Nelle Orme di San Paolo - Roma

Paolo e Roma

L’ultimo viaggio





  1. La storia



Al tempo di Paolo, la chiesa di Roma era composta da piccole comunità, cinque più o meno (Rom 16,5a.10.11.14.15), che dislocate in città si radunavano in case private. Ne resulta che negli anni 50 i cristiani romani non sarebbero più di una o due, al massimo, centinaia di persone. La popolazione ebrea era una minoranza abbastanza numerosa, tra 20000 e 30000 persone, in una città che arrivava al millione di abitanti. I giudei a Roma esercitavano un certo influsso nella vita sociale romana,1 non sempre gradito; la loro importanza economica e sociale era così massiccia e il loro proselitismo tanto efficace, che diventavano alle volte un vero problema politico per le autorità, tanto da fare sì che nel 41 Claudio negasse loro il diritto di raduno.


I cristiani di questa chiesa non paulina erano, probabilmente, in maggioranza di provenienza giudaica. Al tempo della stesura della lettera esisteva a Roma una comunità fervorosa e fiorente, conosciuta nel mondo cristiano (Rm 1,8; 16,19), di fondazione non recente (Rm 15,22-23). Di origine mista (Rm 2,1.9-10; 3,9.29; 9,24; 10,12; 11,13.18-31) ma pagana in maggioranza (Rm 1,5-6.12-14; 11, 13-32; 15,7-12). È probabile che la formazione della comunità non sia stata il risultato di piani missionari concreti, ma piuttosto un effetto dell’emigrazione commerciale da parte di giudeocristiani provenienti dalle regioni orientali dell’impero, fin dalla prima ora, forse verso gli anni 40 (At 2,10; 18,2-3; Rm 1,8.13).


Nel 49/50 l’imperatore Claudio aveva espulso tutti gli ebrei da Roma a causa dei disordini insorti “su istigazione di Chrestus” (Svetonio, Vita Claudi 25,4): è probabile, dunque, che il conflitto sia sorto all’interno della comunità giudaica a causa della fede messianica di alcuni, un motivo non del tutto comprensibile per le autorità romane. Paolo troverà a Corinto, qualche anno dopo, i coniugi Aquila e Priscila (At 18,18-19; 1 Cor 16,19) arrivati “poco prima dall’Italia.., in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei” (At l8,1-2).


Rientrati dall’esilio nel 54, quando salì al potere Nerone, sorgero presto forti tensioni tra i credenti di tradizione giudaica e credenti di provenienza pagana. È probabile che membri di origine pagano, attratti dal giudaismo a Roma come proseliti, sarebbero restati in città e diventati credenti. Anche se c’è una vera documentazione sul come e quando i primi etnicocristiani furono convertiti a Cristo, la chiesa romana è gia una realta socialmente e religiosamente distinta del giudaismo romano quanto Paolo scrive ai romani. La lettera, inviata da Corinto nel 55 circa, può essere letta come tentativo di sradicare i pregiudizi e sedare le tensioni che minavano l’unità all’interno della chiesa romana. Pur essendo nati negli anni 30-40 all’interno delle comunità ebraiche, ormai verso la metà degli 50 non si radunano più insieme a quei giudei che non avevano aderito a Gesù Cristo; avevano ormai una loro propria prassi culturale e associativa.


Dieci anni dopo, nel 64, al tempo dell’incendio di Roma, la separazione è già una realtà; l’ira dell’imperatore si scaglió non più verso i giudei: “Nerone dichiarò colpevoli e condannò ai tormenti più raffinati coloro che il volgo chiamava chrestiani, odiosi per le loro nefandezze” (Tacito, Ann. 15,44,2). I giudei, considerati appartenenti a una religione ancestrale e licita, furono risparmiati e ammazzata “una enorme moltitudine” di cristiani (Tacito, Ann. 15,44,4); i responsabili della comunità ebraica a Roma furono in grado di dimostrare alle autorità romane che loro aveva preso le distanze dalla ‘bizzarra’ setta messianica.2 La persecuzione di Nerone, iniziata nel 65 si concluse con il suo suicidio, alla fine del 68.


Paolo arriva a Roma negli inizi di marzo del 60, regnante Nerone (54-68); ivi resta per una sosta relativamente breve, tre o quattro anni circa. Compie cosí un viaggio da lui tanto desiderato, ma lo realizza in un modo e per raggioni ben diverse da quelle da lui sognate. Le fonte principali a disposizione, purtroppo, non concordano né sui motivi né sulla realizzazione concreta: tutte e due servono gli interessi dei loro fautori.



  1. Il viaggo ‘progettato’: l’intenzione di Paolo



1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio […] 7a quanti sono in Roma amati da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo. 8Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. 9Quel Dio […] mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi. 11Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche done spirituale […] 12o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fe che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito […] 14Sono in debito verso i greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma.


Quando nel 55 circa Paolo scrive, dettando a Terzo (Rom 16,22) la lettera ai romani, é ospite di Gaio (Rom 16,23) a Corinto, dove ha trascorso tre mesi circa (At 20,3). Si trova alla fine del ‘terzo’ viaggio missionario. È stato il periodo più movimentato e fruttifero della sua vita apostolica, per i successi misionari (inizio dell’evangelizzazione dell’Europa), per importante corrispondenza epistolare (Corinzi, Galati e forse Filippesi), per la genialità della sua riflessione teologica.


Roma era una comunità – in realtà, parecchie comunità - da lui non fondata/e né ancora visitata/e. L’apostolo sta per partire per Gerusalemme (Rom 15,32) con il ricavato della colletta promossa in Macedonia e Acaia a favore ‘dei poveri della comunità’ (Rom 15,25-26), un impegno questo che gli è stato sempre molto a cuore (Gal 2,10: “ciò che mi sono proprio preoccupato di fare”). Siamo all’inizio della primavera dell’anno 57/58. Questo viaggio che non può evitare e che ha preparato con tanta cura, lo riempi di apprensioni e timori (At 20,23: “mi attendono catene e tribolazioni”).



