Infatti, dal 1901 si succedevano le domande di passaggio al rito latino da parte dei
salesiani di rito orientale, ma non prima del noviziato, bensì dopo la professione
temporanea o perpetua; per cui Propaganda intervenne il 23 dicembre 1903 disapprovando
tale usanza, e invitando don Rua a raccomandare ai missionari salesiani l‘esatta osservanza
delle Costituzioni Apostoliche191. Don Albera ne darà a Don Gatti le norme precise:
«Per gli Orientali, oltre alle carte richieste per essere ammessi al noviziato, si
richiede anche quella della dispensa di passare al rito latino; quando sono postulanti
quindi, e si ha speranza che facciano domanda per noviziato, comincino a fare le
pratiche»192.
Nell‘Archivio Centrale della Congregazione esiste una breve corrispondenza con
Propaganda Fide (1904-05) diretta a sanare le irregolarità commesse nelle questioni del
190 Lettera di D. Cardano a D. Durando, in ASC 38 Beitgemal, 5.11.1901.
191 Lettera del Segretario di Prop. Fide per gli Affari dei Riti Orientali, mons. Savelli-Spinola, a D. Rua, in
ASC 31.42. MO Relaz. Aut. Eccl., 21.12.1902.
192 Lettera di D. Albera a D. Gatti, ASC 38 Betlemme, senza data.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Lettura credente del vissuto
passaggio al rito latino. Dal documento stesso si ricava che la maggioranza dei salesiani
nativi provenivano dai diversi riti orientali e che la sanatoria tramite corrispondenza non fu
questione facile e richiese il suo tempo, perché Propaganda studiò attentamente caso per
caso.
Uno dopo l‘altro, tutti i postulanti di rito orientale facevano domanda di passare a
quello latino, di modo che nel 1915 l‘Ispettore don Sutera annunziava a don Gusmano: «In
Congregazione non c‘è che il rito latino»193.
Solo che così, si finì per adempiere a tutte le norme precise, ma allontanandosi
dallo spirito originario dell‘Orientalium Dignitas; perché impegnati a risolvere i processi
che esprimevano rispetto per le Chiese Orientali fu affiancata l‘identità «latina» e
dileguando i desideri di inculturazione nell‘ambiente dei riti orientali.
1.2.1.3. Sintesi
Essere discepoli di Gesù nella Chiesa esige assumere la fatica di crescere
affrontando permanentemente le tensioni fra carisma e istituzione, amore e giustizia,
profezia e tradizione, verità e dialogo; binomi questi che non sono opposti ma che nella
vita reale reclamano continui equilibri.
La storia dimostra che ciò non è facile. Tante volte pare che la dimensione umana
inquini troppo l‘istituzione divina. Ma Cristo ha assunto la natura umana, e da essa e con
essa ci vuole redimere. Se per Cristo l‘incarnazione fu una continua Kenosis, per i
discepoli certamente non sarà niente di diverso.
Certamente la volontà di vivere in comunione con i Pastori della Chiesa, ha tanto
aiutato ad affrontare con maturità cristiana le incomprensioni che sono sorte. Ma anche in
questo caso continua a rimanere in tutta la sua validità l‘esortazione di don Bosco:
«Qualunque fatica è poca, quando si tratta della Chiesa e del Papato»194.
1.2.2. Comunione con il clero e le altre congregazioni religiose
«Amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi e parlatene sempre bene. È
questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della Congregazione».
Questo fu il decimo consiglio dato da don Bosco ai primi missionari salesiani.
193 Lettera di D. Sutera a D. Gusmano, in ASC 31.22 Corrisp. Coi Capit., 4.6.1915. Si continuava a chiedere
autorizzazioni per passare al rito latino, e in occasione di una di esse don Sutera uscì in quella espressione
rivelatrice.
194 G.B. LEMOYNE, Memorie Biografiche di don Giovani Bosco V, S. Benigno Canavese-Torino, SEI,
1904, 577.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Lettura credente del vissuto
I salesiani hanno ricevuto da don Bosco particolare sensibilità per quell'aspetto della
Chiesa che è la sua capacità di costruire «l'unità e la comunione fra tutte le forze che
lavorano per il Regno».
Nello sguardo salesiano la Chiesa è vista come Popolo di Dio, mistero di
«comunione» di tutti i suoi membri, comunione attiva, centro dinamico messo al servizio
dell'unità fra tutte le forze (gli uomini di buona volontà) che nel mondo lavorano
silenziosamente per il bene dei fratelli.
Tale atteggiamento era in piena sintonia con la sensibilità ecclesiale di don Belloni.
Infatti don Belloni era soprannominato «l‘amico di tutti i religiosi»195, come ripetutamente
ebbe modo di dimostrare:
«[Quando giunsero in Palestina i Fratelli delle Scuole Cristiane] Don Belloni
si affretta a dare loro il benvenuto e tutto raggiante di gioia, le offre i suoi servizi,
ringrazia il Signore per averli mandati a far del bene in quelle terre, dà loro utili
indicazioni sull‘ambiente e li incoraggia a mettersi subito al lavoro.
Questi sentimenti e larghezza di vedute, che sono il fior fiore della carità,
non potevano lasciare indifferenti coloro che ne erano l‘oggetto immediato. …[Il
loro superiore] Frerè Evagre rimase durante tutta la vita del padre Belloni, l‘amico
fedele, l‘ammiratore entusiasta; lo visitava spesso e non c‘era festa alla quale non
intervenisse»196.
«[Gli Assunzionisti e i Lazzaristi] erano edificati e conquistati dalle
affettuose premure che il buon padre aveva per loro nei primi mesi del loro arrivo e
restavano attaccatissimi alla sua opera»197.
«Abuliatama era deferente in modo speciale verso i Padri Francescani
intrepidi custodi dei luoghi santi e portava loro rispetto e venerazione»198.
Anche don Antonio Varaia, primo direttore salesiano di Beitgemal, fu famoso per il
suo abnegato servizio nella direzione spirituale alle comunità religiose della Palestina.
Infatti è questa l‘interpretazione che si dà a un sogno di don Bosco in cui vide il sacerdote
Varaia occupato in un grande lavoro fuori dalla cerchia della Congregazione199.
Molto consolante fu la relazione di amicizia stabilita fra il coadiutore Angelo
Bormida e le suore di san Giuseppe nel suo ultimo mese di agonia. In questa relazione
corta nel tempo, ma di una profondità che solo le anime guidate dallo Spirito possono
raggiungere, si manifesta come la vera amicizia soddisfa una delle necessità più profonde
195 G. SHALHUB, Abuliatama, 57-60.
196 G. SHALHUB, Abuliatama, 58.
197 G. SHALHUB, Abuliatama, 59.
198 G. SHALHUB, Abuliatama, 60.
199 AIMOR, Lettera mortuaria di don Varaia Antonio, ottobre 1913.
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Lettura credente del vissuto
dell‘essere umano: amare ed essere amato. La vera amicizia nella vita religiosa attira verso
la santità: questo è lo scopo dell‘autentica amicizia tra cristiani, e questa fu l‘edificante
testimonianza della relazione fra Bormida e le care suore.
Anche don Eugenio Bianchi è riconosciuto per la sua buona predisposizione alla
comunione con il clero e i religiosi. In lui si vede che l‘amicizia fra i religiosi è una
preziosa opportunità per crescere, per condividere insieme la gioia del discernimento e
della vocazione. La comunione ecclesiale fra i religiosi è misura della maturità umana, di
realizzazione cristiana e religiosa, misura di oblatività.
Fra le abbondanti relazioni che don Eugenio stabilì durante la sua vita a Beitgemal
è di rilievo l‘amicizia con il domenicano Maurizio Gisler con cui condivideva ideali
comuni: l‘amore per Gesù e le sacre scritture, la passione suscitata per il ritrovo del
sepolcro di santo Stefano e il desiderio di costruire un grande santuario di pellegrinaggio
che fosse fonte di diffusione del perdono cristiano.
Infine, basta solo ricordare che il martirio di don Rosìn fu perpetrato grazie alla sua
fedeltà nell‘impegno di accompagnamento spirituale alle comunità religiose di Rafat.
1.3. Discepolato salesiano (un carisma trasmesso da padre in figlio)
Educare e formare non è stato mai una compito facile; tanto meno se ciò che si
cerca è la configurazione del cuore ai sentimenti di Cristo. In questa ardua impresa don
Bosco ci riuscì, nonostante l‘ambiente anticlericale che regnava a Torino negli anni
precedenti alla fondazione della Congregazione200, grazie all‘affetto, da cui era circondata
la sua persona, oltre all‘ammirazione e devozione dei giovani per il padre e amico di cui si
erano persuasi fosse un uomo di Dio. «Tutto questo gli attirava spesso una fiducia
illimitata e incoraggiava i giovani a rimanere con lui»201.
Infatti il caso della Congregazione salesiana, fondata con un gruppetto di giovani
formati alla scuola spirituale e pastorale di un unico formatore, è nella Chiesa un
avvenimento più unico che raro. Ma ciò ha impresso nella spiritualità un segno molto
particolare che si esprime tanto nel forte attaccamento alla figura di don Bosco «padre,
200 «L‘impresa era ardua, ma nel 1852, era già abbozzata. Don Bosco incominciava a volgersi verso i giovani
allievi che gli ispiravano fiducia: Rua, Francesia, Cagliero, Angelo Savio, Rocchietti, Turchi ed altri.
Evidentemente la sua prudenza era grande. Le congregazione ed i frati non erano proprio di moda in quel
tempo. Ci viene riferito che i ragazzi erano portati a ridere di tutto ciò che sapeva di frati e di conventi… La
sua tattica alla mentalità dell‘ambiente» W. MORAND, Da don Bosco ai nostri giorni. Tra storia e nuove
sfide, Roma, LAS, 2000, 124.
201 W. MORAND, Da don Bosco ai nostri giorni, 125.
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Lettura credente del vissuto
maestro e amico» ma anche in un stile caratteristico di trasmissione del carisma, connotato
da un vigoroso stile di famiglia.
«Uno dei frutti più belli dello ―psirito di famiglia‖ sono le vocazioni. La
storia della Congregazione lo dimostra ampiamente sia con Don Bosco sia con i primi
Salesiani: inseriti nel vivo della comunità salesiana riscaldata dall'affetto familiare,
molti hanno imparato a modellare la propria vita sui loro educatori;
prendendo progressivamente coscienza del germe della vocazione salesiana
posta nel cuore da Dio; grazie al senso di famiglia si sono via via identificati con gli
ideali e lo stile di vita degli educatori, hanno maturato il senso di appartenenza alla
Congregazione e l'inserimento nella sua azione pastorale.
È questa la dinamica di crescita che caratterizza il cammino salesiano; è
questo il clima naturale che fa sbocciare e crescere le vocazioni; nello spirito di
famiglia matura la vocazione e avviene il graduale inserimento nel lavoro
apostolico»202.
Anche don Belloni provò una strada simile, è riuscito ad ottenere alcuni buoni
risultati, ma le circostanze, che erano molto più condizionanti, non ne permisero lo
sviluppo desiderato. Invece gli ha permesso di essere in piena sintonia con il metodo
spirituale-pedagogico dei salesiani al loro arrivo nella terra di Gesù.
Si può dire di Simone Srugi lo stesso di Domenico Savio: era molto buono di natura
ma fu il lavoro spirituale e sotto la guida di coraggiosi maestri nella fede che lo spinsero a
correre nella via della misura alta della vita cristiana.
Il gusto con cui continuamente, da salesiano, sarebbero fioriti sul suo labbro i nomi
di Gesù, di Maria e di Giuseppe, non poté che nascere dall‘esperienza vissuta con ingenua
intensità negli anni della sua adolescenza sotto la guida di don Belloni.
Di certo la sensibilità di educatore che Simone ebbe a Beitgemal verso i giovani,
anche quando le sue occupazioni sembravano doverlo portare verso altri interessi, si formò
alla scuola di Betlemme e sull‘esempio del padre degli orfani.
Anche a Abuliatama Srugi deve il suo spirito ecumenico:
«La carità che egli usò per tutta la vita, e indistintamente, per ortodossi e
musulmani come infermiere e mugnaio, si ispirò a quanto aveva visto a Betlemme.
In quei tempi non era facile, neppure tra cattolici, trovare serenità di rapporti con
musulmani e ortodossi: anzi era normale un forte distacco per non dire avversità.
Nella Casa di Betlemme Srugi vide il Patriarca Greco ortodosso Elleno e il Pascià
turco, sig. Bsciara Effendi Habib, amabilmente accolti dal suo benefattore: egli
avrebbe fatto altrettanto verso i musulmani e ortodossi di Beitgemal»203.
202 Progetto di vita dei salesiani di don Bosco, 187.
203 Informatio, 49.
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Lettura credente del vissuto
Interessa mettere in evidenza la figura di don Varaia204 e lo spirito da lui portato a
Beitgemal, perché egli fu il primo maestro di vita salesiana di Srugi e quindi dovette
trasmettergli, nel contatto di due anni, qualche cosa della sua ricchezza spirituale.
Fu il tatto e la prudenza di don Antonio a creare un ambiente di familiarità,
comprensione e rispetto a Beitgemal, nei primi anni della fusione fra salesiani e fratelli
della Sacra Famiglia205:
«Don Varaia con la sua modestia e dolcezza si è già guadagnata l‘affezione e
la stima di tutti; gli altri salesiani sono pure molto contenti …; regna la pace, la
contentezza, l‘armonia»206.
È in questo ambiente sano e propositivo che si espliciterà la vocazione di Srugi; e
degno discepolo del suo primo direttore salesiano si mostrerà sempre prudente e delicato in
tutto ciò che potesse influire nelle relazioni comunitarie.
Insieme a don Varaia, Simone sviluppò la capacità di avvertire la presenza di Dio
nella vita e di percepire la continua guida della Provvidenza. L‘ambiente a Beitgemal
aveva una buona impostazione religiosa, e don Varaia ne alzò ancora il tono facendovi
fiorire la pietà, l‘osservanza, la frequenza ai sacramenti e il culto divino.
Con don Ruggero Corradini, secondo direttore e maestro del novizio, Srugi imparò
il lavoro assiduo, l‘apostolato attivo in mezzo ai ragazzi, la profonda vita di pietà e
rigorosa osservanza religiosa. «Don Varaia e Don Corradini che erano cresciuti alla scuola
stessa di Don Bosco, dovevano comunicare, quasi per contatto diretto, lo spirito
salesiano»207.
Ma un vero rapporto di figliolanza spirituale lo stabilì con don Eugenio Bianchi.
Come abbiamo visto, don Eugenio fu un grande formatore salesiano (per cinque dei suoi
novizi sono state introdotte le cause di beatificazione), e ricordato per la sua paternità
tipicamente salesiana: esigente e benevola. Senza dubbio la sua radicalità evangelica e la
sua salesianità furono di grande stimolo per Srugi che lo amò e venerò come vero padre.
Simone insieme a don Bianchi rafforzò il suo desiderio di generosità e radicalità, imparò
ad essere squisito nell‘impegnarsi a crescere nella virtù, sviluppò la devozione per il nome
di Gesù!
204 «Carattere adamantino, energico; sacrificio eroico; pietà soda; ubbidienza incondizionata e scrupolosa ai
Superiori che tutti indistintamente venerava come rappresentanti di Dio; zelo inestinguibile, mortificazione la
più austera» AIMOR, Lettera mortuaria di don Varaia Antonio, ottobre 1913.
205 A Betlemme e Cremisan l‘amalgamento fu più conflittuale.
206 Lettera di don Belloni a don G. Barberis, in ASC 275 Beitgemal, Fasc. 4/B, 11.1.1892.
207 Informatio, 67.
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Lettura credente del vissuto
A don Eugenio, Srugi resterà riconoscente per il resto della vita. Nel 1920 Simone
rinunciò a un viaggio in Italia per curare don Bianchi che era caduto dal cavallo. Dopo il
1931 ripeteva spesso parlando del Cielo: «Vedremo lassù Iddio, Maria SS., gli Angeli, i
Santi, ritroveremo i nostri superiori, don Bosco, vedremo don Bianchi e i nostri confratelli.
Oh, che gioia! Che festa sarà quella!»208.
A sua volta Srugi diventò padre e modello spirituale per tanti che hanno avuto la
gioia di essergli accanto.
Nelle lettere mortuarie sono abbondanti i riferimenti alla significatività della figura
di grandi salesiani i quali, attraverso una donazione totale e pura di sé stessi, hanno
trasmesso, insieme a particolari sensibilità e abilità, il desiderio di essere generosi e
autentici discepoli di Cristo nella Chiesa con lo stile proprio del carisma salesiano.
«Bisogna riconoscere che in questo periodo si formarono alcuni validissimi
confratelli che furono il sostegno della futura Ispettoria del Medio Oriente […]
perché nell‘umile centro spirituale dell‘Orfanatrofio di Beitgemal si vivevano con
intensità i valori della vita religiosa»209.
Gli esempi offerti sono un semplice assaggio, certamente non esauriente, di ciò che
si afferma:
«La passione per il latino [di don Giovanni MoRosìn] l‘aveva ereditata dal
suo venerato maestro don Mario Rosìn, a cui era legato da profondissima stima ed
ammirazione, da filiale confidenza e da intima amicizia»210.
Vivere e lavorare con un salesiano autentico (autentico padre, autentico maestro e
autentico amico) porta a comprendere i suoi valori fondamentali, porta a voler essere come
lui, a restare con lui, a comunicare ciò che da lui si è percepito; porta ad voler attingere
dalla stessa fonte: da Cristo Gesù.
1.4. Discepoli della vita
L‘apertura alla storia e il dialogo con la realtà è un elemento essenziale nel
discepolato del Cristo che si incarnò per la nostra salvezza.
«Come la rivelazione di Dio prende la forma del Logos incarnato, così la
fede umana deve essere ―sesa stessa pienamente incarnata: che abbracci corpo,
anima e spirito211»212.
208 Summ., 8-9.
209 Informatio, 60.
210 Lettera mortuaria di don Giovanni Morosin, in AIMOR, aprile 1963.
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Lettura credente del vissuto
Un cristiano maturo è chiamato ad avere una disponibilità all‘azione dello Spirito
operante nella propria storia e nella propria realtà; una disponibilità intelligente ed attenta,
intraprendente e duttile, che gli consenta di vivere ogni giorno della vita e ogni relazione,
ogni età e stagione, ogni luogo e ogni circostanza, anche quelle inedite o che sembrano
avverse, come tempo e opportunità di formazione, come tempo e opportunità di
configurazione a Cristo.
Senza una tale apertura non si capirebbe mai la vita, la spiritualità e l‘opera di don
Bosco:
«Aperto all‘azione dello Spirito, Don Bosco ha saputo interpretare i segni
dei tempi e rispondere in modo illuminato, creativo e concreto alle esigenze via via
emergenti213. Il rapporto con la realtà è entrato nel tessuto della sua vocazione. Ha
vissuto in prima persona la storia della Chiesa e la storia della Patria. Ha saputo
coglierne la complessità e inserirsi come protagonista. Il contesto storico divenne per
lui una sfida e un invito pressante al discernimento e all‘azione. ―Sonosempre
andato avanti […] come il Signore mi ispirava e le circostanze esigevano‖214»215.
In fedeltà a Cristo, che chiamò i confratelli di Beitgemal ad essere salesiani in
Medio Oriente, la vita li ha invitati a riproporre con coraggio l'intraprendenza, l'inventiva e
la santità di don Bosco come risposta ai segni dei tempi emergenti nella Palestina della
prima metà del novecento.
Questo invito fu innanzitutto un appello alla perseveranza nel cammino di santità
attraverso le difficoltà materiali e spirituali che segnarono le vicende quotidiane e quelle
straordinarie. Ma fu anche appello a ricercare la competenza nel proprio lavoro e a
coltivare una fedeltà dinamica alla propria missione, adattandone le forme alle nuove
situazioni e ai diversi bisogni, in piena docilità all'ispirazione divina e al discernimento
ecclesiale, congregazionale, Ispettoriale e infine comunitario.
La grandezza di don Belloni, don Varaia, don Corradini, sig. Bormida, don Bianchi,
don Rosìn, sig. Srugi e gli altri confratelli di Beitgemal fu appunto questa capacità
211 H. U. VON BALTHASAR, Gloria 1, 125 citato da R. CARELLI, L’uomo e la donna nella teologia di H. U.
Von Balthasar, Lugano, EUPRESS FTL, 2007, 359.
212 R. CARELLI, L’uomo e la dona nella teologia di H. U. Von Balthasar, 359.
213 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Vita Consecrata, 25 marzo 1996, in Enchiridion
vaticanum, 15. Documenti ufficiali della Santa Sede 1996. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna
1999, n 9.
214 Cfr. G.B. LEMOYNE, Memorie Biografiche del venerabile servo di Dio don Giovani Bosco VI, S.
Benigno Canavese-Torino, SEI, 1907, 381
215 La formazione dei salesiani di don Bosco. Principi e norme. Ratio fundamentalis et studiorum, S.D.B,
Roma, 2000, 37.
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(apertura all‘azione dello Spirito nella propria vita) di lasciarsi formare dalla storia, di
entrare in dialogo spirituale, in dialogo pasquale e relazionale, con la realtà.
Ciò non sempre è accaduto. Infatti la storia della comunità di Beitgemal (e a più
amplio spettro quella dell‘Ispettoria MOR) è piena di sbagli, di paure, di sfide non sempre
ben affrontate, di mancanza di slancio e di fedeltà creativa.
Oggi possiamo trovare mille ragioni per giudicarli e condannarli, e altre mille per
capirli ed assolverli. Ciò che adesso si vuole evidenziare è la difficoltà oggettiva di
affrontare situazione nuove, inedite e parecchie volte avverse.
Come chiedere ai salesiani europei che tutta la vita hanno imparato che extra
ecclesia [naturalmente cattolica] nulla salus di entrare nel clima ecumenico che la missione
Orientale cominciava ad esigere? Come chiedergli di lanciarsi nell‘inculturazione quando
al momento, era più importante mantenersi in completa fedeltà a don Bosco appena
scomparso? Come stabilire un sano e maturo dialogo con «i confratelli del Vecchio
Testamento»216 quando nella Chiesa esisteva il sospetto della debolezza dell‘identità del
carisma salesiano, che spingeva i salesiani a mantenere tutto come lo aveva lasciato don
Bosco? Come essere pronti a vivere in una terra di continue guerre e ingiustizie politiche e
sociali e non lasciarsi sconvolgere dall‘odio regnante dappertutto? Come vivere in pace il
supplizio di essere derubati e maltrattati ingiustamente mentre si spende la vita facendo del
bene a tutti?
Le circostanze sono state realmente difficili, le provocazioni spirituali e apostoliche
tante volte hanno superato l‘immaginario possibile. Nessuna preparazione specifica
avrebbe potuto prevedere simile sfide. Nessun corso avrebbe potuto addestrare don Belloni
a lasciare il suo incarico di professore di seminario per diventare il padre degli orfani della
Palestina, o avrebbe preparato il sig. Bormida a essere tradito a morte dai suoi propri
confratelli, o don Bianchi ad affrontare la guerra esterna e quella comunitaria, o don Rosìn
a un così umiliante esilio e poi al martirio.
La storia di Beitgemal è piena di luce e di ombre. Delle difficili situazioni che
hanno tirato fuori da alcuni confratelli il peggio di sé stessi. Situazioni molto dure:
condizionanti ma non determinanti; infatti per altri confratelli, le stesse circostanze sono
stati vissute come opportunità di mostrasi veramente docili all‘azione dello Spirito.
216 Questo fu l‘appellativo giocoso con cui i salesiani battezarono i Fratelli della Sacra Famiglia diventati
salesiani. Lo stesso don Belloni e i confratelli arabi si identificavano con questo sopranome.
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Lettura credente del vissuto
Ciò che adesso si vuole sottolineare è che le tenebre o la debolezza esistente nella
storia, non devono essere anzitutto motivo di scandalo ma indice della realtà della durezza
delle prove e delle pressioni subìte.
Le prove sono state durissime; era impossibile essere preparati alle sfide così, e
nonostante ciò a Beitgemal brillano dei magnifici confratelli; non perché preparati
all‘ecumenismo, al dialogo con i musulmani, a subire le conseguente della guerra, il
tradimento e il martirio, ma brillano confratelli perché disponibili nella mente e nel cuore a
lasciarsi configurare a Cristo via, verità e vita, lungo il percorso della loro vita217.
Lasciarsi formare dalla vita, perché con gli occhi della fede in essa hanno scoperto,
al di là dell‘apparenza spesso ingannevole, che la vita é madre e maestra, vera e propria
mediazione educativa, nelle mani del Padre.
In verità è Dio il Padre e Maestro ma è lungo la vita e attraverso essa (così come
essa è) dove si dispiega l‘azione redentrice della nostra configurazione con il suo Figlio.
Certamente la vita è maestra, ma ha bisogno dell‘umana collaborazione attiva e
attualizzante, che rende intelligentemente accorti e operosi, spiritualmente disponibili. Tale
disponibilità non s‘improvvisa né nasce dal nulla. Tale disponibilità nasce da un lungo e
duro lavoro di fede e di preghiera, di relazione onesta e autentica prima con Dio e poi con
il prossimo. Disponibilità che nasce da un processo di apprendimento attraverso il quale il
credente coglie nella propria storia l‘azione formatrice di Dio, a volte evidente e altre volte
nascosta, ma comunque presente in ogni evento e affidata all‘accettazione dell‘uomo nella
sua libertà e responsabilità.
Fu la presenza o la mancanza di questa disponibilità a far differenza nei modi di
reagire dei confratelli di fronte agli stessi eventi e sfide che hanno dovuto affrontare a
Beitgemal.
La vita in diversi ambiti ha sfidato e formato i confratelli di Beitgemal. Ecco alcuni
dei più significativi: vita quotidiana, semplice e faticosa; vita in contesto pluri-rituale; vita
in contesto pluri-religioso; vita in contesto di guerra e persecuzioni.
1.4.1. Vita quotidiana, semplice e faticosa
Leggendo la storia di Beitgemal certamente si può restare impressionati dai
continui fatti di guerra subiti con pazienza cristiana realmente eroica. O potrebbe attirare
217 Cfr. Concetto di docibilitas in A. CENCINI, L’albero della vita, 125-134.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Lettura credente del vissuto
tutta l‘attenzione la scoperta del sepolcro di santo Stefano e ciò che ha suscitato nella
comunità. Ma sarebbe una grande ingiustizia non prendere coscienza che la grandezza più
magnanima che si trova nella storia di Beitgemal fu la vita quotidiana dei confratelli; vita
umile, a volte nascosta218 e molto impegnativa.
Nella sequela di Cristo i confratelli a Beitgemal hanno affrontato una vita dove le
gioie e i dolori si alternavano. Una vita dove il successo più clamoroso è stato la semina
silenziosa della Presenza e dell‘Amore di Dio.
A dire il vero, Beitgemal ebbe un felice e riconosciuto successo per l‘assistenza
spirituale e materiale prestata a tanti orfani che furono preparati a prendere buone posizioni
nella vita per l‘educazione ricevuta. La cronistoria rende precisa testimonianza al riguardo
nel complesso della sua narrazione.
Così è stata largamente positiva l‘azione sociale svolta in favore della povera
popolazione circostante; anche se in gran prevalenza musulmana, il popolo trovò
nell‘opera di don Belloni e dei Salesiani un provvidente centro di aiuto materiale ed una
valida testimonianza di carità cristiana. I salesiani a Beitgemal sono stati degli eroi
silenziosi e sacrificati, mediante la carità, tra il mondo cristiano e il mondo musulmano.
Per altri aspetti la Scuola Agricola fu meno fortunata. Primo fatto negativo, la
presenza della malaria che fu micidiale specialmente in certi anni e che portò ad una
continua rotazione di personale non resistente al clima.
Anche la valorizzazione dei terreni non corrispose alle aspettative, per la loro
natura in gran parte sassosa, per la siccità, per le condizioni meteorologiche scarsamente
favorevoli, per le epidemie del bestiame e per le difficoltà create dal personale del paese
che lavorava nell‘azienda. Tutto ciò si enumera velocemente, ma solo Dio sa quanta fatica
comportava ai confratelli prestare con costante fedeltà il loro servizio educativo-pastorale
affrontando giorno dopo giorno le difficoltà emergenti.
Di fatto non si riuscivano a coprire le spese per il mantenimento gratuito degli
orfani e la cronaca, così come la corrispondenza conservata negli archivi, rivela una
richiesta insistente di aiuti finanziari ai superiori per pagare i debiti219.
218 Basta pensare a Simone Srugi; la cronistoria menziona solo tre volte la sua presenza e azione
[L‘inaugurazione dell‘ambulatorio (Cronaca 1923), Fondazione della compagnia di san Giuseppe (Cronaca
1929), Morte di sig. Srugi (Cronaca 1943)] mentre nell‘assenza di fatti straordinari degni di essere riportati
nella cronaca, Dio donava all‘Ispettoria MOR il più grande confratello che riscontra nella sua storia.
219 Cfr. J. BORREGO, I salesiani nel Medio Oriente,108-109.
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Lettura credente del vissuto
L‘Orfanatrofio poi era in ottima posizione panoramica, ma lontano da centri urbani,
completamente isolato e quindi in difficoltà per i rapporti che una Scuola deve mantenere
con il mondo civile. Gli uomini dei dintorni approfittavano con ruberie e vessazioni della
casa dei preti220; inoltre le lotte tra turchi, arabi ed ebrei rendevano pericolosa la vita.
Nelle testimonianze dei confratelli di Beitgemal si leggono qualche volta
espressioni un po‘ idilliache, che parlano di tranquillità, di silenzio, di beatitudine della
campagna. Don Varaia scriveva ai superiori di Torino: «Qui si può chiamare il monte della
pace, la casa della tranquillità»221: ma sono voci e momenti isolati.
In genere si parla di buoni risultati educativi, ma non si nascondono le situazioni
tutt‘altro che felici in cui dovevano vivere i confratelli. Ecco un giudizio realistico che
l‘Ispettore don Francesco Laconi esprime a favore di Simone Srugi, ma che al contempo
lascia intravedere la dura realtà che quotidianamente la comunità doveva affrontare:
«Beitgemal - una casa povera, molto fuori di mano, tutta circondata di
villaggi musulmani, da gente spesso poco benevola - non è stata mai una casa dove i
confratelli abbiano agognato di andarvi. E il nostro Srugi vi trascorse la sua intera
esistenza, senza mai cambiare, senza chiedere un respiro altrove.
Per avere un‘idea alquanto adeguata dell‘eroismo continuo della carità del
Servo di Dio sarà necessaria un‘accurata raccolta e descrizione degli anni travagliati
della Casa, della miseria all‘intorno, della fame e della sete, della peste e delle
malattie che inferirono dal giorno che Simone Srugi mise piede a Beitgemal.
Rincresce che le cronache della casa siano così povere di notizie e di
ragguagli. Presi dal lavoro e dagli ostacoli specie nei periodi più duri (guerra 1914-
1918) i confratelli passarono a volte più a sopravvivere che non a scrivere. Ed era
naturale.
Avvenimenti a volte tristi e dolorosi come l‘uccisione del proprio Direttore,
vessazioni di banditi che venivano in casa imponendo di cedere i vestiti, di avere lì
per lì somme di denaro… e mai che il Servo di Dio si scomponesse o si alterasse, pur
dovendo soffrire di tutte quelli angherie, ricatti e persecuzione vere e proprie. Tutto
sopportò con fortezza d‘animo indescrivibile e sempre cercando di sollevare e di
confortare gli altri confratelli.
Un altro meno virtuoso avrebbe chiesto cambiamento di casa mille volte. E
infatti più di uno lo fece.
Beitgemal, era una casa molto povera e conosceva molte privazioni, fino al
punto che i chierici tirocinanti mandati lì, scapparono. Nell‘opinione stessa della
Ispettoria lì venivano mandati i meno intelligenti e qualificati»222.
Questo era il monte «della pace e la casa della tranquillità». Passatemi l‘ironia.
220 Del Convento dicevano loro in termine francescano.
221 Informatio, 56.
222 Summ., 61.
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Ma al contempo questo vissuto fu il campo reale di santificazione dei cari
confratelli. La sfida fondamentale per un credente e per una comunità è trasformare
l‘esperienza di vita, in forza della fede, in esperienza evangelica. Ciò è quanto ha fatto don
Eugenio Bianchi; ma non di meno il sig. Bormida e don Rosìn.
È facile proclamarsi cristiani, consacrati, salesiani in modo generico. Difficile è
vivere da discepoli del Signore, sciogliendo i nodi che rendono problematica l‘esistenza e
aprendosi alle esigenze pratiche delle beatitudini223.
Nell‘esperienza salesiana questa è un‘intuizione, gioiosa e fondamentale insieme:
non c‘è bisogno di staccarsi dalla vita ordinaria per avere una esperienza profonda di
incontro con il Signore, di configurazione a Lui.
Come si è insistito nel paragrafo precedente, alla base della valutazione positiva
della vita quotidiana c‘è la continua scoperta dell‘evento dell‘Incarnazione.
«La condizione umana di Gesù rivela che Dio è presente nella vita, e di
questo Dio afferma la trascendenza. Gesù-Uomo è il sacramento del Padre, la grande
e definitiva mediazione che rende Dio vicino e presente. Egli ci insegna che il luogo
per incontrare Dio è la realtà umana: la nostra e quella degli altri, l'odierna e quella
storica. ―Tutte le volte che avete fatto ciò a uno dei miei fratelli, lo avete fatto a me.
È la vita umana, quindi, che ci immette nell‘evento dell‘Incarnazione.
La vita, allora, è primariamente ―odno‖ offerto a tutti; dono ―misterioso‖ per
le attese che suscita. È come uno scrigno che racchiude significati e orizzonti
imprevisti»224.
Ecco la spiritualità del quotidiano vissuta dai confratelli a Beitgemal, soprattutto da
Simone Srugi; vera e propria spiritualità, perché grazie all‘azione dello Spirito ed alla
accoglienza di essa, Srugi ha assunto con coerenza l'aspetto ordinario della sua esistenza;
ha accettato le sfide, gli interrogativi, le tensioni della crescita e le provocazioni proposte
223 Forse è un pensiero molto spinto però non credo essere molto lontano della realtà se vediamo nella vita dei
confratelli di Beitgemal, una concretizzazione del sermone della montagna:
Beato te don Belloni, povero in spirito, perché di quelli come te è il regno dei cieli.
Beati voi confratelli di Beitgemal, afflitti, perché quelli come voi saranno consolati.
Beato te don Bianchi, mite, perché quelli come te erediteranno la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beato te sig. Bormida, misericordioso, perché quelli come te troveranno misericordia.
Beato te sig. Srugi, puro di cuore, perché quelli come te vedranno Dio.
Beato te don Varaia, operatore di pace, perché quelli come te saranno chiamati figli di Dio.
Beato te don Rosìn, perseguitato a causa della giustizia, perché di quelli come te è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi
per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
224 CAPITOLO GENERALE XXIII-SALESIANI DI DON BOSCO, Educare i giovani nella fede, Documenti
Capitolari, Roma, S.D.B., 1990, n 163.
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nelle vicissitudini che la sua missione concreta esigeva, lì e così, dove, quando e come Dio
lo aveva chiamato a spendere la vita in favore dei più bisognosi.
Tutto ciò ha richiesto una tensione spirituale non indifferente, perché le stesse
provocazioni possono avviare a una profonda spiritualità del quotidiano o a una monotona
e vuota routine, più vicina alla morte che alla vita.
«Il passare tutta la vita in uno stesso ambiente, con le stesse occupazioni e in
una località lontana dai grandi centri, è spesso, per gli spiriti mediocri, causa di
impoverimento interiore e di mentalità ristretta.
Infatti, il vivere nella ritiratezza, se viene a mancare l‘affidamento
soprannaturale dato dalla Comunione dei Santi, divenuta intesa realtà quotidiana,
può nuocere anche alle anime religiose che rischiano, in tal modo, di crescere in un
ambiente reso artificiale, non dalla struttura o dalle esigenze di una Regola, ma
dall‘egoismo di chi, pur chiamato a maggiormente donarsi, si chiude nell‘angusto
panorama del suo piccolo mondo,
Così poteva accadere anche al Servo di Dio se non avesse vissuto, con tutta
l‘intensità di chi ama, la sua vita interiore e non avesse mirato con l‘occhio della
fede la viva realtà che lo circondava.
La ‗ruggine‘ del ‗terribile quotidiano‘ che tanto facilmente livella anche gli
spiriti migliori, non lo cristallizzò in un rigido orario o in una stereotipata
successione di occupazioni: egli faceva tutto per amore e l‘amore dà un‘anima alla
vita»225.
L‘impegno spirituale di Srugi consistette nella ricomposizione dei frammenti della
vita nell‘unità realizzata dallo Spirito; l‘operare per il superamento delle ambiguità presenti
nell‘esperienza giornaliera; ma soprattutto fermentare con l'amore ogni scelta: tutto ciò fu
il passaggio obbligato per scoprire e amare il quotidiano come una realtà nuova in cui Dio
operava da Padre.
1.4.2. Vita in un contesto pluri-rituale226
Quando i salesiani arrivarono in Palestina, negli orfanatrofi di Betlemme,
Beitgemal, Cremisan, trovarono soltanto alunni cristiani, forse più per condizionamenti
pratici che per mentalità. Unica eccezione, Beitgemal, della quale nel 1887 don Belloni
scriveva che «dei 60 interni quasi tutti sono cattolici, meno uno, ancora maomettano»227.
Ma lo stesso don Belloni, prima ancora della venuta dei salesiani, accolse parecchi
225 B. FORTE, Un buon samaritano concittadino di Gesù, 63-64.
226 Per approfondimenti su questo tema rimandiamo a J. POLACEK, I salesiani di don Bosco e le figlie di
Maria Ausiliatrice nella Palestina, specialmente tra il 1891 e il 1910, Roma, Archivio PIO, 1976.
227 A. BELLONI, Bulletin Annuel, Betlemme, 1887, 17.
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orientali non cattolici. Così nel 1887 Beitgemal contava «4 greci scismatici convertiti e 6
scappati dall‘orfanotrofio protestante»228.
I Salesiani a Beitgemal si dedicarono naturalmente ai cristiani; di essi, quelli di rito
latino erano solo una parte, quasi sempre minoritaria. Le restrizioni iniziali, imposte
dall‘autorità ecclesiastica di privilegiare i latini, cambiarono nel 1920 in una richiesta
urgente della stessa autorità, il Patriarca di Gerusalemme, di curare a Beitgemal
«l‘istruzione e l‘educazione cristiana anzitutto dei giovanetti cattolici [da sottolineare il
termino ―cattolici‖ invece di ―latini] del Patriarcato, specialmente poveri, e poi degli
scismatici [...], almeno ora per i greci e gli Armeni, perché altrimenti, andrebbero alle
scuole protestanti»229.
Dopo l‘unione con i salesiani l‘opera di don Belloni, incrementò l‘ingresso di
orientali dissidenti, e molto più di orientali uniti230. A Beitgemal nel 1897, senza alunni
esterni, «c‘erano vari scismatici [...] e perfino un armeno, al quale nei massacri del 1896
avevano assassinato i genitori»231.
Del caso di questo ragazzo, che poi diventerà don Almagian, se ne parlerà
nell‘ultimo paragrafo di questo capitolo; adesso solo si fa notare come il massacro degli
Armeni non lasciò indifferente l‘opera dei salesiani nel Medio Oriente232.
228 A. BELLONI, Bulletin Annuel, Betlemme, 1887, 14.
229 Lett. di D. Rosìn a D. Sutera, in ASC 31.42 MO Relaz. Aut. Eccl., 22.7.1919. È la relazione di don Sutera,
richiesta dal Patriarca di Gerusalemme su istanza di Propaganda, 16.6.1919.
230 Arrivano continuamente orfani: «Il curato latino di Ramallah mi mandò oggi un ragazzo orfano ed
abbandonato. [...] Esso è di origine greco, ma la madre si fece cattolica già da qualche tempo. Io lo ricevetti
volentieri qui da noi, ma i dormitori sono già più che pieni [...]. Per non mandarlo di nuovo in mezzo ai
turchi, lo raccomando a voi [a Beitgemal] persuaso che la Provvidenza si incaricherà di mantenerlo». Belloni
A. a Varaia A., in ASC 275, 17.9.1894.
231Lettera di D. Vercauteren C. a D. Durando, in ASC 38 Beitgemal, 31.3.1897.
232 «Questo luttuoso avvenimento segna un punto di partenza nella storia dell‘apostolato-missionario
salesiano, e quindi merita una breve digressione. Il mondo si commosse sulla sventura degli armeni cattolici,
e nelle grandi città si svolsero manifestazioni in loro favore. I Salesiani risposero nel loro stile. Nel dicembre
del 1896 il Bollettino Salesiano riportava una lettera, datata 24 luglio e già pubblicata in vari quotidiani,
scritta da don Belloni a un suo amico, il sacerdote Giuseppe M. De Carlo, in cui gli narrava la visita di un
sacerdote cattolico armeno, parroco a Beirut. Questi gli aveva descritto la triste situazione di moltissimi paesi
dell'Armenia e di un gran numero di giovanetti orfani, vagabondi, senza tetto e senza pane; molti raccolti dai
turchi e poi venduti [...] e l'aveva ardentemente supplicato di accettare un certo numero di quegli infelici
orfanelli. Don Belloni gli aveva risposto che il suo Orfanotrofio era già al completo, ma di fronte a un caso
così urgente prometteva di organizzare un nuovo dormitorio, contando sull'aiuto dei benefattori, nella cui
mani stava ―pronunziare la sentenza di vita o di morte sopra fanciulli innocenti scampati strage dei turchi‖.
Entro l‘anno il dormitorio era preparato. Il Bollettino Salesiano tornava sull‘argomento nel marzo 1897,
portando come esempio i liceisti di Alassio, che avevano inviato un'offerta spontanea ―per gli orfani armeni
raccolti nell'Orfanotrofio di Betlemme"; Don Rua benedisse l‘iniziativa, e incoraggiò a dare pubblicità ai
ragazzi accolti a Betlemme, Nazaret, Cremisan, Beitgemal. Il loro numero non dovette superare la dozzina,
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Non fu sempre facile osservare le prescrizioni dell'art. 3° della Orientalium dignitas
che imponeva di curare la partecipazione al proprio rito e di procurare per gli interni (se
arrivavano dieci dello stesso rito), un sacerdote di tale rito, che ―almeno nei giorni festivi
celebri la messa, amministri i sacramenti e imparta l'istruzione catechistica e liturgica. Le
difficoltà di ordine pratico erano tante.
«Verso il 1900 una Relazione annuale afferma che ―èpestilenziale la
mescolanza dei greci scismatici con i latini; questi poi ―non andando ai sacramenti‖,
pur assistendo regolarmente alle funzioni religiose, "influiscono sui latini, i quali per
rispetto umano non vanno neppure essi"; cosicché la presenza dei greci ortodossi
costituirà un ostacolo alla creazione di un vero ambiente di solida pietà cristiana»233.
Nonostante anche qui, la vita ha insegnato a superare pian piano le difficoltà, e le
situazioni difficili sono servite tante volte come stimolo per amalgamare sia nelle
intenzioni che nella vita pratica gli allievi di diverse Chiese e riti fra di loro e con i
salesiani.
I salesiani si sono evoluti, alcuni con molta fatica, insieme alla Chiesa nella
mentalità ecumenica, anche se, a dire il vero, ciò che oggi chiamiamo ecumenismo di
carità si sia vissuto già… dalla fondazione stessa dell‘Orfanatrofio.
Certamente il contatto con la pluralità rituale ha portato molti salesiani di Beitgemal
a sviluppare gli atteggiamenti tipicamente salesiani dell‘apertura e della cordialità. Infatti
parecchi hanno dimostrato d‘aver ricevuto dallo Spirito Santo il dono della simpatia e di
essersi impegnati a modellare le proprie capacità relazionali sulla mitezza del cuore di
Cristo.
1.4.3. Vita in contesto pluri-religioso
A Beitgemal l‘integrazione con il mondo arabo ed ebraico ha manifestato,
d‘altronde come era da aspettarsi, delle grande difficoltà. Si riscontra che le relazioni, con i
musulmani prima e con gli ebrei poi, siano state numerose e cortesi, ma per tanti salesiani
restarono per lo più superficiali e raramente hanno raggiunto l‘intimità delle persone. Dalla
cronaca, scritta normalmente dai direttori missionari, si evidenza la difficoltà a scoprire, al
di là delle apparenze, i valori etici e spirituali del popolo circonvicino, che possedeva una
mentalità sociale e un patrimonio culturale molto diverso da quello dei salesiani.
ma aperse la strada in modo tale che nel 1919 Beitgemal vedeva ―moltiplicarsi il numero dei suoi alunni con
ragazzi armeni‖». J. BORREGO, I salesiani nel Medio Oriente, 206.
233 Relazione annuale, in ASC 31.23 MO , 1900 e 1931.
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In questo senso la storia della comunità rispecchia con certa frequenza la mentalità
del mondo occidentale e della Chiesa preconciliare in confronto all‘Islam e all‘ebraismo.
Richiama l‘attenzione, però, come la radicalità evangelica e l‘apertura di mente,
frutto di una umanità maturata nella fede, abbia suscitato nella comunità una «seconda
natura» o una mens coesistente con quella «più occidentale». Il contatto con le persone di
diverse nazionalità234 e diverse religioni ha portato alcuni salesiani, attenti agli appelli dello
Spirito, a sviluppare degli atteggiamenti profetici di dialogo, carità, servizio e rispettoso
annuncio; che in confronto ai non cristiani la Chiesa promuoverà soprattutto a partire del
Concilio Vaticano II.
Ci concentriamo nel vissuto di Simone Srugi perché è il più radicale e, appunto
perché vissuto di santità, il più spiritualmente autorevole. Si ricordi però che uno degli
obiettivi principali di questa investigazione è guardare alla figura di Srugi in relazione alla
sua comunità. Lui non è diventato un‘oasi nel deserto; lui è cresciuto e maturato nella fede
e nella carità grazie alla sua comunità; per essa e con essa ha imparato a relazionarsi da
discepolo del Signore con i fratelli non cristiani, e con lui e grazie a lui altri salesiani,
specialmente i coadiutori, si sono immersi nell‘apostolato delle relazioni e della carità.
È universalmente noto come sia difficile il lavoro di penetrazione del
cristianesimo nell‘ambiente musulmano. La fede islamica è tenacemente chiusa in sé stessa
ed è difesa fino al fanatismo: abbandonarla comporta un rischio estremo, perché nella sua
difesa è coinvolto non solo l‘individuo, ma anche la famiglia e la società.
Qualora Srugi o gli altri confratelli di Beitgemal avessero destato anche solo il
sospetto che da loro si voleva fare opera di proselitismo, non solo sarebbero stati guardati
con diffidenza, ma sarebbero diventati vittime di vendetta e di rappresaglia: ciò avrebbe
fatto fallire praticamente tutta l‘azione salesiana che ci si riprometteva di fare con un
prudente rapporto di dialogo nei dintorni di Beitgemal.
«Uno che si fosse adoperato apertamente per la conversione di un
musulmano si sarebbe esposto al pericolo di non fare più niente, compromettendo
l‘intera istituzione. Il Servo di Dio doveva parlare con i musulmani con prudenza,
per non urtarli essendo fanatici riguardo alla conversione»235.
234 Si pensi in primis ai palestinesi, ma poi agli ebrei, e in tempo di guerra ai turchi, inglesi, egiziani,
polacchi.
235 Summ., 292.
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L‘unico apostolato possibile tra i musulmani, in via ordinaria, era quello indiretto
consistente nella presenza tra loro, nella coerente testimonianza della vita cristiana, nella
vicendevole stima e simpatia, nell‘esercizio disinteressato della carità.
Questo atteggiamento portato avanti con estrema pazienza e prudenza per anni,
poteva smorzare le barriere che dividevano da secoli cristiani e musulmani e, in casi
veramente rari, con l‘aiuto della grazia di Dio, far giungere anche al risultato della
conversione236. Così insegna tutta la storia dei rapporti tra cristianesimo e islamismo.
Se l‘impenetrabilità islamica poneva tanti limiti e tante difficoltà all‘azione
evangelizzatrice diretta dei salesiani a Beitgemal, allora l‘azione dei confratelli,
specialmente quella di Srugi, si dispiegò in forma cosciente, con un preciso scopo
soprannaturale, nell‘apostolato indiretto. Fu un apostolato eroico, in cui la carità sacrificata
e prudente si unirono in mirabile convergenza per far giungere in qualche modo il
messaggio e lo spirito cristiano ai musulmani che si avvicinavano a loro. I risultati della
loro azione sono stati molto positivi, purtroppo questi risultati si sono dispersi, insieme alla
popolazione musulmana dopo l‘espulsione dei palestinesi, da parte degli ebrei, nella guerra
del 1948.
«Ricordiamo in primo luogo l‘efficacia della presenza di Srugi tra i
musulmani che fu come quella di ben pochi altri. Il Servo di Dio per circa 50 anni
visse a Beitgemal in continuo e intimo rapporto con loro che abitavano nei paesi
circostanti. Non li incontrò solo occasionalmente e in manifestazioni esteriori, ma
visse con loro, si può veramente dire, tutti i giorni, nel lavoro del mulino o nelle
prestazioni dell‘ambulatorio. Conobbe i fanciulli, gli adulti e le famiglie. Trattò con i
mussulmani negli ambienti dell‘Orfanatrofio, ma andò anche frequentemente a
visitarli nelle loro povere abitazioni. Passò con loro anni di operosità tranquilla, ma
fu chiamato spesso a fare da paciere nei casi delle liti locali e si trovò in momenti
drammatici di odio e di lotta tra fazioni scatenate. Tutta la sua attività fu dedicata
prevalentemente a loro con amore, con sacrificio, in una stretta corrispondenza di
sentimento e collaborazione.
Nella storia della agiografia non mancano uomini che hanno scelto di vivere
tra i musulmani e con la loro presenza hanno voluto dare una testimonianza di vita
cristiana. Srugi ha fatto qualcosa di più: non ha cercato solo la testimonianza della
presenza tra loro, ma ha stabilito un rapporto di vera partecipazione alla loro
esistenza, ai loro dolori e alle loro necessità. Si sentì non solo tra loro e vicino a loro,
236 «Significativo fra tutti il caso di Giuseppe Hafiri, musulmano, ricoverato nell‘Orfanatrofio e guarito ―con
le cure gentili e pazienti da parte del Sig. Srugi‖. Ha deposto lo stesso Hafiri: ―Allroa ero ancora musulmano
e di tanto en tanto il Sig. Srugi mi domandava se non sentissi il desiderio di farmi cristiano. Forse in seguito
alle sue preghiere il Signore fece nascere in me questo desiderio e venni catechizzato. Non potendo essere
battezzato sul posto, i superiori mi consigliarono di recarmi in Italia dove rimasi dal 1929 al 1934. Nel 1930
potei essere battezzato a Cumiana‖. Non sfugge che, per essere battezzato, dovette lasciare il paese e sfuggire
così le rappresaglie della sua gente» Informatio, 209.
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ma come uno di loro per la condivisione delle loro vicende, e delle loro miserie
soprattutto: e tale fu sentito e amato anche dai musulmani. Egli ha superato ogni
pregiudizio ed ogni distacco da loro, vincendo atteggiamenti secolari, ed ha stabilito
con loro un incontro di autentica comunione più ancora che di reciproca stima e
fiducia»237.
Simone Srugi non solo visse tra i musulmani e per i musulmani, ma con la sua
santità imparò ad apprezzare le loro persone e a rispettare la loro religione, fece apprezzare
da loro i grandi valori del cristianesimo e fu questa la sua grande conquista e il suo merito.
Con i delicati e convinti gesti del suo comportamento egli fece intendere ai musulmani la
verità del messaggio evangelico, insegnò a rispettare Gesù e la Madonna, educò al
perdono, diede la irresistibile lezione della carità.
La fede, più che da inviti ed esortazioni, era ispirata dalla realtà dei suoi fatti.
Simone è riuscito a suscitare in mezzo alla popolazione musulmana un desiderio di
crescere nei valori cristiani, ma perché lui stesso viveva una continuo processo di ascolto
allo Spirito e di umile sequela a Cristo, lungo le vicende relazionali del giorno dopo
giorno.
1.4.4. Vita in contesto di guerra e persecuzione
Oltre al rischio generale che da sempre ha potuto comportare essere cristiani,
religiosi, missionari in terra a maggioranza musulmana; nel lasso di tempo fra il 1881 e il
1958 Beitgemal si è vista coinvolta in quattro periodi di conflitti armati: 1914-1919 per la
prima guerra mondiale; dal 1930 una crescente violenza di guerriglia araba si rivolgeva
contro la nuova comunità ebraica e la polizia inglese: questa tensione arrivò al suo apice
fra il 1936-1939; con il 1940 inizia la seconda guerra mondiale; e infine la guerra del 1948-
1950 con l‘espulsione dei palestinesi e la creazione dello Stato di Israele.
Si comprende come in questi periodi manchino quasi del tutto nella cronistoria
notizie di carattere religioso, perché i fatti esterni con le conseguenze che ebbero nella vita
della Comunità, attirarono e fissarono tutte le attenzioni dei cronisti. I particolari di questi
tristi periodi sono stati abbondantemente raccontati soprattutto nel secondo capitolo;
adesso sottolineiamo come i salesiani hanno vissuto in chiave formativa, cioè come
opportunità di configurazione a Cristo.
La prima guerra mondiale da una parte ha tagliato dalla radice tutto il grande
progetto di promozione agricola che don Bianchi e don Sachettti venivano a realizzare in
237 Informatio, 211-212.
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Lettura credente del vissuto
nome dei superiori di Torino. Dall‘altra è stata l‘occasione per la manifestazione della
bontà paterna e incoraggiante di don Eugenio, mantenendo con vera eroicità lo spirito
salesiano anche in simili situazioni.
«Con don Bianchi, Beitgemal aveva acquistato un padre. I tempi erano così
difficili che ci voleva proprio il suo cuore affettuoso, comprensivo e forte per
confortare e animare confratelli e giovani nell‘ora della prova»238.
La carità, la serenità e l‘illimitata fiducia in Dio di don Bianchi non si esaurirono
con i giovani e i confratelli: anche con gli stessi soldati di ambedue le parti si mostrò segno
della paternità di Dio:
«Il 10 novembre l‘esercito turco-tedesco riceve una seria sconfitta e i giorni
12, 13, 14 e 15 i soldati che prima arrivavano a schernire la comunità, adesso
affamati e feriti mendicavano aiuto, anche se non mancò chi arrivava con minacce. A
tutti si offriva da mangiare pane, olive e verdure a sazietà, e dopo una parola di don
Bianchi se ne andavano più sereni»239.
E la sua bontà ottiene il riconoscimento di avere vinto l‘odio con l‘amore:
«Gli ufficiali, ma in modo particolare il Comandante, salutarono
affettuosamente la comunità dei salesiani. Uno degli ufficiali confessò che qualche
ora prima il Governatore di Gerusalemme aveva telefonato e ordinato di arrestare i
salesiani italiani di Beitgemal, ma che il Comandante non vuole farlo dicendo:
―questa è gente che lavora per l‘umanità. Lasciamola in pace»240.
La prima guerra ebbe anche come conseguenza la morte del sig. Bormida. E anche
qui, la vita diventa maestra. Afferma l‘epistola agli Ebrei: «[Cristo] imparò l‘obbedienza di
quello che patì»241 analogamente possiamo dire del sig. Angelo che imparò cosa fosse la
misericordia e il perdono offrendola nell‘ora della morte tanto a suoi persecutori corporali
(i soldati turchi) come a quelli spirituali (i suoi confratelli).
I supplizi dell‘esilio turco, portarono in cielo anche il coadiutore Giacomo
Zachetta242; ad altri sei confratelli delle comunità di Betlemme e Cremisan questo esilio gli
238 E FORTI, Un buon samaritano concittadino di Gesù, 53.
239 Cfr. p. 35.
240 Cfr. p. 36.
241 Eb 5, 8.
242 Il coadiutore Giacomo Zanchetta lavoro a Beitgemal per 15 anni, poi fu trasferito a Cremisan. Nell‘ultimo
periodo della guerra, quando le truppe inglesi già si avvicinavano alla Giudea, i confratelli di Betlemme e
Cremisan mancavano di pane. In quella dura situazione don Mario Rosìn, direttore a Betlemme, e il sig.
Zanchetta, economo di Cremisan vollero tentare di recarsi a Beitgemal per provvedere farina alle due
comunità. Furono entrambi arrestati sulla via di Hebron, il 17 novembre 1917 e, trascinati in prigione, per
essersi aggirati in zona di guerra. Scontato il carcere vennero mandati in esilio al centro dell‘Anatolia.
Durante il viaggio il buon Zanchetta si ammalò di tifo in forma violentissima. Strapatto per forza dal fianco
di don Rosìn, fu lasciato moribondo e senza favella in un ospedale di Eski Sceir, ove morì il 14 marzo 1918.
Cfr. Lettera mortuaria del sig. Giacomo Zanchetta, in AIMOR, marzo 1918.
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Lettura credente del vissuto
ha fatto passare due anni di inferno qui in terra243. Ma per quanto ci riguarda, la nostra
attenzione s‘incentra in don Mario Rosìn unico fra i sopravvissuti che decise di ritornare al
suo posto di missione e continuare fedelmente la sua opera in favore degli orfani della
Palestina. È da chiedersi se non stata questa la vera offerta di martirio di don Rosìn, e ciò
che è accaduto nel 1938 fu solo la conseguenza (accidentale o meno) di quella oblazione di
vita, consumata nell‘amore e nella fede, decisa con piena coscienza e convinzione anche
dopo il duro esilio sofferto nella prima guerra mondiale.
Forse per alcuni confratelli, la prima guerra li ha colti di sorpresa (non si può sapere
quanti e quali), ma certamente dopo di essa la coscienza della possibilità di altri conflitti,
più che ipotetica, era presente nei confratelli; e molti, coscienti del significato di ciò, sono
rimasti lì: «Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a
guadagnare anime a Dio, io corro avanti fino alla temerità»244.
E in questa tensione si continuò il servizio di testimonianza e carità:
«[A volte i ribelli avevano bisogno di cure] Si presentavano fiduciosi
all‘Ambulatorio dove Srugi li accoglieva con carità e con prudenza per non nuocere
in nessun modo alla Casa, minacciata sia dalle rappresaglie di rivoluzionari, che dal
rigido controllo della polizia.
Per non compromettere nessuno, il saggio infermiere curava i feriti in case
private, tenendo un assoluto silenzio con tutti, e seguendo fedelmente le norme
prudenziali dettategli dal Direttore»245.
Ecco la tensione presente in una comunità di seguaci di Cristo in un contesto di
guerra: slancio nella carità, nella fede e nella verità ma insieme prudenza, alta capacità di
dialogo, rispetto e perdono.
In questo i salesiani a Beitgemal furono aiutati spiritualmente non poco dalla
memoria e dalla venerazione di santo Stefano diacono (servitore) e primo martire
(testimone). La cronistoria, le lettere mortuarie e le diverse biografie attestano ampiamente
questa dimensione di emulazione e configurazione a Cristo crocifisso, favoriti della
testimonianza di santo Stefano, anche per la presenza della tomba del santo martire.
243 Mario Gerbo, Giuseppe Rescigno, Daniello Francesca, Giuseppe pistone, Luigi Giol furono arrestati a
Betlemme (furono arrestati solo per il fatto di essere salesiani) ed esiliati: a piedi fino a Gerico, poi Amman,
Angora, Tresmo, infine internati a Keskim (Turquia). Anche il ritorno a Keskim a Costantinopoli e poi a
Palestina hanno dovuto provvedere con i propri messi al proprio sostentamento. Cfr. Cronaca comunità di
Betlemme anno 1919, in AIMOR, 1919.
244 E. CERIA, Memorie Biografiche del beato Giovani Bosco XIV, S. Benigno Canavese-Torino, SEI, 1933,
662.
245 E FORTI, Un buon samaritano concittadino di Gesù, 139.
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Infatti, simili circostanze di continui conflitti armati allargarono la coscienza a una
dimensione che, di per sé, è intrinseca alla fede e, perciò, propria di tutti i cristiani:
l‘apertura alla possibilità del martirio.
«Il martirio è proprio dell‘essere cristiano, perché Gesù ce lo ha detto,
quando dichiara le condizioni che uno deve accettare per diventare suo discepolo:
rinnegare se stesso e assumere la sua croce fino a dare la vita. Quindi, in questa
obbedienza - alla verità e a Dio - si inserisce anche la possibilità del martirio, di dare
cioè la vita per la fedeltà alla verità e per la fedeltà a Cristo, che è la rivelazione di
Dio. Il martirio è intrinseco alla fede, non nel senso che io devo cercare il martirio,
ma nel senso che devo tenere presente che il martirio può esserci per me. E i cristiani
che oggi danno la vita per Cristo, che soffrono per Cristo, da una parte richiamano
all‘impegno della fede e, nello stesso tempo, diventano loro stessi, come Stefano, un
annuncio della salvezza e introducono altri alla fede, come ha fatto Stefano nei
confronti di Paolo»246.
Secondo la testimonianza di un adolescente musulmano, unico spettatore della
uccisione, don Rosìn ebbe come prima reazione una supplica di pietà: «Ma no! Io sono un
povero prete che non ha fatto male a nessuno!»247. Ma poi rimasse zitto, e qui tanti
vogliono vedere l‘accettazione, nella fede, del martirio. È una lettura legittima, anche se
potrebbe lasciare la perplessità di basarsi su una dichiarazione, forse non molto autorevole,
e che suona debole basarsi, in un fatto così importante come lo è l‘accettazione del
martirio, sulla ipotesi di interpretazione di un silenzio.
A nostro parere l‘opzione per il martirio l‘aveva fatta quattro ora prima quando
decise di adempiere il suo dovere sacerdotale, nonostante l‘alta pericolosità della
situazione. L‘opzione per il martirio era già presa, una settimana prima, quando
condivideva con i confratelli la possibilità reale che questo avvenisse. L‘opzione per il
martirio fu presa, anche un mese prima, quando oltraggiato e minacciato a morte decise di
rimanere lì (contro il consiglio di tanti) ad adempiere il suo servizio. L‘opzione per il
martirio fu presa venti anni prima, quando dopo la bruttissima esperienza dell‘esilio decise
di ritornare in Palestina ad essere un segno dell‘Amore di Dio verso i giovani. Opzione per
il martirio confermata giorno dopo giorno nell‘amore, nel servizio e nell‘abnegazione.
Altro che l‘interpretazione ipotetica di un silenzio.
Certamente questa apertura alla possibilità del martirio dona un grande slancio
spirituale alla configurazione di sé stessi a Cristo. E la configurazione al Crocifisso aiuta
ad assumere radicalmente questa apertura alla possibilità del martirio.
246 M. CE, Il martirio oggi, messaggio alla diocesi di Venezia, 26 dicembre 2008.
247 AIMOR, Lettere mortuaria don Mario Rosìn, luglio 1938.
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Don Rosìn, in un supremo atto di offerta, aveva fatto di sé una Croce insanguinata.
Anche gli altri salesiani si sforzavano di assimilare la propria vita a quella di Cristo. Spicca
certamente Simone Srugi che aveva approfondito, non meno del suo amato Direttore, il
mistero della Croce nella propria vita: non lasciava passar giornata senza portarla volentieri
sulle spalle, dietro le orme del divino Maestro.
«Il Crocifisso deve essere il tuo libro preferito»248 notava Srugi nei suoi pensieri
scritti, e aggiungeva che «il Religioso, essendo consacrato a Gesù, deve essere inchiodato
con Lui»249.
«Voglio portare la sua Croce ogni giorno per essere vero discepolo di Gesù»250.
2. Simone Srugi: La piccola via dell’umiltà
«Le opere del religioso per piccole e semplici che siano, sono preziose e gradite a
Dio quando sono fatte con piacere nel dar gloria al Signore», così scriveva Srugi negli
esercizi spirituali del 1932.
In armonia con quanto abbiamo riferito ci restano anche alcuni pensieri che il buon
coadiutore s‘era diligentemente annotato sotto il titolo generico: «San Francesco di Sales
dice»251:
«Il Signore vuole che tu pensi a cogliere sempre e a usare le occasioni di
servirlo e di praticare le virtù minuto per minuto.
Esercitarsi nelle piccole cose senza di cui le grandi cose sono spesso false e
fallaci. Impariamo a soffrire volentieri parole umilianti e dirette a deprimere le nostre
opinioni e proposte.
Rivolgi i tuoi pensieri a perfezionarti in tutte le tue azioni ordinarie, ed a
portar le croci grandi o piccole che ti si pareranno innanzi. Credimi sta qui il segreto
di farsi santi.
Cerchiamo di essere quello che vuole Dio, giacché siamo cosa sua e non
cerchiamo di essere quello che vogliamo noi contro la sua intenzione»252.
Illuminato dallo Spirito del Signore, Simone aveva intuito quale fosse il cammino
più breve verso la santità e si era anche lui messo per quella «Piccola Via» che aveva
248 S. SRUGI, Massime sul Sacro Cuore, in AIMOR. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 97].
249 S. SRUGI, Massime sul Sacro Cuore, in AIMOR. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 89].
250 Cfr. S. SRUGI, Propositi ritiro spirituale 25 agosto 1927, in AIMOR, 1927. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero
428].
251 Questi pensieri sono presi da: E. CERIA, La Vita Religiosa secondo gl’insegnamenti di S. Francesco di
Sales, Torino, SEI, 1938.
252 S. SRUGI, Massime varie, in AIMOR. [Cfr. Allegato n. 2, pensieri 199-202].
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portato innanzi Santa Teresa del Bambino Gesù. Per entrambi bisognava essere semplici e
umili di cuore.
Testimoni autorevoli affermano che Simone viveva silenziosamente e oscuramente
la sua giornata, cercando sempre di rimanere nell‘ombra. L‘unica sua preoccupazione era
quella di osservare le sante Regole con estrema perfezione.
Una vita piena di piccoli atti compiuti con l‘impegno costante di farli bene e con
amore, è così che è fiorito in Simone il grande eroismo della piccola via: cammino regale
per cui procede verso Dio l‘anima innamorata da Lui.
Il sig. Srugi, come cittadino di Nazareth, imitò il Salvatore nella Sua vita di
nascondimento e di umiltà. I suoi propositi richiamano continuamente pensieri di umiltà,
che egli ricavava da letture, ma che assimilava profondamente. Aveva di sé un bassissimo
concetto e ripeteva spesso, riferendole con convinzione a sé, le parole del Vangelo: «Da
Nazareth può venire nulla di buono, ma quel nulla sono io».
Era mite per natura e per carattere, ma aveva chiaro il senso soprannaturale della
umiltà e questo ispirava il suo atteggiamento interiore. «Metterò l‘impegno di perfezionare
l‘anima mia sradicando ogni motivo di orgoglio, di vanità… per renderla degna di
possedere Dio».
«Si considerava l‘ultimo della comunità, non si metteva mai in vista, non
parlava mai di sé e della sua famiglia, di quello che aveva fatto e di qualche abilità,
soffriva quando qualcuno lo lodava di fronte ai confratelli e indirizzava verso Dio o
verso gli altri il riconoscimento che gli si dava. Negli incontri dei confratelli si
teneva abitualmente in silenzio, nelle conversazioni dava ragione agli altri piuttosto
che far prevalere il suo giudizio, a meno che ci fosse una ragione di carità e
convenienza a fare diversamente. L‘affabilità e la disponibilità, verso tutti e sempre,
erano espressione della sua umiltà»253.
L‘umiltà di Srugi lo disponeva ad un atteggiamento delicato e rispettoso, non solo
verso i superiori e i confratelli, ma anche verso i ragazzi e la gente rozza che andava
all‘ambulatorio e al mulino.
Quando talvolta era oggetto di un fatto disgustoso e umiliante non reagiva, ma
accettava tutto per una ragione soprannaturale di umiltà, con gioia di soffrire come Gesù.
Tutto nella sua vita era manifestazione della sua umiltà: il suo vestito, le sue
occupazioni, la sua camera, il suo atteggiamento nella vita di comunità, il modo di trattare
le persone. Per Dio e per gli altri, tutto: per sé nulla.
253 Positiones seu articuli, 43.
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In particolare, l‘atteggiamento di vera umiltà lo dimostrò nei continui, e a volte
eroici, atti di perdono e di misericordia, come si vedrà in seguito.
3. Il sepolcro di santo Stefano e l’Opera del Perdono Cristiano
Come abbiamo ampiamente visto nel secondo capitolo, durante la prima guerra
mondiale (e precisamente nel 1916), si fece nel territorio di Beitgemal una scoperta
archeologica che creò un interesse religioso attorno alla casa salesiana ed orientò la
spiritualità dei salesiani che passavano un periodo di vita lì, spingendogli a un più eroico
esercizio di carità e di misericordia.
Accenniamo brevemente la storia della scoperta254 e le sue conseguenze, per
procedere a riconoscere e valorizzare alcuni dei frutti spirituali più significativi.
Nel 1916 il confratello Angelo Bormida, nel fare scavi in fondo al cortile trovò per
caso dei resti di un antico mosaico. Poco tempo dopo si trovarono resti di un antico
Martyrium che grazie all‘impegnativo studio archeologico del dominicano M. Gisler si
identificò con la tomba di santo Stefano.
La scoperta aveva una grande importanza storica, ma indusse i confratelli della
casa, e in modo particolare l‘ottimo direttore, don Eugenio Bianchi, a valorizzare anche il
messaggio spirituale della Tomba. Santo Stefano è il santo classico del perdono cristiano:
del senso del perdono c‘era grande bisogno in tutto il mondo dopo gli odii della guerra, e in
particolare tra i vari gruppi etnici palestinesi pronti a scatenarsi gli uni contro gli altri e ad
eliminarsi a vicenda.
Fu perciò pensato di promuovere tra gli uomini il messaggio di santo Stefano,
creando un‘Associazione che si chiamò Pia Opera di santo Stefano Protomartire per la
diffusione del Perdono Cristiano. L‘Associazione fu approvata dal Papa Pio XI il 9 giugno
1923255.
Oltre a questa iniziativa di carattere spirituale, la comunità salesiana promosse la
costruzione di un Tempio dedicato a Santo Stefano con la ricostruzione del Martyrium
254 Per un maggiore approfondimento, rimandiamo alle opere specializzate sul argomento: G. FERGNANI, Il
Sepolcro di S. Stefano Protomartire scoperto a Beitgemal, monografia, Torino, 1930; G. FERGNANI,
L’Invenzione di S. Stefano Protomartire negli scritti di S. Agostino, Beitgemal, 1930; G. FERGNANI,
Cafargamala, Gerusalemme, 1923; A. Sacchetti, Studi Stefanini, Beitgemal, 1934; A. CHARBEL, Beit-jimal
identificata con Caphar-Gamala negli studi di St. H. Stephan, in «Salesianum» 31 (1969) 667-676; A.
ROCCA, Vita di Santo Stefano protomartire, San Benigno Canavese, Tipografia Don Bosco, 1923.
255 Cfr. Lo Statuto della Pia Opera, p. 38.
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innalzato sulla tomba. E così nel 1930 fu fatta la solenne consacrazione del Tempio, un
vero gioiello di chiaro stile bizantino intonato ai mosaici ritrovati negli scavi.
I confratelli a Beitgemal hanno vissuto con entusiasmo e con animo religioso le
scoperte archeologiche e le varie tappe della erezione del Tempio. Hanno aderito con vivo
zelo alla Pia Opera del Perdono Cristiano. Hanno celebrato con solenne devozione le feste
di santo Stefano e si sono impegnati per far diventare il perdono l‘imperativo della loro
condotta, oltre a far del perdono l‘argomento di frequenti esortazioni rivolte ai giovani, ai
visitatori e ai musulmani.
Sappiamo, per le discordie che continuarono, soprattutto fra confratelli locali e
missionari, che non tutti si sono mantenuti coerenti e fedeli all‘appello alla misericordia
rivolto da Dio attraverso la testimonianza di santo Stefano.
Nondimeno troviamo delle abbondanti e bellissime testimonianze di un sforzo
sincero per imparare a «perdonare ai debitori, come il Padre ha perdonato i nostri debiti».
Ne accenniamo solo quattro:
La prima è senza dubbio la vicenda del sig. Angelo Bormida che se ne andò in
Cielo perdonando i suoi uccisori nonostante sia stato tradito e consegnato alla morte dai
suoi propri confratelli.
La seconda è offerta nella vita di don Giovanni Amagian256, il quale ancor fanciullo
assistette all'uccisione dei suoi genitori, vittime in uno dei frequenti massacri contro gli
Armeni. Raccolto da pie persone, fu inviato all'Orfanotrofio salesiano di Betlemme nel
1896 e da qui a Beitgemal.
256 Giovanni Almagian: figlio di Minas e di Calagian, nato a Marasce (Armenia) il 28 settembre 1886 e morto
a Istanbul (Turchia) il 1 giugno 1945, a 59 anni di età, 40 di professione e 32 di sacerdozio. Vi fece gli studi
ginnasiali a Betlemme e Beitgemal ed il 29 agosto 1904 entrò nel noviziato di Cremisan. Vesti l'abito
chiericale nello stesso anno ed emise la professione triennale il l5 novembre l905. A Betlemme emise pure la
perpetua il 4 ottobre1908. Lavorò per molto tempo nelle Case di Palestina, specie a Betlemme,
disimpegnando diverse mansioni, sempre con lodevole spirito di operosità e di sacrificio. Per la conoscenza
ch'egli aveva della lingua turca, fu inviato alla Casa di Istanbul verso la fine del 1912 e ivi venne ordinato
sacerdote nel novembre dell'anno seguente. Dopo la prima guerra mondiale andò in Italia, ove rimase un
certo tempo, e quindi ritornò in Palestina, a Betlemme, nel 1924 e vi rimase fino al 1929 come consigliere
degli orfanelli. Dal 1929 alla morte fu di permanenza a Istanbul, coprendo vari uffici, e fu il sostegno non
indifferente della Casa, come interprete fedele del Direttore e suo prezioso aiutante in tutti gli affari trattati
col Governo locale.
Don Almagian si distinse sempre e soprattutto per il suo grande spirito di lavoro, lavoro continuo e
coscienzioso, accompagnato dal desiderio ardente di sacrificarsi per il bene della Casa ove spendeva
quotidianamente, senza risparmiarsi, le sue energie e fatiche. Cfr. Lettera mortuaria di Giovanni Almagian,
in AIMOR, giugno 1945.
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Lettura credente del vissuto
«La tragica morte dei suoi genitori gli rimase impressa nel cuore come una
pungente spina che lo faceva gemere e gli strappava alle volte, involontariamente,
dalle labbra parole roventi contro chi era stato la causa immediata di tanta barbarie.
Ma poi perdonava e scusava, chiedendo a Dio misericordia per i persecutori spietati
della sua amata e infelice Nazione e crudeli uccisori degli autori della sua vita»257.
La terza testimonianza è data dai confratelli locali che hanno lavorato a favore dei
poveri contadini musulmani. È noto che nei cristiani del Medio Oriente frequentemente
rimane un‘avversione profonda per i musulmani. Soprattutto le famiglie, clan, tribù che
furono in passato particolarmente perseguitate o seviziate, ereditano una acuta diffidenza
nei riguardi dei seguaci di Mohammed258. Analoga la psicologia dei musulmani nei rapporti
con i cristiani.
I salesiani locali (Almagian Giovanni, Sarchis Pietro, Katan Pietro, Srugi Simone,
Hauila Giuseppe, Haruni Giorgio, Combaz Naim, Nahas Giovanni, Calis Joseph, Auad
Atalla, Spiridione Roumman, Sciueri Khalil), che hanno seguito Cristo anche
nell‘indicazione di amare i nemici, hanno dovuto, nello spirito del perdono cristiano,
superare sé stessi per mostrare benevolenza e carità verso i musulmani; in questo senso
alcuni di loro si sono rivelati eccezionali.
Infine, come l‘ultima testimonianza riportiamo l‘atteggiamento di Simone Srugi
nelle circostanze dolorose della morte di don Mario Rosìn. È facile immaginare i
sentimenti che regnavano in casa per quello che era successo e per quello che poteva
succedere ancora. Invece, Suor Teresilla Ferrero offre la sua testimonianza sulla carità
eroica verso il prossimo, senza limiti:
«Una volta dopo l‘assassinio di Don Mario Rosìn, Direttore di Beitgemal, e
precisamente il giorno dopo vennero tre individui poco rassicuranti, tre veri ceffi di
Deraban, sui quali si sospettava ricadesse la responsabilità del delitto, vennero in
ambulatorio con dei pretesti. Infatti anche visitati non si trovò in loro alcun male, ma
certo erano venuti a vedere come si sarebbero messe le cose e di quali sentimenti si
era a Beitgemal. Vennero in ambulatorio ed io ero in quel momento da sola. Siccome
in verità – e lo confesso umilmente – io non ero affatto una con i sentimenti del Sig.
Srugi, li fulminai con lo sguardo e con quattro parole secche chiusi loro la porta in
faccia. Ma subito dopo arrivò il Sig. Srugi e visto ciò che era accaduto, o meglio
avendo saputo da quei tre che subito al suo arrivo gli raccontarono come li avevo
trattati, mi richiamò al dovere con il pensiero della passione e morte del Signore e mi
disse: ―Noncosì madre, non cosìGesù Cristo Nostro Signore in croce disse per i
257 Lettera mortuaria di Giovanni Almagian, in AIMOR, giugno 1945.
258 Si pensi, a modo di esempio, che la famiglia Srugi (originalmente Fer‘on) ha la sua storia secolare a
partire dagli anni intorno al 1550, quando furono costretti ad emigrare dallo Hauran, a fuggire dalla regione
di Damasco, a lasciare Furzol (nella Bequaa), a rifugiarsi a Tersihiha e finalmente, dopo aver cambiato nome
per far perdere le tracce, a trovare rifugio nel 1772 a Nazareth, dove finalmente poterono stabilirsi ed aver
patria.
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suoi crocifissori: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! E potrà
darsi che con il nostro perdono si ravvedano e facciano meglio per l‘avvenire»259.
Qualche giorno dopo sei o sette malandrini sfondarono la porta del dispensario
buttando violentemente a terra anche Srugi e pretesero di essere medicati subito. Simone
ripeteva: «il Signore ha detto: ―Perdona loro perché non sanno quello che fanno». Tutti
quei tipi non partirono e il sig. Srugi li curò, calmo e con tutta naturalezza, come se nulla
fosse accaduto.
Accadde qualche cosa di più grave. Qualche giorno più tardi, inseguito dalla polizia
inglese e ferito alla testa, giunse al dispensario colui che, nell‘opinione della comunità, era
il primo responsabile dell‘uccisione di don Rosìn. La suora propose di consegnarlo agli
inglesi che stavano per giungere: Srugi invece lo medicò e lo lasciò fuggire.
«E alla suora che protestava ―esrio in voltorispose ancora: ―ocnsegnarlo
alla giustizia? Perché? E noi dobbiamo fare del male? Noi dobbiamo fare sempre del
bene a tutti. Se lui ha fatto del male se la veda con Dio al quale tocca fare giustizia.
Ma noi dobbiamo fare sempre del bene al nostro prossimo e perdonare. Ed aggiunse
(me lo ricordo bene) … ―ocme se nulla fosse accaduto!... Così con il nostro contegno
religioso diamo buon esempio, e così capiranno che noi cristiani siamo qualche cosa
di più di loro con la pratica del perdono cristiano»260.
La lezione di carità e perdono ebbe il suo effetto. Infatti tre mesi dopo la morte di
don Rosìn, cinque capi di bande ribelli, armati, a cavallo vennero a Beitgemal e chiesero di
parlare con i superiori salesiani. La loro visita era per scusarsi per la morte del direttore e
assicurare la punizione dei colpevoli. I superiori salesiani dissero a loro che perdonavano
volentieri. «La nostra fede – dissero – ci esorta e anzi ci obbliga al perdono».
Sempre è la testimonianza di suor Ferrero che riferisce il commento di Simone
Srugi al fatto:
«Suora, quei poveretti ricorderanno per tutta la vita questo giorno. Anche
loro hanno una coscienza ed un‘anima da salvare. Il Signore ha fatto sentire loro il
rimorso tanto da venire ad umiliarsi, ed i superiori hanno fatto bene a perdonare e a
dimenticare. La giustizia la farà il Signore, ma a noi tocca perdonare e fare sempre
del bene. Preghiamo per loro e chissà che non si convertano»261.
259 Summ., 32.
260 Informatio, 133.
261 Summ., 28-29.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Capitolo quinto
ELEMENTI PER UNA
SPIRITUALITÀ SALESIANA IN MEDIO ORIENTE
«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi,
chiedete quel che volete e vi sarà dato.
In questo è glorificato il Padre mio:
che portiate molto frutto e diventate i miei discepoli.
Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati.
Nessuno ha un amore più grande di questo dare la vita per i propri amici»
(Gv 15, 7.8.12.13)
È arrivato il momento di individuare dalla lettura credente della storia della
comunità di Beitgemal le applicazioni per la vita e la formazione spirituale dei salesiani del
Medio Oriente, privilegiando nell‘insieme della ricerca una dimensione più esistenziale.
Nell‘introduzione ci siamo domandati: cosa ha suscitato Dio nella comunità di
Beitgemal che possa aiutare oggi ai confratelli dell‘Ispettoria a crescere nella propria
identità di salesiani in Medio Oriente? Dopo il percorso storico-teologico-spirituale ci pare
fondato sottolineare le seguenti conclusioni.
Senza dubbio il messaggio più forte del vissuto della comunità è l‘invito
all‘atteggiamento fondamentale di sapersi sempre discepoli (imparanti).
La vocazione salesiana nel Medio Oriente è un dono di Dio. È la chiamata a
divenire, come Don Bosco, discepoli di Cristo e a formare comunità che testimoniano ai
giovani di questa «Terra Santa» il suo amore di Buon Pastore. Chiamata, però, che non si
esaurisce in un atto puntuale, ma che si rinnova in ogni momento dell‘esistenza.
«A questo appello rispondiamo con l‘impegno di una adeguata e continua
formazione per la quale il Signore dona ogni giorno la sua grazia»262. Nel rispondere
fedelmente alla vocazione ogni salesiano trova la via della sua piena realizzazione in Cristo
e il suo cammino di santificazione263.
L‘esperienza che fecero i primi discepoli nell‘incontro con Gesù, il cammino che
percorsero condividendo la sua vita, accogliendo il suo mistero, facendo propria la causa
del Regno e assumendo lo stile evangelico da Lui proposto costituisce anche l‘esperienza e
il cammino di ogni salesiano. Il vissuto formativo-spirituale di Belloni, Bormida, Bianchi,
262 C 96.
263 Cfr. C 2. 22.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
Rosìn e Srugi ci ricordano che questa è l‘unica strada anche per noi. Il salesiano è anzitutto
un discepolo, discepolo nella fede, e così, e solo così, può diventare maestro nella fede dei
giovani. Unica forma di essere salesiani nel Medio Oriente, fedeli alla chiamata particolare
che il Signore ci ha fatto, è vivere in continuo discepolato, e in conseguenza in una
continua formazione264.
Formazione è accogliere con gioia il dono della vocazione e renderlo reale in ogni
momento e situazione dell‘esistenza. Formazione è grazia dello Spirito, atteggiamento
personale, pedagogia di vita265.
La formazione cristiana è un percorso che mira a formare nel credente «i sentimenti
del Figlio Gesù»266, anzi, in un‘ottica cristiana va specificato che è il Padre che porta avanti
questo percorso formativo (è solo il Padre, infatti, che conosce il Figlio e che dunque può
realizzare questa conformazione, nello Spirito). Ai salesiani del Medio Oriente, Dio ha
parlato attraverso il vissuto spirituale dei pionieri dell‘Ispettoria. Rileggendo nella fede la
storia della comunità di Beitgemal si individuano i seguenti elementi come parti essenziali
dell‘identità propria dei discepoli del Signore da salesiani in Medio Oriente: guidati dallo
Spirito, imparare a imparare dalla vita, lo spirito di famiglia, apertura all‘ascolto e al
dialogo, il perdono cristiano, la carità e il servizio come via di configurazione a Cristo e,
infine, l‘apertura alla possibilità del martirio.
264 Partiamo col dire che la formazione è permanente, particolarmente se formazione cristiana, esattamente
perché consiste nel progetto e desiderio del Padre di formare in noi i sentimenti del Figlio. Ora un progetto
del genere ha una sua immediata e intrinseca caratteristica di totalità-integralità, poiché
- abbraccia tutta la persona, fino alle sue profondità interiori, ogni suo sentimento ed emozione,
istinto e desiderio, conscio e inconscio;
- s‘estende a tutta la vita, poiché non può certo bastare un periodo di tempo limitato per raggiungere
un simile obiettivo;
- addirittura comprende anche la morte, poiché il cristiano diviene conforme ai sentimenti del Figlio
soprattutto quando è reso a lui conforme attraverso il mistero della propria morte;
- si compie, al tempo stesso, in ogni istante e in ogni situazione di vita, anche quelle che sembrano le
più avverse, poiché tale progetto lo porta avanti il Padre, nelle cui grandi mani ogni circostanza di
vita può diventare mediazione provvidenziale, ancorché misteriosa, della sua salvezza e di questo
desiderio divino;
- interessa tutti i livelli e dimensioni della formazione: quello umano e psicologico (affettivo,
relazionale, intellettuale…), quello spirituale (formazione della coscienza, dell‘esperienza spirituale,
o dei vari aspetti legati alla vocazione di speciale consacrazione…).
Cfr. A. Cencini, L’Albero della vita, 260-264.
265 Cfr. La formazione dei salesiani, 1.
266 Cfr. Fil 2, 5.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
1. Guidati dallo Spirito
Il dono dello Spirito da parte di Dio fa comprendere e accogliere ai credenti il suo
progetto salvifico, che si manifesta in Gesù, il Cristo crocifisso. Lo Spirito plasma
l‘identità e l‘agire dei discepoli, che proprio in quanto segnati dalla sua opera sono
chiamati a vivere in modo «spirituale» nella sequela di Cristo267.
La spiritualità prima di essere «atteggiamento dell‘uomo» è presenza, grazia, dono
dello Spirito di Dio.
Di per sé, i salesiani sono una comunità di battezzati chiamati ad essere docili alla
voce dello Spirito268, ma le particolari circostanze dell‘azione salesiana in Medio Oriente
esigono una speciale apertura; non allontanandosi dalla spiritualità salesiana, ma al
contrario, vivendo con profondità lo stesso atteggiamento fondamentale di don Bosco:
«Aperto all‘azione dello Spirito, Don Bosco ha saputo interpretare i segni
dei tempi e rispondere in modo illuminato, creativo e concreto alle esigenze via via
emergenti. Il rapporto con la realtà è entrato nel tessuto della sua vocazione»269.
Il vissuto dei santi è appunto eccellente perché, in un modo o nell‘altro, hanno
saputo accogliere l‘azione dello Spirito Santo nella propria vita ricapitolando tutto nella
croce del Figlio. È la docibilità del loro cuore allo Spirito ciò che è modello per noi,
piuttosto che le diverse espressioni o i risultati del loro cammino spirituale.
Non sono le vicende di don Belloni, di don Mario Rosìn o di Simone Srugi ciò che
siamo chiamati a riprodurre. Ma la loro capacità di vedere l‘azione dello Spirito nella loro
storia, passata e presente.
Solo così si potrà essere fedelmente salesiani e membri vivi della Chiesa in Medio
Oriente. Infatti, uno dei tratti più significativi della spiritualità orientale è lasciare ampio
spazio all‘azione divinizzante dello Spirito.
267 «Lo Spirito suscita e alimenta quelle disposizioni profonde che sono conformi al progetto di Dio, in
antitesi con quelle della ―carne‖, ossia con una esistenza chiusa in se stessa ed estranea al progetto di Dio. È
lo Spirito a far penetrare nel cuore dei credenti l‘amore di Dio, che diventa fonte di amore fraterno. Lo
Spirito di Dio suscita in chi crede l‘atteggiamento di confidenza figliale di Gesù, che si esprime
nell‘invocazione Abba ―Padre‖ (…) Lo Spirito di Cristo Signore è garanzia della libertà dei discepoli nei
confronto della vecchia esistenza ed è fonte di un nuovo dinamismo di vita caratterizzato dall‘amore».
CEI/COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L‘ANNUNCIO E LA
CATECHESI, Lettera ai cercatori di Dio, Leumann, Elle Di Ci, 2009, 60-61.
268 Cfr. C 2.
269 La formazione dei salesiani di don Bosco. Principi e norme. Ratio fundamentalis et studiorum, SDB,
Roma 2000, 37.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
Da qui deriva che la funzione principale della formazione, tanto dei confratelli
locali come dei missionari, sia modellare un cuore aperto allo Spirito:
«…capace di vivere esplicitamente la fede come fonte di significato, come
criterio di lettura del vissuto e dell‘esistente, di ciò che egli sente nel cuore, che lo
seduce e attira, lo spaventa e inquieta, ma anche quella parte dell‘esperienza umana,
passata e presente, propria di ogni uomo, più faticosa da accettare e contrastante il
naturale bisogno di felicità e armonia umana, e cioè il disagio, l‘aggressivo, il vuoto,
l‘oscuro, il rifiuto di sé, la sofferenza, la vecchiaia, il fallimento, l‘insuccesso, il
cambiamento, la crisi, la morte…»270.
Per i credenti autentici è lo Spirito che educa e anima questa memoria «Egli vi
insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto»271, «Egli vi guiderà alla
verità tutta intera»272. Egli è la sintesi vitale capace di produrre la memoria spirituale perché
riesce a cogliere il significato radicale della realtà, riempiendo di senso tutte le tensioni
paradossali della vita. Questa è la via per diventare salesianamente significativi in quella
terra benedetta della presenza di Cristo, ma così colpita per la povertà, la guerra, l‘odio e le
persecuzioni.
2. Imparare a imparare dalla vita
Le sfide della nostra terra di missione sono realmente imprevedibili e altamente
provocatorie; sarebbe impossibile, deludente e frustrante provare a prepararsi alle singole
possibile situazioni.
Nessuno dei salesiani a Beitgemal avrebbe potuto immaginare ciò che Dio e le
circostanze avrebbero richiesto a loro. Quelli che hanno saputo affrontare le difficili
situazioni sono quelli che avevano un atteggiamento fondamentale di fiducia in Dio e nella
vita.
Un salesiano in Medio Oriente che voglia rispondere con fedeltà alla chiamata di
Dio dovrà avviare in sé un processo di apprendimento attraverso il quale riconosca l‘azione
permanentemente formatrice di Dio, a volte evidente e altre volte nascosta, ma comunque
presente in ogni evento.
Un salesiano in Medio Oriente è chiamato ad avere una disponibilità all‘azione
dello Spirito operante nella propria storia e nella propria realtà; una disponibilità
intelligente ed attenta, intraprendente e duttile, che gli consenta di vivere ogni giorno della
270 A. CENCINI, L’Albero della vita, 130-131.
271 Gv 14, 26.
272 Gv 16, 13.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
vita e ogni relazione, ogni età e stagione, ogni luogo e ogni circostanza, anche quelle
inedite o che sembrano avverse, come tempo e opportunità di formazione, come tempo e
opportunità di configurazione a Cristo.
La grandezza di don Belloni, don Varaia, don Corradini, sig. Bormida, don Bianchi,
don Rosìn, sig. Srugi e degli altri confratelli di Beitgemal fu appunto questa capacità
(apertura all‘azione dello Spirito nella propria vita) di lasciarsi formare dalla storia, di
entrare in dialogo spirituale, in dialogo pasquale e relazionale, con la realtà.
3. Lo spirito di famiglia
«Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via
sicura per realizzare la nostra vocazione»273, afferma l‘articolo 49 delle nostre Costituzioni.
I salesiani in Medio Oriente vivono in un contesto tendenzialmente dispersivo274 e
spirituale e pastoralmente molto esigente.
La vita comunitaria, con i suoi ritmi regolari e la sua ricchezza di rapporti, salverà i
singoli confratelli dalla solitudine affettiva e da quelle forme di progressivo ―sbiadirsi‖
dell‘identità di consacrati, che sono specie nel contesto orientale, una palese forma di
contro-testimonianza, che non attira, ma allontana le possibili vocazioni.
La storia insegna che si rende urgente la cura del clima comunitario275; don Varaia,
acuto discepolo di don Bosco, nella sua carica di primo direttore salesiano a Beitgemal ha
saputo investire tempo e sforzo per curare il clima comunitario nel delicato processo della
fusione delle due congregazioni (Fratelli della Sacra Famiglia – di don Belloni – e i
Salesiani); e così possiamo vedere come a Beitgemal le energie, rinvigorite dalla vita
comune, erano orientate ad affrontare le abbondanti sfide che la missione procurava nel
giorno dopo giorno (invece, si sa come nelle comunità di Betlemme e Cremisan già
dall‘inizio tante energia erano sprecate giudicandosi gli uni a gli altri: fino a scoppiare nel
1915 con la questione dei confratelli arabi).
273 C 49.
274 A motivo della presenza in 7 distinti Paesi, con difficoltà di collegamento e grandi distanze, differenze
linguistiche e culturali. Si consideri, poi, la eterogeneità della provenienza (17 nazioni diverse), le difficoltà
ambientali entro le quali si vive, la distanza dai Paesi di origine.
275 Mediante la salvaguardia dei ritmi di preghiera (quotidiani, mensili, trimestrali), gli incontri regolari fra i
confratelli, gli scrutini periodici (come occasione di conversione continua e discernimento comunitario), i
tempi stabili di formazione permanente attraverso lo studio degli orientamenti della Congregazione e della
Chiesa, i tempi di distensione comunitaria, la disponibilità per quella comunicazione informale che è segno di
vera fraternità.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
Le tristi vicende della divisione comunitaria, che hanno avuto il loro doloroso apice
tra il 1914 e il 1919 (ma che erano cominciate molto tempo prima e che in una o nell‘altra
forma perdurano fino a oggi), non devono spaventarci, o vergognarci a tal punto di voler
cancellare dalla storia ciò che storicamente è accaduto. Al contrario, si deve fare memoria
nella fede e nell‘amore: perché chi non conosce la storia è costretto a ripeterla.
In un ambiente segnato dall‘odio, dalla vendetta, dalla discriminazione religiosa e
razziale, la comunità può diventare tavola di salvezza per il confratello276 e,
contemporaneamente, la testimonianza apostolica più significativa.
La storia ci mostra fino a che punto, anche noi ―uomini di Dio‖, possiamo arrivare
quando ci lasciamo riempire il cuore con l‘odio. Ma anche ci mostra fino a dove l‘azione
redentrice della croce può raggiungerci.
In Medio Oriente, così fu nel passato e così lo è adesso, la testimonianza della
comunione è la nostra prima missione e, per questo, è importante curare le relazioni
fraterne e il clima comunitario. È fondamentale dedicare tempo alla comunità per creare il
clima di famiglia, la fiducia reciproca, l‘accettazione dei limiti di ognuno. Occorre aiutarci
fra confratelli ad avere comprensione, correzione fraterna, dialogo e perdono. E così la
diversità culturale e l‘internazionalizzazione, invece di essere un ostacolo, diventerà una
risorsa in favore della pace, dell‘amore e del perdono.
Ma nel caso dell‘Ispettoria salesiana del Medio Oriente, così bisognosa d‘identità
propria, il clima di famiglia non ci parla solo di un sforzo di comunione fra gli attuali
confratelli. Nel nostro caso, abbiamo un forte bisogno di comunione anche con i nostri
predecessori. Nel bene e nel male, tutto ciò che abbiamo lo dobbiamo a loro. E che lo
vogliamo accettare o no, veramente abbiamo bisogno d‘essere piantati sulle loro radici.
Parecchie volte le nostre ansie di protagonismo ci portano ad auto-presentarci come
«Alfa e Omega», ed è qui che Dio realmente ci parla attraverso la testimonianza di Simone
Srugi: potremo diventare «qualcosa» quando diventeremo «un nulla» in Dio. E al riguardo:
276 «Attraverso la condivisione del medesimo dono: una convivenza di persone diventa comunità religiosa
non semplicemente perché vi sono dei singoli impegnati in altrettanto singoli cammini spirituali, ma quando
questi cammini vengono messi in comune fino a costituirne idealmente uno solo. Allora e solo allora il
carisma è al centro e si può parlare di comunità consacrata, mentre l‘amicizia diventa il modo normale di
relazionarsi nella com-pagnia e nella solitudine, nella condivisione del pane del cammino e dell‘intimità con
Dio, nel silenzio che apre a relazione e nel dialogo che riconduce a unità.
Allora la ―casa‖, dell‘individuo e della comunità, è costruita sulla roccia, e può resistere a ogni
intemperie. Altrimenti è fondata sulla sabbia, o è una finta comunità di finti consacrati...» CENCINI A., I
sentimenti del Figlio, Bologna, EDB, 1998, 134.
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
Dio non ci ha chiamati ad essere i super-eroi nella vita spirituale o pastorale, Lui ci ha
chiamati a vivere e lavorare insieme, questa è una esigenza fondamentale e la via sicura per
realizzare la nostra vocazione.
4. Ascoltare e dialogare
La diversità, molte volte, è fonte di sospetto… quando non di paura… e anche di
odio. Il Medio Oriente, lo abbiamo affermato parecchie volte, è un contesto caratterizzato
per essere pluri (pluri-rituale, pluri-confessionale, pluri-religioso, pluri-razziale, pluri-
linguistico, pluri-culturale, ecc). Il diverso e, soprattutto, i diversi si trovano sempre e
dovunque. Ciò propone una difficile sfida e, contemporaneamente, una grande opportunità
di formazione (intendendosi formazione come il graduale cammino di configurazione a
Cristo, colui che è immagine della Trinità: quell‘Amore agapico che unisce distinguendo e
distingue unendo).
La diversità esige un atteggiamento di ascolto e di dialogo non sempre facile. A sua
volta ascoltare e dialogare esigono un superamento di se stessi e soprattutto un‘apertura
all‘altro nell‘intelligenza della fede.
C‘è un abisso tra l‘udire e l‘ascoltare. Perché nell‘ascolto non è solo in atto il senso
dell‘udito ma anche una percezione profonda di se stessi, che viene da Dio che parla alla
propria anima. Ascoltare è farsi attenti dentro, è porgere l‘orecchio del cuore. La diversità
udita è fonte di pericolosità e paura, la diversità ascoltata è fonte di crescita.
Ascolto profondo come quello di don Belloni che si lasciò interpellare dai bisognosi
e dai diversi. Ascolto come quello di don Varaia che rispettò e valorizzò fino in fondo i
«Fratelli della Sacra Famiglia». Ascolto paterno come quello di don Eugenio Bianchi
capace di trovare il punto di bene in tutti e di offrire, ad ognuno, il sostegno di qualcuno
«che è presente» e «che è presente per lui».
Solo dall‘ascolto può nascere un vero dialogo. Perché per dialogare veramente è
necessario unire alla gratuità l‘accoglienza dell‘altro, del diverso. Il dialogo non si sviluppa
lì dove la dignità dell‘altro non è rispettata e accolta. Se i salesiani possono prestare
qualche servizio alle diverse comunità religiose e culturali presenti in Medio Oriente,
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
questo servizio si chiama dialogo, vissuto in primis per sé stessi e educando le giovani
generazioni ad aprirsi a questa sana relazionalità277.
Dialogo come quello del chierico Tommaso Farah che nel conflitto non giudica gli
uni o gli altri ma offre sé stesso in favore della pace. Dialogo profondo come quello dei
coadiutori che condividevano la vita e le sofferenze con i contadini musulmani. Dialogo
come quello del sig. Angelo Bormida, disposto a perdonare a chi lo ha giudicato
ingiustamente e facendo vincere l‘amore sopra le differenze.
Nel contesto storico culturale dei salesiani in Medio Oriente la misura della santità
è data dal riconoscimento e dall‘accoglienza dell‘altro, la misura della responsabilità è
definita dalla necessità, dal bisogno, dalla sofferenza di cui l‘altro è portatore:
«È da questo esclusivo ―sesere-per-altri‖, incarnato compiutamente da
Cristo, che scaturisce la santità, ―l‘azione responsabile personale‖, l‘apertura al
rischio dell‘incontro, il superamento della ―mediocrità‖ borghese, il delinearsi
dell‘uomo intero, completo, che non conosce distinzione tra interiorità e esteriorità.
Non si può essere ―uomini completida soli, ma unicamente insieme ad
altri. L‘uomo non regala a Dio ―qulache ultimo spazio segreto‖, ma sa riconoscerLo
negli eventi della vita e soprattutto nella presenza ineludibile dell‘altro»278.
La diversità, ascoltata con interesse, si dimostra una ricchezza necessaria. Solo
l‘ascolto profondo e il dialogo sincero con il diverso e con i diversi ci potrà aprire a una
autentica esperienza e testimonianza della relazione fondata sulla pericoresi trinitaria.
5. Il perdono cristiano
Nella chiesa di Beitgemal, sopra l‘abside, è dipinto Gesù in croce con ai piedi la
Vergine Maria e San Giovanni. A fianco del Crocifisso, a caratteri cubitali, è scritta la
richiesta di Gesù al Padre, a riguardo dei suoi crocifissori: «Pater, dimitte illis»279.
277 «Lo stile proprio del servizio è il dialogo, quel linguaggio dell‘amore, in cui l‘amore stesso si manifesta
come attenzione e disponibilità agli altri. La fatica di amare si riflette perciò inevitabilmente nelle resistenze
e nei rischi propri del dialogo. Come la gratuità dell‘amore viene inaridita dalla possessività, così il dialogo
non esiste realmente lì dove non sia suscitato da un‘iniziativa gratuita, libera dal calcolo. Nulla si oppone di
più all‘autenticità del dialogo che la strategia o il tatticismo: dove il dialogo è strumento per dominare l‘altro
o per usarlo ai propri fini, lì cessa di esistere. Il dialogo ha la dignità del fine e non del mezzo: esso vive di
gratuità e si propone come un‘offerta di incontro che sgorga dalla gioia di amare. (…) Il dialogo ha bisogno
dello scambio, in cui il dare e il ricevere sono misurati dalla gratuità e dall‘accoglienza di ciascuno dei due.
La massificazione – che ignora l‘originalità dell‘altro – esclude ogni dialogo, e quindi ogni autentico
atteggiamento di servizio» CEI/COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE,
L‘ANNUNCIO E LA CATECHESI, Lettera ai cercatori di Dio, 87.
278 J.M. GARCÍA, Teologia dell’esperienza spirituale cristiana – temi fondamentali, Roma, 2010, 377.
279 «Padre, perdona loro» Lc 23, 34.
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Il nostro confratello don Domenico Dezzutto, 84 anni ma sempre giovanile, alla
fine della spiegazione ai gruppi, grandi o piccoli chi siano, spiega quelle parole dicendo:
«Tutti abbiamo bisogno del perdono di Dio e di perdonarci l‘un l‘altro. È il
messaggio di Santo Stefano con quella invocazione: ―Signore, non imputare loro questo
peccato‖». È il messaggio principale che nell‘attuale apostolato a Beitgemal si cerca di
trasmettere ai visitatori.
Come lo racconta la cronistoria, i salesiani a Beitgemal nel loro entusiasmo per il
ritrovamento della tomba di Santo Stefano, avevano progettato di costruire, sul posto dei
mosaici della Chiesa bizantina, un grande santuario dedicato al «Perdono Cristiano».
Avevano ottenuto già l‘approvazione della Santa Sede, poi, per tanti motivi abbandonarono
il progetto, accontentandosi della chiesa attuale, molto bella, ma di dimensioni più
modeste.
Certo che nel Medio Oriente, secondo ciò che mostrano i giornali quotidiani, c‘è
bisogno di tanto perdono. Qualcuno dice che lì non ci sarà mai la pace, perché i due popoli
che si affrontano, Arabo-musulmano ed Ebreo, non sanno e non possono perdonarsi, non
avendo la tradizione o la cultura del perdono. E per fare la pace, come insegnava il beato
Giovanni Paolo II, ci vuole anche il perdono:
«Non c‘è pace senza giustizia, e non c‘è giustizia senza perdono»280.
Il grande santuario del perdono cristiano non è stato costruito… Ma i salesiani sono
chiamati da Dio, dai popoli a cui servono, dalla stessa spiritualità di don Bosco, dai
predecessori dell‘Ispettoria: Belloni, Bianchi, Bormida, Rosìn, Srugi a diventare sé stessi
santuari di perdono cristiano.
San Paolo ci esorta: «Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di
sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza,
sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente»281.
«La nostra tradizione più genuina, da san Francesco di Sales a Don Bosco a
Domenico Savio, ci mostra che un'amicizia ispirata da Dio sa integrare perfettamente
gli aspetti «umani»; essa vi aggiunge la propria «grazia» e ne rifiuta le contraffazioni
egoistiche. È ciò che indica il primo capoverso dell'articolo [C 51] che ci invita con
la voce di San Paolo, quali «eletti di Dio, santi e amati», ad avere un cuore generoso
e ad impegnarci negli atteggiamenti tipici dell'amicizia evangelica: misericordia,
280 GIOVANNI PAOLO II, Non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza perdono. Messaggio per la
celebrazione della giornata della pace, 1 gennaio 2002.
281 Col 3, 12-13
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bontà, umiltà, pazienza, mutua sopportazione e perdono: virtù esigenti che furono
sempre quelle della vera amicizia!»282.
La Pia Opera del Perdono Cristiano aveva lo scopo d‘implorare da Santo Stefano,
e diffondere in mezzo al popolo cristiano, la pratica piena della carità, anche verso i
nemici, per estinguere quella fiamma di odio ancor viva nella povera umanità, cristiana ed
infedele, costituendo un centro di preghiere e di opere buone presso il Sepolcro stesso del
Protomartire.
Se siamo convinti che Dio ci parla attraverso i santi ecco il programma
profeticamente lasciato a noi, ecco uno degli atteggiamenti fondamentali del nostro essere
salesiani in Medio Oriente.
6. Amore-servizio cristiano, configurandosi ai sentimenti del Figlio
L‘essere segni dell‘amore di Dio fra i giovani e i poveri del Medio Oriente si
esprime nell‘atteggiamento fondamentale di farsi servi per amore, mettendo a disposizione
degli altri con gratuità quanto si è gratuitamente ricevuto da Dio283.
Centro dello spirito salesiano è «la carità pastorale, caratterizzata da quel
dinamismo giovanile che si rivelava così forte nel nostro Fondatore e alle origini della
nostra Società [e della nostra Ispettoria (possiamo con tutta proprietà affermare noi)]. È
uno slancio apostolico che ci fa cercare anime e servire Dio solo»284. Queste espressioni
richiamano una carità in movimento, che ha bisogno di agire e di realizzarsi in forma
pratica e appassionata; una carità però che non si basa nella filantropia, ma nel sapersi amati
per primi. Così la carità non diventa un esercizio stoico, ma la naturale risposta alla chiamata
del Signore ad amare come ci ha amato Lui.
282 Progetto di vita dei salesiani di don Bosco, 421.
283 «I doni personali di vario ordine (intellettuali, pratici e soprattutto spirituali) sono dati perché il
chiamato possa conoscere e vivere i valori della vocazione salesiana, specialmente l'urgenza per il servizio
dei giovani poveri, e possa inserirsi nel progetto di una comunità, che è incontro di persone, è
«Congregazione» (il vocabolo stesso esprime con dinamismo vocazionale la «chiamata»); sono dati perché
egli possa realizzarsi pienamente in Cristo, l'Uomo perfetto.
Si esprime qui la certezza che il Signore accompagna ciascun chiamato con la ricchezza della sua
grazia: come potrebbe, infatti, lo Spirito indirizzare uno su una strada e non fornirgli forze e capacità per
percorrerla? Ma, d'altra parte, si sottolinea anche l'importanza del discernimento che ognuno deve
compiere per conoscere la propria vocazione e accertare l'idoneità di fronte alla scelta della vita salesiana:
se uno è chiamato, che cosa dovrà fare per rispondere al dono di Dio?» Progetto di vita dei salesiani di don
Bosco, 224.
284 C 10.
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Amare autenticamente è esigente, infatti «nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici»285. Una simile oblazione è possibile solo a chi ha
accolto per primo l‘Amore infinito di Dio.
Servire nella carità risulta veramente impegnativo, in un contesto in cui le logiche
che legano gli uomini fra di loro conoscono spesso il dramma del peccato e della
distruzione, della divisione e dell‘incomprensione, dell‘odio e della guerra (tristemente
odio e guerre dichiarate molte volte in nome della fede, della pace, della giustizia o della
libertà). In un contesto lacerato per l‘ostilità come lo è il Medio Oriente, servire Dio e gli
altri risulta in molti aspetti faticoso… questo è uno dei dati più evidenti della storia di
Beitgemal. Tuttavia, è questa la fatica che è stata fatta propria dal Figlio di Dio incarnato,
che ha donato così nuova dignità alle opere e ai giorni degli uomini. In comunione con Lui
«che ha lavorato con mani d‘uomo e ha amato con cuore d‘uomo»286 i salesiani a Beitgemal
hanno riconosciuto nella fatica quotidiana lo strumento con il quale intervenire sulla
trasformazione della realtà per conformarla al progetto di Dio.
«Nell‘attesa dei cieli nuovi e della terra nuova, il cristiano sa di servire la
causa di Dio nella causa dell‘uomo. Umanizzare il mondo è servire il Signore, che vi
è entrato e vi opera in vista della finale ―ircapitolazione‖ di tutte le cose in Dio.
Offerta a Dio nella fatica dei giorni, la nostra vita può diventare la via di una
comunione sempre più profonda con il Cristo, redentore dell‘uomo»287.
Affermano le costituzioni che i salesiani «nella lettura del Vangelo siamo più
sensibili a certi lineamenti della figura del Signore»288; dentro questa sensibilità carismatica
potremo sostenere che Dio – attraverso la vita delle due colonne spirituali dell‘Ispettoria
MOR: don Belloni e il sig. Srugi – ci invita a privilegiare, per il nostro contesto, due
passaggi altamente significativi: la parabola del Padre buono (Belloni) e quella del Buon
Samaritano (Srugi).
Con la sua vita Abuliatama (il Padre degli orfani – don Belloni) fu riflesso vivente
del padre che vede il figlio «quando ancora è lontano» e gli va incontro, che ascolta
285 Gv 15, 13.
286 CEI/COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L‘ANNUNCIO E LA
CATECHESI, Lettera ai cercatori di Dio, 85.
287 CEI/COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L‘ANNUNCIO E LA
CATECHESI, Lettera ai cercatori di Dio, 86.
288 «Nella lettura del Vangelo siamo più sensibili a certi lineamenti della figura del Signore: la gratitudine al
Padre per il dono della vocazione divina a tutti gli uomini; la predilezione per i piccoli e i poveri; la sollecitudine
nel predicare, guarire, salvare sotto l'urgenza del Regno che viene; l'atteggiamento del Buon Pastore che
conquista con la mitezza e il dono di sé; il desiderio di radunare i discepole nell'unità della comunione fraterna»
Cfr. C 11.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
l‘impacciata confessione del figlio il quale desidera riprendere la sua dignità, che lo
abbraccia e lo bacia e fa preparare per lui un gioioso banchetto. È la gioia perché il figlio
che era perduto, o poteva perdersi e morire nel mondo dell‘indifferenza, è stato ritrovato ed
è tornato alla vita. Don Belloni fu per i ragazzi poveri e abbandonati della Palestina la
reale trasparenza della bontà del Padre, tutto ciò che Abuliatama offrì loro (pane, casa,
famiglia, cura, educazione, paternità) li rimandava a una realtà superiore, a una realtà di
amore celestiale.
Anche il Mualem Srugi (il maestro Srugi) è l‘invito vivo di Dio a rispondere con
sincerità alla domanda, tante volte egoista, che ci facciamo: Chi è il mio prossimo? Quali
sono i miei autentici destinatari? Ed ecco che Simone Srugi ci rimanda al buon samaritano
narrato in Lc 10, 25-37. Egli non si chiede fin dove arrivino i suoi doveri di solidarietà e
nemmeno quali siano i meriti necessari per la vita eterna. Accade qualcos‘altro: gli si
spezza il cuore. Vedere l‘uomo in quelle condizioni lo prende «nelle viscere», nel profondo
dell‘anima. E in virtù del lampo di misericordia che colpisce la sua anima diviene lui stesso
il prossimo, andando oltre ogni interrogativo e ogni pericolo.
«Pertanto qui la domanda è mutata: non si tratta più di stabilire chi tra gli
altri sia il mio prossimo o chi non lo sia. Si tratta di me stesso. Io devo diventare il
prossimo, così l‘altro conta per me ―come me stesso‖.
Se la domanda fosse stata: ―Èanche il samaritano mio prossimo?‖, allora
nella situazione data la risposta sarebbe stata un ―no piuttosto netto. Ma ecco, Gesù
capovolge la questione: il samaritano, il forestiero, si fa egli stesso prossimo e mi
mostra che io, a partire del mio intimo, devo imparare l‘essere-prossimo e che porto
già dentro di me la risposta. Devo diventare una persona che ama, una persona il cui
cuore è aperto per lasciarsi turbare di fronte al bisogno dell‘altro. Allora trovo il mio
prossimo, o meglio: è lui a trovarmi»289.
«Guardare il figlio quando ancora è lontano e andargli incontro» e «guardare chi è
ferito e lasciarsi prendere nelle viscere, farsene vicino (prossimo) e prendersene cura» sono
la scuola di servizio, la scuola di amore, che Gesù ci invita a realizzare in Lui e con Lui;
per far si che il suo sguardo sia il nostro sguardo, i suoi criteri i nostri criteri, le sue azioni
le nostri azioni, i suoi sentimenti i nostri sentimenti. «Chi ama Iddio è in Dio; cessando di
vivere in sé, vive in Lui nel quale tutto vive»290.
289 J. RATZINGER, Gesù di Nazaret, Città del Vaticano, LEV, 2007, 234.
290 S. SRUGI, Massime per i confratelli 2, in AIMOR. [Cfr. Allegato n. 2, pensiero 289].
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
7. Fino alla effusione del sangue
Il Concilio Vaticano II afferma che come Gesù, il Figlio di Dio, manifestò il suo
amore consegnando la sua vita per noi e accettando liberamente la morte per la salvezza
del mondo, così alcuni cristiani furono chiamati da Dio, fin dai primi secoli e saranno
chiamati fino alla fine dei tempi, a rendere una suprema testimonianza di amore davanti
agli uomini, in particolare davanti ai loro persecutori291.
Il martirio è proprio dell‘essere cristiano, perché Gesù ce lo ha detto, quando
dichiara le condizioni che uno deve accettare per diventare suo discepolo: rinnegare se
stesso e assumere la propria croce fino a dare la vita. Quindi, in questa obbedienza – al
Vangelo di Cristo - si inserisce anche la possibilità del martirio, di dare cioè la vita per la
fedeltà alla verità e per la fedeltà a Cristo, che è la rivelazione di Dio.
Il martirio è intrinseco alla fede, non nel senso che si deva cercare il martirio, ma
nel senso che si deve tenere presente che il martirio può esserci «per me». Questo
principio, generale per tutti i cristiani, non è estraneo alla spiritualità salesiana, come una
visione superficiale di essa potrebbe far pensare:
«La visuale ―igoiosadel salesiano, la sua professione di bontà e la volontà
di concordare, le sue attività promozionali rendono quasi lontana l‘idea del martirio.
Eppure il servizio pastorale della gente e la dedizione educativa ai giovani non si
possono realizzare senza la disposizione che costituisce internamente il martirio, cioè
l‘offerta della vita e la conseguente assunzione della croce. La nostra missione è
infatti dono di noi stessi al Padre per la salvezza dei giovani secondo le modalità che
Egli stesso disporrà. Altrettanto si può dire della fedeltà alla nostra consacrazione già
dall‘antico paragonata ad un martirio incruento per il suo carattere di offerta totale e
incondizionata.
Noi viviamo lo spirito del martirio nella carità pastorale quotidiana della
quale Don Bosco affermava: ―Quanod avverrà che un salesiano soccomba lavorando
per le anime, la Congregazione avrà riportato un gran trionfo‖. Ed è interessante
rilevare come nel contesto di questa offerta quotidiana egli raccomandasse la
disponibilità all‘evenienza di un martirio cruento: ―Se il Signore nella sua
Provvidenza volesse disporre che alcuni di noi subissero il martirio, forse per questo
ci avremmo da spaventare?»292.
Ancora più, questa possibilità diventa specialmente probabile nel contesto della
missione nel Medio Oriente293. A Beitgemal si è verificato, e la storia ci mostra chiara-
mente che non sono stati soltanto episodi sporadici.
291 Cfr. LG 42.
292 J. VECCHI, Santità e martirio al alba del terzo millennio, in ACS 80 (1999) 368, 4-26.
293 Ricordano le proposizioni del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente: «Pur denunciando come ogni
uomo la persecuzione e la violenza, il cristiano ricorda che essere cristiano comporta la condivisione della
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Elementi per una spiritualità salesiana nel MOR
Il martirio, reso conforme a Cristo, testimonia in modo radicale la santità di Dio e
la dignità dell'uomo e la sua morte realizza paradossalmente, al di là del tempo e della
storia, la vittoria definitiva del bene sul male. Offrendo liberamente la sua vita in unione
con Cristo, il martire è segno vivente della comunione dei santi e fonte di vita nuova
perché, partecipando al mistero della croce, si inserisce nella dinamica della potenza del
Risorto e, sperimentando l'unione mistica con le divine Persone, continua a costruire la
Chiesa portando salvezza al mondo.
Croce di Cristo. Il discepolo non è più grande del Maestro (Cfr. Mt 10, 24). Il cristiano si ricorda la
beatitudine dei perseguitati a causa della giustizia che avranno in eredità il Regno (Cfr. Mt 5,10)».
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CONCLUSIONE
Sono partito con la convinzione della utilità spirituale e formativa del far memoria
della propria storia; più arricchente ancora, se tale esercizio della memoria si realizza
dentro un sguardo di fede, con la certezza che Dio è realmente presente nella storia.
Inoltre, ho fatto mio il criterio della teologia spirituale che vede nella vita dei santi
veri e propri «luoghi privilegiati per fare teologia» che, capaci di interpretare un‘epoca e di
diventare punti di riferimento per ogni tempo, riescono a indicare alcune costanti della vita
spirituale e a offrire una comprensione unitaria e sistematica dell‘intera esperienza di fede.
In questo senso, mi sono avviato all‘avventura di realizzare una lettura credente del
vissuto di Simon Srugi e della comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958). Per
evidenziare in essa gli elementi per una spiritualità salesiana in Medio Oriente.
I miei approcci di partenza non mi hanno deluso. L‘esercizio della memoria si è
rivelato particolarmente arricchente; la vita di Simone Srugi si è dimostrata vero «luogo
teologico»; e lo sforzo di privilegiare il vissuto relazionale della sua comunità risultò molto
positivo. Devo riconoscere però che nell‘evidenziare in profondità il «vissuto relazionale»
non mi sono spinto quanto desideravo: primo, perche ero condizionato dal materiale
bibliografico e archivistico esistente; e secondo, perché anche io stesso (educato nella mens
regnante e vincolato ad essa) faccio fatica ad essere fedele alla mia intuizione.
Con tutto ciò, sono emerse delle prospettive originali (per la contestualizzazione
carismatica e culturale) di alcune costanti della vita spirituale. Prima fra tutte, la rinnovata
consapevolezza del valore e delle implicanze spirituali e formative della coscienza e del
vissuto del discepolato: non si può diventare educatori nella fede (dei giovani, dei poveri,
degli ortodossi, dei musulmani) se non si vive prima e continuamente come
discepoli/imparanti nella fede.
Ai salesiani del Medio Oriente Dio ha parlato attraverso il vissuto spirituale dei
pionieri dell‘Ispettoria. Rileggendo nella fede la storia della comunità di Beitgemal sono
riuscito a individuare i seguenti elementi come parti essenziali dell‘identità propria dei
discepoli del Signore da salesiani in Medio Oriente: guidati dallo Spirito, imparare a
imparare dalla vita, lo spirito di famiglia, apertura all’ascolto e al dialogo, il perdono
cristiano, la carità e il servizio come via di configurazione a Cristo e, infine, l’apertura
alla possibilità del martirio. Così come sono spiegati nel quinto capitolo.
143

