ACG 253 , Povertà missioni

LUIGI RICCERI. Lettere circolari ai salesiani. Editrice SDB. Roma 1996, (1°). La nostra povertà oggi(ACS 253)


[210] Parlo dell'apostolato missionario. Questa attività non si restringe ai soli confratelli che lasciano la propria Ispettoria per darsi completa­mente a servizio delle anime nei luoghi di missione. Oggi special­mente le comunità debbono trasformarsi in attive e dinamiche retrovie delle Missioni.

È stato, fra gli altri, il voto che mi hanno espresso i Volontari per l'America Latina prima di partire. Essi, come ogni altro missionario, devono sentirsi come i rappresentanti dell'Ispettoria, della Comunità, nella Missione loro assegnata.

E questo non tanto per averne comunque aiuti, quanto perché la Comunità di origine viva la loro divina avventura, si renda conto e senta le loro difficoltà, i loro sacrifici, le loro apostoliche conquiste.

Quanto importa adunque, proprio nello spirito dell'Ad Gentes, che nelle nostre Ispettorie lo spirito missionario sia ravvivato tra i Confra­telli, tra i nostri giovani, e questo non attraverso una letteratura super­ficiale e sbagliata a base di foreste e di animali feroci, ma con una informazione seria, sistematica, studiando i gravi e complessi proble­mi che i Missionari devono affrontare, partecipando da veri fratelli al­la loro vita di estrema povertà, di quotidiane rinunce, di dure fatiche.

Una comunità che viva un tale clima missionario sentirà il bi­sogno di essere efficacemente al fianco dei fratelli missionari, ma in pari tempo sentirà il dovere, anzi la gioia di quelle rinunce, di quelle economie, di quello stile di vita che non suoni offesa alla vita sacrifi­cata dei fratelli missionari.

E da questo ambiente di generosità, non potranno non sbocciare le vocazioni specialmente missionarie, le quali, conviene ricordarlo, non possono fiorire in un clima di mediocrità e di comodismo.


LUIGI RICCERI. Lettere circolari ai salesiani Editrice SDB. Roma 1996 (1°) . La Congregazione e lo sviluppo (ACS 261)


[384] La nostra vocazione di «educatori»


Dov'è allora il nocciolo della nostra azione salesiana contro il sot­tosviluppo?

Noi non siamo dei tecnici né dei politici; non abbiamo neppure in­genti capitali per programmi di sviluppo. Siamo educatori cristiani,

pastori, e in parte missionari. Su questa triplice linea si impernia la nostra azione, che si può riassumere in una sola espressione così: la nostra è un'azione educativa nel senso più ricco della parola.

Riallacciamoci all'esempio di Don Bosco che per noi è norma si­cura. Che fece Don Bosco? Dinanzi a situazioni di sottosviluppo (gio­vani poveri, abbandonati, senza tetto, affamati, ecc.) non si accontentò di dare una elemosina, un sussidio monetario, oppure dare da man­giare e un letto per riposarsi. Don Bosco nella prima fase della sua azione cercò subito un impiego per i suoi giovani assistiti e poi co­minciò subito a prepararli con un mestiere «per guadagnarsi col su­dore il pane della vita». Una vera opera di promozione popolare, con la qualificazione e formazione del futuro operaio.

Anche nell'attività missionaria è interessante rilevare che Don Bosco non si accontenta di un'opera puramente evangelizzatrice, (predicazione del Vangelo), ma la vuole accompagnata o preceduta da una opera promozionale, civilizzatrice. Anzittutto porta avanti l'idea, in certo senso nuova, di cominciare l'opera missionaria stabilendo collegi, scuole e ospizi «nelle vicinanze dei selvaggi», perché i sel­vaggi ricevano il messaggio cristiano dai figli dei selvaggi stessi. Viene quindi l'opera di carattere promozionale, che vuole unita alla predicazione del Vangelo. In un Memoriale intorno alle Missioni Sa­lesiane del 13 aprile 1880 presentato a Leone XIII Don Bosco diceva che lo scopo della sua opera era: «aprire ospizi in vicinanza dei sel­vaggi perché servissero da piccolo seminario e ricovero per i più po­veri ed abbandonati. Con questo mezzo farci strada alla propagazione del Vangelo fra gli indi Pampas e Patagoni».



