Nelle Orme di San Paolo - L'evangelizzazione paolina 2

L’evangelizzazione paolina

da ‘inviato’ della comunità ad ‘apostolo’ di Gesù Cristo





Il periodo della missione paolina è un’epoca di intensa attività evangelizzatrice. Per una decina d’anni, dal 49 al 58, Paolo porterà a termine la sua opera storica, quella per cui sarà ricordato ed apprezzato; porterà il vangelo alla ‘ecumene’ e scriverà, ogni tanto, alcune lettere che, senza pretenderlo, costituiranno l’inizio del ‘nuovo’, secondo e definitivo, Testamento.


Meraviglia la vitalità creativa dell’apostolo già maturo, e maturato nella sua lotta in difesa dell’originalità del vangelo di Dio anche di fronte ai suoi stessi fratelli. E deve anche meravigliare quanto può fare un solo apostolo, consapevole della propria missione, in così poco spazio di tempo e in circostanze così difficili.




  1. Evangelizzando Europa




Per quanto si riferisce ai viaggi missionari di Paolo, disponiamo di abbondante informazione, anche se essa non ci permette di formarci un’idea chiara dei movimenti dell’apostolo né di ricostruirne con una certa nitidezza l’itinerario. Continuerà a rappresentare una difficoltà insuperabile paragonare i due viaggi a Gerusalemme, menzionati da Paolo (Gal 1,18; 2,1) con i tre narrati dagli Atti (9,26; 11,30; 15,2); tenendo conto, inoltre, che il fatto di non avere citato altre visite a Gerusalemme non prova che in realtà non ci siano state.


La sistemazione dell’attività missionaria in tre viaggi si basa sul racconto di Luca (At 13-14; 15,36-18,17; 19,1-21,16) e prende in considerazione il fatto che l’arrivo di Paolo a Gerusalemme segna un importante sviluppo nella sua missione; fa da nesso narrativo nel racconto del viaggio paolino, effettivamente, At 15,3-35, che separa At 13-14 da At 15,41-18,22; At 18,23 allude espressamente ad un altro viaggio iniziato che terminerà con la carcerazione a Gerusalemme, At 21,17-36. Il ‘primo’ viaggio è introdotto con solennità (At 13,1-3); la partenza per il secondo, dopo l’assemblea di Gerusalemme, è pure ben evidenziato (At 15,36-41); invece risulta impreciso il passaggio dal secondo al terzo (At 19,1). Questa presentazione lucana serve, senza dubbi, al progetto teologico di presentare il cammino della parola di Dio da Gerusalemme fino ai confini del mondo (Rm 15,19). Paolo sarebbe stato, in questo modo, il missionario che portò a compimento l’incarico di Gesù Risorto (At 1,18).


Le lettere paoline, da parte loro, senza parlarne direttamente, trasmettono l’immagine di un Paolo in continua missione, che si trasferisce da città in città, dopo aver fondato una comunità. Nonostante che né Luca né Paolo comprenderebbero cosa intendiamo dire con termini come ‘prima missione’ o ‘terza missione’, non è meno certo che tale modo di parlare è una forma pratica, e tradizionale, di dividere le diverse fasi della vita di Paolo. In realtà, più che dai viaggi, la missione paolina è caratterizzata dalla permanenza in alcune grandi città, come Filippi, Tessalonica e soprattutto Corinto ed Efeso, vere e proprie stazioni missionarie



Prima, delegato della comunità antiochena


Per quanto riguarda il primo viaggio ci è pervenuta unicamente la testimonianza di Luca (At 13,3-14,26), che suppone che Paolo avrebbe svolto la sua opera missionaria nell’isola di Cipro e in regioni dell’Asia Minore, prima dell’assemblea di Gerusalemme. Su tutto questo periodo Paolo tace. Anzi, quel che dice in Gal 1 sembra contraddire in parte gli Atti, giacché insiste sul fatto di essere rimasto nelle ‘regioni della Siria e della Cilicia’ (Gal 1,21) circa quattordici anni (Gal 2,1). La spiegazione di questo stato di cose sarebbe che l’autore degli Atti l’ha datato erroneamente. Nel contesto della sua opera storica quel racconto costituisce uno sfondo molto adatto per dar risalto alla descrizione dell’assemblea (At 15, 4); ciò non deve indurci a considerare tale racconto come una pura costruzione lucana; in realtà il viaggio dev’essere successivo all’assemblea di Gerusalemme”.