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Conclusione
Per apprezzare il lavoro nei suoi contorni adesso vorrei evidenziare, secondo il mio
parere, i pregi, i limiti e le prospettive aperte.
La ricerca offre alla comunità di Beitgemal un prezioso apporto storiografico
raccogliendo in 40 cartelle una presentazione dei 120 anni di storia raccontate nelle
cronache della comunità.
Interessante anche l‘identificazione dell‘elenco dei confratelli che sono appartenuti
alla comunità. In più, adesso sono a disposizione diversi dati su di essi: classificazione per
stato, anni di appartenenza, origine, perseveranza, ecc. Questa può apparire una fatica poco
significativa, ma nel mio caso è stata fondamentale per ricavare il catalogo delle lettere
mortuarie che dovevo leggere; solo così sono riuscito a ottenere informazioni preziose che
altrimenti non sarebbero sufficientemente fondate.
In questo modo sono riuscito ad arrivare alle storie del sig. Angelo Bormida (per
me la più grande scoperta di questa ricerca), di don Varaia, di don Corradin, del chierico
Tomaso Farah (anche di lui c‘è da stupirsi; non è da poco avere il nostro Andrea Beltrami
arabo), di don Giovanni Almagian294. Altrimenti questi vissuti si potrebbero perdere
nell‘oblio dell‘ignoranza.
L‘identificazione delle lettere mortuarie giuste e la loro lettura mi permette di
affermare con proprietà, ciò che non si affronta in nessun‘altra parte: che il lavoro con i
musulmani di Simone Srugi era abbastanza condiviso dai confratelli; che tanti confratelli
stabilirono con essi relazioni di simpatia ma abbastanza superficiali; e che, invece, sono
stati i coadiutori a coinvolgersi con profondità nel vissuto quotidiano dei contadini
musulmani, riuscendo così ad adempiere una eccellente attività di evangelizzazione
indiretta, ottenendo, anche, a suscitare alcune conversioni.
Adesso posso anche affermare che, per le ragioni spiegate nella ricerca, i confratelli
locali fanno più fatica nel lavorare con i mussulmani, ma quelli che nel Signore hanno
superato sé stessi, sono riusciti a compiere un servizio spirituale e pastorale altamente
qualificato.
Utile è il riscatto degli scritti di Simone Srugi (riconosco che io ho fatto poco uso
d‘essi, ma è un grande vantaggio per futuri approfondimenti l‘averli a disposizione).
294 Ciò tenendo presente che era già diffusa la significatività dei vissuti di don Belloni, di don Eugenio
Bianchi, di don Rosìn e di Simone Srugi.
144

