Consulta 2010 Missio ad gentes

Consulta Missioni 2010-6 MOR- Vittorio Pozzo



Contributo di riflessione





  1. Quando la missione è tutto, perché dare importanza alla missio ad gentes?


Se la missione ingloba tutto, la missio ad gentes ne fa senz’altro parte, ma come elemento qualificante, dell’evangelizzazione, perchè è essa che qualifica la missione della Chiesa. Come tale, può e deve avere un trattamento speciale, anche in Congregazione.

Se è vero che la missio ad gentes non è stata una sua dimensione originaria al momento della fondazione (1859), lo è certamente diventata per esplicita volontà del Fondatore pochi anni dopo, indipendentemente dal fatto cle le prime opere in America Latina fossero modellate sui collegi esistenti in Italia e non opere missionarie in senso stretto. I sogni missionari di DB e l’interesse crescente per gli indios resero l’impegno missionario salesiano un elemento specifico della missione salesiana e parte integrante della sua essenza, ben prima della morte del Fondatore. A questo titolo, la missio ad gentes entrò nella Costituzioni come uno dei “fini” della Congregazione e tale rimase. Non si spiegherebbe diversamente l’importanza e lo sviluppo che ebbero le “missioni” nella storia della Congregazione.


Se il potenziamento della sinergia tra i tre dicasteri della missione salesiana (PC, Missioni, CS) è auspicabile, è evidente che ognuno di essi, nell’ambito dell’unica missione salesiana, ha un suo campo specifico, o almeno modalità distinte di applicazione, per cui una loro integrazione o fusione in un unico dicastero, sarebbe a scapito della specificità di ognuno e a soffrirne di più sarebbe proprio il Dicastero delle Missioni. Lo dimostrano i tentativi passati di sopprimerlo per ridurlo a un semplice Segretariato, suscitando lamentele, soprattutto da parte dei missionari, e portando a un indebolimento dello slancio missionario che invece si vorrebbe far crescere.

Sul piano pratico, salve le competenze in merito del Capitolo Generale, il tema va illustrato in tutti i suoi risvolti agli Ispettori e ai loro Consigli, nonché, in modo speciale, alle ispettorie missionarie e ai “missionari’ che si trovano in prima linea. E ciò va fatto non all’ultimo momento (eventualmente nella fese preparatoria al prossimo CG), ma ben prima, per permettere una riflessione calma e motivata.



  1. La missio ad gentes come lavoro tra i piccoli gruppi etnici (indigeni) non è molto gratificante?


Da quello che si stente dire dai protagonisti, sembra che sia proprio così, almeno nel senso che questo lavoro coinvolge tutta la persona, nonostante le numerose difficoltà di vario genere che si devono affrontare... Ci si attacca a quel tipo di missione al punto da rendere difficile il rientro in comunità “normali” e la ripresa di una vita salesiana che sembra troppo diversa e lontana da ciò che si è vissuto o si sta vivendo. Del resto, non tutti sono fatti per essere in prima linea. Un esercito ha bisogno pure delle retrovie, meno appariscenti, ma non meno importanti per il successo di un’operazione bellica portata avanti dai più valorosi e coraggiosi. C’è pure il pericolo di mortificare uno slancio che non tutti hanno o possono avere. L’equilibrio sta nel conciliare la valorizzazione delle potenzialità du questi confratelli, (a volte veramente eccezionali, ma a volte pure con tendenze all’individualismo e con problemi relazionali), con le esigenze dell’obbedienza e della disciplina religiosa, nell’ambito di un progetto ispettoriale.

Nel discernimento delle motivazioni di una vocazione “missionaria” mi sembra essenziale valutare la disponibilità “generica” all’invio, indipendentemente dalla destinazione finale, pur tenendo conto di tendenze o preferenze personali. Perchè non si ripetano casi segnalati di confratelli che condizionavano la loro partenza per le missioni al non essere destinati a scuole o collegi...Ad es.:.l’ispettoria del MOR, per la sua particolare configurazione e per le scuole italiane che gestiva e tuttora gestisce in Egitto, non era riconosciuta come ispettoria missionaria neppure da alcuni membri del Consiglio Generale e, come tale, non era attraente per chi si mostrava disponibile per una vita missionaria in senso stretto (evangelizzare e battezzare...), ma sottovalutava il ruolo della presenza, di comunione e di testimonianza, che sono quasi le uniche forme praticabili in quest’area. Del resto il papa, nella sua recente visita a Cipro, e l’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo sui cristiani nel MOR, ricordano esplicitamente questo ruolo essenziale della missione della Chiesa e di tutte le sue componenti (clero, religiosi/e e laici) nella congiuntura specifica del MOR.