[385] Dopo aver spiegato ciò che si era fatto, aggiunge: «Mentre alcuni si occupano così ad insegnare arti, mestieri e l'agricoltura alle co­lonie costituite, altri continuano ad avanzare tra i selvaggi per cate­chizzarli, e, se possibile, fondare colonie nelle regioni più interne del deserto» 33

E in una lettera a don Bodrato dice come era stato mosso «ad ac­cettare... l'offerta delle missioni destinate alla civilizzazione ed evan­gelizzazione degli abitanti in quelle vaste ed incolte regioni» e come «nel desiderio di rendere ognor più stabile l'opera civilizzatrice tra quei popoli e quindi agevolare fra gli Indi la cognizione e la pratica delle arti, dei mestieri, dell'agricoltura» si era recato dal S. Padre.34



Una formula sempre valida


Sull'esempio di Don Bosco, la nostra collaborazione per lo svi­luppo è principalmente la educazione, la qualificazione e formazione degli uomini, che sono i fattori principali dello sviluppo.

È per noi Salesiani una grande soddisfazione poter rilevare che ancora oggi l'azione educativa è considerata dagli specialisti la «chiave dello sviluppo», e che quindi la nostra collaborazione può giustamente dirsi centrata ed efficace.

L'Enciclica Populorum Progressio afferma chiaramente che «l'e­ducazione di base è il primo obiettivo d'un piano di sviluppo» e che il «saper leggere e scrivere, acquistare una formazione professionale, è riprendere fiducia in se stessi e scoprire che si può progredire insieme con gli altri» 35

E i Documenti di Medellin ne danno un'esplicita conferma di­cendo: «L'educazione è effettivamente il mezzo chiave per liberare i popoli da ogni schiavitù e per farli ascendere da condizioni di vita meno umana a condizioni più umane,36 tenendo conto che l'uomo è il responsabile e l'artefice principale della sua riuscita e del suo fal­

33 Epistolario, III, pag. 572, lett. 2031 34 Ib. III, pag. 577, lett. 2035 35 Populorum Progressio, n. 35 36 Ib. n. 20


LUIGI RICCERI. Lettere circolari ai salesiani Editrice SDB. Roma 1996 (1°). La Convocazione del Capitolo Generale Speciale Gli Exallievi. (ACS 262)

[397] evitare i tanti ritardi per le partenze. Ricevendo le «offerte» dei Volon­tari entro il mese di Gennaio-Febbraio, si possono mandare avanti an­zitutto le pratiche nelle Ispettorie e poi quelle per le destinazioni, i viaggi, ecc.

Spero dunque che per l'anno 1971, l'anno del Capitolo Generale Speciale, un bel numero di Sacerdoti e insieme di Coadiutori venga ad offrirsi al Rettor Maggiore per l'America Latina e per i luoghi di Missione.

Sarà un modo assai eloquente per dimostrare la vitalità spirituale ed apostolica della Congregazione: la vocazione missionaria infatti con tutti i valori che essa contiene è indice evidente di vitalità aposto­lica e, prima ancora, religiosa e spirituale.

In altra parte degli Atti troverete il 4° elenco della solidarietà fra­terna. È confortante vedere come tante Ispettorie hanno sentito e sen­tono questo «motivo» di unione fatto di canta, nella famiglia della Congregazione.

Ma è ancora più edificante quando questo segno di solidarietà proviene da Ispettorie e da opere estremamente povere che hanno bi­sogno addirittura dell'aiuto degli altri. Cito ad esempio l'Ispettoria Missionaria di Cuenca in Ecuador, e la missione di Krishnagar in India, ma potrei continuare con altri nomi. Le loro pur modeste offerte sono frutto di sacrifici spesso assai duri.

L'esempio di queste Ispettorie ed opere mi pare debba essere un efficace richiamo per chi, senza essere nelle condizioni assai disagiate sopra descritte, dimostra insensibilità per le necessità dei fratelli.

Dobbiamo ricordarlo: non ci si può illudere di amare i poveri se non facciamo personalmente qualcosa per loro, se non paghiamo di persona; e in Congregazione abbiamo realmente tanti autentici «po­veri», che sono nostri fratelli, il primo - anche se non unico - no­stro prossimo.

