Harambèe 2010 Venite vedrete

Harambée 2010

Torino - Teatro di Valdocco - 26 settembre 2010

Discorso del Rettor Maggiore dei Salesiani

don Pascual Chávez Villanueva


Venite e Vedrete”




Buon giorno!


Sono molto lieto che la Madre Superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Yvonne, ci accompagni già da ieri nell’Harambée e che sia presente anche a questo dialogo con i giovani che hanno fatto diverse esperienze di volontariato missionario. Con lei sono qui presenti anche la Consigliere suor Chiara, che sta facendo la visita straordinaria a questa Ispettoria, e l’Ispettrice, Sr Angela Schiavi. Stanno pure presenti quasi tutti gli Ispettori dell’Italia e Medio Oriente, più l’Ispettore del Belgio e Olanda padre Josef Claes, e padre Rudolf Osanger, Ispettore dell’Austria. La loro presenza è importante, perché se è vero che questi ultimi due Ispettori accoglieranno nella loro Ispettoria dei missionari che formano parte del “Progetto Europa”, è anche vero che in passato le Ispettorie del Belgio e dell’Olanda, sono state molto generose nell’invio di missionari. Ancora oggi potete trovare confratelli belgi e olandesi in molte parti del mondo. Ora però è il momento di ricambiare quanto hanno fatto nel passato ricevendo missionari.

Ringrazio tutti voi per essere qui.


Oggi è una giornata splendida, e non solo dal punto di vista climatico, perché invieremo in missione 45 SDB – alcuni dei quali si trovano già nella loro missione ed altri non sono riusciti ad arrivare per la mancanza del visto -, 7 FMA e 20 volontari. È un gruppo veramente consistente di persone che si offriranno totalmente al Signore, per collaborare con lui nella costruzione del suo Regno.


Questa mattina io vorrei presentarvi un anticipo della Strenna del 2011, “Venite e Vedrete”, argomento che voi avete scelto come tema di questo Harambée.

L’anno scorso avevo chiesto a tutta la Congregazione salesiana e a tutta la Famiglia Salesiana di assumere come il compito più importante ed essenziale l’evangelizzazione, portando Cristo ai giovani. Dicevo allora che non c’è dubbio che esiste una grande tentazione nel nostro servizio, davanti alla immane povertà che c’è in alcune zone del mondo e di cui abbiamo appena visto alcune immagini, di impegnarci soltanto sui problemi sociali. Senza dubbio dobbiamo fare anche questo, perché oggi l’evangelizzazione è inseparabile dalla promozione umana, ma se facessimo solo questo non staremmo adempiendo quanto il Signore ci ha domandato di fare, cioè di essere suoi testimoni fino ai confini del mondo “annunciando la Buona Novella e battezzando nel nome di Gesù”. Perciò era per importante dire alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana che dobbiamo sì impegnarci seriamente nel campo della promozione umana e della trasformazione sociale, ma che dobbiamo dare all’evangelizzazione, all’annuncio esplicito di Gesù e del suo vangelo, il primato che le corrisponde.


Dopo aver invitato a fare vostra l’urgenza di evangelizzare, oggi vi invito ad aiutare i giovani a maturare progetti di vita. Evangelizzazione e vocazione sono due elementi inseparabili, anzi, vi posso dire che l’evangelizzazione è autentica quando riesce a far maturare progetti di vita evangelica, di vocazione anche alla vita consacrata e sacerdotale. Si deve diffidare dunque che l’evangelizzazione abbia toccato il cuore delle persone, abbia creato una rivoluzione culturale nella mente tale da sconvolgere le gerarchie di valori che abbiamo dentro, se queste non scoprono il proprio luogo nella Chiesa e nella società come testimoni di Gesù.


A modo di esempio, vi racconto che il giorno dopo il devastante terremoto di Haiti, ricevetti una e-mail di una coppia di volontari che dicevano che potevo contare su di loro immediatamente e che erano disponibili a partire per Haiti il giorno dopo, se lo avessi ritenuto necessario: entrambi avvocati, tutti e due erano disposti a lasciare lo Studio e il lavoro immediatamente, in un momento in cui tutti cercano un lavoro. Questo vuol dire che ci troviamo davanti a persone evangelizzate, che non esitano a mettere in secondo posto i propri interessi pur di rendere presente il Signore Gesù. La cosa più importante è che si domandavano nel profondo del cuore cosa voleva Dio da loro.


