301-350|it|324 L‘Eucaristia nello spirito apostolico di Don Bosco

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L’EUCARISTIA NELLO SPIRITO APOSTOLICO

DI DON BOSCO



Il tema più vitale che misura il nostro spirito e la nostra azione. - Don Bosco e l’Eucaristia: Messa, Comunione, Adorazione. - La prospettiva eucaristica del Concilio Vaticano II. - Il capolavoro del Padre: «fare di Cristo il cuore del mondo». - L’insuperabile opera pasquale di Cristo. - La permanenza viva degli eventi della Nuova Alleanza. - Le meraviglie della «sacramentalità» ecclesiale. - L’adorazione e la missione. - L’impegno pastorale di generare «Chiesa». - Alcune esigenze concrete della pedagogia eucaristica di Don Bosco. - Una devozione alla Madonna che porta all’Eucaristia

Lettera pubblicata in ACG n. 324



Roma 8 dicembre 1987

Solennità dell’Immacolata


Cari confratelli,


vi scrivo nella solennità dell’Immacolata, grande aurora del Natale di Cristo. È un giorno straordinariamente caro alla Famiglia Salesiana: mentre ci riporta con gratitudine alle origini, ci lancia audacemente a più grandi realtà. Giunga a ognuno di voi il mio saluto, portatore delle speranze dell’Avvento.

Iniziamo un nuovo anno, particolarmente dedicato alla memoria profetica del nostro Fondatore. Ci sentiamo invitati da lui a riempire di interiorità e di inventiva apostolica la rinnovazione della Professione salesiana nel prossimo 14 maggio: una scelta tra le più alte, che riconferma il mistero della nostra Alleanza con Dio per una sua espressione più intima e piena.1



Il tema più vitale che misura il nostro spirito e la nostra azione


Mi sta a cuore riflettere con voi, in vista di quest’Anno di grazia, su un aspetto che considero centrale nella personalità di Don Bosco e nel patrimonio apostolico da lui lasciatoci in eredità: il posto che deve occupare l’Eucaristia nel nostro spirito e nella nostra azione.

Vi avevo già parlato «inizialmente» di questo argomento nella mia lettera circolare sul Progetto educativo salesiano, riflettendo sul significato dell’“educare evangelizzando”.2

È il tema più vitale che ci misura. L’Eucaristia, infatti, è la sorgente della carità pastorale salesiana,3 la nostra partecipazione al cuore di Cristo,4 l’esperienza della nostra unione con Dio,5 la comunione viva di ognuno di noi con la Chiesa,6 la conferma del peculiare dono della nostra predilezione per i giovani,7 l’energia della bontà, dell’amicizia, dell’ottimismo, della gioia, del quotidiano impegno di lavoro e temperanza e della concretezza inventiva del nostro atteggiamento apostolico:8 ossia, il grande motore dello «spirito salesiano».

Le Costituzioni ricordano che la celebrazione dell’Eucaristia «è l’atto centrale quotidiano di ogni comunità salesiana» e che la presenza del tabernacolo in casa è «motivo di frequenti incontri con Cristo», da cui «attingiamo dinamismo e costanza nella nostra azione per i giovani».9

Siamo profondamente coscienti di quanto afferma il Concilio Vaticano II, che la liturgia, di cui l’Eucaristia rappresenta l’espressione massima, è «il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù».10

Già i Padri affermavano che la liturgia «è simultaneamente culmine della sapienza e vertice della religione», «salvezza dei fedeli e loro progresso spirituale».

Le misteriose parole di Cristo «chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui» 11 sono, in tutti i secoli, il vero metro della fede cristiana. Come nella prima ora, anche oggi, troppi non capiscono: «da quel momento in poi molti discepoli si ritirarono e non andavano più con Lui». 12

L’offuscamento della centralità dell’Eucaristia nello spirito e nell’apostolato salesiano risulterebbe, cari confratelli, una deviazione dalla tradizione viva di Don Bosco (innestata in quella perenne della Chiesa) e un’espressione assai pericolosa di superficialità pastorale e pedagogica.



Don Bosco e l’Eucaristia


Un profilo della vita di Don Bosco in chiave eucaristica avrebbe un suo fascino stimolante. Qui ne rammentiamo brevemente alcuni aspetti già conosciuti, ma sicuramente orientatori.

Il Cristo che domina l’esistenza di Don Bosco è, prevalentemente, il Gesù vivo e presente nell’Eucaristia, il «padrone di casa» (come si soleva dire), il centro di gravitazione verso il quale tutto convergeva, il «pane di vita», il «Figlio di Maria» Madre di Dio e della Chiesa. Don Bosco è vissuto di questa presenza e in questa presenza, a portata di mano.

Spesso, quando parlava di Dio, faceva appello alla presenza di Gesù-Eucaristia, vero uomo e vero Dio, sceso dal cielo per salvarci, morto in croce per noi e sempre vivo sull’altare e nei tabernacoli. Nulla di più accessibile ed insieme di più esaltante. Avere Gesù in casa, infatti, voleva dire poter andare ad incontrarlo quando si voleva, partecipare alla sua Pasqua, parlargli cuore a cuore, riceverlo nella comunione, lasciarsi trasformare dal suo Spirito per la missione.13

La vita del nostro caro Padre, già dagli anni della fanciullezza, e la storia del primo Oratorio sono un vero inno all’Eucaristia. Di quali sentimenti si sentissero pervasi i suoi migliori giovani lo possono far intuire le seguenti accese affermazioni di Domenico Savio: «Quando passo vicino a Lui (Gesù nell’Eucaristia) non solo mi getterei nel fango per onorarlo, sibbene mi getterei in una fornace, perché così sarei fatto partecipe di quel fuoco di carità infinita che Lo spinse a istituire questo gran Sacramento».14

Dietro questo ragazzo santo c’era Don Bosco, sua guida spirituale, che gli trasmetteva il suo fuoco eucaristico. Infatti «non di rado — scrive il Lemoyne — predicando, nel descrivere l’eccesso d’amore di Gesù per gli uomini, piangeva lui e faceva piangere gli altri per santa commozione. Anche in ricreazione parlando talora della SS. Eucaristia, il suo volto accendevasi di un santo ardore e diceva di spesso ai giovani: — Cari giovani, vogliamo essere allegri e contenti? Amiamo con tutto il cuore Gesù in Sacramento. — E alle sue parole i cuori sentivansi tutti compenetrati della verità della presenza reale di Gesù Cristo. Nessuno può descrivere la sua gioia quando nella chiesa potè riuscire ad avere tutti i giorni un certo numero di comunicanti i quali si alternavano».15

Ricordiamo alcune delle più significative affermazioni di Don Bosco circa i tre grandi momenti dell’Eucaristia: la celebrazione della Messa, la Comunione sacramentale e l’Adorazione delle specie consacrate.


— La Messa. «Il sacrificio dell’altare — scrive Don Bosco — è la gloria, la vita, il cuore del cristianesimo».16 «Siccome non si può immaginare cosa più santa, più preziosa quanto il Corpo, il Sangue, l’Anima e la Divinità di Gesù Cristo, così voi quando andate alla santa Messa — dice ai giovani —, voglio siate persuasi che fate un’azione la più grande, la più santa, la più gloriosa a Dio, e la più utile all’anima propria. Gesù Cristo viene Egli stesso in persona ad applicare a ciascuno in particolare i meriti di quel Sangue adorabilissimo, il quale sparse per noi sul Calvario in croce».17

E più eloquente delle parole era il suo esempio. Scrive don Ceria: «Celebrava composto, concentrato, divoto, esatto; proferiva le parole con chiarezza e unzione; gustava visibilmente di distribuire le sacre specie, mal riuscendo a celare il fervore dello spirito. Nulla però di affettato o che desse nell’occhio, ma né lento né celere, procedeva dal principio alla fine con calma e naturalezza... Così lo videro all’altare i Salesiani della prima generazione, così lo vedemmo noi, ultimi venuti».18

La sua unione con Cristo nella celebrazione dell’Eucaristia toccava vette sublimi: «Di quando in quando il suo volto era inondato di lacrime... Accadde pure che dopo l’elevazione apparisse così rapito da sembrare che vedesse Gesù Cristo coi propri occhi».19 Ciò gli succedeva più frequentemente negli ultimi anni.20 La sua era veramente la celebrazione di un credente e non pochi venivano anche da lontano per assistervi e i cooperatori e benefattori che avevano il privilegio della cappella in casa se lo contendevano.

