301-350|it|331 La «Nuova Evangelizzazione»

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LA «NUOVA EVANGELIZZAZIONE»



Introduzione. - La preoccupazione «pastorale» del Concilio. - Novità di frontiere. - Novità di prospettive. - La «suprema Novità». - Novità di presupposti dottrinali. - Novità di metodo e di linguaggio. - Novità di operatori. - Novità anche di pericoli. - L’indispensabile «interiorità apostolica» degli evangelizzatori. - Conclusione

Lettera pubblicata in ACG n. 331



Roma, 8 settembre 1989

Natività della Beata Vergine Maria


Cari Confratelli,


si avvicina la celebrazione del CG23. In questo mese di settembre la Commissione precapitolare «redigerà, sotto la responsabilità del Regolatore, d’intesa con il Rettor Maggiore, le relazioni o gli schemi da inviare con sufficiente anticipo ai partecipanti al Capitolo Generale».1

Sono giunti nei mesi scorsi e sono stati analizzati dal Consiglio Generale gli Atti dei Capitoli ispettoriali. Approfitto per congratularmi con ogni Ispettoria per la serietà, la partecipazione attiva e la fraternità con cui sono stati preparati e si sono realizzati i lavori capitolari.

Il tema dell’educazione dei giovani alla fede è vitale ed è una delle più gravi urgenze per la Chiesa e, in modo del tutto particolare, per noi. «La Chiesa — ci ha scritto il Papa — ha tante cose da dire ai giovani, e i giovani hanno tante cose da dire alla Chiesa. Questo reciproco dialogo, da attuarsi con grande cordialità, chiarezza e coraggio, favorirà l’incontro e lo scambio tra le generazioni, e sarà fonte di ricchezza e di giovinezza per la Chiesa e per la società civile».2

Penso sia utile illuminare un compito tanto urgente con alcune riflessioni generali e introduttive sulla «nuova evangelizzazione», di cui parlano, oggi, il Papa ed i Vescovi.



La preoccupazione «pastorale» del Concilio


L’assoluta urgenza di una nuova evangelizzazione per tutti era già stata proclamata nel Concilio Ecumenico Vaticano II. Ricordiamo l’impressione e le reazioni suscitate dal discorso di apertura del Papa Giovanni XXIII: «Lo spirito cristiano, cattolico ed apostolico del mondo intero — disse — attende un balzo innanzi. Altra cosa è il deposito della fede, ed altra la forma con cui vengono enunciate le verità contenute nella nostra dottrina. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione».3

Rispondendo a questa urgenza sottolineata dal Successore di Pietro, il Concilio ha assunto un taglio tipicamente «pastorale», progettando tutta l’azione della Chiesa verso una nuova tappa apostolica.

Nel 1985, il Sinodo straordinario a vent’anni dal Concilio ha commentato e rilanciato questa laboriosa ricerca pastorale, assicurando la sua robustezza dottrinale e la sua continuità all’interno di una Tradizione viva: «Non è lecito — leggiamo nella Relazione finale — separare l’indole pastorale dal vigore dottrinale dei documenti (conciliari). Così anche non è legittimo scindere spirito e lettera del Concilio. Inoltre il Concilio deve essere compreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa ed insieme dalla stessa dottrina del Concilio dobbiamo ricevere luce per la Chiesa odierna e per gli uomini del nostro tempo».4

C’è, dunque, un’urgenza di «novità di forma» che esige una conversione pastorale, ma con robustezza e integrità di dottrina in profonda e cosciente sintonia con la vitalità della Tradizione cristiana sotto la guida degli Apostoli e dei loro successori.

Così ha affermato lo stesso Concilio: «È chiaro che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che non possono indipendentemente sussistere, e che i tre insieme, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l’azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime».5

La nuova evangelizzazione, perciò, dovrà collocarsi nell’alveo secolare della Pasqua e della Pentecoste vissuta dalla Chiesa sotto la guida dei Pastori, coltivando una peculiare sensibilità agli attuali segni dei tempi.

È bene ricordare che con il Concilio si è approfondito il concetto stesso di «pastorale». Essa non è solo una attività settoriale della Chiesa, limitata alla catechesi e alla liturgia, ma coinvolge tutta l’opera educativa e promozionale dell’uomo. Il Vaticano II ha proclamato l’importanza, la natura e l’autonomia delle realtà temporali che non sono da strumentalizzare, ma da rispettare e promuovere secondo le proprie finalità volute da Dio Creatore; il Concilio ha aggiunto, però, che queste realtà devono essere convogliate verso una sintesi vitale che le incorpori all’opera evangelizzatrice della Chiesa per la ricapitolazione di tutto nel mistero di Cristo. Basti ricordare, tra le tante affermazioni conciliari, una assai significativa della Costituzione pastorale Gaudium et spes: «Siano contenti i cristiani, seguendo l’esempio di Cristo, che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali scientifici o tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i valori religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio».6

La pastorale, dunque, permea l’impegno globale dell’uomo trasfigurandolo con la fede: essa, la fede, è criterio che orienta, è finalizzazione che coordina e dà a tutto un significato cristiano; si riferisce non solo alla attività interna della Chiesa, ma anche alle attività proprie della stessa società: infatti il Popolo di Dio deve essere «sacramento universale» di salvezza nel mondo: «Pretendere che un solo elemento della vita umana — ha detto Giovanni Paolo II ai Vescovi del Cile — sia autonomo rispetto alla legge di Dio è una forma di idolatria».7

C’è da osservare, però, che il divenire della società ha portato acceleratamente in questi decenni delle interpellanze inedite alla pastorale.

Ci siamo chiesti, in questi anni, quali siano le novità che sfidano la pastorale. Il Vangelo non cambia; la fede è sempre adesione sincera a Cristo; che cos’è allora che porta delle novità che interpellano?

La risposta non è semplice. Propongo alla vostra riflessione alcune delle novità con cui bisognerà che si confronti oggi la nostra attività di evangelizzatori.



Novità di frontiere


Un primo elemento pastorale di novità è l’odierno divenire umano con i complessi problemi della cultura emergente e dell’incalzante ristrutturazione sociale. L’uomo d’oggi ha bisogno, come quello di ieri, del Vangelo, ma come risposta di Dio a delle interpellanze nuove.