Di conseguenza, per ricostruire quanto avvenuto durante questo viaggio, dipendiamo dalle notizie presentate dagli Atti. È indubbio che durante questa fase Paolo dipenda dalla comunità di Antiochia, in cui si è integrato, che lo elegge a suo rappresentante (At 11,39; 15,1-2) o lo invia in missione (At 13,1-3). Paolo, che suole andare accompagnato da un gruppo di collaboratori più o meno fissi, condivide la delegazione in questa prima missione ‘ufficiale’ con Giuseppe detto Barnaba, un ebreo della diaspora, oriundo di Cipro (At 4,36), una delle personalità più importanti della Chiesa primitiva, e molto probabilmente il vero maestro di Paolo oltre che amico, che lo introdusse nella comunità cristiana di Gerusalemme (At 9,27), con cui condivise gli ideali di un vangelo libero dalla legge e che accompagnò nella predicazione ai Gentili (At 11,25-26). Tutelato da Barnaba, Paolo va affermandosi come missionario impegnato nell’annuncio del vangelo al mondo pagano e si converte in una figura di rilievo nel cristianesimo siriaco di lingua greca, agli inizi degli anni quaranta.


Proprio tutti questi dati rendono ancora più oscuro il motivo della rottura con Barnaba; a quanto pare, tra loro si interposero due avvenimenti conflittuali. Giovanni Marco, nato a Gerusalemme (At 12,12), familiare di Barnaba (Col 4,10), aveva abbandonato la missione precedentemente (At 13,13). Non consentendo Paolo che li accompagnasse nuovamente (At 15,37-38), causò comprensibilmente l’allontanamento da Barnaba (At 15,39-41); il quale qualche tempo dopo tornerà ad accompagnare Paolo (Flm 24; Col 4,10; 2 Tm 4,11). Ciò fa pensare che non fu questo il motivo decisivo della separazione; un conflitto puramente personale non giustificherebbe una rottura di così pesanti conseguenze. L’incidente dovette essere più grave; ed avvenne, come confessa Paolo stesso, ad Antiochia.



Poi, subito, inviato da Gesù Cristo ai gentili



Dopo gli avvenimenti di Gerusalemme e di Antiochia, Paolo si concentrò sulla predicazione – ‘in base al fondamento posto da lui stesso’ (Rm 15,20) – del proprio vangelo. Dal suo continuo andare e venire missionario sorsero nuove comunità cristiane che, data la loro origine etnica e la mentalità ellenistica, si sarebbero sentite slegate dalla tradizione veterotestamentaria, che era stata la culla dell’esperienza cristiana. Entriamo ora pienamente nel periodo propriamente paolino della storia del primo cristianesimo, dove potremo cogliere con maggior chiarezza l’apporto originale di Paolo alla genesi del cristianesimo come movimento religioso e apprezzare l’impronta indelebile ed irrinunciabile con cui lo marcò.


L’importanza di questa tappa, corta quanto a durata, tre anni circa, ma feconda di risultati, si impone se consideriamo che, per la prima volta e ad una distanza temporale di circa 20 anni dalla morte di Gesù, la notizia di ‘quanto è accaduto a Gesù di Nazaret’ (cf. Lc 24,18-19) giunse in Europa. Tale evento ebbe come conseguenza immediata l’accelerazione del processo di sradicamento del cristianesimo dal suo humus palestinese, favorendo l’incontro, difficile e che dura fino al giorno d’oggi, con l’uomo e la cultura greco-romana. Il cristianesimo divenne, in questo modo, una religione greco-romana e, più tardi, la religione europea. Al contrario del giudaismo e delle religioni dell’Asia orientale, la cultura occidentale non è legata a precetti rituali o cerimoniali.


Uno dei compiti del paolinismo fu quello di giustificare il sistema ideologico che permettesse loro di vivere ‘liberi dalla Legge’. E’ vero che, nel corso della storia, il cristianesimo dovette modificare quel sistema. Tuttavia, in termini generali, tale ideologia ha perdurato, poiché questa concezione ‘liberale’ della vita è una delle caratteristiche della civiltà europea. Se il cristianesimo si fosse esteso prima alle regioni dell’Asia orientale avrebbe dovuto sviluppare una legge cerimoniale e rituale basata sui precetti giudei per arrivare ad essere una religione genuina di quei paesi.


Interessa, pertanto, farsi un’idea di questo pellegrinare in terre europee e tentare un approccio alle questioni che il vangelo predicato da Paolo suscitava in esse. Lasciata Antiochia e con il progetto di arrivare a Roma (Rm 1,13; 15,22), Paolo visiterà le principali città romane affacciate al mare Egeo: Filippi, Tessalonica, Corinto ed Efeso. Quanto meglio si conosce la geografia missionaria di Paolo, la composizione delle sue comunità ellenistiche ed i loro problemi interni, il rapporto diversificato che Paolo mantenne con ciascuna di esse, tanto più saremo sensibilizzati per misurare la grandezza di Paolo come uomo avvinto da Cristo e la sua importanza come forgiatore involontario di una nuova cultura.