La sua grande preoccupazione pedagogica era quella di aiutare i giovani a cogliere la realtà sacramentale della Messa: «Capite bene, o figliuoli, che nell’assistere alla santa Messa fa lo stesso che se voi vedeste il divin Salvatore uscir di Gerusalemme e portare la croce sul monte Calvario dove giunto viene...crocifisso spargendo fino all’ultima goccia il suo sangue. Questo medesimo sacrificio rinnova il sacerdote mentre celebra la santa Messa, in modo però incruento».21

La Messa poi era il gran centro delle feste celebrate tra i giovani, che venivano curate con vera solennità di clero, di musica e di canto. Si scendeva a Valdocco da diverse parti della città per partecipare alla festosa celebrazione eucaristica.


— La Comunione. Il momento del banchetto sacramentale è un altro punto focale dello spirito e dell’azione di Don Bosco. Egli definisce la Comunione eucaristica come «il cardine del buon andamento della casa»; 22 la «grande colonna che tiene su il mondo morale e materiale»; 23 «il più valido sostegno della gioventù»; 24 «la base delle vocazioni».25

Queste espressioni sono significative, ma non contengono tutto il pensiero di Don Bosco, che nella Comunione vive in prima persona l’incontro più intimo con Gesù Cristo che lo incorpora a Sé e lo fa apostolo con la potenza del Suo Spirito.

Possiamo coglierne un’eco lontana nelle parole che chiudono la sua conferenza fatta all’Arcadia (Roma) nel 1876: «Concedeteci, o Signore, prega la S. Chiesa, che partecipando dei meriti del corpo e del sangue sacrificato sulla Croce meritiamo di essere annoverati fra i vostri membri... Divenuti membri del Sacratissimo Corpo di Gesù, dobbiamo tenerci a Lui strettamente uniti, non in astratto, ma in concreto, nel credere e nell’operare».26

Non c’è «felicità» più grande sulla terra — diceva ai giovani — di quella che procura la Comunione ben fatta: «Oh che felicità poter ricevere nel nostro cuore il Divin Redentore! quel Dio che ci deve dare la fortezza e la costanza necessaria in ogni momento di nostra vita».27

Le biografie di Comollo, Savio, Magone, Besucco contengono tutte, tra l’altro, accenni infuocati alla Messa, alla Comunione, al Viatico, che trasfigura la paura della morte in un abbraccio con Gesù. «Se voglio qualche cosa di grande — diceva Domenico Savio — vo a ricevere l’Ostia santa, in cui trovasi «corpus quod pro nobis traditum est», cioè quello stesso corpo, sangue, anima e divinità, che Gesù Cristo offerse al suo eterno Padre per noi sopra la croce. Che cosa mi manca per essere felice? nulla in questo mondo; mi manca solo di poter godere svelato in cielo Colui, che ora con occhio di fede miro e adoro sull’altare».28

Alla scuola di Don Bosco, promotore della Comunione frequente, crescevano realmente giovani dalla fede limpida, forte, che, attraverso l’Eucaristia, salivano le vette della santità.

Può essere significativo al riguardo l’inserimento nel suo Il Giovane Provveduto della traduzione del testo del Concilio di Trento, fino allora evocato solo a senso, ma che, espresso nella sua integrità, acquistava maggiore incisività: «Sarebbe cosa sommamente desiderabile che ogni fedel cristiano si mantenesse in tale stato di coscienza da poter fare la santa Comunione ogni volta che interviene alla santa Messa. E ciò non solo nella Comunione spirituale, ma colla Comunione sacramentale, affinché sia più copioso il frutto che si ricava da questo Sacramento».29

Egli fu anche tra i più convinti e validi assertori della Prima Comunione anticipata alla più giovane età: «Si tenga lontano come la peste l’opinione di taluno che vorrebbe differire la prima Comunione ad un’età troppo inoltrata». 30


— L’Adorazione. La coscienza della permanenza viva di Cristo nell’Ostia consacrata stimola a un convinto atteggiamento di adorazione. È questa una peculiare caratteristica della pietà cattolica dell’Ottocento, in particolare a Torino, città del SS. Sacramento. All’Oratorio di Valdocco una tale pietà sboccia dal cuore eucaristico di Don Bosco, dalla convinzione, che egli sa creare tra i giovani, che Gesù dimora in casa: è presente, col suo amore infinito, per essere l’Amico d’ogni giorno.

È vero che le forme di pietà eucaristica vissuta nell’Oratorio sono quelle che fiorivano allora nella diocesi e nelle parrocchie: ore di adorazione, tridui eucaristici, benedizione col Santissimo, processioni e, soprattutto per il loro valore pedagogico, visite individuali e collettive; però Don Bosco sapeva motivarle pedagogicamente con una validità santificatrice che ancora oggi ci interpella.

Se Gesù, con la sua presenza permanente, è al centro e al cuore della casa salesiana, non è possibile dimenticarlo. Di qui l’importanza di coltivare diverse espressioni di pietà contemplativa nella vita e nell’azione dei suoi. L’invito che Don Bosco fa agli stessi giovani perché vadano sovente a trovare Gesù nel Sacramento, a domandargli grazie spirituali e materiali, a dialogare, a contemplare la sua Pasqua, a stare un poco con Lui, è tra i più ricorrenti: «Ricordatevi — scrive —, o figliuoli, che Gesù trovasi nel Ss. Sacramento ricco di grazie da distribuirsi a chi le implora».31

E ancora: «Vi raccomando la visita al SS. Sacramento: “Il dolcissimo Signor Nostro Gesù Cristo è là in persona”, esclamava il parroco di Ars; si vada ai piedi del Tabernacolo soltanto a dire un Pater, Ave e Gloria quando non si potesse di più. Basta questo per renderci forti».32

E in una Buonanotte 33 insistette con paterna convinzione: «Non vi è cosa che il demonio tema di più che queste due pratiche: la Comunione ben fatta e le visite frequenti al SS. Sacramento. Volete che il Signore vi faccia molte grazie? visitatelo sovente. Volete che ve ne faccia poche? visitatelo di rado». Le visite, soggiungeva, sono un’arma onnipotente contro gli assalti del nemico: «Miei cari, la visita al Sacramento è un mezzo troppo necessario per vincere il demonio. Andate dunque sovente a visitare Gesù e il demonio non la vincerà contro di voi».34

È certo che lo spirito e la pedagogia di Don Bosco danno particolare importanza al modo di amicizia di adorazione verso Cristo presente nell’Eucaristia. Domenico Savio, Magone, Besucco ne hanno fatto tesoro; e, se questo non si può dire di tutti i giovani dell’Oratorio, non erano certamente pochi quelli che li imitavano.

Questa dominante eucaristica si sposa però con una prassi educativa che mira alla formazione integrale del giovane. In essa le esigenze e le istanze umane sono prese sul serio, secondo tutto il loro spessore. Dai bisogni primordiali e materiali — alloggio, vitto e vestito — a quelli intellettuali, morali, culturali; dall’educazione al lavoro, allo studio, all’arte, in vista di un degno inserimento nella società, al soddisfacimento dei bisogni insopprimibili dell’età giovanile, come il desiderio dell’affermazione di sé, l’uso corretto della libertà («ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento»), la promozione delle attività di svago, il teatro, la musica, ecc.

Una educazione, dunque, completa e gioiosa, il cui segreto però (come appare nei modelli da lui stesso accuratamente descritti) ci parla di cuori di giovani concentrati sull’Eucaristia (sulla Messa, sulla Comunione, sull’Adorazione), ossia su Gesù vivo e presente, conosciuto, amato e visitato come l’Amico più caro. Giovani dai quali traspariva la bontà, l’impegno, l’allegria, sgorgata da un’esperienza sacramentale del Cristo, il cui influsso benefico su tutta la condotta era evidente.

