La vita spirituale del cooperatore salesiano

LA VITA SPIRITUALE DEL COOPERATORE SALESIANO A PARTIRE DAL RVA


Siamo d'accordo che il Cooperatore non è un religioso, e perciò la sua vita spirituale non può essere quella del religioso. Siamo anche d'accordo che egli è un vero salesiano nel mondo, e che perciò la sua spiritualità non può essere quella di un cristiano qualunque. Ciò non vuol dire che la spiritualità del Cooperatore sia superiore a quella degli altri cristiani, ma soltanto che la sua è una spiritualità con caratteristiche specifiche in linea con la sua identità di apostolo salesiano nel mondo. Naturalmente dobbiamo partire da ciò che è specificamente suo all’interno del comune filone salesiano cioè dalle caratteristiche che definiscono la sua identità, poiché la sua è una spiritualità con caratteristiche proprie, ma anche con caratteristiche comuni appartenenti alla spiritualità salesiana.


1. Dimensioni o ambiti della spiritualità del Cooperatore


La spiritualità implica un modo di relazionarsi con Dio e con gli altri. E’ una maniera di collocarsi davanti a Dio e agli altri. Come si colloca il Cooperatore davanti a Dio e agli altri? Che tipo di spiritualità è propria del Cooperatore? Per saperlo percorriamo le dimensioni o aspetti fondamentali che definiscono la sua identità. Questo percorso ci indicherà gli aspetti o dimensioni in cui deve crescere; sono queste le dimensioni che deve acquisire attraverso la formazione. Nella seconda parte cercheremo di identificare dove trovare la spinta per vivere queste dimensioni.

La dimensione apostolica del Cooperatore


Se si dovesse definire con una sola parola il Cooperatore secondo il RVA, la parola che lo definirebbe è, senza alcun dubbio, quella di apostolo, cioè, di un cristiano pieno di zelo e di iniziativa, in comunione ardente con il Cuore di Gesù.


Il suo Regolamento porta l'aggiunta. "di vita apostolica" e già dalla Premessa è invitato a sentire l'impulso all'apostolato e alla santificazione apostolica.


La sua spiritualità deve essere pertanto una spiritualità apostolica, cioè il suo dinamismo spirituale deve portarlo a vivere da apostolo.

L'essere fondamentalmente un apostolo è evidentemente una realtà complessa che richiede che siano presi in considerazione almeno tre elementi ben articolati che percorrono il RVA dall'inizio alla fine e che definiscono la sua identità.



a) La dimensione apostolica cristiano-ecclesiale


Il Cooperatore è innanzitutto un cristiano. La scelta di essere Cooperatore, dice il Regolamento con eccellenti espressioni, è scegliere un modo specifico

- di sviluppare nella sua vita la grazia battesimale e della confermazione,

- di vivere la fede cristiana e l'amore cristiano,

- di praticare con serietà il Vangelo, libro di vita per tutti i battezzati. Battesimo, fede, Vangelo: questi sono i valori fondamentali che il Cooperatore cerca di vivere. L'essere Cooperatore non è una specie di lusso o di emarginazione in relazione con la vita cristiana essenziale. Tutt'altro! E' volere essere cristiano in pienezza, anche se si fa attraverso opzioni particolari (cfr. Premessa e art. 1, 2, 3, 7, 40).


A livello della piena appartenenza alla Chiesa visibile, il RVA precisa che il Cooperatore è apertamente cattolico; ancora di più se si considera il fatto di essere membro di una Associazione pubblicamente e ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa (art.6). C'è un senso vivo di Chiesa nella sua triplice realtà di mistero, di comunione e di missione. Egli si sente felice nel contribuire alla sua costruzione, ma sempre all'interno di uno spirito di grande coesione (art.18).

La sua spiritualità deve essere quindi quella di un cristiano fortemente impegnato, come membro della Chiesa, nel disegno di salvezza di Dio.


b) La dimensione apostolica laicale-secolare


Il carattere laicale-secolare del Cooperatore - altro elemento della sua identità apostolica - è fortemente sottolineato, in linea con la dottrina del Concilio e gli orientamenti della Christifideles laici.


