301-350|it|329 San Giovanni Bosco: «Juventutis Pater et Magister»

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SAN GIOVANNI BOSCO:

«IUVENTUTIS PATER ET MAGISTER»



La Lettera Centesimo exeunte. - Un titolo da approfondire e da interiorizzare. - L’appellativo di «Padre». - Il qualificativo di «Maestro». - La connessione viva con «la gioventù». - Sprone per la «nuova evangelizzazione». - Collaudo ecclesiale del Sistema Preventivo.

Lettera pubblicata in ACG n. 329



Roma, 24 febbraio 1989


Cari Confratelli,


Abbiamo concluso le celebrazioni del primo anno centenario della morte del nostro Padre e Fondatore Don Bosco. Giungono notizie da tutto il mondo di momenti straordinari, vissuti nell’ammirazione, nella meditazione e nella prospettiva di generosi impegni. Abbiamo scoperto che la personalità storica del nostro Santo è assai grande e interessa vasti settori della vita culturale e sociale. Ne abbiamo goduto, non per una ingenua soddisfazione di amor proprio corporativo, ma perché abbiamo contemplato più chiaramente in lui le meraviglie dello Spirito del Signore.

Abbiamo sperimentato una vera gioia di fede, che ha aumentato l’apprezzamento della nostra vocazione e la dedizione alla nostra missione.

Ne siano rese grazie a Dio.



La Lettera Pontificia Centesimo exeunte


Appunto nei giorni conclusivi del centenario — il 24 gennaio scorso, festa del nostro Patrono San Francesco di Sales e memoria dell’Ausiliatrice — il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ci ha fatto un magnifico regalo, tanto più apprezzabile quanto meno previsto: il titolo ufficiale per Don Bosco di Padre e Maestro della gioventù. Regalo che, mentre ci riempie di gioia, deve indurci ad una più meditata riflessione e ad una più cosciente responsabilità, non disgiunta da sensi di viva gratitudine verso il Vicario di Cristo.

È un titolo nato di per sé quasi spontaneamente, si può dire da sempre, nel linguaggio familiare delle case salesiane. Ne è la riprova una dichiarazione del Card. Cagliero nel 1922, durante le celebrazioni delle nozze sacerdotali di diamante del suo antico compagno don Francesia, ordinato con lui nel 1862. Parlando di se stesso e dell’amico disse: «Se abbiamo acquistato un posto onorifico in società, se abbiamo potuto fare un po’ di bene (e di bene, ve l’assicuro, abbiamo sempre procurato di farne quanto più ci è stato possibile), andiamo debitori, dopo Dio, a una persona sola: non a nostro papà, che ambidue perdemmo in tenera età, non alle nostre madri, pie e sante, incapaci però di aiutarci, ma a Don Bosco, che abbiamo chiamato padre da giovani, che abbiamo continuato a venerare e a chiamare padre e maestro fino a oggi, e che speriamo di poter venerare come santo anche sulla terra, prima di andare a ringraziarlo in Paradiso».1

Chiamare Don Bosco «padre e maestro» è dunque, per noi, un’espressione familiare di ammirazione e d’affetto; penso sia trasferibile probabilmente anche ad altri insigni educatori e fondatori.

Ciò che la Lettera Centesimo exeunte arreca di assolutamente nuovo è il fatto che la suprema autorità della Chiesa, in termini ufficiali e solenni, abbia dichiarato Don Bosco non un generico padre e maestro dei giovani, ma il «Padre e Maestro della gioventù» per eccellenza a livello di Chiesa universale: e cioè esteso alla comprensione dei giovani di tutti i continenti, oggi e domani. Infatti, il Successore di Pietro ha dichiarato e proclamato, in virtù della Sua Potestà Apostolica, San Giovanni Bosco «Padre e Maestro della gioventù», stabilendo che «con tale titolo Egli sia onorato e invocato in tutta la Chiesa, non solo dai membri della grande Famiglia Salesiana, ma da quanti hanno a cuore la causa dei giovani, e intendono promuovere la loro educazione per contribuire all’edificazione di una nuova umanità».2