Oltre ad alcuni dati isolati presenti nelle sue lettere, per la ricostruzione di questo viaggio dipendiamo soprattutto dal racconto lucano (At 15,36-18,22) la cui veracità fondamentale è fuori dubbio. Si deve, però, accettare che si tratta di un racconto incompleto, semplificato e chiaramente strutturato secondo uno schema fisso: in ogni città Paolo si dirige prima ai giudei, nella cui sinagoga suole cominciare la sua predicazione; normalmente non accettato, si rivolge poi ai gentili. Nel suo nocciolo una tale rappresentazione è verosimile: probabilmente furono giudei della diaspora ed i loro simpatizzanti pagani coloro che passarono inizialmente al cristianesimo; anche se pure qui è in atto l’intenzione lucana di spiegare l’evangelizzazione dei gentili col rifiuto incontrato presso i giudei (At 16,34) e di presentare la nuova fede in buona relazione con le autorità romane.



Secondo’ viaggio



Il progetto originale di Paolo di rivisitare le comunità fondate nel viaggio previo (At 15,36) fallì per il dissidio con Barnaba, che voleva prendere di nuovo Marco (At 15,37-38). Pochi giorni dopo, accompagnato da Sila, un ellenista che aveva ascendente tanto ad Antiochia (At 15,32) come a Gerusalemme (At 15,22; 16,2), parte a piedi verso il Nord e seguendo la via romana che pasa per Tarso visita le comunità della Siria e della Cilicia (At 15,41) e della Licaonia (At 16,1). A Listra, al centro dell’altopiano anatolico, conquista Timoteo (At 16,1-3; cf. Fil 2,20; Rm 16,21; 1 Ts 3,2), nato da un matrimonio misto e formato nelle Scritture (2 Tm 3,14), che, secondo una decisione non molto coerente – se si accetta la testimonianza lucana – avrebbe circoncidato (At 16,3).


Con questi due compagni, avrebbe voluto andare verso est, verso l’Asia, con Efeso come metropoli (At 16,6), ma una malattia (Gal 4,13-14), lo Spirito Santo (At 16,6) o ambedue, glielo impedì ed evangelizzarono la Frigia e la Galazia. Volevano recarsi in Bitinia, più al nord, ma di nuovo lo Spirito non lo permise loro e tornarono verso l’est, per la Misia; e, dopo vari mesi di missione e quasi duemila chilometri già percorsi, arrivarono ad Alessandria Troade, città sull’Egeo all’estremità nordoccidentale dell’Asia Minore, porto abituale tra la Macedonia e l’Asia. A Troade Paolo si sentirà chiamato, guidato da una visione (At 16,9-10), a svolgere la missione in Europa.


L’itinerario seguito da Paolo gli è stato imposto dalla forza delle circostanze esterne, probabilmente contro i suoi piani iniziali. I dissensi con i suoi accompagnatori (At 15,39, la persecuzione che suscitava la sua predicazione (At 16,40; 17,10.13-14), ed anche qualche malattia, probabilmente cronica (Gal 4,4.13; cf. 2 Cor 12,7-9) modificarono la sua rotta iniziale e le sue intenzioni, che sarebbero state quelle di visitare e consolare i fratelli in tutte le città dove aveva annunziato il messaggio (At 15,36). Inoltre occorse l’intervento divino, insistente e determinante, per giustificare il passaggio in Europa, contro la propria volontà (At 16,6-10). Non fu quindi una strategia missionaria dell’ apostolo la causa che motivò il cambio di itinerario, se non Dio stesso, insiste Luca: fu lo Spirito a guidarlo in Macedonia, dove cominciò l’evangelizzazione dell’occidente arrivando a Neapoli (Fil 4,15; At 16,12). A partire da questo momento la testimonianza delle lettere ci presenta materiale sufficiente circa il viaggio e le varie vicissitudini, anche se tale informazione si limita a delle comunità concrete ed alla loro problematica specifica del momento.


A Neapoli, porto di Filippi, prese la via Egnazia, la più antica via romana, che univa l’Anatolia con l’Italia. L’attività paolina nell’Europa greca fece sorgere chiese che avrebbero poi avuto grande risonanza nella vita di Paolo: Filippi (Fil 4,15; At 16,11-40; 1 Ts 2,2); Tessalonica (At 17,1-10; 1 Ts 1,6-9; 2,2.9; 3,1); Berea (At 17,10-12; 20,4); Atene (At 17,16-34; 1 Ts 3,1; cf. 1 Cor 2,1-4); Corinto (At 18,1-17; 1 Cor 1,10-17.16-29) ed Efeso (At 18,19-22). Filippi e Corinto erano colonie romane, Tessalonica, Corinto ed Efeso, centri amministrativi provinciali. Secondo i dati a disposizione ogni comunità rispose allo zelo dell’apostolo in modo diverso e Paolo mantenne con ciascuna di esse un rapporto pure diversificato; in ogni tappa dell’itinerario trova ostilità e persecuzione, e l’apostolo si vede costretto a ripartire di nuovo: Filippi (Fil 1.30; 1 Ts 2,2; At 16,19-40), Tessalonica (1 Ts 1,6; 2,18; 3,4; At 17,5-9), Berea (At 17,13).