Tornando al tema, risulta interessante vedere come tutti e quattro gli evangelisti concordano sul fatto che appena Gesù cominciò a predicare iniziò anche a chiamare a sé: e così dobbiamo fare noi, altrimenti non siamo fedeli a quanto Gesù chiedeva. Si tratta di aiutare le persone a fare esperienza di Gesù in un rapporto personale e di amicizia, capace di riempire il cuore e di trasformare la vita. E questo, particolarmente nell’Europa d’oggi, ricca e con un alto sviluppo, diventa sempre più difficile: in effetti, a molti diventa veramente arduo capire che si possa consegnare tutta la vita al servizio degli altri. Ebbene, io vorrei invitarvi a testimoniare e proporre agli altri la gioia che ci viene dalla vita in Cristo e nel dare la vita per Cristo.


Vi propongo allora tre piccole riflessioni.


1. Tornare a don Bosco

Mi fa piacere che ogni spedizione missionaria parta dal luogo dove don Bosco ha inviato la prima spedizione missionaria nel 1875, luogo da cui continua ad espandersi in tutti i Continenti la sua opera, ora presente già in 132 Paesi. Radunarci qui a Valdocco significa un invito a conoscere e assumere la sua esperienza di vita e gli atteggiamenti che egli assunse e che lo aiutarono a fare della Congregazione SDB e dell’Istituto FMA due Congregazioni missionarie, anche se ufficialmente dalla Santa Sede non siamo riconosciuti come Istituti missionari. Ma don Bosco ci ha voluto così, con una grande spinta missionaria-vocazionale.


Voi sapete che Don Bosco visse in un ambiente poco favorevole alle vocazioni ecclesiastiche e religiose, in un momento di grande dissenso verso la Chiesa – simile a quello che stiamo vivendo anche oggi - dove la libertà di culto e l’attiva propaganda protestante disorientavano il popolo semplice presentandogli una immagine negativa della Chiesa - come sta accadendo anche oggi.


Da questo punto di vista, sono rimasto impressionato da quanto Benedetto XVI ha detto una settimana fa alla Westminster Hall, nella sua visita a Gran Bretagna, davanti a tutta la créme sociale e politica dell’Inghilterra, da Margaret Thatcher all’ultimo Primo Ministro Gordon Brown, quando ha parlato del ruolo pubblico della fede. La religione non è un tema da discutere dai politici, ma un prezioso contributo da valorizzare per lo sviluppo e la trasformazione dell società civile!


Oggi potremo apprezzare questo quando ascolteremo la prima lettura, del profeta Amos, e il brano del vangelo di Luca, che parla del ricco epulone e del povero Lazzaro. Essi sono un’immagine microcosmica della grande tragedia macrocosmica che stiamo vivendo. Quando leggo che i 400 uomini più ricchi degli USA possiedono da soli una fortuna che supera i 1.000 miliardi di dollari… Tutto ciò mentre ci sono milioni di persone che vivono con meno di 1 dollaro al giorno?


È appena terminato all’ONU il vertice dei Presidenti e dei Primi Ministri in cui è stato riconosciuto un grave ritardo nel conseguimento entro il 2015 degli obiettivi del millennio - dimezzare la povertà, sconfiggere le malattie, dare educazione a tutti… - e gli Stati si sono impegnati a dare 40 miliardi di euro. Il Segretario dell’ONU ha detto: «Speriamo che siate di parola e adempirete i vostri impegni». È molto facile promettere: dopo gli Stati non mantengono! Andate oggi a vedere Haiti: cosa è accaduto ad Haiti dopo tante promesse di una rapida e totale ricostruzione? Sapete quanto spende uno dei paesi di Europa in armamenti ogni anno? Quarantacinque miliardi di euro: più di quanto tutti gli Stati in questo vertice all’ONU hanno deciso di offrire per abbattere la povertà…


Alla luce di questi fatti ditemi se non è che il vangelo ha una parola da dire e, soprattutto, una grande energia per convertire la mente, trasformare il cuore ed umanizzare la società. A ragione il Santo Padre ha ribadito che non si può continuare a sostenere che la religione è una cosa valida “ad usum personale”: essa invece ha un ruolo sociale, un ruolo nella vita pubblica.


Don Bosco ha vissuto in un periodo ugualmente sfidante come il nostro, ma in quel contesto antireligioso ed antiecclesiale don Bosco non si scoraggiò.


