301-350|it|327 Convocazione del Capitolo Generale 23°

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CONVOCAZIONE DEL CAPITOLO GENERALE 23°



Introduzione. - Convocazione costituzionale. - Carattere proprio del CG23. - Il tema proposto: sua scelta e suo significato. - I compiti di educazione alla fede indicati dalle Costituzioni. - Le sfide dei tempi nuovi. - L’impegno «pastorale» della comunità salesiana. - Il lavoro del prossimo Capitolo Ispettoriale. - Per concludere.

Lettera pubblicata in ACG n. 327



Roma, 6 agosto 1988

Festa della Trasfigurazione del Signore


Cari Confratelli,


tra i molteplici doni ricevuti durante quest’Anno centenario di grazia, c’è anche la convocazione del prossimo Capitolo Generale: sarà il 23°.

Don Bosco dava particolare rilievo ai Capitoli Generali. Presiedette i primi quattro (1877, 1880, 1883, 1886; allora — fino al 1904 — il CG si radunava ogni tre anni). Nel convocare il primo Capitolo Generale ricordò ai confratelli che «noi intraprendiamo cosa della massima importanza per la nostra Congregazione... Non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime... Intendiamo porre il Capitolo sotto la protezione speciale di Maria Santissima».1

Le attuali Costituzioni ci dicono che il Capitolo Generale «è il principale segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità»;2 per suo mezzo ci si incontra come fratelli da tutto il mondo per crescere in fedeltà al Vangelo, a Don Bosco e ai tempi.3 È un evento comunitario di identità, di unità, di revisione, di progettazione, di presenza salesiana dinamica nel Popolo di Dio in cammino, che «tra tentazioni e tribolazioni» rinnova se stesso per essere luce e sale della terra.4 In esso tutta la Congregazione si pone in atteggiamento di docilità allo Spirito del Signore cercando «di conoscere, in un determinato momento della storia, la volontà di Dio per un miglior servizio alla Chiesa».5

È dunque uno dei maggiori «tempi forti» della nostra vita comunitaria. Converrà averne chiara coscienza, sentirsi coinvolti nell’impegno di responsabilità a livello mondiale, partecipare attivamente alla sua preparazione partendo dalla concretezza della propria Ispettoria. Essendo un evento di sintonia con lo Spirito Santo, dovrà suscitare innanzitutto un intenso clima di preghiera, accompagnato da zelo pastorale, da studio, da verifica, da dialogo, da propositi di risposte efficaci alle attuali gravi interpellanze.



Convocazione costituzionale


Siccome le Costituzioni affermano che «il Capitolo Generale viene convocato dal Rettor Maggiore»,6 con questa Lettera intendo appunto convocare ufficialmente il CG23.

Nella recente ultima sessione del Consiglio Generale ho anche designato il Regolatore nella persona del Segretario generale don Francesco Maraccani.

Ho poi scelto il seguente tema da trattare:

Educare i giovani alla fede:

compito e sfida per la comunità salesiana oggi.

Ho nominato infine la Commissione tecnica che, insieme al Regolatore, ha stabilito l’iter di preparazione e si è preoccupata di promuovere «la sensibilizzazione e la partecipazione attiva dei soci».7 I risultati del suo lavoro li avete in questo stesso numero degli Atti.

A suo tempo verrà nominata anche la «Commissione precapitolare che redigerà, sotto la responsabilità del Regolatore, d’intesa con il Rettor Maggiore, le relazioni o gli schemi da inviare con sufficiente anticipo ai partecipanti».8

«La convocazione — dicono i Regolamenti — sarà fatta almeno un anno prima dell’apertura del medesimo».9 Nel Consiglio Generale se ne sono studiate attentamente le possibilità.

Ebbene: il Capitolo si svolgerà a Roma nella Casa Generalizia di via della Pisana 1111, dal giorno 4 marzo 1990 per un periodo — così spero — di non più di due mesi. Comincerà con gli Esercizi Spirituali dei Capitolari, perché si dispongano opportunamente a lasciarsi «guidare dallo Spirito del Signore».10

Lo scopo principale del Capitolo 11 non è solo di trattare adeguatamente il tema proposto, ma anche quello di esercitare, a norma del diritto, quella «autorità suprema» che ne caratterizza la natura. Infatti al Capitolo Generale spetta «eleggere il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio Generale».12

È, questa, una grave responsabilità per la vita della Congregazione e di proiezione storica; infatti si tratta di designare i portatori, per un sessennio, del ministero di unità, di animazione e di conduzione della Congregazione nella Chiesa e nel mondo. Basta rileggere gli articoli delle Costituzioni che si riferiscono ai vari ruoli da svolgere a livello mondiale nel servizio dell’autorità, tra noi, per capire che bisogna già fin d’ora pregare, incominciare a discernere e disporre l’animo a superare motivazioni o sentimenti impropri in vista di una scelta così vitale.