Possiamo concludere questo rapido sguardo sulla centralità dell’Eucaristia nello spirito e nell’azione di Don Bosco ricordando che cosa ha significato d’impegno eroico una devozione per lui inseparabile dall’Eucaristia, quella del Sacro Cuore, concretizzata — come suprema sua fatica — nella costruzione del suo Tempio a Roma. Egli stesso aveva affermato che «la devozione al Sacro Cuore di Gesù tutte le racchiude» e che la sorgente di tale devozione si trova appunto nel SS. Sacramento. «Abbiate sempre dinanzi alla vostra mente — disse a Parigi — il pensiero dell’amore di Dio nella Santa Eucaristia».35

Le Costituzioni ci assicurano che «Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso, sotto l’ispirazione di Dio, uno stile originale di vita e di azione: lo spirito salesiano».36

Questo spirito «trova il suo modello e la sua sorgente nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre».37

Ebbene, noi possiamo aggiungere che per Don Bosco questa realtà di vita e di partecipazione alle ansie redentrici del Cuore di Gesù si concentra concretamente, con intensità interiore, nel grande e ineffabile mistero dell’Eucaristia.



La prospettiva eucaristica del Concilio Vaticano II


Si suol dire che la mentalità, il linguaggio e la catechesi dell’Ottocento circa il mistero eucaristico risentono di una visione non organica e piuttosto riduttiva. Sappiamo che per ragioni storiche la cristianità medioevale ha intensificato il culto verso la permanenza della presenza reale nelle specie consacrate. Lo stesso Concilio di Trento, erede di quel passato, tratta separatamente dell’Eucaristia come Sacramento permanente 38 e del Sacrificio della Messa; 39 gli interpreti posteriori hanno accentuato pastoralmente una certa separazione nella pietà popolare tra «Sacrificio» della Messa e permanenza della presenza reale nelle specie consacrate. I pii esercizi di allora, senza disattendere il valore della Messa, si erano andati orientando piuttosto sulla permanenza del Sacramento con espressioni cultuali varie e molteplici.

Per noi oggi quelli dell’Ottocento sono certamente «altri tempi»; dobbiamo riconoscere, però, che essi hanno maturato una santità concreta negli educatori e nei giovani.

Nella Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II, c’è un autentico salto di qualità ecclesiologica nella dottrina, fortemente organica, del mistero pasquale (di cui l’Eucaristia è Sacramento) e in tutto il culto liturgico. C’è un nuovo approfondimento dei concetti di Pasqua, di Nuova Alleanza, di Sacerdozio, di Presenza reale, di Corpo di Cristo, di Comunione e Missione, in una parola, di «Sacramento» che rilancia tutto il culto eucaristico in un’ottica di liturgia e di «devozione» fortemente rinnovate.

C’è anche da aggiungere, ad ogni modo, che le direttive postconciliari 40 consentono di ricuperare, rinnovandoli, non pochi valori devozionali del passato, anche se indirettamente legati a una visione imperfetta.

Ma qui sorge una grossa sfida: ad una visione eucaristica più ricca e organica, lanciata dal concilio Vaticano II, dovrebbero corrispondere una prassi spirituale e una pedagogia pastorale assai più intense ed incisive.

A che cosa si assiste, invece, almeno in alcuni ambienti che si considerano di avanguardia e sopravvalutano in forma unilaterale l’importanza degli aspetti culturali umani, senza aver fatto un indispensabile e attento discernimento dei valori profetici testimoniati da Don Bosco sulla assoluta centralità dell’Eucaristia, appunto per una autentica e più valida formazione dell’uomo?

Ci si trova, a volte, di fronte a un’attività pedagogica che si è impoverita ed è carente di spessore genuinamente «pastorale»; essa non risponde a sufficienza allo stimolo salesiano del «Da mihi animas».

Il Concilio Vaticano II non è venuto a eliminare, bensì a intensificare e a rilanciare con più autentica verità la formidabile efficacia dell’Eucaristia nel nostro spirito e nella nostra azione.

Siamo chiamati, oggi, a permeare la prassi lasciataci da Don Bosco con le proposte conciliari del mistero eucaristico. Dobbiamo conoscere e saper tradurre in vita vissuta questo allargamento dell’orizzonte.

Come esulterebbe il nostro Padre e come tradurrebbe in iniziative pedagogiche le affermazioni del Concilio! «Nella santissima Eucaristia — dice, per es., il Decreto Presbyterorum Ordinis — è racchiuso tutto il Bene spirituale della Chiesa. L’Eucaristia si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione, e i fedeli, già segnati dal sacro Battesimo e dalla Confermazione, sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo per mezzo dell’Eucaristia. La sinassi eucaristica è dunque il centro della comunità dei fedeli. La casa di preghiera — in cui l’Eucaristia è celebrata e conservata; in cui i fedeli si riuniscono; in cui la presenza del Figlio di Dio nostro Salvatore, che si è offerto per noi sull’altare del sacrificio, viene venerata a sostegno e consolazione dei fedeli — dev’essere nitida e adatta alla preghiera e alle sacre funzioni. In essa i Pastori e i Fedeli sono invitati a rispondere con riconoscenza al dono di Colui che di continuo infonde la vita divina, mediante la sua umanità, nelle membra del suo Corpo.

Abbiano cura i Presbiteri di coltivare adeguatamente la scienza e l’arte liturgica».41

Don Bosco è divenuto il grande Pastore giovanile che conosciamo, proprio per la sua profonda adesione e partecipazione al mistero eucaristico. Se una certa mentalità e un certo linguaggio del suo secolo hanno bisogno di aggiornamento, questo non deve portare con sé l’impoverimento del suo ruolo di Fondatore profetico.

Siamo chiamati a rileggere nella sua prassi i valori formativi dell’Eucaristia nella sintonia di una medesima fede che fa di lui, anche oggi per noi, un insuperabile modello di pastore e di educatore con un costante stimolo di sante iniziative. La sostanza, infatti, è la stessa: Gesù Cristo con noi! l’evento pasquale messo a nostra disposizione qui e ora! l’Emmanuele che interviene quotidianamente nella formazione dell’Uomo nuovo!

Vale dunque la pena, cari confratelli, che ci soffermiamo su un tema così sostanziale; esso dovrebbe qualificare il nostro Anno centenario con la riscoperta in profondità di quella «Pedagogia della bontà» che ci viene proposta nella Strenna per celebrare la memoria e la profezia di Don Bosco.

Le riflessioni che vi offro serviranno per richiamare e sintetizzare tante meditazioni fatte da ognuno lungo la propria esistenza salesiana, per percepire meglio e per rilanciare tutto ciò che non è caduco — ed è la sostanza — nella prassi eucaristica del nostro Padre. Solo così saremo in grado di rinnovare con genuinità una pastorale e una pedagogia che, senza la centralità dell’Eucaristia, cesserebbero di essere quel prezioso patrimonio che abbiamo ereditato.

Incominceremo un po’ da lontano per essere sicuri d’avere una visione giusta e, per quanto possibile, adeguata di un tema tanto vitale.



Il capolavoro del Padre: «Fare di Cristo il cuore del mondo»


Se dovessimo cercare nell’universo quale sia l’espressione più perfetta della genialità e dell’abilità del Creatore, ci troveremmo, in un primo momento, più che impacciati. Guardando l’immensità del macrocosmo rimaniamo attoniti e quasi allibiti, intenti ad ammirare e a far spaziare la fantasia, sommersi in un vortice in movimento, piuttosto che preoccupati di giudicare e di paragonare, come si suol fare in un museo. Tutto supera incredibilmente le misure del tempo e dello spazio con cui immaginiamo e pensiamo, così da toglierci la capacità di eleggere un qualche astro come il migliore.

Guardando poi le meraviglie del microcosmo rimaniamo ancor più storditi e quasi increduli nello scoprire in esso una perfezione prima impercettibile, e, inoltre, tanta potenza e stupenda vitalità.