Il Cooperatore è certamente un vero salesiano, ma nel mondo. Lo dicono chiaramente gli articoli 2, 3, 4, 5, del RVA. Un articolo merita un'attenzione particolare: l'art.17, a causa dell'ordine di presentazione dei diversi impegni del Cooperatore nelle tre strutture dove egli può inserirsi. Certo, non gli sarà proibito di esercitare la sua attività e di essere presente in opere dei SDB o delle FMA. Seguendo Don Bosco, queste sono altamente raccomandabili. Neanche si cercherà di allontanarlo dall'intervento generoso in strutture ecclesiali della sua diocesi o parrocchia: questa attività Don Bosco l'ha senz'altro incoraggiata.


Ma gli viene ricordato che il Concilio (e il Sinodo sui laici) vuole che i laici guardino verso e si preoccupino, in primo luogo, della realtà in cui si trovano quotidianamente inseriti, la realtà secolare: "Appartiene ai laici cercare il Regno di Dio prendendo in considerazione tutte le cose di questo mondo e di ordinarle, orientarle verso Dio" (LG 31 b). E' pertanto in questi compiti quotidiani, i più ordinari, che il Cooperatore vivrà la sua vocazione (RVA, art. 7), cercando di essere salesiano in famiglia, nel suo lavoro, nelle sue ricreazioni, nelle responsabilità socio-politiche... (cfr. RVA, art.8-12).

E' una visione fondamentale, bella, esigente!


La sua spiritualità, pertanto, deve essere quella di un cristiano profondamente inserito nelle realtà temporali, che anima cristianamente gli impegni temporali, che presta attenzione al quotidiano, che cura la propria professionalità.



c) La dimensione apostolica salesiana


Ma egli vive tutto questo in una maniera salesiana. Ed eccoci alla terza caratteristica dell'identità apostolica del Cooperatore. Egli è un apostolo "alla scuola di San Giovanni Bosco", recita la prima frase del RVA. Diciamo meglio: è un apostolo "alla Don Bosco". Egli è un vero salesiano, proclama l'art.3. Egli partecipa al patrimonio spirituale della Congregazione salesiana (art.6); ancora meglio: egli partecipa all'esperienza spirituale di Don Bosco (art.27), al carisma salesiano e a tutti i suoi valori. Insomma, egli deve vivere con l'anima di Don Bosco, con il cuore di Don Bosco, il quale gli insegnerà una maniera sicura di vivere secondo il cuore dello stesso Cristo, l'apostolo perfetto del Padre (art.27).


La sua spiritualità deve essere pertanto quella di un salesiano che vive all'interno delle realtà secolari. Deve essere una spiritualità salesiana ma di tipo secolare.


In conclusione

La spiritualità del Cooperatore deve essere tale che risponda alle esigenze di queste tre dimensioni: una spiritualità, cioè, che risponda alle esigenze di un apostolo che è un cristiano impegnato nella Chiesa e nel mondo come laico e come salesiano, e che lo porti a vivere come tale nel mondo e nella Chiesa.



2. Il dinamismo della vita spirituale del Cooperatore


Quanto è stato detto finora punta su quello che il Cooperatore deve essere, Ma l’importante non è quello che uno deve essere, ma quello che é. Perciò adesso è necessario cercare il dinamismo che gli fa essere ciò che deve essere. Ci domandiamo pertanto: nella logica del ritratto che abbiamo tracciato (di un cristiano che è un apostolo salesiano nel mondo), dove troverà o da dove gli verrà la forza interiore per vivere come tale, quale sarà la sua vita spirituale, la fonte del suo dinamismo?



a) Dalla coscienza di essere chiamato e inviato dal Signore


Un cristiano non ha bisogno di diventare Cooperatore per essere un buon cristiano; e nessuno lo può obbligare a diventare Cooperatore.