Adesso invece sembra che noi siamo incapaci di aiutare i ragazzi a capire che la vita è vocazione. Allora Don Bosco cercava di scoprire i segni di vocazione in tutti i giovani che incontrava. Sapete quanti ne ha inviati da questo oratorio nei seminari? Duemila ragazzi! Duemila! In un ambiente che era completamente avverso alle vocazioni ecclesiastiche. Don Bosco metteva i ragazzi alla prova e soprattutto accompagnava il loro cammino di crescita. Don Bosco aiutava a maturare vocazioni perché era un collaboratore di Dio, collaborava al dono della grazia di Dio.


Cosa dobbiamo dunque fare noi per aiutare i giovani a maturare progetti di vita apostolica? Primo elemento: don Bosco creava un ambiente in cui la proposta vocazionale poteva essere favorevolmente accolta e perciò arrivare a maturazione. Don Bosco era capace di creare una vera cultura vocazionale in mezzo ai giovani: un clima familiare che favoriva la “larghezza del cuore” e l’essere disposto a sacrificare i propri progetti, i propri interessi per diventare un collaboratore di Dio. Che cosa faceva don Bosco per creare un ambiente così tanto stimolante? Offriva un ambiente spirituale alimentato da una semplice ma costante pietà sacramentale, la devozione a Maria, l’apostolato tra i compagni… E tutto questo vissuto con grande entusiasmo e disponibilità. Vogliamo aiutare i nostri giovani a maturare vocazioni? Dobbiamo creare ambienti dove la vocazione possa crescere.


Il secondo elemento che don Bosco attuava era l’accompagnamento spirituale. La sua azione si modulava a seconda che si trattasse di giovani, di adulti, di aspiranti alla vita ecclesiastica o alla vita religiosa o semplicemente ad essere buoni cristiani e onesti cittadini. Don Bosco era un direttore spirituale: oggi siamo chiamati a diventare direttori spirituali, guide competenti dei giovani.


Dunque, impariamo da don Bosco: accogliamo quanto ci insegna don Bosco; viviamo con gioia ed entusiasmo la nostra vocazione; proponiamo ai giovani e agli adulti, uomini e donne, la vocazione salesiana come una risposta al mondo di oggi, come un progetto di vita capace di contribuire al rinnovamento dell’attuale società.


2. Creare una cultura vocazionale?

Don Bosco per maturare vocazioni creava un ambiente. Io preferisco dire che creava una cultura vocazionale, ovvero una forma di capire, una forma di rapportarsi vicendevolmente, una forma di affrontare la vita. È importante parlare di cultura vocazionale perché in questo le nostre Ispettorie devono fare ancora molta strada. Fino ad ora cosa si è fatto? Le Ispettorie propongono un salesiano come delegato vocazionale, come se tutti gli altri sdb non dovessero fare nulla. Questo è il primo sbaglio, don Bosco non lo avrebbe mai fatto! Non si tratta di nominare un delegato in ogni comunità, assolutamente no. Tutti coloro che lavorano in una presenza educativo pastorale (confratelli, sorelle, collaboratori, genitori) devono avere una chiara concezione della vita: creare una cultura richiede una mentalità, atteggiamenti condivisi… Serve una comunità che testimonia all’unisono i valori cristiani. Perciò la pastorale vocazionale non può assolutamente essere affidata ad una sola persona, uno che opera a nome degli altri cercando vocazioni. Questo è sbagliato! La cultura vocazionale richiede l’impiego sistematico e razionale dell’energia di tutta la comunità.


Perché? Ci sono tre aree che vengono comprese nella cultura vocazionale. Una è l’area antropologica: dobbiamo aiutare a far capire ai giovani che la vita è vocazione. In qualsiasi ambiente io stia, a qualsiasi opera io sia stato destinato, devo lavorare aiutando i giovani a capire che la vita è vocazione, che la vita è missione, che la vita è un sogno da realizzare. Quante volte parlando ai ragazzi ho ripetuto loro che l’importanza del sogno dei nove anni di don Bosco non sta tanto o solo nel fatto che lì don Bosco scoprì la sua vocazione - in parte è vero che la scoprì il suo campo di missione, si dice che lì imparò dalla Madonna il sistema preventivo (“no con le percosse ma con la bontà e la mansuetudine”) ecc. Ma il valore anche di quel sogno è che don vi Bosco scoprì che Dio ha un sogno, un progetto per ciascuno di noi. Don Bosco visse per far diventare realtà il suo sogno, e noi, prima di tutto, da educatori siamo chiamati ad accompagnare i giovani nella ricerca del sogno che dà senso alla loro vita.