25Per il momento vado a Gerusalemme, a rendere un servizio a quella comunità; 26la Macedonia e l’Acaia infatti hanno voluto fare una colletta a favore dei poveri che sono nella comunità di Gerusalemme […]28Fatto questo e presentato ufficialmente ad essi questo frutto, andrò in Spagna passando da voi. 29E so che giungendo presso di voi, verrò con la pienezza della benedizione di Cristo. 30Vi esorto perciò, fratelli, per il Signore nostro Gesù Cristo e l’amore dello Spirito, a lottare con me nelle preghiere che rivolgete per me a Dio, 31perché io sia liberato dagli infedeli della Giudea e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito a quella comunità, 32sicché io possa venire da voi nella gioia, se così vuole Dio, e riposarmi in mezzo a voi.



Roma non era per Paolo che tappa in un progetto missionario più ambizioso e lungimirante. Secondo Rm 1,10-15 e 15,14-33, Paolo si troverebbe in un momento cruciale del suo ministero: considerava conclusa la sua missione nella regione orientale dell’impero (Rm 15,19.23). Paolo starebbe, in tale caso, cercando nuovi uditori per il suo vangelo (Rm 15,24.28) e collaborazione e aiuti per raggiungere la penisola iberica; i temi basilari della propia evangelizzazione erano ormai riflettuti e sistemati.


La visita che annuncia loro non intendeva essere altro se non lo stadio di una nuova missione (Rm 15,14-24), benché non tralasci l’occasione per presentare il proprio vangelo ai romani (Rm 1,15; 15,15-16). Anche se Paolo aveva voluto visitarla prima (Rm 1,13; 15,23) – dato che si sentiva inviato ai Gentili (Rm 1,5.13.14; 11,13; 15,16.18) –, Roma entrò nei suoi piani missionari solo indirettamente.




  1. Il viaggio ‘realizzato’: la versione di Luca



Luca racconta che Paolo decise per prima volta di andare a Roma mentre si trovava ad Efeso, intorno all’anno 50 (At 19,21). Anche se non dice nulla sul motivo del viaggio a Gerusalemme, è chiaro che voleva portare la colletta delle sue chiese (cf. 1 Cor 16,1-3).

21Dopo questi fatti [la disavventura degli esorcisti giudei], Paolo decise nello Spirito di attraversare la Macedonia e di recarsi a Gerusalemme, dicendo: ‘Dopo essere stato là, devo vedere anche Roma’.


A questo punto, Luca non fa cenno alcuno alle preoccupazioni che desta in lui questo viaggio in Gerusalemme. Lo farà a Mileto, poco più tardi, nel discorso d’addio agli anziani (At 20,22-23):

22Ecco, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. 23So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città attesta che mi attendono catene e tribulazioni.


Il viaggio a Gerusalemme, più che una scelta di Paolo, è una decisione dello Spirito. Emerge pure qui la convinzione – tratto tipico nell’immagine lucana di Paolo – che è l’attività dell’apostolo segue un preciso programma di Dio; fin dall’inizio (At 9,10.12; 23,11; 26,19) e durante la sua realizzazione concreta (At 16,9-10; 27.24) Paolo non fa altro che lasciarsi guidare dallo Spirito.


E infatti l’occasione che gli permise di concretizzare questa sua decisione gli fu data nel corso del processo che lo vide protagonista a Gerusalemme, dove era stato accusato con dolo di aver profanato il tempio. Rinchiuso nella Fortezza Antonia, ricevette l’ordine in una visione di recarsi a Roma (At 23,11).3



11La notte seguente [dopo la sua comparizione nel sinedrio] gli venne accanto il Signore e gli disse: ‘Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma’.


Il processo si prolunga; gli accusatori non smettono e la vita di Paolo è in pericolo. Trasferito a Cesarea rimane in detenzione preventiva sotto la protezione del procuratore Felice; imputato di nuovo da giudei, viene invitato dal nuovo governatore, Festo (59/60) a essere giudicato di nuovo a Gerusalemme (At 25,9-10), non si sa bene se per spostare il luogo del processo o per trasferire il caso a un tribunale ebraico. La proposta di Festo precipita il corso degli evventi (At 25,11-12):



10Paolo rispose: ‘Mi trovo davanti al tribunale di Cesare, qui mi si deve giudicare. Ai giudei non ho fattoo alcun torto, come anche tu sai perfettamente. 11Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c’è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare’. 12Allora Festo, dopo aver conferito con il consiglio, rispose: ‘Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai’.


L’appello all’imperatore (At 25,11; 26,32) ha como conseguenza inevitabile il suo rinvio a Roma, che realizza cosi il progetto apostolico (At 19,21) e il disegno di Dio (At 23,11). Non mancheranno nel corso di questo lungo viaggio (At 27,1-28,16) pericoli e traversie, ma il viaggio è guidato da Dio stesso (At 27,23). Lui l’ho voluto; il che non gli risparmierà gravi pericoli. Durante una violenta tempesta mentre la nave costeggiava l’isola di Creta, Paolo ha una visione che racconta ai spaventati compagni: “Mi è apparso questa notte un angelo di Dio al quale appartengo e che servo, dicendomi: ‘Non temere, Paolo, tu devi comparari davanti a Cesare ed ecco Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione’” (At 27,24).


Il racconto del viaggio, vivo, preciso ed esteso, si presenta come testimonianza di uno dei participanti. Dopo un naufragio durato due settimana, durante il quale Paolo si era mostrato fiducioso (At 27,34: “Neanche un capello del vostro capo andrà perduto”, disse agli impauriti marinai), attraccarono in una terra che non riuscirono a riconoscere (At 28,1-2a: “Venimmo a sapere che l’isola si chiamava Malta. I barbari ci trattarono con rara umanità”)


11Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola … 12Approdammo a Siracusa dove rimanemmo tre giorni 13e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò il scirocco e così l’indomani arrivammo a Pozzuoli. 14Qui trovammo alcuni fratelli, i quali ci invitarono a restare con loro una settimana. Partimmo quindi alla volta di Roma.


