RM BS 2012 06 it


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CONOSCERE DON BOSCO

PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA

2 LA GALASSIA SI ESPANDE

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3 Dall’Oratorio alla casa annessa alle scuole artigianali e ai collegi

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«A S. Francesco di Assisi io aveva già conosciuta la necessità di qualche scuola. Certi fanciulli sono alquanto inoltrati negli anni e tuttora ignoranti delle verità della fede. Per costoro il puro ammaestramento verbale sarebbe lungo e per lo più loro annoierebbe, perciò facilmente cessano di intervenire. Si provò a fare un po' di scuola, ma non si poteva per difetto di locali e di maestri opportuni che ci volessero aiutare. Al Rifugio, di poi in casa Moretta si cominciò una scuola domenicale stabile[,] ed anche la scuola serale regolare quando venimmo in Valdocco. Per ottenere qualche buon risultato si prendeva un solo ramo d'insegnamento per volta. Per esempio si faceva una domenica o due passare e ripassare l'alfabeto e la relativa sillabazione; poi si prendeva subito il piccolo catechismo intorno a cui si faceva leggere e sillabare fino a tanto che fossero in grado di leggere una o due delle prime dimande del catechismo, e ciò serviva di lezione lungo la settimana. La successiva domenica si faceva ripetere la stessa materia, aggiugnendo altre dimande e risposte. In questa guisa in otto giorni festivi ho potuto ottenere che taluni giungessero a leggere e a studiare da sé delle intere pagine di catechismo» (Memorie dell’Oratorio, 161).


La triade salesiana


Un cortile, una chiesa, una scuola: la triade essenziale della casa salesiana era viva ed efficace fin dall’inizio.

L’esperienza della “casa annessa all’Oratorio di san Francesco di Sales” trasformò l’Oratorio festivo di matrice romana (san Filippo Neri) e lombarda (san Carlo Borromeo), a cui si era ispirato don Bosco, in una realtà educativa molto più complessa e articolata, dove l’azione pastorale e catechistica, integrata dalle espressioni ludiche ed espressive, viene potenziata da un apporto formativo integrale, fatto di educazione morale e civile, istruzione, formazione professionale, accoglienza e beneficenza, esperienza di vita comunitaria profondamente coinvolgente, tensione sociale e missionaria. Ne è emerso un modello di ambiente e di comunità educativa cristiana del tutto nuovo, adatto alle esigenze dei tempi e dei nuovi giovani, capace di fecondo inserimento nei più diversi ambienti geografici e culturali, delle grandi metropoli e dei piccoli centri.

Ma il carisma salesiano, che trova nell’Oratorio festivo la sua esperienza fontale e il suo paradigma (vedi Memorie dell’Oratorio), di fatto ha potuto espandersi nel mondo intero e portare frutti educativi e formativi tali da incidere sulle realtà sociali ed ecclesiali, grazie al suo felice innesto nel collegio e nella scuola cattolica tradizionali, da esso profondamente rinnovati, e grazie alle scuole artigianali, professionali e tecniche secondo il metodo di don Bosco.


Il paradigma imprescindibile


L’Oratorio festivo rimase sem­pre l'attività più cara al cuore di don Bosco, la più fresca e dinamica delle sue istituzioni, la più vicina al sentire popolare e ai gusti dei giovani. Tutte le altre opere salesiane, per poter mantenere la loro vivacità e ispirazione pedagogica, hanno sempre dovuto modellarsi su quell’esperienza iniziale, che è il segreto della loro vitalità.

L’Oratorio le ha ispirate soprattutto in riferimento ai destinatari privilegiati (i figli del popolo); al tipo di relazione educativa mirata alla conquista della fiducia; alla spiritualità e allo zelo che deve alimentare l’educatore (il quale non deve essere solo un buon professionista della didattica o della pastorale); alla cura del cortile come luogo di incontro educativo; alla dominante “festiva” e ludica ben calibrata con quella religiosa, formativa e vocazionale.

Anche la connotazione popolare dell’Oratorio, la preferenza per i ragazzi più poveri e “pericolanti”, unita alla sua vocazione missionaria e sociale (raggiungere se possibile tutti i giovani di un territorio, attrarli e conquistarli per “trasformarli”), che lo connota sia rispetto agli oratori parrocchiali che ai ricreatori di ogni tipo — e che postula la presenza di una comunità salesiana come cuore pulsante e un coinvolgimento cooperativo a vari livelli ben coordinati, con prevalenza di aiutanti giovani (come educatori, assistenti, catechisti, “regolatori della ricreazione”… o “animatori”) —, rimase sempre un modello, una pietra di paragone e uno stimolo critico per i salesiani dei collegi, delle scuole tecniche, delle missioni e delle parrocchie.


Alla conquista del mondo


Con la fondazione della Società Salesiana (una famiglia di consacrati all’educazione cristiana dei giovani) il carisma oratoriano ha potuto espandersi ed esprimersi in realtà educative e pastorali formalmente diverse da quella dell’Oratorio festivo di origine. In questo sforzo di ripensamento e ritraduzione operativa non sempre si è avuto pieno successo, ma fondamentalmente ne è risultato un processo storico fecondo. Basti pensare che il “sistema preventivo” nella formulazione data da don Bosco nel 1877 è il tentativo riflesso di ridire il modello educativo oratoriano in funzione di una “casa di educazione” classica.

Insomma, proprio le gemmazioni successive all’esperienza di Valdocco tra 1846 e 1861 (anno di apertura della casa di Mirabello diretta da Rua) diventano stimolo efficace e fecondo, provvidenziale, per dare al carisma l’occasione di articolarsi, rafforzarsi e attrezzarsi per la sua diffusione nel mondo intero. Oltre a don Bosco, è stato il giovane don Rua l’artefice geniale di questa ritraduzione in chiave collegiale del modello oratoriano, ritraduzione che continuerà per tutto il suo rettorato nello sforzo di mediazione tra fedeltà alle radici e apertura agli appelli dello Spirito e alle esigenze dei tempi nuovi.

Il buon don Ruffino nella sua “cronaca” scrive semplicemente: «D. Rua a Mirabello si diporta come D. Bosco a Torino. È sempre attorniato dai giovani, attratti dalla sua amabilità e anche perchè loro racconta sempre cose nuove» (MB VII, 540).

Nei suoi, don Bosco in fondo esporta se stesso.