Vedendo e interpretando la realtà sociale nel mondo occidentale, mi convinco che ciò che sta mancando è appunto il senso della vita, la scoperta che la vita è vocazione, che la vita è missione. Parlando ieri con 150 giovani adulti dell’opera Michele Rua, mi domandavo come era possibile che nell’attuale crisi, la crisi più grande che abbiamo affrontato, crisi sì economica in primis ma che ha evidenziato tante altre criticità, non si sia sentita la voce dei giovani. Al rovescio, ciò che stupisce, almeno a me, è il silenzio dei giovani: non solo perché non si sono espressi (diversamente dagli anni ’60 e ’70) ma perché sembrano essere ridotti a consumatori. Non solo i giovani non hanno reagito, ma neppure è venuto fuori un loro pensiero, un tentativo di risposta per cercare di uscire da questa crisi e continuare a collaborare nella missione comune di umanizzare il mondo di oggi. Sembrerebbe come se davvero non ci fossero aspettative migliori, come se fossero morte tutte le utopie. Oggi il sopravento lo ha preso il pragmatismo duro e puro. Ma se prendiamo questa strada significa che abbiamo perso la speranza e, con essa, l’impegno a creare un mondo migliore.


Nel manifesto che avete posto in questa sala teatro avete scritto che un mondo migliore è possibile, che è a portata di mano.


La seconda area della cultura vocazionale è relazionale. Poiché l’essere umano è parte di una rete di rapporti, una cultura vocazionale deve aiutare a prevenire nel giovane una concezione soggettivistica dell’esistenza che lo porta ad essere centro e misura di se stesso, che concepisce la realizzazione personale come difesa e promozione di sé piuttosto che come apertura e donazione. La vita è apertura agli altri, vissuta come relazionalità quotidiana, ed è apertura alla trascendenza che svela l’essere umano come un mistero che solo Dio può spiegare e solo Cristo può appagare.


L’unicità dell’esistenza chiede che si scommetta su valori importanti che vanno incarnati nelle scelte che si fanno. I giovani man mano che crescono giocano il proprio successo su un progetto e sulla qualità della vita.


Sapete cos’è, a mio avviso, la cosa più bella del volontariato? Non tanto quanto si fa di buono, ma l’opportunità di imparare a vivere insieme agli altri, insieme ad altri leggere la realtà, a fare insieme scelte operative da privilegiare e obiettivi da raggiungere, a lavorare insieme, a pregare insieme. Da questa prospettiva, il volontariato rappresenta la proposta più bella e completa della pastorale giovanile salesiana, perché i giovani si sentono veramente protagonisti e condividono con gli adulti l’impegno di realizzare la missione e collaborare nel rendere il mondo più umano, più giusto.


La terza area della cultura vocazionale è pastorale, ed è orientata a scoprire e accogliere la vita come dono e compito.

La vocazione è una definizione che la persona dà alla propria esistenza, percepita come dono e appello, guidata dalla responsabilità, progettata con libertà. Leggendo la Scrittura si scopre come il dono della vita racchiuda un progetto che man mano si manifesta attraverso il dialogo con sé stesso, con la storia, e con Dio ed esige una risposta personale.

L’immagine più forte nella Scrittura è quella dell’alleanza tra Dio e il suo popolo che l’uomo deve assumere come progetto di vita guidato dalla Parola che lo interpella.


E’ assai importante capire che la vita è un appello continuo, ed insegnare ad ascoltare gli appelli, a sviluppare i “sensori” della storia, ad avere uno sguardo da credenti, ad allargare il cuore... Questa è una cultura vocazionale. Senza questa concezione della persona, senza questa forma di educare alla relazionalità, senza questo impegno a far scoprire la vita così, come un appello continuo, diventa molto difficile far maturare vocazioni, anche per la vita consacrata e sacerdotale.

E questo è il secondo punto, creare una cultura vocazionale.


