351-400|it|351 Il Sinodo sulla vita consacrata

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IL SINODO SULLA VITA CONSACRATA



Introduzione. - La più numerosa Assemblea sinodale. - L’ottica ecclesiale nella impostazione del tema. - L’intima natura della Vita consacrata. - L’importanza del monachesimo. - La donna consacrata. - La piena dignità dei Religiosi «Fratelli». - L’inserzione nella Chiesa particolare. - Le sfide della nuova evangelizzazione. - L’urgente primato della «vita nello Spirito». - La forza della vita fraterna in comunità. - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACG n. 351



Roma, 8 dicembre 1994

Solennità dell’Immacolata


Cari confratelli,


un saluto fraterno da parte anche dei membri del Consiglio generale, specialmente di don Martino McPake che purtroppo da tempo non sta tanto bene di salute; egli si raccomanda in modo speciale all’intercessione di don Rua; accompagnamolo con la nostra preghiera.

Come già sapete, tra i servizi del Consiglio generale in questi mesi si sono annoverate varie Visite d’insieme; esse fanno constatare, da una parte, l’enorme bene promosso in Congregazione dall’ultimo Capitolo Generale (il CG23) e, dall’altra, alcune incompiutezze o lacune che ci obbligano a non dimenticare, guardando avanti, l’indispensabile urgenza dell’evangelizzazione dei giovani. Per fortuna il tema del CG24 non allontana affatto dagli impegni di tale missione, anzi ci stimola a saper coinvolgere in tal senso numerose altre forze complementari.

Siamo ormai all’inizio dell’anno nuovo ’95; un anno che avrà per noi, come caratteristica, l’impegno di preparazione del CG24; esso incamminerà la Congregazione verso la grandiosa e profetica commemorazione bimillenaria dell’Incarnazione del Verbo e introdurrà il carisma di Don Bosco nel terzo millennio della fede.

La recente Lettera apostolica Tertio millennio adveniente ci fa percepire la magnanimità della visione di fede di Giovanni Paolo II e lo straordinario impegno ecclesiale nel preparare le celebrazioni del Grande Giubileo del 2000.

La Lettera apostolica parla di due fasi di preparazione. La prima, che potremmo chiamare «antipreparatoria», va fino al 1996. La celebrazione del nostro CG24 è appunto inclusa in tale fase. È bene tenerne presente la collocazione come proiezione di futuro. La preparazione del Capitolo (’95) e la sua realizzazione (’96) ci faranno sentire protagonisti nello sforzo di incorporare ai frutti del Grande Giubileo il carisma di Don Bosco genuinamente rinnovato e reso contemporaneo nella capacità di rispondere alle sfide dei tempi.

«Il futuro del mondo e della Chiesa — scrive il Papa — appartiene alle giovani generazioni che, nate in questo secolo, saranno mature nel prossimo, il primo del nuovo millennio. Cristo attende i giovani!».1 Il progetto apostolico del nostro Fondatore è tutto rivolto ai giovani e permeato costitutivamente dalla virtù della speranza. I Capitoli Generali del postconcilio ci hanno spinti ad essere, con sempre maggior concretezza, «missionari dei giovani».

Chiediamo alla Madonna, che è al centro del grande evento del 2000, di accompagnarci nei lavori dei prossimi Capitoli ispettoriali e nelle altre iniziative di preparazione a quello che sarà l’ultimo Capitolo Generale del secolo.

Un evento di Chiesa e di famiglia, particolarmente significativo per i nostri propositi di rinnovamento, è stata, il 5 novembre scorso a Catania, la beatificazione di Suor Maddalena Caterina Morano da parte del Santo Padre Giovanni Paolo II. Una nostra sorella consacrata che fa brillare nella Chiesa, come apporto della nostra Famiglia, l’autentico spirito salesiano di Don Bosco. Lo sguardo rivolto a lei per leggerne la testimonianza spirituale, trasmessa in una laboriosa esistenza di carità apostolica, ci aiuterà a dare validità operativa ai nostri propositi di miglior qualità salesiana.

A questo grande impegno di identificazione carismatica ci sospinge in modo particolare il recente Sinodo dei Vescovi (ottobre ‘94). Vi invito perciò, in questa circolare, a considerarne insieme alcuni aspetti stimolanti.

È un Sinodo che certamente entra — se pensiamo all’Esortazione apostolica che aspettiamo prossimamente dal Santo Padre — nella fase antipreparatoria del Grande Giubileo. Facciamo tesoro dei suoi contenuti ed orientamenti per intensificare e migliorare il nostro processo di rinnovamento.



La più numerosa Assemblea sinodale


Nel recente Sinodo ordinario, il nono, è stato battuto il record di partecipanti: più di 240 «padri sinodali» (tutti Vescovi, con alcuni Superiori religiosi sacerdoti), 75 «uditori» (di cui 53 donne) invitati dal Santo Padre, 20 «esperti» (collaboratori del Segretario generale), una diecina di «uditori» di altre Chiese non cattoliche; in tutto quasi 350 membri.

Come è noto, il tema era la «Vita consacrata», più ampio della sola «Vita religiosa»; gli apporti offerti nella fase di preparazione da parte di tutte le Chiese erano contenuti in un pregevole «Documento di lavoro», che fu più volte esplicitamente apprezzato e che orientò gli interventi in aula e il fruttuoso dialogo di ricerca nei 14 gruppi linguistici e nella commissione per la elaborazione del Messaggio. Erano rappresentati 55 Istituti maschili e 53 femminili.

Tra i «padri sinodali» c’erano due cardinali salesiani (le loro Em.ze Castillo e Javierre), otto nostri vescovi (le loro Ecc.ze Charles Bo, Héctor López, Juan Mata, Basilio Mvé, Zacarías Ortiz, Oscar Rodríguez, Tito Solari, Ignazio Velasco) e inoltre il Rettor Maggiore; tra gli «uditores» c’era l’Ispettore del Venezuela, don José Divassón; e tra gli «esperti», don Vittorio Gambino e suor Enrica Rosanna FMA. Abbiamo potuto, al di là dei lavori quotidiani, riunirci tutti insieme in una cena familiare nella nostra comunità del Vaticano — tanto ospitale — con allegria, canti, vivaci conversazioni e convivenza piena di gioia e di speranza che portiamo ancora nel cuore oggi: una pausa carismatica nell’occasione del Sinodo!