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Conclusione
Proficuo anche, il riportare alla memoria i fatti storici de «la questione dei
confratelli arabi» per non dimenticarli, ma neanche manipolarli (riportando solo ciò che
può essere comodo a chi fa un discorso di parte).
Nel discorso sulle basi epistemologiche si presenta una buona sintesi e un
intelligente intento di dialogo delle due componenti del curriculum. Infatti, la ricerca è
stata un esercizio pratico che ha tratto giovamento da questo dialogo.
L‘esercizio di lettura credente della propria storia è una proposta formativa,
teoricamente fondata e abbastanza sviluppata, in modo particolare dai professori Roggia e
Cencini. Se c‘è una novità nella mia ricerca, credo si possa trovare nell‘applicazione di un
tale esercizio a un vissuto comunitario; ciò si può riscontrare anche nelle idee dei
professori citati ma sono idee, che nel contesto di una applicazione comunitaria, risultano
piuttosto generiche e ipotetiche.
In merito alla lettura credente, ritengo sia stata di grande validità spirituale-
formativa soprattutto su alcuni argomenti di cui ancora oggi si sentono le ferite: la
relazione fra i confratelli locali e missionari, la relazione con i Pastori della Chiesa, la
relazione con i musulmani, l‘atteggiamento/confronto con il martirio/testimonianza sia
ordinario che straordinario.
Infine gli elementi per una spiritualità salesiana in Medio Oriente proposti nel
quinto capitolo, certamente non sono né un elenco esauriente ma neanche l‘esaudimento di
nessuno dei temi lì trattati; si propongono di offrire alcune piste significative per suscitare
l‘identità propria dei salesiani del MOR e, in conseguenza, rafforzare il senso
d‘appartenenza alla comunità ispettoriale.
A livello personale, devo dire che mi sento compiaciuto di essermi mantenuto
fedele ai principi proposti nel proemio (che gli apporti finali della ricerca fossero utili per
me e per i miei; che l‘investigazione mettesse in dialogo le due componenti del mio
curriculum: teologia spirituale e scienza della formazione; e infine, che la fatica
accademica fosse uno sforzo reale di dialogo fra fede, cultura e vita).
Questa ricerca è stata una bellissima opportunità di inserimento, affettivo e
effettivo, nel vissuto dell‘Ispettoria. Credo che certamente mi aiuterà nel mio compito
esistenziale d‘inculturazione.
Anche se riconosco che l‘opzione di sviluppare un tema panoramico suscita non
pochi inconvenienti a livello accademico, tale scelta, credo, mi permette d‘avere uno
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Conclusione
sguardo d‘insieme della realtà in cui devo inserirmi… nelle mie condizioni, preferibile alla
specializzazione di un unico aspetto di essa.
La ricerca si è basata sulle fonti archivistiche: per me è stata una grande sfida, e ho
la sensazione di non essere stato all‘altezza. Credo che un lavoro simile richieda delle
competenze storicistiche e letterarie che io non possiedo.
Lungo il lavoro mi sono reso conto che oltre alle cronache, le lettere mortuarie, i
documenti e le biografie, un‘altra fonte importantissima sarebbero stati gli interscambi
epistolari. Ma l‘archivio più ricco in questo senso è il ASC il cui acceso presenta alcuni
problemi, oltre che a implicare un lavoro a cui non ero preparato e una disposizione di
tempo che non possedevo.
Nonostante che quanto presento storicamente sia un materiale abbastanza buono,
mi rendo conto dell‘esistenza di alcune imperfezioni storiche che non saprei come
superare. Ad esempio, a dispetto dell‘impegnativo lavoro nell‘identificare l‘elenco dei
confratelli che sono vissuti a Beitgemal, è molto probabile che ci sia un margine di errore
(spero non molto alto) sia nell‘elenco stesso, che nei dati complementari.
Il limite più evidente è la mancanza di profondità dei diversi argomenti in
conseguenza all‘ampiezza del tema. Mi sono reso conto anche di altri spunti che
emergevano dalla storia della comunità che neanche ho voluto segnalare per non
disperdere di più i contenuti già proposti.
Considero, come già ho accennato, che si potrebbe essere ancora più spiritualmente
attenti al vissuto relazionale/comunitario. A volte i temi sono più sviluppati nella sovrap-
posizione di singoli vissuti e non tanto una evidenziazione della relazionalità.
La tesi offre le basi per continuare l‘esercizio di lettura credente negli anni
successivi a quelli della nostra ricerca, cioè dal 1958 a nostri giorni; di per sé, è noto che in
questo periodo più contemporaneo si può trovare la figura spirituale di don Domenico
Dezzutto e il suo meraviglioso apostolato della buona stampa. È un lavoro auspicabile.
Questa ricerca si offre anche come modello per la realizzazione di un simile studio
nelle altre comunità dell‘Ispettoria MOR. L‘ideale sarebbe arrivare ad avere una riflessione
sufficientemente ricca, a livello storico-spirituale, che permetta una seria rilettura della
storia della comunità ispettoriale.
In riferimento a Simone Srugi pensò che si devono valorizzare di più i suoi scritti,
certo che ci vuole oltre che ha una seria critica letteraria, una critica teologico-spirituale,
146

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Conclusione
anche discernendo ciò che è datato dalla messaggio perenne. Inoltre, credo che Srugi può
offrire un messaggio spiritualmente qualificato su alcuni temi ancora un po‘ sofferti:
sull‘identità del salesiano coadiutore, sull‘identità orientale dei salesiani locali,
sull‘apostolato con i musulmani.
Infine adesso ci vuole una seria riflessione pedagogica per aiutare ad assimilare
quanto è proposto nella ricerca a favore della formazione permanente di tutti i confratelli,
della formazione iniziale dei confratelli locali e della formazione propria nell‘inserimento
dei nuovi missionari.
147

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BIBLIOGRAFIA
1. Fonti
1.1. Fonti archivistiche
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4 cronache sintesi, in ACB, Beitgemal, 1891-2010.
Lettere mortuarie (88 depliant), in AIMOR, Casa Ispettoriale MOR Betlemme, 1892-2010.
Registri scolastici 1908-1914, in ACB, Beitgemal, 1908-1914.
Libro di registro della «Pia Opera di Stefano per la diffusione del perdono cristiano», in
ACB, Beitgemal, 1923.
BELLONI A., Bulletin Annuel (Relazione annuale ai benefattori), in AIMOR, Betlemme,
1880-1902.
BIANCHI E., Lettera sullo stato della Colonia Agricola di Beitgemal inviata da don
Eugenio Bianchi e Alfredo Sacchetti al Capitolo Superiore dei Salesiani, in ACB,
Beitgemal, aprile 1913.
BORREGO J., I salesiani nel Medio Oriente (pro-manuscripto), in AIMOR, Betlemme,
1983.
DEZZUTO A., Apostolato della buona stampa a Beitgemal. Relazioni annuali 1986-2010,
in ACB, Beitgemal, 2010.
POLACEK J., I salesiani di don Bosco e le figlie di Maria Ausiliatrice nella Palestina,
specialmente tra il 1891 e il 1910, in Archivio Pontificio Istituto Orientale (PIO),
Roma, 1976.
SRUGI S., Massime ai giovani, massime sul Sacro Cuore, massime varie, massime ai
confratelli (Pro-manuscripto), in AIMOR,1896-1940.
1.2. Fonti sul vissuto di Simon Srugi e la Comunità di Beitgemal
FORTI E., Un buon samaritano concittadino di Gesù, Leumann, Elle Di Ci, 1967.
--, Fedeli a don Bosco in Terra Santa, Leumann, Elle Di Ci, 1988.
148