Speciale interesse merita qui il soggiorno di Paolo ad Atene, uno dei momenti più oscuri e dibattuti della ricerca su questo periodo della vita di Paolo e con ogni probabilità un’esperienza che influì notevolmente su di lui. Paolo menziona Atene di sfuggita, come stazione verso Corinto (1 Ts 3,1). Luca, invece, ci presenta una scena molto accurata, che costituisce un vero e proprio culmine del suo racconto. Paolo arriva ad Atene dalla Macedonia, per via marittima; vi rimane solo con Silvano, dopo aver inviato Timoteo a Tessalonica (1 Ts 3,2). La presentazione di Paolo all’Areopago ha per Luca un’importanza maggiore di quella che le potrebbe venire dalla sua effettiva realizzazione; nella sua intenzione si tratta dell’incontro simbolico tra il cristianesimo e la cultura ellenistica e il discorso che Paolo (At 17,22-32) pronunciò sembra incompatibile con le idee teologiche del Paolo ‘storico’, così come appaiono nelle sue lettere autentiche.


In ogni caso, la descrizione lucana del fallimento apostolico ad Atene può veramente nascondere un nucleo rigorosamente storico; anche se Paolo non nomina mai Atene nel suo epistolario – e secondo Luca l’avrebbe abbandonata rapidamente, senza attendere Timoteo e con a malapena un paio di convertiti (At 17,34) – l’esperienza di Paolo ad Atene introdusse nell’entusiasmo del missionario un cambio profondo e rappresentò una correzione seria del suo primo ottimismo nei riguardi della missione tra i gentili. Forse bisognerebbe tenere maggiormente in considerazione il fallimento strepitoso del suo vangelo nella metropoli ellenica per capire meglio la teologia paolina della croce di Cristo (1 Cor 1,10-2,16).


Da Atene Paolo si reca a Corinto, capoluogo della provincia romana dell’Acaia, dove trova Aquila e Priscilla, la coppia di giudei espulsi da Roma, che l’ospiteranno (At 18,1-2) e con il cui aiuto implementerà la missione in città e nella regione durante un anno e mezzo (At 18,11). Sarà a Corinto dove riceverà Paolo Sila e Timoteo, giunti dalla Macedonia con delle buoni notizie e aiuto economico (1 Ts 3,6; At 18,5; 2 Cor 1,19) e da dove scriverà ai tessalonicessi “per completare ciò che ancora manca alla loro fede” (1 Ts 3,10). 1 Ts è il primo scritto della nuova Alleanza. Corinzo, città europea, diventa così la culla del Nuevo Testamento.


Paolo era rientrato ad Antiochia da Corinto, poco tempo dopo essere stato condotto davanti a Lucio Giunio Gallione (51-52 a.C.; cf. At 18,12-18) - proconsole della provincia romana di Acaia - il quale non aveva dato peso alle accuse contro l’apostolo. Era partito da Corinto accompagnato da Priscilla e Aquila, che rimasero a Efeso mentre egli si imbarcava a Cencre per Cesarea, proseguendo il viaggio verso Gerusalemme (At 18,19-22). Ad Efeso la coppia di missionari istruì Apollo, giudeo alessandrino (At 18,24-26), che poco più tardi decise di andare a Corinto (At 18,27; cf. 1 Cor 1,12; 3,4-7; 16,12).



Terzo’ viaggio


Da Antiochia, trascorso l’inverno del 53, Paolo riprese la missione seguendo lo stesso itinerario del viaggio precedente: via terra attraversò la Galazia e la Frigia (At 18,23) arrivando a Efeso, dove soggiornò più di due anni (At 19,8.10.22; 20,31), i più fecondi e allo stesso tempo i più difficili della sua vita (1 Cor 16,9). È da supporre, nonostante il silenzio degli Atti, che lo accompagnasse Tito, a cui affiderebbe poi delicate missioni a Corinto (2 Cor 2,13; 7,6.13-14; 8,6.23; 12,18). Probabilmente Paolo incontrò a Efeso, se non proprio una comunità, almeno qualche adepto (At 18,27). È da Efeso che Paolo tenne stretti rapporti con la chiesa di Corinto, documentati nella sua corrispondenza.