Oltre agli apporti dati da ciascuno nei singoli circoli linguistici, tutti questi nostri confratelli hanno fatto in aula qualificati interventi secondo il Paese da dove provenivano, nel clima a tutti comune dello spirito di Don Bosco (solo non ha potuto intervenire Mons. Charles Bo, perché arrivato in ritardo per difficoltà di permessi).

Il Santo Padre ha partecipato con fedeltà quotidiana, con interesse e buon umore, a tutte le assemblee generali.

Una presenza particolarmente ammirata e allo stesso tempo umilmente dimessa fu quella di madre Teresa di Calcutta, sempre attenta e in preghiera; ha pronunciato nell’assemblea un intervento commovente che ha fatto pensare alla genialità femminile nel testimoniare il valore della consacrazione religiosa tanto per la Chiesa che per il mondo.

Giovanni Paolo II, armato di bastone, è stato un centro di comunione e anche di allegria con il suo umorismo; la sua affabilità e il suo senso di dialogo lo hanno portato a prendere contatto con ognuno, invitando a pranzo e a cena — ogni giorno — piccoli gruppi di otto o dieci, e l’ultimo giorno riunendo tutti in un grande pranzo comune.

Bisogna riconoscere che la celebrazione stessa del Sinodo, con la convivenza, l’ambiente di cordialità, gli incontri, i dialoghi, le discussioni, il clima di convergenza nella fede nonostante le numerose differenze di provenienza, costituisce una preziosa esperienza di comunione nella Chiesa e una positiva constatazione delle sagge preoccupazioni pastorali del Papa e dei Vescovi. È certamente una grazia del Signore l’aver potuto partecipare attivamente a un evento di comunione che si può considerare unico nel mondo.



L’ottica ecclesiale nella impostazione del tema


Noi in Congregazione abbiamo già fatto insieme delle utili riflessioni2 sull’importanza di questo Sinodo e sul carattere delle sue conclusioni. Rileggendo la circolare del ’92 sono rimasto impressionato per la sua aderenza a ciò che è stato di fatto il Sinodo.

Come dicevamo, non si può considerare questa Assemblea episcopale alla stregua di un Capitolo Generale per i singoli Istituti; i Vescovi non sono partiti dall’ambito della specificità dei carismi, bensì dal significato globale e vitale che tutti insieme hanno nella Chiesa. Scrivevamo: «In certo modo siamo invitati (noi Religiosi) a fare un cammino inverso a quello degli ultimi Capitoli Generali: là eravamo impegnati — partendo dagli stimoli conciliari — a definire il nostro carisma ereditato dal Fondatore (passavamo dal patrimonio conciliare comune allo specifico dell’indole propria); qui, invece, dovremo saper portare — partendo dall’esperienza della nostra identità carismatica — luci ed approfondimenti sui comuni valori di ecclesialità (ossia, passare dallo specifico dell’indole propria al patrimonio vitale comune)».3

Per questo non c’era da aspettarsi dal Sinodo — che, oltretutto, è un evento di collegialità episcopale di carattere propriamente pastorale per tutta la Chiesa — né la formulazione di una definizione tecnica della Vita consacrata, bastando la affermazione chiara degli elementi costitutivi, né la soluzione di determinati problemi propri dei vari Istituti, né una censura per eventuali errori e deviazioni di gruppi di consacrati nel periodo del postconcilio, ma piuttosto, e in profondità, l’affermazione della sua dimensione ecclesiale, la sua vincolazione alla santità, il suo ruolo di protagonismo nella nuova evangelizzazione, la sua preziosità di dono dello Spirito Santo alla Chiesa e al mondo in prospettiva di futuro: scrutare i grandi valori comuni, evitando tuttavia il pericolo di un piatto genericismo.

«Potremmo dire — scrivevamo — che ci aspettiamo, come frutto globale, un forte rilancio della Vita consacrata nei suoi aspetti essenziali e vitali. Essa infatti, attraverso la feconda azione dello Spirito Santo nei Fondatori e nelle Fondatrici lungo i secoli, è chiamata a manifestare la ricchezza del mistero di Cristo facendo risplendere nella Chiesa — suo “Corpo” nella storia — la multiforme grazia di Cristo-Capo».4

È interessante rileggere oggi quella circolare che parrebbe redatta dopo la celebrazione del Sinodo; in confidenza vi posso dire che noi Salesiani, durante i lavori sinodali, ci siamo sentiti in felice sintonia con l’orientamento dell’assemblea e positivamente stimolati a proseguire il cammino con rinnovate forze e con una profonda riconoscenza verso lo Spirito Santo che ci ha guidato negli impegni di rinnovamento postconciliare.

Il Sinodo ci ha rallegrati e ci ha fatto sentire collocati sulla giusta via, anche se ci invita a intensificare gli sforzi di rinnovamento per raggiungere pure i vari traguardi ancora aperti.

Siamo invitati ad ascoltare nel Sinodo la voce dell’Episcopato preoccupato di guidare bene il Popolo di Dio. Dopo la riflessione sinodale sul laicato nella Chiesa,5 e quella sul ministero sacerdotale,6 i Vescovi con il Papa hanno approfondito ora la natura e il ruolo della Vita consacrata. Le loro considerazioni mettono in rilievo l’ecclesialità dei carismi e le responsabilità di servizio che essi stessi dovranno avere verso la Vita consacrata, considerata un dono preziosissimo dello Spirito del Signore a tutto il Popolo di Dio.

L’ottica con cui i Vescovi considerano la Vita consacrata è, in certo modo, anteriore a quella che segue ogni Istituto per se stesso, la legittima e la arricchisce, assicurando una miglior visione globale, unitaria e integrale.

Ci conforta e ci stimola sapere che i Pastori considerano come un loro dovere da privilegiare quello del servizio ministeriale alla Vita consacrata: «de re nostra agitur» (= «si tratta di un tesoro nostro»), ha affermato il Card. Hume, relatore generale, nella sua prima relazione di avvio ai lavori; ed a spiegare tale affermazione ha dedicato tutta la prima parte della sua relazione. Ha proposto una serie di sei verbi che poi ha sviluppato: «È compito dell’Episcopato in comunione con il Romano Pontefice e di ogni Vescovo nella sua diocesi rispettiva: riconoscere, apprezzare, discernere, tutelare, promuovere, armonizzare» la Vita consacrata.