Pozzuoli (Puteoli), all’estremità settentrionale del golfo di Napoli, è il primo punto d’arrivo nella peninsola. A Pozzuoli c’era una comunità (At 28,14), la cui fondazione resta sconosciuta.4 Probabilmente la nave alessandrina, in cui viaggiava Paolo era troppo grande per i fondali del porto di Ostia; i lavori di trasferimento del carico su imbarcazioni più piccole offrì l’opportunità di godere l’ospitalità dei fratelli.5



15I fratelli di là [Roma], avendo avuto notizie di noi, ci vennero incontro fino al Foro di Appio e alle tre Taverne. Paolo, al vederli, rese grazie a Dio e prese coraggio.


Anche se, di nuovo, Luca non ci parla sulle origini della comunità romana, è sicuro che vi erano fratelli gìà prima del 50, quando furono espulsi i giudei da Roma per decreto di Claudio (At 18,2). Un drappello di cristiani fanno 65 km circa lungo la Via Appia per trovarlo al Foro di Appio, altri 49 km lo incontrarono a Tre Taverne.6 Sarà il primo incontro di Paolo con i cristiani romani, non di certo quello da lui prospettato.



16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per suo conto con un soldato di guardia. 17Dopo tre giorni, egli convocò a sé i più in vista tra i giudei e venuti che furono, disse loro: ‘Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo e contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato in mano dei romani. 18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rilasciarmi, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19Ma continuando i giudei ad opporsi, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere con questo muovere accuse contro il mio popolo. 20Ecco perché vi ho chiamati, per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israel che io sono legato da questa catena’. 21Essi gli risposero: ‘Noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera sul tuo conto dalla Giudea, né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi; di questa setta infatti sappiamo che trova dovunque opposizione’. 23E fissatogli un giorno, vennero in molti da lui nel suo alloggio; egli dal mattino alla sera esposo loro accuratamente, rendendo la su testimonianza, il regno di Dio, cercando di convincerli riguardo a Gesù, in base alla legge di Mosé e ai Profeti. 24Alcuni aderinono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere 25e se ne andavano discordi tra loro, mentre Paolo diceva questa sola frase: ‘Ha detto bene lo Spirito Santo, per bocca del profeta Isaia, ai nostri padri:

26Va’ da questo popolo e di’ loro:

Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete;

guarderete con i vostri occhi, ma non vedret.

27Perché il cuore di questo popolo si è indurito,

e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi;

hanno chiuso i loro occi per non vedere con gli occhi,

non ascoltare con gli orecchi, non comprendere nel loro cuore e non convertirsi,

perché io li risani

28Sia, dunque, noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi ascolteranno’.

30Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva preso a prigione e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, 31annunziando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento.



Da Puzzuoli a Roma, seguendo prima la via Campania poi la via Appia, un buon caminatore doveva fare 200 km circa e, di solito, si impiegavano almeno cinque giorni. A Roma Paolo beneficia, sin dal momento del suo arrivo, di un regime meno rigoroso, che permetteva a un prigionero di alloggiare dove voleva e di attendere alle sue occupazioni sotto la sorveglianza di un soldato. Alcuni manuscritti antichi segnalono, invece, la consegna di Paolo a uno stratoperdarca, prefetto del prettorio incaricato degli stranieri; il che farebbe possibile che Paolo sarebbe stato ospedato fuori della città, acquarteriato in caserma (Castro Pretorio, al Viminale ).


Come è solito, Paolo si indirizza prima agli ebrei romani. Oltre a cercare aiuto e protezione tra i connazionali e difendersi preventivamente dalle accuse dei giudei di Gerusalemme (At 28,17-22), il suo intervento presenta loro un’ultima volta il vangelo, che viene di nuovo rifiutato; un esito, il rifiuto, annunziato e sancito dalla Scrittura, che segue, dunque, un preciso piano di Dio (At 28,23-27).


Prima di chiudere il racconto della permanenza di Paolo a Roma Luca fa un duro giudizio, che mette in evidenza la esperienza delle comunità postpauline: l’indurimento di Israele apre la salvezza di Dio ai pagani, i quali l’ascosteranno (At 28,28). Il vangelo è passato ai gentili. Per l’autore l’episodio è paradigmatico dell’intero ministero paulino: Paolo finisce per diventare apostolo dei gentili.


Paolo trascorse due anni interi… annunziando il regno di Dio… senza impedimento” (At 28,30-31). Il finale del racconto lucano è sorprendente; questa breve nota cronologica, dal punto di vista storico, lascia una serie di problemi aperti. Luca non dice nulla sull’esito dell’appellatio ad Caesarem, un giudizio dovuto, nemmeno se c’è stato un giudizio. E non dice niente sulla morte di Paolo: fu ucciso dopo di comparire davanti al giudice o prima? Fu rilasciato e ricuperò libertà?. A Luca interessa non tanto la biografia dell’apostolo, peraltro supponiamo che ben nota ai suoi lettori, ma l’implementazione del suo progetto editoriale: il vangelo è arrivato fino agli estremi convini della terra, come voleva Gesù Risorto (At 1,8).



  1. Morte di Paolo a Roma. Una ricostruzione



Due dati sono certi: Paolo voleva visitare Roma da evangelizzatore, cioè prima di andare fino ai confini di Occidente (Rom 1,14-15; 15,23.28-29). Paolo visitò Roma come prigionero e là – non a Gerusalemme come lui temeva (At 20,22-25; 21,4.11) – trovò una morte violenta (1 Clem 5,7).


Per ricostruire la causa e le circonstanze della morte dell’apostolo, non abbiamo altro che ricorrere ad ipotesi. Le fonti a disposizione, oltre che indirette, sono anche scarse, e non concordano con la testimonianza di At, il cui autore non solo ignora nuove attività missionarie di Paolo in Oriente, ma sembra scartarle; Luca ricorda, infatti, come definitiva la separazione di Paolo dalle chiese di Efeso (At 19,22; 20,24-25.38).