Questa puntuale connotazione abbraccia, ovviamente, le varie dimensioni della sua ricca personalità e della sua singolare missione, ma esalta soprattutto la sua santità pedagogica e la genialità metodologica, quale «momento basilare — al dire del Papa — della storia della Chiesa». Infatti, Don Bosco «ha lasciato — è sempre il Papa che parla — una concezione, un insegnamento, un metodo che sono ormai patrimonio acquisito». Egli «ci invita non tanto a dedicarci comunque ai giovani, ma “ad educare con un progetto”». Ossia, con quel suo sistema complessivo, che, «senza nulla detrarre all’apporto arricchente e specifico di altri educatori passati o coevi, rimane un punto fermo per il riuscito tentativo di unificare in sintesi i complessi elementi destinati a promuovere lo sviluppo completo del ragazzo e del giovane».3



Un titolo da approfondire e da interiorizzare


Sarà dunque necessario, innanzitutto, che in Congregazione ci si dedichi ad approfondire il significato di questo titolo tanto caratterizzante.

I nostri centri di cultura e i nostri studiosi potranno continuare un lavoro già seriamente avviato nelle migliori opere di alcuni di essi e, ultimamente, in iniziative qualificate quali: il Seminario circa «L’esperienza pedagogica di Don Bosco» tenuto presso la Fondazione Cini all’isola di S. Giorgio di Venezia; 4 il Primo Congresso internazionale di «Studi su San Giovanni Bosco» svoltosi alla nostra Università di Roma; 5 e il Simposio su «Don Bosco Fondatore» realizzato alla Casa generalizia in via della Pisana.6

Sono stati dei momenti forti di riflessione, non in riferimento diretto a questo titolo (allora ancora non proclamato), ma ai suoi contenuti sostanziali e alle stimolanti prospettive che ne derivano. Tutti i confratelli sono chiamati a confrontarsi e a misurarsi quotidianamente con i contenuti del titolo, guardando Don Bosco come modello supremo di paternità salesiana e di pedagogia cristiana.

Se è vero che la formulazione stessa del titolo era già presente nella liturgia propria della festa di Don Bosco e nell’uso di alcune preghiere con cui ci rivolgevamo a lui, ora però, che la felice espressione è dichiarata titolo ecclesiale da conferirgli ufficialmente, dovremo sapere spiegarla per comunicarne a tutti i ricchi contenuti.

Non è proprio di una circolare del Rettor Maggiore tentare una specie di studio, anche se breve, al riguardo, ma piuttosto suggerire motivazioni spirituali per interiorizzarne il significato e sentirlo come sollecitazione arricchente della nostra mentalità.

In questo titolo, infatti, possiamo vedere condensati, unificati e proposti, come alludevo poc’anzi, i principali valori della viva eredità lasciataci da Don Bosco:

— il suo tipo di santità: l’amore operativo;

— la sua scelta di campo apostolico: la gioventù;

— la sua strategia d’impegno: il Sistema Preventivo;

— il suo programma di azione: l’educazione;

— il segreto del suo esito: l’acuta intuizione del cuore giovanile.

Qui io vi invito semplicemente a meditare alcuni contenuti del titolo, riferendoli fontalmente al mistero di Dio, uno e trino: all’amore del Padre ricco in misericordia; alla solidarietà del Figlio fatto per noi «via, verità e vita»; 7 alla creatività dello Spirito Santo che è dono di giovinezza trasformante per il mondo lungo i secoli.

Non sembri una pista peregrina: la SS.ma Trinità è il vero e supremo e centrale mistero della nostra fede, e tale deve esserlo nella vita e nella nostra riflessione. Come ha scritto un teologo orientale, «il Santo è un’icona di Dio trinitario». Don Bosco è stato un santo inabitato da questo mistero di Dio. La peculiare santità del suo «da mihi animas» riflette in essenza le ricchezze pastorali e pedagogiche della carità trinitaria, meritandogli una denominazione così nobile e così singolarmente distintiva.



L’appellativo di «Padre»


Don Bosco è stato tra i giovani un profeta della bontà; a ragione il Papa lo ha chiamato più volte «genio del cuore». La bontà è un atteggiamento costante della persona; si traduce quotidianamente in una contemplazione delle continue manifestazioni dell’amore di Dio e in una conseguente metodologia di amorevolezza che contrassegna tutte le attività apostoliche.