«Il ruolo del Vescovo nei confronti della Vita consacrata si estende, quindi, al di là della programmazione pastorale. Egli è pastore e guardiano anche delle persone consacrate e del dono della Vita consacrata, in modo diverso secondo che si tratta di Istituti di diritto pontificio o diocesano o esenti: ma sempre “de re nostra agitur!”». E insiste: «Il dono della Vita consacrata fatto alla Chiesa è affidato dunque alla nostra cura e alla nostra carità pastorale».7

Perciò, afferma il Card. Hume, le finalità e gli obiettivi di questo Sinodo dovranno essere:

— far capire, apprezzare ed accogliere la Vita consacrata da parte di tutta la Chiesa ;

— promuoverla nella sua autenticità teologale, apostolica e missionaria;

— facilitare la sua espansione qualitativa e quantitativa.

Certamente si sono ascoltati in aula anche degli interventi critici su alcuni aspetti negativi, sperimentati qua e là in gruppi di consacrati inquieti. Pensiamo, ad esempio, a certe forme di «parallelismo pastorale», ad atteggiamenti di prescindenza dal Magistero del Papa e dei Vescovi, a influssi di ideologie di moda, a imprudenze nella programmazione della formazione, a modalità secolariste nello stile di vita, ad abusi di libertà nella liturgia, a codardia nell’esercizio dell’autorità, a superficialità spirituale con caduta della contemplazione, dell’ascesi e della disciplina religiosa. Bisogna riconoscere, però, che tali interventi non hanno dato il tono all’insieme delle riflessioni, che sono rimaste chiaramente ancorate ai tre obiettivi sopra indicati per aiutare la Vita consacrata in un tempo di rinnovamento.



L’intima natura della Vita consacrata


Il «Messaggio» sinodale ha sottolineato con chiarezza che nell’Assemblea «si è fatto risaltare una distinzione importante: quella che c’è tra “Vita consacrata” in quanto tale nella sua dimensione teologica, e le “forme istituzionali” che essa ha assunto lungo i secoli. La Vita consacrata in quanto tale è permanente, non può mancare mai nella Chiesa. Le forme istituzionali, invece, possono essere transitorie e non sono garantite di perennità».

Ciò significa che bisogna considerare la Vita consacrata non semplicemente nella Chiesa, ma come un elemento costitutivo della natura della Chiesa. Questa ottica vincola costitutivamente la Vita consacrata con il mistero stesso di Cristo, con lo stile di vita di Maria e degli Apostoli. Non è, quindi, una realtà ecclesiale che incomincia semplicemente con il monachesimo; questo di fatto è una “forma istituzionale” della Vita consacrata, anche se assai benemerita fin dai primi secoli.

Così si capisce meglio come la consacrazione attraverso i consigli evangelici (voti o altri vincoli ecclesiali) sia vitalmente radicata nel Battesimo: sacramento che incorpora direttamente a Cristo; ha la sua sorgente in Lui.

Da qui viene una visione nuova del modo con cui dobbiamo orientare in profondità il nostro rinnovamento nella fedeltà alle primissime origini: occorre rifarsi direttamente alla sorgente che è il mistero di Cristo. Gli stessi Fondatori non hanno inventato la Vita consacrata, ma l’hanno ricevuta dalla tradizione viva della Chiesa; l’hanno poi rivestita con un progetto originale di partecipazione alla missione del Signore.

Una visione così teologale della Vita consacrata ci immerge direttamente nel Vangelo; ci fa pensare al nostro Fondatore, non tanto come a un monaco modernizzato, quanto come a un instancabile collaboratore dei successori degli Apostoli, e orienta la nostra ricerca di modelli da contemplare e da seguire alle soglie stesse della Pasqua e della Pentecoste.

Con la nostra professione religiosa ci impegniamo a riprodurre lo stile di vita testimoniato da Cristo, obbediente povero e casto, partecipato splendidamente da Maria, trasmesso agli Apostoli, fiorito nella prima comunità cristiana («un cuore solo e un’anima sola»). Nella professione siamo collocati nel mistero stesso di Cristo e nell’intima natura della Chiesa e ci sentiamo spronati a non defraudare chi ci guarda come «segni e portatori» dell’amore di Dio.

Ne deriva l’urgenza di concentrare il rinnovamento in ciò che avvicina di più a Cristo, soprattutto nel fare dell’Eucaristia il centro quotidiano della vita interiore delle persone e delle comunità, ricordando quanto afferma il Vangelo: «I discepoli riconobbero Gesù, il Signore, nello spezzare il pane».8

Insieme all’Eucaristia merita una speciale cura, come impegno di contatto con Cristo — lo ha sottolineato il Card. Baum —, la frequenza del sacramento della Riconciliazione attraverso il quale rispecchiamo in Lui il nostro povero volto non sempre pulito a causa di tanta polvere della quotidianità; esso dà attualità alla dimensione penitenziale e all’indispensabilità dell’ascesi e della prassi vissuta di una disciplina religiosa secondo una Regola professata.

Tra i padri sinodali si è discusso sul significato preciso di alcuni termini molto usati, come «carisma», «consacrazione», «sacramentalità», «professione», senza giungere però a una totale convergenza. Si è chiesto 9 di affidare ad una commissione di esperti la chiarificazione di detta terminologia prima della pubblicazione della Esortazione apostolica.

Tra noi in Congregazione l’uso di questi termini tanto significativi ha da tempo una valenza pacifica, come si può vedere nella circolare del ’92.10



L’importanza del monachesimo


La considerazione teologale della Vita consacrata in se stessa precisa l’autenticità della sua natura, e guida la nostra ricerca in riferimento al primo modello storico. Certamente il rapporto che si suole fare di tutte le forme di vita religiosa con il monachesimo va riconsiderato con cura. Non si tratta di togliere a questa forma classica di «vita religiosa» la sua importanza storica e il suo influsso oggettivo. Senza dubbio il monachesimo offre una prassi collaudata su ciò che deve essere, nelle linee sostanziali, una concreta Regola di vita.

Nel Sinodo c’era una presenza monastica qualificata che ha offerto interventi di grande pregio; c’erano monaci di Oriente e di Occidente, anche monaci ortodossi. Si è potuto apprezzare la loro straordinaria testimonianza della consacrazione e la loro efficacia nell’evangelizzazione lungo i secoli, ammirando gli aspetti profondi del loro stile di vita.