La recente Esortazione apostolica sui fedeli laici, nel suo capitolo 3°,8 indica alcune frontiere particolarmente bisognose oggi di essere illuminate dalla Parola di Dio: esse sono «culturalmente» nuove.

Ricordiamole succintamente indicandone le vaste aree: la dignità della persona umana, i diritti inviolabili alla vita, la libertà religiosa, la famiglia come primo spazio per l’impegno sociale, la solidarietà nei suoi vari livelli, l’impegno politico proprio di una convivenza di democrazia, la complessa problematica economico-sociale e, infine, come sintesi del tutto, la cultura (o le culture).

Si tratta, in definitiva, di risolvere l’angustiante dramma del divorzio fra cultura e Vangelo denunciato nella Evangelii nuntiandi. Ciò richiede di prendere sul serio la «svolta antropologica» di cui parlò Paolo VI: il Concilio si è «rivolto» e non «deviato» verso l’uomo; e ricordare l’affermazione di Giovanni Paolo II che la strada della Chiesa è l’uomo. C’è da considerare con discernimento di fede il crescente processo di secolarizzazione e gli altri segni dei tempi; essi sono di per sé ambivalenti, ma, anche se protesi di fatto verso interpretazioni riduttive e fuorvianti, portano tuttavia speciali valori ed hanno bisogno di aprirsi alla luce di Cristo per scoprire la pienezza di verità del suo Vangelo. Prescindere da essi con insensibilità o giudicarli negativamente con unilateralità rende incapaci di evangelizzarli. Bisogna ricondurre l’intelligenza alla fede, non malgrado ma grazie alla cultura.

Ma, nel valorizzare la cultura emergente, non si incorrerà forse nel pericolo del secolarismo? Ciò potrebbe anche succedere nei casi di carenza di preparazione; ma non bisogna dimenticare che tutti i fedeli vivono nel divenire del secolo e che la «dimensione secolare» della Chiesa è inerente alla sua condizione di pellegrinaggio nel mondo. D’altra parte i nostri destinatari giovani (che sono «laici») devono venir formati nel loro ambiente storico e saper testimoniare la vocazione cristiana negli impegni propri della loro «indole secolare».9

Dunque, bisogna acquisire tutte le competenze necessarie per rispondere evangelicamente alle interpellanze che provengono da queste nuove frontiere del secolo.



Novità di prospettive


La mentalità che si è venuta affermando con il progredire dei segni dei tempi è prevalentemente rivolta al futuro. I processi di socializzazione, di liberazione, di secolarizzazione, di promozione della donna hanno aiutato a far pensare che nella progettazione del futuro si esprime la verità profonda dell’uomo; è suo compito connaturale agire per trasformare il mondo, tanto più se è deturpato da deviazioni e da ingiustizie. Le ideologie apparse lungo il nostro secolo hanno proclamato, anche se nella loro caduca settorialità, l’urgenza di determinati cambi, magari a costo di mezzi inumani e cruenti.

Si può dire che il concetto di «storia» che oggi piace si riferisce di più al futuro che al passato: più che memoria (la quale rimarrebbe pur sempre utile come ammaestramento), si considera la storia progetto da elaborare e da realizzare; ci si vuol sentire protagonisti di un avvenire più umano e superiore. Cresce la sensazione della necessità di un continuo rinnovamento. Si dà molta importanza alla concretezza d’impegno e alla capacità operativa; si approfondisce e si sviluppa, così, un nuovo rapporto tra teoria e prassi. Infatti, il primato del futuro è connesso alla centralità della prassi.

Una simile novità di prospettive non è da considerarsi moda superficiale, anche se va debitamente ridimensionata. Qui ci interessa il fatto culturale che tale mentalità è diffusa e che l’evangelizzatore deve fare i conti con essa. È un modo nuovo di considerare le situazioni e le priorità da privilegiare; suggerisce soluzioni e decisioni originali, fa guardare all’esistenza come a un continuo compito di liberazione personale e sociale.

In un simile clima c’è bisogno di ritrovare nel Vangelo le molle e i criteri di futuro che gli sono propri; vanno inoltre ripensati e spiegati adeguatamente certi valori fondamentali del Cristianesimo espressi con concetti che sembrano un tanto alieni alla sensibilità odierna, come quelli di «tradizione», di «osservanza», di «indissolubilità», ecc. Non è che essi non siano da ritenere fondamentali anche oggi, ma il modo di esprimerli fa correre il pericolo di renderli obsoleti ed ermetici, incapaci quindi di trasmettere i loro veri e preziosi contenuti.

Dare un posto privilegiato alla prospettiva di futuro, accompagnarla con l’inventiva e l’operosità, illuminarla con nuovi ideali di crescita, significa cambiare gli schemi psicologici del pensare sociale, soprattutto tra i giovani. Ciò incide non poco sulla ricerca di una «nuova forma» di evangelizzazione che non tradisca l’integrità del messaggio.

È interessante osservare come questa mentalità apre prospettive su nuovi orizzonti: più che di guerra e di potenza, si parla di pace, di giustizia, di ecologia, di solidarietà, ecc., e da ciò sgorga la progettazione di modelli differenti a cui aspirare; vari movimenti sociali sono sorti a proclamarne l’originalità.

È come se si ridonasse all’umanità un’ora di primavera con fantasia giovanile. È un segno particolarmente espressivo dei profondi cambiamenti culturali in corso. Tutto sommato, è, questa, una novità di per sé entusiasmante.

Purtroppo però — come abbiamo già osservato — le cose umane sogliono essere di fatto ambigue, e ciò che a prima vista appare affascinante può tramutarsi in utopia caduca o in deviazione deludente.

Il tempo non è solo futuro; lo stesso futuro nasce dal passato! La novità che vale ha sempre bisogno di radici.

Ciò che ad ogni modo importa tener presente in questo caso è che il Cristianesimo, per sua specifica natura, è profondamente rivolto al futuro e che è chiamato ad essere nei secoli peculiarmente «esperto in novità». Giustamente i Padri hanno detto che la storia della Chiesa va da cominciamento in cominciamento fino al cominciamento finale: lungo i secoli l’opera dell’evangelizzazione incomincia sempre e non si conclude mai.

