2007|it|03: Amare la vita: In rapporto con...


SShape2 Shape1 TRENNA 2007

di Pascual Chávez Villanueva





AMARE LA VITA


IN RAPPORTO CON…


L’uomo chiamò la sua donna con il nome di “Eva” (Vita) perché è la madre di tutta l’umanità. Allora Dio il Signore fece per Adamo e la sua donna tuniche di pelle e li vestì, poi Dio disse: ecco l’uomo è diventato come un Dio che ha la conoscenza di tutto” (Gen. 3,20 ss).

D


al momento in cui è stato creato a immagine di Dio, che è un Dio Trinità, vale a dire un Dio comunione di persone, l’uomo preso a sé, come individuo isolato, non può essere “a somiglianza di Dio”; assomiglierà a Dio/comunità solo se lui stesso farà/sarà comunità (famigliare o sociale che sia). La Genesi infatti, dopo aver affermato che Dio creò l’uomo a sua immagine, aggiunge: “Uomo e donna li creò”. E affidò loro la cura del creato e mise nelle loro mani la responsabilità della storia. L’essere umano è un essere-in-relazione, un essere pluridimensionale.


L’uomo, dunque, è chiamato in primo luogo a mettersi in rapporto da signore con la creazione, esercitando un “dominio” su di essa finalizzato a “curarla” per renderla sempre più clemente a servizio di tutti gli uomini e le donne del mondo. Questo lo fa attraverso la sua intelligenza, applicata alla scienza e alla tecnologia, il che dà luogo al progresso e al benessere. Ma l’uomo è chiamato pure a mettersi in rapporto da fratello con l’altro, senza nessuna pretesa di dominio su di lui, ma solo con la responsabilità di curarsi di lui, come un pastore cura il gregge che gli è affidato. Questa operazione è possibile solo a chi possiede un grande amore per il prossimo che porta a essere solidale e a costruire insieme la famiglia umana, senza distinzione di razze, colore della pelle, lingua, cultura, popolo o nazione. L’uomo, ancora, è chiamato a mettersi in rapporto personale con sé stesso, prendendo coscienza di tutte le sue dimensioni e cercando di svilupparle armonicamente senza che nessuna prenda il sopravvento a scapito delle altre, sì da raggiungere l’armonia e l’unità interiore di corpo, cuore, mente, spirito. Ciò è possibile per chi conosce profondamente se stesso e può inferire sulla sua vocazione e sui doveri che comporta. San Paolo lo riassume in una frase lapidaria: siamo stati creati da Dio per essere conformi all’immagine del Figlio suo (Rom 8,29).


E, last but not least, l’uomo è chiamato a mettersi in rapporto filiale con Dio. Di fronte a lui non possono sussistere atteggiamenti che, essendo sbagliati, rischino di non farci arrivare al traguardo. Mi riferisco a una doppia tendenza, quella di chi pensa Dio come un padrone da servire, il quale può arbitrariamente disporre di noi, o quella di chi pensa Dio come un giudice severo che minaccia la nostra libertà e felicità. Se la prima immagine di Dio incute paura e porta a un rapporto di schiavo nei confronti del suo padrone, la seconda spinge alla ribellione e persino al tentativo di eliminare questo dio per essere finalmente noi stessi quello che dobbiamo e vogliamo essere. Gesù si è rapportato con Dio non come uno schiavo o un ribelle, ma come un figlio. Anzi, il tratto più caratteristico di Gesù è appunto la sua immagine di Dio come padre, al quale si rivolgeva con il tenero termine di “Abba”, Papà. Sembrava non avere occupazione migliore che “fare la volontà di suo padre”, anzi era consapevole che la sua missione nel mondo era quella di fare il volere di suo padre, e dichiarava persino che quello era il suo cibo. Questa dimensione la si realizza attraverso la fede, che ci apre a Dio amato come sommo bene..


Oggi si sta imponendo, almeno in certi parti del mondo, una fase di secolarismo tale che ci si vuol vivere etsi Deus non daretur - come se Dio non esistesse - per cui la fede è consentita a uso privato, senza nessun risvolto sociale o politico. La situazione diventa peggiore là dove si imposta un agnosticismo che porta a credere nella trascendenza illimitata del progresso tecnico e scientifico e della coscienza umana, ma senza trascendenza esistenziale. E non mancano atteggiamenti ed esperienze di ateismo puro e duro. Direi che queste tendenze riduttive non sono nuove, anche se oggi sono più aggressive e subdole. È sempre esistita la tentazione di ridurre l’uomo a una sola dimensione a detrimento delle altre, provocando così una cultura di morte. In effetti, la cultura è la forma tipica in cui l’uomo si rapporta con la natura, con gli altri, con sé, con Dio. E, alla fine, si deve riconoscere che soltanto quando l’uomo ha un’autentica relazione con Dio si relaziona bene anche con gli altri. Da questo punto di vista, il modello sul quale costruire la propria esistenza con garanzie di successo davanti agli interrogativi fondamentali della esistenza umana (vita e morte), è Gesù.