Qualcuno dei padri sinodali appartenenti a forme di vita apostolica aveva persino temuto che il peso di questi valori monastici potesse sbilanciare il significato globale del Sinodo. In realtà quello dei monaci è stato un apporto arricchente, che ha fatto vedere che le Regole di vita dei vari Istituti di vita religiosa hanno, di fatto, un particolare aggancio ai forti valori e alle grandi tradizioni della vita monastica. Perciò, anche nel «Messaggio» sinodale, si è voluto riservare un paragrafo al monachesimo orientale: «I Padri del deserto ed i monaci d’Oriente hanno espresso quella “spiritualità monastica che si estese poi all’Occidente”. Essa è nutrita dalla lectio divina, dalla liturgia, dalla preghiera incessante ed è vissuta nella carità fraterna della vita comune, nella conversione del cuore, nel distacco dalla mondanità, nel silenzio, nei digiuni e nelle lunghe veglie. La vita eremitica ancora oggi fiorisce intorno ai monasteri. Tale patrimonio spirituale ha forgiato le culture dei relativi popoli e, nello stesso tempo, è stato da esse ispirato».11

Giustamente si afferma in una delle Propositiones (la 6ª) di avere in grande stima «quegli elementi che sono originari del monachesimo delle Chiese orientali, ossia: l’imitazione della kénosi del Verbo, che costituisce la radice del monachesimo orientale; la trasformazione in immagine di Dio, o deificazione; la rinuncia; la vigilanza; la compunzione; la tranquillità; l’oblazione totale di sé e di tutto ciò che gli si riferisce in olocausto perfetto».

È interessante notare che in Oriente e tra gli Ortodossi non è esistita un’altra forma di vita religiosa oltre quella monastica. Lì c’è una prassi secolare della radicalità nella sequela del Cristo; lì c’è una speciale capacità di dialogo ecumenico tra i vari monasteri; lì c’è una grande possibilità d’influsso su tutta la Chiesa locale, anche perché tra i migliori monaci sogliono essere scelti i membri della Gerarchia.

Noi, nella nostra vita consacrata apostolica, guardiamo innanzitutto alle origini apostoliche, ma non possiamo prescindere dall’imparare dalla vita monastica il senso dell’ascolto contemplativo, le esigenze concrete della kénosi, l’esercizio della vigilanza, l’impegno della vita comune con il ruolo vitale dell’autorità e lo stile dell’oblazione totale di sé; abbiamo bisogno di rivalutare nelle persone e nelle comunità la dimensione ascetica: urge — come abbiamo già ricordato in un’altra circolare — saper vigilare, con la cintura ai fianchi e le lampade accese!12



La donna consacrata


Nella Chiesa le donne consacrate sono assai più numerose degli uomini consacrati: costituiscono il 72,5 per cento. Si contano più di 3.000 Istituti femminili di diritto pontificio o diocesano. C’è poi da osservare che oggi, tra i segni dei tempi, è apparsa assai viva la promozione della donna, anche se marcata in certi ambienti da forme di femminismo deviante. È perciò significativo che nel Sinodo si sia riflettuto abbastanza sulla dignità della donna consacrata, sottolineando innanzitutto la sua multiforme capacità di manifestare alla gente il volto materno della Chiesa, ma anche per riconoscerle un ruolo più adeguato nelle responsabilità ecclesiali.

Giustamente il «Messaggio» sinodale afferma: «Le donne consacrate debbono partecipare di più alle situazioni che lo richiedono nelle consultazioni e nella elaborazione di decisioni nella Chiesa. La loro partecipazione attiva al Sinodo ha arricchito soprattutto la riflessione sulla Vita consacrata e sulla dignità della donna consacrata e della sua collaborazione nella missione ecclesiale».

Per la prima volta in un Sinodo hanno potuto intervenire, per lo spazio di sei minuti, gli uditori e le uditrici, tra i quali c’erano anche rappresentanti di Chiese protestanti. Si sono ascoltate in aula delle testimonianze bellissime di uditrici, alcune auspicando un loro più adeguato impegno di responsabilità, ma per la maggior parte manifestando la loro speciale disposizione interiore del cuore e la eroica sensibilità nel servizio dei bisognosi. Particolarmente commovente l’intervento in una «audizione» (esposizione specializzata di un tema per uno spazio di 15 a 20 minuti) di madre Teresa di Calcutta.

Suor Stéphanie-Marie Boullanger ha messo in luce, nel suo intervento, «la sensibilità (delle consacrate) di fronte alle realtà della creazione, il loro senso innato della vita, il senso dell’ascolto, del rispetto della persona, del dialogo, che permettono loro di instaurare delle relazioni umane autentiche e di essere strumento di comunione». Il Vescovo di Bordeaux ha ricordato che le donne consacrate hanno il carisma comune della femminilità orientata verso Cristo per la fecondità della Chiesa; la loro consacrazione, ha detto, «sostiene la consacrazione di tutti i membri del Popolo di Dio».

La testimonianza evangelica femminile, la capacità contemplativa, l’intuizione e la delicatezza, la facilità di dialogo e il coraggio nel rispondere alle sfide più esigenti, costituiscono uno degli aspetti più significativi e rilevanti nel Popolo di Dio. È vero che, in tempi passati, ha ricordato suor Boullanger, la loro modalità di vita e di azione è generalmente dipesa molto dagli uomini; però a partire dal Vaticano II si sono aperte varie porte.

I segni dei tempi esigono oggi, anche nella Chiesa, una revisione di tale situazione, riconoscendo la dignità e le ricchezze femminili proprie delle donne consacrate e donando loro maggior fiducia e spazi di responsabilità. Certamente uno dei frutti del Sinodo sarà di aprire la Chiesa a questa novità dei tempi con più convinzione e concretezza.

Tutto questo mi ha fatto pensare alle nostre responsabilità e modalità di animazione nella Famiglia Salesiana. Ci sono in essa vari gruppi di donne consacrate; pensiamo in modo particolare alle FMA. Dopo il Vaticano II si è capito di più l’importanza di una loro più giusta autonomia. Ciò richiede in loro una crescita di responsabilità e in noi una comprensione e conversione all’ecclesiologia conciliare.

Si tratta di cambiamenti profondi nella mentalità, per loro e per noi; non è sempre facile procedere con rapidità e verità.