Due sono le alternative che presenta la ricerca attuale; in entrambe i dati, scarsi, si intrecciano con le congetture.


L’opinione tradizionale difende l’ipotesi di una seconda prigionia romana; Paolo avrebbe morto tra il 65 e il 67. Ha a suo favore la testimonianza di Clemente Romano, che scrive ai Corinzi nel 95 circa e afferma che Paolo avrebbe realizzato il progettato viagio “fino ai confini dell’Occidente” (1 Clem 5,7).7 Paolo sarebbe riuscito a fare una missione pioniera nella Spagna e a compiere un suo grande desiderio (Rm 1.14). Il frammento Muratoriano, 34-35 (ca. 180), e gli Atti di Paolo, 1-3.6 (ca. 185),8 confermano il viaggio di Paolo in Spagna.


In conseguenza, durante il tempo di libertà che ebbe dopo il primo periodo di cattività romana, Paolo potè andare in Spagna e redattare le lettere chiamate ‘deuteropaoline’, cioè le lettere alle chiese d’Asia (Col ed Ef) e le pastorali (1 Tim, Tit, 2 Tim) prima di morire. Sono esse che ci apportano dati su nuovi viaggi di Paolo nella regione orientale dell’impero. Con Timoteo e Tito avrebbe viaggiato a Efeso, dove avrebbe lasciato Timoteo per combattere false dottrine (1 Tm 1,3), secondato da Tichico (2 Tm 4,12). Da qui sarebbe andato a Troade (2 Tm 4,13). Attraversando il mare, avrebbe visitato di nuovo la Macedonia dove avrebbe scritto 1 Tm e Tt; ne avrebbe approfittato per evangelizzare Creta con Tito, a cui poi affida l’incarico di quella comunità (Tt 1,5; 3,2); di ritorno a Efeso (1 Tm 3,14) sarebbe stato imprigionato (2 Tm 2,9); a Troade sarebbero rimasti alcuni effetti personali che in seguito, durante il secondo periodo di prigionia, avrebbe richiesto con insistenza (2 Tm 4,6-8.13). Questa prigionia, prima ad Efeso, poi a Roma (2 Tim 2,9) sarebbe stata più dura della prima (2 Tm 1,8.16-17; 4,6-8); i suoi collaboratori erano stati inviati alla loro comunità e alcuni lo avevano abbandonato, eccetto Luca (2 Tm 4,9-15), mentre lui visse sperando di essere liberato (2 Tm 4,16-18). A Onesiforo, venuto a Roma (2 Tim 1,17) per visitarlo in prigione (2 Tm 2,9), Paolo avrebbe consegnato una lettera, la 2 Tim, in cui chiedeva a Timoteo di venire con Marco a Roma (2 Tm 4,9.11.21), una lettera in cui aveva espresso il presentimento di una morte prossima (2 Tm 4,6-8).


Questa ipotesi trova appoggio nella testimonianza di Eusebio di Cesarea (263-339), il primo a parlare di una seconda prigionia romana9 ed associa la morte di Paolo al martirio di Pietro, facendosi eco dell’opinione del presbitero romano Caio, suo coetaneo.10 Circa l’anno della morte, Eusebio raccoglie un’antica tradizione che la collocava nell’anno 14° dell’impero di Nerone, tra il 67 e il 68 d.C.


L’opinione, direi, critica propone una data più temprana per la morte di Paolo, il 63 o il 64. Questa opzione privilegia l’analisi delle testi paoline anziché i testimoni più tardivi degli scrittori eclesiastici. Gli argomenti contro l’autenticità paolina delle lettere pastorali sono seri, anche se non definitivi: la distanza spirituale e teologica è troppo chiara ed i presupposti implicati per quanto concerne le circostanze, forme di costituzione e tendenze della Chiesa, alludono poi ad un’epoca posteriore.


Coloro che considerano pseudonime queste lettere pastorali anticipino la data del martirio ed escludano come inverosimile una seconda prigionia di Paolo a Roma. Secondo loro il processo a carico di Paolo sarebbe stato ripreso poco dopo essere giunto a Roma; sotto Nerone, all’inizio degli anni sessanta, sarebbe avvenuto il martirio.


In ogni caso la data della morte di Paolo oscilla tra il 63 e il 67 d. C. La decapitazione era la pena capitale abituale per i cittadini romani. Caio, sacerdote romano del secolo III, ne localizza la morte e la sepoltura sulla Via Ostiense, non lontano dal corso del Tevere (Eusebio, HE II 25,7).


La questione della datazione della morte di Paolo supera il quadro biografico ed ha importanti implicazioni per la comprensione di Paolo e anche per la visione del cristianesimo del primo secolo. Col ed Ef offrono profonde meditazioni sul primato di Cristo in tutti gli ordini; in essa non si tratta semplicemente di affermare la salvezza universale da parte di Cristo, ma di fondarla sulla sua previa funzione creatrice. Le cosiddette lettere pastorali testimoniano strutture comunitarie e preoccupazioni teologiche diverse da quelle delle grandi lettere; se le accettassimo come autentiche, cambierebbero necessariamente l’immagine di Paolo che qui abbiamo offerto.




  1. La memoria



  1. Abitazione di Paolo in Roma (At 28,30-31)



Chiesa di san Paolo alla Regola (Via S. Paolo alla Regola 6)


E l’ipotesi più accreditata sulla prima dimora di Paolo a Roma in attesa del processo (61-63), mentra viveva in custodia militaris. Non lontana del Tevere, nei pressi di Ponte Sisto, recenti scavi hanno confermato che nel primo secolo in questa zona, nel quartiere ebraico, c’erano dell’abitazioni e dei magazzini per la conservazione del granoe ambienti per conservare le pelli (cf. At 18,3).


