Conferenza-Ferrero


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PENSARE COME DON BOSCO


In capo alla strada c’era la forca.

La sinistra sagoma di quella forca che il reale governo teneva sempre pronta a esemplare punizione dei malfattori e a inutile monito degli aspiranti tali dominava i viottoli che scendevano ad un sito brutto e malfamato. Quel sito aveva nome Valdocco, secondo un'etimologia che storici e studiosi non hanno mai potuto decisa­mente decifrare: da “valle degli uccisi” a “valle delle oche”, c’è poco da scegliere. Laggiù, un prete aveva messo su una baracca miserevole per raccogliere i ragazzi che la città maltrattava.

Un prete che aveva niente. Neanche un vestito decente. Ma aveva il capitale più prezioso che un uomo può avere. Aveva un sogno.


Una volta, venuto a visitarlo in Valdocco un ricchissimo negoziante senza fede e unicamente per curiosità, lo vidi poi uscire tutto confuso, e lo sentii esclamare per tre o quattro volte: «Che uomo, che uomo è questo!»


Vi invito ad un breve viaggio per esplorare meglio quest’uomo.

Spiritualità salesiana significa vedere la vita come don Bosco. Non come una immaginetta, un’icona, un personaggio del passato. Significa chiedersi: Come sarebbe il mondo senza don Bosco? E anche: Che cosa farebbe don Bosco? Che cosa direbbe a noi, oggi?

È chiaramente impossibile condensarlo in così breve spazio. Provo tuttavia con sette principi, che sono solo un piccolo e umile tentativo di sfiorarlo. Eccoli:


  1. REALIZZA IL TUO SOGNO

  2. AMA LA VITA E SEGUI IL TUO CUORE

  3. IL CIELO NON È LONTANO

  4. GUARDA OLTRE L’ORIZZONTE

  5. SII FORTE, SOLIDO E AFFIDABILE

  6. RICONCILIATI CON LA MORTE

  7. LA VITA È COME IL GIOCO DEI PUNTINI E IL FINALE È UNA SORPRESA DELL’ALTRO MONDO


  1. REALIZZA IL TUO SOGNO


All’inizio, c’è una domanda molto semplice: «Vuoi una vita qualunque o vuoi cambiare il mondo?»

Ogni mattina guardati allo specchio e chiediti: «Se oggi fosse il mio ultimo giorno di vita, farei quello che sto per fare oggi?» Se la risposta è no per troppi giorni di fila, è ora di cambiare qualcosa. C’è una cometa per ciascuno. Basta cercarla.

Si può ancora parlare di mete e di ideali, oggi?


Il maestro insegnava che non si può vivere senza un ideale, una meta, un’utopia.

Per spiegare la necessità dell’utopia indicò ad un giovane intrepido la linea azzurrina dell’orizzonte.

«È là che devi arrivare: quella è la tua meta!»

Il giovane partì a grandi falcate. Raggiunse le prime colline, ma la linea azzurrina si era spostata su una catena di montagne. Il giovane riprese il cammino, ma la linea azzurrina era dietro le montagne, al termine di un’ampia pianura.

Deluso, tornò dal maestro.

«Faccio dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi. Per quanto cammini, mai lo raggiungerò».

«Sì, è così!»

«Allora, a che cosa serve l’utopia?»

«Serve a questo: a camminare».


Quando smette di correre il fiume diventa una palude. Anche l’uomo. Don Bosco non ha smesso di camminare. Oggi lo fa con i nostri piedi.

Scoprire il proprio sogno significa in fondo rispondere alla domanda: «Allora, che cosa è veramente importante per te?»

E' una delle prime cose che Don Bosco ha fatto. Aveva una convinzione riguardo ai giovani: «Questa porzione la più delicata e la più preziosa della umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa... perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata. Questi giovani hanno veramente bisogno di una mano benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li guidi...»

Nel 1882 in una conferenza ai Cooperatori a Genova: «Col ritirare, istruire, educare i giovanetti pericolanti si fa un bene a tutta la società civile. Se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione migliore; se no, fra poco sarà composta di uomini sfrenati ai vizi, al furto, all’ubbriachezza, al mal fare. Questi giovanetti nella persona dei loro superiori si presentano a voi col cappello in mano; e voi con un sussidio potete provvedere loro il pane, e insegnare a vivere laboriosi e onesti, procurare loro un avvenire fortunato».

È come dire: solo l’educazione può cambiare il mondo.

«Invece se fossero abbandonati a se stessi, un giorno forse si presenterebbero a voi, domandandovi il danaro col coltello alla gola».

A lui è successo, una sera, mentre camminava verso Castelnuovo.


Sta tornando attraverso un boschetto, quando una voce dura gli intima: «O la borsa o la vita».

Don Bosco è spaventato. Risponde: « Sono don Bosco, denari non ne ho». Guarda quell'uomo che è sbucato tra le piante brandendo un falcetto, e con voce diversa continua: «Cortese, sei tu che vuoi togliermi la vita?»

Ha scoperto in quel volto coperto dalla barba un giovanotto che gli era diventato amico nelle prigioni di Torino. Anche il gio­vanotto lo riconosce, e vorrebbe sprofondare.