Il problema è un po’ il seguente: una autonomia non adeguata potrebbe oscurare la comunione, che è l’aspetto più importante; infatti l’autonomia non è la meta finale; essa è un traguardo auspicabile per puntare validamente sulla meta finale, che è appunto la «comunione»: giusta autonomia in vista di una più autentica comunione! Una comunione che non è solo quella ecclesiale ampia, ma che si concentra per noi sul comune carisma, lasciatoci da Don Bosco come dono prezioso alla Chiesa per l’evangelizzazione della gioventù, soprattutto povera e popolare.

Il Sinodo ci deve impegnare con più intelligenza ed efficacia nel raggiungimento di questa comunione di Famiglia.

Mi piace ricordare qui quanto scrissi alla madre Ersilia Canta in occasione del centenario della morte di Madre Mazzarello: «Se pensiamo al profondo significato che ha nella rivelazione il binomio “uomo-donna”, ci apparirà più perfetta una Famiglia spirituale così composta... (Infatti), nelle grandi Famiglie spirituali, cominciando da quella di S. Agostino e di sua sorella (innominata, ma che diede inizio, con delle compagne, all’esperienza femminile della Regola agostiniana), e poi giù con S. Benedetto e S. Scolastica, S. Francesco d’Assisi e S. Chiara, ed altre sante coppie di Fondatori, la presenza della complementarità femminile è segno di una peculiare pienezza e importanza del carisma, della sua feconda longevità e della sua ricchezza di apporti alla missione della Chiesa.

Se tutto questo è vero, vorrà dire che l’apporto femminile di S. Maria Domenica Mazzarello e dello spirito di Mornese al carisma salesiano è solo incominciato nel passato e deve crescere nel futuro».13



La piena dignità dei Religiosi «Fratelli»


Trattando della Vita consacrata maschile, vari interventi hanno messo in rilievo la figura del cosiddetto religioso «fratello»;14 anzi in una delle audizioni il Fratel Pablo Basterrechea, ex Superiore generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane, ha presentato in particolare «la vocazione del Fratello nelle Congregazioni laicali, clericali o miste».

L’argomento in se stesso è servito per illuminare la retta maniera di concepire la natura propria della Vita consacrata. Circola, infatti, in molti ambienti (anche tra i Pastori) una concezione superficiale della Vita consacrata maschile; la si identifica con quella del monaco o del religioso-prete e facilmente si colloca quella del «fratello» a un livello inferiore, dimenticando qual è la sorgente, la dignità e la vitalità della Vita consacrata in quanto tale, per tutti. L’aver concentrato l’attenzione sulla figura dei «Fratelli» ha significato prendere sul serio la radicazione battesimale di ogni Vita consacrata: la grande dignità per tutti di partecipare in modo peculiare al sacerdozio, alla profezia e alla regalità di Cristo. È questo il massimo frutto dell’iniziazione cristiana (Battesimo e Cresima) intensificata dalla nuova consacrazione carismatica attraverso la professione dei consigli evangelici.

Da qui partono gli apporti spirituali specifici per gli impegni della propria missione, anche di quella ministeriale del prete arricchita poi dai doni dell’ordinazione. Perciò si è insistito sull’indispensabilità di una profonda e integrale formazione per tutti nella comune dignità e responsabilità di consacrati.

È un peccato, però, che nel Sinodo non si sia neppure accennata la delicata e complessa problematica del religioso-prete. Forse i tempi non sono ancora maturi e c’è bisogno, prima, di ulteriori ricerche dottrinali. Ma il fatto che esistano Istituti propriamente «clericali» (ossia vincolati in forma caratteristica con il sacerdozio ministeriale, come, ad es., la Compagnia di Gesù), nei quali questo aspetto è costitutivo dell’indole propria e del tipo di peculiare missione da realizzare, ha condotto almeno a non accomunare i Fratelli di tutti gli Istituti in uno stesso tipo, per un’eventuale revisione.

Vari padri sinodali, soprattutto della corrente francescana, hanno insistito nell’aspetto della cosiddetta «parità giuridica» dei Fratelli in riferimento all’esercizio dell’autorità. Ci sono state, però, delle precisazioni (anch’io ho consegnato al riguardo un intervento scritto) per chiarire meglio ciò che si intendeva chiedere per il futuro, tenendo conto della specificità di ciascun carisma.

In questa linea, nelle Propositiones da presentare al Santo Padre ce n’è una (la 10a) che chiede innanzitutto il riconoscimento ufficiale di alcuni Istituti maschili che possono chiamarsi «misti» (dei quali ora non si dice nulla nel canone 588 del Codice). In essi dovrebbe essere chiara la volontà del Fondatore che non vede che influisca sull’indole propria dell’Istituto la differenza tra «preti» e «non-preti»; e, poi, in tali Istituti — per determinazione dei propri Capitoli Generali — che possa essere aperto ad ogni genere di membri l’accesso all’esercizio dell’autorità a tutti i livelli. (Ci sarà da aspettare la risposta — che possiamo credere positiva — approvata dal Santo Padre).

Ciò che conta davvero in tutto questo problema è la piena dignità, la formazione integrale, l’indispensabilità e il corrispondente ruolo di responsabilità della figura del Fratello, in fedeltà al Fondatore e all’indole propria del suo carisma.

Da questo punto di vista emerge l’importanza dell’indole propria di ogni carisma. Il tipo di missione secondo il progetto del Fondatore deve interessare tutti i membri: ognuno entra nell’Istituto per collaborare con tutte le forze — anche se con modalità differenti e complementari — alla realizzazione della missione specifica comune a tutti.

Le nostre Costituzioni ci presentano autorevolmente l’appropriato lavoro fatto al riguardo nei grandi Capitoli postconciliari. Si tratta di percepirne l’originalità e la bellezza a favore di una pastorale giovanile che riunisce sotto il primato della carità pastorale un tipo di evangelizzazione dei giovani che incorpori anche la promozione umana e la cultura: sempre con intenzionalità pastorale.



L’inserzione nella Chiesa particolare


I Vescovi affermano nel «Messaggio» sinodale che «tra le difficoltà che abbiamo riscontrato, in spirito di fraternità, c’è la necessaria integrazione delle comunità e persone di vita consacrata all’interno delle Chiese particolari».15

È un dato di fatto che l’ecclesiologia del Vaticano II ha promosso l’importanza della Chiesa particolare o locale; ed è anche un dato di fatto che, purtroppo, non sempre gli Istituti «esenti» hanno assunto con generosità, in armonia con il proprio carisma, le concrete corresponsabilità della pastorale locale. E anche i Pastori non sempre hanno considerato gli Istituti di Vita consacrata come veri carismi per la loro Chiesa locale.