È bello osservare, qui, che Don Bosco ci dà una preziosa lezione di sensibilità storica, sia con la sua rilettura della memoria del passato, sia con il suo impegno creativo in una prassi pastorale di futuro. Ha saputo, da una parte, considerare nei secoli la specifica missione evangelizzatrice della Chiesa (pensiamo ai suoi scritti di storia della Chiesa e dell’Italia) e, d’altra parte, illuminato da questa saggezza secolare, si è dedicato coraggiosamente e con inventiva a dare risposta evangelizzatrice alle nuove sfide dei tempi: è stato un pastore rivolto al futuro, possiamo dire anche santamente «utopico», perché si è immerso nei nuovi problemi della gioventù bisognosa stimolando l’inventiva delle sue doti e doni personali e del suo carisma di fondatore, per formularne una risposta adeguata. È stato un santo suscitato dallo Spirito come valido profeta per i tempi nuovi. Dobbiamo saper guardare a lui come maestro di un nuovo cominciamento della pastorale giovanile.


La «suprema novità»

Ma non basta considerare le novità culturali di tipo cronologico che accompagnano l’evolversi del divenire umano. Oggi, come ieri e come domani, permane viva, affascinante e decisiva la suprema novità del Cristianesimo nella storia: quella della Pasqua del Cristo. È una novità di tipo storico-teologale. Non è sufficiente riconoscerne in astratto l’eccezionalità; urge presentarla come la più importante «notizia» per l’oggi, che stupisce, che rinnova, che sa rispondere agli interrogativi più angustianti, che apre la vita di ognuno e la storia dell’umanità alla trascendenza: si tratta della misteriosa dimensione escatologica (ossia, della meta finale, già in qualche modo presente) che incide anche sulle culture umane, le illumina, le giudica, le purifica, ne discerne e ne può promuovere i valori emergenti.

La nuova evangelizzazione poggia tutta su questo evento supremo: il «novissimo» per eccellenza! Non c’è, né ci sarà mai novità più grande di questa: è metro di confronto per ogni altra novità; non invecchia; è la perenne massima meraviglia dell’inserzione di Dio nella storia; è la creazione nuova che si anticipa nel nostro mondo vecchio. Bisogna saper rendere visibile e comunicare questa suprema novità.

Il qualificativo «nuovo» riferito alla cultura indica semplicemente un’emergenza nel divenire, anche se richiede una attenta e rinnovata forma di pastorale; riferito, invece, al mistero di Cristo, il qualificativo «nuovo» indica la pienezza della vera e definitiva novità. È nuova non perché non l’abbiamo mai sentita o perché viene interpellata da problemi che prima non si conoscevano, ma perché è l’apice meraviglioso dell’avventura umana; proclama, infatti, la meta suprema della storia e la sorgente di ogni speranza in tutti i secoli. Ci rende stupefatti sempre.

«Grandi sono stati negli ultimi tempi i progressi della scienza e della tecnica e grandi sono state le ripercussioni che hanno avuto sull’umanità senza peraltro arrivare mai a risposte complete e soddisfacenti ai molti interrogativi dell’uomo».10 Solo Cristo rivela all’uomo che cos’è l’uomo!

«Evangelizzare» significa, innanzitutto, saper annunciare all’uomo d’oggi la lieta e gradita notizia della Pasqua, che sconvolge e fa esplodere la caduca attrattiva delle novità che evolvono, che presto si trasformano in quella monotonia insoddisfatta che suole caratterizzare l’esistenza annoiata di una civilizzazione solo orizzontale.

Urge, dunque, divenire dei comunicatori aggiornati della grande «notizia» con i suoi enormi valori storici.

Ci sono soprattutto due mediazioni che, come due binari, ne trasmettono le ricchezze: la Parola di Dio e la Liturgia; costituiscono la grande pista di «ritorno alle fonti»: «Tornare alle fonti, nel nostro caso — ha scritto il Papa —, significa tornare a quella stessa sorgente di vita dalla quale trae alimento “il fervore dei santi”. Dobbiamo, quindi, ascoltare dalle prime testimonianze del Vangelo l’impatto, la novità e la vitalità del primo annuncio. Ascoltiamo l’evangelista Giovanni nella sua prima Lettera: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato... noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”».11

Ecco allora che la nuova evangelizzazione avrà bisogno di una vera «Scuola della Parola» (come fa, per es., il Card. Martini con i giovani di Milano o come abbiamo tentato di fare noi con il messaggio delle «Beatitudini giovanili») e di una rinnovata e vissuta «Esperienza liturgica» in cui tutto converga verso l’iniziazione all’Eucaristia (come si è insistito più volte in Congregazione),12 affinché la Pasqua venga considerata sempre la suprema novità.

La nuova forma di evangelizzazione dovrà saper far percepire ai giovani la massima notizia proposta da queste due mediazioni, come strategia pedagogica dell’iniziazione al mistero.



Novità di presupposti dottrinali


Le tre novità a cui abbiamo fin qui accennato hanno bisogno di tutto un sottofondo di pensiero che riconsideri e approfondisca certi aspetti della realtà e della storia della salvezza con una visione oggettivamente rinnovata.

Infatti: le «nuove frontiere» richiedono una riflessione più esaustiva dei valori della laicità, secondo la valorizzazione di tutto l’ordine temporale; le «nuove prospettive» hanno bisogno di saper misurare i valori del futuro storico con il metro del futuro assoluto (= l’escatologia), ossia della Pasqua come il «novissimo» per eccellenza; e infine «la suprema novità» degli eventi pasquali esige un forte ripensamento di tutto il mistero della Chiesa come Corpo di Cristo nella storia.

Ecco allora tre grandi settori che aspettano una riflessione dottrinale particolarmente rinnovata: una teologia più aggiornata della «creazione», una invitante «teologia della speranza» con una visione più coinvolgente dell’«escatologia» guardando al futuro a partire dai «novissimi» o, meglio, dal «novissimo»; e una «teologia della Chiesa» ripensata conciliarmente intorno al concetto di Popolo di Dio che vive in comunione organica.

L’odierno evangelizzatore ha bisogno di approfondire queste ricche aree dottrinali.