Carattere proprio del CG23


Il CG23 dovrebbe far rientrare la celebrazione capitolare mondiale nel ritmo «ordinario», sia riguardo ai contenuti che alla durata dei lavori.

Dopo il CG22, con l’approvazione del testo rielaborato delle Costituzioni da parte della Sede Apostolica e con il completamento della nostra Regola di vita da parte degli ultimi Capitoli ispettoriali, si è concluso un laborioso e fecondo periodo postconciliare, dedicato al vasto ambito della precisazione dell’identità salesiana nella Chiesa e alla conseguente applicazione «regolamentare» sia a livello generale che ispettoriale.

Ora il Capitolo che si sta preparando può dirsi «ordinario», in confronto con i precedenti Capitoli Generali postconciliari. Si intende infatti concentrare l’attenzione dei confratelli su un argomento specifico, di ordine operativo, considerato di particolare urgenza per tutta la Congregazione, ma in certa maniera settoriale, nel senso che non si riferisce alla totalità della vita salesiana.

Per ripensare adeguatamente la nostra identità e per evitare le insidie della superficialità, gli ultimi tre Capitoli Generali ci hanno arricchito con documenti di grande profondità dottrinale che ci illuminano e ci guidano nelle risposte da dare alle interpellanze dei tempi nuovi. Confrontandoci con questa ricchezza di orientamenti, ormai ufficialmente acquisita, siamo ora chiamati a verificarne l’assimilazione e la proiezione operativa.

Lo scopo del CG23 si restringe perciò a un ambito più immediatamente pratico: verificare l’efficacia dell’educazione salesiana in ordine alla vita di fede dei giovani con cui operiamo, per poi rivedere con più incisività i Progetti educativo-pastorali di ogni Ispettoria e delle singole Case.

Da questa prossima Assemblea capitolare ci si aspetta un documento piuttosto succinto di Orientamenti operativi.



Il tema proposto: sua scelta e suo significato


— La «scelta» del tema è scaturita dall’esperienza vissuta in questi anni, dalle difficoltà incontrate sia da parte dei giovani che da parte della comunità salesiana, ma anche dallo sguardo rivolto alla solenne promessa di fedeltà a Don Bosco rinnovata lo scorso 14 maggio.

L’educazione dei giovani alla fede è divenuta una missione complessa, non solo in qualche Ispettoria o in qualche area culturale, ma un po’ ovunque nelle varie Regioni. Certo, non è un problema soltanto della Congregazione; esso tocca profondamente tutta la Chiesa. La sua portata non dipende esclusivamente da determinate caratteristiche dell’attuale condizione giovanile, ma procede da una situazione di cultura emergente in un’ora di vero «cambio epocale»: «l’umanità vive oggi — ha affermato il Concilio — un periodo nuovo della sua storia, caratterizzato da profondi e rapidi mutamenti che progressivamente si estendono all’intero universo».13

È un’ora di nuovo cominciamento ecclesiale di grande responsabilità e di affascinante impegno storico. Ci ricorda il famoso «balzo innanzi» di cui parlava profeticamente Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II: il nostro dovere, diceva, sarà «di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli».14

Nel Consiglio Generale si è arrivati alla scelta di questo tema dopo lungo discernimento. Si cominciò nel gennaio scorso con il suggerimento di vari argomenti da parte dei Consiglieri stessi. Poi i Consiglieri Regionali fecero un sondaggio informale tra Confratelli e Ispettori delle otto circoscrizioni portandone, a giugno, i risultati al Consiglio Generale. Si mise ordine nelle proposte pervenute; uditi i pareri di tutti e constatata la priorità assegnata all’argomento dell’educazione cristiana, il 6 luglio il Rettor Maggiore è arrivato alla scelta del tema.

C’era già stato in Consiglio un lungo dialogo di studio, proposto fin dall’anno precedente, circa alcuni contenuti di questo argomento, considerati un problema urgente da affrontare e approfondire per aiutare le Ispettorie.

La scelta stessa del tema è stata poi seguita da varie discussioni per elaborarne meglio l’enunciazione, delimitarne i contenuti e studiare il modo di proporla ai confratelli. Si potè così offrire alla Commissione tecnica un materiale sufficientemente definito, affinché procedesse al suo lavoro specifico di servizio alle Ispettorie.