In questo intimo atteggiamento viene inserito anche il suo ruolo ecclesiale di Fondatore, in quanto padre fecondo che lascia in eredità un patrimonio evangelico a tanti figli e figlie che ne prolungano la missione tra i giovani.

L’apostolo Paolo ci assicura che ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome dal Principio primo di ogni amore.8 Ciò significa non solo che ogni Famiglia che si rifà a un Fondatore trova in lui la paternità di Dio, ma anche che egli ne testimonia e ne trasmette la concretezza dei sentimenti interiori e delle espressioni di affetto.

Iddio Padre, che è creatore onnipotente, manifesta la sua divinità soprattutto nell’insondabile ricchezza della misericordia: «ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio».9

Don Bosco ha testimoniato appunto il mistero di questa paternità misericordiosa dando tutto se stesso ai giovani: «Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita».10

E questa donazione totale di sé Don Bosco l’ha espressa con un costante e familiare atteggiamento di amorevolezza: egli insegnò non solo ad amare, ma anche — e in forma quotidiana e sincera — a «farsi amare». L’aspetto ascetico della sua santità gli ha fatto privilegiare quelle virtù sociali che attirano la fiducia e la confidenza, che aprono i cuori alla convivenza familiare, che spingono a dialogare e a comprendere, che si traducono in quella modalità di rapporti che — come scrive l’Apostolo — è «paziente e benigna, non è invidiosa né si vanta o si gonfia di orgoglio, è rispettosa e non cerca il proprio interesse, non cede alla collera e dimentica i torti, non gode dell’ingiustizia perché la verità è la sua gioia, tutto scusa e di tutti ha fiducia, tutto sopporta e mai perde la speranza».11 L’azione apostolica di Don Bosco, infatti, «è tutta appoggiata sopra le parole di San Paolo» che proclama il mistero della carità.12

C'è da aggiungere, in una profondità ancora maggiore, che per Don Bosco il termine «padre» non significa solo «buono e amorevole come un padre», né solo «padre-fondatore» di una Famiglia spirituale, ma che viene a indicare, più vitalmente, l’atto apostolico di generare a nuova vita, la coscienza evangelica e la prassi di una responsabilità che cura, educa e fa crescere i giovani fino alla maturità cristiana della filiazione adottiva. Egli è «padre della gioventù» perché si è sentito chiamato da Dio a «fare da padre sul serio» a tanti giovani bisognosi e a generarli alla grazia di «figli di Dio», nel senso profondo dell’apostolo Paolo: «Potreste avere infatti anche diecimila maestri nella fede, ma non molti padri. Ebbene, io sono diventato vostro padre nella fede in Cristo Gesù, quando vi ho annunziato la sua parola»; 13 «Figliuoli miei, per voi io soffro di nuovo i dolori del parto, finché non sarà chiaro che Cristo è in mezzo a voi».14

Questo brevissimo accenno alla paternità di Don Bosco, manifestata nella sua «pedagogia dell’amore» e dell’«amorevolezza», è appena una rapida indicazione — anche se suggestiva — di un tema che è veramente centrale nel nostro spirito salesiano. Lo ha detto autorevolmente il suo terzo successore don Filippo Rinaldi: «Tutta la vita di Don Bosco è un trattato completo della paternità che viene dal Padre celeste (Ef 3,15) e che egli ha praticato quaggiù in grado sommo, quasi unico, verso la gioventù e verso tutti, nelle mille contingenze della vita, a sollievo di tutte le miserie temporali e spirituali, con totale dedizione e sacrificio di sé, nella grandezza del suo cuore, incommensurabile come l’arena del mare, facendosi tutto a tutti per guadagnare le anime giovanili e condurle a nostro Signore».15

Possiamo aggiungere che il momento principale da cui procedeva quotidianamente la fecondità della sua paternità spirituale era l’esercizio del suo ministero sacerdotale nel sacramento della Penitenza.

Urge pertanto ricuperare e approfondire il senso di questa paternità tipicamente «oratoriana» nei molteplici risvolti umani e divini che la compongono. È compito ineludibile di ogni discepolo di Don Bosco. Perché, se è vero che specialmente Ispettori e Direttori devono incarnare questa paternità secondo modalità proprie e qualificate,16 anche gli altri — preti, coadiutori, chierici —, in quanto educatori di giovani desiderosi di essere amati e accompagnati nelle varie fasi del loro sviluppo, devono sapersi comportare — ognuno secondo il proprio ruolo — da veri padri: responsabili, pazienti, generosi, incoraggianti.