15.9 Page 149

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Bibliografia
GISLER M., Cafargamela : il sepolcro di santo Stefano protomartire e dei santi
Nicodemo, Gamaliele e Abibone ritrovato a Beitgemal (Palestina) dai salesiani del
ven. don Bosco, B. Kühlen (Germania), Typogr. Apost., 1923.
PEDRAZZI O., Una croce in terra santa. In memoria di don Mario Rosin, Roma, Scuola
Salesiana del Libro, 1938.
RIVA G., Manuale di Filotea, Milano, Serafino Majoreli, 1884.
SHALHUB G., Abuliatama, il “Padre degli orfani” nel paese di Gesù, il can. A. Belloni,
Torino, SEI, 1955.
1.3. Documenti della Congregazione salesiana (in ordine cronologico)
SALESIANI DIREZIONE GENERALE, Annuario. Salesiani di don Bosco, Direzione
generale Opere Don Bosco, Roma, S.D.B., 1890-2011.
Costituzioni della Società di san Francesco di Sales, Roma, S.D.B., 1984.
Progetto di vita dei salesiani di don Bosco, guida alla lettura delle Costituzioni salesiane,
Roma, S.D.B., 1986.
CAPITOLO GENERALE XXIII-SALESIANI DI DON BOSCO, Educare i giovani nella
fede, Documenti Capitolari, Roma, S.D.B., 1990.
VECCHI J., Santità e martirio al alba del terzo millennio, in ACS 80 (1999) 368, 4-26.
La formazione dei salesiani di don Bosco. Principi e norme. Ratio fundamentalis et
studiorum, S.D.B., Roma 2000.
CHAVEZ P., Lettera del Rettor Maggior a conclusione della Visita Straordinaria,
29.06.2004.
------
Positio super virtutibus. Beatificationis et Canonizaionis Servi Dei Simoneis Srugi Laici
Professi Societatis Salesianae, Roma, 1988.
149

15.10 Page 150

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Bibliografia
1.4. Documenti della Chiesa (in ordine cronologico)
CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium sulla Chiesa, 21
novembre 1964, in Enchiridion vaticanum, 1. Documenti ufficiali della Santa Sede
1971. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 1971, 284-445.
CONCILIO VATICANO II, Costituzione pastorale Gaudium et Spes sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo, 7 dicembre 1965, in Enchiridion vaticanum, 1. Documenti
ufficiali della Santa Sede 1971. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna
1971, 1319-1644.
CONCILIO VATICANO II, Decreto Conciliare Ad Gentes sulla attività pastorale della
Chiesa, 7 dicembre 1965, in Enchiridion vaticanum, 1. Documenti ufficiali della
Santa Sede 1971. Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 1971, 1087-
1242.
Catechismo della Chiesa cattolica, LEV, Città del Vaticano, 1992.
GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica Postsinodale Vita Consecrata, 25 marzo
1996, in Enchiridion vaticanum, 15. Documenti ufficiali della Santa Sede 1996.
Testo ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 1999, 205-455.
GIOVANNI PAOLO II, Non c’è pace senza giustizia, e non c’è giustizia senza perdono.
Messaggio per la celebrazione della giornata della pace, 1 gennaio 2002, in
Enchiridion vaticanum, 20. Documenti ufficiali della Santa Sede 2001. Testo
ufficiale e versione italiana, EDB, Bologna 2004, 2292-2318.
2. Studi sulla fonte
SACCHETTI A., Studi Stefanini, Beitgemal, 1934.
CHARBEL A., Beit-jimal identificata con Caphar-Gamala negli studi di St. H. Stephan, in
«Salesianum» 31 (1969) 667-676.
FERGNANI G., Il Sepolcro di S. Stefano Protomartire scoperto a Beitgemal, Torino,
1930.
--, L’Invenzione di S. Stefano Protomartire negli scritti di S. Agostino, Beitgemal, 1930.
150