— Il «significato» del tema risulta chiaro dalla sua stessa enunciazione. L’educazione della fede 15 e alla fede 16 è l’ottica peculiare secondo cui si deve analizzare e approfondire tutta la problematica. Uscire da quest’ottica vorrebbe dire situarsi fuori argomento. Bisognerà perciò stare attenti a non lasciarsi tentare da facili deviazioni collaterali.

Per sviluppare il tema occorrerà analizzare pastoralmente e verificare salesianamente la realtà in cui stiamo operando. Ci si deve riferire quindi, in concreto, a quei giovani che stiamo educando in ognuna della nostre presenze locali per riflettere sulla problematica che presentano nella loro vita circa la fede.

C’è, al riguardo, un compito da svolgere; e c’è una sfida a cui rispondere.

Il «compito» viene indicato con chiarezza nelle Costituzioni; la «sfida», o le interpellanze, saranno raccolte dalle singole comunità locali e in ogni Ispettoria secondo il pluralismo di opere, di situazioni sociali, di culture e di congiunture.

Converrà saper distinguere tra difficoltà, diciamo così, ricorrenti e le sfide che provengono da novità culturali che esigono un vero ripensamento della metodologia e dei contenuti dell’educazione alla fede.

Il tema non esclude, anzi certamente include (ma sotto l’ottica specifica del cammino alla fede) l’impegno educativo tra la gioventù non cristiana. Il Santo Padre nella Lettera Iuvenum Patris ci ha ricordato che «l’aspetto della trascendenza religiosa, caposaldo del metodo pedagogico di Don Bosco, non solo è applicabile a tutte le culture, ma è adattabile con frutto anche alle religioni non cristiane».17

Non si prescinde, dunque, da nessun tipo di destinatari con cui lavoriamo, ma si sottolinea e si verifica lo specifico aspetto «pastorale» e «missionario» di tutte le nostre presenze in rapporto alla fede dei giovani: siamo sempre e dovunque «pastori e missionari dei giovani»! Educhiamo con un cuore centrato su Cristo e conducendo gradualmente i giovani verso di Lui. Se non fosse così, il centro del nostro spirito non sarebbe più la carità pastorale; né sarebbe più il «da mihi animas» il motto che ci definirebbe!



I compiti di educazione alla fede indicati dalle Costituzioni


Le nostre Costituzioni asseriscono esplicitamente che «“questa Società nel suo principio era un semplice catechismo”! Anche per noi l’evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione. Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero».18 Ecco il grande compito che ci definisce!

E i Regolamenti generali, parlando del progetto educativo-pastorale, affermano: «Nucleo centrale del progetto sia un piano esplicito di educazione alla fede che accompagni i giovani nel loro sviluppo e coordini le diverse forme di catechesi, le celebrazioni e gli impegni apostolici».19

Questi due articoli mettono pienamente in evidenza il tema del CG23.

I compiti da svolgere secondo i grandi contenuti e obiettivi di questa «dimensione fondamentale della nostra missione» e l’itinerario educativo da seguire, li troviamo descritti nelle stesse Costituzioni: soprattutto dall’articolo 31 all’articolo 37.

La Commissione tecnica ne ha esplicitato i vari aspetti. Qui vorrei concentrare la vostra attenzione, cari confratelli, su alcuni punti nodali che dovrebbero aiutare a percepire lo «stile originale» dell’impegno educativo salesiano.

Vi invito a tener conto dei seguenti punti: la «cura dell’unità organica», la «promozione dell’intelligenza critica», lo «sviluppo dell’amore» e la «scoperta della gioia di vivere».

— La cura dell’unità organica è un aspetto metodologico e contenutistico insieme. Noi l’abbiamo condensato nello slogan «evangelizzare educando».20 Ce lo ha ricordato anche il Papa nella sua Lettera: lo stile peculiare di Don Bosco per l’evangelizzazione dei giovani si situa «all’interno del processo di formazione umana... (per far sì che) la fede divenga elemento unificante e illuminante della loro personalità».21

Non è un impegno facile: esige di approfondire la visione del mistero di Cristo «uomo perfetto», avere un cuore ardente di carità pastorale e acquisire una attenta ed aggiornata competenza pedagogica circa i valori umani in crescita.

Con questa cura dell’unità organica ci si impegna a risolvere alle origini stesse della vita personale il tragico dissidio tra Vangelo e cultura.

Il segreto sta nel non dimenticare mai la funzione «unificante e illuminante» della fede e nel farla accettare come fermento per la maturazione di tutta la persona.

Anche il Concilio sottolinea questa capacità unificatrice e organica della fede: «I cristiani — esorta la Gaudium et spes — siano contenti, secondo l’esempio di Cristo, che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio».22

— La promozione dell’intelligenza critica in rapporto alla libertà personale. È urgente educare a un senso autentico del peccato, di quello personale che dipende innanzitutto dalla propria volontà.

