2010|it|07: Il vangelo ai giovani: La magna charta del regno

S TRENNA 2010

di Pascual Chávez Villanueva


IL VANGELO AI GIOVANI


LA MAGNA CHARTA DEL REGNO


Le beatitudini: ecco la rivoluzione permanente del Vangelo, ecco le frasi che scardinano tutte le certezze, ecco le regole della santità (Anonimo).

N

el Vangelo di Matteo, il primo discorso in cui Gesù presenta il Regno di Dio, comincia con una parola che va diretta alla mente e al cuore dei suoi ascoltatori di allora e di ogni tempo: “felici… felici… felici…’ ripetuto nove volte. Si tratta delle cosiddette “beatitudini”. L’annuncio del Regno consiste dunque in una promessa di felicità. Non sono un codice morale o un nuovo decalogo. Come scrissi, in una lettera all’inizio del mio mandato, “tutto è unificato nella centralità del Regno: per questo è stata definita “la magna charta’ della proclamazione del Regno”, in cui la paternità di Dio non si caratterizza per il suo dominio, al contrario: il suo dominio viene determinato dalla sua paternità; così nel Regno dei cieli non vi né schiavi né servi, ma figli” (ACG 384, p.24). Nella stessa lettera indicavo, però, che spesso ci si dimentica di questa prospettiva, e quel che Gesù dice in seguito sembrerebbe una radicalizzazione della Legge antica, impossibile da portare a compimento; invece Gesù sta presentando come sarebbe il mondo e la convivenza umana se prendessimo sul serio le sue parole e collaborassimo nella costruzione del suo Regno. Allora nel mondo non solo non vi sarebbero assassini ma nemmeno offese o disprezzo; né adulteri né furti; e avremmo tanta fiducia vicendevole che non vi sarebbe bisogno di nessun tipo di giuramento. È “l’utopia del Regno”, che oserei definire “il sogno di Gesù”.

Nel vangelo di Luca troviamo anche l’opposto delle beatitudini, che qualcuno ha definito “maletudini” (Lc 6,24-26). Non si tratta di maledizioni, Gesù vuole la salvezza di tutti, ma di seri avvertimenti, varianti dei medesimi atteggiamenti di fondo: l’orgoglio e l’autosufficienza. Maria l’aveva denunciato nel Magnificat: superbia, potere, ricchezza (cfr. Lc 1, 51-53) impediscono di accogliere il Regno come dono. Gesù ammonisce, con la massima serietà, circa la possibilità di non accogliere il Regno e per ciò di rimanere nelle tenebre della solitudine e del fallimento. Più di uno si domanderà perché allora la vita cristiana è vista da molti come fonte di obblighi, osservanza di norme, giogo da cui liberarsi. Abbiamo presente la polemica in seguito all’autobus inglese con la scritta: “Probabilmente Dio non esiste; non ti preoccupare e goditi la vita”. Sembrerebbe che occorra togliere di mezzo Dio per essere felici. Da dove viene un’opposizione così radicale alle ‘beatitudini’? Il Vangelo dà la risposta. Analizzando le beatitudini, ci si rende conto che i cammini che Gesù presenta non sono quelli che il mondo offre. Basta leggere la 1° lettera di Giovanni: “Tutto ciò che vi è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, lo sfarzo della ricchezza non è dal Padre, ma dal mondo” (1 Gv 2,16). E c’è un invito per i giovani: “Scrivo a voi, o giovani, perché siete forti e la parola di Dio dimora in voi” (1 Gv 2,14b). Questo non significa che bisogna disprezzare il mondo, e/o fuggire da esso. Al contrario: “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo unigenito” (Gv 3,16). Facendo allusione a questo, Paolo VI lasciò scritto: “La Chiesa deve amare il mondo. Ma ciò non significa essere simili ad esso, diventare mondani. Amare il mondo significa conoscerlo, studiarlo, servirlo”.


Possiamo ancora approfondire il significato delle beatitudini. Nel Nuovo Testamento la prima beatitudine non compare nella predicazione di Gesù, ma ben prima. Si trova nell’incontro di Maria con Elisabetta che si congratula dicendo: “Beata te che hai creduto, poiché si compirà quel che ti è stato promesso da parte del Signore” (Lc 1,45). E l’ultima beatitudine evangelica è nell’incontro di Gesù risorto con con Tommaso: “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29). È straordinariamente significativo che ambedue, le beatitudini abbiano come contenuto lo stesso atteggiamento: la FEDE. Essa permette di comprendere e di accogliere le altre. Solo dal punto di vista della fede possiamo comprendere che il cammino della nostra vera realizzazione passa attraverso la croce e la morte, per giungere alla pienezza nella Risurrezione. Don Bosco fu particolarmente sensibile al carattere gioioso della vita cristiana e nel “Giovane Provveduto” richiama l’attenzione dei giovani sull’inganno di cui si serve il demonio per allontanarli dalla pratica religiosa, facendo credere che è fonte di tristezza, noia e frustrazione. Niente di più falso. La vita cristiana, in quanto sequela di Gesù, è l’unico cammino verso la vera felicità. Così predicò instancabilmente Don Bosco e così fu compreso dai suoi ragazzi, con Domenico Savio che arriva a coniare il tipico motto salesiano: “Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri”.