— La teologia della creazione va ripensata e sviluppata partendo dall’«ottica del laicato» e dando particolare importanza alla «svolta antropologica» arricchita dai segni dei tempi e dal progresso delle scienze fenomenologiche. Si apre, qui, un’area di sapere che è immensa e che incide fortemente sulla progressiva elaborazione di una nuova cultura. La laicità, i valori della secolarità, le leggi armoniche della natura, la singolarità della vita umana, della sua dignità e della pedagogia della sua maturazione, i valori e i diritti della persona, le giuste esigenze della libertà, i diritti e i doveri della famiglia, la natura e sviluppo della società, la politica in relazione al bene comune, l’economia e l’uso dei beni per tutti, la solidarietà umana nei suoi molteplici aspetti, sono vasti temi da ristudiare dottrinalmente da un punto di vista teologico rinnovato, capace di contemplare le cose secondo il progetto creatore di Dio Padre in sintonia con l’attuale evolversi della cultura.

— La teologia della speranza illumina gli atteggiamenti e la prassi con una mentalità rivolta al futuro partendo dalle supreme novità della Pasqua e della Pentecoste, che comportano la presenza dello Spirito Santo nella storia con la soave energia della sua potenza. Fa capire la realtà oggettiva e trascendente della risurrezione di Cristo — che è il fatto concreto e supremo dell’«Uomo-tipo» — come inizio della «nuova creazione» nella quale Egli ha acquistato la condizione di Secondo Adamo e la regalità di Signore della storia.

Il grande interesse della speranza cristiana è il futuro, non un futuro generico e transitorio, ma quello trascendente e definitivo di Cristo. La potenza dello Spirito va costruendo, già nel futuro storico, le premesse e le radici del futuro assoluto imprimendo nella storia post-pasquale una vera dimensione escatologica, sia nell’ordine temporale della cultura e della politica, sia nell’ambito ecclesiale della pastorale. La Pasqua è come il «motore primo» che inizia un processo storico rivolto a trasformare la realtà umana; è il principio di un continuo rinnovamento sospinto dalla speranza. Si apre così una vasta area di riflessione per la dottrina cristiana dell’azione.

Si è detto che il mistero cristiano è come «una freccia lanciata nel mondo per indicare il futuro», in forma tale che la fede non debba mai essere sottoposta e manipolata dalla storia, ma al contrario la trascenda, la giudichi e la guidi.

Sia l’azione dei laici nel temporale, sia l’azione pastorale della Chiesa, devono guardare intelligentemente al futuro (tanto più se si tratta di pastorale giovanile) sotto la luce e l’energia della speranza che proietta la suprema novità della Pasqua sul divenire umano attraverso la potenza dello Spirito. La speranza cristiana invade tutto con dinamismo operativo: non è solo «aspettativa», ma è «preparazione progettata e laboriosa», è instancabilità di operatori del Regno, è più forte di tutti i motivi di scoraggiamento, appartiene a quella fede che è vittoria che trasforma il mondo. La luce che essa effonde porta con sé la capacità di discernimento critico di tutte le altre novità culturali che vanno emergendo e sa valutare i progetti di futuro storico che si vanno elaborando per il progresso dell’ordine temporale. Anche se c’è una «distanza storica» tra la cultura di oggi e quella di ieri, da cui segue una differenza di criteri di azione di fronte alla crescente complessità sociale ed ecclesiale, tuttavia lo Spirito di verità va sottolineando costantemente nel Vangelo nuove modalità di risposta cristiana che provengono in forma inesauribile da quel «primo motore» che è la risurrezione del Signore.

Infatti la suprema novità della Pasqua è una dimensione sempre presente nel quotidiano, nella vita di fede, nelle opere di carità, nelle molteplici iniziative dello Spirito, in tutta la vita del credente; è frutto del Battesimo che infonde l’innata energia della nuova creazione, ed è alimentata dall’Eucaristia con l’assimilazione al corpo stesso del Risorto.

Si era abituati a ridurre i temi dei «novissimi» alla morte, al giudizio, all’inferno e al paradiso. Certo, essi sono temi escatologici, di particolare importanza, ma si presentano di più come termine a cui si approda che come motore di vita: la visione più coinvolgente della suprema novità pasquale estende, invece, le considerazioni dell’escatologia a tutto lo spessore dell’esistenza vissuto nella speranza. Con la Pasqua è cambiato, di fatto, il concetto di tempo: non il circolo ripetitivo, anche se a spirale, delle stagioni dei secoli; non la linea retta sempre in avanti, senza sapere oggettivamente qual è la meta d’arrivo; ma il paradosso del «già» e «non ancora», dove c’è il progredire oggettivo della storia, ma dove c’è anche, simultaneamente, la sua meta definitiva, l’uomo nuovo che vive in pienezza nei due Risorti, Cristo e Maria, i quali come progenitori della nuova umanità influiscono costantemente sullo sviluppo delle vicissitudini umane e iniettano già fin d’ora nella storia le energie della risurrezione.

La teologia della speranza, ripensata con ottica pasquale, apporterà ricche prospettive alla nuova evangelizzazione.

— Infine, la teologia della Chiesa è stata ripensata e proposta sostanzialmente nei documenti del Concilio Vaticano II. Essi vanno considerati organicamente, secondo le indicazioni del Sinodo straordinario del 1985. La «Relazione finale» di questo Sinodo aiuta a sviluppare una ecclesiologia di comunione che non risulti arbitraria e non appaia distanziata dalla Tradizione viva.

Il Concilio ha superato una lettura societaria della Chiesa mettendo in evidenza il suo carattere centrale di «mistero» che la rende «Corpo di Cristo» e «Tempio dello Spirito» nella storia; Essa è, perciò, «Sacramento universale di salvezza». È descritta come «Popolo di Dio» lungo i secoli; un «Popolo» nato dal Battesimo con dignità profetica, sacerdotale e regale, che vive in una comunione organica costantemente guidata da Cristo «Pastore eterno» attraverso il Papa e i Vescovi, scelti come suoi Vicari a pascerlo collegialmente. In questo Popolo tutti i membri hanno una comune vocazione alla santità e sono impegnati in una stessa missione evangelizzatrice, però con differenti modi di testimonianza e con svariati servizi a seconda che appartengano al Laicato, alla vita consacrata o al ministero dell’Ordine.

Le conseguenze pastorali di questo rinnovamento ecclesiologico sono in corso di attuazione e stanno alla base della nuova evangelizzazione. È indispensabile assumere questo cambio ecclesiologico con una mentalità veramente rinnovata circa la teologia della Chiesa. Senza questa autentica conversione di prospettiva risulterebbe impossibile il famoso «balzo innanzi» del Papa Giovanni XXIII.