La città che Paolo conobbe era la popolosa capitale – circa duecento cinquanta mila abitanti – della provincia romana dell’Asia Minore, il maggior centro commerciale e finanziario dell’Asia occidentale. Situata sulla costa occidentale dell’Egeo, in fondo ad una insenatura, al sud della foce del fiume Caistros, era stata integrata nell’impero romano nell’anno 133 a.C. È sotto Augusto (63 a.C. – 14 d.C.) quando conobbe il maggior splendore, dovuto in parte alla sua favorevole posizione geografica. La popolazione era in maggioranza greca. Scoperte archeologiche hanno rivelato magnifici edifici pubblici, fra essi il tempio dedicato ad Artemide, una delle sette meraviglie del mondo antico. Il culto che vi riceveva la dea era legato a celebrazioni di tipo misterico e magico (At 19,28.34); pur essendo celebre da tempo immemorabile, non era certamente l’unico culto che aveva attecchito. Flavio Giuseppe testimonia l’esistenza di una comunità giudaica nella cui sinagoga predicò Paolo (At 19,8); doveva trattarsi di un centro influente, poiché godeva di certi privilegi ed era arrivato ad un livello invidiabile di intesa con le autorità pagane.


A motivo del loro contributo alla missione paolina, gli anni del cosiddetto ‘terzo’ viaggio (53-57 d.C.; At 18,13-21,17) rivestono somma importanza. In soli quattro anni Paolo manterrà una corrispondenza con alcune delle sue comunità che lascia intravedere la loro organizzazione interna e i primi problemi pratici che dovettero affrontare. Ma il vero valore delle lettere di questo periodo, redatte a Efeso o nei mesi che seguirono il suo soggiorno in quella località, risiede piuttosto nel fatto che ci trasmettono una delle visioni teoriche più mature – ed è la più precoce! – che il cristianesimo neotestamentario abbia prodotto: il pensiero paolino.


Il lungo soggiorno ad Efeso, circa la metà di questi anni, interruppe la sua abitudine di fermarsi un tempo minimo in ciascun luogo di missione. Per Paolo, indubbiamente, questo fu un tempo di un certo riposo e di maggiore serenità (At 19,9), pur non essendo esente da gravi contrattempi (1Cor 4,9-13; 2 Cor 4,8-9; 6,4-10; 11,21-28; Fil 1,4). Dopo uno scontro nella sinagoga, scelse come luogo di evangelizzazione la ‘scuola’ di un certo Tirano. Secondo 2 Cor 1,8-11, le circostanze giunsero ad essergli tanto avverse da disperare di sopravvivere; l’incontro con Apollo non sarebbe un motivo sufficiente, per quanto il mutuo rapporto non sia stato esente da tensioni (At 18,24-28; cf. 1 Cor 3,6; 16,12). Si è pensato ad un periodo di incarcerazione (2 Cor 1,9; Fil 1,13-14.20-24), a seguito del tumulto provocato a Efeso da Demetrio, l’orefice (At 19,23-20,1); la minaccia per il commercio religioso che avrebbe potuto rappresentare la missione cristiana di Efeso rende verosimile tale persecuzione, favorita dall’atmosfera di magia ed idolatria che dominava la città.


Tanto Paolo come Luca tacciono su questa prigionia efesina; e ciò costituisce, indubbiamente, un serio argomento contro di essa; ma 1 Cor 15,32 e 2 Cor 1,8-9 alludono ad un pericolo imminente di morte che l'apostolo avrebbe superato senza proporselo espressamente (Fil 1,21-24); e l’apocrifo Atti di Paolo, dalla fine del II sec., la menziona (3,20-22; 7,1-4), anche se può essere una supposizione in base a 1 Cor 15,32. Poco dopo aver lasciato la città, scrive di essere stato in prigione varie volte (2 Cor 11,23); sarebbe proprio in quel momento, assai penoso, quando avrebbe redatto la lettera alla comunità di Filippi e vi sarebbe stata la conversione di Onesimo ( Fil 1,1; Fm 1.10). Paolo, che aveva in progetto di ritornare a visitare la Macedonia (1 Cor 16,2.5-9), non poté realizzarlo da Efeso, da cui fuggì clandestinamente.


Il soggiorno di Paolo ad Efeso acquista un profondo significato per la storia di Paolo, come mettono particolarmente in evidenza gli Atti. Quando giunse ad Efeso, la città era già stata scenario della predicazione cristiana: lo aveva preceduto Apollo, un giudeo alessandrino, fervoroso ed eloquente convertito che sembra esser rimasto a metà strada tra la predicazione di Giovanni il Battista e la piena fede cristiana; un dato che, se è vero, da una visione più complessa della prima evangelizzazione: non tutti i predicatori avevano un ‘unico’ vangelo. Infatti, Apollo, anche se formato dalla coppia missionaria di Aquila e Priscilla (At 18,24-26), andrà poi a Corinto dove contribuì a formare un gruppo anti-paolino (1 Cor 1,12; 16,12). Questo personaggio e i discepoli del Battista che Paolo incontrò e battezzò ad Efeso (At 19,1-7) lasciano intravedere il pluralismo con cui si viveva la fede nelle comunità cristiane del mondo greco.