Oggi la coscienza di tale peccato è in pericolosa decadenza. L’intelligenza critica suole essere promossa in riferimento alle strutture, alla società, a determinati sistemi economici o politici, dimenticando la radicale importanza e responsabilità della persona e dell’educazione della sua libertà.

Promuovere l’intelligenza critica in rapporto alla fede, significa incamminare il giovane sull’itinerario della «conversione», educarlo ai valori della dignità personale, del superamento degli egoismi, della riconciliazione, della grandezza cristiana di divenire penitenti, dell’imparare a perdonare sentendosi perdonati. Don Bosco dava grande importanza a questo aspetto; lo considerava una delle colonne della sua pedagogia.

Rivitalizzare il sacramento della Riconciliazione è un obiettivo indispensabile nell’educazione alla fede!

— Lo sviluppo dell’amore deve portare il giovane a capire e a partecipare all’atto più grande di dono di sé nella storia: il sacrificio redentore di Cristo.23 La fede cristiana è direttamente legata all’Eucaristia. Già dalla prima ora molti discepoli non lo compresero; il discorso del Signore sembrava veramente esagerato, ma «Gesù domandò ai Dodici: forse volete andarvene anche voi? Simon Pietro gli rispose: Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole che danno la vita eterna».24

Non si tratta, qui, di ripiegarsi sull’osservanza di norme (anche se i precetti della Chiesa sono importanti), bensì di educare la mente e il cuore dei giovani in modo che appaia chiara la centralità suprema dell’Eucaristia nella vita dei singoli e nel clima dell’ambiente educativo.

Ecco l’altra fondamentale colonna pedagogica proclamata da Don Bosco e così vivamente presente nella sua pratica educativa. Essa non deve venir indebolita da razionalizzazioni inconsistenti. Le tanto esaltate esigenze da rispettare nella cosiddetta preevangelizzazione sono risultate, di fatto, un abbassamento di tipo secolarista degli obiettivi da raggiungere nell’educazione alla fede, con delle conseguenze deleterie per gli stessi educatori. Certo — come dicono le Costituzioni — «imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà». Però, aggiungono anche: «li accompagniamo perché maturino solide convinzioni e siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede».25

Se la nostra educazione non si dedica a sviluppare l’amore, non formeremo mai delle forti personalità. E l’educazione al vero amore passa necessariamente attraverso l’Eucaristia.

— La scoperta della gioia di vivere, infine, comporta di saper cogliere il senso della vita come «vocazione».

Ogni giovane è un progetto-uomo da scoprire e da realizzare alla luce della consapevolezza personale di essere «immagine di Dio». Se la dignità della persona è la sua libertà, e se la perfezione della libertà è l’esercizio vissuto dell’amore, la vocazione di ogni giovane consisterà nel saper progettare la vita e una condotta di esistenza fatte di amore. Il nemico principale dell’esistenza come vocazione è la mentalità egoista.

Noi — dicono le Costituzioni — «educhiamo i giovani a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita quotidiana progressivamente ispirata e unificata dal Vangelo».26 Non c’è bisogno di indugiare qui nel presentare la molteplicità delle vocazioni umane e cristiane. Penso, però, sia necessario sottolineare l’urgenza attuale di saper individuare e far maturare numerose vocazioni alla vita consacrata (maschile e femminile), al sacerdozio ministeriale e a un laicato generosamente impegnato; e, perciò, insistere sull’importanza pedagogica di questa proposta vocazionale nell’educazione alla fede.

Non dimentichiamo mai, né come singoli confratelli né come comunità al servizio dei giovani, che «quest’opera di collaborazione al disegno di Dio (è) coronamento di tutta la nostra azione educativa pastorale».27



Le sfide dei tempi nuovi


Dicevo prima che le sfide che interpellano l’educazione alla fede verranno individuate e valutate nelle singole comunità e Ispettorie, in conformità al pluralismo di opere, di situazioni e di culture. Ci sono però delle grandi sfide nate dai segni dei tempi che hanno ormai una dimensione mondiale e che esigono una nuova forma di evangelizzazione, certamente conservando sempre alle verità della fede — come diceva Giovanni XXIII nella già citata allocuzione — «lo stesso senso e la stessa portata. Bisognerà attribuire molta importanza a questa forma e, se sarà necessario, bisognerà insistere con pazienza nella sua elaborazione».28

Questa esigenza di «nuova evangelizzazione», che poi significa anche di «nuova educazione», ci interpella molto da vicino e ci misura sulla capacità stessa di riattualizzare il nostro carisma nella Chiesa. Noi Salesiani siamo, o dovremmo essere, nel Popolo di Dio, dei competenti in metodologia educativa!