Siamo davvero messi a confronto di una superiore e ineffabile capacità di progettare che ci fa concludere, senza possibilità di scelta, che tutto ciò che il Creatore produce supera la nostra inventiva. Di fatto, le scienze, nei loro progressi, cercano semplicemente d’imparare, sforzandosi di penetrare i segreti e le leggi del creato.

Tuttavia, anche di fronte alle meraviglie del mondo, constatiamo di possedere come «uomini» un dono superiore: l’acutezza dello spirito, per cui ci spingiamo assai più in là delle perfezioni della natura; la nostra intelligenza va sempre oltre le colonne di Ercole con un coraggio che supera la leggenda di Ulisse.

Così, in quanto uomini, troviamo presente, nella creazione, il tesoro dell’amore, che vale di più del macro e del microcosmo, perché trascende la materia introducendoci nel mistero intimo della vita del Creatore.

Lì scopriamo, senza troppa difficoltà, che il vero capolavoro di Dio è l’Uomo, fatto a Sua immagine, sintesi viva delle meraviglie cosmiche, libero e audace, che pensa, che giudica, che crea, che ama e che è, perciò, destinato ad essere il liturgo di tutto il creato, voce di lode, mediatore di gloria, in un dialogo di felicità con lo stesso Creatore.

Purtroppo la storia dell’uomo e lo stesso significato del cosmo sono stati deformati dal peccato. S. Paolo afferma, infatti, che «il creato è stato condannato a non aver senso, non perché l’abbia voluto, ma a causa di chi ve lo ha trascinato. Vi è però una speranza: anch’esso sarà liberato dal potere della corruzione per partecipare alla libertà e alla gloria dei figli di Dio.» 42

Ed è precisamente nella nostra storia che Iddio, giunta la pienezza dei tempi, fa sorgere l’«Uomo nuovo», che è il suo definitivo capolavoro: Gesù Cristo!

Egli è il grande vertice di tutta l’opera della creazione. In Lui «trova vera luce il mistero dell’uomo... Egli è l’immagine dell’invisibile Dio; è l’Uomo perfetto... unito in certo modo ad ogni uomo... primogenito fra molti fratelli».43

Nella sua vita terrena si è sentito solidale con ognuno degli uomini di tutti i secoli, dal primo Adamo (suo progenitore) fino all’ultimo suo fratello generato alla fine dei tempi. Solidale nel bene e nel male, ha vinto il peccato con la potenza del più grande amore, testimoniato con il dono della propria vita nell’evento supremo della Pasqua. Attraverso la permanenza sacramentale della Pasqua nell’Eucaristia va generando, in unione con la Chiesa sua sposa, l’Uomo nuovo nella storia fino a quando ritornerà vittorioso alla fine dei tempi. Iddio Padre «ci ha nascosto — come dice la liturgia — il giorno e l’ora, in cui il Cristo, Signore e giudice della storia, apparirà sulle nubi del cielo rivestito di potenza e di splendore. In quel giorno tremendo e glorioso passerà il mondo presente e sorgeranno cieli nuovi e terra nuova».44 E lì Cristo offrirà il suo Regno al Padre.

A ragione dunque il Concilio afferma che Egli costituisce «il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni.... Il disegno dell’amore (del Padre è) “ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra”... E il Signore stesso dice: “Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio... Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine!”».45

Considero importante, cari confratelli, rivisitare continuamente questa sintesi di fede per poter capire l’ineffabile valore del mistero eucaristico e per convincerci che non è possibile prescindere da Cristo nella promozione dell’uomo e nello sviluppo di una vera pedagogia salesiana.

È certamente doveroso assumere tutto ciò che c’è di positivo nei vari processi dei segni dei tempi, ma bisogna anche saper discernere la loro ambivalenza e mettere gli apporti positivi della loro novità in sintonia con la immensa e definitiva novità della Pasqua.



L’insuperabile opera pasquale di Cristo


Gesù Cristo ebbe coscienza d’avere una vocazione personalissima che lo chiamava a una missione umanamente impossibile: affrontare radicalmente il male, ristabilire l’Alleanza di tutta l’umanità con Dio, ridare senso al cosmo, proclamare la verità sul senso della vita e della storia, indicare la via concreta da seguire, fornire una sovrabbondante energia di propulsione per la camminata dell’Uomo lungo i secoli.

Gesù comprese sempre più chiaramente che il progetto del Padre dirigeva la sua vocazione e missione verso un’ora strategica, che sarebbe stata la vetta della sua esistenza storica: la «Sua» ora!

Lui, il capolavoro di Dio nel creato, doveva realizzare l’opera più grande di tutti i secoli e raggiungere così la cima più alta di ogni impresa umana. Solo Lui poteva farlo, perché il suo «essere Dio» lanciava il suo «essere Uomo» oltre i limiti del possibile.

La sua grande ora storica è chiamata «Pasqua». È un capolavoro del Cristo-Uomo al di dentro del capolavoro del Padre. È così sublime, che neppure il Creatore poteva escogitarne uno più grande, come felicemente è stato detto: «id quo maius fieri nequit»! (ciò di cui è impossibile fare qualcosa di più grande). È il gesto massimo che la genialità onnipotente dell’amore creatore del Padre poteva immaginare come possibile nella storia umana.

Gesù, nato da Maria per opera dello Spirito Santo, è, come vero e solidale discendente di Adamo, sintesi viva delle meraviglie cosmiche; egli ridà all’uomo la vocazione di liturgo del creato, voce di lode e mediatore di gloria, attraverso il suo amore sacrificale convalidato dalla risurrezione.

Quest’opera maestra è stata realizzata da Lui come Uno di noi, il migliore, fraternamente solidale con tutti. Lo ha fatto «una volta per sempre».46 Lo ha fatto imprimendola permanentemente anche nella sua esistenza umana di risorto. Gli eventi storici della Pasqua, infatti, hanno dato una costituzione definitiva all’anima e al corpo di Cristo, hanno perfezionato la sua individua natura umana dandole un atteggiamento e dei tratti che rimangono in Lui per sempre, quale fisionomia vincente. Hanno stabilizzato, possiamo dire, l’anima di Cristo (il suo cuore) nell’atto supremo di oblazione di sé nel massimo amore e hanno adornato il suo corpo fisico con le conseguenze della sua totale donazione, visibili nelle cicatrici della sua immolazione cruenta.

L’uomo Cristo, infatti, è davanti al Padre come «un Agnello che sembra sgozzato, ma sta ritto in piedi... e un coro possente dice: “L’Agnello che è stato ucciso è degno di ricevere la potenza, la ricchezza, la sapienza e la forza, l’onore, la gloria e la lode”».47

Questi eventi pasquali sono la realizzazione liturgico-sacrificale della Nuova Alleanza, quella ultima ed eterna, che dà luogo all’Uomo nuovo, ai Cieli nuovi e alla nuova Terra.

La penetrante lettera agli Ebrei ci assicura che «Cristo è venuto come sommo sacerdote delle realtà definitive. Egli è entrato in una tenda più grande e perfetta non costruita dagli uomini e non di questo mondo. Di lì Cristo è passato una volta per sempre nel vero santuario, dove non ha offerto il sangue di capri e di vitelli, ma ci ha liberati per sempre dai nostri peccati, offrendo il suo sangue per noi».48

Di fronte agli eventi pasquali e al mandato di Cristo di farne continua «memoria sacramentale» nella celebrazione dell’Eucaristia, gli Apostoli hanno ammirato e contemplato la realizzazione della Nuova Alleanza promessa. Ecco il senso totale della sua «presenza»! La Pasqua e l’Eucaristia significano per loro, innanzitutto, la grande ed ardentemente attesa ora dell’Alleanza definitiva.

Questa Alleanza poneva termine alla perdita di senso del cosmo e all’antico culto, purtroppo insufficiente, e ne iniziava uno nuovo, inventato, progettato e realizzato solo da Cristo, dal suo amore e dalla sua solidarietà in qualità di Secondo Adamo. È, questo, un culto nuovo dove sacerdote, vittima, tempio, altare, sacrificio e banchetto liturgico si concentrano nell’unica realtà del Cristo.

