2010|it|09: Il vangelo ai giovani: Le parabole del regno


STRENNA 2010

di Pascual Chávez Villanueva


I L VANGELO AI GIOVANI


LE PARABOLE DEL REGNO


Anche il più intelligente degli uomini ha bisogno di parabole per capire qualcosa di Dio (Anonimo).

Ddopo aver presentato varie parabole di Gesù, l’evangelista Marco sintetizza: “[Gesù] con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa” (Mc 4,33-35; Mt 13,34-35). L’affermazione costituisce uno dei tratti storicamente più sicuri della predicazione di Gesù. Ecco alcune caratteristiche delle parabole. Innanzitutto, il linguaggio popolare e concreto che sottolinea la vicinanza alla vita reale e quotidiana degli ascoltatori, anche i più umili: una casalinga che perde una moneta e la cerca in tutti gli angoli fino a ritrovarla e fa festa; un pastore che smarrisce una pecora, un seminatore che sparge il seme in vari tipi di terreno, un pescatore che separa i pesci buoni da quelli immangiabili, un padre che si preoccupa della situazione dei figli... L’uso di immagini e narrazioni, attinte dal quotidiano o inventate per esemplificare il messaggio, serve a comunicare la Buona Notizia in modo più chiaro e incisivo di quanto potrebbe farlo un’esposizione concettuale. L’importante è che la narrazione rimandi al contenuto che si vuol trasmettere. Io stesso ho vissuto questa esperienza: ovunque incontro persone che mi parlano dell’ombrello giallo, o del quadro di “Don Bosco burattinaio” (che rappresenta una delle parabole più toccanti di Gesù) figure che ho usato in strenne recenti. S’impara assai di più con le immagini che con la lettura “teorica” o l’ascolto concettuale.


Occorre anche sottolineare che a differenza di quanto capita nella “civiltà dell’immagine”, Gesù non risparmia all’ascoltatore la necessità di cercare il senso della narrazione; alcuni parlano di un linguaggio a volte “enigmatico” da parte del Signore, tant’è che gli stessi discepoli lo pregavano di spiegarlo, e due evangelisti arrivano persino a interpretare un paragone usato da Gesù in due sensi diversi, anche se complementari (Mt 12, 38-40 e Lc 11,29-30). Inoltre, Gesù spesso va oltre il racconto, invita a lasciarsi interpellare da esso, evitando di fermarsi all’ascolto “passivo”. Quante volte capita, ad esempio, di emozionarsi e preoccuparsi di come continuerà la telenovela favorita, e non ci si preoccupa di quanto succede attorno a noi, a volte nella nostra stessa famiglia! Nella Sacra Scrittura troviamo esempi di questo pericolo: il re Davide, ascoltando un racconto di Natan, s’indigna, senza accorgersi che il profeta gli sta presentando, sotto forma di parabola, la sua stessa azione e il suo doppio peccato. Quante volte abbiamo bisogno che qualcuno ci dica, come a Davide: “Tu sei quell’uomo, tu sei quella donna!” (2Sam 12). Nel vangelo di Luca troviamo il fariseo Simone che, davanti a una breve narrazione di Gesù su due debitori, giudica correttamente, senza accorgersi che si sta mettendo lui stesso “il cappio al collo” (Lc 7,36-50). Siamo capaci di giudicare gli altri, ma non di approfondire la nostra situazione personale.


Le parabole esortano a un cambio di mentalità, senza il quale apparirebbero inammissibili o scandalose: vedi il padrone della vigna che paga con un denaro sia chi ha lavorato otto ore sia che ha lavorato solo un’ora (Mt 20,1-16); o l’amministratore infedele che trucca i conti (Lc 16,1-8), o la bellissima (ma sconcertante per i criteri umani) figura del padre buono davanti ai due figli. Se non suscitano in noi sorpresa e persino malessere, forse è perché vi siamo troppo abituati... Oggi, ci sono scrittori che per la conclusione dei loro romanzi preparano finali diverse, offrendo al lettore la possibilità di “scegliere” quella che preferiscono. Sembrerebbe che Gesù faccia qualcosa di simile, ma la ragione è diversa: certe parabole rimangono “aperte” perché fanno appello alla libertà umana, ossia, alla conversione. In quella del figliol prodigo (Lc 15,11ss), non sappiamo se il figlio maggiore alla fine abbia preso parte alla festa, ma sappiamo che quelli che gli somigliano, cioè gli ascoltatori di Gesù (Lc 15,1-2), sono invitati ad accettare l’amore e il perdono di Dio. Più o meno la stessa cosa possiamo affermare della parabola del buon samaritano (Lc 10,29ss): davanti a una risposta teoricamente “corretta” del dottore della Legge, Gesù lo invita a metterla in pratica: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (v. 37). Le parabole sono la quintessenza del suo messaggio, incentrato nella meraviglia dell’amore e misericordia del Padre (Abbà) verso tutti. Don Bosco ha compreso perfettamente questo tratto tipico della predicazione di Gesù nell’educazione dei suoi ragazzi; più che elaborare trattati concettuali e astratti presenta esempi attinti alla Scrittura o agli eventi della storia, o inventa storie e parabole. In particolare, quando invita i giovani dell’Oratorio a vivere nell’amore a Dio e al prossimo, che costituisce l’autentica santità giovanile, non prepara trattati ascetici ma presenta modelli di vita: mi riferisco alle Vite che incarnano questo percorso di santità, molto diverse per carattere e origine familiare. Pensiamo a san Domenico Savio, a Michele Magone, a Francesco Besucco...






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