RM BS 2012 03 it


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1 3.

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CONOSCERE DON BOSCO

PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA

2 LA CORDATA

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3 Dall’impegno privato con i giovani alla costruzione di una comunità-famiglia;

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4 dal carisma personale al carisma condiviso

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Il primo gesto “ufficiale” di Gesù: «Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare, erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (Marco 1, 16-17).

Fin dagli anni del Convitto, don Bosco cerca giovani “aiutanti”: «Sebbene mio scopo fosse di raccogliere soltanto i più pericolanti fanciulli, e di preferenza quelli usciti dalle carceri; tuttavia per avere qualche fondamento sopra cui basare la disciplina e la moralità, ho anche invitato alcu­ni altri di buona condotta e già istruiti. Essi mi aiutavano a conservare l'ordine ed anche a leggere e cantare laudi sacre; perciocché fin d'allora mi accorsi che senza la diffusione di libri di canto e di amena lettura le radunanze festive sareb­bero state come un corpo senza spirito» (MO ed. 2011, p. 130).

Per don Bosco il passaggio dall’iniziativa personale ad un’azione coordinata corale avviene presto. Il carisma personale rivela fin dall’inizio una vocazione comunitaria e una propensione alla convocazione.

Sperimentò una collaborazione operativa più regolare tra 1844 e 1846, quando venne affiancato dal teol. Borel, don Pacchiotti e altri. Ma erano cooperazioni saltuarie, legate ad esigenze pratiche.

L’Oratorio decolla quando egli si insedia in casa Pinardi con la madre, trasformando l’edificio, che fino a quel momento era stato semplice sede di attività, in una “casa”, una famiglia apostolica consacrata alla missione, aperta giorno e notte all’accoglienza dei giovani poveri e abbandonati. Da quel momento l’opera sviluppa tutte le sue potenzialità, anche perché egli, abbandonato ogni altro impegno si consacra esclusivamente alla missione giovanile. È in questa situazione che don Bosco si preoccupa di radunare attorno a sé una comunità di pastori-educatori, non più solo occasionale o funzionale alle attività, che in lui riconosca il padre, punto di riferimento e il modello.


Non solo “aiutanti”


Soprattutto dopo la crisi del 1848-49, che allontanò di molti collaboratori, animati da altro spirito e metodo, don Bosco si impegnò a costruire il prototipo della comunità educativa “salesiana”, formando giovani che non fossero solo “aiutanti”, ma “discepoli” e “figli”, parte viva di una famiglia legata da vincoli affettivi e spirituali, con compiti e ruoli ben definiti e complementari, che partecipassero del suo carisma: Ascanio Savio, Rua, Cagliero, Buzzetti, Artiglia, Rocchietti, Bonetti… Essi vivevano nell’Oratorio, decisi a stare con don Bosco per dedicare la loro vita alla missione giovanile. Erano il frutto del lavoro formativo di don Bosco tra gli oratoriani e della sua direzione spirituale. Non tutti divennero religiosi. Molti continuarono a collaborare negli oratori e nelle scuole, pur vivendo nelle proprie case. Altri offrivano aiuti saltuari, soccorsi economici e sostegno morale. Ma tutti si sentivano parte attiva dell’opera salesiana, ne condivideranno il metodo, gli obiettivi e i tratti carismatici.


Una “famiglia” che educa


Quell’esperienza ha dato vita ad un modello carismatico inconfondibile di comunità educativa-pastorale. Nelle case salesiane la comunità dei religiosi radunata attorno al direttore (vero padre spirituale), coordinata nei ruoli e nei compiti, è il cuore dell’opera; ma per la sua efficacia formativa, ha bisogno di coinvolgere l’adesione cooperativa e affettiva dei giovani migliori, quali attivi animatori spirituali e educatori dei compagni, e di costruire una vasta rete di collaborazione operativa e morale, a più livelli (a cerchi concentrici), tale da conferire alle opere dinamicità, efficacia e continuità.

L’istituzione salesiana ha potuto estendersi al mondo intero grazie a questa vocazione comunitaria del carisma di don Bosco, il quale sapeva che per ben educare i giovani bisogna essere in tanti, affiatati attorno agli stessi ideali e allo stesso spirito, nella fraternità, disposti a cooperare cordialmente col direttore, a dare con gioia tutto se stessi, ciascuno secondo il proprio stato di vita. La storia dell’opera salesiana in ogni parte del mondo ha dimostrato che i “liberi battitori”, per quanto capaci o efficienti, se privi di appartenenza e sganciati dalla comunità, hanno costruito realtà caduche.

Invece le comunità salesiane unite nel lavoro e nella fraternità, anche composte da persone semplici, se ben radicate nel territorio e preoccupate di coinvolgere e convocare, hanno portato avanti con efficacia un lavoro dai profondi e fecondi riverberi sulle comunità civili ed ecclesiali nelle quali erano inserite.

5 Come affermano le Costituzioni dei salesiani: «Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione» (Articolo 49a).

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