Purtroppo sono apparse, in questi anni, delle interpretazioni ecclesiologiche piuttosto arbitrarie, che si allontanano dalla dottrina conciliare e che hanno generato, più d’una volta, pericolose confusioni. Bisognerà saperle giudicare con attento discernimento, in sintonia con il Magistero vivo dei Pastori.

Dunque, come è dato vedere, la novità di prospettive dottrinali, specialmente di una rinnovata riflessione teologica sui temi della creazione, della speranza cristiana e della Chiesa-mistero, impegna a fondo gli operatori della nuova evangelizzazione con esigenti compiti di accurata formazione permanente.



Novità di metodo e di linguaggio


È da decenni che le discipline del metodo hanno fatto e stanno facendo grandi progressi: tra le scienze umane occupa un posto eminente, soprattutto in un’epoca di cambi, la pedagogia, arricchita dai progressi della biologia, della psicologia e della sociologia. È vero che il «metodo» è situato al livello dei «mezzi» e che ha bisogno, quindi, di essere pensato e valutato in ordine al fine e ai contenuti. Però ha una sua importanza veramente straordinaria nella ricerca di quella forma nuova di approccio pastorale e di dialogo culturale a cui si allude quando si parla di nuova evangelizzazione.

Intimamente vincolato al metodo è l’aspetto del «linguaggio». L’esperienza ci insegna che senza linguaggio adeguato (il quale non può essere ridotto solo alle parole da usare) non si può comunicare e trasmettere. È questo, oggi, un tema veramente scottante, che ci può mettere in crisi per il nostro tipo di formazione mentale e per una certa mancanza di duttilità culturale. Basti pensare che bisognerebbe saper usare un tipo di linguaggio adattato agli intellettuali, un altro alla gente semplice e comune, un altro al livello di quello della comunicazione ufficiale, un altro per gli analfabeti, ecc.: un linguaggio che conosce bene la verità integrale dei contenuti e che la sa comunicare ascoltando soprattutto i clamori degli ultimi. Sant’Agostino scrisse, proprio in vista di questo problema, il suo celebre De catechizandis rudibus.

Ci sarà bisogno, dunque, di diversità di metodi e di linguaggi in vista delle differenze di età, di cultura, di situazioni, ecc. La molteplicità e varietà dei metodi è un’esigenza della «forma nuova»; non è un difetto, ma un segno di duttilità pedagogica, e quindi una ricchezza di comunicazione.

Si tratta di esigenze pedagogiche al servizio dell’evangelizzazione. Evidentemente lo scopo deve essere chiaramente la trasmissione del Vangelo nella sua totalità.

I metodi possono anche peccare per infiltrazione di pregiudizi o di teorie arbitrarie. La tentazione di mescolare indebitamente in essi dei sottintesi ideologici purtroppo non è una fantasia. La nuova evangelizzazione esige la ricerca di metodi capaci di dare un contributo efficace per l’educazione alla fede e della fede, secondo l’integrità del deposito della Chiesa, assicurando alcune certezze di fondo, ben definite, semplici, solide e più forti dei ricorrenti sospetti razionalistici.

In questa ricerca è importante ricordare che esiste anche una «originalità pedagogica» che è propria e caratteristica dell’educazione alla fede. Lo ha sottolineato il Papa Giovanni Paolo II dopo il Sinodo 1977 sulla catechesi: «L’irriducibile originalità dell’identità cristiana — ha affermato — ha per corollario e condizione una pedagogia non meno originale della fede... La scienza dell’educazione e l’arte d’insegnare sono oggetto di continue rimesse in discussione, in vista di un migliore adattamento o di una più grande efficacia, con risultati peraltro diversi.

Ora, vi è anche una pedagogia della fede... Dio medesimo, nel corso della storia sacra e soprattutto nel Vangelo, si è servito di una pedagogia che deve restare come modello per la pedagogia della fede.

Una tecnica non ha valore, nella catechesi, se non nella misura in cui si pone al servizio della trasmissione della fede e dell’educazione alla fede».13

Il tema del metodo e del linguaggio dovrebbe rappresentare per noi, alla scuola di Don Bosco Educatore, un argomento privilegiato nel quale dovremmo emergere come protagonisti appunto nell’educazione della gioventù popolare alla fede. Sarà una metodologia ispirata a quella del nostro Fondatore che, nel Sistema Preventivo, ci ha tramandato una pedagogia vitalmente e coscientemente legata all’irriducibile originalità della rivelazione e dell’identità cristiana: una pedagogia che punta nientemeno che alla santità.14



Novità di operatori


L’Esortazione apostolica Christifideles laici ci ha ricordato che il compito di evangelizzare è proprio di tutto il Popolo di Dio. Nel suo capitolo 4° il documento elenca i differenti gruppi di «operai della vigna» e conclude citando una bella pagina dell’Introduzione alla vita devota di San Francesco di Sales: «Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna secondo la propria specie. Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione».15

L’Esortazione è tutta rivolta alla vocazione e missione dei laici. Devono, perciò, essere essi stessi i concreti evangelizzatori dei loro ambienti di vita e di lavoro. Sono chiamati a collaborare anche in altre iniziative evangelizzatrici della Chiesa. La missionarietà del laicato è stata rilanciata dal Concilio Vaticano II e costituisce, di fatto, una «novità» pastorale che abbisogna di più convinto impulso.

Si percepisce chiaramente, in conseguenza, che un serio Progetto-Laici, da parte nostra, non è solo una fedeltà alla mente apostolica del Fondatore, ma una esigenza fondamentale di quella rinnovata ecclesiologia, che costituisce lo stimolo dottrinale di un profondo cambio pastorale. Bisognerà perciò intensificare con più forte convinzione l’impegno a favore delle nostre associazioni laicali.

La nuova evangelizzazione è sollecitata e misurata più dalla missione stessa, che dal funzionamento di opere programmate in tempi anteriori; è l’esigenza attuale della missione, infatti, che deve guidare lo specifico rinnovamento di tali opere.

È per noi importante rimarcare, inoltre, che nel medesimo capitolo 4° l’Esortazione riserva un’attenzione particolare ai giovani. Essi «non devono essere considerati semplicemente come l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell’evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale».16

Sono affermazioni coraggiose! Esse indicano la meta della nostra pastorale giovanile. Il CG23 ci aiuterà ad essere, in questo settore, dei competenti educatori che sanno coinvolgere — nella varietà delle opere — molti giovani operatori della nuova evangelizzazione.