  1. Criteri per una “ispettoria missionaria”.


Se in passato era più facile designare un’ispettoria come missionaria a partire dal tipo di opere che la componevano, soprattutto se orientate in buona parte alla prima evangelizxzazione, oggi, in paesi multietnici, multiculturali e plurireligiosi, ogni ispettoria salesiana può essere o può diventare missionaria in senso stretto, dove è il concetto di “missionarietà” ad essere evoluto ed assumere una nuova valenza. Infatti oggi, in molti paesi (europei e alcuni altri), per essere missionari, non occorre sognare le “missioni tra popolazioni non cristiane”. I non cristiani (in senso stretto, e non quelli che non sono più cristiani) ce li abbiamo in casa in numero crescente senza bisogno di andarli a cercare lontano e si fa poco o nulla per la loro evangelizzazione..

In che misura la loro presenza ci interpella? Oppure preferiamo ignorarli? Ad essi il loro mondo, a noi il nostro! Senza dimenticare che in Europa, ad es., si p parlare apertamente con un musulmano di Gesù, senza temere minacce o rappresaglie, mentre non lo si può fare in Medio Oriente... I confratelli conoscono ed apprezzano questa opportunità unica? E che volontà c’è di sfruttarla?

Ciò non toglie che un’ispettoria possa dirsi missionaria in senso stretto quando si trova in paesi a maggioranza non cristiana, quando ha tra i suoi destinatari un numero rilevante di non cristiani, quando gestisce territori od opere specifiche di prima evangelizzazione, ecc.

Tuttavia, il più importante rimane la coscienza, già acquisita o da acquisire, da parte dei confratelli di sentirsi missionari. Senza questo processo personale di interiorizzazione, la missionarietà di un’ispettoria rimane di pura facciata.




  1. Cosa significa ‘essere missionario salesiano’ oggi?


  1. Essere anzitutto un salesiano autentico, degno figlio di Don Bosco, nutrito della sua spiritualità, portatore del suo carisma nalla vita e nell’azione missionaria;

  2. Lo specifico dell’identità e della missione salesiana devono quindi formare anche lo specifico della sua identità missionaria. I principi generali della missione e della missionarietà devono quindi essere filtrati e arricchiti dalla sensibilità salesiana.

  3. Concretamente si tratta di vivere ed applicare il Sistema Preventivo nell’azione missionaria, valorizzandone ed incarnandone i tre pilastri (ragione, religione, amorevolezza) secondo il contesto e le circostanze. La storia dimostra che il sistema di Don Bosco funziona nelle varie culture ed anche con le religioni non cristiane (cf Juvenum patris, 11). Se lo è stato in passato, nei vari contesti, perché non lo può essere oggi, tenendo conto delle mutate circostanze e della nuova visione delle “missioni” e della pastorale missionaria? Non necessariamente l’essere “missionari salesiani” garantisce la “conversione”, soprattutto in certi ambienti, ma certamente facilita l’approccio umano, premessa indispensabile ai passi ulteriori che dipendono dal tempo di Dio e non dal tempo e dalla pianificazione dell’uomo.




  1. La missionarietà negli ambienti inter-religiosi (MOR) solleva la “missio inter gentes”.


Non mi risulta chiara la comprensione di che cosa si intenda dire, sia in relazione alla situazione del MOR, sia con il termine “missio inter gentes”, per cui mi è impossibile abbozzare una riflessione.in merito.




  1. Sono io un missionario (ad gentes)? La relazione tra la vocazione missionaria ad gentes e la “missionarietà” di tutti i Salesiani del mondo (tutti in stato di missione, tutti siamo missionari dei giovani)?


Alcuni elementi di risposta si trovano già sopra (n. 4). Pur tenendo conto del fatto che ogni salesiano è “missionario” dei giovani, si tratta di una terminologia moderna, postconciliare, legata alla vocazione e all’identità missionaria della Chiesa ed alla sua presa di coscienza di questa realtà che era sempre presente, ma che è stata in qualche modo riscoperta ed esplicitata in modo formale solo in tempi recenti.

