ICC-migrantes 2009-progetto


ICC-migrantes 2009-progetto

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Un contributo per il Progetto Europa: “Un Cuore Nuovo” ICC 2010
A. Chiamata di Dio
I giovani europei
Se ci chiedessimo in modo autentico cosa vuole il Signore per l’Europa, quale sia l’effettiva povertà
dell’Europa che Egli vuole guarire, ci troveremmo a rispondere che l’Europa ha bisogno della Vita
Consacrata.
La risposta così formulata appare sintetica e va, quindi, argomentata.
Prende corpo sempre più e sempre meglio, l’ipotesi interpretativa che indica nell’ estromissione di Dio,
come atto che funge da criterio metodologico di conoscenza della realtà e di organizzazione della vita
pratica, il principio di dissoluzione della nostra società: sono sempre più evidenti le carenze di una cultura
segnata a morte dal presupposto che la comprensione della vita umana sia possibile a prescindere
dalla presenza di Dio. Non è più possibile, quindi, rinunciare alla denuncia della letale influenza dell’ ETSI
DEUS NON DARETUR sugli esiti ultimi della cultura europea.
Il Papa Benedetto XVI è impegnato nelle sue riflessioni pubbliche a mostrare la veridicità di una simile
interpretazione della parabola della cultura europea. A titolo esemplificativo riportiamo di seguito alcune
citazioni tratte da interventi fondamentali per la comprensione della sintesi culturale che Papa Ratzinger ha
operato. A Subiaco, il 1 Aprile 2005, il Card Ratzinger, non ancora Papa, in occasione della consegna a lui
del Premio San Benedetto “per la promozione della vita e della famiglia in Europa” si esprime così:
“Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che,
attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La
testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato
l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo
sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui
intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro
intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri.
Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo
bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza,
si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a
risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine,
mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo”.
(CFR. http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/27262)
Questa citazione richiede di essere abbinata ad un altro dei temi ricorrenti nelle riflessioni del Card. Joseph
Ratzinger: quello delle minoranze creative desunto dal pensiero dello storico Arnold Toynbee, di cui, per
altro, il Papa non condivide tutte le tesi. La citazione più appropriata al nostro discorso rimane quella della
lectio magistralis del 13 Maggio 2004 rivolta al Senato della Repubblica Italiana da cui traiamo questo passo:
“Circa il possibile futuro dell'Europa ci sono due diagnosi contrapposte. C'è da una parte la tesi di
Oswald Spengler, il quale credeva di poter fissare per le grandi espressioni culturali una specie di
legge naturale: c'è il momento della nascita, la crescita graduale, la fioritura di una cultura, il suo
lento appesantirsi, l'invecchiamento e la morte. Spengler arricchisce la sua tesi in modo
impressionante, con documentazioni tratte dalla storia delle culture, in cui si può intravedere
questa legge del decorso naturale. La sua tesi era che l'Occidente sarebbe giunto alla sua epoca
finale, che corre inesorabilmente incontro alla morte di questo continente culturale, nonostante tutti
i tentativi di scongiurarla. Naturalmente l'Europa può trasmettere i suoi doni ad una cultura nuova
emergente, come è già accaduto nei precedenti declini di una cultura, ma in quanto soggetto essa
ha ormai il suo tempo di vita alle sue spalle. Questa tesi bollata come biologistica ha trovato
appassionati oppositori nel tempo tra le due guerre mondiali specialmente in ambito cattolico; in
maniera impressionante le si è mosso contro anche Arnold Toynbee, certo con postulati che oggi
trovano poco ascolto. Toynbee mette in luce la differenza tra progresso materiale-tecnico da una
parte, e dall'altra progresso reale, che egli definisce come spiritualizzazione. Egli ammette che
l'Occidente – il mondo occidentale – si trova in una crisi, la cui causa egli la vede nel fatto che dalla
religione si è decaduti al culto della tecnica, della nazione, del militarismo. La crisi significa per lui,
ultimamente: secolarismo. Se si conosce la causa della crisi, si può indicare anche la via della
guarigione: deve essere nuovamente introdotto il fattore religioso, di cui fa parte secondo lui
l'eredità religiosa di tutte le culture, ma specialmente quello «che è rimasto del cristianesimo
occidentale». Alla visione biologistica si contrappone qui una visione volontaristica, che punta sulla
forza delle minoranze creative e sulle personalità singole eccezionali. La domanda che si pone è: è
giusta questa diagnosi? E se sì – è in nostro potere introdurre nuovamente il momento

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religioso, in una sintesi di cristianesimo residuale ed eredità religiosa dell'umanità?