Già il documento Mutuae relationes (nel n. 22) aveva sottolineato il rinnovamento portato dal Concilio circa il concetto di «esenzione».

È in questo sforzo di genuina inserzione che si realizza in forma concreta quel sentire cum Ecclesia, in fedeltà al magistero del Papa e dei Vescovi, in solidarietà d’impegno per la nuova evangelizzazione, in comunione operativa intorno al Vescovo, con il clero, con i laici e con gli altri consacrati del territorio.

L’attenzione apostolica al territorio concreto in cui si realizza la propria missione fa considerare con più interesse da parte dei pastori e dei fedeli i diversi carismi quali preziosi doni per la Chiesa.

La Propositio sinodale 29,2 sottolinea l’importanza per i consacrati di una più profonda conoscenza della teologia della Chiesa particolare per mettere al suo servizio il proprio carisma, e per i Vescovi, per il clero e per i laici l’urgenza di conoscere veramente e di stimare i gruppi di Vita consacrata per dar loro spazio nei progetti pastorali e nei programmi di azione.

In questo ambito si raccomanda il valido funzionamento della «Commissione mista» tra Vescovi e Superiori maggiori e anche il mutuo interscambio di delegati tra le Conferenze episcopali e le Conferenze di superiori.

Per noi l’impegno di una tale inserzione fa pensare anche alla maggior comunione operativa che dobbiamo saper far crescere in un territorio che vede presenti vari gruppi della Famiglia Salesiana.

L’impegno nella missione va più in là delle singole opere e ci spinge non solo a formare dei laici cooperatori, ma anche e soprattutto a saper creare nuove iniziative con una intraprendenza particolarmente sensibile ai bisogni della Chiesa locale.

Una inserzione così vissuta servirà per testimoniare la vantaggiosa inclusione della Chiesa universale in quella particolare, come diceva il documento Mutuae relationes: «I Vescovi sapranno certamente riconoscere e apprezzeranno grandemente il contributo specifico, col quale verranno in aiuto delle Chiese particolari quei consacrati, nella cui esenzione essi trovano in certo modo anche un’espressione di quella pastorale sollecitudine, che strettamente li unisce al Romano Pontefice per l’universale solerte cura verso tutti i popoli».16



Le sfide della nuova evangelizzazione


Nel Sinodo si è posto un accento speciale sulla «missione» in rapporto con le sfide odierne e con l’urgenza di nuove o rinnovate forme di apostolato.

In tal senso si è chiesto innanzitutto ai consacrati di saper analizzare le sfide con ottica teologica. Non basta descrivere sociologicamente (anche se è certamente utile) le diverse situazioni di novità o di ingiustizia o di urgenza.

Le sfide non sono semplici dati statistici, ma devono essere considerate come interpellanze di Dio che va mostrando con tali segni determinate esigenze ai vari carismi. C’è bisogno di una pedagogia dei segni dei tempi, già indicata nel Concilio, che faccia scoprire nelle situazioni di fatto la voce del Signore che indirizza verso nuovi areopagi.

Lo stesso Spirito Santo ha guidato i Fondatori in tal senso. Confidando nello Spirito sarà bene coltivare l’audacia della creatività.

I padri sinodali hanno proposto anche una criteriologia che sia come un metodo opportuno per discernere le sfide. Eccone i punti considerati:

— una chiara coscienza delle interpellanze mosse dallo Spirito alla missione della Chiesa;

— l’oculata determinazione delle priorità da privilegiare nelle risposte;

— una sufficiente competenza, in fedeltà dinamica al carisma del Fondatore;

— comunione sincera con altri operatori ecclesiali impegnati nello stesso campo;

— un’attenta considerazione degli uomini di buona volontà dediti al rinnovamento della società.

Oltre alla pedagogia dei segni, la nuova evangelizzazione suppone altre importanti esigenze di cambio di mentalità.

Innanzitutto va detto che anche nella cosiddetta «prima evangelizzazione» c’è bisogno di una vera mentalità «nuova» adattata, certo, alle svariate culture dei popoli: anche nella «prima» c’è, oggi, «nuova evangelizzazione». Tra gli elementi di questa mentalità nel Sinodo si sono sottolineati alcuni aspetti di speciale attualità.

Primo fra tutti uno sforzo di inculturazione che sappia curare simultaneamente la capacità di percepire e promuovere «i semi del Verbo» nelle differenti culture e l’acutezza e il coraggio critico di individuare e correggere le eventuali e immancabili deviazioni anche se ancestrali.

Inoltre «l’interesse al dialogo ecumenico e anche a quello interreligioso, che è uno dei desideri ferventi del Sinodo rivolto ai consacrati nei loro differenti paesi».17

C’è poi da privilegiare la competenza educativa, che tocca proprio il cuore di ogni cultura, legando l’evangelizzazione alla promozione umana. In una delle Propositiones i padri sinodali raccomandano l’apostolato dell’educazione, richiamando a questa priorità gli Istituti che ne hanno il carisma e preparando ad esso anche tanti laici. Il Sinodo riconosce l’importanza e l’attualità della Scuola cattolica, delle Università e Facoltà cattoliche senza tralasciare iniziative ed impegni che oltrepassino la sola educazione formale.18

Un areopago importante a cui dedicarsi con sempre maggior competenza è quello della comunicazione sociale19 in sintonia e collaborazione con la Chiesa locale, avendo la preoccupazione di preparare un maggior numero di persone competenti.

Un’insistenza speciale è stata riservata alla missio ad gentes che costituisce la punta di diamante di ogni evangelizzazione e che ha visto e vede gli Istituti di Vita consacrata in prima fila con eroica generosità, non solo quelli dedicati specificamente alle missioni, ma anche tutti gli altri che realizzano con cuore missionario la loro vita di preghiera e di lavoro, come ha testimoniato egregiamente S.Teresa di Lisieux.



L’urgente primato della vita nello Spirito


Nella circolare del ‘92 sopra citata, parlavamo di grandi «traguardi aperti» e mettevamo in prima fila la «vita nello Spirito»; alla domanda, poi, di che cosa ci aspettavamo dal Sinodo rispondevamo che c’era da auspicare una rinnovata presenza del mistero di Cristo nel mondo, intensificando l’impegno per debellare quella pericolosa superficialità spirituale che danneggia la vitalità del carisma. Il Sinodo è venuto appunto a proclamare per tutti i consacrati l’urgente primato di questa vita nello Spirito.