Purtroppo abbiamo assistito nella Chiesa, dopo il Concilio, a deviazioni all’insegna dell’integrismo o del progressismo che intaccano l’autenticità della fede: o per resistenza al Vaticano II come nella triste vicenda di Lefebvre, o per spinte ideologiche di tipo temporalista o secolarizzante come in certe interpretazioni di pensatori pericolosamente ambigui. Questo fatto ci deve mettere in guardia per saper cercare la nuova forma dell’evangelizzazione nella massima fedeltà alla rivelazione del Cristo.

Penso che le grandi sfide universali di novità si presentano soprattutto a due livelli complementari: quello della «dimensione personale» e quello della «dimensione sociale».

— La dimensione personale si è arricchita grandemente in questi anni sia per l’approfondimento dell’io, sia per una maggior conoscenza dei valori della libertà, sia per i progressi nelle scienze della biologia umana e nel significato e valenza della sessualità, sia per la promozione della donna, sia per l’importanza riconosciuta alla vita e alla sua difesa, sia per la durata di maturazione del giovane e del suo inserimento nella società (la giovinezza si è prolungata, di fatto, quasi di dieci anni con rispetto ai tempi di Don Bosco).

Ecco perché, da una parte, il «processo di personalizzazione» si è approfondito con problematiche veramente inedite e non sempre prese sufficientemente in conto nei modi tradizionali dell’educazione alla fede; inoltre, da un’altra parte, il progresso delle scienze antropologiche ha portato con sé numerosi interrogativi e problemi soprattutto alla visione cristiana della condotta morale provocando un disorientamento pratico negli atteggiamenti di vita del credente. Basti pensare che tra le scienze della fede quella che ha sentito di più la crisi è la Teologia Morale. Eppure l’educazione alla fede tende a tradursi in condotta di vita, con apprezzamento e sviluppo di tutti i valori umani, con chiaro senso del peccato, con uno stile di esistenza che divenga «testimonianza».

Si apre perciò un campo vasto e complesso, ricco di novità, con urgenza di evangelizzazione.

— La dimensione sociale è un orizzonte di ancor più ampia novità. I termini «partecipazione», «solidarietà», «comunione», «democrazia» unita alla grande «politica del bene comune», «pace», «giustizia», «comunicazione sociale», «equilibrio ecologico», ecc. suggeriscono temi generatori di molteplici aspetti da ripensare a fondo con una mentalità fortemente rinnovata.

La stessa Congregazione per la Dottrina della Fede ci ha confermato recentemente che «una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare la “civiltà dell’amore”... (Essa) richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell’amore con l’ordine sociale considerato in tutta la sua complessità».29

Quindi, nell’educazione alla fede oggi bisognerà saper entrare in questa vera costellazione di nuovi valori sociali, riservando uno spazio determinante e sempre aggiornato all’Insegnameno sociale del Magistero.

Sono note, in negativo, certe deviazioni di moda in questo campo (manipolazioni e strumentalizzazioni) e, in positivo, l’acuto discernimento e il peculiare stile fatto di atteggiamento trascendente ma impegnato di Don Bosco. L’articolo 33 delle Costituzioni ne indica chiaramente i contenuti e le esigenze: noi partecipiamo alla opzione preferenziale per i poveri e agli impegni di promozione sociale e collettiva «in qualità di religiosi» dedicati con stile salesiano, nell’ambito fondamentale della cultura, all’opera educativa «rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito».30

Le sfide dei tempi nuovi obbligano certamente a chiarire, aggiornare e rinnovare le nostre concrete attività di educazione alla fede.



L’impegno «pastorale» della comunità salesiana


«Vivere e lavorare insieme — ci dicono le Costituzioni — è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione».31

Il compito dell’educazione alla fede è assunto e attuato in primo luogo dalla comunità (ispettoriale e locale) e condiviso da ognuno dei suoi membri, secondo i differenti ruoli che gli sono assegnati.32

Il CG23 intende far riflettere seriamente su questa concreta responsabilità comunitaria. Il segreto del rinnovamento che si augura nel prossimo Capitolo si trova proprio lì: non tanto nel ridimensionamento delle opere (impegno anch’esso particolarmente importante), quanto nel ripensamento e nel rinnovamento della missione, ossia nella qualità pastorale delle nostre attività. È questa la «novità di presenza» a cui dobbiamo tendere prima di tutto, in ogni opera.