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Bibliografia
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Salesiano», 54 (1930), 6.
ROCCA A., Vita di Santo Stefano protomartire, San Benigno Canavese, Tipografia Don
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3. Altri studi
CEI/COMMISIONE EPISCOPALE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, L‘ANNUNCIO
E LA CATECHESI, Lettera ai cercatori di Dio, Leumann, Elle Di Ci, 2009.
BALTHASAR H. U. von, Gloria I. Un’estetica teologica, Milano, Jaca Book, 1975.
CARELLI R., L’uomo e la donna nella teologia di H. U. von Balthasar, Lugano,
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CENCINI A., I sentimenti del Figlio, Bologna, EDB, 1998.
--, L' albero della vita. Verso un modello di vita di formazione iniziale e permanente,
Cinisello Balsamo, San Paolo, 2005.
CERIA E., Annali IV, Torino, Edizione Internazionale, 1951.
--, La Vita Religiosa secondo gl’insegnamenti di S. Francesco di Sales, Torino, SEI, 1938.
GARCÍA J.M., La teologia spirituale oggi. Verso una descrizione del suo statuto
epistemologico, in La teologia spirituale. Atti del Congresso Internazionale OCD
(Roma 24-29 aprile 2000), Roma, OCD/Teresianum, 2001, 205-238.
--, Teologia dell’esperienza spirituale cristiana – giustificazione epistemologica e
interdisciplinarietà, Roma, 2009.
--, Teologia dell’esperienza spirituale cristiana – temi fondamentali, Roma, 2010.
LEMOYNE G.B. – AMADEI A. – CERIA E., Memorie biografiche di don (del beato – di
san) Giovanni Bosco (19 tomi), S. Benigno Canavese-Torino, SEI, 1898-1939.
GUARDINI R., Accettare se stessi, Brescia, Morcelliana, 1992.
MANENTI A., Vivere gli ideali, II. Fra paura e desiderio, Bologna, EDB, 2001
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Bibliografia
MOIOLI G., Il discepolo, Milano, Glossa, 2000.
PANIMOLLE S. (ed.), Apostolo discepolo missione, Roma, Borla, 1993.
STAGLIANO A., La teologia «che serve». Sul compito scientifico-ecclesiale del teologo
per la nuova evangelizzazione, Torino, SEI, 1996.
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ALLEGATI
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ALLEGATI
1. Lettera di Luciano. Sul ritrovamento del corpo di S. Stefano nel 415 d.C.
2. Scritti di Simon Srugi
3. Cronistoria di Beitgemal 1958 – 2011
4. Accenni biografici dei confratelli più significativi di Beitgemal
5. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine cronologico
secondo il primo anno della loro permanenza in comunità
6. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine alfabetico
7. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal e poi usciti della Congregazione
8. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal che hanno cambiato d‘Ispettoria
9. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal decessi nel MOR
10. Quadro complessivo della presenza dei salesiani a Beitgemal
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Allegati
1. Lettera di Luciano. Sul ritrovamento del corpo di S. Stefano nel 415 d.C.
Esistono parecchie versioni della “lettera di Luciano”, fra le quali non mancano
alcune divergenze. Ma tutte sono testimoni del miracoloso ritrovamento del corpo del
Protomartire nel villaggio di Cafargamala nei pressi di Aelia (Gerusalemme) nell’anno
415. La traslazione delle reliquie nella Chiesa Madre del Sion diede origine alla festa del
Santo il 26 dicembre. Riportiamo il testo nella traduzione di G. Fergnani (Cafargàmala,
Torino 1923, 9-23).
«Luciano, per la misericordia di Dio, povero ed ultimo fra gli uomini, prete della
Chiesa di Dio nel villaggio di Cafargàmala, territorio di Gerusalemme, alla Santa Chiesa di
tutti i santi in Gesù Cristo nel mondo intero, salute nel nostro Signore.
Ho stimato necessario far noto al vostro amore in Gesù Cristo la triplice visione
avuta da parte di Dio, riguardo la rivelazione delle reliquie del beato e glorioso
protomartire Stefano, primo diacono di Cristo, di quelle di Nicodemo, del quale si parla nel
Vangelo, come pure di Gamaliele rammentato negli Atti degli Apostoli.
Io l‘ho fatto ad istanza, o meglio per l‘ordine d‘un santo, d‘un servo di Dio, il
nostro padre, prete Avito.
Obbedisco come figlio al proprio padre, come ho detto, per rispondere alle
domande di lui conformi a sicura fede, con tutta verità e semplicità, tale e quale come la
conosco, senza esitare e senza nulla cambiare.
Il giorno dunque della Parasceve, cioè il venerdì 3 Dicembre, sotto il decimo
consolato di Onorio e il sesto di Teodosio, Augusti, mi ero addormentato, al cadere della
notte, sul mio letto, nel santo luogo del battistero dove ero uso riposare per custodire gli
oggetti adibiti al ministero.
Alla terza ora di notte, che è il primo quarto di guardia delle veglie, caddi in una
specie di estasi, o dormiveglia, e vidi un vegliardo di alta statura, anziano, pieno di dignità,
dai capelli bianchi, dalla barba lunga, rivestito d‘una stola bianca, ornata di nappe d‘oro,
con una croce in mezzo. Teneva in mano un pastorale d‘oro. Egli mi si avvicinò, e postosi
alla mia destra mi toccò col pastorale d‘oro: poi chiamandomi per nome tre volte: «
Luciano, Luciano, Luciano — mi disse in greco: — Récati alla città di Aelia, vale a dire
Gerusalemme, e dirai al sant‘uomo Giovanni, che n‘è il vescovo, queste parole:
―E fino a quando saremo tenuti rinchiusi e tarderai tu ad aprirci le porte? È sotto il
tuo episcopato che noi dobbiamo essere fatti conoscere. Apri senza indugio la tomba dove
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Allegati
i nostri resti sono rimasti senza onore, affinché per mezzo nostro, Dio, il suo Cristo, e lo
Spirito Santo aprano la porta della loro clemenza sul mondo; poiché le numerose colpe di
cui questo secolo è testimonie tutti i giorni, lo mettono in grande pericolo. D‘altronde più
che di me, è di loro che io mi prendo pensiero.
Io gli risposi in questi termini: ―Chi siete voi dunque, signore, e chi sono coloro che
sono con voi?.
Ecco la sua risposta: ―Io sono Gamaliele che ho allevato Paolo, l‘Apostolo di
Cristo, a cui ho insegnato la legge a Gerusalemme. Colui che è posto vicino a me, nella
tomba, dalla parte dell‘oriente, è il Signore Stefano, che i principi dei sacerdoti ed i Giudei
hanno lapidato a Gerusalemme, per la fede di Cristo, fuori della porta, che è dalla parte del
nord, sulla via di Cedar, dove restò un giorno e una notte steso per terra, senza sepoltura,
perché diventasse, secondo l‘empio ordine dei principi dei sacerdoti, preda delle bestie
selvaggie. Ma Dio non permise che lo toccassero. Le bestie selvagge, gli uccelli rapaci, e i
cani rispettarono quei resti preziosi.
Ed io Gamaliele, pieno di compassione per la sorte del ministro di Cristo e bramoso
di ricevere il guiderdone e aver parte con quel sant‘uomo nella pace, ho inviato durante la
notte tutti gli uomini religiosi che conoscevo credenti in Gesù Cristo, residenti in
Gerusalemme, fra i Giudei, e feci loro le più calde raccomandazioni. Diedi tutto ciò che era
necessario esortandoli a recarsi segretamente sul luogo del supplizio per togliere il corpo e
portarlo sopra uno dei miei carri alla mia casa di campagna, chiamata Cafargàmala, vale a
dire, casa di campagna di Gamaliele, a venti miglia dalla città.
In quel luogo si svolsero i funerali che durarono quaranta giorni e fu deposto nel
monumento che avevo fatto fare per me nel lato dell‘oriente e diedi a tutta quella gente
quanto era necessario per sopperire a tutte le spese dei funerali. Nell‘altra urna fu posto il
signor Nicodemo, quello stesso che andò a trovare Gesù di notte e intese dalla bocca di lui
queste parole: Chi non rinasce nell‘acqua e nello Spirito Santo non entrerà nel regno dei
cieli, e che fu battezzato dai discepoli di Gesù Cristo dopo il colloquio che ebbe con lui.
Quando i Giudei vennero a saperlo, lo privarono del suo titolo di principe e lo cacciarono
dalla città. Sono io Gamaliele che l‘accolsi nella mia proprietà come una vittima della
persecuzione per il Cristo. L‘ho provveduto di tetto e di vitto sino al termine dei suoi giorni
e alla sua morte l‘ho fatto sotterrare con me accanto al Signore Stefano. Avevo un figlio
amatissimo, chiamato Abibone (Abibas): egli era stato battezzato dalla mano dei discepoli
del Signore, mori, all‘età di venti anni, prima di me e fu deposto nell‘urna superiore, ove
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Allegati
fui collocato io stesso dopo morte. Quanto a mia moglie Ethna e al mio figlio maggiore
Selemias, non avendo voluto essere discepoli di Cristo, furono sotterrati a Cafarsemelia,
casa di campagna appartenente a mia moglie.
Ed io, povero prete Luciano, feci la seguente domanda a Gamaliele: ―In che posto
dobbiamo cercarvi?
Gamaliele rispose: ―Nel mezzo della borgata, cioè nel campo vicinissimo alla casa
di campagna, chiamato Delagabri, cioè campo degli uomini di Dio.
In questo mentre mi sono svegliato e ho rivolto questa preghiera al Signore:
―Signore Gesù, se questa visione proviene da voi e non è un‘illusione, fate che si rinnovi
una seconda volta, quando vorrete e come a voi piacerà. Mi sono quindi messo a
digiunare e nutrirmi solo di frutta secche fino al venerdì seguente.
Ed ecco che il Signor Gamaliele m‘apparve nella stessa guisa con lo stesso aspetto
e l‘abito medesimo con cui mi apparve la prima volta e mi disse: ―Perché hai trascurato di
andare a dire ciò che avevo prescritto al santo vescovo Giovanni?.
Io risposi: ―Non ho osato, signore, annunziare ciò che avevo visto subito dopo la
prima visione, per timore di essere tenuto come un visionario. Ma ho pregato il Signore, se
era Lui che vi mandava da me, che voi mi appariste una seconda volta e una terza volta.
Gamaliele rispose: ―Credimi, credimi, credimi — poi aggiunse ancora: — Siccome
tu mi hai chiesto dove cercare i corpi di ciascuno e in quall‘ordine sono collocati porgimi
tutta la tua attenzione e nota bene ciò che ti sarà indicato.
―Si, signorerisposi.
Allora egli portò quattro canestri, dei quali tre di oro e uno di argento. I primi tre
erano pieni di rose: due di essi avevano rose bianche e il terzo rose color sangue, il quarto
che era d‘argento, era pieno di zafferano che esalava un odore eccellente. Li pose davanti a
me.
Io gli dissi: ―Che vuol dir ciò, o Signore?
Mi rispose: ―Sono le nostre reliquie. Il canestro dalle rose rosse è il Signor Stefano:
è posto nella tomba a destra dalla parte d‘Oriente entrando. Il secondo canestro è il signor
Nicodemo posto accanto alla porta. Il canestro d‘argento è il mio Abibone, nato dal seno
della testimonianza, vale a dire rigenerato dalla fede: ha lasciato questo mondo con
l‘innocenza immacolata conservata fin da bambino. Ecco perché è rappresentato da un
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Allegati
canestro d‘argento di estrema purezza. Non senti tu lo squisito profumo di zafferano che
esso racchiude? È posto con me sull‘alto del monumento: noi riposiamo insieme come due
fratelli gemelli. Avendo così parlato, disparve dai miei occhi.
Quando mi risvegliai resi grazie a Dio onnipotente e mi rimisi al digiuno aspettando
la terza rivelazione.
Trascorsa la terza settimana, il medesimo giorno e la medesima ora, lo stesso
personaggio mi apparve con aspetto minaccioso e fremente e mi disse: ―Perché hai taciuto
fino ad ora e non sei andato a riferire al vescovo Giovanni ciò che ti fu detto e mostrato?
Quale sarà la tua scusa davanti a Dio, e che perdono speri per tale disdegno nel dì del
giudizio? Non vedi la siccità estrema che affligge il mondo e le tribolazioni di cui è pieno?
E tu non te ne curi. Non pensi che vi sono nel deserto molti uomini più santi e migliori di
te, che noi abbiamo trascurati, perché è per mezzo tuo che vogliamo esser noti al mondo?
Perché se noi abbiamo voluto che tu lasciassi un altro villaggio per divenire pastore di
questo, è appunto perché queste cose fossero scoperte da te. Levati su dunque e vai a dire
al vescovo di aprirci la porta e di fare un luogo di preghiere in questo luogo, affinché per
nostra intercessione il Signore abbia pietà del suo popolo‖.
A tali parole risposi tutto tremando: ―Non è stato per negligenza che io ho agito
così, o Signore: ma aspettavo che voi mi compariste la terza volta. Ma ora senza attendere
un sol giorno, eseguirò tutto ciò che voi mi avete comandato.
Poi, mentre se ne stava dinanzi con aspetto corrucciato, mi parve di avere un‘altra
estasi.
Ero a Gerusalemme in presenza di Giovanni, e gli raccontavo tutta la mia visione.
Pareva ascoltarmi, quindi mi disse: ―Se le cose stanno come voi dite, e se il Signore vi ha
fatto questa rivelazione, nel secolo in cui siamo, bisogna che io vada a prendere in questa
proprietà questo gran bue da lavoro, buono per il carro e per l‘aratro, lasciandovi la
proprietà con tutto il resto.
Gli risposi: ―Signore, che mi importa la proprietà se mi manca il bue per
coltivarla?‖.
Il vescovo mi rispose: ―Voglio che sia così, caro amico, perché la nostra città va
avanti con l‘aiuto dei carri; e il grande bue che voi dite nascosto nella vostra proprietà, è
necessario al nostro tiro. E meglio che si trovi nella nostra gran possessione che nella
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vostra modesta proprietà; non sono abbastanza per voi i due piccoli altri buoi che vi lascio
per lavorare la terra della vostra coltivazione?‖.
Avendo inteso ciò nell‘estasi, cioè nel rapimento, mi svegliai sull‘istante, benedissi
il Signore e mi recai tosto in città dal vescovo Giovanni. Gli riferii tutta la visione, ma
tacqui ciò che aveva relazione al bue e attesi quanto stava per rispondermi. Giacché avevo
ben capito che quel gran bue non era altro che S. Stefano e che i carri di cui si trattava,
erano le chiese, mentre che il gran carro era la prima chiesa di Sion. Or siccome il santo
vescovo poteva chiedermi le reliquie del beato Stefano, non volli perciò fargli cenno del
bue.
A questo racconto il vescovo Giovanni proruppe in lacrime di gioia ed esclamò:
―Benedetto sia il Signore Iddio, figlio del Dio vivente! Se Dio, caro amico, vi ha rivelato
ciò che voi dite e avete inteso, debbo fare la traslazione delle reliquie del beato Stefano,
primo martire e arcidiacono di Cristo, dal luogo dove si trovano a questa città. Ha
combattuto per primo le battaglie del Signore contro i Giudei, e sulla terra ha veduto Gesù
Cristo nella sua maestà in cielo, mentre egli stesso sembrava un angelo davanti
all‘assemblea degli uomini‖.
Il santo vescovo mi disse inoltre: ―Andate, fate degli scavi nel vostro campo e se
troverete qualche cosa, mandatemelo a dire.
Allora io dissi: ―Ho percorso il campo e ho veduto nel mezzo un mucchio di pietre
di piccola dimensione e io penso che là si trovino i corpi.
Il vescovo insistette: ―Vi ho già detto: andate, fate degli scavi e se trovate qualche
cosa, restate per custodire il luogo, quindi inviate un diacono a cercarmi.
Avendo così parlato mi congedò. Quando arrivai al villaggio, mandai dei pubblici
banditori ad avvertire gli abitanti dei luogo ad alzarsi di buon‘ora per scavare il tumulo.
La medesima notte, il signor Gamaliele apparve ad un monaco chiamato
Megethios, uomo semplice ed innocente, sotto le medesime sembianze con cui era apparso
a me e gli disse: ―Andate e dite al prete Luciano: voi perdete il tempo a scavare quel
tumulo. Noi non siamo più là, ma siamo stati riposti in un altro luogo. Mentre piangevano
su noi alla maniera degli antichi elevarono in quel luogo un tumulo in testimonianza dei
cordoglio celebrato in nostro onore. Ma cercate in un altro posto, dalla parte dove soffia il
vento di borea, nel luogo chiamato in siriaco Debatalia, che vuol dire in greco: andron
agathon o degli eroi.
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Allegati
Spuntata l‘alba, alzandomi per il canto degli inni, trovai quel monaco nell‘atto già
di predicare a tutti i fedeli,
Quando gl‘inni furono terminati, io dissi: ―Andiamo al tumulo e facciamo gli
scavi?‖.
Allora mi fu detto: ―Informatevi prima di ciò che racconta il monaco Megethios.
Lo feci venire e gli domandai qual visione avesse avuta.
Mi disse tutte le particolarità che io avevo veduto del Signor Gamaliele, e mi
raccontò come egli avesse veduto un campo situato al sud, dove si trovava un sepolcro
abbandonato e cadente in rovina, nel quale aveva scorto tre letti d‘oro, di cui uno più
elevato degli altri, sul quale due corpi riposavano insieme: l‘uno era quello di un vegliardo,
e l‘altro di un giovane. Non vi era che un corpo su ciascuno degli altri due letti. Ora colui
che riposava, sul letto più elevato, mi disse: ―Andate a dire al prete Luciano che noi siamo
stati i proprietari di questi fondi. Se volete trovare un giusto, un santo, egli è posto nella
parte d‘oriente‖.
Sentendo, queste parole dalla bocca del monaco, glorificai il Signore d‘aver trovato
un secondo testimonio della rivelazione.
Ci dirigemmo dunque verso il tumulo, ma i nostri scavi furono senza alcun
risultato. Allora ci recammo alla tomba che nella stessa notte il nostro monaco aveva
veduto in sogno, e dopo aver fatto degli scavi si trovarono tre urne, secondo ciò che m‘era
apparso sotto forma di canestri.
Trovammo una pietra sepolcrale sulla quale si leggeva in grossissime lettere:
KEAYEA CELIEL, vale a dire, servo di Dio, e ARAAN, DARDAN, che vuol dire
Nicodemo e Gamaliele. Tale è la traduzione che ci diede di queste parole il vescovo
Giovanni, come l‘ho appresa io stesso dalla sua bocca. Mi affrettai dunque di andare a
darne l‘avviso al vescovo che allora era a Lidda, cioè Diospoli, ove presiedeva un sinodo.
Egli prese con sè altri due vescovi, Eleuterio (forse Eustonio) di Sebaste, ed Eleuterio di
Gerico, e tutti e tre si recarono sul luogo. Quando aprirono l‘urna di S. Stefano, la terra
tremò, e si sparse un odore così dolce e soave che nessuno ricorda d‘averne sentito
l‘uguale, o d‘aver inteso che non esista del somigliante; talmente che ci credevamo di
essere trasportati in un giardino di delizie.
Vi era con noi una moltitudine di gente di cui molti affetti da diverse malattie.
Nell‘istante in cui sentirono quel soave profumo settantrè di essi ricuperarono la salute.
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Allegati
Furono scacciati da alcuni i demoni che li possedevano; in altri si stagnò la perdita di
sangue, ed altri guariti di scrofole, foruncoli, fistole, febbre terzane e quartane. Gli uni
furono liberati dalla febbre, gli altri dall‘itterizia, qui una cefalgia che disparve e là una
emicrania. Molti si trovarono guariti da interni dolori di visceri: infine si operarono molte
altre guarigioni che sarebbe troppo lungo narrare minutamente.
Dopo di aver baciato le Sante Reliquie, si richiuse l‘urna, e si portarono quelle di S.
Stefano, cantando salmi ed inni, alla santa chiesa di Sion, dov‘era stato consacrato diacono.
A noi furono lasciate delle particelle delle membra del Santo. Che dico particelle? Delle
grandissime reliquie, voglio dire la terra e la polvere del luogo, dove la carne del suo corpo
s‘era consumata; e si trasportò il resto.
Invio dunque alcune di queste reliquie a vostra Beatitudine. Quando le riceverete,
pregate per la mia povera persona affinché io sia trovato degno agli occhi del Signore,
allorché comparirò dinanzi a Lui, aiutato dai meriti del beato martire S. Stefano e dalle
vostre preghiere.
La traslazione di queste reliquie si è avvenuta il 26 Dicembre.
In quest‘epoca regnava già da lungo tempo una siccità desolante: ma nel momento
stesso della traslazione cadde una pioggia così abbondante che inzuppò la terra.
Tutti glorificavano il Signore a motivo del Santo martire Stefano, e per il tesoro
celeste di grazia e misericordia che nostro Signore Gesù Cristo si degnava elargire al
mondo in pericolo, Egli che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
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Allegati
2. Scritti di Simon Srugi
Gli scritti di Simone Srugi sono raccolti in sette quaderni più gli scritti vari.
Possiamo elencarli così:
1. Massime ai giovani
2. Massime sul S. Cuore
3. Massime varie
4. Massime per i confratelli 1
5. Massime per i confratelli 2
6. Massime per i confratelli 3
7. Propositi
8. Lista dei Battesimi (dal quaderno dei battessimi)
9. Scritti vari
a. Testamento olografo
b. Domanda per i voti perpetui;
c. 2 lettere indirizzate al Sac. D. Mario Gerbo
d. 1 lettera indirizzata alla sorella Zahra Abu-l-Asal
Nota esplicativa: Le «Massime ai giovani» e le «Massime per i confratelli» che
figurano tra gli «scritti del Servo di Dio Simone Srugi di Nazareth» furono trascritte del
medesimo Servo di Dio, con l‘intento di distribuirle ai rispettivi destinatari. In occasione
dei primi venerdì del mese, come si usava fare, ai suoi tempi, in alcune case della
congregazione salesiana.
Alcune delle predette «Massime» furono desunte dal testo «Manuale di Filotea»295
del sacerdote Giuseppe Riva, milanese e precisamente dai seguenti capitoli: «Massime di
vita devota» (p. 28–30) e «Ricordi di vita cristiana» (p. 34–36).
Ogni massima inizia con la sigla Uf. e poi ha una numerazione che normalmente va
dal 1 al 9. Fino adesso non saprei spiegare il significato della sigla o della numerazione.
295 G. RIVA, Manuale di Filotea, Milano, Serafino Majoreli, 1884.
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Allegati
2.1. Massime per i giovani da copiare
1) Uf. 1. Chi non pratica la mortificazione della gola non potrà mai vincere le sue
passione.
2) Uf. 2. La mortificazione della gola è il principio della vita spirituale.
3) Uf. 3. Dal mortificare uno il suo esteriore dipende l‘andar bene aggiustato tutto il
suo esteriore.
4) Uf. 4. Vale più in ―Dio sia benedetto‖ nelle avversità, che mille ringraziamenti
nelle prosperità.
5) Uf. 5. Il vero paziente, non solo non duole del suo male ma non desidera nemmeno
d‘essere compatito dagli altri.
6) Uf. 6. Ove si trova la perfetta uniformità al voler di Dio non può mai regnare né
tristezza né malinconia.
7) Uf. 5. Il procurar di soffrire senza che altri lo sappia e l‘indirizzo più sicuro di
perfezione.
8) Uf. 6. Vale più alzare una paglia per obbedienza che digiunare una quaresima per
propria elezione.
9) Uf. 7. Al vero umile non crede mai che gli sia fatto torto.
10) Uf. 8. A chi Dio è tutto, il mondo deve essergli nulla.
11) Uf. 9. In questo mondo non vi è purgatorio ma o paradiso o inferno chi sopporta le
tribolazione con pazienza ha il paradiso chi no l‘inferno.
12) Uf. 1. Avremo ogni bene se temeremo Iddio e ci guarderemo dal disgustarlo.
13) Uf. 2. Quando qualcuno v‘invita al male fuggitelo come il casto Giuseppe tentato
in casa. di Putifarre.
14) Uf. 3. Siate facili a compatire gli sbagli dei vostri compagni e perdonate volentieri
le offese che ricevete da loro.
15) Uf. 4. Abbiate sempre in orrore la doppiezza e la finzione, perche dispiace a Dio e
ai superiori.
16) Uf. 5. A chi ama Dio gli riusciranno bene tutte le cose.
17) Uf. 6. Abbiate un sommo orrore al peccato, come lo aveva S Stanislao Kostca il
quale sveniva al sentire una parola cattiva.
18) Uf. 7. Confessatevi frequentemente e stimate molto i consigli del confessore.
19) Uf. 8. Parlate sempre bene con gran rispetto delle cose della religione se volete
piacere a Gesù C.
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Allegati
20) Uf. 9. Abbiate una tenera devozione a Gesù C. appassionato se volete crescere nel
suo amore.
21) Uf. 1. Abbiate gran rispetto ai vostri genitori e nel collegio ai vostri superiori come
li rispettava il giovane Tobia il quale non faceva mai niente senza la loro licenza.
22) Uf. 2. Stimate sommamente gli avvisi che vi danno i ministri di Dio così in
pubblico che in privato.
23) Uf. 2. Per avere l‘anima sempre monda imitate s Maddalena dei Pazzi che fino dai
primi anni faceva propria delizia la frequenza dei sacramenti.
24) Uf. 3. Riguardatevi da qualunque immodestia ricordatevi di S Agnese che in
mezzo alle fiamme raccoglieva le proprie vesti per non scoprire la minima parte del
suo corpo.
25) Uf. 4. Temete l‘offesa di Dio più che la morte. Con questo principio Susana fu
sempre innocente anche fra le occasione più forti.
26) Uf. 5. Non dimenticate mai che il peccato è l‘unico male che si deve sempre
fuggire.
27) Uf. 6. Ricordatevi tutti i giorni che la grazia di Dio e l‘unico conforto e l‘unico
bene che si deve sempre stimare ad ogni altro bene.
28) Uf. 7. Uno dei più cari ossequi alla regina del cielo e visitare ogni giorno la sua
immagine in chiesa.
29) Uf. 8. Il miglior modo per acquistare l‘amor di Dio e la vera devozione a Maria SS
e questa devozione è visitarla frequentemente.
30) Uf. 9. Dice S Gregorio papa chi visita Maria SS nelle sue immagini sarà con
abbondanza premiato da quella benignissima madre che si compiace molto da
questo ossequio.
31) Uf. 1. O Maria quanto sono beate quelle anime sopra le quali tu volgi gli occhi
tuoi amorosi.
32) Uf. 2. Aspirate spesso a Dio con brevi ed ardenti lanciamenti del vostro cuore;
donategli mille volte il giorno l‘anima vostra.
33) Uf. 3. Se sarai assiduo nella devozione alla madre di Dio ti arricherai ogni ora di
nuove grazie, e nell‘ora della morte sarai visitato certamente da Lei.
34) Uf. 4 Se voi visitare Maria Ella ti renderà le visite, visitandoti ogni momento dal
cielo cogli amorossi della sua particolare assistenza.
35) Uf. 5. Siamo circondati da molti tentazioni dal demonio e dalle passioni ci vuol
una diligenza somma praticare, se vogliamo far viaggio al paradiso.
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Allegati
36) Uf. 6. Con allegrezza di spirito e con raccoglimento cantante le lodi di Dio ogni
qualvolta che si canta in chiesa.
37) Uf. 7. Siate sinceri nelle parole e guardatevi dalle bugie per non offendere Iddio e
per non essere disonorati d‘avanti ai vostri compagni.
38) Uf. 8. Abbiate una filiale confidenza con il direttore ricorrendo a lui quando avete
qualche dubbio di coscienza.
39) Uf. 9. Usate gran rispetto a tutti i superiori specialmente se sono sacerdoti e
incontrandoli levatevi tosto il capello.
40) Uf. 1. Un sostegno grande per voi o giovani e la devozione a Maria SS ascoltate
come Ella v‘invita chi è fanciullo venga a me.
41) Uf. 2. Se sarai devoto di Maria Ella oltre all‘abbondanza delle sue benedizioni in
questo mondo, vi assicura il bel paradiso nell‘altra vita.
42) Uf. 3. Siate certo che se sei vero devoto di Maria otterrai da Lei tutte le grazie che
avrai bisogno purché non domandi cose che termino a tuo danno.
43) Uf. 4. Sapete che cosa vuol dire cadere in peccato mortale? Vuol dire rinunciare ad
essere figliuoli di Dio per farsi schiavi di satana.
44) Uf. 5. Cadere in peccato mortale vuol perdere quella bellezza che ci rende cari a
Dio e come angeli per diventare come demoni al suo cospetto.
45) Uf. 6. Cader in peccato mortale vuol dire perdere tutti i meriti già acquistati per la
vita eterna e meritare eternamente l‘inferno.
46) Uf. 7. Non fermatevi mai a mirare cose contrarie sia pur poco alla modestia S
Luigi Gonzaga non voleva nemmeno che gli si vedessero i piedi.
47) Uf. 8. Custodite gli occhi che sono le finestre per cui il peccato si fa strada nel
vostro cuore e per cui il demonio viene nell‘anima vostra.
48) Uf. 9. Chi conserva la virtù della purità l‘Angelo suo custode lo tiene per fratello e
gode moltissimo della sua compagnia.
49) Uf. 1. Cader in peccato mortale vuol dire fare una grande ingiuria alla bontà
infinità di Dio e questo è il male più grande che si possa immaginare.
50) Uf. 2. Tutti i giorni chiedete da Maria SS la grazia di poter conservare la virtù
della purità. Il giovane che la conserva ha la più grande somiglianza con gli angeli
51) Uf. 3. State sempre lontani dalla compagnia di quei giovani che fanno discorsi
cattivi altrimenti cattivi anche voi.
52) Uff. 4. Tenete per certo che quanto più puri saranno i vostri sguardi e i vostri
discorsi tanto più Maria si compiacerà di voi.
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Allegati
53) Uff. 5. Felice voi o giovanetto se fuggirete la compagnia dei malvagi sarete sicuri
di camminare per la via del paradiso.
54) Uff. 6. State lontani dai cattivi compagni quando anche fossero vostri parenti e siate
certi che talvolta fa più danno la compagnia di costoro, che non quella d‘un
demonio.
55) Uff. 7. Ricordatevi di praticare il grande avviso del s Vangelo di obbedire prima a
Dio che agli uomini.
56) Uff. 8. Il lascio principale che il demonio tende alla gioventù è l‘ozio sorgente
funesta di tutti i vizzi.
57) Uff. 9. Persuadetevi o giovani che l‘uomo è nato per il lavoro e quando cessa di
lavorare, e fuor del suo centro e corre grande rischio di offendere Iddio.
58) Uff. 1. L‘ozio dice lo Spirito Santo è il padre di tutti i vizzi e l‘occupazione li
combatte e le vince tutti.
59) Uff. 2. Non vi è cosa che tormenti maggiormente i dannati nell‘inferno che il
pensiero di aver passato in ozio il tempo che Dio aveva loro dato per salvarsi.
60) Uff. 3. Non vi è cosa che tanto consoli i beati in paradiso che il tempo loro dato dal
Signore l‘hanno impiegato per la gloria di Dio e per salvarsi.
61) Uff. 4. Se voi amate davvero l‘anima vostra fuggite come la peste i cattivi
compagni.
62) Uff. 5. I cattivi compagni sono tutti quei giovani che in vostra compagnia non si
vergognano di fare discorsi cattivi, di proferire parole immodeste, mormorazioni e
bugie.
63) Uff. 6. Dio vi ama o giovane perché aspetta da voi molte opere buone, vi ama
perché siete in una età semplice, umile, innocente dunque corrispondente al suo
amore.
64) Uff. 7. Iddio porta una particolare affezione ai giovani e trova la sua delizia nel
dimorare con essi. Giusto dunque di amarlo sopra ogni cosa.
65) Uff. 8. Ricordatevi che la mala vita cominciata in gioventù facilmente si continuerà
fino alla morte, e vi condurrà all‘inferno.
66) Uff. 9. Il Signore dichiara felice quell‘uomo che fin dalla sua adolescenza avrà
portato il giogo leggiero e soave dei comandamenti.
(Qui finisce il quadernetto e cominciano tre fogli separati e cambia di tinta nera alla blu)
67) Uf. 1. Onora tuo padre e tua madre e in vece loro i superiori e avrai lunga vita
sopra la terra dice il Signore.
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Allegati
68) Uf. 2. Coloro che non sono obbedienti fanno grande ingiuria ai loro genitori e, in
vece loro, ai superiori e a Dio medesimo.
69) Uf. 3. Gesù Cristo quantunque onnipotente per insegnarci a obbedire fu in tutto
sottomesso alla Beata Vergine e a S Giuseppe.
70) Uf. 4. È dovere di ognuno di pregare mattino e sera per i suoi genitori affinché Dio
conceda loro ogni bene spirituale e temporale.
71) Uf. 5. Qualunque cosa noi domandiamo a Dio in chiesa la otterremo
72) Uf. 6. Quanto gusto date a Gesù Cristo, e che buon esempio date al prossimo
standovi in chiesa con raccoglimento e devozione.
73) Uf. 7. Quando entrate in chiesa guardatevi dal correre o fare strepito ma fatta bene
la genuflessione andate al posto.
74) Uf. 8. Guardatevi bene dal ridere in chiesa o dal parlare senza necessità, basta un
parola o un sorriso per dare scandalo e disturbare.
75) Uf. 9. Abbiate un sommo rispetto ai sacerdoti e ai religiosi e ricevete con
venerazione i loro avvisi.
76) Uf. 1. Quando incontrati per strada sacerdoti Dio vi guardi dal disprezzarli con
parole o con atti, ansi scoprite il capo in segno di riverenza.
77) Uf. 2. Chi non rispetta i sacri ministri deve temere un gran castigo dal Signore, dei
sacri ministri o parlar bene o tacere affatto.
78) Uf. 3. Quando passerete dinanzi alle chiese o a qualche immagine di Maria o di
altri santi scopritevi il capo in segno di venerazione.
79) Uf. 4. Fuggite come la peste i cattivi libri e la cattiva stampa piuttosto che esporre
l‘anima vostra al pericolo di diventare cattiva.
2.2. Massime sul Sacro Cuore
80) Dice Gesù: ogni umiliazione ti lega più intimamente al mio Cuore. Io non vi
domando grande cose, voglio semplicemente l‘amore del vostro cuore. Stringiti al
mio cuore, tu scoprirai tutta la bontà di cui è pieno.
81) Deponi mio Cuore tutte le tue azioni, anche le ricreazione, che saranno ben
custodite.
82) Bisogna che i cuori si uniscano al mio Cuore per mezzo dell‘umiltà e
dell‘annientamento.
83) Oh quanto soffre il mio Cuore per la ingratitudine di tanti cuori.
84) Bisogna unire le vostre pene a quelle del mo cuore.
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Allegati
85) Gesù apparve a una serva sulla croce, tutto scarnificato non avendo che pelle sulle
ossa e le disse: Ecco figlia mia, per dove devono passare quelli che io mi sono
scelto e vogliono arrivare alla gloria. Non coloro che alzano la testa, la mia Madre è
passata per questa via. Dolce e consolante è la strada delle anime che portano la
croce loro con generosità.
86) Bisogna che le anime religiose, spose di Gesù Crocifisso con generosità… Non ho
più che le mie spose per compensarmi delle offese che ricevo.
87) Figlia mia, dovete amare molto il crocifisso e crocifiggervi per amare Gesù, e
risorgere a nuova vita come Lui.
88) Nella casa religiosa che è casa di Dio, bisogna vivere uniti alle mie piaghe. I vostri
voti escono dalle mie piaghe.
89) Essendo il religioso consacrato a Gesù dev‘essere inchiodato alla croce con Lui.
90) Allorché seguiamo la nostra volontà ci dichiariamo nemici della Croce.
91) Diceva Gesù: Guarda la mia corona e intenderai la mortificazione; le mie mani
distese e imparerai l‘obbedienza; vedendovi nudo sulla croce imparerai la povertà.
92) Le anime religiose sono anime consacrate alla sofferenza. Io vorrei vedere nelle
mie spose altrettanti crocifissi. La sposa non deve forse assomigliare al suo sposo?
93) Dice Gesù: se vuoi soffrire per me come io ho sofferto per te, fa tutte le azioni per
piacermi e non rifiutarmi alcun sacrificio.
94) I tuoi difetti replica Gesù compariranno tutti al giorno del Giudizio, ma per la tua
gloria e per la mia.
95) Dice Gesù: Io accetto tutte le tue azioni e tutte le tue sofferenze per i peccatori e per
le anime del Purgatorio, ma bisogna che tu sia unita intimamente al mio Cuore, alle
mie piaghe, si che tu sia una cosa sola con me.
96) Tu non devi uscire dal mio cuore perché io non potrei più comunicarmi a te.
97) Dice Gesù: il Crocifisso dev‘essere il tuo libro prediletto.
98) Tutta la vera scienza è nello studio delle mie piaghe. Se tutte le creature le
studiassero tutte mi troverebbero abbastanza senza aver bisogno (di) alcun libro.
99) Offrire sovente durante il giorno le piaghe di Gesù Cristo al suo Eterno Padre. Di
unire tutte le azioni secondo le intensioni del Sacro Cuore di Gesù per il trionfo
della Chiesa, pei peccatori e per le anime del Purgatorio.
100) Dice Gesù: Voglio che l‘anima religiosa sia staccata da tutto, poiché per venire a
me deve essere scevra di ogni attacco, che nessun filo la leghi più alla terra.
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Allegati
Bisogna andare alla conquista del Signore nella solitudine, bisogna cercar(lo) nel
proprio cuore.
101) Dice Gesù: La scienza dell‘amore non si impara sui libri, essa non è data che
all‘anima che guarda il divin crocifisso e gli parla cuore a cuore.
102) Bisogna che tu sii unita a me in ogni tua azione.
103) L‘anima che non si appoggia sul petto del suo sposo Gesù nelle sue pene, nel suo
lavoro, perde il suo tempo.
104) Quando essa ha commesso delle mancanze bisogna che si riposi sul mio cuore con
gran confidenza. In questo focolare ardente spariscono le vostre infedeltà: l‘amore
le brucia, le consuma tutte.
105) Dice Gesù: Io mendico l‘amore delle mie creature, ma il maggior numero, anche tra
le anime religiose mi ricusa questo amore. Mia figlia amami tu puramente per me
stesso, senza aver riguardo al castigo o alla ricompensa.
106) Dice Gesù: Ogni umiliazione ti lega più intimamente al mio cuore. Io non vi
domando grandi cose, voglio semplicemente il vostro amore.
107) Ah figlia mia, se tu sapessi quanto soffre il mio Cuore per l‘ingratitudine di tanti
cuori. Bisogna unire le vostre pene a quelle del mio S. Cuore. Tu farai un grande
atto di carità offrendo ogni giorno le mie divine piaghe per tutte le direttrici
dell‘istituto.
108) Dice Gesù: Dalla mie piaghe escono frutti di santità. Bisogna mettere l‘anima tua e
quella delle tue sorelle nelle mie piaghe. Qui esse si perfezioneranno come l‘oro
nella fornace. Voi potete sempre purificarvi nelle mie piaghe.
109) Le mie piaghe ripareranno le vostre piaghe.
110) Le mie piaghe copriranno tutte le vostre colpe.
111) Coloro che onorano le mie piaghe avranno una vera conoscenza di me.
112) Meditandole troverete sempre un nuovo alimento d‘amore.
113) Le mie sante piaghe daranno valore a tutte le vostre opere.
114) Figlia mia immergi nelle mie piaghe le tue azioni ed esse diventeranno qualche
cosa.
115) Tutte le tue azioni anche minime inzuppate nel mio sangue acquisteranno un merito
infinito e contenteranno il mio Cuore.
116) Le mie sante piaghe sono un balsamo e un conforto nella sofferenza.
117) Quando avete qualche pena, qualche cosa da soffrire bisogna deporla prontamente
nelle mie piaghe e la pena sarà addolcita.
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Allegati
118) Le sante piaghe hanno una efficacia meravigliosa per la conversioni dei peccatori.
119) Le sante piaghe salvano il mondo e assicurano una santa morte.
120) Le sante piaghe vi salveranno infallibilmente, esse salveranno il mondo.
121) Non vi sarà morte per il anima che spirerà nelle mia piaghe; esse danno la vita.
122) Le mie sante piaghe danno ogni potere su Dio.
123) Il mio potere è nelle mie piaghe; con esse tu diventerai potente. Sì tu poi ottenere
tutto: Tu hai ogni potere.
124) Tu poi disarmare la mia giustizia. Sebbene tutto venga da me, io voglio essere
pregato, voglio che mi sia domandato.
125) Le sante piaghe saranno in modo particolare la salvaguardia della comunità.
126) L‘Eterno Padre le disse: Figlia mia, ti darò il mio divin Figlio, per aiutarti nella tua
vita affinché tu possa pagare ciò che devi alla mia giustizia per te e per tutti.
127) Tu prenderai dalle piaghe di mio Figlio di pagare i deviti dei peccatori.
128) Essa nutre per l‘Eterno Padre una tenerezza, una confidenza di bambino e dal quale
venne colmata di divine carezze.
129) ―Io vi offro – disse all‘Eterno Padre – tutto quello che il vostro Figlio ha fatto e
sofferto per noi‖.
130) Le risponde l‘Eterno Padre: ―Questo è grande e mi piace assai.
131) Non volgere mai gli occhi da questo libro dalle mie piaghe, e imparerai più che i
grandi sapienti.
132) La tua vita qui – le disse – è di farmi conoscere ed amare per mezzo delle mie
piaghe.
133) Le domandò di offrire incessantemente le sue divine piaghe all‘Eterno Padre per la
salvezza del mondo.
134) Tu sei scelta per soddisfare alla mia giustizia.
135) Richiusa nella tua clausura devi vivere quaggiù come si vive in cielo, amarmi,
pregarmi, continuamente per trattenere la mia vendetta e rinnovare la devozione
alle mie sante piaghe.
136) Io voglio che con questa devozione non solo si salvino le anime con le quali tu vivi
(ma) molte altre ancora. Un giorno ti domanderò conto se ti sei ben servita di
questo tesoro per tutte le mie creature.
137) Gesù le disse: Veramente io abito in questo luogo e in tutti i cuori. Io stabilirò il
mio regno e la mia pace; col mio potere distruggerò tutti gli ostacoli perché io son il
patroni dei cuori.
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Allegati
138) Io ti ho scelto per far valere i meriti della mia santa passione per tutti.
139) Figlia mia, ogni volta che offrite a mio Padre i meriti delle mie divine piaghe, voi
guadagnerete un‘immensa fortuna. Siete simili a colui che trova un grande tesoro
nella terra; ma siccome non potete conservare questa ricchezza, Dio la riprende e
così pure la mia madre per rendervela al momento della morte e applicarne i meriti
alle anime cje ne hanno bisogno.
140) Non bisogna restare poveri, giacché il vostro Padre celeste è molto ricco. La vostra
ricchezza è la mia passione.
141) Colui che si trova nella necessità venga con fede e confidenza e attinga
costantemente nel tesoro della mia passione e nei fori delle mie piaghe. Questo
tesoro vi appartiene, tutto è qui.
142) Una delle mie creature mi ha tradito ed ha venduto il mio sangue, ma voi potete
facilmente ricomprarlo goccia a goccia. Una sola goccia basta a purificare la terra, e
voi non pensate? Voi non ne conoscete il valore.
143) I carnefici hanno fatto bene ferendomi nel costato, le mani ed i piedi, perché da essi
scorreranno eternamente le acque della divina misericordia. Bisogna solo detestare
il peccato che ne è stato la causa.
144) Il padre mio si compiace dell‘offerta delle mie sacre piaghe e dei dolori (della) mia
divina madre.
145) Fargli questa offerta è offrirgli la sua gloria, è offrire il cielo al cielo.
146) Ecco di che pagare per tutti coloro che hanno dei debiti.
147) Offrendo a mio Padre il merito delle mie piaghe, voi soddisfatte ai peccati degli
uomini.
2.3. Massime Varie
148) Bisogna confidare tutto alle mie divine piaghe e lavorare coi loro meriti alla
salvezza delle anime.
149) Venera e guarda le mie piaghe con grande umiltà. Voi non considerate abbastanza
le mie piaghe e non comprendete tutta l‘estensione delle grazie che ricevete per i
loro meriti.
150) I miei stessi sacerdoti non guardano abbastanza il Crocifisso: io voglio essere
onorato tutto intero.
151) La messe è grande, abbondante, bisogna che vi umiliate, che inabissiate nel vostro
nulla per mietere delle anime, senza guardare ciò che avete fatto.
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Allegati
152) Non bisogna temere di mostrare le mie piaghe alle anime la via delle mie piaghe è
si semplice e si facile per andare al cielo aghici domanda di farlo con ardore di
serafini.
153) Bisogna che contempliate le sofferenze di Gesù per conformarvi a Lui.
154) Bisogna venire alle mie piaghe col cuore caldo ardentissimo e fare con grande
fervore le aspirazioni per ottenere le grazie di conversione che sollecitate.
155) Nella contemplazione delle mie piaghe si trova tutto per te e per altri.
156) Figlia mia non bisogna preoccuparsi delle cose della terra. Voi vedrete nell‘eternità
ciò che avete guadagnato colle mie piaghe.
157) Le piaghe dei miei sacri piedi sono un oceano, mettete qui tutte le creature che sono
abbastanza grandi per alloggiarle tutte.
158) Bisogna pregare molto perché le mie sante piaghe si spandano in tutto il mondo.
159) Le mie sante piaghe sostengano il mondo. Bisogna domandarmi la costanza.
nell‘amore delle mie piaghe, perché essi sono la sorgenti di tutte le grazie.
160) Bisogna invocare spesso le mie piaghe… attirarmi il prossimo… bisogna parlarne e
ritornarmi sopra frequentemente affine d‘imprimerne la devozione nelle anime.
161) Tutte le parole devote a proposito delle mie sante piaghe, mi fanno piacere,
un‘indicibile piacere, io le conto tutte.
162) Se qualcheduno non volesse venire nelle mie piaghe, bisogna che tu figlia mia, ve
lo faccia entrare.
163) Gesù le disse un giorno figlia mia vieni a me ed io ti darò un‘acqua che ti disseterà!
Nel Crocefisso vi è tutto vi è di che disseterai ve né per tutte l‘anime.
164) Vuoi troverete tutto nelle mie piaghe esse producono opere solide, non con la gloria
ma con la sofferenza.
165) Voi siete delle operaie che lavorate nel campo del Signore colle mie piaghe
guadagnerete molto è senza pena.
166) Offrimi le tue azione e quelle delle tue sorelle unite alle mie sante piaghe; niente
può renderle né più meritorie né più gradite ai mie occhi. Vi sono delle ricchezze
incomprensibili anche nelle più piccole azioni.
167) Gesù le disse: Tu devi applicarti a guarire le mie ferite contemplando le mie piaghe.
Scoprendo il suo piede destro le dice. Quanto devi venerare questa piaga e
nasconderti in essa come la colomba.
168) Gesù le fa vedere la sua mano sinistra. Prendi fia mia nella mis mano sinistra i miei
meriti per le anime affinché esse siano alla mia destra nell‘eternità.
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Allegati
169) Le anime religiose saranno la mia destra per giudicare il mando ma prima io
domanderò loro conto dell‘anime che esse avrebbe dovuto salvare.
170) Gesù chiede per il suo augusto capo coronato di spine e un culto specialissimo di
venerazione i riparazione e di amore.
171) La corona di spine mi ha fatto soffrire più che tutte le altri mie piaghe questa è stata
la mia più crudele sofferenza eccetto quella dell‘orto degli ulive. Per alleggerirla
bisogna osservare bene la vostra regola.
172) Per l‘anima fedele che va fino all‘imitazione, la corona di spine è una sorgente di
meriti: Ecco questa testa che è stata trafitta per tuo amore per i meriti della quale tu
dovrai essere coronata un giorno. Felice l‘anima che avrà ben contemplato e‘ancor
meglio praticato.
173) Ecco dove si trova la vostra via, camminerete semplicemente e voi camminerete
sicuramente.
174) Le anime che avranno contemplato e onorato la mia corona di spine sulla terra,
saranno la mia corona di gloria in cielo.
175) Per un istante che voi contemplerete la mia corona di spine quaggiù in terra, io ve
ne darà una per l‘eternità, e sarà la corona di spine che vi meriterà quella di gloria
176) Essa è il dono eletto che Gesù fa ai suoi privilegiati.
177) La mia corona di spine io la do ai miei privilegiati.
178) Le mie piaghe e la corona di spine è un bene di proprietà delle mie spose e delle
anime privilegiate. Essa è la gioia dei beati ma per i miei diletti sulla terra, essa è
una sofferenza.
179) I miei veri servi procurano di soffrire con me, ma nessuno può raggiungere il grado
di sofferenza che io ho sopportato.
180) Ecco colui che tu cerchi guarda in quale stato Egli si trova – guarda – togli le spine
del mio capo offrendo al Padre mio, per i peccatori, il merito delle mie piaghe. Va
in cerca di anime.
181) Una anima che fa le azioni in unione a meriti della mia santa corona guadagna più
che la comunità tutta intera.
182) La mia corone di spine illuminerà il cielo e tutti i beati. Sulla terra mi sono alcune
anime privilegiate alle quale la mostrerò, ma la terra è tenebrosa per vederla.
Guarda come essa ti è bella dopo essere stata cosi dolorosa.
183) Prendi la mia corona di spine è in questo stato ti contempleranno i miei beati. Poi
inderizzandosi ai santi mostrando la sua cara vittima. Ecco disse Egli il frutto della
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Allegati
mia corona di spine . La santa corona che rende felici i giusti e invece per i cattivi è
un‘oggetto di terrore.
184) Le anime che erano state fedeli durante la loro vita, dopo la loro morte si gettarono
con confidenza nelle braccia del Salvatore. Le altre alla vista della corona di spine e
al ricordo dell‘amore immenso di Gesù C che essi avevano disprezzato, si
precipiteranno terrificati negli abissi eterni.
185) Vieni soltanto qui nella piaga del mio costato è la piaga dell‘amore donde si
sprigionano fiamme vivissime.
186) Viene al mio Cuore, tu non temerai nulla: metti qui le tue labbra per attingere la
carità e spanderla nel mondo. Metti la tua mano per prendere i miei tesori.
187) Prendi perche la misura delle grazie e colma. Io non posso più contenerle, tanto ho
voglia di darle.
188) Tieniti bene attaccato il mio Cuore per prendere e spandere il mio sangue.
189) Se volete entrare nella luce del Signore bisogna nascondersi nel mio divin Cuore.
Se volete conoscere l‘intimità delle viscere di misericordia di colui che vi ama tanto
dovete avvicinare le labbra con rispetto e umiltà all‘apertura del mio Cuore.
190) Io voglio che mi amiate senza alcun appoggio umano.
191) Voglio che l‘anima religiosa sia staccata da tutto perché per venire al mio Cuore
deve essere scevra (SIC) da ogni attacco che nessun filo la leghi alla terra: bisogna
andare alla conquista del Signore nella solitudine.
192) Egli ha di mira tutte le anime e in modo speciale le anime consacrate a lui.
193) Ho bisogno del tuo cuore per confortarmi e tenermi compagnia. Bisogna che tu sii
unità a me in ogni tua azione.
(cambia pagina)
194) Dice S Francesco di Sales: Io ritengo sia atto di grandissima perfezione il
conformarsi in tutto alla comunità, senza giammai dipartirsene di proprio arbitro;
infatti, oltre a essere ottimo mezzo di unione col prossimo, serve ancora per
nascondere ai nostri occhi la nostra perfezione. Vi è una certa semplicità del Cuore
che racchiude in se la perfezione della perfezione, ed è quella semplicità la quale fa
si che l‘anima nostra si raccolga e concentri tutta nella fedele osservanza delle sue
Regole, senza effondersi in altri desideri ne voler intraprendere cose maggiori.
195) Essa non cerca di fare cose altre e straordinarie che le potrebbero attirare stima
delle creature; ma si tiene bassa bassa dentro di sé e non ha grandi aspirazioni,
come quella che fa nulla di propria volontà ne più degli altri; per tal modo tutta la
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Allegati
sua santità e nascosta a gli occhi di lei e non ti deve credere di peccare o di mancare
come che sia quando senti commozione o ripugnanze. Niente affatto, sono cose
indipendenti da noi: cotesti moti non sono colpevoli. Si tratta di passioni naturali,
che per sé non sono peccati. E un inganno di molti l‘immaginarsi che la perfezione
stia nel non risentirsi di nulla, e il credere che ad ogni ribellione di passione tutto
sia perduto.
196) E colpevole quello che tiene dietro ai movimenti cioè sopra le parole risentite, quei
pensieri di mormorazione che carezzi, rumini, trattieni nel cuore i giorni, le
settimane, i mesi interi: quelle ripugnanze avvertitamente fomentate riguardo alle
obbedienze contrarie al tuo gusto e alla tua fantasia.
197) Attendi pure con diligenza ai tuoi affari, ma sappi che non hai affari più importanti
della tua eterna salute.
198) Nel bisogno dei tuoi affari non fidarti di poter riuscire con la tua industria, ma solo
mercé l‘aiuto di Dio.
199) Il Signore vuole che tu pensi a cogliere sempre e a usare le occasione di servirlo e
di praticare le virtù minuto per minuto.
200) Esercitarsi nelle piccole cose senza di cui le grandi cose sono spesso false e fallaci.
Impariamo a soffrire volentieri parole umilianti e dirette a deprimere le nostri
opinioni e proposte.
201) Rivolgi i tuoi pensieri a perfezionarti in tutte le tue azioni ordinarie, ed a portar le
croci o grandi o piccoli che ti si pareranno innanzi. Credimi sta qui il secreto di
farsi santi.
202) Cerchiamo di essere quello che vuole Dio, giacché siamo cosa sua e non cerchiamo
di essere quello che vogliamo noi contra la sua intenzione.
2.4. Massime per i Confratelli 1
203) Uf. 1. Date un‘occhiata ben ferma alla vostra coscienza per osservare gli
avanzamenti, o gli scapiti fatti nella vita devota.
204) Uf. 2. Pensate sovente a ciò chi vi potrebbe dar pena ed angoscia nel punto della
morte e rimediatevi a tempo.
205) Uf. 3. Se in questa vita godessimo di tutti i piaceri di tutte le comodità, di tutti gli
onori possibili, e poi nell‘altro mando fossimo condannati all‘inferno, che ci
gioverebbe?
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206) Uf. 4. Tutti gli affari del mondo poco ci devono importare e solo l‘eterna salvezza
che ci deve starci a cuore.
207) Uf. 5. Se noi in questo mondo fossimo i più miserabili i più disgraziati e nell‘altro
mondo fossimo possessori dell‘eterna felicità che male sarebbe a noi?
208) Uf. 6. Anima mia conosci la tua sciocchezza in essere così applicata agli affari
terreni ed essere cosi trascurata della tua eterna salvezza.
209) Uf. 7. L‘unica cosa per la quale stai in questo mondo e la salvezza dell‘anima tua;
deh apri gli occhi per non essere ingannata in cosa di tanta importanza.
210) Uf. 8. Quanto infelice sarei se non cominciassi da questo giorno ad affaticarmi
nell‘affare della mia salute qual rimorso mi aspetta al punto della morte.
211) Uf. 9. Oggi mi converto al Signore e lascio ogni affare di mondo e mi rivolgo tutto
all‘importantissimo affare dell‘eterna mia salute. Mio Dio aiutatemi voi.
212) Uf. 1. L‘anima cristiana scendi sovente col pensiero dentro l‘inferno luogo orribile
e disperato pieno di fuoco e di demoni spietati, e sta sempre apparecchiato per non
cadervi.
213) Uf. 2. Il peccato mortale cambia totalmente l‘anima che le fa perdere l‘immagine
di Dio la fa diventare più brutta e abominevole dell‘stesso diavolo.
214) Uf. 3. L‘uomo non può essere in un stato più infelice sopra la terra che essendo
nello stato di peccato mortale.
215) Uf. 4. Il cristiano abbia pure tutti i beni del mondo di grandezze, di amori, di
ricchezze, di sanità, di stima: se sta in peccato mortale, e come un cadavere in
mezzo ai fiori.
216) Uf. 5. L‘anima in peccato mortale e puzzolente e fracida e corre alla perdizione:
end‘è abominevole e oggetti di orrore a Dio.
217) Uf. 6. Un‘anima in peccato mortale sta in disgrazia di Dio, ha perduto ogni merito
di qualunque opera buona da lei fatta.
218) Uf. 7. L‘anima in peccato mortale e spoglia da ogni dono, da ogni privilegio, e se
muore in tale stato l‘inferno sarà la sua stanza eterna.
219) Uf. 8. Chi ha in tutto retta intenzione cammina verso il cielo senza piegare né a
destra né a sinistra.
220) Uf. 9. L‘intenzione retta e semplice quando, niente ha d‘impuro, niente di amor
proprio, né di vano timore, ma a Dio solo si volge e si contenta di Lui solo…
221) Uf. 1. E retta l‘intenzione, che nelle sue opere non mira che a Dio, non cerca cha la
gloria e l‘onor di Dio.
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Allegati
222) Uf. 2. Sono veri figli di Dio quelli che in ogni loro cosa a Dio mirano sempre, non
cercando che la sua volontà.
223) Uf. 3. Le opere nostre in se sono nulla. Hanno bisogno di essere velate e vestite
della retta intenzione di piacere a Dio.
224) Uf. 4. Prima di fare una cosa fissate lo sguardo in Dio, al quale indirizzate la
vostra intenzione.
225) Uf. 5. Dobbiamo chiudere l‘occhio sinistro di tanti rispetti umani e vane scienze e
aprire l‘occhio destro guardando a Dio per mezzo d‘una sincera intenzione.
226) Uf. 6. Prestiamo il nostro servizio con buona volontà considerando Iddio nei nostri
superiori immaginandoci di servire non agli uomini ma al Signore.
227) Uf. 7. Il cristiano, qualunque egli sia deve sempre in ogni sua operazione tener
l‘occhio della mente fisso al Padre Celeste e operare per la sua gloria.
228) Uf. 8. Vivono molto male coloro i quali nelle loro azioni cercano solo il loro
materiale interesse.
229) Uf. 9. Vivono bene coloro che coi loro pensieri s‘innalzano a Dio e non lo perdono
mai di mira in quello che fanno.
230) Uf. 1. Chi a rettissima intensione guarda a Dio non a sé.
231) Uf. 2. La molla che ci fa agire non deve essere il premio e la mercede, ma solo la
bontà da Dio.
232) Uf. 3. Facciamo quello che facciamo sempre alla maggior gloria di Dio.
233) Uf. 4. Iddio deve servirsi unicamente per quello che è e che merita.
234) Uf. 5. Iddio non vuole che si serva a Lui come il cane serve al suo padrone per gli
ossi e per il pane che gli dà. Iddio ama noi spontaneamente così noi dobbiamo
amare Lui.
235) Uf. 6. Servire veramente Iddio si è servirlo unicamente per Lui, cioè in vista ciò
che Egli merita.
236) Uf. 7. Chi ha la retta intenzione non guarda che a Dio solo e non cerca che il
piacere di Lui.
237) Uf. 8. Procuriamo d‘aver il tesoro di quella intenzione, che è ottima e purissima,
quando uno fa una cosa, perché così piace a Dio.
238) Uf. 9. Iddio per la sua immensa bontà merita, che tutto si faccia ad onor suo, anche
se non ci fosse né paradiso né inferno.
239) Uf. 1. Chi ha la retta intenzione, non guarda che a Dio solo e non cerca che il
piacere di Lui.
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Allegati
240) Uf. 2. Le azioni umane partecipano alla natura della intenzione che si ha nel
compierle.
241) Uf. 3. Se l‘intenzione e santa saranno sante anche le opere.
242) Uf. 4. Molte opere sono buonissime quanto alloro esterno ma sono guaste
dall‘intenzione.
243) Uf. 5. Una stessa cosa può essere buona o cattiva secondo l‘intenzione retta o non
retta di chi la eseguisce.
244) Uf. 6. In ogni nostra parola od azione abbiamo sempre di mira il sommo bene che
è Dio.
245) Uf. 7. Si deve chiamare cattivo chi fa il bene per l‘interesse proprio. Invece tutto
devesi farsi in ordine a Dio.
246) Uf. 8. Abbiamo sempre di mira il sommo bene e facciamo come i naviganti che
dirigono il corso verso qualche stella.
247) Uf. 9. Sono vie direttissime per andarsene a Dio quelle che agli occhi della carne
compariscono storte e scabrose purché abbiamo l‘intenzione di dar gusto a Dio.
248) Uf. 1. Il sole che illumina gli oggetti è il simbolo della retta intenzione che nobilita
le nostre azioni.
249) Uf. 2. Se la retta intenzione non accompagna le nostre opere niente avranno
dinanzi a Dio per l‘eternità.
250) Uf. 3. Davanti a Dio sono rette quelle opere che sono state precedute da una retta
intenzione.
251) Uf. 4. La vita nostra si appoggia sulla virtù e questa sulla retta intenzione, la quale
ha la sua forza in Gesù Cristo.
252) Uf. 5. Noi ci meritiamo plauso o condanna secondo che la nostra intenzione è
buona o cattiva.
253) Uf. 6. Dove manca il fine della virtù, si trova un fine vano, o naturale, o vizioso
che guasta tutto.
254) Uf. 7. Le opere a cui manchi la buona intenzione sono come corpi senza anima.
255) Uf. 8. La retta intenzione è per le opere nostre quello che è l‘anima per il corpo.
256) Uf. 9. Dice Gesù Cristo attenti a non fra il bene davan…
257) Uf. 1. Dice Gesù Cristo attenti a fare il bene davanti agli uomini per esser veduti
da loro.
258) Uf. 2. Il bene davanti agli uomini si deve fare; ma perché esse vedendolo,
glorificano Iddio non noi.
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Allegati
259) Uf. 3. Quelli che fanno il bene con sinistra intenzione cioè per piacere agli uomini,
per empire i loro occhi per meritare le loro lodi hanno già ricevuto la loro mercede.
260) Uf. 4. Stiamo attenti che la pessima ladra della non retta intenzione non ci abbia
rubare il merito delle opere che facciamo.
261) Uf. 5. Il prezzo delle nostre azioni viene dall‘intenzione e le azioni sono buone o
cattive secondo l‘intenzione che le accompagna.
262) Uf. 6. L‘obolo della vedova piacque a Dio per la retta intenzione più del molto
denaro, che spinti dell‘amore proprio gettavano i farisei nel gazifilacio.
263) Uf. 7. Il diavolo conosce bene, che ad ogni opera il prezzo viene dalla retta
intenzione; per questo si affatica di continuo per toglierla.
264) Uf. 8. L‘uomo senza la retta intenzione si fatica senza frutto e non ha diritto a
nessun premio presso Dio.
(pagina tagliata)
265) Uf. 5. Dal mortificare uno il suo esteriore dipende l‘andar bene aggiustato tutto
l‘interiore.
266) Uf. 6. Il procurar di soffrire senza che altri lo sappia e l‘inizio più sicuro di
perfezione.
267) Uf. 7. Il vero umile non crede mai che gli sia fatto torto.
268) Uf. 8. Avremo ogni bene se temeremo Iddio e ci guarderemo dal disgustarlo.
269) Uf. 9. Siate facili a compatire gli sbagli dei vostri fratelli e perdonate volentieri le
offese che ricevete da loro.
270) Uf. 1. Il buon religioso non guarda che il suo Dio la cui gloria e cui beneplacito
cerca col massimo impegno.
271) Uf. 2. Il vero paziente non solo non si duole del suo male, ma non desidera
nemmeno d‘essere compatito dagli altri.
272) Uf. 3. Ove si trova la perfetta uniformità al voler Dio, non può mai regnare né
tristezza ne melanconia.
273) Uf. 4. La mortificazione della gola e il principio della vita spirituale.
274) Uf. 5. Abbiate una tenera devozione a Gesù C. appassionato se volete crescere nel
suo amore.
275) Uf. 6. Chi non pratica la mortificazione della gola non potrà mai vincere le sue
passioni.
276) Uf. 7. Il Signore non premierà le nostre buone opere se le avremo fatte per essere
veduti e lodati dagli uomini.
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Allegati
277) Uf. 8. Tanto più sono meritevoli le opere nostre, quanto meno abbiamo in esse di
diletto e di compiacenza.
278) Uf. 9. Bisogna avvezzarsi ad agire senza cercare il nostro gusto ma solo quello di
Dio.
279) Uf. 1. Se Iddio vuole che nelle tue opere tu non miri a te stesso, quanto più vuole
che tu non miri agli altri.
(mezza pagina tagliata)
280) Uf. 5. Il buon cristiano quando sente arrivarsi delle lodi, su cui non ha diritto che
Dio. Queste cose, dice, egli non appartengono a me, la gloria è di Dio.
(Dall’atra parte del foglio)
281) … la tromba e far sapere il bene che si è fatto.
282) Uf. 9. Non reflettete mai al be …
(Nuova pagina)
283) Uf. 2. Chi fa il bene per essere veduto dagli uomini non aspetta la mercede dal
Padre celeste.
284) Uf. 3. Molti temono la voce degli uomini, ma non temono la voce della coscienza.
285) Uf. 4. I più non guardano a ben operare, ma si studiano che gli altri pensino bene
di loro e li applaudiscono e li coronino di lodi.
286) Uf. 5. A Dio, non rincresce che sia veduta l‘opera che facciamo, ma gli rincresce
che appunto la facciamo per essere veduti.
287) Uf. 6. Sia pubblica l‘opera buona che fate, ma l‘intenzione sia secreta e sia che
glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.
2.5. Massime per i confratelli 2
288) Uf. 1. Oh quanto infelice amante è colui che non ama Iddio.
289) Uf. 2. Chi ama Iddio è in Dio; cessando di vivere in se vive in sé vive in Lui nel
quale tutto vive.
290) Uf. 3. L‘amor umano è violento ed amaro, il divino sempre tranquillo e mansueto.
291) Uf. 4. Ama tu Iddio se vuoi bene a te stesso; che amare Iddio giova a te non a Lui.
292) Uf. 5. L‘uomo può cangiarsi e perire; ma Iddio no lo perdi mai se tu stesso non te
ne allontani.
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293) Uf. 6. Felice di chi sta soggetto a Dio, nulla ansiosamente desidera, si adatta agli
avvenimenti, e dice: Iddio mi vuol sano, mi vuole infermo, mi vuol bisognoso: ad
ogni cosa son pronto.
294) Uf. 7. Sarai travagliato da perpetua sollecitudine se desideri ciò che non è in poter
tuo.
295) Uf. 8. Il vero gaudio non nasce se non dalla buona coscienza, e quegli solo gode
che è giusto, forte e temperante.
296) Uf. 9. Perché l‘allegrezza non manchi mai all‘animo tuo, fa che ti nasca domestica
e tale ti nascerà se sarà dentro di te.
297) Uf. 1. Seria e l‘origine della pura allegrezza d‘animo innocente, onesti consigli,
azione rette, dispregio dei dispiaceri e placido tenore d‘illibata vita.
298) Uf. 2. Vera legge di virtù si è questa, che il gaudio sincero si vuole con diuturne
lacrime acquistare.
299) Uf. 3. Dio e il solo alimento dell‘anima il solo capace di contentare la sua fame e
la sua sete.
300) Uf. 4. Per essere beati fa bisogno che il cristiano voglia santificante e deve faticar
per divenirlo.
301) Uf. 5. Più sarai divorato dalla fame e sete della giustizia, più sarai un giorno
satollo.
302) Uf. 6. Il supremo elogio che si possa dire di un uomo e quello di essere giusto.
303) Uf. 7. Siamo modesti, disinteressati, puri, sinceri in faccia a tutti.
304) Uf. 8. Chi ama se, non ama Dio. L‘amore di se è contrario all‘amor di Dio.
305) Uf. 9. E perché voi stesso, posto che puoi fare leggera ogni calamità sopportandola
con pazienza?
306) Uf. 1. Disprezza le cose terrene e né avari né desiderio né speranza. Niessuno
spera ciò che non cura.
307) Uf. 2. Tutto quel che hai ti fu dato in prestito, e tuo ne è solamente l‘uso, per quel
tempo che piacerà all‘Arbitro sommo di ogni cosa.
308) Uf. 3. Voi essere sciolto dall‘invidia? Sprezza i fugaci beni del mondo e ama gli
eterni; che l‘amor dell‘eternità e morte della invidia.
309) Uf. 4. I mancamenti di debbono correggere a punire eziandio ma senza ira.
310) Uf. 5. Lucifero porta bensi invidia agli uomini, ma a nessuno dei compagni suoi e
tu o uomo la porti ai tuoi fratelli ed in ciò vinci il demonio.
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311) Uf. 6. L‘invidia e segno d‘animo dappoco, infatti non è invidiato da te se non
quegli che per bontà e grandezza tu reputi a te superiori.
312) Uf. 7. Sollevati alle cose eterne e fatti degno del cielo per cui nacesti.
313) Uf. 8. Se Cesare ti avesse fatto suo figlio adottivo, chi potrebbe sostenere l‘altero
tuo contegno? Ma sei figliolo di Dio redento col sangue di Gesù C. e di eccelsa
origine non ti ricordi nemmeno?
314) Uf. 9. Scaccia i pensieri superbi della tua superiorità e giudica te stesso colla
norma dei veri beni del cielo.
315) Uf. 1. Avremo ogni bene se temeremo Iddio e ci guarderemo dal disgustarlo.
316) Uf. 2. Il vero umile non crede mai che gli sia fatto torto alcuno.
317) Uf. 3. Avremo ogni bene se temeremo Iddio e ci guarderemo dal disgustarlo.
318) Uf. 4. Il procurare di soffrire senza che altri lo sappia è l‘indizio più sicuro di
perfezione.
319) Uf. 5. Il vero umile non crede mai che gli sia fatto torto.
320) Uf. 6. A chi Dio è tutto il mondo deve essere nulla.
321) Uf. 7. Nessuno può gloriarsi, se non del proprio bene.
322) Uf. 5. Corrompi tu stesso le lodi tue, se le desideri. Difatti che cosa è in te che sia
lodevole?
323) Uf. 6. Temi che il mondo non ti attribuisca un pregio che realmente non hai.
324) Uf. 7. Rendi al sommo Iddio quel che ne ricevesti: l‘esistenza, la vita,
l‘intendimento, nulla ti rimarrà tranne il peccato.
325) Uf. 8. Guardati che non si lodino in te quelle cose delle quali internamente ti hai da
vergognare.
326) Uf. 9. Il corpo sì ha da trattare rigidamente anzichenò, si che non si faccia
ripugnati ai voleri dell‘anima.
327) Uf. 1. Tu sei nato a cose maggiori che non ad essere abbietto schiavo del tuo
corpo, nel quale niente altro tu devi scorgere se non che un vincolo dell‘anima e
della libertà.
328) Uf. 2. Siccome i sensi sono quasi le porte per le quali entra la morte nell‘anima,
così tu procaccerai che siano chiuse alle cose di quaggiù e rivolgano alle celesti.
329) Uf. 3. I sensi devono servire non comandare, segno di molta stoltezza lo stare
occupato nella cura del corpo.
330) Uf. 4. Per quanto ti fregi di oro e di perle, senza gli ornamenti cristiani sarai
sempre deforme.
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Allegati
331) Uf. 5. Sia il tuo vestire senza artificio, non per la pompa, ma per la necessità
secondo la tua condizione. E ben ambizione coprir la terra l‘oro.
332) Uf. 1. Gli ornamenti che durano in perpetuo quelli cioè che ti adornano
internamente e non la tua carne mortale.
333) Uf. 2. Fuggi la doppiezza e la simulazione e dichiara candidamente i sentimenti
dell‘animo tuo.
334) Uf. 4. Se avrai imparato a venerare Iddio nelle creature da solleverai l‘animo
dolcemente alla contemplazione dell‘alta maestà.
335) Uf. 5. Chiudi le orecchie alle mormorazioni, alle novelle, ai vani racconti e a tutto
cio che non può essere giovevole alla tua anima.
336) Uff. 6. Quanto più rado presterai orecchio agli uomini, tanto più sovente udrai
parlarti al cuore Iddio.
337) Uff. 7. E meglio assai travagliare il corpo e serbarlo che accarezzarlo a suo danno e
perderlo insieme coll‘anima in eterno.
338) Uff. 8. Per quanto ti pregi di oro e di perle senza gli ornamenti cristiani sarai
sempre deforme.
339) Uff. 9. Gli ornamenti che durano in perpetuo quelli cioè che ti adornano
internamente e non la tua carne mortale.
340) Uff. 1. Sia il tuo vestire senza artificio non per la pompa, ma per la necessità. È ben
pazza ambizione coprire la terra con l‘oro.
341) Uff. 2. Fuggi la doppiezza e la simulazione e dichiara candidamente i sentimenti
dell‘animo tuo.
342) Uff. 3. Iddio ti diede la facoltà di parlare affinché con semplicità e chiarezza tu
esprima le cose come esse sono.
343) Uff. 4. Allorché sei per parlare esaminati, e se in te bolle qualche violenta passione
non aprir bocca insino a tanto he la commozione non sia cessata.
344) Uff. 5. Qual sarai dentro tale sarà il tuo discorso: se la mente è sana, temperante, e
composta il tuo discorso sarà sobrio e parco.
345) Uff. 6. Guardati da ogni ozioso discorso imperocchè il parlare mostra di qual
tempra sia l‘uomo.
346) Uff. 7. Uomini sapienti più volte si pentirono di avere parlato non mai di aver
taciuto.
347) Uff. 8. Sappi che la virtù in colui dalla cui bocca altro non esce se non vane e inutili
cose…
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Allegati
348) Uff. 9. L‘amore non sa mentire, né può stare e la lingua risponde a ciò che abbonda
nel cuore.
349) Uff. 1. Se Iddio fosse l‘oggetto dell‘amor tuo, se tu fossi sollecito della tua salute
nessuno ti udirebbe parlare se non di Dio, della virtù e della perfezione.
350) Uff. 2. Nei crocchi ogni ragionamento s‘aggira per lo più intorno alla vita, ai
costumi alle inclinazioni degli altri. Raro e colui che attenda con gli occhi alla
propria casa.
351) Uff. 3. Alla diffamazione del prossimo spalanchiamo le porte e alla sue lodi
teniamo l‘uscio appena socchiuso.
352) Uff. 4. Pesa diligentemente le tue parole e poni un freno alla tua bocca e non dir
nulla che sarebbe stato meglio aver taciuto.
353) Uff. 5. E più lodevole cosa esser più parco di parole che di danaro. Il prodigo di
danaro se nuoce a se stesso giova almeno agli altri, il prodigo di parole nuoce a se e
agli altri.
354) Uff. 6. Poco monta che gli altro abbiano opinione di te. Hai dentro l‘anima un
testimonio più certo ed incorrotto: interroga la tua coscienza e credile.
355) Uff. 7. Quantunque i cattivi li lacirino e ti calunniano, tu non devi perdere la
tranquillità dell‘animo tuo.
356) Uff. 8. Inquietarsi ad ogni rumore è segno che l‘uomo ha poca stima di sé, sarai
sempre infelice se ti agita il timore del disprezzo.
2.6. Massima per i confratelli 3
357) Uf. 1. Quando più l‘uomo è virtuoso, tanto più forte reprime l‘ira sua.
358) Uf. 2. La prima guerra tu l‘ai da rompere col vizio della gola, che somministra il
pascola a tutti gli altri.
359) Uf. 3. A che temi la povertà, se porti nel cuore tutto un regno? Il regno di Dio sta
dentro di te.
360) Uf. 4. Quanto biasimi negli altri li troverai nel tuo cuore.
361) Uf. 5. La gola è l‘origine della morte del corpo e dell‘anima poiché i nostri primi
parenti mangiando il pomo vietato uccisero tutti gli uomini prima di generarli.
362) Uf. 6. L‘eternità e il presente che dura per sempre, e una ruota che gira senza
desistere mai, e un principio inesausto interminato che sempre ricomincia.
363) Uf. 7. Ordina oggi l‘anima tua in quel modo che faresti se fosse giunta l‘ultima tua
ora.
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Allegati
364) Uf. 8. Ciò che è passato di opere buone e cattive all‘eternità rimane fermo e
immobile per sempre
365) Uf. 9. L‘eternità fa parere facile ogni fatica, giocondo ogni dolore, soave e piccola
ogni pena.
366) Uf. 1. Non è un torto patire quel che prima facesti patire agli altri.
367) Uf. 2. Perché non correggi la tua impazienza? Perché non vinci il male con il
bene? Ti poni dinanzi agli occhi i vizzi altrui e i tuoi dietro alle spalle.
368) Uf. 3. Perché ti corrucci d‘aver patito ingiuria da un uomo cattivo? Egli però da
suo pare. Or tu se sei buono conviensi e proccia di far buono anche l‘altro.
369) Uf. 4. Sia la tua ira il primo scopo della tua vendetta. Non si hanno a cercare in
piazza i nemici mentre il più sta appiattato in casa tua.
370) Uf. 5. La felicità di piacere a Dio con far bene tutte le cose è un saggio del
paradiso.
371) Uf. 6. Quanto bello è vedere Dio, amarlo, benedirlo e contemplarlo per tutta
l‘eternità.
372) Uf. 7. Gesù sta nel tabernacolo per consolarci: e quindi dobbiamo andar sovente a
visitarlo. Quanto gradisce quel breve quarto d‘ora che rubiamo ai nostri
divertimenti per venir a visitarlo, a consolarlo di tanti oltraggi che riceve?
373) Uf. 8. Gesù sta nascosto nel tabernacolo aspettando che noi andiamo a trovarlo a
presentargli le nostre suppliche. Guardate quanto buono è Gesù! Si adatta alla
nostra debolezza.
374) Uf. 9. Gesù si nasconde a noi come una persona che fosse in prigione e ci dice:
Voi non mi vedete, ma non importa. Chiedetemi ciò che volete, ed io ve lo
accorderò.
375) Uf. 1. Guardate dal ruminare col pensiero dianzi a Dio quelle cose delle quali ti
vergogneresti di parlare dinnanzi ad un‘onesta persona.
376) Uf. 2. Siano tutti i tuoi pensieri tali che improvvisamente che cosa pensi tu non
debba aver rossore di palesare ciò che ti sta nascosto nel cuore.
377) Uf. 3. Occupar la mente in buoni pensieri; e il modo in cui si chiudi la porta ai
cattivi.
378) Uf. 4. Il nemico sta nascosto dentro di te, anzi tu sei quel medesimo. Perciò guarda
l‘anima tua da te stesso.
379) Uf. 5. Senza le passioni la virtù sarebbe tolta di mezzo. Dove non è battaglia, quivi
non sono vittorie.
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Allegati
380) Uf. 6. Più facile resistere ai principi che non trattenere le passioni, perciò ci vuole
molta violenza per resistere alle cattive inclinazioni.
381) Uf. 7. Distruggerai l‘amor proprio e lo sradicherai disprezzando te stesso;
reputandoti non dotato di alcuna singolare prerogativa.
382) Uf. 8. Portando ragionevole odio a te stesso, ti conserverai; e ti perderai amandoti
malamente.
383) Uf. 9. Nella valle di Giosafat farà più bella figura l‘umile religioso che il sapiente
e l‘orgoglioso religioso.
384) Uf. 1. Offri ogni tua azione alla maggior gloria di Dio e per la salute del tuo
prossimo, e aspetta la tua mercede da Dio.
385) Uf. 2. Amate la sincerità, specialmente in confessione e vi troverete contenti in
vita e specialmente al punto di morte.
386) Uf. 3. Questa vita passa presto e in punto di morte non ci resta altro che le nostre
buone opere per Iddio.
387) Uf. 3. In tutto quello che fai guarda se hai di mira la maggior gloria di Dio.
388) Uf. 4. Il vero umile non crede mai che gli sia fatto mai un torto.
389) Uf. 5. Quando proviamo qualche pena od afflizione consoliamoci nel pensare che i
santi hanno patito allegramente cose maggiori.
390) Uf. 6. Il ricevere con umiltà le correzioni e riprensioni, fa vedere che si ama la
virtù e i proprio profitto nella perfezione.
391) Uf. 7. Impariamo da Gesù bambino ad avere quella stima che si deve delle cose
del mondo.
392) Uf. 8. Se tu vuoi arrivare al sommo della perfezione cerca davvero ad amare le
confusioni, le ingiurie, le calunnie ad imitazione di Gesù nostro maestro.
393) Uf. 9. Chi non è molto umile non potrà mai acquistare nessuna virtù.
394) Uf. 1. Il maggior dono che si possa ricevere da Dio è quello di poter vincere se
stesso negando al propria volontà.
395) Uf. 2. Datti davvero all‘esercizio delle umiliazioni e conoscerai che questa e la via
più spedita e più corta.
396) Uf. 3. Signore, a chi vi fa qualche servizio. Voi la pagate con qualche travaglio.
Oh che prezzo inestimabile e mai questo per quei che davvero vi amano.
397) Uf. 4. Vale più un grazie a Dio, un Dio sia benedetto nell‘avversità, che mille
ringraziamenti nella prosperità.
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Allegati
398) Uf. 5. Molti religiosi si sono fatti santi senza l‘orazione, ma nessuno senza
l‘obbedienza.
399) Uf. 6. Non vi è strada che conduca più presto alla sommità della perfezione quanto
quella dell‘obbedienza, perciò il demonio frappone molti disgusti a difficoltà sotto
colore di bene.
400) Uf. 7. L‘obbedienza vera si conosce in eseguire con gioia e senza ripugnanza le
cose che contra genio e proprio svantaggio.
401) Uf. 8. Il vero obbediente non discerne una cosa dall‘altra ne desiderà un impegno
che l‘altro, perché non bada ad altro che ad eseguire fedelmente quel che vien
comandato.
402) Uf. 9. La perfezione del religioso sta nell‘esatta obbedienza alle sue regole.
403) Uf. 1. Quel religioso che più sarà fedele nell‘osservanza delle sue regole, quegli
senza altro sarà più perfetto.
404) Uf. 2. Poco monta l‘opinione che gli altri abbiano di te. Hai dentro l‘anima un
testimonio più certo ed incorrotto: interroga la tua coscienza e credili.
405) Uf. 7. Quantunque i cattivi ti lacirino e ti calunniano, tu non devi perdere la
tranquillità dell‘animo tuo.
406) Uf. 8. Inquietarsi a ogni rumore e segno che l‘uomo fa poca stima di sé. Sarai
sempre infelice se ti agita il timore del disprezzo.
407) Uf. 9. Tutto quello che facciamo per obbedienza diventa oro. Ciò che comandano i
superiori è la volontà di Dio. Dobbiamo essere molto furbi per non lasciar passare
occasione senza farci dei meriti per il Paradiso mediante l‘obbedienza.
2.7. Propositi
2.7.1. 13 agosto 1909
408) P 1. Tener gli occhi a freno.
409) P 2. Attendere alla propria perfezione e non curarsi degli altri e non domandando
mai degli altri.
410) P 3. Obbedienza pronta, cieca e allegra ai miei superiori.
411) P 4. Non implicarmi mai negli affari dagli altri ma pensare solo di correggermi
da tanti miei difetti.
412) P 5. Aver sovente la mente occupata in Dio.
413) Ritiro del 1 settembre 1926
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Allegati
414) Ho mio Dio ti ringrazio che mi avete conceduto la grazia di fare anche in
quest‘anno gli esercizi spirituali. Ti prometto di approfittare per migliorare la mia
vita.
415) P 1. Non più peccati in vita mia e specialmente in quest‘anno, ma amarvi o mio
Dio con tutto il cuore e sopra ogni cosa.
416) P 2. Approfittare degli avvenimenti, delle cose, delle creature per innalzarmi al
mio creatore e arricchirmi di meriti per il Cielo.
417) P 3. Voglio osservare i voti che ho fatto al mio Dio con molta fedeltà,
specialmente il voto di povertà per essere vero e santo religioso.
418) P 4. Coll‘aiuto del Signore voglio correggermi dei miei difetti e non contrarre
abitudine alcuna.
419) P 5. Vigilanza somma sopra me stesso specialmente sopra i miei occhi e nel
trattar coi nostri giovani e con la genti di fuori.
420) P 6. Tutti i giorni rinnoverò i miei voti per ricordarmi che sono religioso.
421) P 7. L‘accorto e buon religioso si approfitterà di tutte le occasioni per umiliarsi,
rinnegarsi, mortificarsi per manifestare il suo amore a Dio e arricchirsi di molti
meriti.
422) P 8. O anima religiosa finirà anche per te ogni attacco alle tue comodità ai tuoi
caprici, alla libertà per i tuoi sensi. Beata te se sei mortificata in tutto e attaccata
solo a Dio. La morte ti sarà dolce.
423) P 9. Oserò presentarmi dinanzi al tribunale di G. C. giudice nello stato di cattivo
religioso. O guai a me come potrò sostenere i suoi terribili sguardi?
424) P 10. Mi sono consacrato al servizio di Dio con amore e voglio osservare i miei
santi [voti?] per amor suo e per piacergli. (sic)
425) P 11. Per andar avanti nella perfezione vigilanza sopra me stesso e custodia dei
miei sensi. Fare ogni cosa e ogni azione per amore e piacere a Dio solo. Umiltà
profondissima e approfittare tutte le occasioni per mortificarsi.
426) P 12. Avrò sempre dinanzi a me l‘osservanza esatta dei miei voti e delle sante
Regole e molto più della mia perfezione religiosa attenendomi fortemente e
costantemente alla umiltà profondissima alla‘abnegazione, alla mortificazione dei
miei sensi e il fare tutte le mie operazione molto bene affinché siano accette a
gradite al mio Dio e meritorie per l‘anima mia.
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Allegati
2.7.2. Ritiro del 25 agosto 1927
427) P 1. Metterò l‘impegno di perfezionare l‘anima mia togliendo da lei ogni
orgoglio, ogni vanità, ogni sensualità per renderla degna di possedere Dio in
Paradiso.
428) P 2. Voglio rinnegare me stesso, le mie vanità, il mio orgoglio i miei caprici e le
mie comodità e portare la mia croce di ogni giorno per essere vero discepolo di
Gesù.
429) P 3. Me guarderò bene di commettere colpe leggiere contro la maestà infinita del
mio Dio.
430) P 4. Ora rinnovo la mia consacrazione al mio Dio e meglio essere tutto suo
rinunziando alle mie passioni, alle mie comodità, ai miei capricci e distaccando il
mio cuore da ogni cosa che possa impedirmi di essere tutto del Signore.
431) P 5. Gesù mi ha amato tanto che ha sofferto, morto, e si è dato tutto a me. Io
pure voglio soffrire tutto per suo amore e amarlo e morire per Lui.
432) P 6. O quanto mi ha amato il Signore chiamandomi alla vita religiosa a
differenza di tanti centinaia e migliaia per farmi tutto suo. Come deve essere la mia
gratitudine e il mio amore per Lui.
433) P 7. Come debbo prendere dalle mie mani del Signore le croci che mi manda per
pagare i miei debiti e purificare l‘anima mia dalle sue macchie prima di presentarmi
al suo tremendo tribunale.
434) P 8. Cercherò di purificare l‘anima mia col distaccarmi da ogni cosa terrena e
materiale affinché possa imitare il mio Signore Gesù Cristo che era poverissimo.
435) P 9. Vigilanza somma sopra me stesso, sopra le mie passioni, sopra i pensieri e
gli affetti miei. Mai il minimo attaccamento ai giovani.
436) P 10. Vigilanza grande nel trattare colla gente di fuori specialmente col‘altro sesso
e molta vigilanza sopra i miei occhi.
437) P 11. Come dovrò essere felice e beato di essermi consacrato anima e corpo al
mio Dio.
438) Quanto dovrò fare per mantenermi puro e casto come un angelo al suo cospetto.
439) Come dovrò vigilare per non macchiare mai minimamente l‘anima mia e il mio
corpo tempio augusto dell SS Trinità. Perciò aver sempre Dio a me presente e
mettere in pratica i mezzi che mi suggeriscono le Sante Regole.
440) Oh quanto è felice l‘anima religiosa che si impegna di sempre distaccarsi senza
macchia il corpo e l‘anima sua per piacere al suo sposo Gesù.
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Allegati
441) Mai nessun lamento in tutto ciò che può accadermi, ma soffrire tutto in silenzio per
amor di Gesù mio sposo.
442) Chi ama Iddio si distacca da ogni cosa terrena e materiale, rinnega la sua volontà e i
suoi appetiti disordinati, il suo orgoglio e la sua vanità!
443) Veramente niente in questa vita di più prezioso si trova che patire, soffrire, esser
disprezzato, essere umiliato per amor di Gesù che ha patito tanto è morto per noi
per amore.
444) Essere persuaso e guardar sempre le fatiche, i patimenti, le sofferenze, le pene, i
dolori, le umiliazioni, le tentazioni, le dimenticanze e le croci di ogni genere sono il
vero distintivo dell‘amor di Dio per noi, e che noi per amor suo dobbiamo riceverli
per suo amore.
2.7.3. Ritiro 16 agosto 1928
445) P 1. Non lascerò passare ne domenica né festa senza leggere le sante Regole e
ponderare bene ciò che leggo per metterlo in pratica.
446) P 2. Sarò generoso con il Signore nel mettere in pratica le piccole Regole
considerandoli come mezzo di perfezione.
447) P 3. Metterò tutta la diligenza per non commettere delle colpe leggere
specialmente delle impazienze e risentimenti.
448) P 4. Voglio osservare con scrupolosa esattezza la povertà non cercando le mie
comodità i miei caprici e non lamentarmi mai di quanto può accadermi di
privazione o d‘altro che non sia di mio gusto.
449) P 5. Avrò sempre dinanzi a me la morte il giudizio per tenermi apparecchiato a
comparire dinanzi al buon Gesù.
450) P 6. Vigilerò sopra le mie passioni e i miei sensi per mantenermi puro e casto di
anima e di corpo.
451) P 7. Voglio stare molto attento per far ogni cosa per obbedienza non si merita
nulla avanti il Signore e non sarò buon religioso se non faccio ogni mia operazione
per obbedienza.
452) P 8. Metterò tutto l‘impegno preparato alla morte che può capitarmi da un
momento all‘altro.
453) P 9. Riceverò dalle mani del Signore ogni giorno ciò che può capitarmi di dolori,
di pene, di afflizioni con rassegnazione sia che vengono dalle mani di Dio o dal
prossimo.
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Allegati
454) P 10. Voglio essere costante nel combattere le mie passione, le mie comodità i
miei capricci i risentimenti, le impazienze e tutti gli altri difetti, soffrir in silenzio e
sopportare tutto.
2.7.4. Ritiro 4 agosto 1930
455) P 1. Sarò molto vigilante per non commettere venialità contro le sante Regole
ma di osservale tutte.
456) P 2. Starò molto vigilante per osservare i santi voti: la povertà, la castità,
l‘obbedienza.
457) P 3. Amar il mio Dio vuol dire non darlo il più piccolo dispiacere né coi pensieri,
né colle parole, né coi fatti ma amar molto questo mio Dio che mi a amato tanto.
458) P 4. Muovere il mio cuore ogni pensiero, ogni desiderio, ogni notizia del mondo
per essere unicamente di Dio nel tempo e nell‘eternità.
459) P 5. Portare il massimo rispetto ai Superiori perché è rivestito dell‘autorità di
Dio e non mai dargli il più piccolo dispiacere perché chi offende il Superiore
offende Dio stesso.
460) P 6. Mi sforzerò di essere un santo religioso vivendo in maniera di essere pronto
a morire ogni giorno.
461) P 7. Obbedirò prontamente e cecamente e allegramente per non privarmi del
merito dell‘obbedienza.
462) P 8. Invece di arricchirmi delle cose temporali voglio arricchirmi dei tesori
spirituali per l‘eternità, come atti di umiltà, di mortificazione, di carità, di
abnegazione, di rassegnazione.
463) P 9. Voglio distaccarmi da ogni cosa terrena per meglio amar il mio Dio.
464) P 10. Mi guarderò come ospite e passeggero sulla terra guardando sempre il Cielo
che è la mia patria e cercherò di fare molte opere buone di qualunque specie per il
Cielo.
465) P 11. Mi distaccherò da ogni cosa terrena che mi impedisce di essere tutto del mio
Dio e per essere pronto alla chiamata del mio Sposo Gesù quando mi chiamerà
dall‘esilio alla patria celeste.
466) P 12. Cercherò i miei difetti e mi correggerò per essere sempre più aceto al mio
Dio.
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Allegati
2.7.5. Ritiro 17 agosto 1931
467) Viva Gesù
468) P 1. Il buon religioso stima grandemente la sua vocazione come una singolarissima
grazia gratuita dal buon Dio.
469) P 2. Il buon religioso fa di tutto per essere tutto e solo di Dio osservando
scrupolosamente le promesse fatte a Dio e ai Superiori.
470) P 3. Il buon religioso cerca di tutto per essere umile e puro dinnanzi a Dio e non
darli il minimo dispiacere.
471) P 4. Voglio essere il buon religioso cercando che il mio esterno corrisponda al
mio interno e cercare i miei difetti e correggermi per essere sempre più gradito a
Gesù.
472) P 5. Sarò giudicato secondo l‘osservanza delle sante Regole e dei santi Voti
perciò osservanza scrupolosa di esse.
473) P 6. Il Signore mi sta guardando continuamente come mi comporto nella
battaglia delle………………………………….. Gesù vuol veder i suoi religiosi
senza macchia puri di mani, di occhi, di mente, di cuore. Guerra al peccato impuro.
2.7.6. Ritiro 7 agosto 1932
474) P 1. Rinnovo tutti i giorni quando ricevo Gesù, la mia professione religiosa per
infervorarmi nella loro osservanza.
475) P 2. Le opere del religioso per piccole che o semplice che siano, sono preziose e
accette a Dio quando sono fatte per piacere e per dare gloria al Signore.
476) P 3. O quanto dovrei apprezzare la mia vocazione religiosa che mi rende tutto
del buon Dio.
477) P 4. Quanti meriti farei per l‘eternità se vivrò da fedele e buon religioso e quanta
gloria darò al Signore per tanto cattivi che vivono dimentichi del buon Dio e lo
offendono.
478) P 5. Rinnoverò la mia totale consacrazione cioè l‘anima mia con le sue potenze,
il corpo coi suoi sentimenti, il cuore coi suoi affetti per non dimenticare l‘obbligo di
esser tutto suo.
479) P 6. Starò molto vigilante sopra me stesso e in tutte le occasioni che mi capitano
per non offendere minimamente il mio Dio specialmente nel piacere dei sensi.
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Allegati
480) P 7. Cercherò di essere delicato di coscienza osservando le più piccole regole
essendomi sempre alla presenza di mio Padre e mi correggerò dei miei difetti per
essere più accetto al Signore.
481) P 8. Combatterò il piacere disordinato e la mia sensualità per piacere al Signore e
per mantenermi puro e santo dinanzi al mio Dio.
482) P 9. Come mi sono diportato in rapporto al mio superiore, alle sante Regole e al
santo dovere? Come ho fatto l‘obbedienza?
2.7.7. Ritiro 15 agosto 1933
483) P 1. Iddio abita nell‘anima mia non meno sfolgorante di luce e di gloria che nella
gloria in Cielo.
484) P 2. Che gaudio che pace che confidenza nel pensare che Dio è mio Padre e mi
ama moltissimo. Che Gesù è mio Salvatore e Redentore. Qual deve essere la mia
corrispondenza al loro amore.
485) P 3. Quando mi capita l‘occasione di parlare ai giovani dirò loro qualche buona
parola dell‘anima e di Gesù.
486) P 4. Mi donerò a Gesù tutti i momenti della giornata, cercando di non offenderlo
in nessun modo.
487) P 5. Oh quanto ha costata l‘anima nostra al buon Gesù. E disceso sulla terra e ha
dato il suo per riscattarla. Ed io la stimo così poco?
488) P 6. Sono sempre alla presenza di Dio. Faccio parte del suo corteggio d‘onore.
Cercherò di essere puro di mente e di cuore.
489) P 7. Combatterò quanto e posso il piacere sensuale affinché dominano neppure
per un sol momento la mia mente e i miei affetti.
490) P 8. Mi sono dato mi sono consacrato, mi sono venduto tutto al mio Dio. Perciò
non devo essere ne di me stesso, ne del mondo, ne dei giovani.
491) P 9. Molta attenzione alla mia castità, schiacciare con prontezza il piacere
sensuale e mortificare gli occhi, consacrandomi anima e corpo al mio Dio vuol dire
non devo operare che per Iddio facendo in tutto la volontà del mio Superiore
prontamente, esattamente e allegramente.
2.7.8. Ritiro 7 agosto 1934
492) P 1. Vigilerò sopra me stesso per non offendere minimamente il Signore.
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Allegati
493) P 2. O mio Dio rinnovo la mia totale consacrazione a voi e intento rinnovala
tutti i momenti della mia vita. Non voglio mai darvi il minimo disgusto.
494) P 3. Starò molto in guardia per non commettere piccole mancanze per non
cadere nelle più grandi.
495) P 4. Terrò fermo i miei sensi per essere tutto di Dio e mantenere la pace del
cuore. Toglierò dal mio cuore ogni affetto e ogni desiderio alle persone e alle cose
per essere tutto di Dio.
496) P 5. Quanto è felice l‘anima religiosa che si impiega sempre di staccarsi da ogni
cosa terrena e materiale e studia di mantenere senza macchia il corpo e l‘anima sua
per piacere al suo celeste sposo.
497) P 6. Mai nessun lamento in tutto quello che mi può accadermi, ma soffrire tutto
in silenzio per amore a Gesù mio sposo.
2.7.9. Ritiro 1935
498) Voglio correggermi dei miei difetti riguardo alla povertà.
499) Quando posseggo Dio e la sua grazia sono ricco abbastanza.
500) Voglio essere santo e puro come un angelo piacere al Signore.
501) Vigilerò attentamente sopra me stesso per non la minima offesa al Signore (sic).
502) Voglio mortificarmi specialmente negli occhi, nelle orecchie e nel tatto per essere
tutto di Dio.
503) Voglio dare sempre il buon esempio menando vita irreprensibile e che il mio
interno corrisponda al mio esterno per non essere ipocrita.
504) Leggere sovente le Sante Regole per osservare quei punti dove manco e per
correggermi dei miei difetti.
505) Oh quanto ho peccato contro Iddio mio creatore, perciò che gran debito ho verso la
sua giustizia.
506) Per penitenza osserverò le Sante Regole e sarò mortificato in tutti i miei sensi per
tendere alla santità e alla mia perfezione cercherò di correggermi di quei difetti che
essi cado sovente per piacer a Gesù ed essere buon religioso.
507) Voglio far bene il mio rendiconto a qualunque costo.
508) Quanta attenzione quanta vigilanza per combattere in me il piacere sensuale nel
trattare con la gente, coi giovani e trattare il corpo come consacrato a Dio!
509) Io mi sono venduto mi sono consacrato a Dio solo perciò i miei pensieri, i miei
affetti, i miei desideri devono essere per Lui.
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Allegati
510) Il buon Gesù ha fatto la penitenza per me soffrendo tanto tanto per me ed io voglio
soffrire per amor suo e per i miei peccati tutto ciò che mi capita di doloroso, di
penoso sia nello spirito che nel corpo.
2.7.10. Ritiro 2 agosto 1936
511) P 1. Cercherò di santificarmi e perfezionarmi sopportando i dolori, le sofferenze,
i disagi le indisposizioni che Iddio mi manda giorno per giorno.
512) P 2. Dice lo Spirito Santo: Chi disprezza le piccole trasgressioni e i piccoli
difetti, le piccole mancanze a poco a poco cadrà nelle grandi, perciò somma
attenzione sopra me stesso.
513) P 3. Combatterò il piacere sensuale in me, sia nei pensieri sia negli affetti, e
cercherò di non acconsentire mai al piacere sensuale.
514) P 4. Ricordati che Iddio tuo padre e creatore ti accompagna dappertutto, egli sta
in te e con te e vede tutto ciò che passa nei tuoi pensieri e nel tuo cuore e cerca di
piacergli in tutto ciò che fai e dargli gloria e cerca che non si allontani mai da te.
515) P 5. Cercherò in tutto ciò che faccio di stare in pace e non impazientirmi
specialmente quando tratto con il prossimo e con i nostri giovani e rassegnarmi in
tutto ciò che può accadermi nella giornata………………..
(Nell’originale si riscontra questa interruzione dove è evidente la mancanza d’una pagina)
516) P 7. …………………tentazioni e i pericoli per quanto violenti essi siano per
coronarmi un giorno se mi farò coraggio e violenza per vincere.
517) P 8. Mio Dio sono vostro e vostro è il mio cuore.
518) Intendo di fare ogni mia azione, qualunque essa sia, con voi e per voi.
519) Voglio vivere da buon religioso e da santo religioso.
520) Mi terrò preparato quando il buon Gesù mi chiamerà dall‘esilio alla patria celeste.
521) Il buon religioso tiene a freno tutti sensi del corpo e combatte da buon Milite tutte
le tentazioni del demonio, della carne e del mondo e loro resiste fino alla morte.
522) Voglio tenermi distaccato da ogni cosa terrena e per qualunque cosa che ho bisogno
chiederò permesso.
2.7.11. Ritiro 14 agosto 1937
523) P 1. Come dovrò essere felice e beato nell‘essermi consacrato anima e corpo al
Signore. Come dovrò mantenermi puro e santo come un angelo al suo cospetto.
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Allegati
Quanto dovrò vigilare per non macchiarmi mai l‘anima e il corpo che sono il
tempio della SS.ma Trinità.
524) P 2. Mi sono dato, mi sono venduto, mi sono consacrato tutto a Dio, mio
padrone. Perciò i miei pensieri, i miei desideri, le operazioni i miei affetti li
indirizzerò sovente a Lui.
525) P 3. Prenderò per consigliere il pensiero della morte e cercherò di tenermi
sempre pronto a comparire davanti al buon Gesù che cercherò di farmelo amico.
526) P 4. Mi renderò abituale come ho sempre fatto il pensiero del giudizio e
dell‘inferno per vivere da buon religioso e per distaccarmi dalle persone e dalle
cose.
527) P 5. Essere vero devoto e figlio di Maria vuol dire vigilare sopra me stesso per
non commettere mancanze contro la purezza, l‘umiltà e la carità.
2.7.12. Ritiro 21 agosto 1938
528) P 1. Quale gioia, quale felicità e la mia nel saper per certo che sono figliolo di
Dio, erede del paradiso, che Dio sta sempre con me e non mi abbandona mai fino
che sto nella sua grazia.
529) P 2. Il peccato mortale spoglia l‘anima della veste nuziale e dei suoi meriti, la
uccide e la manda all‘inferno se muore in quello stato.
530) P 3. Prenderò il pensiero della morte come consiglio per vivere santamente e con
perfezione e per tenermi preparato.
531) P 4. Avendo gli alimenti e di che vestirci accontentiamoci di questo e tutto che
eccede nutrimento e vestito e contrario alla povertà.
532) P 5. Facendomi religioso mi sono donato interamente al mio Dio, anima e corpo,
ed Egli mi ha accettato volentieri per suo; Farò tutto a sua maggior gloria e per
piacergli avrò il cuore e la mente pieni dell‘amor di Gesù.
533) P 6. Prendere con amore tutto ciò che può capitarmi durante il giorno sia da Dio,
o dai superiori o del prossimo.
2.7.13. Ritiro 3 agosto 1939
534) P 1. Farò di tutto per tenermi preparato a comparire dinanzi al Signore in
qualunque momento. E di tener in ordine le cose del mio ufficio d‘infermeria sia in
casa sia al dispensario e di tener i conti preparati.
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Allegati
535) P 2. Cercherò di non impicciarmi degli affari degli altri e parlare sempre bene
degli altri. Farò atti di umiltà e abnegazione.
2.8. Scritti vari
2.8.1. Testamento olografo
536) Beitgemal 24 febraio (sic) 1898
Testamento di me sottoscritto Simone Maria Srugi del fu Asar nativo Nazareth.
Nel nome del Signore eleggo e costituisco per mio unico erede universale il Signor
Albera Paolo sac. Nativo di None e dimorante in Torino via Cottolengo numero 32
di quanto io possa possedere nel giorno di mia morte. Ciò faccio in compenso dei
molti benefici da lui ricevuti durante la mia vita
Al mio erede raccomando di sufragare(sic) l‘anima mia e con questo intendo
revocare qualunque altra disposizione. Resta mentale 24 di febraio del 1898
Simone Maria Srugi
2.8.2. Domanda dei voti perpetui
537) V. Gesù
Betlemme 18 Settembre 1900
Affine di uniformarmi in tutto alle sante regole domando anche por iscritto ai miei
amati Superiori di essere agregato(sic) alla pia società di S Francesco di Sales coi
santi voti perpetui
In fede
Srugi Simone
2.8.3. Due lettere scritte al sacerdote Gerbo Mario
538) Beitgemal, 13 sett. 1926
―Viva Gesù Eucaristico
Signor Don Gerbo.
La nostra Crosciata è ormai al tramonto, voglio dire non essere più. I nostri buoni
Superiori l‘hanno cambiata in quella della Compagnia del SS.mo Sacramento che in
sostanza è la medesima.
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20.8 Page 198