Ultimamente la questione tra Spengler e Toynbee rimane aperta, perché noi non possiamo vedere
nel futuro. Ma indipendentemente da ciò si impone il compito di interrogarci su che cosa può
garantire il futuro, e su che cosa è in grado di continuare a far vivere l'interiore identità
dell'Europa attraverso tutte le metamorfosi storiche. O ancora più semplicemente: che cosa
anche oggi e domani promette di donare la dignità umana e un'esistenza conforme ad
essa.” (CFR. http://www.disf.org/Documentazione/50.asp)
Ma il tema è ricorrente, si diceva, nel pensiero del Papa. Nel suo recentissimo viaggio in Repubblica Ceca
si è espresso così durante un’intervista:
D. – Santità, la Repubblica Ceca è un paese molto secolarizzato in cui la Chiesa cattolica è una
minoranza. In tale situazione, come può contribuire la Chiesa effettivamente al bene comune del
paese?
R. – Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo
senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di
valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva ed attuale. La Chiesa
deve attualizzare, essere presente nel dibattito pubblico, nella nostra lotta per un concetto vero di
libertà e di pace.
Così, può contribuire in diversi settori. Direi che il primo è proprio il dialogo intellettuale tra
agnostici e credenti. Ambedue hanno bisogno dell’altro: l’agnostico non può essere contento di
non sapere se Dio esiste o no, ma deve essere in ricerca e sentire la grande eredità della fede; il
cattolico non può accontentarsi di avere la fede, ma deve essere alla ricerca di Dio ancora di più, e
nel dialogo con gli altri ri-imparare Dio in modo più profondo. Questo è il primo livello: il grande
dialogo intellettuale, etico ed umano.
Poi, nel settore educativo, la Chiesa ha molto da fare e da dare, per quanto riguarda la
formazione. In Italia parliamo del problema dell’emergenza educativa. È un problema comune a
tutto l’Occidente: qui la Chiesa deve di nuovo attualizzare, concretizzare, aprire per il futuro la sua
grande eredità.
Un terzo settore è la "Caritas". La Chiesa ha sempre avuto questo come segno della sua
identità: quello di venire in aiuto ai poveri, di essere strumento della carità. La Caritas nella
Repubblica Ceca fa moltissimo nelle diverse comunità, nelle situazioni di bisogno, e offre molto
anche all’umanità sofferente nei diversi continenti, dando così un esempio di responsabilità per gli
altri, di solidarietà internazionale, che è anche condizione della pace. (CFR.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1340228 )
Il richiamo all’impegno nei tre settori del dialogo tra agnostici e credenti, dell’educazione e della carità ci
rimanda ad un altro dei testi fondamentali che illustrano il magistero di questo Papa, la lettera
sull’educazione alla diocesi di Roma, idealmente consegnata a tutti i Salesiani in occasione del Capitolo
Generale 26:
“Cari fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie riflessioni, può essere utile individuare
alcune esigenze comuni di un'autentica educazione. Essa ha bisogno anzitutto di quella vicinanza
e di quella fiducia che nascono dall'amore: penso a quella prima e fondamentale esperienza
dell'amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero
educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i
suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore.
Già in un piccolo bambino c'è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta
nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe dunque una ben povera
educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte
la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella
vita.
Anche la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando di tenere al riparo i più
giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore, rischiamo di far crescere, nonostante le nostre
buone intenzioni, persone fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla
capacità di soffrire, e di soffrire insieme.
Arriviamo così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell'opera educativa: trovare un
giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte
valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati
ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto
l'incontro di due libertà e l'educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man
mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque
accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte

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sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non
vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano”.