Ecco il senso in cui viene chiamata in causa la comunità salesiana per l’elaborazione e applicazione di un suo rinnovato progetto educativo pastorale! 33 Il tema intende porre l’accento sulla comunità, in quanto è appunto la prima responsabile dell’educazione dei giovani alla fede. Sarà importante avere l’avvertenza di non uscire distrattamente di argomento addentrandosi nella complessa problematica comunitaria. L’unica ottica con cui riflettere rimane sempre l’educazione alla fede, quale impegno pensato, programmato, verificato e rielaborato da una comunità salesiana vincolata a un territorio definito, con le sue specifiche caratteristiche socioculturali ed ecclesiali, e responsabile di un’opera che ha delle finalità educative e pastorali proprie.

Evidentemente la verifica di questo fondamentale compito della comunità darà rilevanza al ruolo «pastorale» dell’Ispettore, del Direttore, degli Animatori e dei singoli Confratelli.

Sarà un esame di pastoralità!, avendo al centro la misura del «discernimento pastorale della comunità».34 Ci si chiederà quale sia l’apporto pastorale di tutti nel lavoro educativo, nell’animazione, nell’uso dei mezzi, nelle iniziative da stimolare, nelle difficoltà da superare, nelle sfide a cui rispondere «oggi e qui». Vogliamo rilanciare con tutte le forze, dopo il ritorno alle fonti per opera del Centenario, l’atteggiamento del «da mihi animas», testimoniato con originalità pastorale e pedagogica da Don Bosco.

L’essere situati in un territorio definito, con un tipo specifico di presenza, orienta la verifica della comunità salesiana nelle sue relazioni con la Chiesa locale e con l’ambiente umano circostante. Infatti, «la comunità salesiana opera in comunione con la Chiesa particolare. È aperta ai valori del mondo e attenta al contesto culturale in cui svolge la sua azione apostolica».35 Perciò bisognerà tenere in conto sia il cammino ecclesiale percorso nella pastorale del territorio, sia la condizione e il divenire socioculturale dell’ambiente.

In ogni nostra opera, poi, la comunità salesiana è chiamata ad essere «centro propulsore» di una più ampia «comunità educativa»: «L’attuazione del nostro Progetto — dicono i Regolamenti — richiede in ogni ambiente e opera la formazione della comunità educativa pastorale. Il suo nucleo animatore è la comunità religiosa».36 Così si apre un discorso più ampio, assai attuale ed esigente; esso si riferisce chiaramente ai laici che collaborano con noi e agli stessi giovani, facendo riflettere sulla loro formazione pedagogico-spirituale-apostolica e sulla nostra capacità di animarli.

Se poi si pensa che, nella visione magnanima di Don Bosco, l’educazione alla fede si realizza non solo all’interno della comunità educativa, ma si estende più in là, influendo nella parrocchia, nel quartiere, nella zona, nella diocesi, nel paese, allora si dovrà pensare anche all’importanza dell’animazione di quei Cooperatori e di quegli Exallievi che operano a favore della fede nell’ambito del territorio in cui è situata la comunità salesiana.

Questo rivolgere l’attenzione ai fedeli laici è oggi di forte attualità ecclesiale e, per noi, è anche un appello costituzionale di rinnovamento, con preciso riferimento alle Associazioni dei Cooperatori salesiani e degli Exallievi di Don Bosco.37

Però anche questo aspetto dovrà venir affrontato secondo l’ottica del tema capitolare. Non si tratta, infatti, di entrare qui nella problematica della Famiglia Salesiana; ma, presupponendone il rinnovamento e la vitalità, di verificarne e stimolarne l’iniziativa educativa e pastorale nell’ambito del territorio.

È importante considerare l’influsso dell’intero carisma di Don Bosco nella parrocchia, nel quartiere, nella città o nella regione, secondo la visione dinamica, ecclesiale e sociale del nostro Fondatore.

Questa consapevolezza di corresponsabilità e di sintonia ecclesiale rilancia l’ampiezza e ridefinisce davvero il volto dell’attività salesiana delle nostre presenze: coraggio, cari Ispettori e Direttori!



Il lavoro del prossimo Capitolo ispettoriale


Il Capitolo ispettoriale è, secondo le Costituzioni, «l’Assemblea rappresentativa dei confratelli e delle comunità locali».38 La sua natura e le sue competenze sono differenti da quelle del Capitolo Generale — non detiene né esercita «autorità suprema» nell’Ispettoria,39 non è fonte di autorità in Congregazione, ed ha un ambito di competenza ben definito dalle Costituzioni.40

In via ordinaria è convocato dall’Ispettore ogni tre anni.41 Quindi, normalmente, nel mandato di un sessennio ogni Ispettore ne convoca due: uno «in preparazione del Capitolo Generale», e un altro «intermedio».