Don Rinaldi, a chiusura degli Esercizi Spirituali dei novizi a Villa Moglia — nell’anno 1930 — non esitava ad affermare (ai novizi!): «Anche voi siete padri dei giovani che vi saranno affidati, dovete amarli, aiutarli come farebbe un vero padre».17



Il qualificativo di «Maestro»


Il termine «maestro» è strettamente vincolato con quello di “padre”. Anche qui, non basta dire che Don Bosco è un educatore geniale che insegna un metodo efficace di formazione: non è solo il competente indicatore di una buona metodologia.

Egli è «maestro» innanzitutto perché tra i suoi compiti paterni ha privilegiato quello di far conoscere il vero senso della vita, di comunicare l’energia dei valori cristiani, la pratica delle virtù battesimali, insegnando soprattutto in modo adattato specificamente alla gioventù la via genuina dell’amore, con una pedagogia di santità. Basti pensare in che senso è stato maestro spirituale di Domenico Savio, di Michele Magone, di Francesco Besucco, dei giovani del suo Oratorio. Anche in questo caso, la lezione più convincente dei suoi insegnamenti è stato soprattutto il dialogo penetrante della confessione.

In lui le due caratteristiche di «padre e maestro» sono vissute ed applicate in modo inseparabile.

Il termine «maestro» si riferisce, dunque, a quella sapienza del cuore con cui Don Bosco ha saputo testimoniare e trasmettere i criteri di fondo e il modo efficace di affrontare i complessi compiti dell’educazione.

Giovanni Paolo II aveva già presentato San Giovanni Bosco, nella Lettera Iuvenum Patris, come un esimio «Maestro per l’educazione», perché ha saputo elaborare una sintesi vitale tra prassi educativa e saggezza pastorale, tra promozione umana ed evangelizzazione. «Oggi più che mai — ha detto il Papa — c’è bisogno di una metodologia pedagogica che sappia assumere gli apporti delle scienze umane dell’educazione elevandole al livello vivificante della carità pastorale. C’è vera fame di saggezza pastorale, che non si accontenti di “decifrare” e di “interpretare” l’uomo, ma che si impegni efficacemente a trasformarlo alla luce di quelle finalità e con la forza di quei dinamismi, che Dio stesso ha messo nel cuore della Chiesa e dell’umanità».18

In questo senso Don Bosco si rifà a Cristo, «inventore» della pastorale ed unico supremo Maestro di salvezza pasquale. Iddio Padre ha inviato il suo Unigenito al mondo quale Verbo di verità salvifica: «nei tempi passati — dice la lettera agli Ebrei — Dio parlò molte volte e in molti modi ai nostri padri, per mezzo dei profeti. Ora invece ha parlato a noi per mezzo del Figlio».19 Gesù, infatti, è «venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità»; 20 solo la sua verità «ci farà liberi».21

Applicare a Don Bosco il titolo di «Maestro» significa riconoscere in lui una particolare lettura dell’evento Cristo e una capacità pedagogica di comunicarne il Vangelo. Lo fa con una prassi educativa che si muove, come ha detto il Santo Padre, all’interno della stessa crescita umana con criteri metodologici in consonanza con le interpellanze vive della gioventù e dei ceti popolari.

Il concetto di «preventività» che caratterizza il suo metodo è stato descritto, nella recente Lettera Centesimo exeunte, come «incentrato sull’importanza di evitare nei giovani esperienze negative; nell’educare “in positivo” con valide proposte ed esempi, facendo leva sulla libertà interiore di cui sono dotati, e stabilendo con essi rapporti di autentica familiarità; stimolando infine le native capacità, basandosi sulla “ragione”, la “religione” e l’“amorevolezza”».22

La nostra Congregazione ne ha divulgato la singolare validità appresa dalla peculiare esperienza vissuta e trasmessa dal Fondatore per essere fedelmente custodita, intelligentemente approfondita, costantemente riattualizzata e coraggiosamente sviluppata nel molteplice divenire delle culture. I suoi primi discepoli ripetevano, di lui, quello che diceva del Salvatore l’Apostolo prediletto: «Noi l’abbiamo udito, l’abbiamo visto con i nostri occhi, l’abbiamo contemplato, l’abbiamo toccato con le nostre mani. Siamo suoi testimoni e perciò ve ne parliamo».23