Il Card. Hume, nella sua prima relazione in aula, ha affermato che «la prima grande sfida rivolta alla Vita consacrata riguarda la spiritualità, proprio perché ne è il cuore, e indica il contributo prioritario (dei consacrati) alla Chiesa. Con essa si indica il rapporto personale con Cristo attraverso la sequela, il primato dato a Dio attraverso la consacrazione, la disponibilità all’azione dello Spirito. Essa si esprime nella contemplazione, nella preghiera, nell’ascolto della Parola di Dio, nell’unione con Dio, nell’integrazione delle diverse dimensioni della vita personale e comunitaria, nell’osservanza fedele e gioiosa dei voti».20

Ogni Vita consacrata è radicata nella spiritualità e non può mai prescindere da essa; e il tipo peculiare della propria spiritualità è importante anche per tanti altri.

Un po’ dappertutto, anche nelle altre religioni e nella svariata ricerca del sacro, il tema della spiritualità si presenta oggi come una delle più importanti frontiere della stessa missione.

Il fatto che il Sinodo abbia sottolineato la distinzione tra natura teologale della Vita consacrata e le sue forme istituzionali nei secoli, serve ad accentuare con ancor più chiarezza la centralità del mistero di Cristo e la partecipazione alla sua santità.

C’è da rapportare la pratica dei consigli evangelici a una profonda e quotidiana amicizia personale e comunitaria con Cristo per divenire davvero segni e portatori del suo amore. La spiritualità di ogni Vita consacrata, pur differenziata tra numerosi carismi, consiste nel saper testimoniare uno stile di vita che renda visibile, oggi e qui, lo stile di vita del Cristo obbediente, povero e casto; uno stile che è intimamente vincolato, anzi che sgorga da quei dinamismi profondi della filiazione divina che riempiono il consacrato dell’assoluto di Dio.

Le Propositiones offerte al Papa si dilungano su questo tema perché considerato vitale e il più significativo della consacrazione. Sottolineano l’importanza di assicurare il primato di questo aspetto nella formazione, adeguando l’approfondimento dei singoli consigli evangelici anche alle novità e differenze culturali oggi in evoluzione. Precisano pure alcuni dei principali mezzi da seguire al riguardo; essi sono:

— la centralità della celebrazione dell’Eucaristia e la liturgia delle ore;

— la frequenza del sacramento della Riconciliazione e la revisione di vita;

— il ritorno alle fonti del Vangelo e allo spirito del Fondatore;

— la «lectio divina» nell’ascolto della Parola di Dio;

— la capacità di comunicare ai fedeli le ricchezze del mistero di Cristo.21

Lo sforzo quotidiano d’intensificare questo esercizio di «vita nello Spirito» ci porta a sottolineare l’aspetto pneumatologico di ogni spiritualità. C’è bisogno di riscoprire la missione della Persona-Dono della Trinità che è protagonista della consacrazione ed è presente per portarci a Cristo, il concepito di Spirito Santo, e in Lui condurci al Padre. Lo Spirito è l’anima del rinnovamento di ogni spiritualità; la sua presenza e azione misteriosa, iniziata nell’evento della consacrazione in occasione della professione dei consigli evangelici, conduce a un rapporto intimo, personale e comunitario, con il Cristo, Amico e Signore. La reciprocità di amicizia con Cristo matura quella conversione di mentalità e di vita che ci fa essere speciali testimoni della santità della Chiesa nell’orbita apostolica tracciata dal Fondatore.

L’intimità con lo Spirito Santo, che è Amore, e la docilità alle sue ispirazioni, ossia la nostra vita intera palpitante spiritualmente nel cuore, ci porta alle origini sia del mistero dell’Incarnazione che del carisma del Fondatore; ci ricorda che proprio nello Spirito incominciò il ruolo di Maria, madre e modello della Chiesa; ci ricorda anche che la santità nella Chiesa è opera dello Spirito Santo; Egli, perciò, permea e guida i consacrati nel lievitare la missione di tutto il Popolo di Dio.22

Questo primato della vita nello Spirito, oggi tanto urgente, porta anche a fare della Vita consacrata un centro dinamico di diffusione della spiritualità. Nella relazione citata il Card. Hume affermava esplicitamente che «questo è un campo da coltivare con attenzione, talvolta da seminare con lungimiranza. Non sarebbe opportuno moltiplicare scuole di spiritualità, dove si trasmetta non solo l’insegnamento della dottrina, ma si dia priorità all’iniziazione e all’esperienza? La spiritualità dell’Istituto potrebbe irradiare meglio non solo tra i propri membri, ma anche nella Chiesa, che è sempre stata arricchita e rinnovata dalle spiritualità dei santi e delle famiglie religiose».23

Così il Sinodo rafforza il cammino del nostro rinnovamento, del «traguardo aperto»24 per crescere nel futuro: assicurare che lo spirito di Don Bosco sia vivo nelle persone e nelle comunità, e si diffonda con vigore e autenticità più in là delle nostre case.

In tal senso, il Movimento giovanile salesiano ha come anima di vitalità una spiritualità giovanile ispirata a Don Bosco; e la comunione e il coinvolgimento di numerosi laici (tema del CG24) hanno come priorità da assicurare con lungimiranza proprio la diffusione della spiritualità apostolica salesiana.

Dobbiamo ringraziare il Sinodo per questo suo autorevole impulso nel mostrarci il nucleo centrale dove esplode con vitalità il futuro.



La forza della vita fraterna in comunità


La dimensione della comunione di vita fraterna — si è insistito nel Sinodo — è un impegno necessario in tutti gli Istituti di Vita consacrata, anche quando i membri non vivono in comunità, come negli Istituti secolari. Per le Congregazioni «religiose», però, è una comunione vissuta nella comunità: è per loro una caratteristica propria e distintiva. Ogni Istituto religioso, infatti, è strutturato sempre, anche se con differenziate modalità, da una concreta vita fraterna in comunità. Il Sinodo lo ha esplicitato, raccomandando anche lo studio del recente documento vaticano La vita fraterna in comunità.