La “missionarietà” di tutti i Salesiani non è quindi da confondere con la “missio ad gentes”. Come spiegare infatti che Don Bosco abbia formulato e consegnato dei ricordi specifici ai missionari, anche se la maggior parte di questi ricordi si può benissimo praticare in un contesto non strettamente missionario? Solo a chi partiva missionario Don Bosco raccomanda “la cura degli ammalati (...), dei vecchi e dei poveri...”., consiglio che non riguarda certamente la missione salesiana ordinaria a favore della gioventù. Ed anche l’ultimo consiglio: “Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo” richiama chiaramente le parole e l’esperienza missionaria di san Paolo, “apostolo delle genti” per eccellenza

Inoltre, in relazione alla “missio ad gentes”, la missionarietà dei confratelli può essere sintetizzata nella “comunione” profonda di intenti, di preghiere e di sostegno con chi opera in prima linea (nel senso dell’autentica missionarietà di santa Teresa del Bambino Gesù, patrona delle missioni, e sull’esempio di tanti confratelli che non sono mai andati in “missione”, ma che hanno fatto tanto, anzi sono vissuti per le missioni). Infatti, se la “comunione” è l’essenza della Chiesa, la comunione con chi opera in prima linea è il cuore dell’adesione alla sua vita ed alla sua missione. E’ insomma una questione di mistica, più che di terminologia.








  1. Necessità di chairire la terminologia per i confratelli.


Le risposte precedenti offrono, a mio parere, alcuni elementi che, uniti a quelli che emergeranno dalle risposte degli altri membri della Consulta, potranno contribuire a precisare meglio la terminologia per i confratelli.L’importante, mi pare, è offrire motivazioni di fede, senza le quali ri resta sul piano intellettuale ed accademico.




  1. Identità del Dicastero


Le risposte precedenti possono pure contribuire a precisare questa identità.

    • Se la “missio ad gentes” è per eccellenza la forma specifica dell’evangelizzazione, l’esistenza di un dicastero ad hoc in una Congregazione che intende “evangelizzare educando ed educare evangelizzando”, non può e non deve emarginare questo aspetto specifico. Per cui l’animazione misisonaria salesiana dovrebbe avere un duplice obiettivo, parallelo e concomitante: far crescere la passione per il Regno e lo zelo missionario (evangelizzazione in genere), insieme allo stimolo costante per la “missio ad gentes” che favorisce la nascita e la crescita di vocazioni missionarie. (Mi ricordo il ruolo determinante del passaggio di missionari negli aspirantati dove seminavano entusiasmo). La “missio ad gentes” rientra quindi sempre nel discorso dell’evangelizzazione (missionari dei giovani), ma come aspetto specifico e, direi, “punta di diamante” della missione salesiana. Per coscientizzare i Salesiani, questo aspetto andrebbe curato fin dalla formazione iniziale in modo esplicito per creare una mentalità missionaria che, sola, può stimolare la scelta della “missio ad gentes”, come approfondimento e modo di vivere la vocazione salesiana. . Ovviamente con un adeguato curricolo formativo.

    • A tal fine, mi pare importante che il Dicastero faccia una verifica dei contenuti della Ratio sul punto specifico “missione e missioni”. Che prospettiva offre la Ratio nelle varie fasi della formazione? Traduce in modo adeguato l’importanza e la specificità della “missio ad gentes”, oppure, essendo per tutta la Congregazione, non approfondisce questo aspetto, lasciandolo al Direttorio ispettoriale della formazione? E l’inculturazione di cui parla è generica oppure mirata, con accenni specifici all’inculturazione richiesta per affrontare la “missio ad gentes”?

    • Nel ruolo specifico del Dicastero rientra quindi il mantenere viva in tutta la Congregazione la fiamma missionaria, senza la quale non nasceranno vocazioni “missionarie”.

    • La Congregazione dovrà forse precisare meglio, con motivazioni aggiornate e convincenti, la sua politica “missionaria”, frutto maturo di un’identità missionaria più chiara per tutti.


28.06.2010

don Vittorio Pozzo (MOR, Libano)





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