«La sostanza del suo insegnamento rimane; la peculiarità del suo spirito, le sue intuizioni, il suo stile, il suo carisma non vengono meno, perché ispirati alla trascendente pedagogia di Dio. In questi nostri tempi difficili egli continua ad essere Maestro, proponendo una “nuova educazione” che è insieme creativa e fedele».24



La connessione viva con «la gioventù»


Il riferimento dei termini «Padre e Maestro» alla «gioventù» definisce esplicitamente la scelta di campo della carità pastorale di Don Bosco: sono i giovani, preferibilmente quelli bisognosi e dei ceti popolari.

Insieme a lui, anche i suoi figli e le sue figlie sono chiamati ad essere «sempre e dappertutto — come ci ha detto Giovanni Paolo II — missionari dei giovani».25

E la sua scelta della gioventù non è solo una determinazione di «destinatari», ma comporta tutto un clima evangelico di vita, una sensibilità di futuro, una preziosa ottica per discernere la realtà partendo dalla parte «dei piccoli e dei poveri»; quest’ottica diviene, di fatto, una specie di iniezione quotidiana di giovinezza e di buona vista (per lui e per i suoi educatori) per reinterpretare la società. Basti riflettere su quanto afferma la recente Esortazione apostolica Christifideles laici: «Nei giovani la Chiesa legge il suo camminare verso il futuro che l’attende e trova l’immagine e il richiamo di quella lieta giovinezza di cui lo Spirito di Cristo costantemente l’arricchisce».26

Anche nel Messaggio del Concilio Vaticano II ai giovani, i Pastori ricordavano che si era lavorato, durante quattro anni, per ringiovanire il volto della Chiesa con il fine di meglio corrispondere al disegno del Risorto eternamente giovane: la sua Sposa «possiede ciò che fa la forza e la bellezza dei giovani; la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi senza ritorno, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste. Guardatela, e voi ritroverete in Essa il volto di Cristo, il vero eroe, umile e saggio, il profeta della verità e dell’amore, il compagno e l’amico dei giovani.27

Questa nostalgia di età primaverile ci fa pensare, ritornando al Mistero di Dio, alla forza rinnovatrice dello Spirito Santo, che è, nella storia, potenza di novità e di santificazione. Egli è l’anima della Chiesa, la sorgente inesauribile della sua giovinezza, l’autore di quella speciale ripresa di potenza creativa che trasforma il mondo. Per opera dello Spirito, infatti, il creato tutto geme e soffre nelle doglie del parto.28

Lo Spirito è, dunque, portatore di energie inedite. Conduce a compimento tutta la esaltante comunicazione di Dio all’uomo, introducendo nella storia quanto di più nuovo la vivifica e la porta alla sua meta: «Chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna».29

Questa vita nuova ed eterna abita nei cuori di tutti i credenti: nei giovani, arricchendoli di una vita di fede che li rende davvero speranza della Chiesa e della Società (lo abbiamo gustato con gioia a Torino nel «Confronto DB/88»); negli adulti educatori: dotandoli di freschezza evangelica, di retta percettività dei valori di rinnovamento, di simpatia per l’età che incomincia, di viva accoglienza delle interpellanze giovanili, di un amichevole accompagnamento nell’aiutare i giovani a discernere il loro progetto di vita, di condivisa percezione dei valori emergenti della giustizia, della non-violenza, della pace, della solidarietà, dell’ecologia.

Tutta la Chiesa, dice il Papa, è invitata a guardare in modo speciale se stessa nei giovani; è chiamata a rivivere l’amore di predilezione che Cristo ha testimoniato al giovane del Vangelo: «Gesù, fissatolo, lo amò».30

È questo uno degli aspetti più urgenti del Dono dello Spirito per tutto il Popolo di Dio e, in modo particolare, per noi.



Sprone per la «nuova evangelizzazione»


Dobbiamo considerare il titolo anche come un forte appello e un incalzante stimolo per gli attuali impegni della «nuova evangelizzazione»: si tratta di un’ora magnifica e drammatica della storia.