La riflessione, dunque, nel pensiero di Papa Ratzinger, intreccia il rapporto tra fede e cultura, tra futuro
dell’Europa ed emergenza educativa . Essa è abbinata al tema della cittadinanza attiva, a cui ci ha
richiamato il recente congresso su Sistema Preventivo e Diritti Umani, e a quello delle minoranze creative
in cui il Papa vede il futuro del cristianesimo in Europa.
Nuovi fenomeni giovanili in Europa
A quanto detto vanno aggiunte le sollecitazioni che provengono dalla nuova realtà dell’immigrazione.
L’Europa sta cambiando volto sotto la spinta di un’ondata migratoria che in Italia si avverte, da qualche
anno, come travolgente.
Tra i nuovi fenomeni nel mondo giovanile uno trai i meno considerati ma, una volta emerso all’attenzione,
uno dei più assillanti per la coscienza della Chiesa è la presenza di giovani che provengono da regioni del
mondo in cui la violenza, la sopraffazione sociale, l’ingiustizia eretta a sistema di oppressione li costringe a
fuggire e a non più tornare: i rifugiati politici sono una sfida importante per i cristiani e in particolare per i
salesiani.
Il confronto, lo scontro e, infine, la convivenza e l’integrazione tra queste realtà giovanili così diverse sono
processi da accompagnare e da educare per il bene comune di tutti e di ciascuno.
Ritornare a don Bosco
Tale fotografia della realtà Europea trova nella storia di don Bosco a Roma un’intuizione dalla quale trarre
ispirazione per essere fedelmente creativi. Fin dalla costruzione della Basilica del Sacro Cuore viene
delineata la chiara identità della casa salesiana di via Marsala: “1° una Chiesa al Castro Pretorio su l monte
Esquilino da consacrarsi al Sacro Cuore di Gesù, che debba pur servire da parrocchia ad una popolazione di
12.000 anime e di un monumento all’immortale Pio IX; 2° un giardino di ricreazione, dove si possano
accogliere fanciulli specialmente nei giorni festivi, trattenerli con piacevoli trastulli dopo che abbiano
adempiuti i loro religiosi doveri; 3°Scuole serali per operai più adulti. Questa clas se di giovani occupata
lungo il giorno in faticosi lavori spesso manca di mezzi per procacciarsi la conveniente istruzione di
cui avrebbe bisogno. 4° Scuole diurne per quei fanciulli, i quali a mot ivo della loro povertà o del loro
abbandono non sono in grado di frequentare le pubbliche scuole; 5° Un ospizio in cui siano istruiti nella
scienza, nelle arti e nei mestieri quei fanciulli che vagano per le vie e per le piazze, a qualunque
paese, città, nazione appartengano. Imperocché molti di costoro si recano in Roma colla fiducia di
trovare lavoro e denaro, ma delusi nelle loro speranze cadono nella miseria, esposti al pericolo di
mal fare, e per conseguenza di essere condotti a popolare le prigioni dello stato” (cfr MB XV, 397). Il
RM don Chavez a proposito della città di Roma nella visita d’insieme alla Regione Italia-Medio Oriente nel
2006 si è espresso in questi termini: “a questo punto vorrei fare un sogno, come don Bosco, e parlarvi
così dandovi delle indicazioni che, pur nel rispetto delle vostre difficoltà, fossero autorevoli e
stimolanti, anche se non vincolanti… all’Ispettoria Romana suggerirei di consolidare il servizio
pastorale agli immigrati presso il Sacro Cuore”. Ancora negli atti del Consiglio Generale n° 385 il RM
esprime alcune linee di futuro per la regione Italia-Medio Oriente al punto 5 riguardante la valorizzazione dei
luoghi salesiani: “Intendo riferirmi direttamente… al “Sacro Cuore” di Roma. Questi luoghi vanno custoditi e
curati con amore non solo dal punto di vista materiale, ma anche per quanto concerne le proposte di
pellegrinaggio, di animazione, di formazione. Essi sono infatti “scuole di spiritualità e cenacolo di preghiera”.
E’questo un patrimonio affidato all’Italia, ma che interessa tutta la realtà mondiale della Congregazione. E’
una ricchezza spirituale non ancora valorizzata appieno. Anche questo impegno si collega a un movimento
di rinnovamento spirituale e pastorale che stiamo più direttamente perseguendo in questi anni“.