Ma se uno diventa Cooperatore, lo fa perché è ispirato dalla fede e dallo Spirito Santo: essere Cooperatore significa partecipare coscientemente alla missione affidata da Dio alla Famiglia Salesiana, la quale fa parte della missione della stessa Chiesa e di Cristo, l'inviato dal Padre. In altre parole, "farsi Cooperatore è il frutto di una attrazione interiore, di un gusto interiore e profondo (e non solamente sentimentale) per Don Bosco e per l'ideale salesiano; è la libera risposta a una chiamata del Signore, a una vocazione, nella linea di quella chiamata potente, che ascoltò un giorno quell'uomo carismatico che si chiamava Giovanni Bosco (cfr. RVA, 1, 2, 5): è un'opzione libera che matura sotto l'azione dello Spirito Santo (art.36).


Perciò uno non entra a far parte dell'Associazione e non ne esce a seconda delle circostanze o del piacere personale. Queste sono cose serie! L'entrata è un'opzione di vita, che normalmente sopravvive alle prove e anche alle delusioni. E' una "promessa" fatta davanti agli altri e davanti al Signore. Richiede fedeltà agli impegni presi liberamente (art. 39). Ma questa fedeltà è possibile, precisamente perchè si appoggia su Colui che chiama: il Signore (art.2/2; 40).


Il Cooperatore che è cosciente di essere un chiamato e un inviato, di essere un vero Cooperatore di Dio nella realizzazione del suo disegno di salvezza, non può restare con le braccia incrociate; al contrario si dà da fare perché si sente mosso interiormente a realizzare la sua missione.

Sentirsi chiamato vuol dire entrare in relazione con chi mi chiama per realizzare la missione che mi affida. Questa relazione è di tutti i giorni. Ciò vuol dire entrare in comunione con Dio, entrare nelle sue intenzioni, nei suoi desideri per poter veramente realizzare la sua missione. Questo certamente darà dinamismo interiore a chi ne è consapevole, al Cooperatore salesiano che si sente chiamato e inviato

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b) Dall'"amore apostolico" inserito nel cuore del suo essere e della sua vita.


Se si capisce che il Cooperatore è essenzialmente un apostolo (un chiamato e un inviato) e lo è in verità, nel suo cuore e nella sua vita deve risiedere l'amore apostolico, chiamato anche "carità pastorale" (art. 28), fonte di dinamismo e d'impegno apostolico. Quello che caratterizza un Cooperatore, una Cooperatrice, è che egli/ella ha imparato ad amare e ad agire con le tonalità e le sfumature descritte dal Capitolo IV del RVA (Vedi Allegato "La spiritualità del Cooperatore come esperienza vissuta dello spirito salesiano").

Questo amore ha dei modelli: il Padre (Amore che salva), Gesù Cristo il Buon Pastore (Apostolo perfetto del Padre), Maria la Madre per eccellenza; poi Don Bosco, immagine viva dell’amore di Dio davanti ai giovani, San Francesco di Sales (art. 27/28). Questo amore diventa nel Cooperatore zelo apostolico, cioè carità ardente, viva, generosa, infaticabile (art.30), gioiosa (art.31), di fuoco, che ha bisogno di esprimersi e di realizzarsi, nelle due direzioni dell'amore di Dio (amore di figlio/figlia, servitore) e del prossimo, soprattutto dei giovani (amore di amorevolezza e del "da mihi animas" - artt. 30 e 31). Perché questo amore sia un amore che salva, il Cooperatore vive lo spirito salesiano che si esprime in concreto nel Sistema Preventivo (Vedi Allegato "La spiritualità Salesiana come esperienza vissuta dello spirito salesiano).


Il Cooperatore si sente dunque spinto dalla corrente di amore che viene da Dio Salvatore, si sente uno strumento nelle mani di Dio per la salvezza degli altri e si lancia pieno di amore e di zelo alla salvezza delle “anime”, ma lo fa da laico, da secolare secondo quanto si è detto prima..



c) Dalla coscienza dell'assoluta necessità della Forza divina


Come mantenere viva la fiamma apostolica?