« Don Bosco, perdonatemi. Sono un disgraziato». Gli rac­conta a pezzi e bocconi una storia amara e solita. Dimesso dalla prigione, a casa sua non l'hanno più voluto. «Anche mia madre mi voltò le spalle. Mi disse che ero il disonore della famiglia». Lavoro, nemmeno parlarne. Appena sapevano che era stato in prigione, gli chiudevano la porta in faccia.

Prima di arrivare ai Becchi, don Bosco l'ha confessato, e gli ha detto: «Adesso vieni con me».

Lo presenta ai suoi familiari: «Ho trovato questo bravo amico. Stasera cenerà con noi».


Chi ha un sogno è sempre rispettoso. Sa che ciascuno racchiude un sogno, sa che i giovani sono un fascio di sogni che il mondo degli adulti si diverte a calpestare. Come dice Yeats: «Povero io sono e solo i miei sogni posseggo. Cammina in punta di piedi perché cammini sui miei sogni».

Avere un sogno significa percepire la vita come missione, come magnifico compito da portare a termine. Chi sente che il suo sogno viene dall’alto si sente in missione per conto di Dio, uno strumento nelle sue mani. Prova la gioia più grande di un essere umano: il mio sogno e quello di Dio coincidono. Per questo gode il piacere e la semplice bellezza del fare, e affronta la fatica che ci vuole, senza farsi illusioni. Non si sente per niente speciale.


«Tante volte, don Bosco diceva, e io lo sentii più volte, che se il Signore avesse trovato uno strumento più disadattato di lui per le sue opere, l’avrebbe certamente scelto al suo posto. “È certo, aggiungeva, che si sarebbe trovato meglio servito che da me”» afferma don Rua.


Chi ha un sogno non butta via niente. Fin da piccolo, don Bosco è una “spugna”che assorbe e impara da tutti: il latino dal vecchio parroco, i giochi di prestigio dai giocolieri delle fiere, ripete pronomi e verbi mentre zappa, impara la musica,a cucire e confezionare giubbotti, pantaloni e panciotti da Giovanni Roberto, la santità da Comollo, impara a confezionare dolci e liquori:


«A metà anno non solo preparavo caffè e cioccolato, ma conoscevo le regole e i segreti per fabbricare gelati, rinfreschi, liquori, torte. Il padrone, poiché il suo locale ne ricavava notevoli vantaggi, mi concesse la pensione gratuita. Poi mi fece un’offerta concreta perché lasciassi gli studi e mi dedicassi completamente al suo caffè. Ma io volevo continuare a studiare, ad ogni costo».


Chi ha un sogno grande non lo può tenere per sé. Se ci credi veramente, raccontalo!

Don Bosco è il più grande narratore di sogni della storia dopo il buon Giuseppe della Bibbia. Comunica le sue idee con tale forza da convincere ragazzi e investitori a sostenere la sua visione e accompagnarlo nel viaggio.

Una canzone di Jacques Brel dice:

Vi auguro sogni a non finire
la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro il canto degli uccelli al risveglio
e risate di bambini
vi auguro di resistere all’affondamento,
all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.


  1. AMA LA VITA E SEGUI IL TUO CUORE


Dov’è nato don Bosco? La sua casa natia non c’è. Per me è nato in un prato. Il ragazzino dei Becchi faceva le capriole su di un prato. Su quel prato nacque il primo oratorio. È la sua prima grande intuizione: uno spazio libero, senza confini tranne i cielo. Uno spazio per la vita. Un cortile, uno spazio in cui i ragazzi possano giocare, divertirsi, incontrarsi, lasciar esplodere le energie. Perché i bambini in cortile urlano? È il rumore della vita.

Il gioco non è passatempo e l’oratorio non è un ritrovo per buontemponi perché il gioco è il lavoro più serio dei bambini e dei ragazzi. Occorrono spazi e fonti di energia per caricare le batterie dell’entusiasmo.

Questo aspetto della pedagogia sale­siana è geniale e vitale. Basta con i "bambini d'appartamento", oggi i bambini sono tenuti in spazi chiusi. In solitudine a parlare e giocare con delle macchine.

Un grande e indimenticabile salesiano, Don Luigi Cocco, con semplicità lo esprimeva così: "I ragazzi sono come i passerotti, in gabbia muoiono".

Ma soprattutto il cortile è un luogo di profondo piacere. A troppi la parola “piacere” fa paura.

1 Il primo piacere è stare insieme. Il piacere di vivere insieme «Una gioia condivisa è doppia». La parola d’ordine dell’educatore «Io sto bene con voi». Una presenza che è intensità di vita. E’ possibile?

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2 C’era una volta un uomo che allevava pesci. Aveva un grande stagno dove guizzavano pesci di tutte le specie. Una notte l'uomo venne svegliato da un rumore che proveniva dallo stagno. Si alzò ma era buio pesto, era mezzo addormentato e non si orientava bene. Pensò di dirigersi verso il laghetto ma inciampò, si rialzò, cadde in una fossa, si rialzò di nuovo. Ad un tratto si accorse che stava an­dando nella direzione sbagliata, così tornò indietro e si mise di nuovo in marcia verso il rumore dell'acqua.

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