Concludendo
Queste riflessioni concretizzano la chiamata di Dio nella necessità di dare vita a CEP:
- in cui sia possibile coltivare una nuova sintesi culturale a partire da una vita esplicitamente centrata su
Dio e sul suo primato e che sappia affrontare il nodo della verità in una cultura relativista e nichilista;
- che sappiano essere minoranze creative per una nuova sintesi tra la fede e la cultura che generi una
forma praticabile di cittadinanza attiva;
- in cui i giovani possano fare esperienza di una vicinanza educativa, che le famiglie non sanno garantire
sempre in modo adeguato;
- in cui i giovani possano fare esperienza di vita disciplinata, orientata dal primato della vita spirituale e
della carità operosa, sostenuta dalla capacità di soffrire insieme per un bene comune, in modo tale da
offrire la possibilità del confronto con un giusto ordine del cuore.

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- che aiutino i giovani italiani a farsi carico della domanda di accoglienza di nuovi fenomeni sociali come
è quello dei giovani rifugiati
Noi salesiani siamo chiamati ad essere, in modo ancor più determinante del passato, in
quanto ne va della nostra stessa identità di educatori, capaci di formare uomini nuovi
dal punto di vista culturale che offrano la vita insieme per il bene della Chiesa e del
mondo mediante l’eredità spirituale del Sistema Preventivo integrandosi con i nuovi
fenomeni della vita sociale in particolare quelli più difficili.
B. La Situazione
I giovani italiani sono quelli che in maggioranza vivono attorno a noi. Rivelano le loro ricchezze e le loro
povertà prevalenti secondo queste linee note alla gran parte degli educatori:
1. Hanno enormi possibilità di accesso alla cultura: il sistema scolastico da circa 50 anni è in grado di
offrire a tutti la possibilità di istruirsi e di inserirsi nella società; l’università è lo sbocco naturale per
molti di loro; i mezzi di comunicazione sociale sono accessibili, senza esclusione, alla grande
maggioranza dei giovani.
Il punto critico è la stessa cultura in cui i giovani vengono generati all’identità personale. Il
disincanto, il relativismo, il prevalere della tecnica, l’assenza di un universo simbolico condiviso,
rendono lo spirito umano infermo e malato in modo cronico. Serve a poco, infatti, poter accedere
alle sorgenti di una cultura ferita in se stessa, in cui l’educazione è ridotta ad istruzione e
l’istruzione è un processo formale che cerca di “far apprendere ad apprendere” ma non riempie
mai la cornice di contenuti: i giovani risultano aggrediti dal vuoto. Essi perdono così la possibilità di
discernere il bene dal male e sono in preda alla assoluta mancanza di una verità che possa aiutarli
a formare una coscienza morale forte, retta, in grado di combattere per il bene. Da questo punto di
vista sono più che abbandonati: si sentono traditi.
2. Vivono nella società più comunicativa della storia. Sono desiderosi di relazioni, sono curiosi verso la
vita e verso il mondo. Hanno slanci profondi di generosità seppure segnati da discontinuità e
fragilità.
La loro fonte di angoscia è il futuro: si spendono con generosità ammirevole inseguendo la
costruzione di un futuro che appare sempre più evanescente privo com’è della prospettiva che solo
la verità e il senso possono offrire. Da più parti questa epoca viene descritta come il tempo a cui il
passato non interessa e il futuro non appartiene; è un tempo di presente continuo in cui, però,
l’identità della persona non può svilupparsi. I giovani si chiudono così sempre più in stessi alla
ricerca di un ubi consistam che li legittimi e che non possono trovare nella loro interiorità
frammentata. S’innesca un circolo vizioso che li rende avulsi dal prossimo, dal bene comune, dal
servizio ai poveri e in definitiva dalla carità. La fuga dall’angoscia esistenziale li porta a cercare di
evitare ogni sofferenza propria e degli altri impedendo così ogni comunicazione profonda con se
stessi e con i fratelli. Pur affacciandosi all’adolescenza con un forte desiderio di relazione si
scoprono presto disillusi e disincantati, diffidenti verso l’altro e socialmente chiusi.