Il Card. Hume nella sua già citata relazione considera questa come la «seconda grande sfida della Vita consacrata»;25 essa comprende anche la considerazione e il retto esercizio dell’indispensabile servizio dell’autorità.

La forza della vita fraterna in comunità si manifesta anzitutto con la testimonianza di comunione nella convivenza, che è uno degli aspetti di cui hanno più nostalgia la famiglia e la società di oggi.

Si è sottolineata l’interdipendenza tra vita fraterna e fedeltà alla pratica dei consigli evangelici.

Si è apprezzata la validità e l’efficacia della comunione soprattutto nelle situazioni di oppressione e di totalitarismo: confratelli e consorelle hanno potuto sperimentarne positivamente il valore, nonostante gravissime difficoltà.

La sua forza si proietta, in particolare, nella maggior efficacia e creatività dell’evangelizzazione; la comunità appare il vero soggetto di missione che moltiplica le energie apostoliche in un progetto comune.

Una comunità che si fa scuola di formazione permanente, cosciente anche dei limiti di ciascuno dei membri, della necessità di pazienza e di perdono, della consapevolezza che la comunità è sempre in costruzione perché quella perfetta è solo escatologica nella comunione dei santi. Una comunità che esprime e vive se stessa anzitutto nella celebrazione dell’Eucaristia e che sa dimostrare la «spiritualità della comunione» nell’interscambio di doni all’interno della Chiesa locale, con la disponibilità e la collaborazione, con la sincerità nel dialogo, con la ricerca dell’armonia e dell’unità, con i rapporti mutui con gli altri membri della Chiesa.26

La gioia della testimonianza comunitaria è anche portatrice di fecondità vocazionale per assicurare alla Chiesa l’avvenire del proprio carisma.



Conclusione


Nel Sinodo si sono affrontati anche tanti altri aspetti importanti; questa nostra riflessione si limita ad alcuni dei più significativi per noi.

È stato bello e stimolante, intanto, veder confermate e approfondite le linee direttrici proprie del nostro processo di rinnovamento: non abbiamo camminato invano, anzi abbiamo corso sulla retta via.

Della celebrazione di questo Sinodo dobbiamo dire che è stato di fatto un evento di Chiesa per il futuro, un vero momento di grazia, o, come si è espresso il Santo Padre: «un’esperienza di Pentecoste. Si sentiva l’azione dello Spirito presente con la sua incessante opera che dà alla Chiesa tanti carismi di Vita consacrata. Partecipandovi si era condotti progressivamente verso ciò che c’è di più intimo nella vita della Chiesa: la sua chiamata alla santità».27

Vorrà dire, cari confratelli, che ormai siamo più che illuminati su ciò che costituisce la nostra identità nella Chiesa e che la nostra ricerca e i nostri impegni devono puntare con tutte le forze a farci camminare verso quei «traguardi aperti» che appaiono ancora incompiuti nell’orizzonte del nostro rinnovamento.

Sia l’educazione dei giovani alla fede (CG23), sia il coinvolgimento di molti laici nello spirito e nella missione di Don Bosco (CG24) richiedono che concentriamo i nostri sforzi di formazione permanente sull’intensificazione della vita nello Spirito e sulla cura prioritaria della vita fraterna in comunità. Di qui passa la strada verso il terzo millennio: è un’ora germinale per entrarvi con autenticità.

Affidiamo questi nostri propositi alla Madonna: Ella è all’origine del nostro carisma ed è maternamente impegnata con noi per il suo rinnovamento. Il Sinodo ci ha mostrato la di Lei pienezza di vita consacrata quale «prima discepola e madre di tutti i discepoli, modello di fortezza e di perseveranza nella sequela del Cristo fino alla croce. La Vergine Maria è il prototipo della Vita consacrata perché è la madre che accoglie, ascolta, intercede e contempla il suo Signore con la lode del cuore».28

Pensiamo alla sua intimità con Dio nell’obbedienza («Si faccia in me secondo la tua Parola!»), nella povertà («Lo depose in una mangiatoia»), nella verginità («Piena di grazia» e senza macchia alcuna); il suo cuore contemplava incessantemente gli eventi di Cristo; la sua permanente unione con Dio, specie nell’ampia visione dei tempi nel Magnificat.

È bello immaginarsi Maria assunta in cielo; mentre si vede coronata tra gli angeli e i santi, non ha il minimo accenno di vanagloria. Possiamo immaginarla, nella gioia della più vera umiltà, mettersi a proclamare davanti a tutti quel suo cantico che è l’inno della bontà di Dio nella storia. «Mi chiameranno beata»: ecco la gioia dell’umiltà che ci insegna la capacità di lodare Dio dall’interno dei doni della propria consacrazione e santità.

Che ci aiuti la Vergine Maria a far fruttificare in noi, con gioia e consapevolezza, i molteplici doni di questo Sinodo e ci disponga ad accogliere con propositi di vita la desiderata Esortazione apostolica con cui il Successore di Pietro ci offrirà autorevolmente la portata pentecostale di questo evento di grazia.

Approfitto per porgere a tutti i più fraterni auguri per il nuovo anno in cammino: Don Bosco ci guidi e ci stimoli.

Cordiali saluti.

Con affetto nel Signore,


D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 62


Tertio millennio adveniente, 58

2 cf. ACG n. 342

3 ACG 342, pag 10

4 ib. pag. 38

5 Esortazione apostolica Christifideles laici

6 Esortazione apostolica Pastores dabo vobis

7 HUME, Relatio ante disceptationem, 4

8 Lc 24, 35

09 cf. Propositio 3a D

10 ACG n. 342

11 Messaggio, VII

12 cf. ACG 348

13 ACG n. 301, Riscoprire lo spirito di Mornese, pag. 67-68

14 NB: È questo il termine che i padri sinodali hanno voluto usare per evitare la terminologia ambigua di Istituti «laicali» e di consacrati «laici»; cf. Propositio 8

15 Messaggio, V

16 MR 22

17 Messaggio, VIII

18 Propositio 41

19 Propositio 44

20 Relatio ante disceptationem, 19

21 Propositio 15 B

22 NB: Vale la pena rileggere l’Enciclica Dominum et vivificantem

23 Relatio ante disceptationem, 19

24 cf. ACG n. 342

25 Relatio ante disceptationem, 20

26 cf. Propositiones 28, 29, 31, 32, 33, 34

27 29 ottobre, parole del Papa nel pranzo di chiusura

28 Messaggio, IX