C’è in particolare da rivedere, per esempio, la nostra incisività pastorale nell’associazionismo giovanile. Il «Confronto DB88» ci ha fatto toccare con mano l’importanza e l’attualità di saper animare un vero Movimento tra i giovani più impegnati, permeato dallo spirito di Don Bosco «padre e maestro della gioventù». Il criterio oratoriano che deve caratterizzare il rilancio di questo impegno associativo ci suggerisce non solo una modalità originale di animazione dei gruppi impegnati, ma ci ricorda anche che l’«oratorio» — come criterio permanente di rinnovamento — non è solo un luogo geografico; esso sussiste anche in un’associazione e in un movimento che oltrepassa i limiti dell’ambiente materiale e locale, fino a estendersi a tutta l’Ispettoria e a tutto il Paese.

Anche questo è ripensare con «novità» il nostro impegno per il Vangelo tra i giovani.



Novità anche di pericoli


La convergenza di tante novità porta con sé anche uno spostamento d’attenzione nella cura preventiva contro gli immancabili pericoli. Se uno cambia la strada in cui si muove dovrà sapersi adeguare alle nuove condizioni di marcia e osservare con attenzione il terreno, il quale presenterà naturalmente altri pericoli, differenti da quelli della strada anteriore.

Una volta escluso l’atteggiamento testardo dell’integrismo tradizionalista, che consiste nel non voler cambiare strada (nega, infatti, la necessità di una «nuova forma» di pastorale), la scelta della nuova evangelizzazione esige di affrontare tanti problemi inediti, creare risposte adeguate, superare particolari difficoltà, e anche identificare e smascherare nuovi pericoli che potrebbero far uscire di strada. Dunque: né ortodossia ottusa, né errori geniali!

È questo un rischio inerente alla scelta fatta. Infatti, già in questi pochi anni di ricerca pastorale abbiamo constatato l’insorgere di squilibri differenti da quelli di prima. Anteriormente al Concilio l’asse dei pericoli si trovava principalmente sul versante di una modalità evangelizzatrice fissa; dopo il Vaticano II lo troviamo spostato sul versante della creatività pastorale, lodevole in quanto ricerca di una nuova forma, ma che può apparire pericoloso o deviante in alcune sue singolari proposte: ricordiamo, ad esempio, alcune posizioni intemperanti riguardo al rinnovamento liturgico ed ecclesiologico o certe interpretazioni ideologiche del processo di liberazione.

Vi invito a leggere con attenzione la Lettera che Giovanni Paolo II ha inviato alla XV Assemblea generale dei Religiosi del Brasile.17 Afferma, tra l’altro: «La fede che si basa sulla rivelazione e sul magistero della Chiesa preserva l’evangelizzazione dalla tentazione delle utopie umane; la speranza cristiana non confonde la salvezza con ideologie di nessun tipo; la carità, che deve animare l’opera di evangelizzazione, preserva l’annuncio evangelico dalla tentazione della pura strategia di una trasformazione sociale o dalla violenza subita che conduce alla lotta di classe. Fede, speranza ed amore sono la garanzia di questa nuova evangelizzazione».18

Credo perciò conveniente, senza pretese di esaurire un argomento tanto delicato, indicare alcune delle zone di pericolo più nocive alla nostra pastorale giovanile.

— Una prima zona di pericolo procede dalla differenza o distanza storica che abbiamo visto esistere tra il mondo biblico ed ecclesiale dei secoli scorsi e la cultura emergente nel mondo d’oggi. È, questo, un dato evidente, ma che si può prestare a un attacco radicale ai fondamenti della fede attraverso una lettura demitizzante della Bibbia e della Tradizione: ci collocherebbe in una situazione di atteggiamento post-cristiano. Meno male che i custodi qualificati della fede ci avvisano e ci orientano. Gli attacchi che, in ragione di questa differenza storica, si rivolgono oggi contro il Magistero della Chiesa non tengono in conto l’oggettiva volontà di Cristo di radicare la permanenza della fede su persone vive e contemporanee, assistite dallo Spirito Santo perché non venga mai meno l’autenticità del Vangelo per ogni generazione di credenti. Il ministero di Pietro e degli Apostoli, del Papa e dei Pastori, è oggi — come ieri — mediazione indispensabile per assicurare l’identità della fede all’interno stesso delle distanze storiche. Gli operatori della nuova evangelizzazione dovranno riservare una particolare e accurata attenzione al Magistero della Chiesa.

— Una seconda zona di pericolo proviene dal non saper assumere con equilibrio le novità culturali. Certamente tra i principali segni dei tempi si annoverano il processo di socializzazione e quello di personalizzazione, che apportano visioni e valori nuovi. Da essi sorge tutta una ricerca pastorale impegnativa con problematiche specifiche. La comunione ecclesiale ci spinge in avanti nell’evangelizzazione di questi segni dei tempi sia con l’insegnamento sociale del Magistero, sia con l’intensificata docilità personale allo Spirito Santo in una ora particolarmente ricca della sua presenza carismatica.

Qui, però, possiamo riscontrare un doppio pericolo: quello di un primato del sociale tale, che porti alla sopravvalutazione dei valori politici (pur tanto importanti) a danno della trascendenza della fede e dell’autonomia della laicità; oppure quello di un intimismo spirituale tale, che favorisca atteggiamenti di alienazione dai gravi ed urgenti problemi dell’ordine temporale e del rinnovamento della società.

Lo stile di pastorale giovanile ereditato da Don Bosco rifugge, senza far polemiche, da questi squilibri; cerca di armonizzare, con la saggezza del buon senso, sia la responsabilità politica che l’interiorità personale, «l’onesto cittadino e il buon cristiano», promuovendo con equilibrio un’evangelizzazione veramente nuova nella sensibilità sociale dei valori politici e in una spiritualità giovanile che tenda coraggiosamente alla santità dei singoli.

— Infine, una terza zona di pericolo è quella delle deviazioni ecclesiologiche. Il Vaticano II ha messo come base della nuova evangelizzazione l’ecclesiologia del Popolo di Dio. C’è tutto un approfondimento, al riguardo, che mette in rilievo la dignità e la responsabilità battesimale, la vocazione e missione dei fedeli laici, la speciale profezia della vita consacrata e il prezioso e indispensabile ruolo dei Pastori. La missionarietà di tutto il Popolo di Dio è stata descritta con cura nell’Esortazione apostolica Christifideles laici.