3. Sono stati generati in una cultura attenta più che mai alle ricchezze e ai bisogni di ogni singolo uomo
e di ogni singola donna. La libertà personale, i diritti soggettivi, le aspettative di ognuno sono
esaltati a parole da ogni istituzione ed essi stessi ne fanno un punto forte per la qualità della vita.
Allo stesso tempo, sperimentano la drammatica incapacità delle comunità a cui appartengono, in
primis la famiglia, di sostenere le promesse con cui sono stai invitati alla vita. La debolezza dei
legami primari li rende vulnerabili oltre ogni misura dopo essere stati il centro di smisurate
attenzioni che si rivelano, sul lungo periodo, più simili ad una necessità narcisistica dei genitori che
una reale offerta di vita. Lo stato e i corpi sociali intermedi rivelano la stessa incapacità di
mantenere le promesse che fanno ai nuovi venuti al mondo. In questa situazione è illusorio sperare
nella fioritura di vocazioni in quanto la prima e la fondamentale chiamata, quella alla vita, appare
spesso ai giovani come un impostura.
4. Causa, e allo stesso tempo sintomo di questa situazione, nel peggiore dei circoli viziosi, è la
clamorosa assenza di Dio nelle loro vite. Egli è presente come idea, come opinione, come rifugio
sognato, come sfogo, come tema di dibattito, spesso come anelito sinceramente cercato.
Raramente però viene incontrato nella persona reale di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, Salvatore.
Dalla qual cosa si può evincere la mancanza di un incontro credibile con un’adeguata
testimonianza ecclesiale: magari non tutti, ma molti giovani quando incontrano personalità che

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propongono un’umanità riuscita, come solo Gesù può costruire, si lascia “convocare” a qualsiasi
avventura.
5. Il desiderio di cambiare le cose che non vanno resta spesso frustrato per tante delle cause che
abbiamo descritto sopra. Eppure è proprio della giovinezza portare nel profondo del cuore il
desiderio di contribuire alla realizzazione della giustizia e della bellezza del mondo. I giovani
europei e italiani in specie richiedono a gran voce la possibilità di sperare che sia possibile vivere
in un altro modo, reclamano un’alternativa al nichilismo e al cinismo dominanti. Aspettano la
possibilità di divenire cittadini protagonisti della costruzione di un mondo migliore.
La via per la costruzione di una comunità sociale più bella è però intralciata dalla debolezza
intrinseca di personalità che non hanno alle spalle esperienze comunitarie riuscite. Sono giovani
attaccati e a volte consumati dall’individualismo culturale, sociale ed economico.
I giovani immigrati sono ormai una realtà di cui non si può tenere conto soprattutto in alcune zone delle
città più grandi dove giungono ad essere un terzo delle presenze complessive dei giovani sotto i trenta anni.
Tra questi c’è una categoria, quella dei rifugiati e richiedenti asilo che appare più fragile, per alcuni versi e
più ricca per altri. Vediamo un breve descrizione della situazione.
6. In Italia i rifugiati sono circa 50.000 e il fenomeno degli ingressi è in aumento verticale: da 14.000
domande nel 2007 a 31.000 domande nel 2008. Essi sono costretti a fuggire da persecuzioni e lo
status concesso dal diritto internazionale non permette loro di rientrare nel paese da cui fuggono.
Oltre l’80% di essi ha subito tortura o trattamenti disumani e degradanti o svariate forme di
violenza nel paese di provenienza o durante il viaggio migratorio.
7. Questi giovani sono per lo più maggiori di 18 anni e sono tagliati fuori da percorsi di integrazione
scolastica che possono favorire il percorso di altri tipi di giovani immigrati o figli di immigrati. Anche
i percorsi di inserimento nel mondo del lavoro sono ostacolati dalla mancanza di qualifiche
adeguate e da percorsi per conseguirle.
8. D’altro canto essi portano con se stessi risorse morali, spirituali, culturali notevoli: sono giovani che
hanno lottato consapevolmente per sopravvivere e hanno molto da insegnare ai loro coetanei
italiani che, al contrario, spesso soffrono proprio del male contrario: avere a propria disposizione la
vita ma non conoscere il pericolo di perderla.