Cari fratelli e sorelle, cari giovani, “Venite e vedrete non è uno slogan ma è un itinerario spirituale ed educativo. Se lo riduciamo ad uno slogan avremo fallito! Se pensiamo che il frutto di questo slogan sarà di avere il prossimo anno 100 missionari invece dei 47/49 di quest’anno… sbagliamo! L’obbiettivo reale da raggiungere è che tutti i ragazzi e ragazze delle nostre opere scoprano ed assumano la loro vita come dono e come vocazione! Allora sì saranno in grado di accogliere proposte esplicite a diventare Salesiani, FMA, consacrati secolari, preti diocesani… Forse non arriveranno il primo anno, ma avremo creato un ambiente diverso, capace di far maturare progetti di vita.


3. Aspetti significativi da sviluppare

Concretamente, che cosa fare? La prima: la pastorale giovanile deve promuovere la cultura vocazionale. Come fare? Abbiamo già detto alcune cose, ma qui voglio sottolineare l’importanza di educare all’amore e alla castità: diventa molto difficile aiutare i ragazzi a riconoscere che vale la pena di spendere la propria vita - l’unica che Dio ci ha dato - per gli altri, se ci lasciamo trascinare da questo mondo e da questa cultura pansessuale e edonista, che ci spinge alla soddisfazione di noi stessi, alla ricerca dell’appagamento di tutti i nostri desideri. Una simile atmosfera edonista non ci permette di capire che l’amore non è possedere persone, ma dare noi stessi. È necessario aiutare i giovani a maturare la loro vita affettivo-sessuale con le altre dimensioni della persona, compresa quella della fede, altrimenti li condanniamo al rapporto superficiale e facile.


Non educhiamo bene se non educhiamo all’amore, se non formiamo alla castità e alla preghiera… Come possiamo volere che i giovani rispondano generosamente, se vivono sempre assediati da una cultura che promuove solo il consumo di esperienze?


Mi duole il cuore nel vedere la grande solitudine in cui vivono i giovani, frutto della mancanza di amore. Ecco dunque la ricchezza dell’esperienza di volontariato di cui parlavo prima: l’inserimento in una comunità, il fare l’esperienza di comunione, scoprire che la vita è un dono e va vissuta donandola agli altri…

Dobbiamo aiutare i giovani a fare grandi esperienze: mi ha fatto piacere sentire che quest’anno alcune Ispettorie hanno fatto il cammino di Santiago, altre Ispettorie hanno fatto il cammino di Gerusalemme… Sono tutte esperienze intense, forti, che aiutano i giovani a porsi le domande fondamentali: chi sono, dove vado, qual è la strada da percorrere per non fallire...

Primo elemento dunque è educare all’amore, educare alla castità, educare alla preghiera.


Il secondo elemento è l’accompagnamento personale che consiste nell’aiutare i ragazzi a valorizzare se stessi, a conoscere, amare e accettare se stessi.


Cosa significa accompagnare personalmente? Educare alla conoscenza di sé, a riconoscere Gesù come il Signore risorto che può riempire di senso la nostra esistenza. Don Bosco scriveva nel Giovane Provveduto ai ragazzi che pensano che servire Dio è una cosa noiosa: “io vi voglio insegnare come servire Dio nella letizia, nella gioia”. Gesù, cari giovani, non è una minaccia per la nostra felicità, al contrario, Egli fa sprigionare tutte le nostre migliori energie, quelle che si trovano nel nostro cuore! Che cosa significa l’accompagnamento personale? Aiutare a leggere la propria vita come una storia di salvezza che nasce col dono della vita e una chiamata a mettersi continuamente a disposizione del regno di Dio.


4. La bellezza di essere consacrati

Cari fratelli e sorelle, ora mi rivolgo direttamente a voi. Dobbiamo far vedere la bellezza di essere consacrati. Quando si vive radicalmente e con gioia quello che si è, allora si può proporre agli altri la propria esperienza. Non posso invitare i giovani a diventare Salesiani o FMA se non sono capace di dirli che cosa posso offrire loro. Io vi offro una vita buona perché la spenderete al servizio del bene; una vita bella perché è incantevole collaborare alla costruzione del mondo che vogliamo; una vita felice. Ma se non sono in grado di proporre loro questa vita, non è giusto invitare i giovani a diventare parte delle nostre Congregazioni.