"Le esigenze della chiamata evangelica e l'esperienza personale - dice l'art.32 - insegnano al Cooperatore che, senza l'unione con Cristo, non può nulla". Da lui riceve lo Spirito che lo illumina e gli dà forza giorno per giorno". Da qui le esigenze della preghiera personale, della Parola meditata, dei sacramenti ricevuti con fede, il ricorso a Maria Ausiliatrice e a Don Bosco, ciascuno scegliendo i momenti e i metodi secondo la sua situazione concreta e secondo le necessità interiori. Gli artt. 32 e 35 orientano la sua scelta, secondo lo stile di semplicità e di realismo della preghiera salesiana.

ISecondo quanto ha detto lo stesso Don Bosco il Cooperatore ha bisogno di nutrire la sua vita spirituale. La preghiera e la Parola saranno gli elementi che manterranno viva nel Cooperatore la tensione dell'essere chiamato e dell'essere inviato; saranno le vere fonti del suo dinamismo e della sua vita spirituale.



d) Dalla coscienza di essersi impegnato sulla via della santità


Infine il dinamismo interiore del Cooperatore trova anche la sua sorgente nella coscienza di essersi impegnato sulla via della santità salesiana laicale, quella propria del suo stato. Non si tratta di una santità inferiore a quella degli altri stati, ma di una santità propria del secolare nel mondo, sia celibe sia sposato. E’ una santità che trova il suo terreno di santificazione nel mondo, nel quotidiano, negli impegni temporali, nella professione, rispondendo in questa situazione alla legge della crescita spirituale.

Infatti, chi si sente attirato verso Don Bosco e verso il suo ideale, quello salesiano, e che risponde pertanto "sì" all'invito segreto dello Spirito, obbedisce a questa legge di qualunque vita cristiana autentica: la legge del camminare e della crescita, il rifiuto di accontentarsi di una devozione di "routine", di gesti abitudinari (anche se sacri); il rifiuto della mediocrità e della tiepidità: né freddo, né caldo, non si fa del male a nessuno, ma non si fa neanche del bene!


L'articolo conclusivo del RVA ricorda questa frase tipica di Don Bosco: "L'Associazione dei Cooperatori è fatta per scuotere dal languore nel quale giacciono tanti cristiani e diffondere l'energia della carità (di fuoco divino)" (art.50). Il Cooperatore è un pellegrino, una persona che cammina con coraggio: egli rifiuta di sedersi al bordo della strada, dimenticando che il cammino ha una destinazione che lo chiama.


Il RVA già dalla Premessa parla al Cooperatore di santificazione apostolica e la sua conclusione gli ricorda che egli è impegnato in una via che porta alla santità.


Ecco le parole di Don Bosco durante l'ultima conferenza ai Cooperatori e alle Cooperatrici di Torino nella Chiesa di Maria Ausiliatrice, il primo giugno 1885: "Quando voi sarete in paradiso, con quanto entusiasmo esclamerete ciascuno: - Benedetto quel giorno in cui entrai fra i Cooperatori e le Cooperatrici di San Francesco di Sales, poiché ogni atto di carità, che io ho praticato in favore di questa opera, fu quale anello di una catena di grazie, per mezzo del quale ho potuto salire in questo luogo di consolazione e di gaudio!" (MB XVII, 466).


Evidentemente qui Don Bosco metteva in evidenza che il cammino di santità del Cooperatore passa attraverso l’esercizio della carità che secondo lui deve distinguere l’Associazione da altri gruppi di tipo esclusivamente devozionale.


Conclusione


Don Egidio Viganò ha scritto almeno due circolari sulla spiritualità salesiana negli ultimi anni. Sapeva che ne avevamo bisogno! Ognuno deve percorrere il suo cammino spirituale e trovare il suo dinamismo interno, le fonti che ispirano le sue azioni salesiane. Qui si è cercato di fare emergere ciò che può muovere il cuore salesiano di chi vive da salesiano nel mondo. E' un'avventura gioiosa per chi cerca Dio nella sua vita e particolarmente per chi vuol fare avvicinare altri a Dio, perché nessuno può dare ciò che non ha.


(Fonte: Scritti dattilografici di Don Joseph Aubry)


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