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Allegati
I giovani Crociati rimasti sono già usciti dalla Scuola ed io non ne ricevo più altri.
Non mando più notizie del nostro gruppo alla direzione però sono abbonato al
periodico e al Foglietto ―La lampada del Tabernacolo‖.
Mi ha dispiaciuto molto ma però sono rassegnato al volere del Signore che ha
permesso questo per il nostro bene.
Ecco come ebbe fine il nostro gruppo.
Le mando qualche foglio della lampada del Tabernacolo che mi è avanzato. Guardi
se li piace.
Riceva i miei cordiale saluti e si ricordi di me nelle sue preghiere. Presento a lei le
mie condoglianze per la morte del suo amato fratello. Ho incominciato una novena
di Comunioni e preghiere per il riposo dell‘anima sua.
Suo confratello in Gesù e Maria
Srugi Simone.
539) Beitgemal, 16/10/‘27
W.G.M.G.
Signor Don Gerbo.
Quando ella mi scrisse della Crociata e mi mando le crocette io subito mi sono
aggregato e dato il mio nome mediante la parola d‘onore. Altresì incominciai a
parlarne anzi al signor Don Corradini fece un fervoroso discorso.
Allora tutti entusiasmati domandarono di essere accettati. Però siccome
l‘entusiasmo non accordava con la buona condotta, ho aggregato solo i più buoni.
Ecco la lista dei loro nomi – ecco altresì 10 piastre per l‘abbonamento al periodico
mensile della Crociata. La prego di farcela avere ogni mese.
Riceva i mie cordiali saluti di tutti i miei cari confratelli. Tanti saluti a signor Don
Cantoni. Don Cancemi, Don Spiridon, signor Fattalla, signor Naim, signor
Cherubino.
Suo fratello nel Signore.
Simone Srugi.
Una lettera alla sorella Zahra Abu l‘Asal
(traduzione dall’originale in lingua araba)
540) Cara sorella. Che Iddio ti prolunghi la vita a quella delle tue care figliole.
Dopo il bacio fraterno, presento a te e alle tue figlie i miei auguri cordiali per la
festa del Natale del nostro Salvatore amato Gesù e per il capo d‘anno, domando
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Allegati
all‘Altissimo che faccia scendere su di voi le sue benedizioni e grazie celesti e che
queste rimangano per molti anni con la salute e la felicità.
Ora vi informo che da due mesi fui colpito da forte febbre malarica che mi ha
condotto all‘orlo della tomba e mi ha obbligato a recarmi all‘Ospedale a Betlemme
e là passai due settimane tra la vita e la morte. Ora però, grazie a Dio, mi ritornò la
salute (non completamente) per le preghiere dei ragazzi orfani e di molti superiori e
fratelli e penso che la fine del mio pellegrinaggio in questo mondo non è lontana,
perché da tempo sento difficoltà in respirare e male al cuore e poca forza e tutto
questo mi dice: Preparati a incontrare il tuo Signore, quando lo vorrà.
E tu, cara sorella, come stai di salute?
Voglia Iddio che stia bene e in buona salute. Ogni giorno domando al Signore che ti
allunghi la vita per molti anni e che allontani da te ogni male. Però, in ogni caso, sii
anche tu pronta a incontrare il Signore Gesù, affinché meritiamo insieme di vederci
vicendevolmente in Cielo e ti prego di non offenderti per queste mie parole, anzi
prendi questo consiglio da un fratello che vuole il bene della tua anima perché sei
già avanzata in età e sai che la morte ci è vicina. Noi felici se saremo preparati ad
essa.
Infine ricevi i miei copiosi saluti e il mio grande rispetto e presentali alle tue care
figlie Radia, Baitalla. Nada e la quarta di cui non ricordo il nome.
Non privatemi delle vostre preghiere e orazioni.
Colui che prega per te, tuo fratello
Simaan Azer Srugi
In data 24 dicembre 1939
2.9. Quaderno dei battesimi amministrati da Simone Srugi 1928-1942
È un quaderno con il titolo ―Ambulatorio di Beitgemal, Battesimo di bambini musulmani,
volati al Paradiso‖, consistete in una tabella di cinque colonne: numerazione, data,
identificazione bambino/bambina, villaggio, nome.
Se registrano 357 battesimi fra il 1928-1942, ma è probabile che prima ci siano stati senza
registro. I nomi messi ai bambini/e erano quelli dei
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Allegati
3. Cronistoria di Beitgemal 1958 – 2011
3.1. Ponzetti Giulio (1958-1967)
(8 sdb, 4 fma, 2 laici, 30-0 allievi)
Fu don Ponzetti che avviò l‘esperienza con i ragazzi polacchi. Anche facendo un
gran bene a quei giovani e all‘inizio con un numero di allievi discretamente buono, presto
sorgono non piccole difficoltà: l‘inconveniente della lingua296, la lontananza ed isolamento
di Beitgemal che rendono difficile alle famiglie di visitare i figlioli e, infine, l‘instabilità
delle famiglie stesse che stentano a trovare un ambiente proprio e li spinge a cercare
rifugio altrove, specialmente in America o in Australia.
Nonostante nel 1961 il Patriarcato abbia cessato di pagare il sussidio per i giovani
polacchi, la comunità decise di continuare l‘attività addossandosi tutte le spese, e la Divina
Provvidenza non mancò con benedizioni anche d‘ordine economico.
Però il numero ogni volta più esiguo di allievi obbligò nel 1962 a rinunciare
all‘internato invernale. A partire da quell‘anno non ci furono giovani e collaboratori che
vivevano in comunità. Da una parte la comunità registrò allora un miglioramento sia in
riferimento alle mutue relazioni fra i confratelli, sia quanto alla vita di pietà e di lavoro. A
giudizio del direttore don Ponzetti la mancanza di personale esterno vivente in casa, aiutò a
stringere i vincoli della carità fraterna con conseguente rafforzamento della vita di
famiglia. Ne è quindi scaturita una maggiore intesa e solidarietà di tutti per il bene della
casa.
D‘altro canto, la mancanza di allievi generò in tanti confratelli una specie di
scoraggiamento quasi fosse menomato il merito della vita religiosa salesiana. Nei
confratelli d‘allora la speranza di riprendere l‘attività un giorno e la persuasione della
preziosità dell‘adempimento del proprio dovere, compiuto in spirito di obbedienza e
apertura alla volontà di Dio, aiutò a superare quello scoraggiamento.
A queste difficoltà si deve aggiungere che per Beitgemal il nemico più terribile in
quel tempo fu la scarsità di acqua fattasi sentire per diversi anni e con una siccità
aggressiva nel 1963 quando si persero tutte le piantagioni.
296 Un solo salesiano parlava polacco, e per l‘internato invernale nessuno parlava ebraico; si è dovuto
prendere un professore esterno. L‘attività estiva si portava avanti grazie al contributo di alcuni salesiani di
Cremisan, ma ogni volta diventava sempre più difficile il passaggio della frontiera.
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Allegati
Nel 1964 il Signore rinfrancò gli animi donando oltre alla pioggia abbondante,
anche l‘inizio della causa di beatificazione di Sig. Simon Srugi che fu motivo di gioia e
stimolo per tutti i confratelli.
Nonostante ciò, il contatto con i giovani non era cessato del tutto: dal 1962 al 1966
si continuò a celebrare con una certa solennità le feste dell‘Immacolata, Don Bosco, Maria
Ausiliatrice e «l‘invenzione di santo Stefano» alle quali partecipavano parecchi ex-allievi.
In più, si realizzava l‘attività estiva in favore dei polacchi, fino al 1967 quando la guerra
diede il colpo finale a quest‘attività.
3.2. Botto Alessandro (1967-1973)
(11 sdb, 5 fma, 3 laici, 50 allievi)
In settembre del 1968 si riaprì la scuola con 28 ragazzi, veramente poveri, a cui si
dedicarono con affetto e con zelo le cure dei confratelli. Dall‘anno 1970 in poi saranno 50
allievi (49 cristiani arabi e un musulmano) e anche un po‘ di più.
Così si entra in un periodo di relativa serenità e ripresa. Si continuano i lavori di
manutenzione della casa e della campagna e si affrontano anche i problemi, con i contadini
musulmani, delle proprietà dei terreni (con parziali risultati positivi). Riappaiono in
comunità i chierici (2 tirocinanti ogni anno) e anche le feste riprendono la solennità di un
tempo. Le visite illustri non mancano, ma neanche i gruppi di ragazzi o consacrati che
scelgono Beitgemal come meta di passeggiata o pellegrinaggio.
Pittoresco il rituale di arrivo in comunità e di ritorno in famiglia dei ragazzi. Per
l‘arrivo, il Direttore partiva presto con il treno per Haifa e Nazareth. Nella stessa giornata,
era di ritorno alla stazione di Bet Shemesh, ma questa volta con una cinquantina di ragazzi,
i quali trovavano la macchina della comunità che prendeva i loro bagagli; invece loro
continuavano a piedi fino a Beitgemal (così capitava ogni anno agli inizi di settembre, i
primi giorni di gennaio e dopo le vacanze di Pasqua).
Invece il rituale di ritorno in famiglia era preceduto da una festa: nella vigilia di
natale (Messa di mezzanotte, abbondante rinfresco, canti, giochi, lotteria) per il ritorno a
casa del 25 dicembre; nel giovedì santo (Messa anticipata per speciale privilegio concesso
dal Patriarca, grande colazione) per le vacanze di Pasqua; e con la festa della riconoscenza
(Messa, teatro, accademia, premi) per la vacanze d‘estate. E al solito, i ragazzi con il
Direttore partivano a piedi verso la stazione di Bet Shemesh, seguiti dalla macchina che
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Allegati
trasportava i loro bagagli. Poi il Direttore li accompagnava a Haifa e Nazareth, da dove
ritornava da solo nella stessa sera.
Intanto nel 1971 si realizza il Capitolo Generale Speciale XX che impegna i
salesiani nel rinnovamento voluto dal Concilio Vaticano II.
3.3. Motta Giovanni (1973-1976)
(13 sdb, 5 fma, 2-3 laici, 42 allievi)
Arrivato il direttore don Motta, da due mesi, il 6 ottobre 1973, festa del yom kippur,
nel tardo pomeriggio c‘è gran movimento di aerei con notizie confuse circa combattimenti
sul canale di Suez e ai confini siriani. Il black out è quasi generale. Il 10 ottobre la
macchina della comunità si reca a Betlemme, e viene fermata dalla polizia, imponendo di
consegnarla ad uso dell‘esercito. Solo due giorni dopo, e con tante fatiche, il direttor riuscì
a recuperare la macchina. Di nuovo le tensioni politico-militari crescono e lentamente,
anno dopo anno, il numero di ragazzi comincia a scendere.
Nonostante le tensioni politiche sono tante le persone297 che, passando per la Terra
Santa o che abitando in essa cercano un posto di contatto con la natura e con la pace,
chiedendo di vistare Beitgemal, dove sono accolte a braccia aperte.
Da parte sua, la comunità nel suo insieme si permette poche passeggiate-
pellegrinaggi, ma quelle poche volte godono grandemente quei posti santi come dello stare
insieme. Spesso, ma non tantissimo, furono inviati dei piccoli gruppi di rappresentanti che
partecipavano ai festeggiamenti, normalmente religiosi, della vita della Chiesa (a
Gerusalemme) o della Ispettoria (a Betlemme-Cremisan).
Il 30 settembre 1974 era giunto il momento di concludere il processo iniziato
durante il mandato inglese e non mai risolto, circa una parte della proprietà del terreno298.
L‘esito conferma che la proprietà di quei terreni è di Beitgemal. Di questo fatto, è da
rilevare la pazienza e la serena fermezza, in pro della giustizia, che don Botto, prima, e don
Motta, dopo, hanno dimostrato in questa faccenda.
297 Fra di essi: Il Patriarca Latino, il Delegato Apostolico, Vescovi, il Rettore Maggior e il suo Consiglio,
sacerdoti, suore, laici, ragazzi e ragazze di diversi Chiese o scuole.
298 Forse non è il caso di spiegare i particolari della lunga e intricata faccenda della proprietà (o delle
proprietà) di Beitgemal. Basta dire che le difficoltà reali della comunità per amministrare un spazio cosi
disperso, la situazione generale di guerra e cambi di governo e per ultimo ma non meno importante la
furbizia di… o i malintesi con… alcuni membri del Patriarcato Latino, i successivi governi (Turco, Inglese,
Israeliano), i vicini, eventuali compratori, arredatori od ospiti, hanno causato una interminabile lotta legale.
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Allegati
Nel marzo 1975 si portano a termine due trattative per affittare parte del terreno.
Una era con i benedettini (P. Isacco) , l‘altra per la costruzione di un monastero delle suore
della Fraternità di Betlemme.
Meritano un cenno i numerosi richiami al senso di solidarietà ispettoriale che sono
riportate nella cronaca; e in forma molto concreta con le resto delle comunità della Terra
Santa con i quali era abbastanza frequente l‘interscambio temporale di confratelli per
adempiere servizi ―specializzati, per sostituirsi in caso di malattia o vacanze, o
semplicemente per aggiungere energia in periodi di lavori particolarmente impegnativi.
Questo ―uno per tutti e tutti per uno‖ si basava nella consapevolezza che l‘adempimento
della missione comune era responsabilità di tutti.
3.4. Botto Alessandro (1976-1982)
(sdb 10, fma 4, laici 2, allievi 23)
Il numero di allievi continuerà a diminuire durante questo sessennio. Nonostante
ciò la vita della scuola e della comunità continua, va avanti in mezzo a tante vicende
gloriose e altre molto tristi. La comunità persiste nella sua presenza… suscitando tanti gesti
di apprezzamento e riconoscenza, ma anche gesti di avversione e ostilità.
La cronaca di quegli anni lascia vedere come Beitgemal si sente benvoluta dal
Cielo, e da un patrocino tutto speciale di san Giuseppe. A lui si attribuisce il dono della
pioggia nei momenti quando veramente c‘è n‘era bisogno. Altro segno di protezione fu la
salute dei ragazzi che nonostante la loro vivacità, che a volte arrivava all‘imprudenza, per
tutti questi anni se la sono cavata al massimo con un bendaggio e qualche giorno di riposo.
E tanti altri miracoli giornalieri, di cui riportiamo il più simpatico:
18 febbraio 1978 il trattore Fiat 540 è lasciato fermo senza freni in discesa; questo
compie una pazza corsa e va a sbattere contro un vecchio ulivo abbattendolo.
Fortunatamente l‘ulivo era vuoto all‘interno, attutisce l‘urto e i guasti del trattore non sono
gravi. Meno male che san Giuseppe era falegname e sapeva contro che legno era meglio
far sbattere il trattore.
Altri segni di benevolenza si ebbero da numerosi membri della Chiesa. Da
sottolineare quelli del Patriarca Latino di Gerusalemme che, oltre a qualche visita in
occasioni straordinarie, per anni e anni ha onorato la Scuola con la sua presenza per la festa
di don Bosco, dove presiedeva l‘Eucaristia, condivideva il pranzo con i confratelli, si
tratteneva con i ragazzi e distribuiva delle abbondanti caramelle. Lasciando sempre, oltre a
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Allegati
un buon contributo per il sostentamento dell‘Opera, il ricordo di un pastore veramente
premuroso verso il suo gregge.
Ma a quanto pare la presenza salesiana non era gradita da tutti. Nel febbraio 1977
ignoti delinquenti fecero strage con un trattore demolendo una dozzina di grossi ulivi, cosa
che non era accaduta da tempo, e non si riuscì a trovare il motivo. Un altro incidente
accadde a novembre 1981 quando qualcuno incendiò una delle piante di ulivo. Più
desolante ciò che accadde a settembre del 1981: un gruppo sacrilego penetrò nel cimitero
fracassando le croci di tutte le tombe299.
Fedeli compagne in tutte queste vicende, dall‘inizio dell‘opera fino a questo
periodo, è stata la comunità delle figlie di Maria Ausiliatrice. Anche loro sono state vittime
di atti vandalici e furti nel giugno del 1982.
Altri tre fatti di quel sessennio, riportati nella cronaca, manifestano le strette
relazioni che si mantenevano con la comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nel pomeriggio dell‘8 ottobre 1978 arriva per la prima volta a Beitgemal la Madre
Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Canta, accompagnata dalla Madre
ispettrice e di tutte le direttrici della ispettoria FMA. Vengono accolte in festa dalle due
comunità e dai ragazzi. Visitano la chiesa, la cripta con la tomba di Simon Srugi, nonché il
panorama dall‘alto dal terrazzo. È stata una vera festa per tutti.
A febbraio 1980 muore a Betlemme suor Teresa Ferrero, che era vissuta a
Beitgemal per molti anni, la maggioranza come Direttrice. Era arrivata a Beitgemal in
qualità di infermiera, per aiutare nell‘arduo lavoro che portava avanti Simon Srugi.
Rimarrà accanto a lui per svariati anni. La sua è stata una testimonianza fondamentale nella
causa di canonizzazione del venerabile coadiutore.
299 Un‘ombra di sospetto potrebbe cadere sui pastori beduini che pascolavano nella nostra proprietà. Il fatto è
che nel marzo del 1977 l‘ufficiale di sicurezza israeliano della zona, accompagnato da alcuni notabili del
Concilio Regionale, ha comunicato alla Comunità la loro decisione di mandare via questi beduini da nostri
terreni. Il Direttore e l‘Economo hanno spiegato che questo potrebbe danneggiare le relazioni e che la
possibilità di vendetta da parte loro non era del tutto improbabile, oltre al fatto che loro davano un contributo
monetario per il pasto che prendevano, e nel contempo la loro presenza serviva alla vigilanza della vasta
tenuta. Dopo questa spiegazione, l‘ufficiale di sicurezza ha fatto capire che loro non stavano consultando,
ma comunicando una decisione già presa e in quanto concerneva le difficoltà esposte loro avrebbero cercato
di aiutare.
Di fatto, i beduini furono obbligati a lasciare il posto. Però, in occasione di un loro ritorno gli israeliani li
hanno sorpresi nella nostra proprietà e gli hanno confiscato il gregge.
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Allegati
Un anno dopo, il giorno della festa di don Bosco (31 gennaio 1981) è morta suor
Rosina che aveva dedicato la sua vita al lavoro ed alla preghiera per il bene dell‘Opera di
Beitgemal.
Questi tre fatti di cronaca ci danno l‘opportunità di dedicare un pensiero di
gratitudine, più che meritato, alla presenza delle suore salesiane dal 1892-1985. Ma le
circostanze prendevano un percorso che avvierà alla chiusura della comunità delle suore in
pochi anni.
La situazione socio-politica aveva influito sulla diminuzione del numero degli
allievi fino ad arrivare al 1981 con solo 20 ragazzi nella scuola e le prospettive di futuro
non erano incoraggianti; sommato all‘insufficienza di personale salesiano dell‘ispettoria
che in pochi anni era diminuito, portò l‘Ispettore don Vittorio Pozzo a prendere la triste
decisione della chiusura dell‘internato.
3.5. Dusi Innocente (Tino) (1982-1988)
(sdb 8, fma da 3 a 0, laici 1)
Una volta chiusa la scuola, la comunità di Beitgemal mostra una speciale
disposizione ad accogliere i numerosi gruppi di visitatori che vanno sempre più ad
aumentare. Fra questi si moltiplicano anche i gruppi salesiani in pellegrinaggio nei luoghi
santi, ma anche i gruppi di allievi, oratoriani, professori, ex allievi delle diverse opere SDB
– FMA della Terra Santa che trascorrono uno, due, tre giorni, fino a una settimana quando
si tratta di campi estivi. Per alcuni anni ci sono stati campi estivi portati avanti dalla stessa
comunità.
Giornata gloriosa per Beitgemal e per tutta l‘Ispettoria del Medio Oriente è stata il
10 dicembre 1982 con la ricognizione del sepolcro del servo di Dio Simon Srugi.
L‘assemblea era composta dal Patriarca, il vescovo Siriano Cattolico, il Tribunale
diocesano e parecchi salesiani che erano visibilmente commossi. La sessione si aprì nella
Chiesa di santo Stefano e si concluse nella cripta con la firma della pergamena dei membri
del Tribunale diocesano, la riposizione delle spoglie nella nuova cassa, chiusura di questa e
collocazione nella tomba. Sedici giorni dopo, per la festa di santo Stefano, il Rettor
Maggiore don Egidio Viganò fece visita alla nuova tomba del servo di Dio. Un anno dopo,
il 6 dicembre 1983 nella Cattedrale di Gerusalemme si svolse la funzione di chiusura del
Processo Apostolico.
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Allegati
Nell‘aprile del 1984, nei giorni della Pasqua degli Ebrei, a Beitgemal si assistette a
una quasi ininterrotta processione, dalle 8 del mattino alle cinque pomeridiane, di giovani
dei kibbuzin di tutte le parti di Israele. Beitgemal diventa pian piano meta di «attrazione»
anche per gli Ebrei. Allo stesso modo negli anni successivi si vedranno arrivare centinaia
di ragazzi e giovani che approfittano della vacanza in occasione di questa loro festa.
Nel novembre 1984 c‘è stata la visita della Madre Generale delle FMA, Madre
Marinella Castagno, una bella giornata di gioia e familiarità. Ma viste le circostanze, con
l‘internato chiuso e anche il calo del personale nell‘Ispettoria FMA, un anno dopo nel
novembre del 1985 la Ispettrice prese la penosa decisione, con il rammarico di tutti, di
terminare la loro presenza a Beitgemal.
Certo la chiusura dell‘internato esigeva uno speciale discernimento da parte dei
confratelli della comunità e dei responsabili dell‘Ispettoria. È sorta l‘idea di un internato
per cristiani e musulmani, ma c‘erano parecchi pareri contrari. Senza dubbio bisognava
osservare, riflettere e pregare per scoprire la volontà di Dio nelle nuove circostanze.
Intanto l‘attività della campagna continuava, magari abbandonando qualche settore
e aprendone altri, ad esempio l‘inaugurazione di una nuova vigna. I confratelli sacerdoti
prestavano diversi servizi (disposizioni per ritiri, confessioni). Le strutture per le attività
estive erano sempre più frequentate.
Altro fenomeno che si intensificò fu la presenza di volontari nella vita e nell‘azione
della Comunità. Individui o gruppi (volontari IMO), giovani e adulti, a titolo personale o
comandati, familiari di salesiani o amici che per un periodo: una settimana, un mese,
mezzo anno o l‘anno intero, arrivavano a Beitgemal, offrivano il loro contributo, facevano
una esperienza di Dio, si creavano nuove relazioni e si approfittava della vicinanza ai
luoghi santi. Il più delle volte erano esperienze gradite e molto positive per tutti.
A Pasqua del 1986 la Divina Provvidenza indicò la via per un nuovo apostolato.
Due pastori protestanti americani, amici del Direttore, venuti con le loro mogli passarono i
giorni santi a Beitgemal.
Prima di partire il Rev. californiano Richard Huls chiese a don Domenico Dezzutto
se aveva qualche desiderio. Don Dezzutto, da acuto osservatore dei segni dei tempi, rispose
che avrebbe gradito copie del Nuovo Testamento in lingua ebraica da poter offrire ai
visitatori. Il Pastore ne procurò subito 200, che acquistò presso la Bible Society di
Gerusalemme. Non solo, ma manifestò la sua volontà di voler cooperare alla diffusione
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Allegati
della Buona Novella in Terra Santa, lasciando un‘offerta e continuando poi ogni anno ad
inviare alcuni centinaia di dollari, oppure, procurando Bibbie e N.T. in inglese
dall‘America. E così si entrò in relazione sempre più cordiale con la Bible Society. Questi
libri serviranno per una evangelizzazione indiretta per ai visitatori che la richiedono.
Anche nel 1986 grazie all‘interessamento di don Strus (salesiano polacco,
professore dell‘UPS, che era stato nominato direttore dello studentato teologico di
Cremisan) cominciarono (o ricominciarono, dopo tantissimo tempo) delle visite e
esplorazioni archeologiche; poco dopo, otterrà il permesso del Dipartimento delle antichità
per fare scavi in alcune zone della tenuta di Beitgemal.
Oltre alla presenza del P. Isacco, il benedettino che da tempo si era installato in Tel
Gamaliel300, nel 1987 si è interessata a Beitgemal la Congregazione contemplativa “Les
petites Soeurs de Betheléem” per erigere un loro monastero. Dopo aver ottenuti i permessi
e costruita la struttura, il 27 novembre 1988 si istallano come monastero (10 suore e una
volontaria).
Intanto il 1988 è il centenario della morte di don Bosco. Diverse occasione
d‘incontro e festeggiamento, che hanno come punto centrale il 14 maggio301 in cui si
realizzò la rinnovamento della consacrazione religiosa di tutti i salesiani. In Terra Santa
l‘incontro fu nella Basilica dell‘Annunciazione a Nazareth.
3.6. Martinelli Ilario (1988-1999)
(8 sdb, 1 laica)
Dopo 7 anni dalla chiusura dell‘internato e tre anni dall‘interruzione della
Comunità fma, con il persistere della situazione politico-militare poco chiara, con l‘età
media dei confratelli che si elevava sempre di più e tutto ciò senza una nuova fisonomia
apostolica definita, nell‘ambiente comunitario si risentiva della mancanza regolare della
presenza dei giovani. Quella periodica non era ancora soddisfacente, giacché si era riusciti
arrivare solo a una presenza aleatoria, scarsa e non organizzata.
Nonostante ciò, i confratelli si sono mostrati sereni, religiosamente esemplari e
molto impegnati nel lavoro della campagna e della casa. E così, lentamente, la vita
intrapresa dalla comunità continua il suo sviluppo.
300 Così hanno denominata, il P. Isacco e i compagni che lì risiedono, la collina, ove fino al 1948 abitavano
alcune famiglie arabe che lavoravano i terreni di Beitgemal.
301 Giorno in cui i primi salesiani emisero la consacrazione religiosa in mani di don Bosco nel 1862.
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Allegati
In merito alla vigna, il rapporto lavorativo con Cremisan aumentò temporalmente,
anche se raggiungere l‘intesa non è stato semplice e nel rapporto giornaliero non sempre si
andava in totale accordo. Però dopo pochi anni le difficoltà, interne e esterne, che
Cremisan attraversava, portò alla ripresa dell‘amministrazione della vigna per parte della
comunità Beitgemal. Anche per Beitgemal, non potendo tante volte portare operai dalla
«zona occupata», implicava un lavoro faticoso che in più occasioni vide i salesiani
impegnati a falciare ed estirpare erbacce e a zappare attorno alle viti. Ma la vigna è grande
e il lavoro faticoso!
Da parte sua don Slaninka cura un gregge che arriva a superare i 130 capi, ma in
diverse volte queste saranno derubate.
Prosperano le visite, le esperienze di volontariato e il servizio come casa di
accoglienza per gruppi, specialmente giovanili. Anche gli ebrei continuano a essere attratti
dal posto e per loro continua l‘apostolato della buona stampa.
Altresì gli studi archeologici vanno avanti. Ogni tanto arrivano gruppi di giovani
archeologi da diverse paesi d‘Europa, coordinati da don Strus e dai padri domenicani (nel
luglio del 1990 sono apparsi, in uno degli scavi, indizi di una chiesa bizantina e parte di un
architrave con una iscrizione in greco)
Questo buon andamento si è interrotto nel gennaio 1991 quando la situazione
politico-militare diventò sempre più esplosiva a motivo della crisi nel Golfo Persico302 che
portò a sospendere le attività pastorali, per ricominciare dopo tre mesi con una lenta
ripresa.
A novembre 1991 grande festeggiamento per i 100 anni della presenza salesiana in
Terra Santa. Il 5 novembre nel corso di esercizi spirituali itineranti il Rettor Maggiore e il
Consiglio Generale visitano Beitgemal, dove pregano sulla tomba di Simon Srugi e dopo la
meditazione seguono le confessioni.
Nel 1992 si ristruttura l‘antico reparto delle fma come ambiente comunitario,
liberando del tutto l‘edificio principale che potrà essere aperto per l‘accoglienza di gruppi
giovanili. Durante la visita ispettoriale di quell‘anno, l‘Ispettore ricorda che non sono i
muri che atraggono i destinatari; il vero servizio che si presta è la propria santità, perciò
chiede ai confratelli di diventare: più uomini di fede, più uomini di preghiera, più uomini di
Dio, uomini di fiducia, rispetto reciproco e dialogo fraterno.
302 Si distribuiscono le maschere a gas e si isolano ambienti per sopravvivere nel caso di attacchi chimici.
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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
Il 2 aprile 1993 a Roma Simon Srugi viene dichiarato venerabile. Questo è un
appello e un stimolo per la comunità a crescere nella santità personale e comunitaria e ad
aprirsi, come fece il buon concittadino di Gesù, al servizio che le circostanze imponevano.
Infatti la situazione socio-politica continua a cambiare. In Israele, dopo il crollo del
comunismo, sono arrivati più di mezzo milioni di russi immigrati. Tra di essi più del 30%
era di origine cristiana: matrimoni misti, famiglie, ecc. Inoltre, limitando al massimo la
manodopera araba, Israele importa sempre più numerosi operai stranieri, anche da lontano,
fin dalle Filippine e dalla Cina. Particolarmente numerosi nelle costruzioni sono gli operai
rumeni.
Nel frattempo la Provvidenza apriva le porte per nuovi contatti e amicizie disposti a
collaborare con l‘apostolato della buona stampa di don Dezzutto; bisognava offrire la
Buona Novella in diverse lingue303, per diversi destinatari (bambini, operai, universitari,
studiosi), anche per mezzo di catechismi, libri devozionali, ecc. Così si sono offerti in
quegli anni migliaia di libri ai diversi visitatori di Beitgemal.
Intanto la composizione delle comunità presenti in Beitgemal cambiava: nell‘agosto
1995 muore a Tel Gamaliél il benedettino P. Isacco, dopo 20 anni di esperienza in
Beitgemal nel tentativo di realizzare un kibbutz di incontri e studi ebrei-cristiani;
l‘esperienza non ha funzionato e a maggio del 1996 i benedettini riconsegnano la proprietà.
In conseguenza, anche se qualche difficoltà si era presentata con il monastero
femminile, loro esprimevano la loro gratitudine per l‘accoglienza e i servizi prestati dai
salesiani; ma desiderose di avere il ramo maschile accanto a loro, hanno iniziato le
trattative perché fosse loro affidato Tel Gamaliél e un altro pezzo di terreno per erigere il
monastero maschile. Che in effetti cominciò a funzionare dal 1998.
Alcuni terreni di Beitgemal sono stati inglobati nel piano regolatore della città di
Bet Shemesh, e sono stati dichiarati zona industriale e zona residenziale. Poiché la
possibilità di gestire quei terreni per la comunità stessa era una eventualità che superava le
proprie capacità, si pensò di offrirli in affitto, con la speranza che il ricavato servisse per la
ristrutturazione della casa e per la difesa della proprietà soprattutto nei punti più esposti.
303 Ebraico, russo, inglese, rumeno, arabo, bulgaro, spagnolo, francese, tedesco, cinese, thai, portoghese,
iddish.
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Allegati
3.7. Scudu Antonio (1999-...)
(5 sdb, 1 laico)
Nel 1999 gli studi archeologici, portati avanti da don Andrè Strus, trovarono
insieme un‘antica struttura circolare, senza dubbio di epoca bizantina, una Tabula ansata.
Tutto ciò nel territorio della comunità di Betgemal in un settore identificato come Khirbet
Jiljil. Dopo anni di studio nel 2006 la École Biblique pubblicò i risultati affermando che
nella Tabula ansata sta scritto: ―Diacono Stefano, Protomartire.
Dopo ciò si può assicurare che la questione sulla identificazione dell‘originale
sepolcro di santo Stefano è risolta a favore di Beitgemal. La situazione richiede di
continuare gli scavi archeologici, di assicurare l‘incolumità di quanto è stato già scoperto e,
in futuro, di prevedere la possibilità di visite a scopo spirituale e devozionale. Ma tutto ciò
si è rallentato dopo la scomparsa fisica di don Strus nel 2005.
La presenza salesiana continua a caratterizzarsi per l‘accoglienza di gruppi, che
giungono per una giornata di riflessione o di ritiro o, durante l‘estate, per campeggi, campi-
scuola, ecc.: per questo tipo di accoglienza la casa attualmente è attrezzata con una decina
di camerette e due camere più grandi, che avrebbero però bisogno di qualche
ristrutturazione e miglioria.
La comunità continua ad essere impegnata nella cura della proprietà e nella
coltivazione della campagna. Oltre alla parte affittata ad un kibutz e ad un privato, c‘è la
vigna e l‘oliveto coltivati direttamente dalla comunità, specialmente attraverso un
confratello che coordina il lavoro di alcuni operai. Si avviò, grazie a un progetto del VIS, il
potenziamento e la riqualificazione della produzione viti-vinicola, con una modalità nuova
di organizzazione del lavoro e della produzione.
Ma ciò che ha caratterizzato in questi anni la comunità di Beitgemal, oltre ad essere
una presenza di Chiesa in pieno contesto ebraico, è l‘accoglienza di numerosi visitatori
(circa 80.000 persone all‘anno), specialmente il sabato, in prevalenza ebrei e immigrati dei
Paesi dell‘Est, cristiani di fatto, di tradizione o di desiderio.
Questi visitatori sono indubbiamente attratti dalla bellezza del luogo, ma trovano
qui persone disponibili per una catechesi essenziale sul cristianesimo, a partire dalla
memoria di Santo Stefano. Per questi visitatori si continua l‘interessante servizio di
diffusione della Parola di Dio e di altri testi religiosi in varie lingue.
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Allegati
Se distribuiscono più di 8.000 Bibbie l‘anno in Russo, ebraico, inglese, arabo,
romeno, spagnolo e altri libri di spiritualità e catechesi304.
La presenza salesiana e l‘apostolato della buona stampa non sono graditi da tutti.
Basta pensare che un porzione significativa della popolazione di Bet Shemes sia composta
di giudei ortodossi e ultra ortodossi. Infatti si sono ricevute lettere anonime in diverse
lingue fortemente minatorie in qualità di dichiarazione di guerra. Hanno fatto seguito
striscioni in Ebraico ed in Russo che sconsigliavano di salire al convento per evitare
lavaggio del cervello. Un'altra volta il cimitero ha subito atti vandalici, pur essendo le croci
in cemento armato (a seguito della distruzione di tutte le croci di legno nel 1981) ne
piegarono alcune. L‘insegna stradale è stata ripetutamente imbrattata ed abbattuta. Nel
periodo di maggio-ottobre sono frequenti gli incendi dolosi, per cui bisogna pagare salati
gli interventi dei pompieri. Particolarmente pericoloso l‘incendio del 2004 che,
nell‘intenzione dell‘attentatore Ya‘acov Teitel doveva distruggere la pineta che attornia la
casa e la chiesetta di santo Stefano.
Il fatto più grave in questi anni si registrò nel 2006 quando, come al solito, di buon
mattino, il confratello Adelino stava per scendere al lavoro in vigna su un piccolo trattore;
ma dovette ritardare. Lo precedette l‘operaio Jimmy su un grosso trattore. Nel tragitto
avvenne l‘esplosione di un ordigno quando il trattore tagliò il filo legato all‘esplosivo. Per
grazie di Dio l‘operaio seduto sull‘alto trattore, venne ferito solo leggermente e poté
riprendersi totalmente in poche settimane. Non così se fosse stato il piccolo trattore del sig.
Adelino. La sua persona sarebbe stata investita in pieno e mortalmente.
Dopo 25 anni di un ingegnoso e perseverante apostolato di don Domenico Dezzuto,
Beitgemal continua oggi a prestare un bel servizio di annuncio della verità e della
misericordia proclamati da Cristo.
304 A modo di esempio riporto il registro dell‘apostolato della buona stampa dell‘ano 2010:
SANTA BIBBIA in CD-ROM: in 17 lingue e codici Sinaitico, Vaticano e Alessandrino in fassimile (906
copie).
Lingua RUSSA: Santa Bibbia formato grande 1063 – Santa Bibbia formato medio 660 – I profeti parlano
1246 – Bibbia del fanciullo 1000 – NT Russo 740 – NT Ebraico-Russo 72 – VT Ebraico-Russo 10 –
Breve biografia di don Bosco 5000 – ―101 fatti Biblici illustrati‖ 40 – ―25 aneddoti biblici illustrati
600 – ―5 storie illustrate: Noè, Giuseppe, Mosè, Samuele, Daniele‖ 88. Bollettino salesiano 100 copie
trimestrali – Parola di vita 100 mensili. Si continua a distribuire quanto stampato in precedente:
―Storia di un anima‖ – Madre Teresa di Calcutta – Madonna di Fattima – Compendio del CCC – I
libri deuterocanonici – Libretto delle preghiere – Catechismo ―Io credo– Breve catechismo
domanda-risposta – ―Atu per tu con Dio– Pieghevole di catechesi ―lo sapevi?
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Allegati
4. Note biografiche dei confratelli più significativi di Beitgemal
4.1. Haruni Giorgio (L):
A 11 anni arrivò alla casa di don Belloni a Betlemme, fece il Noviziato e professò
come membro della Congregazione della Santa Famiglia; nel 1895 professò da salesiano.
La campagna fu il campo del suo lavoro e della sua santificazione. Aveva una vera
passione per il lavoro. Per lui era cosa naturale alzarsi alle due di notte per fare un giro di
ispezione nella basta proprietà, come era naturale trascorrere le notti in guardia durante il
tempo della trebbiatura, coricato sulla paglia, avvolto in una semplice coperta.
Un profondo senso di responsabilità unito ad uno spirito di sacrificio a tutta prova,
gli facevano parere dolce ogni fatica. Sempre vigile, sempre attento onde nulla andasse a
male, sempre scrupoloso nel rendere conto ai superiori fino all‘ultimo centesimo del
denaro che gli veniva affidato per la paga degli operai e per le altre spese.
Godeva la stima più grande presso i contadini musulmani che lavoravano la nostra
terra e quelli che vivevano nel villaggio che circonda la casa. Di questo villaggio fu
sindaco per molti anni.
Da genuino figlio di don Bosco però sapeva associare il lavoro alla preghiera.
Anche nelle epoche dell‘anno in cui i bisogni della campagna sembrerebbero giustificare
qualche deroga alle pratiche di pietà in comune, mai fu visto mancare alla Messa, alla
meditazione, alle altre pratiche della comunità.
Praticava l‘ubbidienza con umiltà, sottomettendosi esemplarmente alle decisioni dei
superiori anche quando erano contrarie alle sue vedute, anche quando potevano sembrare
inopportune o frutto di poca esperienza. Donava se stesso ai giovani mediante
l‘insegnamento accurato e l‘esempio efficace.
A Beitgemal è vissuto in due periodi per 36 anni complessivamente. Gli ultimi anni
li trascorse a Cremisan e poi a Betlemme. Morì a 82 anni di età e 60 di professione
salesiana.
4.2. Luigi Lajolo (P)
A 10 anni entrò nella casa salesiana, a 14 anni realizzò il Noviziato sotto la
direzione di don Bianchi e a 23 anni fu ordinato sacerdote. Inviato alla ispettoria Orientale
lavorò in Smirne, Alessandria d‘Egitto, Betlemme, Istambul, Gerusalemme, Haifa e
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Allegati
finalmente Beitgemal. Il suo lavoro fu tenace, a volte umile e nascosto, ma quanto zelante,
quanto fecondo! Dovunque passò, seminò il bene a piene mani, senza risparmio di sudori e
di fatiche, in mezzo ai giovani e ai confratelli.
In tanti anni di permanenza in questo travagliato Medio Oriente innumerevoli sono
le anime che egli seppe educare e innamorare alla virtù e al lavoro. Le due case, dove
maggiormente profuse le sue fatiche, furono Haifa e Beitgemal. A Haifa, quale catechista,
fu per lunghi anni l‘anima di tutte le manifestazioni svoltesi in quella fiorente scuola. A
Beitgemal, poi, trascorse gli ultimi 17 anni come Direttore prima, e poi come Prefetto. Per
Beitgemal furono questi anni difficilissimi, funestati da lotte e conflitti politici, che
culminarono con la guerra Arabo-Ebraica. Si deve in non piccola parte alla grande
esperienza ed abilità di don Lajolo se la bufera non ebbe per la casa conseguenze più
disastrose. Sempre vigile, sempre al suo posto, nonostante l‘età e gli acciacchi, con
ammirevole spirito di sacrificio spese senza risparmio le sue ultime energie. Mori a 80 anni
di età, a 65 di professione e 57 di sacerdozio.
4.3. Morosin Giovanni (P):
A 11 anni sente la chiamata missionaria, a 12 fermandosi a Beitgemal si innamora
del carisma salesiano.
Era un lavoratore instancabile: il carico di economo a Cremisan richiese a lui grandi
sacrifici che portò avanti con fede e silenzio. Con la sua bontà riuscì a far fronte alle
molteplici minacce che da diversi fronti soffrì la Comunità, specialmente intorno al ‘48.
Appassionato studioso: insegnate di arabo, latino e musica, studiò anche il francese
e il tedesco nei ritagli di tempo.
La passione per il latino l‘aveva ereditata dal suo venerato maestro don Mario
Rosin, a cui era legato da profondissima stima ed ammirazione, da filiale confidenza e da
intima amicizia.
Di vivissima pietà: i suoi colloqui scritti con Gesù sono pieni di espressioni
affettuosissime, profondissime e, talvolta, mistiche; dedicò i suoi ultimi anni a confessare
e a sgranare rosari. Aveva una grandissima devozione alla vergine Maria edificantemente
dimostrata nell‘ora della morte.
Questa vita interiore era custodita da una profonda umiltà e un intransigente
distacco dal mondo e da tutto ciò che poteva costituire distrazione dalla vita spirituale. Ma
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Allegati
la sua austerità, invece di allontanare le anime, le avvinceva e le incantava. La sua anima
era candida; semplice, di una semplicità provveduta e ricca di un fascino spirituale.
Fu un vero padre per i contadini musulmani dei dintorni, i quali chiesero di far la
loro preghiera davanti alla sua salma e poi parteciparono commossi alla Messa dei funerali.
Muorì a 78 anni di età, 61 di professione e 53 di sacerdozio.
4.4. Benezzato Giuseppe (L):
A 16 anni arrivò in ispettoria, lavorò in diverse case, specialmente a Betlemme.
Sopraggiunta la guerra, rimase internato con altri confratelli in quella casa, condividendo
con loro ansie, speranze e delusioni e sforzandosi col suo buon umore a rendere meno
penosa la privazione della libertà.
Era un buon lavoratore, sempre pronto a rendere servizio. Santificava il lavoro con
l‘unione con Dio, ed era fedele alle pratiche di pietà, trovando il tempo per farle da solo
quando le occupazioni gli impedivano di compierle in comune. La sua fede era semplice e
robusta; la rinvigoriva con la lettura spirituale fatta nei momenti di tempo libero.
Giustamente il Direttore che lo ebbe per tre anni a Beitgemal dice che ammirò
sempre in lui un forte attaccamento alla vocazione, un sodo spirito di obbedienza unito a
schiettezza, a spirito di sacrificio e di interesse per la casa.
Con confidenza e regolarità faceva il rendiconto, rimettendosi in tutto al consiglio e
al parere del Direttore.
Durante la malattia i confratelli furono edificati dalla sua formazione spirituale, dal
suo amore per Dio e per la Congregazione. Muorì a 52 anni di età e 30 di professione.
4.5. Galizzi Pietro (P):
A 19 anni partì per l‘Egitto come aspirante salesiano. Passò la sua vita salesiana
nelle case di Alessandria, Beitgemal e Betlemme.
Per la sua bella figura morale, per la sua fervorosa vita spirituale, per le sue spiccate
doti salesiane, s‘impose all‘ammirazione di quanti lo conobbero, fin dai primi anni di vita
salesiana.
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Allegati
Chi lo ha conosciuto a Beitgemal lo ricorda come il giovane ―pio, umile, senza
chiasso‖, il sacerdote ―semplice, schietto, di buon senso, senza chiaccherel‘uomo ―buono,
tranquillo, gioviale‖.
Col passare degli anni si accentuò in lui il distacco da ogni cosa terrena; si fece più
intensa la sua vita spirituale, amò la riservatezza, le letture ascetiche, l‘approfondimento
delle dottrine teologiche e bibliche, e questo senza venir meno all‘attività propria del
salesiano.
Lavoratore indefesso nei momenti duri e provati delle case; fu insegnante di
teologia dogmatica e morale per molti chierici. Coltivò con rara passione il canto
gregoriano, insegnandolo con perizia ai ragazzi di Beitgemal ed ottenendo risultati
veramente brillanti.
Quante volte a Beitgemal, mancando gli istruttori agricoli, conduceva le squadre
dei ragazzi al lavoro dei campi. Sempre pronto a tutto con serenità, senza troppe storie!
Così pure finché le forze glielo permisero, si trovò in ricreazione con i ragazzi che erano
felici di lisciargli la bella barba bianca e di ascoltare le sue buone parole.
Come confessore si dimostrò buono, saggio, comprensivo, di tatto squisito, un
bravo direttore d‘anime. Muorì a 81 anni di età, 58 di professione e 47 di sacerdozio.
4.6. Kattan Pietro (P)
Da tenerissima età crebbe nell‘ambiente salesiano di Betlemme. Visse a Beitgemal
un anno da tirocinante e poi tre da catechista e consigliere. Era un vero apostolo che si è
prodigato generosamente nel fare il bene, con umiltà e semplicità, con larghezza di cuore e
sempre con tanta bontà.
Fin dai primi anni di sacerdozio si dedicò con zelo al ministero delle confessioni e
della predicazione, per la quale si prestava generosamente: non sapeva dire mai di no,
anche quando il Direttore era costretto a rivolgersi a lui all‘ultimo momento, per sostituire
un confratello impedito.
Il suo zelo lo spinse a chiedere ai superiori, fin dal suo primo anno di sacerdozio, di
andare in missione. Ma la sua presenza era troppo utile nell‘ispettoria, perciò la sua
richiesta fu esaudita solo dieci anni più tardi, quando fu inviato in America Latina. Giunto
in Cile, constatando l‘abbandono spirituale in cui si trovavano i suoi connazionali emigrati,
si trasformò in un vero missionario e intraprese un lavoro apostolico che lo portò a contatto
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Allegati
con oltre centomila persona di lingua araba, sparse nelle diverse repubbliche dell‘America.
Fu una missione molto faticosa e non sempre facile: talvolta corse pericolo di vita e
dovette affrontare sacrifici e umiliazioni non indifferenti. Dopo dieci anni, per il
deteriorarsi della salute, ritornò in Ispettoria.
Fu incaricato dell‘Arciconfraternita di Maria Aussiliatrice e dei Cooperatori,
mostrandosi disponibile a tutti, con grande equilibrio e tatto delicato. Era ammirevole la
sua prudenza: non lo si sentiva mai parlare male di nessuno: né dei confratelli, né di
persone estranee.
Era puntuale alla sua confessione e cambiava con semplicità confessore, pur di
essere fedele a questo incontro con la grazia di Dio. Morì a 66 anni di età, 44 di
professione e 37 di sacerdozio.
4.7. Candiani Antonio (P):
Entrò in Aspirantato ai 16 anni. A 28 (1915) fu chiamato sotto le armi e ha dovuto
partire per la Macedonia per circa due anni. A 31 anni (1918) partì missionario per la
Palestina.
Il suo temperamento era vivace e franco e qualche volta assumeva un tono piuttosto
deciso e sbrigativo, che in qualche circostanza poteva sembrare anche burbero; ma quella
scorza ruvida nascondeva un cuore buono e proteggeva una sensibilità delicata.
La fede robusta e l‘ardente carità hanno fatto di lui un uomo generoso, sempre
pronto al servizio del prossimo, fino alla totale abnegazione di se stesso. Si era donato
completamente alla sua missione educativa: amava sinceramente i giovani e si prodigava
soprattutto per i più poveri.
In tutte le case dov‘è passato ha sempre lasciato un grande esempio di laboriosità,
adattandosi a sbrigare anche la faccende più umili. Questo spirito di laboriosità era
alimentato da una profonda pietà, che aveva talvolta espressioni di evangelica semplicità,
ed era associato ad un grande amore per la povertà.
A una sua lettera di sfogo, che egli deve aver scritto al Rettore Maggior don
Ricaldone nel 1939, mentre era Direttore di Beitgemal in un momento di scoraggiamento,
il superiore rispondeva: ―Se non ti conoscessi, sarei quasi tentato di tirarti le orecchie, ma
siccome so che sei una bravissimo figliolo mi limito a dirti: carissimo don Antonio, rimani
al tuo posto, dove ti vuole il Signore e porta con generosità la tua croce. Avendo dei debiti
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Allegati
potrai recitare con maggior fervore il Pater Noster, ripetendo con fede: Dimitte nobis
debita nostra!‖.
E don Candiani ha saputo far fronte a tutte le situazioni con grande spirito di fede e
dando, per primo, esempio di economia e di povertà. Senza dubbio, ha vissuto con
profonda convinzione e coerenza la massima di don Bosco: lavoro e temperanza! Era una
tempra di lavoratore forgiato a contatto con le prime generazioni di salesiani. Non poteva
mai star fermo. Quando lo si accompagnava a riposare, la frase di congedo era sempre la
medesima: ―se avete bisogno di me, chiamatemi!‖. Muorì a 86 anni di età, 65 di
professione e 54 di sacerdozio.
4.8. Galliani Giuseppe (P):
A 18 anni entrò nell‘Aspirantato di Ivrea e a 23 nel Noviziato di Cremisan. Di
temperamento volitivo e di senso maturo, fu sempre un elemento di certezza e quasi un
punto di riferimento per i suoi compagni.
Riconosceva umilmente di non aver doti brillanti, ma lo rendeva sempre caro quel
senso pratico che vale più di tutte le rare doti di intelligenza quando è unito a un profondo
senso di Dio. Fu pienamente a disposizione dei superiori con l‘ubbidienza delle anime
generose che non sanno mai dir di no.
Ebbe il senso del concreto e la capacità di saper cogliere l‘essenziale in ogni cosa e
in ogni circostanza. Da ciò la sua bonaria e, a volte, anche rude saggezza che tagliava corto
e risolveva le situazioni più difficili pagando anche di persona; perché aveva imparato che
il bene non si fa senza sacrifici.
A Beitgemal, come in molte altre case, fu Prefetto dove prodigò se stesso, a volte
sino all‘esaurimento, sottomettendosi a lavori faticosi e massacranti che avrebbero lasciato
un segno indelebile nel suo organismo.
Quel suo temperamento solido in tutti i sensi, non volle dominare con la forza, ma
con l‘amore. Un amore schivo, rude, a volte severo; ma sempre accorato, sempre intimo:
un amore sacerdotale. La santità interiore di una castità limpidamente vissuta, è sorgente di
irresistibile simpatia; attrae, appunto perché è chiara, rasserenante, corroborante.
Questa era l‘impressione che suscitava don Galliani nei giovani che a lui si
aprivano candidamente, sicuri di trovare calore costruttivo, comprensione, aiuto. Di fatto,
come don Bosco, era sempre fra i giovani: primo a giungere il cortile col suo fare arguto,
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Allegati
vivace, a volte pizzicante, fatto apposta per affascinare e per convincere ogni giovane di
essere per lui un centro di interesse e soprattutto di amore. Dio solo sa quanto, nel segreto
del suo confessionale, abbiano poi fruttato quelle parole che avevano sempre un discreto
accenno all‘eterno. Morì a 75 anni di età, a 42 di professione e 33 di sacerdozio.
4.9. Ghezzi Luigi (L):
Molto vivace l‘apostolato laicale che ha esercitato al suo paese. A 40 anni entrò
nell‘Aspirantato d‘Ivrea. Un anno dopo inizio il Noviziato a Cremisan.
Fatta la professione religiosa venne destinato a Beitgemal, dove gli si aprì un vasto
campo di apostolato tra i giovani poveri. Ebbe generalmente uffici di poca apparenza, ma li
disimpegnò sempre con precisione e fedeltà, attirandosi non solo l‘ammirazione e il
rispetto degli allievi operai, in gran parte musulmani, ma giungendo ad allacciare con loro
rapporti di schietta cordialità, per la delicatezza e la bontà con cui sapeva trattare a tutti,
senza distinzione di età e di religione.
In questo periodo fu colpito dalla malaria, di cui non riuscì mai a liberarsi
completamente, e di tanto in tanto i brividi della febbre lo costringevano a letto. In questi
casi non voleva disturbare nessuno e si curava da solo, senza mai esprimere un lamento o
una recriminazione contro questo disturbo cronico, che aveva accettato dalle mani di Dio.
L‘orientamento verso la santità, favorito è stimolato in Noviziato dall‘esempio e
dalla sapiente guida del maestro, don Raele, riceve nuovi impulsi a Beitgemal. Sia per il
luogo santo che richiama la figura di santo Stefano, sia soprattutto per il fascino che
esercitava su di lui il confratello Simon Srugi, che allora era in piena efficienza apostolica.
Simon Srugi è rimasto un punto di riferimento per il resto della sua vita.
Poi visse in Betlemme, Tantur e alla fine Cremisan. Nel sig. Ghezzi si poteva
vedere sempre più limpida la figura del salesiano affabile, di compagnia, dotato di capacità
di conversazione, faceto e arduo, penetrante e vivace nelle osservazioni, tanto di riuscire
simpatico a tutti. La sua personalità influì in modo altamente positivo sulla formazione
sacerdotale di tanti chierici che passarono per lo studentato di Cremisan. Morì a 85 anni di
età e 43 di professione.
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4.10. Barberi Giovanni (P):
A 21 anni entro nell‘Aspirantato. Il clima di famiglia nelle case di Aspirantato lo
colpì profondamente e ne parlò tanto da attirare l‘attenzione di altri due fratelli che lo
seguirono fino in Medio Oriente. A 25 anni venne in Terra Santa.
Forse per un senso fin troppo vivo dei suoi limiti, ebbe un vero culto per la vita
nascosta, di lavoro sodo e generoso. Di temperamento timido e delicato pareva destinato a
consacrare la sua esistenza in attività di solo affiancamento e collaborazione. La
Provvidenza invece gli riservava mansioni che parvero in contrasto con le sue aspettative o
almeno erano lontane dalle sue previsioni.
Dopo l‘internamento a Betlemme nel 40 fu direttore a Haifa, Cremisan e Beitgemal
nei momenti molto duri per quelle comunità. Come direttore troverà nella fede e nella
fiducia in Dio le risorse necessarie per agire di fronte ai casi quotidiani (scarsità del
personale, conflitti, invasioni, bombe).
Nel 1949 destinato a dirigere la comunità di Beitgemal dovette aspettare parecchi
mesi prima di poter attraversare le frontiere e giungere al suo posto di lavoro. Beitgemal
situata in pieno stato israeliano, venne a trovarsi di fronte a nuove ed insospettate
difficoltà. L‘attività salesiana, nelle diverse articolazione furono provate, procedeva con
tanta fatica e finì per ridursi al minimo. I confratelli, direttore in testa, si adattarono a
pesanti lavori agricoli, per supplire alla mancanza di mano d‘opera, nell‘intento di salvare
lo salvabile.
Un nuovo compito, duro e di grande sacrificio, fu seguire le maestranze e operai
nella costruzione della nuova casa di El Houssoun. Vivendo preso una famiglia locale, fece
buon viso a tante scomodità ed ingoiò a gran forza bocconi amari, procurati da impresari
ed operai molto interessati e poco docili, se non ribelli, a richiami e direttive che la
rettitudine ed onestà di don Barbieri loro dettavano.
Nella pastorale, le popolazioni locali seppero apprezzare il suo lavoro e nutrirono
per don Barbieri una grande stima che giungeva alla venerazione. L‘abuna Hanna (padre
Giovanni) era divenuto per essi l‘espressione più alta e significativa dello zelo e delle virtù
sacerdotali.
Nel 1970 destinato di nuovo a Beitgemal, quale confessore, si dimostro uomo
buono, ricco di buon senso e esperienza e un sacerdote all‘altezza della direzione
spirituale. Morì a 76 anni di età, 50 di professione e 41 di sacerdozio.
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Allegati
4.11. Casagrande Ferdinando (P):
A 17 anni entra nell‘Aspirantato. A 30, sacerdote novello parte per il Centro
America, dove resterà solo dieci anni, ma resterà innamorato di quella popolazione. Pochi
giorni prima della morte dichiarava che sarebbe tornato, anche a piedi, nelle Repubbliche
del Centro America dove c‘è tanto bisogno di numerosi e santi sacerdoti. Ma il
superlavoro richiesto della scarsità del personale, e poiché don Casagrande sapeva imporsi
spinto dallo zelo e dalla generosità nella dedizione di sé, gli aveva seriamente scosso la
salute; e con vivo rammarico dovette rassegnarsi a rimpatriare.
Dopo un tempo di lavoro in Italia, si presentò l‘occasione di ritornare alle missioni,
questa volta in Medio Oriente. Visse nella comunità di Beirut dal 1966 al 1975.
Una ricca carica di umanità lo rendeva sollecito, attento e servizievole verso tutti.
In comunità è elemento apportatore di serenità e equilibrio, di distensione e cordialità, di
facile amicizia, sempre in una tonalità gioiosa e piacevole. Era aiutato in questo da un
abbondante patrimonio di nozioni, di informazioni in svariati settori, unito alla prontezza di
battute spontanee e originali. Nessuna meraviglia che numerosi allievi di Beirut si siano
affezionato a lui. Di questa familiarità, egli da autentico salesiano, sapeva servirsene per
fare del bene seguendoli con una assistenza diligente.
Un tumore e la guerra civile in Libano li costrinsero a recarsi in Italia. Ma dopo un
anno dove sembrò riprendersi, richiese di ritornar in Ispettoria. Fu destinato a Beitgemal
dove il clima poteva aiutarlo a recuperare la salute, ma lui più che della propria salute
pensò a portare un po‘ di aiuto ai confratelli, scarsi di numero, oberati di lavoro e di
impegni. Ma dopo qualche mese le sue condizioni peggiorarono. La sua Via Crucis fu
vedersi destinatario di speciali attenzioni e riguardi quando il suo desiderio era sollevare il
carico della comunità. Ma i confratelli erano certi che i patimenti da lui sofferti e offerti a
Dio assicuravano l‘efficacia della missione comune. Morì a 55 anni di età, 36 di
professione e 26 di sacerdozio.
4.12. Reggio Antonio (P):
Nato in Turchia, studiò nella scuola di Smirne e da lì fu inviato ad Alessandria
d‘Egitto dove conobbe i magnifici salesiani della prima ora che gli fecero nascere il
desiderio della vita religiosa. Ma ritornò in Turchia e fu contabile in una banca. Solo a 27
anni entrò a Cremisan per il Noviziato, cambiando il suo stile di vita facile per uno molto
più austero e laborioso
220