È da suppore che la memoria paolina sia conservata sotto forma di oratorio, dove secondo la tradizione Paolo accoglieva i catecumeni (At 28,30-31). Nel tempo di papa Silvestre, nel secolo IV, fue eretta accanto all’oratorio una chiesa, che secondo la tradizione papa Damaso (366-3384) affiliò alla Basilica di San Lorenzo. Reedificata a fine del secolo XVII da G. B. Bergonzoni, ha una movimentata facciata, disegnata da Giacomo Cioli e ultimata da Giuseppe Sardi nel 1721.


L’interno è a croce greca, sormontata da cupola, con quattro cappelle agli angoli con cupole minori. Nella cappella maggiore si conservano affreschi di Luigi Garzi su temi paolini. Nella cappella c’è un mosaico che illustra Paolo in catene e le espressioni che caratterizzano questa prigionia.


È stato il luogo da dove son partite le ‘lettere della prigionia’ (Flp, Col, Flm)?



Chiesa di Santa Maria in Via Lata (Via del Corso 306)


Sarebbe un altro luogo segnato nella tradizione di abitazione di Paolo a Roma; anzi, non solo Paolo, anche Pietro, Giovanni e Luca. Nella zona esistevano edifici pubblici e magazzini.


Fundata su preesistenti strutture da Sergio I a fine secolo VII come diaconia – chiesa con compiti di assistenza spirituale e materiale. Nel 1049 León IX ricostruì l’edificio, trasformando la chiesa paleocristiana in cripta; demolita nel 1491 fu completamente rinnovata nel 1650 da Cosimo Fanzago; la facciata attuale è dovuta a Pietro da Cortona; l’elegante campanilechiesa risale al secolo precedente, da Martino Longhi il Vecchio. L’interno, a tre navate divise da 12 colonne, è riccamente decorato con marmi, stucchi e pitture del seicento. Gli ambienti sotterranei, sei vani quadrilateri con volte a botte, ricavati in età adrianea e nel secolo III, mostrano parte di un monumentale portico del secolo I paralello alla Via Flamilia; i muri centrali furono trasformati in chiesa a inizi del secolo V. Succesivi scavi hanno restaurato affreschi dal secolo VII al XI. Da notare il pozzo e la colonna connessi alla presunta prigionia di san Paolo.



Chiesa di Santa Prisca (Piazza Santa Prisca)


Sul presunto luogo della casa di Aquila e Priscilla, genitori di Prisca, decapitata sotto Claudio imperartore, nel secolo III esisteva un oratorio, che venne assorbito dalla costruzione di una chiesa nel secolo V; restaurata in seguito durante i pontificati di Adriano I, nel 772, e di Pasquale II (1099-1118). Nel 1456 l’interno fu accorciato da Callisto III. Nel secolo XVII Carlo Lombardi rielaborò la facciata, in stile tardo-manierista; nel 1728 si rimaneggiò l’interno.


La pianta interna basilicale è divisa da sette colonne ioniche per parte. All’inizio della navata destra è situato l’ingreso al mitreo di S. Prisca, in realtà una casa del primo I con quadriportico e ninfeo absidato di età traianea (98-117). Dal ninfeo si raggiunge la cripta che risale al secolo IX, con pianta a ‘T’ e affreschi del secolo XVII. Sull’altere sono collocate le reliquie della Santa.



Chiesa di San Giuseppe dei Falegname ai Fori (Carcere Mamertino)


Luogo dove, secondo la tradizione, Pietro e Paolo vissero i loro ultimi giorni prima di essere martirizzati.


Carcere Mamertino è il nome medievale dato al Carcer Tullianum, per molti secoli prigione di massima sicurezza per i nemici di Roma in attesa di esecuzione (Vercingetorige, Giugurta… ). Consiste di due piani sovrapposti realizzati alle pendici meridionali del Campidoglio, nei pressi del Foro. Il più profondo e più antico, il Tullianum, risale al secolo VII a.C.; serbatoio d’acqua, trasformato in prigione, fu scavata nella cinta muraria che proteggeva il Campidoglio.


Durante la loro permanenza nel carcere, racconta la tradizione, Pietro e Paolo riuscirono a convertire i loro carcerieri Processo e Martiniano, ed altri compagni di prigionia; e li battezzarono facendo scaturire miracolosamente una polla d’accqua. Da qui gli apostoli partirono verso il martirio: Pietro, verso il Circo di Nerone, nel colle Vaticano; e Paolo, verso le Acquae Salviae, sulla via Laurentina.


Trasformato in luogo di culto il Carcere è rimasta intatto nei secoli. L’attuale facciata di travertino risale al 40 a. C. All’interno, un ambiente trapezoidale in blocchi di tufo, del secolo II a.C., communicava attraverso un foro con l’ambiente sottostante, a pianta circolare, nel quale veninvano gettati i prigionieri di Stato. Venerato nel secolo XV, fu consacrato ne 1726 a san Pietro in Carcere.


Nel secolo XVI fu costruita una chiesa sopra il carcere, dedicata a San Giuseppe Falegname, e una cappella al S.mo Crocefisso, a contatto del carcere. Restaurata nel 1880, divenne isolata dall’edilizia circonstante nel 1932.



  1. Morte Ad Aquas Salvas (Abbazia delle Tre Fontane)



Il toponimo antico della zona, a ridosso della Via Laurentina, è dovuto probabilmente ad un impianto terminale ivi esistente. Qui, secondo la leggenda, sarebbe da localizzare la decapitazione di Paolo, la cui testa ribalzando per tre volte ripetendo il nome di Gesù, avrebbe fatto scaturire a tre diversi livelli tre sorgenti d’acqua (cf. Gv 7, 8): calda, tiepida e fredda (in allusione alla sequenza caldarium, tepidarum, frigidarium delle terme).


Nel V secolo si edificarono tre edicoli – altari con relative fontane, che diedero origine alla località e quindi all’abbazia. Le acque delle tre fontane, ritenute prodigiose contro certe malattie, vennero chiuse nel 1950 per inquinamento.


La prima chiesa dedicata alla Decapitatio Sancti Pauli Apostoli sarebbe sorta nel secolo VI per volere del generale bizantino Narses (478-568) in memoria della sconfitta dei goti (552), e fu affidata alla vicina Basilica di San Paolo fuori le mura.