Così è Lui, Gesù Cristo, il suo cuore, il suo amore, la sua parola, il suo corpo, il suo sangue, la sua consacrazione sacerdotale (nell’unione ipostatica), che costituisce il grande tesoro della Nuova ed Eterna Alleanza. Un solo Amore, un solo Vangelo, un solo Sacerdote, una sola Vittima, un solo Altare, un solo Sacrificio, una sola Comunione, per sempre: l’unica meta valida della speranza dell’uomo e del cosmo.

Ecco il capolavoro del Padre: «fare di Cristo il cuore del mondo»! Lui è l’Uomo nuovo, Lui è la verità, Lui è la vita e la via, Lui offre la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere per far nascere e crescere l’Uomo nuovo.

È bene ripensare spesso ed avere presente per noi e per i giovani questa suprema e vitale opera storica di Cristo. Non si può prescindere oggettivamente da essa: sarebbe ignoranza, svuotamento della fede, ingenuità secolarista e superficialità imperdonabile dimenticare questa realtà a favore di una moda transitoria e mondanizzante che rivestirebbe di caducità la nostra vocazione e missione.

I supremi eventi pasquali di Cristo, all’interno del capolavoro del Padre nell’illimitato e meraviglioso universo della sua creazione, costituiscono il punto massimo di grandezza, di amore e di bellezza di tutta l’opera del Creatore.

Chi potrebbe accettare che esso non fosse al centro della vita dei credenti e, in particolare, della spiritualità, della pastorale e della pedagogia della Famiglia Salesiana di Don Bosco?



La permanenza viva della Nuova Alleanza


«La rinnovazione dell’Alleanza del Signore con gli uomini nell’Eucaristia — ci assicura il Concilio Vaticano II — conduce e accende i fedeli nella pressante carità di Cristo.

Dalla liturgia, particolarmente dall’Eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini e glorificazione di Dio in Cristo verso la quale convergono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa».49

È, questa, un’affermazione solenne che deve incidere su ogni nostra progettazione pastorale e pedagogica, se non vogliamo perdere tempo seguendo le caducità di turno.

L’Eucaristia rende presente in modo reale, attraverso un’azione sacramentale, per noi — adesso e qui —, le stesse realtà sostanziali degli eventi pasquali di Cristo, rinnovando continuamente e comunicando le definitive ricchezze della Nuova Alleanza.

Si sono avute, circa la «presenza reale» del Cristo pasquale tra noi, delle negazioni o degli intenti di spiegazione che hanno concorso a squilibrare, di fatto lungo i secoli, l’integralità e l’organicità del culto eucaristico, ponendo sotto tono, a volte, o il ministero presbiterale, o l’aspetto sacrificale, o la crescita ecclesiale, o la trasformazione in liturgia della stessa vita e della storia che ridonano il suo vero senso al cosmo.

Urge ricuperare la verità organica della dottrina nella spiritualità, nella catechesi, nella pedagogia, in tutta la complessa e rinnovata attività pastorale.

È questo il grande tesoro della Chiesa: l’Eucaristia è il «Bene comune» lanciato al futuro per tutta l’opera di salvezza.

E «per realizzare un’opera così grande — afferma ancora il Concilio —, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa: è presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro... sia soprattutto sotto le specie eucaristiche... È presente nella sua parola... È presente quando la Chiesa prega e loda... Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima... Perciò (l’Eucaristia), in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado».50

Il tema della presenza viva della Nuova Alleanza tra noi è appunto uno degli aspetti centrali del mistero eucaristico, che il Concilio ha voluto restituire in tutta la sua grandezza e ammirabile fecondità.

Il Papa Paolo VI, nell’enciclica Mysterium fidei sulla dottrina e il culto eucaristico,51 mentre da una parte espone motivi di sollecitudine pastorale e di ansietà per eventuali interpretazioni riduttive circa la permanenza reale del corpo e del sangue di Cristo nelle specie consacrate, insiste, dall’altra, sulla oggettività di altri modi di presenza «reale» del Cristo nella celebrazione della frazione del pane:

«Tutti ben sappiamo — afferma — che vari sono i modi secondo i quali Cristo è presente alla sua Chiesa»; e ne fa l’elenco. «Queste varie maniere di presenza riempiono l’animo di stupore e offrono alla contemplazione il mistero della Chiesa».52

A noi, qui, interessa considerare quelle maniere di presenza che sono direttamente vincolate alla celebrazione dell’Eucaristia. Fissiamo lo sguardo su tre che assicurano la permanenza viva tra noi della Nuova Alleanza.

— La prima si riferisce a Cristo in quanto «è presente nel Sacrificio della Messa nella persona del ministro, “Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti”»; 53 chi presiede l’Eucaristia disimpegna, dunque, un ruolo sacramentale.

— La seconda sottolinea che Cristo «è presente sotto le specie eucaristiche».54 Paolo VI commenta nell’enciclica Mysterium fidei: «Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le altre non siano “reali”, ma per antonomasia, perché è anche corporale e sostanziale e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente. Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza, immaginando il corpo di Cristo glorioso di natura “pneumatica” onnipresente; oppure riducendola ai limiti di un simbolismo».55

— La terza afferma che Cristo è ancora presente «quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro (Mt 18,20)”».56 E i presbiteri che celebrano rappresentano anche la Chiesa che, in unione con Cristo, si rivolge al Padre.

Questi modi di «presenza reale» offrono una ammirabile originalità misterica. È necessario concentrare su di essi la riflessione per illuminare meglio la nostra coscienza eucaristica.

Sappiamo che gli eventi redentori della Pasqua si sono realizzati storicamente una sola volta per sempre e che, quindi, l’oblazione personale e l’immolazione di Cristo sono il grande e unico evento sacrificale della Nuova Alleanza.

«Cristo non è entrato (nel santuario) per offrire se stesso molte volte: altrimenti avrebbe dovuto patire molte volte, da quando esiste il mondo. Invece Egli si è presentato soltanto una volta, ora che siamo alla fine dei tempi, per eliminare il peccato, offrendo se stesso in sacrificio».57

Per capire questo mistero bisogna partire dal dato di fatto che considera la stessa risurrezione di Cristo come fondamento indispensabile della liturgia della Sua Chiesa.

«Il punto più importante di quel che stiamo dicendo — afferma ancora l’epistola agli Ebrei — è questo: noi abbiamo un Sommo Sacerdote così grande, che si è posto accanto a Dio, che regna nei cieli. Egli svolge la sua funzione nel santuario vero costruito dal Signore, non nella tenda dell’alleanza (antica) costruita dagli uomini».58

Ecco l’immensa originalità! Il sacrificio della Nuova Alleanza non è un semplice fatto del passato, ma è rinnovato «sacramentalmente» adesso e qui; mentre celebriamo l’Eucaristia, agisce davanti al Padre lo stesso Cristo; Egli è ora, con noi, «il Mediatore della Nuova Alleanza tra Dio e gli uomini».59

Nella liturgia eucaristica è attivamente impegnato Cristo stesso, che fa della sua Pasqua un’azione viva lungo tutto il tempo della Chiesa.

Bisogna far la prova di chiudere gli occhi e meditare, durante le nostre celebrazioni eucaristiche, per sforzarci di percepire la trascendente densità del mistero a cui partecipiamo.

Nello svolgimento stesso della celebrazione, dopo la consacrazione del pane e del vino, interrompiamo persino la solenne Preghiera al Padre per esclamare pieni di ammirazione: «Mistero della fede: annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta»!

Si rendono indispensabili, lungo la celebrazione dell’Eucaristia, dei silenzi vitali. Certi momenti di raccoglimento intimo sono necessari al cuore del credente. Il mistero richiede anche silenzio: non come pausa, ma come ascolto dello Spirito. È uno spazio di tempo riservato all’estasi dell’amore per una penetrazione personale dell’involucro sacramentale.

