2006|it|10: Famiglia culla della vita: Non è un tabu'

150 - MAMMA MARGHERITA - 150

di Pascual Chávez Villanueva


FAMIGLIA CULLA DELLA VITA


NON E’

UN TABU’


La morte fa parte della vita, ma oggi… Un tabù per i più piccoli, ma anche per i grandi. La morte non porta via per sempre le persone. Il ricordo e la fede. Don Bosco e la morte.

Un tempo, la morte faceva parte della vita. Adulti e bambini non si meravigliavano di incontrarla. Con l’urbanizzazione e la medicalizzazione gli uomini si sono allontanati dalla realtà semplice e naturale del morire, e mancano parole e gesti per dire e vivere questo morire moderno, spesso solitario, deritualizzato, che per i più è solo simbolo di un fallimento della medicina. Così il contesto della morte è profondamente cambiato, come il rapporto che noi abbiamo con il limite di tutti i limiti. La morte mette forzatamente la famiglia di fronte a un ventaglio di scelte.


Si può scegliere di “negare” la morte. Pascal già tre secoli fa scriveva: «Non essendo riusciti a vincere la morte, gli uomini hanno deciso di non pensarci più». Così, nei riguardi dei piccoli, il concetto di morte diventa un tabù simile a quello che per lungo tempo ha riguardato la sessualità. In questo modo si nega alla morte l’iscrizione nella logica della vita, non la si riconosce come una legge scritta nell’esistenza, si svuota del senso e se ne fa un incidente. Si tratta ovviamente di un tentativo fallimentare: film, telefilm, telegiornali e giochi elettronici sono zeppi di morti in quantità industriale e a portata di bambino. L’elaborazione del concetto di morte si fa per tappe successive nel corso delle quali il bambino integra progressivamente i diversi aspetti della morte fino a quando, verso gli otto anni, arriva a capire il suo carattere irreversibile e universale. E cominciano le domande: Che cosa c’è dopo? Si sparisce del tutto? La morte è un punto fermo nella vita o solo una virgola? La morte prenderà anche noi? Anche la mamma e il papà? E non li vedremo mai più? Devo morire anch’io? La morte è sempre immersa in un magma di sofferenza e la famiglia è il luogo in cui il lutto si può comprendere ed elaborare. Gli esseri umani conoscono un sentimento unico chiamato consolazione che quasi sempre riesce a eliminare il dolore spirituale. Anche i bambini lo sanno: piangere in braccio alla mamma o al papà li fa stare meglio. Piangere insieme, condividere il dolore può aiutarci a sopportare le perdite più strazianti. L’amore non muore e in qualche modo, la solidarietà e la vicinanza riempiono il vuoto lasciato da chi è morto.


Si può tentare anche con la “memoria: la morte non porta via per sempre le persone che amiamo, se sappiamo ricordarle. Il ricordo sembra quasi un modo per tenere vive le persone defunte. Per questo si va a portare un fiore sulla sua tomba, al cimitero, e si parla di lui. Per ricordare i grandi si dà il loro nome a una strada o a una piazza, si costruiscono monumenti o fondazioni. Con il ricordo, chi non c'è più continua a essere presente. Nel cuore delle persone amate, il ricordo di chi è morto può essere molto forte e molto dolce tanto da portare sollievo e lenire il dolore.


Si può anche scegliere una via “razionale”. Questo mondo non è la nostra casa, è solo una specie di albergo: siamo ospiti per un po’ e poi basta. Ogni giorno c’è qualcosa che nasce e qualcosa che muore, gente che parte e gente che arriva. Ma a una questione così radicale solo il Creatore è in grado di rispondere. E lo ha fatto, perché ha dato al problema della morte una risposta che mai l’uomo avrebbe potuto immaginare. Ha attraversato lui stesso la morte e l’ha eliminata aprendo a tutti gli uomini la via per la vita eterna. In questo modo nessuno potrà mai dire: «Il mio Dio non sa che cosa vuol dire…». Dall’idea cristiana di morte si trae la forza di vivere. Chi crede in Gesù crede in questa promessa: quando Dio ama qualcuno, lo fa vivere per sempre. «Dio non distrugge la vita che ha creato! La trasforma». La vita non è fatalità stupida e crudele, ma responsabilità, perché tutti abbiamo un appuntamento da non mancare. È proprio parlando di morte che la fede fa la differenza. I cristiani non dicono «la vita è bella ma poi purtroppo si muore», ma «la vita è bella e poi finalmente si muore». Uno dei compiti educativi essenziali è proprio quello di rivelare ai giovani che hanno in mano la scelta tra la vita e la morte ogni giorno. In questa prospettiva, le dimensioni educative della famiglia assumono una tonalità assolutamente particolare. La vita è una sola. Comincia su questa terra e continua nella “casa” di Dio. La famiglia credente s’immerge in un clima di gioia, di speranza radicale e sperimenta la forza di una meta esaltante.


Quale fu la parola più pronunciata da Don Bosco? Scrisse don Alberto Caviglia: «A svolgere le pagine che riportano parole e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni sopportazione delle avversità». Se festa è l’inizio e festa la fine, in mezzo si vive impregnati di festa. «Noi siamo gente di festa», afferma un canto salesiano. «Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!», ripeteva Don Bosco in mezzo alle difficoltà.




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  1. Un tempo le stesse lapidi dei defunti esprimevano la fede dei familiari e dello stesso estinto, che non di rado lasciava detto ciò avrebbero dovuto scrivere sulla sua lapide.


  1. La morte arriva anche nella maniera più imprevista… Ecco il calco di una figura umana a Pompei, morta nell’eruzione del Vesuvio del 70 d. C.


  1. A cavallo tra il ME e il Rinascimento andò in voga il genere letterario “Ars moriendi”, l’arte di morire. In questa xilografia appare il moribondo circondato da Dio Padre, Gesù e alcuni santi patroni, mentre l’angelo custode tiene a bada i demoni.