I Salesiani desiderano essere vicini ai giovani, desiderano vivere l’ardore apostolico che ha contraddistinto
don Bosco, desiderano poter portare i giovani ad una esperienza reale di salvezza. In questo i salesiani
sono degli figli del loro fondatore.
9. Come mostra il CG26, però, la passione apostolica ha perso efficacia e fecondità. In particolare
sembra che in Europa si stia perdendo la capacità di giungere al centro del cuore dei giovani che
non si lasciano più convocare dai salesiani come don Bosco ebbe la grazia di riuscire a fare con i
suoi cofondatori.
10. I nostri progetti pastorali risultano spesso dei buoni servizi sociali giustamente lodati ed apprezzati
ma lasciano che il cuore dei giovani prenda forma altrove rispetto al luogo che gli è proprio cioè
accanto al cuore di Gesù. Incontriamo i giovani nelle situazioni che sembrano per loro meno
centrali per il futuro della loro vita. Rischiamo la marginalità culturale ed educativa
11.I nostri ambienti sono a volte luoghi che si rivolgono alla massa dei giovani e non riescono a
stringere su un nucleo di giovani pronto a dare di più, fino a consegnare la vita, per l’ambiente
stesso: l’oratorio di don Bosco non era così.
C. Linee di Azione
Obiettivo principale da perseguire
Fare di Roma - Sacro Cuore una comunità salesiana che media la guarigione
delle ferite affettive morali e spirituali dei giovani italiani indeboliti da una cultura
nichilista e dei giovani immigrati colpiti dalla violenza dell’oppressione operata dall’
incontro con il Sacro Cuore di Gesù e favorire così l’impegno apostolico di tali
giovani verso i loro coetanei.
Mentalità da convertire
Passare da una pastorale centrata sul tempo libero come svago, come attività e
impegni accessori rispetto al cuore della vita del giovane e da una pastorale
centrata sui bisogni sociali dei giovani (scuola, formazione professionale o
residenza universitaria) ma staccata dalla vita cristiana ad una pastorale che offra

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ai giovani l’esperienza di vita comunitaria come forma riuscita di vita cristiana fatta
di fede condivisa, cultura proposta al mondo e carità sperimentata insieme.
Passare da progetti in cui si dà per scontato che ci si rivolga a tutti in modo
generico o da progetti in cui ci si rivolge a poche e troppo determinate persone a
progetti in cui sia messo al centro il potenziale di cambiamento intrinseco ad
un’esperienza di minoranza creativa che genera il nuovo per il bene di tutti, in
modo coinvolgente, capace di mostrare il differenziale qualitativo del cristianesimo
per la vita personale e sociale, consapevole di essere una delle proposte di una
società pluralistica in cui è forte la competizione tra diverse antropologie.
In questa situazione e seguendo la chiamata di Dio ci sembra di poter descrivere una buona strategia
di azione secondo i punti seguenti:
1. Tornare all’esperienza primigenia di don Bosco che all’Oratorio festivo di san Francesco di Sales
affianca ben presto una Casa annessa all’Oratorio in cui ospita i giovani, vive con loro, li forma alla
vita cristiana, li coinvolge nella sua missione. Il frutto maturo di questa esperienza è la santità di
Domenico Savio.
2. Individuare un luogo adatto per un progetto sperimentale che aggiorni quell’esperienza e la renda
valida per l’Europa di oggi. Serve che esso sia un luogo di vita per alcuni, un punto di riferimento
spirituale per altri, un centro a cui accostarsi alla Chiesa per molti di più.
3. Formare una comunità adeguata a gestire i processi di incontro tra la ricchezza della vita cristiana
vissuta in comunità e accompagnata dalla buona testimonianza della famiglia, tra la povertà
culturale, morale/affettiva e spirituale di molti giovani in prevalenza italiani universitari e tra la povertà
materiale e sociale di molti giovani immigrati in particolare dei rifugiati, per il bene comune di tutti e di
ciascuno.
4. Offrire a tutta la congregazione un’esperienza pratica su cui riflettere comunitariamente per
individuare nuove linee di evangelizzazione e di educazione che partano dalla testimonianza di una
comunità evangelizzata, che condivide la propria vita con i giovani, li coinvolge nella missione,
avvicina i più poveri e rende partecipi nuclei famigliari nella gestione delle dinamiche arricchendosi
della loro testimonianza peculiare.