Ove più ricco è il mistero, più necessario diviene il silenzio contemplativo.

Si tratta di «gustare» la presenza coinvolgente di Cristo nella Nuova Alleanza.


Le meraviglie della «sacramentalità» ecclesiale


Cerchiamo di approfondire questa presenza viva di Cristo nella Nuova Allenza.

Osserviamone le componenti.

L’unico Sacerdote, con il suo atto di oblazione immolativa («offrendosi liberamente alla sua passione» — Preghiera eucaristica 2a.) è Cristo Sommo Sacerdote che sta davanti al Padre.

L’unica Vittima immolata è la carne e il sangue del suo corpo umano, risorto, ma che continua a presentarsi nel cielo a modo di «Agnello come sgozzato».60

Il Banchetto sacrificale è incorporazione vera, attraverso la mediazione sacramentale, allo stesso corpo di Cristo, il quale va così crescendo misticamente lungo la storia. Infatti, dice S. Paolo: «il calice che beviamo ci mette in comunione con il sangue di Cristo; e il pane che spezziamo ci mette in comunione con il corpo di Cristo. Vi è un solo pane e quindi formiamo un solo corpo, anche se siamo molti, perché tutti insieme mangiamo quell’unico pane».61

C’è davvero da scoprire un insieme di autentiche meraviglie, contenute e manifestate (ma anche nascoste) nella straordinaria «sacramentalità» della Chiesa, quando celebra l’Eucaristia.

L’espressione conciliare, che fa della stessa Chiesa il grande «Sacramento di salvezza», non si esaurisce in un puro simbolismo; essa trascende oggettivamente i limiti del tempo e dello spazio. Solo l’ottica della fede ne percepisce la realtà pasquale.

Alla conclusione della Preghiera eucaristica rivolta personalmente al Padre, proclamiamo, infatti: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te, Dio Padre onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli. Amen!».

Il tutto si realizza con la presenza reale di Cristo.

Fermiamoci brevemente su questi tre momenti della celebrazione eucaristica per approfondire la loro densità di «presenza reale» del Cristo.

In primo luogo i Presbiteri che presiedono la celebrazione eucaristica disimpegnano un altissimo ruolo «sacramentale». Fanno presente Cristo stesso e ne rinnovano i contenuti di oblazione immolativa, di adorazione, di lode, di alleanza e di impegno apostolico.62 E inoltre rappresentano la Chiesa. In nome di Cristo e in rappresentanza della Sua Chiesa, parlano al Padre; infatti, come afferma Paolo VI, «Cristo è presente alla sua Chiesa che regge e governa il Popolo di Dio, poiché la sacra potestà deriva da Cristo e Cristo, “Pastore dei Pastori”, assiste i pastori che la esercitano, secondo la promessa fatta agli Apostoli».63

Con questo ruolo sacramentale i Presbiteri raccolgono e inseriscono la vita quotidiana dei fedeli nello stesso amore di Cristo; è l’entrata di ogni generazione umana nell’opera pasquale del Signore, come sacrificio spirituale in solidarietà con Lui. È l’ora sublime della trasformazione della storia in liturgia. Non si tratta di un rito alienante, bensì della celebrazione massima del più concreto realismo dell’amore umano nel divenire del quotidiano e in tutte le vicissitudini dell’esistenza per il significato autentico dello stesso universo.

E, al di dentro di questa rappresentatività ecclesiale, c’è un ruolo sacramentale specialissimo nel ministero dei Presbiteri celebranti. Mentre fanno memoria liturgica degli eventi pasquali essi impersonano direttamente Cristo, gli prestano la loro voce, sorretti da una speciale «sacra potestà». Qui essi — dice il Concilio — «compiono il sacrificio eucaristico in persona di Cristo»,64 «agendo in persona di Cristo — ripete il Concilio — e proclamando il suo mistero, uniscono i voti dei fedeli al sacrificio del loro Capo e nel sacrificio della Messa rendono presente ed applicano, fino alla venuta del Signore, l’unico sacrificio del Nuovo Testamento».65

Quanto è grande questo mistero!

In secondo luogo, dobbiamo considerare che l’attività ministeriale del presbitero è permeata dalla «potenza dello Spirito Santo» per consacrare il pane e il vino «perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo»,66 e per l’invocazione della pienezza dello Spirito Santo sull’assemblea.

La modalità sacramentale di questa presenza è sacrificale; sotto i segni sacramentali del corpo e del sangue (che furono di fatto separati nell’immolazione cruenta del Calvario) rende presente, «veramente realmente e sostanzialmente»67 il corpo risuscitato di Cristo attualmente davanti al Padre con impresse le cicatrici di vittima immolata e accetta. La realtà contenuta nelle specie eucaristiche — diceva Sant’Ambrogio — «non è ciò che la natura ha formato, ma ciò che la benedizione ha consacrato».68

Ecco, di nuovo, un altro aspetto del grande mistero!

In terzo luogo, la presenza reale e sostanziale del corpo risuscitato di Cristo porta con sé un nuovo mirabile effetto sacramentale: quello della assimilazione a Lui nel banchetto di comunione. Lì, «per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisce in un solo corpo».69

È una visione di fede veramente impattante. Il rito sacramentale del mangiare e bere comporta, a somiglianza del processo assimilativo naturale, una incorporazione misterica di noi nello stesso Cristo, così da formare con Lui un unico Corpo nel divenire della storia: «infatti “la partecipazione al corpo e al sangue di Cristo — dice Leone Magno — altro non fa, se non che ci mutiamo in ciò che prendiamo”».70

Quando il Concilio parla della Chiesa come «Corpo di Cristo» non intende servirsi semplicemente di una «figura» o di una «metafora». La Lumen gentium ha distinto chiaramente tra «immagini della Chiesa»,71 e l’espressione più profonda di «Chiesa-Corpo di Cristo».72 Questa espressione indica infatti una realtà oggettiva e misterica che non può essere ridotta semplicemente al livello di una metafora; con essa si afferma che la Chiesa è davvero un organismo visibile di vita spirituale che diviene globalmente, in quanto assemblea di persone in comunione con Cristo, il «Sacramento universale di salvezza».

Nel Corpo Mistico «la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che attraverso i Sacramenti vengono uniti in modo arcano ma reale a Cristo che ha sofferto ed è stato glorificato... Nella frazione del pane eucaristico, partecipando noi realmente al corpo del Signore, siamo elevati alla comunione con Lui e tra di noi... Capo di questo Corpo è il Cristo: Egli è innanzi a tutti e tutte le cose sussistono in Lui... Da Lui “tutto il Corpo ben fornito e ben compaginato, per mezzo di giunture e di legamenti, riceve l’aumento voluto da Dio” (Col 2,19)... E perché ci rinnovassimo continuamente in Lui ci ha dato del Suo Spirito, il quale, unico e identico nel Capo e nelle membra, dà a tutto il Corpo la vita, l’unità e il movimento, così che i santi Padri poterono paragonare la sua funzione con quella che esercita il principio vitale, cioè l’anima, nel corpo umano».73

Questa descrizione realistica, mentre ci immerge nella insuperabile originalità della dimensione sacramentale della Nuova Alleanza, ci fa prendere sempre più chiara coscienza del perché il Concilio ci ha parlato del «mistero della Chiesa».

È nell’Eucaristia che si percepisce con più ammirata contemplazione l’immensa novità dell’«essere cristiani». Giustamente si deve aver coscienza che «tutti i sacramenti, come pure tutti i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla sacra Eucaristia e ad essa ordinati. Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa».74



L’adorazione e la missione


Le meraviglie di una simile molteplice «Presenza reale» ci spingono a mettere al centro della vita di fede un atteggiamento di adorazione. I vari momenti della celebrazione eucaristica e la permanenza delle specie consacrate invitano a un culto di contemplazione nella fede. È realmente qualcosa di eccelso che stimola a un intelligente silenzio che adora, mentre contempla le sue varie dimensioni: di culto, di santificazione, di professione di fede, di testimonianza martiriale, di impegno apostolico, di approfondimento della verità, di trionfo dell’amore.