Sotto l’imperatore bizantino Herakleion (610-641) si costruì sul posto un monastero basiliano, che portarono con se le reliquie di Anastasio, martire persiano (628). Il suo culto è associato a quello del martire spagnolo Vincenzo, ucciso dagli ariani nel V secolo. Il complesso ospita tre chiese, costruite nei primi secoli, ma abbandonate a causa del terreno malarico, risanato solo nel secolo XIX da trappisti francesi.



Chiesa della Decapitazione


Durante i lavori di restauro per la chiesa cinquecentesca si rinvennero in situ due basi di colonne e resti della decorazione marmorea del VI secolo, che era una ricostruzione dell’edificio originario del V secolo. Questi reperti permetono farsi una idea dell’edificio originale: un portico a tre piani, simile alla basilica dei Santi Giovanni e Paolo sul Celio. Si scoprì pure un tratto dell’antica strada romana lastricata a poligoni di lava basaltica, che scende diretta alle tre sorgenti, e frammenti di alcuni epigrafi (iscrizione funebre in armeno del 1267, brano d’epigrafe che menziona l’apostolo e il papa Sergio I (687-701).


Tra la prima e la seconda edicola si conserva un frammento di colonna, che sarebbe servito per decapitarvi Paolo.


L’edificio attuale con il suo arredo venne commisionato dal Car. Pietro Aldobrandini nel 1599 a Giacomo della Porta, che progettò un vestibolo e una navata trasversale. Restaurato nel 1865, fue affidato tre anni più tardi, ai Trappisti, ramo riformato dell’Ordine dei Cistercensi. Nel pavimento è stato inserito uno splendido mosaico policromo con le personificazione delle Quattro Stagioni, proveniente da Ostia.



Chiesa dei Santi Vicenzo ed Anastasio


Edificata da Onorio I (625-638) è la più grande. Il papa, che si aveva impegnato nella conversione dei Longobardi, riuscì a superare l’eressia monotelita che portavano avanti il patriarca di Costantinopoli e l’imperatore bizantino. Fu lui che, in segno di gratitudine, invió la reliquie di sant’Anastasio.


Restaurata nel 722 da Adriano I (772-795), Leone III (795-816) la fece ristrutturara ad imis fundamentis nel 796. Nel 1138 Inocenzo II (1130-1143) restaurò l’attiguo monasterio, dove ospitò san Bernardo di Chiaravalle. Restaurata di nuovo da Onorio III (1216-1143) nel 1221, la chiesa conserva la facciata a doppio piovente preceduta da un portico alto con colonne e capitelli ionici. Nel interno si conservano a tre navate resti di affreschi cinquecenteschi. Abbasando il pavimento della chiesa, per liberarla dell’umidità, si trovarono sul rovescio di alcune lastre delle pavimentazione epigrafi armene e croci con nomi dei loro santi.



La chiesa di Santa Maria Scala Coeli


La più recente del complesso, fu costruita a memoria dei 10.203 legionari cristiani, martiri compagni di san Zenone, e a causa di un episodio della via di San Bernando; metnre celebrava una messa per l’anima di un fedele, vide una lunghissima scala che giungeva dalla terra al cielo, per la quale saliva l’anima perdonata e Maria la attendeva in cima ai gradini.


Nel 1582 il cardinale Alessandro Farnese inizió il restauro, terminato dal cardinale Pietro Aldobrandini, che lasciò intatti i resti della primitiva costruzioni nella cripta con il pavimento e il piccolo altera. L’edificio cinquecentesco è a pianta ottogonale, simbolo della octava dies, con cappelle laterali, abside e coperta da cupola.



  1. Sepoltura



Martirizzato nelle nelle Aquae Salviae, a due passi della Via Ostiense, Paolo venne sepolto – vuole la tradizione da suo discepolo Timoteo – in un luogo isolato, nell’eredità di una matrona romana, Lucina, in una vasta necropoli all’aperto, del secolo I e II, destinato per gente povera, in un columbarium vicino al luogo dell’esecuzione. Il corpo fu collocato sotto l’iscrizione locus Pauli. La zona, nell’epoca romana (dal secolo I a. C. al IV d. C.), fino alla costruzione della prima chiesa, era di aperta campagna, un sito non bene adatto per edificare, poiché lontano della città e prossimo al Tevere col rischio di esondazioni.


Nel tempo di Costantino, nel 324, si fece costruire una modesta chiesa, che col tempo è diventata la magnifica basilica di San Pietro extra urbe. La più antica testimonianza della sepoltura sulla via Ostiense è riportata da Eusebio di Cesarea, che cita un testo piú antico, una lettera di Caio, sacerdote romano a Proclo da fine del secolo II inizio del III: “Io ti posso mostrare i trofei degli apostoli. Se andrai al Vaticano o sulla via Ostiense, vi troverai i trofei di coloro che hanno fondato questa chiesa”. Il che lascia intendere che all’epoca di Caio erano già stati eretti monumenti funebri di qualche genere sulla tomba di Paolo (e di Pietro).


Il piccolo edificio costantiniano era rivolto ad Oriente; tendenza invertita nel tracciato voluto nel 386 dagli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio; Consacrata nel 390, la nuova basilica aveva cinque navate e quattro file di venti colonne, tolte da edifici pagani, tra cui il mausoleo di Adriano. Per ben mille anni, fino alla costruzione dell’attuale Basilica di S. Pietro, S. Paolo fuori le Mura sarà la più grande chiesa di tutta la cristianità. Sotto il pontificato di Leone Magno (440-461), la basilia fu colpita da un fulmine che la incendiò. Il papa procedette subito al restuaro, sostenuto da Galla Placidia, sorella del imperatore Onorio. Alle sue porte Leone Magno riuscì che i vandali risparmiassero la città di Roma, gli uomini e i monumenti.