Ci fu, in un primo momento postconciliare, la tendenza a richiedere una convocazione più frequente dei Capitoli ispettoriali (c’erano proposte per tenere il CI ogni due anni, e persino ogni anno). Ma poi si constatò la ragionevolezza del ritmo triennale. Il notevole impegno degli ultimi vent’anni, che si è riflettuto sui Capitoli ispettoriali, chiamati a un più intenso lavoro per la rielaborazione della Regola di vita (anche con la convocazione di Capitoli ispettoriali «speciali»), può aver indotto il rischio di una certa saturazione. Conviene saper reagire.

Considerando la natura stessa del Capitolo ispettoriale e tenendo conto della rielaborazione ormai portata a termine della nostra Regola di vita, occorre aver ben chiaro il suo significato eminentemente comunitario, la sua importanza nella scadenza triennale e la conseguente responsabilità che riguarda ogni confratello e ogni comunità.

Il fatto che il prossimo CG23 rientra nell’alveo, diciamo così, della «ordinarietà» dovrebbe avere le sue ripercussioni anche sulla modalità di celebrazione dei Capitoli ispettoriali.

Sembra infatti conveniente una certa distinzione pratica tra il Capitolo ispettoriale indetto soprattutto per preparare il Capitolo Generale, e quello intermedio, convocato appositamente per riflettere sul buon andamento dell’Ispettoria. Nel primo, l’attenzione centrale e i principali lavori da realizzare sono riferiti alla preparazione del Capitolo Generale, anche se non si escludono i problemi ispettoriali più urgenti. Nel secondo, ci si dedicherà invece ad esaminare e ad approfondire più adeguatamente l’andamento dell’Ispettoria.

Questa distinzione pratica può servire a superare il pericoloso senso di disaffezione a cui ho accennato, ad assicurare la serietà dei Capitoli ispettoriali e a snellirne la celebrazione.

Una cosa, ad ogni modo, rimane chiara; ed è che il prossimo Capitolo ispettoriale dovrà dedicarsi principalmente a trattare il tema dell’educazione dei giovani alla fede.

Esorto perciò tutti i confratelli ed ogni comunità locale a considerare come tempo privilegiato di corresponsabilità mondiale la preparazione e la celebrazione del prossimo Capitolo ispettoriale. Il tema dell’educazione dei giovani d’oggi alla fede divenga davvero un argomento di riflessione, di dialogo, di ricerca, di verifica, di proposte per ogni comunità locale e per ogni confratello. Tocchiamo qui l’anima stessa della missione salesiana; misuriamo la nostra fedeltà al Fondatore e la nostra inventiva pastorale; determiniamo il grado di comunione ecclesiale che ci definisce; verifichiamo il vero amore che ci fa vivere per i giovani; evitiamo i pericoli delle mode ideologiche e l’appiattimento di certe pretese pseudoscientifiche. Vi invito dunque, cari confratelli, a dare grande importanza alla preparazione di questo Capitolo: nella preghiera, nello studio e riflessione, nella verifica, nel discernimento delle sfide, nelle proposte.

Vorrei insistere, in modo particolare, sulla capacità di percepire i segni positivi della novità culturale in cui viviamo e i valori di crescita umana testimoniati e proclamati dai giovani d’oggi. I segni dei tempi hanno alla loro radice l’impulso dello Spirito del Signore. Non ci fanno andare in giù, ma piuttosto salire! Se è aumentato il peso del peccato, è cresciuto anche il senso genuino del Vangelo e la sua feconda fermentazione per la crescita in umanità. Lo constatiamo nella vita della Chiesa e nel rinnovamento della Congregazione.

La «creazione» del Padre, che è effluvio di bene, si muove ognora in un divenire crescente; la «redenzione» del Figlio, che è vittoria della fede, aumenta il suo benefico processo di liberazione personale e sociale; la «santificazione» dello Spirito, che è potenza di trasformazione, opera continuamente nei cuori e nelle comunità. È cosa da pessimisti miopi il non accorgersi dell’amore di Dio che sta circondando l’uomo nei segni dei tempi, nel Concilio Vaticano II, nel rinnovamento della Chiesa, nella riattualizzazione dei carismi (in particolare, per noi, di quello di Don Bosco), nella inventiva pastorale, nell’entusiasmo di preparazione all’avvio di un terzomillennio di fede cristiana.

Certo, il male cresce in forma sofisticata. Ma il Signore ci ha chiamati a lottare, e ce ne ha dato l’energia e l’esempio, assicurandoci anche, con luminosità pasquale, che «tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede! E chi è che vince il mondo se non chi crede che Gesù è il Figlio di Dio?».42



Per concludere


Mi piace ricordare, cari confratelli, la distinzione proposta dal CGS tra «missione» e «pastorale».