— Nella Messa, c’è da contemplare chi è il sacerdote che fa («ora e qui») la vera oblazione sacrificale. Come abbiamo visto, è Cristo stesso; e lo fa per noi e insieme a noi per incorporare nella Sua offerta anche gli apporti della nostra vita quotidiana e della nostra travagliata esistenza.

Qui la meditazione deve scoprire lo «specifico cristiano», vissuto e rivelato da Cristo nella Pasqua. Nell’Eucaristia non c’è pericolo di interpretazioni ambigue o distorte. Lo specifico cristiano non si misura con un metro veterotestamentario o con impazienti espressioni temporaliste; si presenta nella sua piena originalità come dono di sé nell’amore fatto sacrificio: la capacità di offrire con gioia l’impegno concreto e generoso del proprio amore.

L’Uomo nuovo, frutto della Pasqua, vive in pienezza l’amore di carità della non-violenza, dirigendosi simultaneamente ai suoi due poli, Dio e l’Uomo, attraverso una intrinseca «grazia di unità» che sgorga dal cuore di Cristo dove l’amore del Padre è la causa, la sorgente e la forza dell’amore verso il prossimo, verso i poveri, verso i giovani, verso i bisognosi.

— Nelle Specie consacrate, poi, c’è da contemplare il modo con cui Cristo si offre a noi sotto forma vittimale, invitandoci a capire le ricchezze della sofferenza nella vita quando la si fa crescere nell’amore attraverso il dono di sé nel sacrificio. Ecco perché Cristo rimane sempre, anche dopo l’Ascensione, come il vero «Emmanuele cioè il “Dio con noi”, poiché giorno e notte — ci ricorda Palo VI — è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e di verità; restaura i costumi, alimenta le virtù, consola gli afflitti, fortifica i deboli, e sollecita alla sua imitazione tutti quelli che si accostano a Lui».75

Non per nulla lo stesso grande Papa Paolo VI esortava a promuovere, «senza risparmiare parole e fatica, il culto eucaristico, a cui devono convergere finalmente tutte le altre forme di pietà».76

E Giovanni Paolo II ci ha ricordato che non si concepisce una comunità religiosa locale se non riunita con fede contemplativa intorno al tabernacolo.

— Nella Comunione sacramentale, infine, c’è da contemplare la meraviglia della nostra assimilazione a Cristo, per cui diventiamo suo Corpo per continuarne la missione redentrice nel mondo.

Nel banchetto di comunione abbiamo da meditare due aspetti mirabili: la fecondità dell’Eucaristia che genera quotidianamente la Chiesa, e, inoltre, il suo invio a una missione concreta e storica a favore della salvezza degli uomini.

Sono davvero affascinanti queste due considerazioni.

La Chiesa, in forza dello Spirito, nasce sempre da Cristo, ogni giorno; nasce dalla sua mediazione sacerdotale; con la Chiesa, sua Sposa, Egli si unisce misticamente, nell’Eucaristia, formando un solo Corpo fecondo per dar vita nuova a tanti figli. Solo qui si trova la matrice autentica della genesi della Chiesa! Essa non sorge dal basso quasi per autogenerazione; nasce dall’azione sacramentale che inserisce vitalmente in un organismo preesistente e vitalmente strutturato qual è il Corpo di Cristo. Non si fa la comunione semplicemente per prendere parte a una celebrazione rituale, ma si «entra» con essa alla partecipazione viva dello «specifico cristiano» per sentirsi inviati alla missione di salvezza.

Ecco perché la comunione suscita decisioni di vita, stimola criteri apostolici di azione e dona energia pasquale di crescita e di perseveranza.

Nell’adorazione dell’Eucaristia, dunque, si può percepire chiaramente che la Nuova Alleanza non è un fatto del passato o una semplice dottrina o solo una celebrazione rituale, ma che è la scaturigine permanente dell’Uomo nuovo in un Popolo adunato da Dio per essere protagonista del vero progresso umano e della ricapitolazione di tutto il creato nel Cristo.


L’impegno pastorale di generare «Chiesa»


A questo punto, cari confratelli, ci dobbiamo domandare se un panorama così denso di meraviglie pasquali guidi davvero la nostra vita di consacrati e i nostri impegni di pastorale giovanile e popolare.

Nessuno di noi ha il diritto di dimenticare o di mettere sotto silenzio i ricchissimi contenuti di questo «Mistero della fede». Prescindere dall’Eucaristia nella vita salesiana e nella nostra azione pastorale e pedagogica sarebbe tradire il senso e il progetto della nostra consacrazione apostolica.77

Don Bosco aspetta da noi, nell’88, un ripensamento in profondità del suo Sistema Preventivo. I giovani reclamano una nostra sincera testimonianza e progettazione dell’autenticità del mistero cristiano. Essi hanno diritto che ci presentiamo a loro come segni e portatori delle meraviglie della Nuova Alleanza. L’eludere, il camuffare, l’ambizione di apparire superatori del passato, ci squalificherebbe come discepoli di Cristo e come eredi di Don Bosco.

L’88 ci interpella: o con Don Bosco per i secoli, o con certe mode per una breve ora caduca!

Dobbiamo saper vivere e comunicare ai giovani una autentica esperienza di Chiesa nella grande ora storica del suo rinnovamento conciliare all’aurora del Terzomillennio della fede cristiana.

C’è un aspetto delicato e assai importante che ho avuto sempre presente, come interpellanza delicata, durante queste riflessioni: che cosa pensare e come agire con la gioventù non-cristiana che frequenta, in molte parti del mondo, i nostri centri di educazione?

Evidentemente non si può procedere con loro con gli stessi metodi di «iniziazione cristiana» con cui si devono educare i giovani battezzati. Ma allora, in tal caso, il Sistema Preventivo di Don Bosco perderebbe il suo significato?

Nessuno può mettere in dubbio il dato di fatto che la pedagogia salesiana funziona con una sua peculiare efficacia tra numerosi giovani di altre religioni. L’esperienza stessa ci sta assicurando una risposta pienamente affermativa a favore di tale impegno, mentre ci ha stimolato e ci invita a valutazioni e riflessioni inedite al riguardo.

Noi ci siamo lanciati in questo campo seguendo indicazioni precise delle Costituzioni: «I popoli non ancora evangelizzati — esse ci dicono — sono stati oggetto speciale della premura e dello slancio apostolico di Don Bosco. Essi continuano a sollecitare e a mantenere vivo il nostro zelo: ...il missionario salesiano assume i valori di questi popoli e condivide le loro angosce e speranze».78

Inoltre, parlando della promozione umana, le Costituzioni ci ricordano che «lavoriamo in ambienti popolari e per giovani poveri. Li educhiamo alle responsabilità morali, professionali e sociali, collaborando con loro, e contribuiamo alla promozione del gruppo e dell’ambiente. ... Rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l’ingiustizia e la violenza, e cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell’uomo. La promozione, a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l’amore liberatore di Cristo e costituisce un segno della presenza del Regno di Dio».79

E ancora: «Imitando la pazienza di Dio, incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà».80

«La nostra azione apostolica — dicono anche — si realizza con pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo. Attuiamo ... sensibili ai segni dei tempi, con spirito d’iniziativa e costante duttilità».81

Dobbiamo dunque agire in modi differenziati, ma sempre come missionari.

Lo spirito missionario non prescinde dall’Eucaristia, né riduce la sua centralità. Infatti i missionari, come agenti di un tale impegno educativo, si dedicano al loro lavoro «in spirito evangelico», imitando «la pazienza di Dio» ed essendo educatori «in piena fedeltà a Don Bosco». D’altra parte, insieme alla massa giovanile non cristiana, educano e formano anche dei gruppi di giovani battezzati e credenti.

Quindi, sia per nutrire la vita spirituale dei confratelli in questo loro difficile apostolato, sia per far crescere i giovani già cristiani, sia per far vedere concretamente agli altri qual è il segreto motore di tutta la loro bontà e attività e del significato ultimo del loro progetto educativo, bisogna che sia coltivata anche tra loro (direi, anzi, specialmente tra loro), certamente in modo adeguato, l’assoluta centralità del mistero eucaristico.