Gregorio Magno (590-604) aprì la confessio e una cripta che dava accesso diretto alla tomba. Sette secoli dopo, l’abate Bartolomeo commissionò ad Arnaldo da Cambio il ciborio (1285), superstite fino ad oggi. La basilica, unica tra le costantiniane ad essere rimasta nelle forme antiche, giunse fino al 1823, quando per negligenza di operai che lavoravano al tetto, un incendio la distrusse quasi totalmente. Purtroppo non rimane quasi nulla delle opere a mosaico originali. Alla riedificazione contribuirono personalità di tutto il mondo: lo zar di Russia offrì gli splendidi altari di malachite e lapislazzuli che ornano il transetto. Il kedive musulmano di Egitto, le quattro colonne di alabastro che ornano il portone di entrata all’interno. Il 10 dicembre 1985 Pio IX riconsacrò l’edificio che era stato alzato esattamente nelle antiche forme.


In occasione della risconstruzione si effetuarono degli schiavi, che continuarono fino a metà del secolo XIX, in particolare sotto la confessione e intorno alla Basilica, portarono alla luce tombe, lapidi, tratti di via lastricata, ed edifici funerari, soprattutto colombari (nicche piccole per ospitare le urne cinerarie). La tomba dell apóstolo era circondata da un’inferriata molto antica; tale recinto la proteggeva su tre lati, mentre in fondo vi era un muro, in opus reticulatum. Su questo muro e su due colonnine poggiava una lastra in marco con l’iscrizione di epoca costantiniana PAULO, che venne continuata da una seconda con l’epigrafe APOSTOLO MART(YRI). La prima lastra aveva tre fori che permettevano di calare oggetti per farne reliquie.


L’ultima indagine archeologica (2002-2006) ha riportato alla luce un importante contesto stratificato, formato dall’abside della chiesa costantiniana, inglobata nel trasetto dell’edificio dei tre imperatori; sul pavimento, sotto l’altare papale, è stato riscoperto quel gran sarcofago del quale si erano perse le tracce, e che dalla fine dell’epoca teodosiana veniva considerato la tomba di Paolo.


Varcato il quadiportico monumentale dell’entrata, il visitante scopre l’ottocentesca statua di san Paolo, raffigurato secondo l’iconografia stabilita dei primi secoli del cristianesimo.


La porta, la più bella ed antica della basilica, fue fatta a Costantinopoli da Stauracchio di Scio, nel 1070; composta da cinquantraquattro pannelli bronzei incisi, disposti su nove registri, svela una inconografia di stile bizantino tra i più interesanti di Roma: scene della vita di Gesù, storie degli apostli e dei loro martìri accostate da figure di profeti.


Nell’area presbiterale c’è l’arco trionfale, la cui ideazione iconografia risale ai tempi di Leone Magno (440-461). Questi mosaici, come quelli che coronano l’abside, furono eseguite dal Cavallini nel 1325 per la facciata, spostati poi in tale collocazione dopo l’incendio del 1823. Alla composizione apocalittica della fascia superiore (ventiquattro vegliardi separati in due gruppi dal Cristo clipeato e sormontati dai quatro simboli evangelici), si accompagna nella fascia inferiore la presenza di Paolo, accompagnata da quella di Pietro, “colonne della chiesa”, raffigurati nell’interno dell’arco trionfale, guardando la navata dall’abside.


Il cuore della basilica è la confessione, scolpito da Arnolfo di Cambio intorno al 1285, dove si trovano le reliquie del santo contenute nell’urna. Il ciborio, rimasto illeso dall’incendio, è una tra le più belle opere d’arte della Roma cristiana. Sovrastante viene racchiusso da due immagini dei martiri romani per eccellenza, Pietro e Paolo, accompagni da S. Benedetto e di Timoteo. Sui pennacchi degli archi vi sono raffigurati, insieme all’oferta del ciborio da parte dell’abate Bartolomeo, tre coppie di personaggi dell’AT: Adamo ed Eva, Caino e Abele, Davide e Salomone.


Un candelabro, di Nicolò d’Angelo e di Pietro Vassalletto, è dal fine del XII e l’inizio del XIII, offre un complesso programma iconografico nella fitta decorazione cosmatesca. Il basamento presenta quattro figure femminili identiche che afferrano quattro coppie di animali, raffigurazione di Babilonia. Tre fascie narrative, a modo di colonna classica, sono incentrate sui racconti della passione e risurrezione di Cristo. Un’altra fascia, decorata con mitivi fitomorfi, dove è inciso un commento sulla croce.


Nell’abside si può ancora intuire la bellezza della decorazione musiva del duecento, dovuta a maestri dal Veneto, nei piccoli frammenti della fascia inferiore del catino absidale supertiti all’incendio e rifascimento ottocentesco. Tuttavia rimane una idea complessiva del progetto iconografico, uno delle imprese decorative romane più importante del medievo, voluto da Onorio III (1216-1227), raffigurato ai piedi del Cristo.


Secondo la tradizione romanica della Maestà, troneggia un Cristo benedicente al centro, sul libro la frase sul giudizio finale (Mt 25,34). Alla sua sinistra Pietro e Andrea, alla destra Paolo e Luca; gli altri apostoli, insieme con Marco e Barnaba, sono nella fascia inferiore. Al centro si erge l’Hertimasia, un trono con gli strumenti della passione di Cristo presentato da angeli, immagine bizantina del giudizio finale; due committenti e i santi Innocenti – le loro reliquie sono venerate sotto l’altare – sono l’unica parte del mosaico medioevale (insieme all’immagine di Onorio III postrato ai piedi della Maiestas) sopravvissuta all’incendio.


Per volontà di Pio IX, nel 1857, prendendo il posto di affreschi dal Cavallini, si è stato aggiunto un ciclo di 36 affreschi con storie della vita di san Paolo, che corrono, in riquadri, lungo la parte alta delle pareti della navata centrale e del transetto.



  1. Culto


Secondo una pia tradizione, i corpi o le reliquie di Pietro e Paolo furono portati nel 258 a un luogo nel vallo ad catacumbas, uno dei primi nuclei di edilizia funeraria, presso l’attuale catacomba di S. Sebastiano. Ci fu necessario il trasferimento per evitare la ferocia dell’imperatore Valeriano e per poterli onorare senza mettere a rischio la vita.