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
Quando la comunità di Betlemme divenne campo di concentramento e con la
disfatta di el Alamein, cominciarono ad affluire nei campi anche prigionieri di guerra
italiani bisognosi di confronti religiosi, don Reggio fu scelto per questo faticoso e a volte
arduo ministero fra i soldati italiani ed anche i soldati cattolici dell‘esercito alleato.
Ore e ore di confessione, rapporti di amicizia indispensabili per tirar su il morale di
quegli uomini lontani dalla famiglia e ormai scoraggiati dopo il crollo definitivo di tutte le
illusioni; in questo apostolato don Reggio si mostrò abile nel tratto e mise a disposizione
tutte le sue doti di gentiluomo, di amico e di sacerdote.
Per due anni come Economo di Beitgemal dal ‘49 al ‘51 ha mandato avanti
l‘economia disastrata dalla guerra e dalla povertà.
A Port-Said (Egitto) durante l‘occupazione anglo-francese sotto i proiettili e con
pericolo di essere colpito ad ogni momento , non si rifiutò mai di compiere il suo servizio
sacerdotale come cappellano di varie comunità.
Fu il coordinatore tra le forze alleate e i civili rimasti, così insieme ai confratelli
riuscì a organizzare nella scuola un ospedaletto per civili di ogni nazionalità e salvare
tante preziose vite umane.
Gli ultimi 20 anni li visse al Cairo dove morì a 76 anni di età, 48 di professione e 39
di sacerdozio.
4.13. Castellino Carlo (P):
Durante il servizio militare frequentava l‘oratorio di Valdocco. Quando entrò
all‘Aspirantato provò difficoltà a riprendere il percorso di studio. A 26 anni iniziò il
Noviziato a Cremisan. Realizzò il Tirocinio in Egitto. La seconda guerra mondiale lo
bloccò in Egitto dove fu portato tra gli internati civili di Bulacco e poi Embabeh. Tra i
compagni di prigione vi erano pure sacerdoti che lo aiutarono a portare a termine il
curriculum teologico richiesto per l‘ordinazione.
I primi 12 anni di sacerdozio (1944-1956) al Cairo ed Alessandria fu consigliere
scolastico in quell‘ambiente non facile per la diversità di nazionalità e di mentalità tra gli
alunni: egiziani, greci, italiani, armeni ecc. e con un mosaico non meno vario di religioni e
riti.
Don Castellino lottò per mantenere la disciplina, indispensabile in un ambiente
eterogeneo di giovanotti, spesso irrequieti o esuberanti. Ci riusciva con la sua inalterabile
221

23.2 Page 222

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Allegati
uguaglianza di umore, col contegno sostenuto, ma nello stesso tempo affabile e signorile.
Dietro l‘involucro di una severità che assicurava l‘ordine senza bisogno di ricorrere a
misure fortemente energiche, i giovani colsero sempre la bontà squisita capace di giungere
alle finezze più delicate. Lo vedevano lavorare con fedeltà al dovere, con dedizione senza
badare a se stesso.
In comunità, sebbene di poche parole, era un elemento equilibratore, pronto ad
apprezzare le attitudini e virtù dei confratelli, lento a cogliere difetti e limiti, per una sua
radicale e voluta disposizione a pensar bene di tutti. La sua disponibilità nel rendere servizi
vari aveva punte di eroismo. Evidentemente l‘anima di questo comportamento edificante
era l‘amore di Dio che si esprimeva, tra l‘altro, in un spiccato spirito di pietà, di
mortificazione e di sacrificio.
La sua presenza e attività, come prefetto e confessore, furono ritenute preziose a
Beitgemal negli anni in cui, formatosi lo Stato di Israele, divenne impossibile continuare in
pieno nel caratteristico lavoro salesiano. Si trattava di mantenere il meraviglioso
patrimonio fisico e spirituale e occorreva vivere del risultato delle fatiche dei campi.
Continuò servendo l‘Ispettoria a El Hussum, Beirut e Cremisan. Morì a 72 anni di
età, 45 di professione e 36 di sacerdozio.
4.14. Dal Maso Eligio (P):
A 18 anni entrò nell‘Aspirantato di Ivrea e a 22 nel Noviziato di Cremisan.
A Beitgemal realizzerà il tirocinio pratico e ritornerà come novello sacerdote come
catechista e consigliere. In questi due periodi che segnarono per don Eligio l‘avvio
all‘apostolato salesiano, ebbe la gioia di lavorare tra i destinatari privilegiati della missione
di Don Bosco. La comunità viveva grazie al lavoro duro e sacrificato dei confratelli, che si
concedevano ben pochi svaghi. I giovani in parte erano orfani oppure per altro titolo
bisognosi dell‘aiuto di educatori preparati e ben formati alla scuola e nello stile di don
Bosco. Numerosi contadini dei poveri villaggi musulmani dei dintorni ricorrevano ai
confratelli, particolarmente nei momenti più difficili della loro difficile vita. Questi fattori
contribuirono a far maturare e a mantenere sempre viva in don Eligio una delicata
sensibilità per i poveri.
222