Il pluralismo nel vissuto quotidiano della fede non era se non uno dei vari problemi che inquietavano tali giovani comunità. Tutte le lettere paoline di questa epoca fanno riferimento a una crisi giudaizzante che fece presa su di esse, in forma diversa in ogni comunità e con diverso grado di pericolosità; ma in tutte essa fu motivata da predicatori giudeo-cristiani che seguivano i passi e i successi di Paolo, per riguadagnare i pagani da lui convertiti all’Israele ‘secondo la carne’ (Gal 3,1-6; Fil 3,2).


Questo breve periodo fu testimone, inoltre, di come le comunità paoline, nate fuori del contesto socioculturale giudaico, dovettero trovare un nuovo modo di vivere, inserite com’erano nel mondo greco-romano. Per la prima volta i membri di queste comunità non dovettero sentir parlare di Gesù attraverso la mediazione necessaria delle Scritture. Di conseguenza una doppia problematica caratterizzò questa tappa: da un lato, esternamente, i nuovi convertiti dovevano adottare dei comportamenti religiosi, sociali e politici che li costringevano a un difficile equilibrio con la normativa imperante nella società; in questo processo non sempre si erano abbandonati valori e modi di condotta pagane; d’altro canto, internamente, si diede inizio ad alcuni timidi tentativi di organizzazione ecclesiale, anche se tale organizzazione poggiava ancora su criteri carismatici (1 Cor 12,8-10.12-30; Rm 12,6-8). La corrispondenza dell’apostolo con Corinto è la migliore fonte di informazione su questa lotta verso la nuova identità.


Il racconto di At 20,1-21,17, che narra il viaggio di ritorno di Paolo attraverso le comunità della Grecia, della Macedonia e dell’Asia Minore verso Gerusalemme, è intriso di una grande drammaticità che interpreta i timori personali di Paolo in forma magistrale (Rm 15,25-32; 1 Cor 16,3-4), ma il cui valore storico è molto disuguale. Tra le notizie più insospettabili bisogna includere quelle, già ricordate, relative alle minacciose circostanze che accompagnarono l’inizio del viaggio e che indussero Paolo e qualche compagno a preferire la via della terraferma che conduceva in Asia minore attraverso la Macedonia: parimenti degna di fede è la lista nominativa dei compagni di viaggio, con l’indicazione delle comunità di provenienza (At 20,3ss).


L’itinerario del viaggio di ritorno, molto dettagliato (At 20,6-21,8), così come il racconto di quanto successo a Troade (At 20,6-12) e il solenne congedo dagli anziani della chiesa a Mileto (At 20,17-32) sono più problematici. In modo particolare, il discorso di addio a Mileto – nell’intenzione di Luca, il testamento spirituale dell’apostolo – è stato fatto oggetto di valutazioni diverse: mentre per alcuni sarebbe fuori contesto storico e denoterebbe preoccupazioni della Chiesa post-paolina, per altri Luca avrebbe dato forma narrativa al pensiero di Paolo e alla sua preoccupazione pastorale per le Chiese che aveva fondato e che ora stava abbandonando; l’impressione che fa è di riflettere una situazione, e una problematica, che Paolo non affrontò.


Tanto Luca come Paolo stesso (At 11,27-30; Gal 2,10; 1 Cor 16,1-4; 2 Cor 8-9; Rm 15,25-28) alludono al motivo del viaggio a Gerusalemme: Paolo voleva portare personalmente alle comunità povere della Giudea il soccorso delle sue comunità, pur prevedendo delle difficoltà (Rm 15,31). Anche se l’impresa non implicava organizzazione o dipendenza giuridica, dimostra però reale interdipendenza e solidarietà concreta tra le chiese. Paolo probabilmente arrivò a Gerusalemme per la festa di Pentecoste dell’anno 57 (At 20,16; 21,17); ne uscirà prigioniero a causa del Vangelo. Il tempo della missione e, a quel che sembra a noi, la possibilità stessa di redigere nuove lettere, erano definitivamente tramontati.




