2010|it|10: Il vangelo ai giovani: La formazione dei discepoli


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di Pascual Chávez Villanueva

IL VANGELO AI GIOVANI


LA FORMAZIONE

DEI DISCEPOLI


Per cambiare le persone bisogna amarle. La nostra influenza arriva solo fin dove arriva il nostro amore (Johann H. Pestalozzi).


A


bbiamo già riflettuto sulla chiamata dei discepoli che costituisce lo spartiacque della loro vita, fissando un ‘prima’ e un ‘dopo’ che si prolunga con la fedeltà ‘fino alla morte’. Contempliamo ora la vita in comune tra Gesù e i suoi discepoli. Egli li invita, non a imparare una dottrina o a discutere su concetti religiosi, ma a condividere la sua missione: la passione per il Regno e la signoria di Dio/Abbà che costituiscono il senso di tutta la sua vita. Non si tratta, però, solo di un lavoro da fare, ma di essere, in profondità, credenti/discepoli/apostoli. “Chiamò a sé quelli che Egli volle… ne costituì dodici… per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13-15). L’invito a essere ‘amici di Gesù’ non trasforma i discepoli in modo automatico. Le future colonne della Chiesa hanno limiti, difetti e peccati. Il Signore comincia con loro un lungo processo di formazione che terminerà solo a Pentecoste: “Quando sarà venuto lo Spirito della verità, Egli vi guiderà fino alla verità completa” (Gv 16,13).


Una delle difficoltà che Gesù incontra nei suoi in vista del discepolato è l’orgoglio e la brama di potere. Mentre Egli comincia ad annunciare la sua futura morte, essi discutono su chi sia il più grande (Mc 9,30-37). I figli di Zebedeo si fanno persino raccomandare dalla madre: “Dì che questi miei due figli siedano l’uno alla tua destra e l’altro alla tua sinistra, nel tuo regno” (Mt 20,21). Gli altri s’indignano, ma Gesù non condanna tale desiderio così umano, indica però il vero cammino per riuscirvi: “Chiunque tra di voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito ma per servire” (v.26-27). Non è facile per loro capire. In altre occasioni manifestano l’intransigenza di chi si sente al di sopra degli altri: Gesù li corregge dopo che hanno impedito a qualcuno che non apparteneva al loro gruppo di fare del bene nel suo nome (Mc 9,38-40); li rimprovera quando di fronte all’opposizione dei samaritani all’attraversamento della loro regione, invocano un fuoco dal cielo per consumarli (Lc 9,51-69). Di fronte a queste debolezze umane Gesù dimostra comprensione, pazienza e compassione. Ma non transige sull’essenziale: la fede. Essa non è ‘negoziabile’. Non gli interessa avere una folla di seguaci che si ritira davanti alla ‘durezza’ delle sue parole (Gv 6). La poca fede si manifesta pure nell’incapacità di comprendere le parabole (Mt 13,10s) che è costretto a spiegare, e anche di fronte all’annuncio della passione: “Essi non comprendevano quel che diceva e avevano paura di interrogarlo” (Mc 9,32). È l’atteggiamento di chi si accorge che è meglio non capire…


A Cesarea di Filippo, Gesù li interroga circa l’opinione che la gente ha su di lui; poi rivolge loro la domanda decisiva: “E voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29). Non basta sapere cosa dicono gli altri, nulla sostituisce l’opzione personale di fede e adesione al Signore Gesù. Questa mancanza di fede, che si concretizza nel non voler accettare il piano di Dio, e arriva all’estremo addirittura nel capo del gruppo apostolico, Simon Pietro, che Gesù rimprovera con la parola più dura che abbia mai utilizzato: “Togliti dalla mia vista, Satana, i tuoi pensieri non sono di Dio ma degli uomini” (Mt 16,23; Mc 8,31-33). Vi sono situazioni davanti alle quali non si può transigere: è in gioco l’essenza stessa del discepolato. I vangeli non nascondono nemmeno l’atteggiamento più deplorevole: l’abbandono codardo del Maestro da parte degli apostoli la notte del suo arresto, compresa la vergognosa negazione di Pietro. Eppure, anche nella notte oscura della fuga e della negazione non si spegne il lumicino che arde nel loro cuore: l’amore per Gesù, che spinge Pietro a “piangere amaramente” (Mc 14,72) e che, dopo la morte del maestro, permetterà loro di incontrarsi col Risorto e con la forza dello Spirito Santo (At 1,8). Poco si sa della loro vita, sappiamo però che furono fedeli al Signore e suggellarono questa fedeltà col sangue. Eccetto Giuda: la sua vicinanza “fisica” a Gesù non si tradusse in adesione. Ma la Chiesa non ha mai emesso un giudizio definitivo su di lui. Lasciamo nel silenzio ciò che Dio stesso ha voluto tacere.


Don Bosco, con i suoi primi salesiani, seppe seguire una pedagogia simile a quella di Gesù. Non era un nonnino bonaccione che tollera tutto; era un padre affettuoso e comprensivo ma anche esigente. “Chiudeva un occhio, a volte anche tutt’e due, davanti ai difetti e imperfezioni dei suoi giovani collaboratori”, ma era inflessibile in fatto di moralità, perché ne andava di mezzo il bene dei suoi ragazzi. Non si accontentava di mediocrità, ma presentava loro la “misura alta” della santità. Così riuscì a realizzare capolavori come Domenico Savio e gli altri giovani che morirono in odore di santità. ◄





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  1. Giovanni, Figlio di Zebedeo, fratello di Giacomo (Chiamò a sé quelli che Egli volle… ne costituì dodici…)


  1. Le future colonne della Chiesa hanno limiti, difetti e peccati. Il Signore comincia con loro un lungo processo di formazione.


  1. Don Bosco, con i suoi primi salesiani, seppe seguire una pedagogia simile a quella di Gesù.

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