Ma al margine di questo progresso ecclesiologico sono nate tendenze fuorvianti, per esempio, circa la cosiddetta «Chiesa-istituzione», o circa il concetto di Popolo di Dio, o circa la dottrina del ministero sacerdotale e del magistero, o circa l’interpretazione del simbolismo delle celebrazioni sacramentali soprattutto dell’Eucaristia e della Penitenza.

La nuova pastorale, se non si fonda chiaramente su una autentica ecclesiologia conciliare, non potrà essere vera evangelizzazione.

A noi interessa, in particolare, saper ricuperare con i giovani i valori vitali dell’Eucaristia e della Penitenza, che sono colonne portanti del Sistema Preventivo. Abbiamo assistito in questi anni a una caduta nella celebrazione di questi sacramenti nella pastorale giovanile, oppure a un’alterazione (a volte persino dissacrante) del loro simbolismo pasquale, abbassato fino ad espressione di lotta di classe o a critica e denuncia solo delle istituzioni sociali ed ecclesiali. Urge, invece, portare i giovani a una conoscenza e partecipazione convinta dell’Eucaristia e della Penitenza, come centro vitale pratico della nuova evangelizzazione. È eludere l’assoluta importanza di questo tema il tentare di giustificare il prescindere di fatto da questi due sacramenti attraverso razionalizzazioni di vario tipo che non conducono all’autenticità del Vangelo! Non si forma un cristiano senza Eucaristia e senza Penitenza. Dovremo saper cercare una «nuova forma» di introduzione pedagogica alla loro celebrazione, profondamente convinti che la nuova evangelizzazione deve portare i giovani alla vita eucaristica e agli impegni di riconciliazione.

Superare i pericoli della trascuranza dei sacramenti o della alterazione del loro simbolismo dovrebbe divenire una nostra peculiare competenza.



L’indispensabile «interiorità apostolica» degli evangelizzatori


Credo sia fondamentale richiamare l’attenzione su un’altra «novità» — perché è sempre tale — che sta alla base di tutto: la condizione di rinnovamento personale degli evangelizzatori. Da anni stiamo martellando sull’«interiorità apostolica».19 Vale la pena riconsiderare brevemente qui questo argomento con l’ottica della nuova evangelizzazione.

Il Papa ha parlato, al riguardo, di un «nuovo ardore». Si tratta del cuore e della mente di colui che «evangelizza». Non c’è mai stata né ci potrà mai essere evangelizzazione senza validi evangelizzatori: pensiamo agli apostoli e ai discepoli tutti.

La nuova evangelizzazione è testimonianza. «La forza dell’evangelizzazione — scrive il Papa — risiede al tempo stesso sia nella verità che si annuncia, sia nella convinzione della testimonianza con cui viene proposta. Per questo motivo oggi la nuova evangelizzazione necessita che gli araldi siano fedeli nella predicazione della verità e siano testimoni della forza salvifica della Parola della vita.

Di fronte alla sfida della nuova evangelizzazione la Chiesa necessita oggi di maestri e di santi aperti al potere illuminante dello Spirito Santo che acuisce le capacità di discernimento della realtà e fa scaturire un’abbondante creatività di parole e di opere adeguate per dar vita al Vangelo che si annuncia in differenti situazioni nel tempo.

Per questo i Religiosi della nuova evangelizzazione devono primeggiare nella fedeltà alla verità e nell’ardore della missione, nella trasparenza della testimonianza e nella forza soprannaturale della santità. Non devono mai dimenticare che, in comunione con i Fondatori, sono figli e figlie di Santi che annunciarono il Vangelo con la santità della loro vita».20

È dunque importante concentrare l’attenzione su di noi stessi come educatori cristiani «rinnovati».

Questa ottica deve prendere in considerazione una caratteristica inerente alla modalità propria del Sistema Preventivo: quella di «evangelizzare educando».21

Giovanni Paolo II ci ha ricordato che Don Bosco ha saputo «stabilire una sintesi tra attività evangelizzatrice ed attività educativa»; la sua preoccupazione evangelizzatrice — ci ha scritto — «spazia in tutto il vasto settore della condizione giovanile; si situa, dunque, all’interno del processo di formazione umana».22

Penso sia chiaro per tutti che le attività educative propriamente culturali (scienze, professionalità, teatro, musica, sport, disciplina, ecc.) appartengono per propria natura al livello della maturazione umana; non sono, di per sé, evangelizzazione; le coltivano anche i non cristiani. Ciò che le eleva di significato, senza cambiarne la natura, è la sintesi vitale a cui le incorpora l’evangelizzatore che educa. Vengono da lui ordinate esistenzialmente al fine cristiano di formazione integrale che guida il giovane alla pienezza pasquale. «L’educatore — ci ha detto il Papa — deve avere la chiara percezione del fine ultimo, poiché nell’arte educativa i fini esercitano una funzione determinante».23

Nella circolare già citata del nostro Progetto educativo 24 avevo fatto osservare che «nel Sistema Preventivo si possono distinguere due livelli o aspetti diversi profondamente legati tra loro: il principio ispiratore (= spinta pastorale dell’evangelizzatore, il suo fare «parrocchia» secondo l’art. 40 delle Costituzioni) e il criterio metodologico che guida le modalità concrete della sua azione (= il metodo pedagogico di «casa», «scuola» e «cortile»). Tra «spinta pastorale» e «metodo pedagogico» si può percepire una delicata distinzione utile alla riflessione e all’approfondimento di aspetti settoriali, ma sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare l’intimo legame che li unisce così radicalmente tra loro da renderne impossibile la separazione. Voler dissociare il metodo pedagogico di Don Bosco dalla sua anima pastorale sarebbe distruggere entrambi».25

Dunque, l’evangelizzatore con la sua interiorità apostolica è veramente il protagonista strategico della nuova evangelizzazione. Bisogna che egli abbia assimilato vitalmente la verità rivelata e che prenda in conto le varie «novità» culturali di cui abbiamo parlato, ma anche che consideri assolutamente indispensabile il rinnovamento pastorale del suo cuore. C’è vera urgenza di un «nuovo ardore» apostolico, quale anima dell’evangelizzatore. Non facciamoci illusioni; il segreto sta anche nel metodo, ma non si ferma lì. Senza una speciale cura dell’interiorità apostolica in noi, nei laici e nei giovani non avremo l’auspicata nuova evangelizzazione. È dalla carità pastorale del cuore, centro vivo dello spirito salesiano, che sgorga quella «grazia di unità» che rende mutuamente inseparabili l’«evangelizzare educando», e l’«educare evangelizzando».