  1. Memoria Pauli




Teatro del primo incontro del vangelo con il pensiero pagano (At 17,17-34), l’Atene che visita Paolo nell’anno 50 circa era ancora riconosciuta come modello della cultura ellenistica, ma la sua ‘età dell’oro’ era ormai passata. Luca sembra riflettere bene l’animo dell’apostolo, lasciato solo in città (At 17,15) e preoccupata dalla situazione dei tessalonicesi (1 Ts 2,17-3,5), quando apre la cronaca della visita scrivendo che “Paolo fremeva nel suo spirito al vedere la città piena di idoli” (At 17,16). E, oltre a “discutere nella sinagoga con i giudei”, come di solito, aggiunge – per prima volta ! – che trovò pure i pagani “ogni giorno sulla piazza principale” (At 17,17).


L’agora, la piazza centrale della città ellenistiche, era il luogo dove si regolavano gli affari e si rendeva giustizia; sotto i portici, si discuteva e si presentavano le nuove dottrine (At 17,21: ‘tutti gli ateniesi infatti e gli stranieri colà residenti non avevano passatempo più gradito che parlare e sentire parlare’). Al tempo di Paolo la grande piazza era ubicata a nord-ovest dell’Acropoli (città alta), un elevato basamento roccioso, a 11 chilometri dal mar Egeo. Luogo di raduni era pure l’Areopago (colle di Marte), una collina più bassa, a sud-ovest, dove si riuniva il consiglio cittadino, le autorità religiose e accademiche; per Luca è questo lo scenario del discorso paolino (At 17,19.22): le autorità vorrebbero informarsi sulla “nuova dottrina” (At 17,19).


Tra tutti discorsi di Paolo negli Atti1 quello dell’Areopago (At 17,22-31) è quello che meglio rispecchia le prime presentazioni del vangelo ai pagani (cf. 1 Ts 1,9-10; Eb 6,1-2. Un primo abbozzo, incompiuto, si può trovare pure nel discorso a Listra a pagani ben disposti: At 14,15-17): a) esordio con ‘captatio benevolentiae che arriva fino alla menzione del dio ignoto (17,22-23); b) presentazione del ‘monoteismo’ giudeo in cui Paolo si sforza di segnale analogie con il paganesimo: questo dio sconosciuto é, in realtà il Dio creatore e provvidente (17,24-28) “in cui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (17,29) essendo stirpe di lui; c) la predicazione cristiana è piuttosto singolare: non si parla né della vita né della morte di Gesù, neppure lo si nomina; sì però la sua funzione concessa da Dio: giudice universale; e la sua motivazione: la risurrezione. La reazione degli ascoltatori è paradigmatica dello scontro frontale tra vangelo e cultura ellenistica: “alcuni lo deridevano, altri dissero ‘ti sentiremo un’altra volta’ […]; alcuni aderirono a lui fra questi Dionigio, membro dell’Areopago, una donna di nome Damaris ed altri” (At 17,32.34).


Anche se il ‘cuore’ di Atene era l’Acropoli, a cui si accedeva attraverso i Propilei, la navata centrale, per arrivare al Partenone, l’emblema dell’antica architettura classica, non sappiamo se Paolo sia salito su. Circondato da colonne doriche, conservava all’interno la statua di Atena, alta 12 metri, ricoperta da 115 chilogrammi d’oro e con particolari in avorio. Sotto l’Acropoli, c’è la collina dell’Areopago, che sovrasta l’agorà da sud; basamento di roccia calcarea, era sede tradizionale di incontro del consiglio, organismo di governo con poteri limitati, anche se poteva giudicare processi per omicidi. Più che assistere ad uno di questi raduni ufficiali, Paolo sarebbe stato invitato a salire sulla collina per parlare meglio. Ai piedi del sentiero si trova una targa di bronzo che commemora il suo discorso. Guardando in alto, verso l’imponente Acropoli, non si può immaginare la solitudine, e il coraggio, dell’apostolo?


Dopo questi fatti, Paolo lasciò Atene e andò a Corinto (At 18,1). Cacciato da tre città macedoni in successione (Filippi, Tessalonica, Berea), rimasto isolato ad Atene e dopo l’insuccesso della sua predicazione, non arrivò a Corinto di certo molto contento: “Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione” (1 Cor 2,3). Eppure la sua visita fu una delle più lunghe, diciotto mesi circa, dal 50 al 52, e delle più fruttuose: Luca ricorda che in una visione il Signore promise di essere con l’apostolo: “perché io ho un popolo numeroso in questa città”. E la corrispondenza con questa comunità, due lettere canoniche che, probabilmente, sono il risultato di la raccolta di un più fitto e duraturo scambio epistolare, è la migliore documentazione dell’ inculturazione del vangelo nella cultura ellenistica, dei suoi rischi e dei suoi frutti.