La «missione», è identica e immutabile in ogni cultura e in ogni situazione; la «pastorale», «è la concretizzazione operativa della missione sotto la guida dei “pastori”. Questo suppone sensibilità ai segni dei tempi e senso di adattamento al determinato momento storico e alla situazione locale. Ne deriva necessariamente un pluralismo di “pastorali”, ossia di scelte concrete della Chiesa (universale e locale) nel triplice servizio “profetico”, “liturgico” e di “guida” della comunità. Così si spiegano le pastorali diverse secondo l’età, il sesso, il contesto socioculturale, il grado di fede, la pastorale d’insieme del paese».43

Il rinnovamento della nostra missione è intimamente legato alla pluriformità delle nostre pastorali. Questa pluriformità è, tra noi, ormai un fatto pacifico. Esso costituisce la base di partenza dei prossimi lavori capitolari.

Ma l’ottica del tema proposto non si riferisce a tale pluriformità; la suppone e la apprezza come realtà viva su cui concentrarsi, in vista però del discernimento di un altro aspetto: quello della qualità pastorale degli impegni propri di ogni comunità salesiana. Nella pluriformità ci interessa specificamente la «qualità pastorale».

Non dunque, per ora, altri aspetti anche importanti: né il problema dei destinatari, né il ridimensionamento delle opere, né l’inculturazione della missione, né la revisione della comunità religiosa, né il rilancio della Famiglia Salesiana, né qualunque altro argomento interessante, ma, specificamente e in profondità, la qualità della nostra pastorale nell’educazione dei giovani di oggi alla fede.

La fedeltà alla missione di Don Bosco richiede che si risvegli nelle nostre menti e in ogni comunità l’ardore e la genuinità della competenza pastorale, sotto l’influsso della potenza dello Spirito Santo.

La stessa verifica da fare o l’analisi della realtà in cui operiamo deve venir considerata da un’angolatura «pastorale», senza precomprensioni ideologiche che possano strumentalizzare surrettiziamente le conclusioni a cui pervenire. Quindi, non semplicemente un’analisi della realtà fatta con criteri alieni alla nostra missione, ma una visione pastorale di essa, che può procedere solo da un’ottica di valutazione evangelica ed ecclesiale. Si tratta di giudicare una ricchezza di vita, quella della fede, che si muove più in là delle frontiere della scienza e dei sistemi sociopolitici. La fede non può essere scrutata ed esaminata nella sua realtà profonda (nei suoi inizi e nella sua crescita) che dai credenti stessi che hanno fatto di essa il vertice illuminatore dei propri giudizi.

Per questo sarà bene rifarsi, nella preghiera e nell’imitazione, alla Vergine Maria, che è stata definita nel Vangelo Colei che ha creduto, e che ha espresso nel Magnificat il suo modo evangelico di valutare la storia.

Noi ci siamo affidati solennemente a Lei all’inizio del CG22. Siamo convinti che Essa «è presente tra noi e continua la sua “missione di Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani”. Ci affidiamo (anche oggi e per il CG23) a Lei, umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose, per diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio».44

Che Don Bosco ci ottenga dalla Madonna il senso vivo di Cristo, l’ardore apostolico per comunicare i benefici del Suo grande Mistero, l’intelligenza creativa e la competenza pedagogica per educare i giovani alla fede nel Cristo come risposta alle pressanti sfide dei tempi.

Mettiamoci a lavorare con lena!

Il tema proposto è strategicamente vitale.

Cordiali saluti e auguri di bene.

Nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 38


1 E. CERIA, Annali, vol. 1, pag. 313

2 Cost 146

3 cf. ib. 146

4 cf. LG 9

5 Cost 146

6 Cost 150

7 Reg 112

8 Reg 113

9 Reg 111

10 Cost 146

11 Reg 111

12 Cost 147

13 GS 4

14 11 ottobre 1962

15 Cost 6

16 Cpst 34

17 IP 11

18 Cost 34

19 Reg 7

20 cf. ACS n. 290

21 IP 15

22 GS 43

23 cf. ACG n. 324

24 Gv 6, 67-68

25 Cost 38

26 Cost 37

27 Cost 37

28 11 ottobre 1962

29 Libertatis conscientia 81

30 Cost 33

31 Cost 49

32 cf. Cost 44-45

33 cf. Reg 4

34 Cost 44

35 Cost 57

36 Reg 5

37 cf. Cost 5; Reg 36. 38. 39

38 Cost 170

39 N.B.: Confrontare con Cost 147

40 cf. Cost 171

41 Cost 172

42 Gv 5, 4-5

43 CGS 30

44 Cost 8