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Allegati
Il ricordo di quelli anni rimarrà indelebile. In più considerava una vera grazia del
Signore, quella di vivere accanto e di poter ammirare la santità straordinaria di Simone
Srugi.
A Beitgemal don Dal Masso tornerà nel 1955 per assumere la direzione. Tante
troppe cose erano cambiate in seguito alla creazione dello stato d‘Israele (1948). I periodi
di transizione, soprattutto quando si prolungano, portano sempre difficoltà e problemi
imprevisti e mettono a dura prova fede, abilità e pazienza di coloro che hanno le maggiori
responsabilità.
Quel triennio risultò tutt‘altro che facile per don Dal Masso, che dovette
destreggiarsi per lavorare salesianamente in un contesto tanto modificato. In un lavoro così
delicato, poco attraente e logorante quando le risorse sono scarse e intermittenti, si rivelò
staccato dal danaro, fiducioso nella Provvidenza, comprensivo e premuroso verso i
confratelli e i giovani.
In tutte le tappe della vita salesiana, nelle diverse mansioni esercitate, don Dal
Masso lasciò l‘esempio di un consacrato, profondamente attaccato agli insegnamenti e agli
esempi di don Bosco. Grandi salesiani, fin dagli anni dell‘Aspirantato.
L‘esemplare comportamento di don Dal Masso assume un particolare significato e
valore se si tiene conto di tanti fattori fisici che potevano condizionarlo e che in certi
momenti lo disturbavano. Dovette e seppe superare attimi di impulsività e attutire
momentanee asprezze. Ma con il maturare della virtù riuscì a raggiungere una padronanza
sempre più completa. Morì 73 anni di età, 51 di professione e 42 di sacerdozio.
4.15. Zodo Fulvio (L):
Avrebbe voluto diventare sacerdote; infatti iniziò gli studi ginnasiali nel seminario
di Thiene; ma don Bosco lo voleva con sé nella vocazione di coadiutore. Accettò
umilmente le disposizioni della Provvidenza e dopo una sosta ad Ivrea, parti per il Medio
Oriente.
Dalla sua prima professione a 19 anni, fino a pochi mesi dalla sua dipartita, mise a
disposizione delle case del Medio Oriente tutte le sue doti e tutte le sue forze. Fu assistente,
insegnate, provveditore, economo, successivamente ad Alessandria di Egitto, a Beitgemal,
a Betlemme e al Cairo.
A dire il vero si sa della vivacità del suo carattere e la prontezza ad accendersi.
223

23.4 Page 224

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Allegati
Regolarissimo nella vita comune, attingeva dai sacramenti, a costo anche di gravi
sacrifici, la forza per alimentare le sue molteplici attività.
La virtù più vivace in lui fu la fede che lo aiutava a superare le immancabili
difficoltà di momenti solitari e tristi, e gli comunicava un‘autentica ansia di apostolato.
Aveva il dono si farsi amici coloro che incontrava, non con cultura, ma con la
testimonianza della vita. Per ragioni di ufficio era molto conosciuto anche in ambienti non
cristiani dove non si vergognava di professare con semplicità la sua fede suscitando
dappertutto accoglienza e simpatia.
Nonostante le apparenze era un magnifico educatore alla fede. Valga come esempio
un episodio:
Mentre era assistente ad Alessandria di Egitto, aveva un affezionatissimo allievo di
religione israelita. Era molto intelligente e voleva frequentare, di sua spontanea volontà,
anche la scuola di religione cristiana riportando, nelle gare, sempre il primo premio.
In confidenza, aveva manifestato al suo assistente il desiderio di essere battezzato,
pur non nascondendo le gravi difficoltà che avrebbe incontrato in famiglia se avesse fatto
quel passo. Una volta, alle ripetute insistenze, il sig. Zodo esclamò: ―se insisti ancora, un
bel giorno ti prenderò per il collo, ti metterò sotto il rubinetto e ti battezzerò‖.
Naturalmente era un scherzo…
Gli anni passarono… la vita, si sa, è piena di complicazioni e anche ripensamenti…
ma un giorno quel giovane, fatto adulto, si trovò a Milano, in un ospedale in fin di vita e
alla suora che lo assisteva confessò il suo antico desiderio. Morì cristiano e quella brava
religiosa ebbe l‘incarico di comunicare al sig. Fulvio la consolante notizia.
Il sig. Fulvio morì al Cairo a 69 anni di età e 50 di professione.
4.16. Prometti Giovanni Battista (L):
A 18 anni entrò nell‘Aspirantato di Ivrea. Due ani dopo era inviato in Palestina per
fare il Noviziato, da lì è cominciata una vita di austerità e sacrificio. Per alcuni anni il sig.
Prometti assicurò un aiuto considerevole per i lavori della campagna che impegnavano i
coadiutori di Cremisan. Nel frattempo spuntò la necessità di un autista per il trasporto del
vino: la scelta cadde sul giovane sig. Prometti, che così iniziò un tipo di attività che lo
impegnerà fino al 1973.
224

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Allegati
Il suo carattere era un po‘ difficile, ma sapeva però anche dominarsi, aiutato da un
profondo spirito di pietà e dal richiamo a numerosi virtuosi salesiani che ebbe sempre la
fortuna incontrare nella vita e che divennero i suoi punti di riferimento. Proprio
modellandosi su questi esempi ebbe la forza di mantenersi fedele, fin quasi allo scrupolo,
nelle pratiche di pietà e di accontentarsi nella vita dell‘indispensabile.
Quando l‘Ispettore nel 1958 viene nominato Delegato del Rettor Maggiore presso
l‘Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, chiese e ottenne che il sig. Prometti lo seguisse
continuando a rendergli il servizio di autista. In quel lungo periodo (1958-1973) ebbe
l‘occasione di conoscere molte comunità in Italia. Nei tempi liberi volentieri si prestava per
lavori in case salesiane.
Nel 1973 terminato il servizio di autista, alla soglia dei 66 anni, preferì rientrare nel
Medio Oriente piuttosto che vivere una vita più comoda in Italia. A Beitgemal lo attendeva
il lavoro umile, sacrificato e faticoso di stalliere. Vi si accinse e continuò fedele, preciso,
sereno nell‘adattarsi a un orario scomodo e predisposto in modo di lasciare largo spazio e
tempo abbondante per le pratiche di pietà.
―Lavoriamo per il Paradiso‖ era il ritornello nella sua corrispondenza a superiori e
amici. L‘aspirazione e l‘attesa della patria celeste incidevano fortemente nel suo animo e lo
si notava. Morì a 75 anni di età e54 di professione.
4.17. Fusi Giuseppe (L):
A 20 anni si recò all‘Aspirantato di Ivrea. Due anni dopo partì per il Medio Oriente,
giungendo a Cremisan. Fusi, non certo abituato a comodità, si adattò con serenità di animo
e con spirito missionario alla vita molto austera di quei tempi.
L‘anno seguente passò a Beitgemal, dove rimase fino al 1972 (44 anni), quale
factotum in casa e in campagna. Si ritenne fortunato di vivere a lungo in comunità con
Simon Srugi, lo sostituì anche al mulino e al forno, quando il lavoro nell‘ambulatorio lo
impegnava completamente. Ed è significativo il particolare che i contadini avevano in Fusi
la stessa fiducia che riponevano nell‘incomparabile Muallem (maestro) Srugi.
Non si rivelò fornito di doti intellettuali e di spiccate qualità e attitudini. I rapporti
umani erano facili e presto si giungeva alla cordialità e alla simpatia. Si distingueva per la
sua semplicità, sollecito di conoscere e di ricordare tutto quanto riguardasse i confratelli.
Era un elemento di unione in comunità: nessuno lo lasciava freddo o indifferente e per
225

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
ciascuno aveva un affettuoso rispetto. La calma continua, il non lamentarsi di nulla danno
un‘idea del lavorio continuo compiuto su se stesso. Era un uomo di fede e di preghiera: il
primo a recarsi in chiesa al mattino, non solo per il suo ufficio di sacrestano, ma per restare
da solo in colloquio col Signore. Morì a 82 anni di età e 59 di professione.
226

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Allegati
5. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine cronologico
secondo il primo anno della loro permanenza in comunità
N°: Numerazione continua secondo il primo anno della presenza in comunità
Stato: Ch. = Chierico / Ch.P = 1° chierico poi presbitero / L. = Laico / P. = Presbitero
A: Numero totale di anni trascorsi a Beitgemal
l/m: l = confratello locale / m = confratello missionario
N° Stato Cognome Nome
Periodi presenza in comunità
1 P. Varaia Antonio
1891-1895
2 Ch. Bertarione Giovanni
1891-1895
3 L. Casapiccola Francesco
1891-1892
4 L. Lavagno Evazio
1891-1895
5 L. Tesio Marco
1891-1896,1901-1904
6 L. Deferraris Giovanni
1892-1893
7 L. Pistone Giuseppe
1892-1894
8 L. Pogliotti Luigi
1892-1894, 1913-1918
9 L. Hassis Ignazio
1892-1995
10 L. Knezevich Stanislao
1892-1893
11 L. Olszewski Francesco
1892-1893
12 Ch.P Sarchis Pietro
1892-1909, 1913-1919, 1923-1937
13 L. Soliman Pietro
1892-1893
14 Ch.P Cantoni Ercole Luigi
1893-1901, 1918-1920, 1923-1925
15 L. Botto Giuseppe
1893-1897, 1904-1910
16 L. Cavinato Cherubino
1893-1896, 1907-1920
17 Ch.P Szezesnovoüz Alessandro 1893-1895, 1909-1912
18 L. Baccaro Antonio
1894-1913
19 Ch. Lenna Giovanni
1894-1895
20 Ch. Morre Giuseppe
1894-1896
21 L. Tiberti Antonio
1894-1896
22 L. Zanchetta Giacomo
1894-1897, 1898-1899
23 L. Claudio Abele
1894-1896
24 L. Nardi Francesco
1894-1898
25 P. Vercauteren Carlo
1894-1898, 1903-1908
26 P. Corradini Ruggero
1895-1897, 1920-1923, 1926-1927
27 L. Garrone Giovani
1896-1898
28 L. Aiub Cesare
1896-1898
29 L. Haruni Giorgio
1895-1896, 1911-1922, 1925-1950
30 L. Srugi Simone
1895-1943
31 P. Ponzo Vincenzo
1898-1904
32 Ch.P Gianiene Atalla
1898-1900, 1906-1907
A l/m
3m
4m
1m
4m
7m
1m
2m
7m
2l
1m
1m
25 l
1l
14 m
10 m
16 m
5m
8m
1m
2m
2m
4m
2m
4m
9m
7m
2m
2m
37 l
48 l
7m
3l
227

23.8 Page 228

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Allegati
33 L.
34 L.
35 L.
36 L.
37 L.
38 Ch.
39 Ch.
40 L.
41 L.
42 L.
43 P.
44 P.
45 P.
46 Ch.
47 L.
48 P.
49 Ch.
50 Ch.P
51 L.
52 L.
53 Ch.
54 P.
55 Ch.
56 Ch.
57 L.
58 P.
59 P.
60 P.
61 L.
62 P.
63 L.
64 Ch.
65 P.
66 L.
67 P.
68 L.
69 P.
70 P.
71 Ch.P
72 Ch.
Nalin Vittorio
1899-1902
Stralla Giuseppe
1899-1900
Zanchetta Giacomo
1899-1908, 1911-1913
Ardissone Francesco
1900-1901
Scavini Bartolomeo
1900-1902
Fares Cesare
1900-1903
Issa Salman
1900-1904
Naim Giusseppe
1900-1902
Simone Giuseppe
1900-1902
Zeitun Elia
1900-1903
Siligato Antonio
1901-1902
Testori Luigi
1902-1905, 1907-1910
Latour Giacomo
1905-1907, 1910-1913
Talhami Stefano
1905-1906
Liverani Giuseppe
1905-(1912)-1926
Gianine Isacco
1907-1915
Almagian Giovanni
1907-1909
Morosini Giovanni
1909-1010, 1912-1913, 1918-1922
Pogliotti Massimo
1909-1910
Balajan Antonio
1909-1911
Garino Costanzo
1909-1910
Palmieri Paolo
1910-1912
Bertola Angelo
1910-1911
Sciunnar Carlo
1909-1912
Paparella Raimondo
1910-1923, 1929-1930
Bonatti Costantino
1912-1913
Auad Atalla
1913-1914
Bianchi Eugenio
1913-1931
Flesia Giovanni
1912-1922
Sacchetti Alfredo
1912-1938
Girotti Pietro
1913-1914
Ubezzi Pietro
1913-1914
Marsegaglia Pietro
1914-1916
Bonamino Giovanni Battista 1914-1916
Vizolo Luigi
1914-1919
Bormida Angelo
1916-1917
Eigmann Francesco
1918-1921
Ruvolo Leonardo
1919-1920
Galizzi Pietro
1918-1919, 1921-1928, 1930-1931
Mosso Giuseppe
1919-1920
3m
1m
11 m
1m
2m
3l
4l
2l
2m
3l
1m
6m
5m
1l
20 m
8l
2l
7m
1m
2l
1m
2m
2m
3l
15 m
1m
1l
19 m
10 m
26 m
1m
1m
2m
2m
5m
2m
3m
1m
10 m
1m
228

23.9 Page 229

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
73 P.
74 L.
75 Ch.P
76 L.
77 P.
78 Ch.P
79 P.
80 P.
81 P.
82 L.
83 P.
84 Ch.
85 Ch.
86 P.
87 Ch.
88 L.
89 L.
90 L.
91 P.
92 L.
93 Ch.
94 L.
95 Ch.P
96 L.
97 Ch.P
98 L.
99 P.
100 P.
101 Ch.
102 L.
103 L.
104 Ch.P
105 L.
106 Ch.P
107 P.
108 P.
109 Ch.
110 Ch.P
111 P.
112 P.
Spiridione Roumman
Combaz Naim
Tahan Fathallah
Biagi Nicola
Cancemi Giovanni
Frey Rodolfo
Nahas Giovanni
Fergnani Giovanni
Boschi Gaetano
Hauila Giuseppe
Fathallah Tahan
Claus Ervino
Brusa Giovanni
Rosin Mario
Dotta Luigi
Milani Vincenzo
Ricaldone Andrea
Fusi Giuseppe
Villa Giovanni
Prometti Giovanni
Psenda Paolo
Aloi Giuseppe
Katan (Catan) Pietro
Ghezzi Luigi
Dal Maso Eligio
Marzio Giuseppe
Pasquali Eugenio
Coassolo Nereo
Canciullo Salvatore
Meghdes Meghdessian
Asseli Cesare
Botto Alessandro
Tahhan Giorgio
Franetti Celso
Candiani Antonio
Tignosini Pietro
Costabile Vincenzo
Michalek Paolo
Calis Joseph
Lopez Rafael
1914-1920, 1923-1924, 1929-1979
1918-1921
1919-1920, 1927-1930
1920-1921
1920-1921
1921-1962
1922-1924
1922, 1929-1932
1923-1924
1923-1930
1925-1927
1924-1926
1926-1927
1927-1929, 1936-1939
1927-1930
1926-1930, 1932-1947
1928-1929
1928-1972
1930-1932
1927-1929, 1973-1983
1930-1931
1930-1952, 1957-1962
1930-1931, 1942-1947
1930-1943?
1931-1934, 1938-1939, 1955-1958
1931-1932, 1933-1942
1934-1935
1935-1936
1935-1936
1935-1936
1936-1937, 1946-1948
1935-1937, 1947-1955, 1967-1982
1937-1938
1937-1939, 1968-1970
1938-1943, 1967-1970
1939-1940
1939-1941
1940-1944, 1948-1949
1940-1941
1940-1943
54 l
3l
4l
1m
1m
41 m
2l
4m
1m
7l
2l
1m
1m
5m
3m
19 l
1m
44 m
2m
12 m
1m
28 m
6l
10 m
8m
9m
1m
1m
1m
1l
3l
21 m
1l
4m
8m
1m
2m
5m
1l
3m
229

23.10 Page 230

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
113 Ch.P
114 Ch.
115 Ch.
116 P.
117 P.
118 P.
119 P.
120 P.
121 P.
122 Ch.
123 L.
124 L.
125 Ch.
126 P.
127 L.
128 L.
129 Ch.
130 P.
131 P.
132 P.
133 P.
134 Ch.P
135 P.
136 P.
137 Ch.P
138 P.
139 P.
140 P.
141 P.
142 L.
143 P.
144 L.
145 P.
146 L.
147 L.
148 Ch.
149 Ch.
150 Ch.
151 Ch.
152 P.
Orio Moreno Luis
Muligan Francis
Byrne Kevin
Gosslar Karl
Sciueri Khalil
Laiolo Luigi
Galliani Giuseppe
Di Crosta Alfredo
Morra Michelangelo
Bertagnolli Cornelio
Castelli Giovanni
Kren Giuseppe
Sità Fausto
Ubezzi Bartolomeo
Zodo Fulvio
Chiaudano Nicola
Guzzetti Cherubino
Barbieri Giovanni
Reggio Antonio
Bailone Giovanni
Camerota Eliseo
Cervesato Attilio
Luserna Sebastiano
Ugolini Andrea
Tavella Albano
Dezzuto Domenico
Ponzetti Giulio
Erdő Francesco
Kot Giovanni
Benezzato Giuseppe
Castellino Carlo
Urbani Vittorio
Colletto Antonio
Rossetto Adelino
Porro Angelo
Rugolotto Angelo
Dal Fitto Antonio
Bausardo Giuseppe
Vacca Erando
Slaninka Jan
1940-1943
1942-1943
1941-1943
1942-1943
1941-1944, 1947-1950
1943-1959
1944-1950
1945-1946
1945-1947
1945-1947
1945-1957
1943-1946,1951-1959
1945-1946
1946-1950
1946-1950
1946-1949, 1951-1957
1947-1950
1950-1955, 1970-1976
1950-1951
1950-1951
1951-1953
1951-1954, 1959-1966, 1993-…
1952-1956
1956-1957, 1959-1960, 1969-1981
1956-1957, 1963-1964
1956-1957, 1971-…
1958-1986
1958-1959
1941-1943, 1959-1963
1959-1962
1961-1967
1962-2006
1961-1964
1965-…
1965-1994
1968-1970
1969-1970
1969-1973
1970-1971
1972-1973, 1979-2001
3m
1m
2m
1m
6l
17 m
6m
2m
3m
2m
12 m
12 m
m
3m
4m
9m
3m
12 m
2l
1m
3m
25 m
4m
13 m
3m
39 m
28 m
1m
5m
3m
6m
45 m
3m
44 m
29 m
2m
1m
3l
1m
23 m
230

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
153 P.
154 Ch.P
155 Ch.
156 P.
157 P.
158 P.
159 P.
160 L.
161 P.
162 L.
163 P.
164 P.
165 P.
166 P.
Motta Giovanni
Buratti Luciano
Pettenuzzo Gian Battista
Casagrande Ferdinando
Vettore Armando
Dusi Innocente
Gioi Giovanni
Fontanilla Manuel
Martinelli Illario
Gazdik Jan
Ottone Lino
Scudu Antonio
Dabrowski Wieslaw
Giorgis Giuseppe
1973-1984
1973-1976, 2007-2009
1975-1977
1976-1977
1981-1992
1983-1989
1982-1988
1988-1993, 2000-2002
1989-2000
1993-1995
1994-1995
1999-…
2009-…
2010-…
12 m
5m
2m
1m
11 m
6m
6m
7m
11 m
2m
1m
10 m
2m
1m
231

24.2 Page 232

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
6. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine alfabetico
Stato Cognome Nome
N° A l/m
L.
Aiub Cesare
28
2m
Ch. Almagian Giovanni
49
2l
L.
Aloi Giuseppe
94 28 m
L.
Ardissone Francesco
36
1m
L.
Asseli Cesare
103
3L
P.
Auad Atalla
59
1L
L.
Baccaro Antonio
18
8m
P.
Bailone Giovanni
132
1m
L.
Balajan Antonio
52
2L
P.
Barbieri Giovanni
130 12 m
Ch. Bausardo Giuseppe
150
3L
L.
Benezzato Giuseppe
142
3m
Ch. Bertagnolli Cornelio
122
2m
Ch. Bertarione Giovanni
2
4m
Ch. Bertola Angelo
55
2m
L.
Biagi Nicola
76
1m
P.
Bianchi Eugenio
60 19 m
L.
Bonamino Giovanni Battista
66
2m
P.
Bonatti Costantino
58
1m
L.
Bormida Angelo
68
2m
P.
Boschi Gaetano
81
1m
Ch.P Botto Alessandro
104 21 m
L.
Botto Giuseppe
15 10 m
Ch. Brusa Giovanni
85
1m
Ch.P Buratti Luciano
154
5m
Ch. Byrne Kevin
115
2m
P.
Calis Joseph
111
1L
P.
Camerota Eliseo
133
3m
P.
Cancemi Giovanni
77
1m
Ch. Canciullo Salvatore
101
1m
P.
Candiani Antonio
107
8m
Ch.P Cantoni Ercole Luigi
14 14 m
P.
Casagrande Ferdinando
156
1m
L.
Casapiccola Francesco
3
1m
L.
Castelli Giovanni
123 12 m
P.
Castellino Carlo
143
6m
L.
Cavinato Cherubino
16 16 m
232

24.3 Page 233

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
Ch.P
L.
L.
Ch.
P.
P.
L.
P.
Ch.
P.
Ch.
Ch.P
L.
P.
P.
Ch.
P.
P.
P.
Ch.
P.
P.
L.
L.
Ch.P
Ch.P
L.
Ch.P
P.
Ch.
L.
L.
L.
Ch.P
P.
P.
P.
L.
P.
Ch.
Cervesato Attilio
Chiaudano Nicola
Claudio Abele
Claus Ervino
Coassolo Nereo
Colletto Antonio
Combaz Naim
Corradini Ruggero
Costabile Vincenzo
Dabrowski Wieslaw
Dal Fitto Antonio
Dal Maso Eligio
Deferraris Giovanni
Dezzuto Domenico
Di Crosta Alfredo
Dotta Luigi
Dusi Innocente
Eigmann Francesco
Erdő Francesco
Fares Cesare
Fathallah Tahan
Fergnani Giovanni
Flesia Giovanni
Fontanilla Manuel
Franetti Celso
Frey Rodolfo
Fusi Giuseppe
Galizzi Pietro
Galliani Giuseppe
Garino Costanzo
Garrone Giovani
Gazdik Jan
Ghezzi Luigi
Gianiene Atalla
Gianine Isacco
Gioi Giovanni
Giorgis Giuseppe
Girotti Pietro
Gosslar Karl
Guzzetti Cherubino
134 25 m
128
9m
23
2m
84
1m
100
1m
145
3m
74
3L
26
7m
109
2m
165
2m
149
1m
97
8m
6
1m
138 39 m
120
2m
87
3m
158
6m
69
3m
140
1m
38
3l
83
2l
80
4m
61 10 m
160
7m
106
4m
78 41 m
90 44 m
71 10 m
119
6m
53
1m
27
2m
162
2m
96 10 m
32
3l
48
8l
159
6m
166
1m
63
1m
116
1m
129
3m
233

24.4 Page 234

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
L.
L.
L.
Ch.
Ch.P
L.
P.
L.
P.
P.
L.
Ch.
L.
P.
P.
P.
P.
L.
L.
Ch.P
L.
Ch.P
P.
Ch.
Ch.
P.
Ch.
P.
L.
L.
L.
L.
Ch.P
P.
P.
L.
P.
Ch.
L.
L.
Haruni Giorgio
Hassis Ignazio
Hauila Giuseppe
Issa Salman
Katan (Catan) Pietro
Knezevich Stanislao
Kot Giovanni
Kren Giuseppe
Laiolo Luigi
Latour Giacomo
Lavagno Evazio
Lenna Giovanni
Liverani Giuseppe
Lopez Rafael Arturo
Luserna Sebastiano
Marsegaglia Pietro
Martinelli Illario
Marzio Giuseppe
Meghdes Meghdessian
Michalek Paolo
Milani Vincenzo
Morosini Giovanni
Morra Michelangelo
Morre Giuseppe
Mosso Giuseppe
Motta Giovanni
Muligan Francis
Nahas Giovanni
Naim Giusseppe
Nalin Vittorio
Nardi Francesco
Olszewski Francesco
Orio Moreno Luis
Ottone Lino
Palmieri Paolo
Paparella Raimondo
Pasquali Eugenio
Pettenuzzo Gian Battista
Pistone Giuseppe
Pogliotti Luigi
29 37 l
9
2l
82
7l
39
4l
95
6l
10
1m
141
5m
124 12 m
118 17 m
45
5m
4
4m
19
1m
47 20 m
112
3m
135
4m
65
2m
161 11 m
98
9m
102
1l
110
5m
88 19 l
50
7m
121
3m
20
2m
72
1m
153 12 m
114
1m
79
2l
40
2l
33
3m
24
4m
11
1m
113
3m
163
1m
54
2m
57 15 m
99
1m
155
2m
7
2m
8
7m
234

24.5 Page 235

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
L.
P.
P.
L.
L.
Ch.
P.
L.
P.
L.
Ch.
P.
P.
Ch.P
L.
P.
Ch.
P.
P.
L.
Ch.
P.
L.
P.
L.
L.
Ch.P
Ch.P
L.
Ch.
Ch.P
L.
P.
L.
P.
P.
Ch.
P.
L.
Ch.
Pogliotti Massimo
Ponzetti Giulio
Ponzo Vincenzo
Porro Angelo
Prometti Giovanni
Psenda Paolo
Reggio Antonio
Ricaldone Andrea
Rosin Mario
Rossetto Adelino
Rugolotto Angelo
Ruvolo Leonardo
Sacchetti Alfredo
Sarchis Pietro
Scavini Bartolomeo
Sciueri Khalil
Sciunnar Carlo
Scudu Antonio
Siligato Antonio
Simone Giuseppe
Sità Fausto
Slaninka Jan
Soliman Pietro
Spiridione Roumman
Srugi Simone
Stralla Giuseppe
Szezesnovoüz Alessandro
Tahan Fathallah
Tahhan Giorgio
Talhami Stefano
Tavella Albano
Tesio Marco
Testori Luigi
Tiberti Antonio
Tignosini Pietro
Ubezzi Bartolomeo
Ubezzi Pietro
Ugolini Andrea
Urbani Vittorio
Vacca Erando
51
1m
139
28
m
31
7m
147
29
m
92 12 m
93
1m
131
2l
89
1m
86
5m
146
44
m
148
2m
70
1m
62 26 m
12 25 l
37
2m
117
6l
56
3l
164
10
m
43
1m
41
2m
125
m
152
23
m
13
1l
73 54 l
30 48 l
34
1m
17
5m
75
4l
105
1l
46
1l
137
3m
5
7m
44
6m
21
2m
108
1m
126
3m
64
1m
136
13
m
144
45
m
151
1m
235

24.6 Page 236

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
P.
Varaia Antonio
P.
Vercauteren Carlo
P.
Vettore Armando
P.
Villa Giovanni
P.
Vizolo Luigi
L.
Zanchetta Giacomo
L.
Zeitun Elia
L.
Zodo Fulvio
1
3m
25
9m
157
11
m
91
2m
67
5m
35 11 m
42
3l
127
4m
236

24.7 Page 237

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Allegati
7. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal e poi usciti della Congregazione
Stato
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.P
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
P.
P.
Cognome Nome
Sciunnar Carlo
Ubezzi Pietro
Claus Ervino
Sità Fausto
Dal Fitto Antonio
Lenna Giovanni
Fares Cesare
Issa Salman
Talhami Stefano
Garino Costanzo
Canciullo Salvatore
Rugolotto Angelo
Franetti Celso
Pistone Giuseppe
Hassis Ignazio
Knezevich Stanislao
Soliman Pietro
Claudio Abele
Aiub Cesare
Nalin Vittorio
Naim Giusseppe
Simone Giuseppe
Zeitun Elia
Milani Vincenzo
Ricaldone Andrea
Meghdes Meghdessian
Tahhan Giorgio
Olszewski Francesco
Girotti Pietro
Asseli Cesare
Palmieri Paolo
Coassolo Nereo
56
64
84
125
149
19
38
39
46
53
101
148
106
7
9
10
13
23
28
33
40
41
42
88
89
102
105
11
63
103
54
100
237

24.8 Page 238

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
8. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal che hanno cambiato d’Ispettoria
A dire il vero questo elenco è molto ambiguo, perché come ho spiegato lungo la tesi
sono molto variegate le ragioni per effettuare i cambio d‘ispettoria. In fatti qui non riesco a
distinguere chi è andato via solo gli ultimi anni per ragioni di salute, ma sentendosi
appartenenti al MOR. È probabile che in questo elenco cometa l‘ingiustizia di contare a
qualcuno che forse legale o spiritualmente non si sono allontanati dal MOR.
Comunque questo elenco ho dovuto farlo per distinguere con certezza quelli
confratelli che sono rimasti come appartenenti al MOR fino alla loro morte o fino ai giorno
di oggi.
Stato Cognome Nome
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.
Ch.P
Ch.P
Ch.P
Ch.P
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
L.
Bertarione Giovanni
Morre Giuseppe
Bertola Angelo
Mosso Giuseppe
Brusa Giovanni
Dotta Luigi
Psenda Paolo
Costabile Vincenzo
Muligan Francis
Bertagnolli Cornelio
Guzzetti Cherubino
Pettenuzzo Gian Battista
Szezesnovoüz Alessandro
Gianiene Atalla
Tahan Fathallah
Michalek Paolo
Lavagno Evazio
Tesio Marco
Botto Giuseppe
Cavinato Cherubino
Tiberti Antonio
Garrone Giovani
Stralla Giuseppe
Ardissone Francesco
Scavini Bartolomeo
2
20
55
72
85
87
93
109
114
122
129
155
17
32
75
110
4
5
15
16
21
27
34
36
37
238

24.9 Page 239

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
L.
Liverani Giuseppe
47
L.
Pogliotti Massimo
51
L.
Balajan Antonio
52
L.
Marzio Giuseppe
98
L.
Fontanilla Manuel
160
L.
Gazdik Jan
162
P.
Corradini Ruggero
26
P.
Siligato Antonio
43
P.
Gianine Isacco
48
P.
Vizolo Luigi
67
P.
Eigmann Francesco
69
P.
Ruvolo Leonardo
70
P.
Cancemi Giovanni
77
P.
Boschi Gaetano
81
P.
Villa Giovanni
91
P.
Tignosini Pietro
108
P.
Di Crosta Alfredo
120
P.
Bailone Giovanni
132
P.
Camerota Eliseo
133
P.
Ugolini Andrea
136
P.
Erdő Francesco
140
P.
Kot Giovanni
141
P.
Castellino Carlo
143
P.
Motta Giovanni
153
P.
Dusi Innocente
158
P.
Gioi Giovanni
159
239

24.10 Page 240

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
9. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal decessi nel MOR
Stato Cognome Nome
N° Data decesso Luogo
P. Varaja Antonio
L. Pogliotti Luigi
L. Bormida Angelo
L. Zanchetta Giacomo
L. Zanchetta Giacomo
P. Testori Luigi
Bonamino Giovanni
L. Battista
L. Flesia Giovanni
P. Latour Giacomo
P. Bianchi Eugenio
P. Fergnani Giovanni
P. Nahas Giovanni
Ch.P Sarchis Pietro
P. Pasquali Eugenio
P. Ponzo Vincenzo
P. Rosin Mario
L. Baccaro Antonio
P. Vercauteren Carlo
Ch.P Cantoni Ercole Luigi
P. Lopez Rafael Arturo
L. Srugi Simone
L. Paparella Raimondo
P. Gosslar Karl
P. Sacchetti Alfredo
Ch. Almagian Giovanni
Ch.P Orio Moreno Luis
P. Bonatti Costantino
L. Hauila Giuseppe
P. Marsegaglia Pietro
P. Calis Joseph
L. Haruni Giorgio
L. Biagi Nicola
P. Luserna Sebastiano
L. Kren Giuseppe
P. Laiolo Luigi
1
19/10/1913 Betlemme
8
02/09/1917 Beitgemal
68
11/12/1917 Beitgemal
35
13/03/1918 Turchia
22
14/03/1918 Eski-Scheir Turchia
44
08/10/1918 Sanpierdarena
66
29/08/1919 Alessandria d'Egitto
61
25/06/1922 Gerusalemme
45
07/03/1929 Nazareth
60
11/01/1931 Beitgemal
80
29/12/1932 Gerusalemme
79
07/08/1935 Betlemme
12
22/02/1937 Betlemme
99
07/09/1937 Alessandri di Egito
31
02/10/1937 Cremisan
86
23/06/1938 Beitgemal
18
26/08/1938 Cremisan
25
07/10/1939 Betlemme
14
28/02/1942 Alessandria
112
08/10/1943 Betlemme
30
27/11/1943 Beitgemal
57
11/10/1944 Betlhemme
116
13/10/1944 Betlemme
62
21/11/1944 Carigliano
49
01/06/1945 Istambul
113
16/12/1947 Haifa
58
12/11/1949 Betlemme
82
06/12/1949 Beitgemal
65
18/05/1950 Istambul
111
14/06/1954 Cremisan
29
26/03/1955 Betlhemme
76
11/02/1956 Cremisan
135
30/08/1956 Beitgemal
124
05/05/1959 Beitgemal
118
24/12/1959 Beitgemal
240

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
P. Fathallah Tahan
83
Ch.P Frey Rodolfo
78
P. Auad Atalla
59
Ch.P Morosini Giovanni
50
L. Benezzato Giuseppe
142
Ch.P Galizzi Pietro
71
Ch. Byrne Kevin
115
Ch.P Katan (Catan) Pietro
95
P. Candiani Antonio
107
P. Galliani Giuseppe
119
L. Ghezzi Luigi
96
P. Barbieri Giovanni
130
P. Casagrande Ferdinando 156
L. Aloi Giuseppe
94
P. Spiridione Roumman
73
P. Reggio Antonio
131
Ch.P Dal Maso Eligio
97
L. Zodo Fulvio
127
L. Prometti Giovanni
92
L. Fusi Giuseppe
90
P. Ubezzi Bartolomeo
126
P. Ponzetti Giulio
139
P. Colletto Antonio
145
L. Chiaudano Nicola
128
P. Sciueri Khalil
117
P. Vettore Armando
157
L. Combaz Naim
74
P. Morra Michelangelo
121
L. Porro Angelo
147
L. Castelli Giovanni
123
Ch.P Botto Alessandro
104
P. Ottone Lino
163
P. Slaninka Jan
152
L. Urbani Vittorio
144
Ch.P Tavella Albano
137
L. Nardi Francesco
24
14/02/1960
07/05/1962
07/03/1963
17/05/1963
15/04/1967
08/07/1968
17/04/1969
24/04/1973
25/07/1973
19/02/1974
19/09/1974
29/10/1976
02/08/1977
07/11/1977
11/02/1979
23/08/1979
07/08/1980
16/03/1981
05/03/1983
06/04/1986
13/10/1986
10/11/1986
20/01/1988
12/07/1991
12/04/1992
11/06/1992
26/07/1992
13/12/1992
23/02/1994
31/05/1994
22/05/1997
11/08/1998
19/11/2001
18/11/2006
15/01/2007
01/02/1899
Betlemme
Beitgemal
Betlemme
Betlhemme
Betlemme
Betlhemme
Teheran
Nazareth
Cremisan
Cairo
Cremisan
Betlemme
Beitgemal
Cremisan
Betlhemme
Cairo
Betlemme
Cairo
Beitgemal
Nazareth
Damasco
Nazareth
Rod el Farag
Cremisan
Nazareth
Beitgemal
El Houssum
Betlhemme
Nazareth
Gerusalemme
Torino
Nazareth
Gerusalemme
Beitgemal
Alessandria
Alessandria
241

25.2 Page 242

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Allegati
10. Quadro complessivo della presenza dei salesiani a Beitgemal
242

25.3 Page 243

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
INDICE
.
SOMMARIO ......................................................................................................................... 2
ABBREVIAZIONI E SIGLE ................................................................................................ 3
PRESENTAZIONE ............................................................................................................... 4
INTRODUZIONE ................................................................................................................. 7
Capitolo primo
Basi epistemologiche e scelte ............................................................................................. 10
1. Lettura credente della storia......................................................................................11
1.1. L‘esperienza spirituale cristiana nella teologia spirituale ............................................ 12
1.2. La vita parla se c‘è un cuore che ascolta ...................................................................... 13
1.3. Convergenze e divergenze fra gli approcci… dalla apparente contraddizione alla
complementarietà. .................................................................................................................... 14
1.4. In sintesi ....................................................................................................................... 16
2. Ispettoria Salesiana del Medio Oriente (MOR) ........................................................ 17
2.1. Descrizione dell‘Ispettoria ........................................................................................... 17
2.2. In sintesi ....................................................................................................................... 20
3. Chiamati a vivere in comunità (1° scelta).................................................................20
4. La comunità di Beitgemal (2° scelta) ....................................................................... 21
5. Periodo dal 1891-1958 (3° scelta) ............................................................................ 22
Capitolo secondo
La Comunità di Beitgemal 1891-1958 .............................................................................. 24
1. Cronistoria della comunità ........................................................................................ 24
1.1. Varaia Antonio (1892-1894) ........................................................................................ 28
1.2. Ruggero Corradin (1894-1896) .................................................................................... 29
1.3. Cartoni Ercoli Luigi (1895-1901) ................................................................................ 29
1.4. Vercauteren Carlo (1902-1907) ................................................................................... 30
1.5. Gianine Isacco (1908-1914) ......................................................................................... 30
243

25.4 Page 244

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Indice
1.6. Bianchi Eugenio (1914-1926) ...................................................................................... 32
1.7. Rosìn Mario (1926-1929)............................................................................................. 38
1.8. Villa Giovanni (1929-1931) ......................................................................................... 39
1.9. Sacchetti Alfredo (1931-1937)..................................................................................... 39
1.10. Rosìn Mario (1937-1938)......................................................................................... 40
1.11. Candiani Antonio (1938-1940) ................................................................................ 41
1.12. López Rafael Arturo (1940-1943)............................................................................ 43
1.13. Laiolo Luigi (1943-1946)......................................................................................... 44
1.14. Ubezzi Bartolomeo (1946-1949).............................................................................. 44
1.15. Barbieri Giovanni (1950-1954) ................................................................................ 47
1.16. Dal Maso Eligio (1956-1958) .................................................................................. 48
1.17. Dal 1958-2011.......................................................................................................... 48
2. Membri della Comunità ............................................................................................ 49
2.1. Giovani confratelli: aspiranti, ascritti e chierici ........................................................... 52
2.2. Coadiutori..................................................................................................................... 54
2.3. Sacerdoti....................................................................................................................... 56
2.4. Confratelli anziani e ammalati ..................................................................................... 60
3. La questioni dei confratelli arabi .............................................................................. 61
4. Salesiani rappresentativi ........................................................................................... 63
4.1. Don Antonio Belloni .................................................................................................... 64
4.2. Angelo Bormida ........................................................................................................... 66
4.3. Eugenio Bianchi ........................................................................................................... 67
4.4. Mario Rosìn.................................................................................................................. 69
Capitolo terzo
Simone Srugi ...................................................................................................................... 72
1. Biografia ................................................................................................................... 72
1.1. Infanzia e adolescenza.................................................................................................. 72
1.2. All‘Orfanatrofio di Beitgemal: aspirantato e noviziato................................................ 73
1.3. Il profilo della personalità ............................................................................................ 74
1.4. Amico dei giovani ........................................................................................................ 75
1.5. Lavoratore e apostolo ................................................................................................... 76
244

25.5 Page 245

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Indice
1.6. Gli ultimi giorni............................................................................................................ 77
2. Spiritualità.................................................................................................................78
2.1. Vita nello Spirito di Gesù............................................................................................. 79
2.2. Vita morale................................................................................................................... 83
2.3. I voti religiosi ............................................................................................................... 86
2.4. Donazione totale e fama di santità ............................................................................... 87
Capitolo quarto
Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità di Beitgemal ............. 89
1. Discepoli a Beitgemal ............................................................................................... 91
1.1. Discepoli di Cristo e del suo Vangelo .......................................................................... 93
1.2. Discepoli nella Chiesa.................................................................................................. 96
1.3. Discepolato salesiano (un carisma trasmesso da padre in figlio) ............................... 104
1.4. Discepoli della vita..................................................................................................... 107
2. Simone Srugi: La piccola via dell‘umiltà ............................................................... 123
3. Il sepolcro di santo Stefano e l‘Opera del Perdono Cristiano ................................. 125
Capitolo quinto
Elementi per una spiritualità salesiana in Medio Oriente ........................................... 129
1. Guidati dallo Spirito................................................................................................131
2. Imparare a imparare dalla vita ................................................................................ 132
3. Lo spirito di famiglia .............................................................................................. 133
4. Ascoltare e dialogare .............................................................................................. 135
5. Il perdono cristiano ................................................................................................. 136
6. Amore-servizio cristiano, configurandosi ai sentimenti del Figlio.........................138
7. Fino alla effusione del sangue ................................................................................ 141
CONCLUSIONE ............................................................................................................... 143
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 148
1. Fonti ........................................................................................................................ 148
1.1. Fonti archivistiche ...................................................................................................... 148
1.2. Fonti sul vissuto di Simon Srugi e la Comunità di Beitgemal ................................... 148
1.3. Documenti della Congregazione Salesiana (in ordine cronologico) .......................... 149
245

25.6 Page 246

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
Indice
1.4. Documenti della Chiesa universale (in ordine cronologico) ...................................... 150
2. Studi sulla fonte ...................................................................................................... 150
3. Altri studi ................................................................................................................ 151
ALLEGATI........................................................................................................................ 153
1. Lettera di Luciano. Sul ritrovamento del corpo di S. Stefano nel 415 d.C.............155
2. Scritti di Simon Srugi ............................................................................................. 162
2.1. Massime per i giovani da copiare............................................................................... 163
2.2. Massime sul Sacro Cuore........................................................................................... 167
2.3. Massime Varie ........................................................................................................... 171
2.4. Massime per i Confratelli 1 ........................................................................................ 175
2.5. Massime per i confratelli 2......................................................................................... 180
2.6. Massima per i confratelli 3......................................................................................... 184
2.7. Propositi ..................................................................................................................... 187
2.8. Scritti vari................................................................................................................... 197
2.9. Quaderno dei battesimi amministrati da Simone Srugi 1928-1942............................ 199
3. Cronistoria di Beitgemal 1958 – 2011 .................................................................... 200
3.1. Ponzetti Giulio (1958-1967) ...................................................................................... 200
3.2. Botto Alessandro (1967-1973) ................................................................................... 201
3.3. Botto Alessandro (1976-1982) ................................................................................... 203
3.4. Dusi Innocente (Tino) (1982-1988) ........................................................................... 205
3.5. Martinelli Ilario (1988-1999) ..................................................................................... 207
3.6. Scudu Antonio (1999-201.)........................................................................................ 210
4. Note biografiche dei confratelli più significativi di Beitgemal .............................. 212
5. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine cronologico .
secondo il primo anno della loro permanenza in comunità ........................................... 227
6. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal (1892-2011) in ordine alfabetico ......... 232
7. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal e poi usciti della Congregazione .......... 237
8. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal che hanno cambiato d‘Ispettoria .......... 238
9. Elenco dei confratelli vissuti a Beitgemal decessi nel MOR .................................. 240
10. Quadro complessivo della presenza dei salesiani a Beitgemal ........................... 242
INDICE .............................................................................................................................. 243
246

25.7 Page 247

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Lettura credente del vissuto di Simone Srugi e della Comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958)
UNIVERSITÀ PONTIFICIA SALESIANA
Facoltà di Teologia
Istituto di Teologia Spirituale
Lettura credente del vissuto di
Simone Srugi e la comunità salesiana di Beitgemal (1891-1958).
Elementi per una spiritualità
salesiana in Medio Oriente
Tesi di licenza
di Alejandro José LEÓN MENDOZA
relatore: prof. Jesús Manuel GARCÍA
Roma, 2010-2011
247