La nuova evangelizzazione sarà frutto di interiorità o non sarà: ciò è primario; da qui sgorga la possibilità di una «forma nuova».

Don Bosco è stato «pastore» sempre e dovunque; egli ha scelto come attività primordiale per evangelizzare i giovani quella dell’e ducazione. L’ha permeata quotidianamente con l’ardore del «da mihi animas». Imitiamo l’arte pedagogica della sua sintesi vitale, proveniente dall’ardore apostolico del suo cuore.


* * *


Cari confratelli, l’argomento trattato in questa circolare è complesso e in evoluzione; è, quindi, non facile; ma in esso troviamo la grande sfida dei tempi nuovi, la cui risposta è stata affidata dal Vaticano II a tutta la Chiesa.

Proponiamoci di incominciare a meditarne seriamente i vari aspetti e di andar raccogliendo quanto il Papa ed i Pastori ci hanno indicato e ci indicheranno al riguardo.

Mi sembra di poter dire che la Congregazione è già in marcia verso la nuova evangelizzazione; se ne sono già visti frutti promettenti. Non solo il «Confronto DB88», ma tutta una serie di esperienze pastorali, specie attraverso il criterio oratoriano 26 e le iniziative sorte in vari campi, per es., la qualità pastorale della scuola, l’orientamento cristiano della comunicazione sociale, l’associazionismo di giovani e di laici (Gruppi giovanili, Cooperatori, Exallievi, Devoti di Maria Ausiliatrice, ecc.), che dovrebbero attirare di più l’attenzione di tutti i confratelli. Dopo il Concilio Vaticano II la Congregazione è entrata davvero nell’orbita della nuova evangelizzazione.

Ricordiamo le grandi direttive capitolari; in particolare, il documento «Evangelizzazione e Catechesi» del Capitolo Generale Speciale XX; «I Salesiani evangelizzatori dei giovani» del Capitolo Generale XXI; il testo definitivo delle Costituzioni del Capitolo Generale XXII.

Questi Capitoli hanno introdotto in Congregazione anche dei cambi strutturali significativi per la nuova evangelizzazione.

Guardiamo inoltre agli orientamenti del Rettor Maggiore con il suo Consiglio, le Lettere circolari inviate per l’applicazione concreta dei Capitoli Generali. Metto in nota 27 alcune delle lettere circolari indicative del nostro «balzo innanzi» per la nuova evangelizzazione dei giovani. Ci sono stati anche numerosi Sussidi, particolarmente dal dicastero di Pastorale giovanile, che hanno indicato passi concreti da dare per tradurre in pratica i grandi orientamenti.

Certamente rimane molto da fare: infatti la Congregazione trova qui la sua sfida più urgente oggi.

Il prossimo CG23 affronterà questo vasto problema in forma pratica e concreta. Preghiamo molto, in ogni comunità, per il suo felice esito e chiediamo con insistenza a Don Bosco che ci ottenga di essere portatori validi del suo carisma per l’efficacia di una nuova evangelizzazione della gioventù: riviviamo davvero con lui, più in là della differenza storica che ci distingue culturalmente dal suo tempo, la forza unificante che sgorga dal «da mihi animas»!

L’assidua cura della nostra interiorità apostolica, insieme a una nostra attenta considerazione del divenire umano, ci farà guardare al futuro con speranza.

Cordiali saluti.

Con affetto nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 42


1 Reg 113

2 ChL 46

3 Allocuzione 11 ottobre 1962

4 Relazione finale 5

5 DV 10

6 GS 43

7 Osservatore Romano, 28-29 agosto 1989

8 ChL 37-44

9 ChL 15

10 GIOVANNI PAOLO II ai Vescovi del Cile, Osservatore Romano, 28-29 agosto 1989

11 1 Gv 1, 1-3. Lettera del Papa per la XV Assemblea generale dei Religiosi del Brasile, Osservatore Romano, 30 agosto 1989

12 cf. ACG n. 324

13 CT 58

14 cf. IP 15-16

15 ChL 56

16 ib. 46

17 Vaticano, 11 luglio 1989

18 Osservatore Romano, 30 agosto 1989

19 cf. Interioridad apostólica, Ediciones Don Bosco, Argentina 1989: contiene un corso di EE.SS. predicato dal Rettor Maggiore a Fortín Mercedes nel febbraio 1988

20 Lettera del Papa per la XV Assemblea generale dei Religiosi del Brasile, Osservatore Romano, 30 agosto 1989

21 cf. la circolare al riguardo, ACS n. 290

22 IP 15

23 ib. 16

24 cf. ACS n. 290

25 ib., pag. 12

26 Cost 40

27 Tra le Lettere-circolari dei Rettori Maggiori possiamo ricordare come particolarmente significative per la nuova evangelizzazione le seguenti:

* Il decentramento e l’unità oggi in Congregazione, ACS 272

* Noi missionarri dei giovani, ACS 279

* Abbiamo bisogno di esperti di Dio, ACS 281

* I Salesiani e la responsabilità politica, ACS 284

* Il Progetto educativo salesiano, ACS 290

* Gruppi e movimenti giovanili, ACS 294

* Più chiarezza di Vangelo, ACS 296

* La comunicazione sociale ci interpella, ACS 302

* L’anno mariano, ACG 322

* L’Eucaristia nello spirito apostolico di Don Bosco, ACG 324

* La nostra fedeltà al Successore di Pietro, ACG 315

* La lettera «Iuvenum patris» di S.S. Giovanni Paolo II, ACS 325

* Convocazione del Capitolo Generale 23, ACG 327

Inoltre è importante ricordare anche quelle lettere che trattano: della Riscoperta dello spirito di Mornese (ACS 301), dell’Associazione dei Cooperatori (ACG 318), degli Exallievi (ACG 321), della promozione del laicato (ACG 317) e della Famiglia Salesiana (ACS 304).

È un insieme di preziosi sussidi (tra altri) che testimoniano l’entrata in orbita della Congregazione e che illuminano la lunga strada che essa ha ancora da percorrere.