Mentre si approssimava, avvistò magari l’Acrocorinto, massiccio innalzato a 550 m al di sopra della pianura, sede del tempio di Afrodite, dove si esercitava la prostituzione sacrale (migliaia di prostitute secondo Strabone). Corinto, rifondata da i romani nel anno 44 a. C., si stendeva dalla vita di chi osserva da nord in cima all’Acrocorinto; a sinistra, si vede il golfo; a destra, l’Egeo; distante circa 2,5km di distanza dal mare, la città aveva due porti, il Lechaion, sul golfo di Corinto, e il Cenchrea, sul golfo Saronico del Egeo, uniti da il diolkos, una strada lastricata lungo la quale erano trasportate, su piattaforma di legno provvista di ruote, piccole imbarcazioni. Da Cenchrea partì Paolo per Efeso (At 18,18); e lì c’è una piccola chiesa sulla casa di Febe (Rom 16,1).


Paolo probabilmente giunse alla città dal porto per la strada di Lechaion; l’ ultimo tratto, 10 m di larghezza, era circondato di colonnati e negozi e ricoperto da un lastricato, su cui passò probabilmente Paolo. Ci sono resti di basiliche, templi e mercati (il ‘recinto di Apollo’: cf. 1 Cor 8-9!), bagni e latrine, e la fontana di Pereine. La strada sbocca in gradini ripidi resti della base dei propylaea, o arco di trionfo, che dava accesso al foro.


Il foro romano, uno dei più grandi esistenti (180x90), era un’ampia ‘zona pedonale’; in fondo, disposta a sud, c’era una imponente stoa che, all’epoca di Paolo, albergava edifici amministrativi, tra cui la camera di consiglio della città (il ‘Bouleuterion’). Parallela alla stoa, nel centro del foro, una serie di negozi e al centro la bema o tribunale dove comparve Paolo di fronte a Gallione (At 18,12-17) e, poi, fu costruita una piccola chiesa con tre absidi su una pietra rettangolare disposta nel luogo dove l’imputato stava in piedi durante il processo.


Due iscrizioni trovate sono di particolare interesse. Vicino al teatro greco c’e una zona lastricata con un’iscrizione risalente al secolo I che dice: ‘RASTUS PRO AEDILE S.P. STRAVIT’ ([E]rasto pose [il pavimento] a sue spese a ricordo della sua carica di edile). L’iscrizione menziona il nome di un cristiano a noi noto dal NT (Rom 16,23: Erasto, tesoriere della città). Sebbene non molti tra i primi cristiani a Corinto erano ‘personaggi importanti’ (1 Cor 1,26), evidentemente ci furono dall’inizio alcuni influenti.


Più rilevante per la cronologia paolina e la datazione del primo cristianesimo è la seconda iscrizione, scoperta nel 1905 a Delfi. In essa l’imperatore Claudio si dichiara protettore della città e preoccupato dallo stato fatiscente, su cui era stato informato dal proconsole Giunio Gallio. Claudio scrive nel’anno della sua vigesima sesta acclamazione. La notizia colloca l’amministrazione di Gallione in Acaia verso gli anni 51-52 d.C.


Stabilitosi in casa di Aquila, Paolo lavorò con lui, e come lui, fabbricando delle tende (At 18,2-3) per sostenersi finanziariamente (1 Cor 9,17-18; At 20,34); quando gli arrivarono aiuti dalla Macedonia (2 Cor 11,9), poté dedicarsi “tutto alla predicazione” (At 18,5) tra i giudei, con risultati ambigui: Crispo, capo della sinagoga, e la sua famiglia, Tizio Giusto, Stefana – le uniche persone da lui battezzate (1 Cor 1,14-16) – e anche molti dei Corinzi si convertirono (At 18,7-8); ma la maggioranza “lo condussero al tribunale” con la accusa di cercare di “rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge” (At 18,12-13).


Di solito si rendeva giustizia non in una sala, ma sotto un portico, all’aperto, su una piattaforma elevata o pedana. Il proconsole Gallione, fratello di Seneca, che soggiornò a Corinto il 51/52, non trovò in Paolo che “questioni di parole o di nomi o della vostra legge” (At 18,15) e chiuse il caso. Dopo qualche giorno, Paolo lasciò la città in compagnia di Aquila e Priscilla (At 18,18); dopo una breve sosta ad Efeso (At 18,19-21), giunse a Cesarea, si recò a salutare la chiesa di Gerusalemme e poi scese ad Antiochia (At 18,21). Concludeva così il suo ‘secondo’ viaggio.









Corinto nel secolo I






























SECONDO VIAGGIO DI PAOLO

Partenza di Antiochia e ritorno ad Antiochia

At 15,36-41; 16,1-40; 17,1-34; 18,1-22








1 At 13,16-41: ai giudei ad Antioquia di Pisidia. At 20,18-35: agli anziani di Efeso a Mileto. At 22,1-21: ai giudei nel tempio di Gerusalemme. At 24,10-21: apologia davanti al tribunale romano a Cesarea. At 26,2-33: apologia davanti a Agrippa

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