2010|it|12: Il vangelo ai giovani: L'inaudito trionfo

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di Pascual Chávez Villanueva






IL VANGELO AI GIOVANI


L’INAUDITO TRIONFO


Senza te, Cristo, nasciamo solo per morire; con te moriamo solo per rinascere (Miguel de Unamuno).


S


e Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede (1Cor 15,14). Indubbiamente la resurrezione è il centro della fede cristiana. Eppure, la vita dei credenti non sempre rispecchia questa convinzione. Basti pensare alla scarsità di immagini di Cristo risorto rispetto a quelle che lo rappresentano in croce. Per comprendere la resurrezione è necessario, paradossalmente, prenderne sul serio la morte. Lungo i secoli, correnti di pensiero hanno minimizzato la morte di Gesù, impedendo di capirne adeguatamente la resurrezione. Per il popolo di Israele, la morte in croce del rabbi di Galilea significava che Dio non stava dalla sua parte, non ne avallava la pretesa messianica e meno ancora la pretesa filiazione divina. Così, riguardo ai discepoli che lo videro risorto si parlò di allucinazione o semplicemente che videro quel che speravano di vedere. Due elementi appaiono nei racconti evangelici: anzitutto, che la scoperta della tomba vuota non conduce a sospettare che colui che vi era stato sepolto sia risorto; inoltre, spiega la grande difficoltà dei discepoli ad accettare che colui che vedono vivo sia proprio Gesù. Parliamo di una realtà che supera totalmente la nostra esperienza umana. Quel che ci lasciano intravedere i racconti del NT si può riassumere così: Gesù risorto è lo stesso che visse con loro e morì sulla croce, ma non è uguale. La sua identità personale è totale: egli conserva i segni della sua morte in croce, come viene manifestato nel suo incontro con l’incredulo Tommaso: “Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv 20,27).


Nello stesso testo troviamo il rapporto tra la testimonianza dei discepoli e la fede di chi, come noi, senza aver visto crede in Lui: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Mi sembra significativo che nessun racconto del NT presenti un’apparizione di Gesù risorto a sua madre: è l’unica persona per cui la morte del Figlio non costituisce una rottura della propria fede e fiducia in Lui e nel Padre. Che vuol dire, oggi, credere nella risurrezione di Gesù? Nel testo citato (1Cor 15), scopriamo che l’Apostolo non basa la nostra risurrezione su quella del Signore; al contrario, in due occasioni afferma: “Se non vi è risurrezione dei morti, neanche Cristo è risorto!”; “Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto” (1Cor 15,13.16). Con la resurrezione, Gesù non ritorna al passato, alla sua vita divina “pre-incarnatoria”, fa invece un passo avanti definitivo. In Gesù risorto incontriamo sia la pienezza della sua incarnazione, sia la pienezza della condizione umana. Egli assume per sempre la nostra umanità. È Gesù risorto che chiama per la prima volta i suoi discepoli “fratelli” (Mt 28,10; Gv 20,17). A partire da questo momento gli apostoli consacrano tutta la loro vita alla predicazione, ad annunciare “la verità su Dio e la verità sull’uomo”. L’annuncio della resurrezione del crocifisso è la “Nuova Notizia”, la migliore che un essere umano pussa ricevere. Il NT ci dice qual è la testimonianza autentica della risurrezione. “Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù… Nessuno infatti fra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato… ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno” (At 4,33-35). Non vi può essere un contesto migliore per parlare della testimonianza della resurrezione di quello che presenta il cambio di vita del credente, l’amore fraterno, la piena condivisione: “Guardate come si amano!”, esclamavano stupiti i pagani.


Don Bosco lo ha compreso perfettamente. Tutta la sua vita e il suo lavoro a favore dei giovani ha come nucleo una “spiritualità pasquale”: l’allegria che costituisce l’essenza del sistema preventivo e la chiave della santità giovanile non è l’allegria ingenua o inconsapevole di chi “ancora” non conosce le difficoltà della vita, ma quella di chi “porta i segni della croce” ma è convinto, allo stesso tempo, che nessuno e nulla lo potrà separare dall’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù (cfr Rom 8,39). Così pure la preoccupazione di Don Bosco per la ottimizzazione dell’ambiente dell’Oratorio, la “ecologia educativa” indispensabile al nostro carisma, cerca di ricreare, nell’ambiente giovanile e popolare di Valdocco, l’esperienza della prima comunità cristiana e, con ciò, giungere ad essere una autentica testimonianza della vita nuova del Risorto. Ricordiamo che “nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera” (Cost. 40). Voglia Dio che, come Famiglia Salesiana, possiamo sempre e dovunque essere autentici testimoni della Resurrezione.







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