D Congresso Mondiale degli Exallievi

Come tutti sapete, nel settembre scorso si è tenuto il Congresso Mondiale dei nostri Exallievi in coincidenza del Centenario della loro Organizzazione. Non sto qui a farvi la cronaca di quei giorni indu­

LUIGI RICCERI. Lettere circolari ai salesiani Editrice SDB. Roma 1996 (2°). Nel centenario delle Missioni Salesiane (ACS 277)

[772] Nello stile e col cuore di Don Bosco

a) «...occuparci in special modo della gioventù»

Don Bosco ai Salesiani che andavano in America aveva detto: «Non si dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri e abbando­nati»; e ancora: «Nelle missioni noi dobbiamo occuparci in special modo della gioventù, massime di quella povera e abbandonata»; e più esplicitamente: «Va avanti e può fare un gran bene il missionario che sia circondato da una buona corona di giovani».26

Fa piacere constatare come questa sensibilità e strategia missio­naria, su cui tanto insisteva Don Bosco, abbia avuto conforto dall'alta parola del recente Sinodo dei Vescovi. La loro «dichiarazione finale» dice: «In modo speciale ci rivolgiamo ai giovani... I giovani devono avere la priorità delle sollecitudini della Chiesa» (Card. Gordeiro, Ar­civescovo di Karachi); i giovani «devono essere oggetto di evangeliz­zazione, e soprattutto artefici di essa fra i coetanei» (Mons. Pironio, Presidente del CELAM).

I nostri missionari, e non solo i primi, hanno tenuto sempre ben presente la parola del Padre, che era il naturale riflesso della sua e no­stra peculiare vocazione, confortata dall'autorità stessa della Chiesa. Dai ragazzi del quartiere La Boca di Buenos Aires, allora particolar­mente depresso, a quelli della baraccopoli di Tondo presso Manila, alle migliaia di poverissimi ragazzi di Haiti, a quelli della Cité des Jeunes di Lubumbashi, i nostri fratelli ovunque hanno piantato le tende sono andati come istintivamente sempre in cerca di ragazzi, della gioventù, specialmente di quella più bisognosa. Non solo, ma han portato in mezzo a loro quello stile, quei metodi, quel clima in­confondibile che finisce col conquistare il ragazzo di qualsiasi razza, paese, civiltà.

Un fatto consolante e probante, legato a questa attenzione preferen­ziale per la gioventù, mi piace ancora ripeterlo, è la fioritura di nume­rose e belle vocazioni autoctone in vari Paesi, per cui oggi le nuove for­ze salesiane praticamente provengono dagli stessi Paesi. E, fatto ancor più significativo, è la fioritura di giovani incamminati alle vette della santità, come i Servi di Dio Zeffirino Namuncurà e Laura Vicuna.

26 MB XVII, 273; XVIII, 49; XII, 280

[773] b) Per la promozione umana

Vorrei infine sottolineare quanto i nostri missionari, fin dagli inizi, hanno fatto per la promozione umana della loro gente. A guardare bene, rifacendoci al punto da cui essi in tanti casi sono partiti, c'è non solo da apprezzare, ma da stupirsi ammirati per quanto hanno saputo fare, con mezzi spesso assai limitati: dall'agricoltura all'allevamento del bestiame, dalla costruzione delle case alle cooperative e all'orga­nizzazione del lavoro e dei lavoratori, dall'escavazione di pozzi alla costruzione di ponti e strade dall'alfabetizzazione all'insegnamento per la qualificazione tecnica nei settori più diversi, dalla pubblica­zione di libri popolari, scolastici, catechistici, di cultura, fino alle sta­zioni radio-trasmittenti. E tutto questo senza pregiudizio e mai in con­trasto con l'evangelizzazione, ma come elemento dell'Annuncio in­teso come promozione e liberazione di tutto l'uomo.

Nessuno vuole concludere che tutto sia stato dovunque e sempre perfetto, né pretendere che il lavoro realizzato cinquant'anni fa ri­spondesse in tutto e per tutto alle sensibilità e criteri di oggi. Ma guar­dando l'insieme di questi cento anni, possiamo serenamente ricono­scere che i nostri carissimi missionari li hanno bene spesi e trafficati.

E ne diamo grazie al «Donatore di ogni bene».

c) In stretta comunione con il Centro

Mi sembra degno di rilievo un elemento che si riscontra nei nostri missionari dovunque si svolga il loro lavoro. Don Bosco aveva fatto di Valdocco e della nascente Congregazione una famiglia: questo clima non facilmente definibile, ma che al respirarlo dà una sensa­zione di salutare benessere, i primi missionari lo portarono come per istinto in America.

Uno dei segni e in pari tempo degli strumenti che alimentavano questo senso familiare tenendo uniti i figli col Padre Don Bosco e con la Casa Madre, fu la corrispondenza epistolare: nutrita, regolare, effu­siva. I nostri archivi sono ricolmi di questo prezioso materiale che è andato crescendo negli anni, perché la tradizione è continuata anche quando il numero dei missionari è cresciuto notevolmente e si sono sparsi per il mondo. Non so se in altri Istituti c'è una tradizione di questo stile e intensità.