Per il punto 1 aggiungiamo queste valutazioni fugaci ma non peregrine. La Casa annessa all’oratorio di
San Francesco di Sales costituisce un salto di qualità nel progetto educativo educativo di don Bosco in
quanto in quel momento, con l’arrivo di mamma Margherita, con la preoccupazione per la vita quotidiana dei
giovani, con una risposta integrale ai bisogni dei giovani che incontrava don Bosco ha portato a compimento
l’ispirazione del Sistema Preventivo: dare una famiglia a chi aveva bisogno di una famiglia per diventare
pienamente figlio di Dio, concittadino dei santi. Domenico Savio (che qui citiamo a nome di tanti altri giovani)
giunse a confermare la bontà dell’ispirazione: una casa in cui i giovani potessero formare se stessi
occupandosi di molti fratelli, studiando e facendo una buona vita di preghiera e sacramentale era quello che
il Signore voleva da don Bosco.
Questa esperienza è confermata dallo straordinario successo che la Congregazione Salesiana ha avuto in
ogni parte del mondo nel momento in cui si è messa a disposizione delle reali esigenze di vita dei giovani a
lei affidati offrendo loro una casa in cui vivere. I collegi che hanno fatto la fortuna dei salesiani nel mondo
non sono un’esperienza da consegnare al museo. Essi piuttosto vanno studiati come una delle forme in cui il
carisma salesiano ha saputo realizzare compiutamente la sua missione.
In un’epoca, inoltre, in cui i nostri giovani stentano a vivere un’esperienza di vita comune segnata dalla
qualità della vita cristiana a causa della crescente secolarizzazione della vita delle famiglie europee appare
del tutto appropriata la proposta di pensare forme di vita comune tra salesiani e giovani, seppur ridotte nel
tempo (visto che l’esigenza sociale è mutata rispetto ai tempi dei collegi), intense e significative per la
crescita e la maturazione di un giovane.
Per il punto 2 individuiamo la casa di Roma – Sacro Cuore per i seguenti motivi:
a. Il Sacro Cuore nasce come Ospizio per i giovani. Risulta essere l’ideale per tornare ad ospitare i
giovani in casa nostra.
b. L’Ospizio è nato intorno al Santuario. Quale occasione migliore per cercare di rimettere i giovani al
centro del sacro Cuore di Gesù e, viceversa, rimettere il Sacro Cuore al centro della vita dei giovani?
L’analisi della situazione illustra come le povertà dei giovani siano dovute alla difficoltà di ricevere e
di dare amore. La povertà morale è spesso il riflesso di una devastazione affettiva a cui la tenera
misericordia del Sacro Cuore di Gesù, mediata da una comunità ad essa ispirata, può porre rimedio.

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c. Il Santuario può diventare centro di irradiazione di una spiritualità giovanile concretamente vissuta
nella comunità. Allo stesso tempo esso può fungere da centro di riferimento per altri giovani che
possono trovare una comunità che prega, celebra e vive la liturgia a partire da una comunità di vita.
d. Il Santuario è già da tempo un punto di riferimento per le celebrazioni del MGS del Lazio che
possono essere ravvivate dalla presenza di una comunità sul tipo di quella che stiamo descrivendo.
e. La zona circostante è ricca di presenza giovanile dovuta alla vicina Università. Molti sono i giovani
che giungono a Roma per studiare e restano privi dei tradizionali punti di riferimento ecclesiale.