Dove troviamo noi gli elementi più favorevoli alle vocazioni religiose? Li troviamo nel Movimento Giovanile Salesiano e nel Volontariato. Il Movimento Giovanile Salesiano è una realtà piena di vita, rappresenta un’espressione significativa della forte influenza che la figura di don Bosco esercita sui giovani. Se vi raccontassi l’entusiasmo che sta provocando il passaggio del pellegrinaggio dell’urna di don Bosco! In tutti i Paesi dove l’urna passa è affascinante vedere come persone di tutte le estrazioni sociali, donne, uomini, politici, uomini di Chiesa persone abbienti e poveri si avvicinino e piangano nel toccare l’urna di don Bosco!

Il Movimento Giovanile è composto dai ragazzi che più di tutti si sentono coinvolti dalla sua figura ed è proprio in quel contesto che dobbiamo aiutarli a maturare la scelta di diventare SDB o FMA. Dobbiamo aiutarli a passare dall’ammirazione all’imitazione di don Bosco.


E infine, il volontariato: esso è un’autentica palestra dove si sperimenta che la vita è vocazione. Se ispirato al vangelo, è una scuola di vita che contribuisce ad educare i giovani a una cultura di solidarietà verso gli altri, soprattutto verso i più bisognosi.


Io vi auguro che il 2011 sia una piattaforma di lancio, perché, come dicevo, la Strenna non è uno slogan e non è una pubblicità, altrimenti falliremmo: è un invito ad arricchire sempre la nostra proposta educativo-pastorale, imparando a fare della cultura vocazionale un itinerario formativo.



Domande e commenti del pubblico


Vengo da Taranto, mi chiamo Anna. È vero che i ragazzi hanno un sogno, ma se qualcuno lo frena, come si può fare?

Effettivamente c’è la possibilità che il proprio sogno vada perduto perché non sempre è facile portarlo avanti o trasformarlo in realtà. L’alternativa non è però smettere di sognare, perché come dicevo tutta la vita è missione e vocazione e si rischierebbe di perdere la motivazioni per andare avanti e semplicemente si sopravvivrebbe, senza dinamismo e senza l’energia che spinge a dare e fare il meglio di te. Ti chiuderesti in te stessa e finiresti con il pensare solo a stare bene tu senza interessarti degli altri. Invece, se uno in questo frangente vuole ricaricarsi deve cercare di nuovo una motivazione per cui valga la pena continuare a fare quanto si fa. Victor Frank, famoso psicologo autore della logoterapia, testimoniava che persino dai campi di concentramento riuscirono a sopravvivere non i più forti fisicamente ma quelli che avevano motivi per continuare a vivere. Se non hai motivi per continuare vivere, qualunque problema basterà per farti dire che non vale la pena.


Io personalmente appena mi alzo la prima cosa che faccio e rivolgermi al Signore: “Tutto quello che faccio serva per la tua gloria”. E con questo dico ciò che motiva la mia vita, glorificare Dio. Subito poi aggiungo: “E sia utile alla salvezza degli altri”: ecco che cerco motivi nobili che mi spingano ad alzarmi presto ogni mattina e lavorare duramente fino a sera tardi e a fare questo per tutti i giorni della mia vita: ho motivi per farlo! E poi dico ancora: “Che io possa vivere per la mia santificazione”: lavorare per la mia salvezza. Queste tre motivazioni riempiono la mia vita. Se le perdessi, naturalmente mi dovrei domandare perché e cosa posso fare per rimotivare la mia vita. È importante perciò mantenere, verificare e nutrire queste motivazioni, altrimenti si perdono.


Sono Andrea, Salesiano, studente di Teologia alla Crocetta al secondo anno. Ci hai detto che don Bosco è stato un maestro di accompagnamento spirituale dei giovani: quali attenzioni avere per diventare anche noi accompagnatori dei giovani così come lo era don Bosco?

Dicevo che prima di tutto noi educatori dobbiamo diventare guide competenti e una guida deve imparare ad esserlo. Cosa ha fatto don Bosco? Era attento ad imparare: da quando era piccolo, dal Caloso, poi dal Cafasso. E cosa ha imparato? Cosa poter fare per aiutare quelli che gli erano affidati. Poi don Bosco faceva proposte molto variegate, accompagnava ciascun ragazzo in modo diverso perché il loro punto di partenza era diverso. Non bisogna attendere che la persona che ti si avvicina arrivi ad un punto ideale, ma occorre iniziare subito ad accompagnarla partendo dal punto in cui la persona è. Potrai così intrecciare il cammino seguendo le indicazioni che ho dato come una prassi salesiana.


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