La preparazione al prossimo CG23 ci tiene ormai tutti occupati nel discernere e nel progettare il da farsi da noi al riguardo. Anche il Papa si è riferito con soddisfazione a questo «compito e sfida» capitolari che vogliamo affrontare per educare i giovani alla fede, ricollegandolo appunto alla proclamazione del titolo. Si tratta di un tema generatore «che tocca profondamente tutta la Chiesa — ci ha detto il Papa —. La sua portata non dipende solamente da determinate caratteristiche dell’attuale condizione giovanile, ma procede da una situazione di cultura emergente in un’ora di intenso cambio, all’avvicinarsi del terzomillennio cristiano. È un’ora di grande responsabilità ecclesiale e di affascinante impegno nel cammino dell’evangelizzazione».31

La scelta preferenziale di Don Bosco per i giovani richiede coraggio di revisione e di inventiva. Il «ripartire dagli ultimi» — come si suol dire oggi — offre un’ottica d’interventi particolarmente illuminante. I Vescovi italiani hanno affermato che precisamente gli ultimi «sono il segno drammatico della crisi attuale».32 «Demoliremo, innanzitutto, gli idoli che ci siamo costruiti: denaro, potere, consumo, spreco, tendenza a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Riscopriremo poi i valori del bene comune».33 «Il Paese non crescerà se non insieme».34

Quest’ottica conduce in profondità a un confronto culturale per un esigente cambio di mentalità nella percezione dei punti strategici di evangelizzazione. Don Bosco ha lanciato una pastorale rinnovatrice proprio perché si è collocato in questa penetrante angolatura di osservazione: dagli ultimi si capisce meglio il problema di tutti.

Ha guardato ai giovani, però, non solo perché bisognosi e abbandonati, non solo perché poveri ed emarginati, non solo perché ultimi e vittime di strutture inadeguate, ma anche e in forma intensa — che ha permeato tutta la sua metodologia — perché ha intuito e valorizzato la ricchezza del loro cuore, portatore di nuovi valori nella speranza.

Per questo la convivenza con essi l’ha portato a costruire un ambiente di gioia poggiato su convinzioni di vera possibilità di esito. Egli non fu mai un augure di catastrofi o un amareggiato contestatore, impastato di pessimismo e agitatore di tristezze. Si è presentato come discepolo del Signore nella letizia, araldo dei messaggi della vittoria pasquale, fiducioso delle forze giovanili non ricoperte di rughe e di canizie, guida di nuove leve che camminano in cerca della verità salvifica attratte da grandi ideali e animate da generose aspirazioni.

L’arcivescovo di Torino, Card. Anastasio Ballestrero, nel concludere le celebrazioni centenarie a Valdocco, ha detto nell’omelia del 31 gennaio scorso: «Abbiamo oggi delle generazioni troppo tristi, abbiamo delle creature troppo serie che sono sempre angustiate da problemi, da incubi, da interrogativi foschi e neri, ma la letizia di Cristo, che San Giovanni Bosco ha tanto proclamato e ha tanto promosso, deve trovarci ancora fedeli: è un esempio che egli ci dà, è una consegna che ci lascia, ed è anche una speranza che ravviva in tutti noi».

È, questo, un importante aspetto che entra indispensabilmente nell’interpretazione del suo titolo di «Padre e Maestro della gioventù».



Collaudo ecclesiale del Sistema Preventivo


Se consideriamo quanto S. S. Giovanni Paolo II ha scritto e ha detto durante l’anno centenario, dalla Lettera Iuvenum Patris ai discorsi e omelie fatti nel pellegrinaggio a Torino e dintorni, al documento Centesimo exeunte e all’allocuzione pronunciata in occasione dell’udienza speciale chiesta dal Rettor Maggiore con il suo Consiglio per un gesto doveroso di ringraziamento, dovremo concludere che il titolo racchiude, in brevissima e indovinata sintesi, la qualifica più autorevole della vocazione e missione di Don Bosco, del suo carisma nel Popolo di Dio. Possiamo dire che costituisce un collaudo ecclesiale del suo Sistema Preventivo.