Molti di più sono i giovani che frequentano l’Università privi di qualsiasi forma di educazione del
cuore.
f. La stazione è un punto di riferimento costante per i giovani immigrati in cerca di prospettive. Tra
questi ultimi i più fragili sembrano essere i rifugiati politici.
g. La presenza nella zona di altri organismi ecclesiali rende agevole la partecipazione al Progetto di
altri soggetti. In particolare si punta sulla Comunità locale delle MCR e sulla collaborazione con il
Centro Astalli dei Gesuiti, sulla collaborazione con la Pastorale Universitaria della Diocesi di Roma.
h. La presenza della Parrocchia favorisce il coinvolgimento di realtà familiari in grado di testimoniare
una sana vita cristiana centrata sulla solidità e sulla purezza degli affetti. Questo punto della
maturazione dei giovani è il più delicato oggi: la grammatica del cuore è squassata dal materialismo
e dal corrispettivo spiritualismo dominanti.
i. La zona, pastoralmente, è povera di iniziative significative a vantaggio dei giovani: la presenza di
numerosi esercizi commerciali e di uffici ha messo in crisi la pastorale tradizionale basata sulla
parrocchia e sull’oratorio parrocchiale.
Per il punto 3 pensiamo ad una comunità così strutturata:
a. Non la classica comunità di accoglienza per giovani in difficoltà: comunità per minori, comunità per
tossicodipendenti, comunità per giovani immigrati.
b. Si pensa ad una comunità di vita in cui religiosi e giovani universitari maschi condividano vitto,
alloggio, preghiera e missione seppure in modo adeguato al loro stato di vita. Per dare la possibilità
di maturare percorsi che siano vere e proprie proposte di vita di fede, di educazione della coscienza
morale, di educazione all’amore e di educazione del valore sociale della carità.
c. La comunità ha un ruolo centrale nell’animazione del Santuario per offrire ai giovani un punto di
riferimento spirituale.
d. La comunità avrà il compito di studiare modalità adeguate per avvicinare gli universitari e i rifugiati,
tentare con loro un percorso di integrazione reciproca e costruire un luogo in cui le ricchezze di
ciascuno diventino le ricchezze di tutti e le povertà di ciascuno siano le povertà di tutti.
e. La comunità è affiancata da una comunità simile di consacrate Missionarie di Cristo Risorto che
accompagnano il progetto pastorale con i rifugiati.
f. Il centro del lavoro con i rifugiati non sarebbe un semplice sportello informativo ma in collegamento
con il Centro Astalli fungerebbe da centro di coordinamento e orientamento sia a percorsi di
formazione professionale (già presenti sul territorio o creati appositamente nelle strutture dei CFP
del Borgo Don Bosco, Gerini, Pio XI) sia di inserimento sociale (attraverso il gioco, il teatro e la
musica) e lavorativo (contatto con le aziende del territorio), sia di evangelizzazione (pensata fin
dall’inizio attraverso un percorso graduale di conoscenza e di annuncio di Gesù attraverso don
Bosco).
g. La comunità è affiancata da alcune famiglie che intendono consolidare la loro testimonianza cristiana
in particolare di fronte ai giovani destinatari del progetto.
Per il punto 4 proponiamo questo processo di riflessione:
a. La novità pastorale da realizzare e da verificare consiste nel tornare a vivere con i giovani per
portarli ad incontrare i loro coetanei in un impegno apostolico serio, che attui un tentativo di
rinnovamento del sistema preventivo secondo la forma dei diritti umani.
b. La presenza della comunità ispettoriale nella stessa opera facilita il monitoraggio da parte del
Delegato di PG, del Delegato per l’AM e dell’Incaricato dell’AV per garantire una verifica organica del
progetto.
c. Ciò che verrà considerato qualificante sarà proprio la capacità di questa comunità di generare
adesione attorno a sé: di convocare giovani che vogliono impegnarsi, che chiedono di vivere in
comunità; che si avvicinano al Santuario; di avvicinare benefattori; di generare interazioni positive tra
italiani e immigrati; di suscitare un movimento di famiglie che si sentano partecipi del processo.

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d. Occorrerà verificare se progetti di pastorale che partano da una comunità evangelizzata in cui i
giovani vivono con i salesiani per evangelizzare secondo il Sistema Preventivo siano capaci di
generare una rivitalizzazione endogena del carisma in Europa.
Cosa si chiede alla commissione per il PE
La prima richiesta: questo modo di progettare è un contributo reale al Progetto Europa?
La seconda richiesta: personale salesiano (due confratelli) capaci di mediazione culturale tra i giovani
italiani e i giovani immigrati che sono per lo più africani (Eritrea, Sudan, Etiopia, Somalia) e asiatici
(soprattutto Filippine).