Sicuramente, dopo l’editto di Costantino, fu costruita una basilica, in memoriam Apostolorum, in seguito denominata di S. Sebastiano, perché ivi fu sepolto il martire. Oltre a graffiti nella triclia, visibili nelle catacombe sottostanti la basilica, c’è un riferimento esplicito a Pietro e Paolo nel poema composto da papa Damaso (366-384), che si può leggere nell’attuale basilica, in una lapide, sulla destra entrando:

Tu che vai cercando i nomi di Pietro e Paolo devi sapere che i santi dimorarono qui in passato. Questi apostoli ce li mandò l’Oriente, volentieri lo riconosciamo; ma in virtù del martirio (seguendo Cristo su per le stelle giunsero nelle regioni celesti e nel regno dei giusti). Roma ebbe il privilegio di rivendicarli i suoi cittadini. Questo vuole dir Damaso in vostra lode, o nuove stelle”.


Vicino alla lapide si trova la cappella delle reliquie, che conserva le impronte attribuite a Gesù dalla tradizione secondo l’episodio collegato al Quo Vadis? Nuove ricerche archeologiche, però, mettono in dubbio questa millenaria tradizione. Probabilmente S. Sebastiano era il primo luogo incontrato dai pellegrini provenienti dal Sud ed ivi essi lasciavano testimonianza – con i graffiti – della loro fede.


La fonte più antica che testimonia la venerazione di ambedue apostoli è la Depositio Martyrum, un calendario della comunità romana che ricordava le feste dei martiri, composto prima del 336; in esso si leggi: “Al 29 giugno, festa di Pietro nel luogo detto in Catacumbas e di Paolo sulla via Ostiense sotto i consoli Tusco e Basso”. Nel Martirologio Geronimiano, risalente alla prima metà del V secolo, si legge: “A Roma la festa del martirio dei Santi Apostoli: di Pietro sulla via Aurelia in Vaticano; di Paolo, invece, sulla via Ostiense; di tutti e due nel luego in catacumbas, quando sono consoli Basso e Tusco”.


Questa triple celebrazione in onore dei due apostoli viene confermata dall’inno Apostolorum Passio, attribuito a San Ambrogio, e composto verso la fine del secolo IV, dove si descrive il flusso dei pellegrini che si dirigevano ai tre santuari apostolici.


Con il trionfo nobile di Pietro e la corona di Paolo,

la passione degli apostoli questo, esaltando consacrò tra i giorni.

Una morte cruenta e gloriosa li assimilò e congiunse;

la fede in Cristo incoronò gli eroi che alla divina sequela si posero.

Il primo apostolo è Pietro, ma non minore è Paolo per grazia,

che fu santo strumento di elezione e Pietro eguagliò nella fede”.



VIAGGIO DI PAOLO A ROMA

Partenza da Gerusalemme e arrivo a Roma

At 27,1-44; 28,16


1 Cicerone, Pro Flacco 28,66-67.

2 “Furono condannati al supplizio i cristiani, un genere di uomini dediti a una nuova e perniciosa superstizione” (Svetonio, Vita Neronis 16,2).

3 È l’unica volta che il nome di Roma è posto sulla bocca di Cristo nel NT.

4 Nel libro degli Atti appaiono parecchie comunità su cui fondazioni non se ne parla: Damasco (At 9,20), Giaffa (At 9,42), Cilicia (At 15,23), Alessandria (At 18,24.25), Efeso (At 18,27), Tolemaide (At 21,7) e Roma (At 28,15).

5 Il porto di Pozzuoli non era ancora stato eclissato da quello di Ostia, a 25 km da Roma in direzione sud-ovest, sistemato da Claudio.

6 Cicerone, Ad Atticum 2,10, cita tutte e due loughi, ma nessuno è soppravissuto fino ad’oggi.

7 “Per gelosia e discordia Paolo mostrò il premio della pazienzia. Sette volte caricato di catene, esiliato, lapidato, fattosi araldo in Oriente e in Occidente, ottenne l’eccellente fama della sua fede. Dopo aver insegnato la giustizia a tutto il mondo, giunto ai confine dell’Occidente, resa testimonianza dinanzi ai governanti, lasciò così il mondo e raggiunse il luogo santo, divenendo un grandissimo modello di pazienza” (Clemente romano, 1 Cor 5,6-7).

8 “Poi sia Pietro che Paolo furono allontanti dal cospetto di Nerone. Paolo fu decapitato sulla via Ostiense… Poi vennero alcuni uomini pii che desideravano portare via le spoglie dei santi e ci fu un terribile terromo in città… Ma i cristiani di Roma deposero i resti in un luogo che distava tre miglia dalla città, dove furono custoditi per un anno e sette mesi, fino a quando non furono costruiti i loughi in cui intendevano collocarli… E l’esistenza dei santi gloriosi apostoli Pietro e Paolo si estinse il 29 del mese di giugno” (Atti di Pietro e Paolo).

9 “È tradizione che dopo la sua difesa davanti ai giudici, l’apostolo Paolo ripartì per il ministero della predicazione, e che poi tornò di nuovo nella città di Roma, per terminarvi la vita col martirio. Si trovava certamente in ceppi, quando scrisse la seconda lettera a Timoteo, dove fa allusione alla sua prima liberazione e assieme alla sua prossima fine (Eusebio, HE II 22,2).

10 “Del resto anche Gaio, uomo ecclesiastico, vissuto ai tempi del vescovo di roma, Zeferino [199-217] in un suo scritto contro Proclo, capo della setta dei Catafrigi, parla dei luoghi ove furono deposte le sacre spoglie dei detti apostoli, e dice: ‘Io posso mostrarti i trofei degli apostoli. Se vorrai recarti sul Vaticano o sulla via Ostiense troverai i trofei dei fondatori di questa chiesa’”(Eusebio, HE II 25,6-7).

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