Il Papa ha meditato molto su Don Bosco ed ha voluto, per sua personale iniziativa e quale culmine delle celebrazioni, conferirgli questo titolo perché è rimasto «pienamente convinto del fatto che egli ha realizzato la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che la sua vita, la sua spiritualità, i suoi scritti e la sua opera offrono grandi luci evangeliche e validi criteri metodologici per la formazione dell’Uomo nuovo».35

Per tutta la Chiesa, e specialmente per la nostra Famiglia, è un forte incoraggiamento a valorizzare sempre meglio i criteri pedagogici e pastorali di Don Bosco ed a vivere ed agire davvero come competenti «missionari dei giovani».

Per noi Salesiani poi, in modo particolarissimo, questo titolo deve rappresentare il motto o lo slogan del centenario, che ci spinga in avanti per far fruttificare i tanti doni ricevuti perché vogliamo abbellire con intensa attualità il prezioso carisma del Fondatore.

Siamone ovunque segni e portatori!

I contenuti del titolo devono entrare a formar parte viva dell’arricchimento interiore dei nostri atteggiamenti, delle nostre convinzioni e della nostra inventiva apostolica.

Dedichiamoci senz’altro a intensificare la serietà degli studi sulla nostra missione e sullo spirito del Fondatore, ma insieme e soprattutto cresciamo in quella connaturale parentela di Spirito Santo che ci fa testimoni e comunicatori dello straordinario dono che Dio ha seminato in lui per la gioventù.

Sarà questo l’impegno più fruttuoso di rinnovamento: per la nostra interiorità apostolica, per la creatività nella pastorale, per il criterio oratoriano di rilancio, per la metodologia della bontà, per una vivace e attuale spiritualità giovanile, per un crescente coinvolgimento dei fedeli laici, per una generosa crescita missionaria, per un più efficace impegno per le vocazioni, per una valida competenza nella nuova evangelizzazione, per procedere meglio insieme ai giovani nell’arduo cammino della santità.

Rivolgiamoci con fiducia al nostro caro Fondatore perché interceda e ci aiuti ad essere fedeli, e diciamogli:

«O Padre e Maestro della Gioventù,

San Giovanni Bosco,

insegnaci a divenire ogni giorno

segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani;

e fa’ che, guidati da Maria,

percorriamo lietamente con essi

la via che conduce all’Amore!»

Prima di concludere, cari Confratelli, vi chiedo un favore: di esprimere in ogni Casa la più sentita gratitudine verso il Papa Giovanni Paolo II con una concelebrazione eucaristica secondo le Sue intenzioni. Varie Comunità hanno già preso questa iniziativa, ma credo sia doveroso che la realizzino tutte. Don Bosco interceda efficacemente e sempre a favore del Successore di Pietro, che guida in questi anni, difficili e promettenti, la Chiesa di Cristo.

Cordiali saluti e vivi auguri di bene a tutti.

Vostro aff.mo nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 40


1 E. CERIA, Annali della Società Salesiana, IV, pag. 106 - SEI, Torino, 1951

2 Discorso al Consiglio Generale SDB, 4 febbraio 1989, in Osservatore Romano 5.2.1989

3 ib.

4 3-5 ottobre 1988

5 16-20 gennaio 1989

6 22-26 gennaio 1989

7 Gv 14, 6

8 cf. Ef 3,15

9 Gv 3, 16

10 Cronaca dell’Oratorio, D. RUFFINO, ASC 110

11 1 Cor 13, 4-7

12 cf. G. BOSCO, Scritti pedagogici e spirituali - LAS, Roma, 1987, pag. 194

13 1 Cor 4, 15

14 Gal 4, 19; cf. anche 1 Ts 2, 11; Fm 1, 10

15 ACS 26.4.1931, pag. 939ss

16 cf. i rispettivi Manuali

17 Testimonianza di un novizio di allora

18 Discorso citato in nota 2

19 Eb 1, 1-2

20 Gv 18, 37

21 cf. Gv 8, 32

22 Centesimo exeunte

23 cf. 1 Gv 1, 1-2

24 IP 13

25 Discorso citato in nota 2

26 ChL 46

27 8 dicembre 1965

28 cf. Rm 8, 22

29 Gal 6, 8

30 Mc 10, 21

31 Discorso citato in nota 2

32 La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, Documento del Consiglio permanente, 4; in Enchiridion CEI, 3, 1980-1983, Ed. Dehoniane, Bologna

33 ib. 6

34 ib. 8

35 Discorso citato in nota 2