Quanto abbiamo meditato fin qui, cari confratelli, ci assicura che c’è un rapporto oggettivo e di mutua causalità tra celebrazione eucaristica, spirito apostolico e missionario ed esperienza di Chiesa. È un rapporto vitale: l’unico vero e l’unico portatore di futuro. Come è stato detto, «la Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa».

Per «essere cristiani» bisogna essere membri della Chiesa di Cristo. Ma il rapporto mutuamente causativo tra Eucaristia e Chiesa non sarà incisivo e fecondo se i pastori e i destinatari non vengono raggiunti e interpellati dai suoi contenuti pasquali. L’introduzione a tale sublime realtà cristiana sfida oggi con particolare urgenza la capacità pedagogica di mediazione delle nostre comunità e di tutti gli agenti di pastorale. Urge tra l’altro, per tutti, una miglior conoscenza e competenza liturgica.

Formare dei veri cristiani significa introdurli in una esperienza di Chiesa. E ogni vera esperienza di Chiesa fa partecipare il credente alle realtà del Mistero. È vero che oggi bisogna saper partire dalla sensibilità ermeneutica dei segni dei tempi che hanno portato all’odierno trapasso culturale; però se vogliamo introdurre i giovani alla Nuova Alleanza, bisognerà saper anteporre sempre la immensa novità della Pasqua alle pur interessanti ma piccole novità della svolta antropologica. La novità pasquale supera infinitamente e giudica e assume nel tempo tante progressive novità culturali, le quali, pur essendo preziose, risultano sempre di assai piccola statura nei suoi confronti.

Gli operatori di pastorale sono invitati ad abilitarsi «simultaneamente» sia alla cultura emergente, sia e soprattutto a un più preciso e profondo senso del mistero pasquale, sempre nel «sentire cum Ecclesia», senza strumentalizzazioni indegne. Nessuno mai potrà presentare qualcosa di più grande e di più nuovo della Pasqua di Cristo, il grande capolavoro del Padre e l’opera suprema dell’Uomo.

Perciò, attraverso le mediazioni culturali più adeguate, sarà indispensabile introdurre ai grandi contenuti dell’Eucaristia. Certamente oggi le novità culturali sono impegnative; ma la meta a cui si deve tendere sarà sempre quella di far percepire, di far recepire e di far partecipare al mistero pasquale di Cristo.

È nostro compito individuare il cammino pedagogico-pastorale atto a una vera iniziazione cristiana (la «mistagogia», tanto cara ai Padri della Chiesa). Urge, in ogni impegno pastorale, trovare la strada che conduca all’indispensabile incontro tra la sensibilità contemporanea e l’apporto salvatore, insuperabile e necessario, della Nuova Alleanza.

Il cammino pastorale da percorrere per generare «Chiesa» esige un forte impegno di rinnovamento sia nella catechesi sull’Eucaristia sia nella sua celebrazione liturgica.

In tale celebrazione Essa proclama insieme il mistero della sua propria natura (= ecclesiologia) e la fecondità della sua specifica missione (= ecclesiogenesi). Essa è la Seconda Eva, con cui Cristo, Secondo Adamo, dà origine al nuovo genere umano.

Non ci si potrà dunque contentare col cercare nell’Eucaristia una qualche informazione nuova su Dio o sull’uomo, non ci si fermerà a una semplice introduzione ai riti (pur necessaria), né basterà celebrare semplicemente dei valori umani, giovanili o sociali, ma bisognerà fare vera introduzione al mistero di Cristo.

Così la celebrazione eucaristica apparirà come il genuino incontro tra esistenza e fede, tra vita quotidiana e Vangelo, tra verità salvifica e interrogativi dell’ora.

Insieme alla «memoria pasquale» crescerà la scoperta dell’amore e la preziosità della vita; sarà urgente educare alla sensibilità sacramentale con la sua originale ricchezza simbolica; e bisognerà che sia intensificato l’atteggiamento di adorazione contemplativa. La pedagogia pastorale avrà a cuore di promuovere la partecipazione attiva, la coscienza di filiazione nel Cristo, i valori peculiarmente cristiani della gratitudine, gli ambiti della solidarietà, le esigenze storiche della missione.

È questo il modo concreto di generare «Chiesa», che offre alla società «onesti cittadini», competenti, responsabili, impegnati. È attraverso l’Eucaristia che si forma quel valido Laicato a cui si è riferito il recente Sinodo dei Vescovi.

Noi, figli di Don Bosco, eredi di un prezioso patrimonio pedagogico, dovremo saper proporre e comunicare sempre ai giovani lo «specifico cristiano» della Pasqua offerto a loro nell’Eucaristia.



Alcune esigenze concrete della pedagogia eucaristica di Don Bosco


La Strenna di quest’anno giubilare ci invita a promuovere la «pedagogia della bontà», propria del Sistema Preventivo.

Permettetemi, cari confratelli, di interpellarvi con una domanda di fondo: che luogo occupano oggi, nei nostri progetti educativi, il mistero e la celebrazione eucaristica?

Siamo sinceri! Forse non pochi di noi stanno perdendo tempo. Don Bosco non è d’accordo con certe razionalizzazioni. Urge rivedere seriamente ed impegnarci con coraggio. Il Sistema Preventivo, nella sua espressione più genuina, si appoggerà sempre sulla carità pastorale sostenuta dai due grandi poli sacramentali della Riconciliazione e dell’Eucaristia. Queste affermazioni non sono residui di una cultura religiosa obsoleta, ma prospettive profetiche del Concilio Vaticano II.

Dall’eredità spirituale e pedagogica del nostro Fondatore emergono, tra le altre, le seguenti esigenze pratiche da prendere attentamente in conto.

Innanzitutto per noi. Lo spirito di Don Bosco, come abbiamo visto, è tutto centrato su Gesù-Eucaristia, da cui si sprigiona il fuoco del «Da mihi animas». Le nostre comunità devono crescere intorno all’altare, attingere alla ricchezza della convivenza con noi dell’Emmanuele.

Cristo non è solo il grande personaggio dei nostri ideali, ma l’Amico che è in casa con noi e per noi. Guardiamo continuamente a Lui nell’espressione suprema della sua Pasqua. Don Bosco ci lasciò scritto nel suo prezioso testamento: «Il vostro primo Rettore è morto. Ma il nostro vero superiore, Gesù Cristo, non morrà. Egli sarà sempre nostro maestro, nostra guida, nostro modello; ma ritenete che a suo tempo egli stesso sarà nostro giudice e rimuneratore della nostra fedeltà nel suo servizio».82

La centralità di Cristo è vissuta, nel nostro spirito, con una straordinaria sensibilità di contemplazione e di amicizia verso l’Eucaristia. Quindi con un senso particolare e con un accurato rispetto verso la sua umile dimensione sacramentale, essa dovrà essere abbellita dall’arte, dalla dignità degli abiti liturgici, da un’eleganza di culto che non può accettare le dimenticanze, il cattivo gusto, le grossolanità, il degrado dei messaggi simbolici che la costituiscono.

Nell’Eucaristia, dal punto di vista semplicemente esterno, è tutto quasi insignificante: la persona del prete (uno di noi come gli altri), un pezzetto di pane, un po’ di vino, alcune parole di preghiera. Se non innalziamo questi elementi all’alto e dignitoso compito ecclesiale della loro espressione sacramentale, se presentiamo con ordinarietà le persone dei celebranti, se banalizziamo il rito della Messa, se manipoliamo la Preghiera liturgica con arbitrarietà personali sciatte e transitorie o magari ideologiche, allontaniamo il cuore e l’interpellanza contemplativa del rito liturgico dal contenuto di mistero, che invece inabita sostanzialmente in esso.

L’Eucaristia è, cari confratelli, non lo dimentichiamo, ciò di cui non si può fare una cosa più grande; e lo è come realtà di tutta la Chiesa: «nella Chiesa, con la Chiesa, per la Chiesa»!

Ciò esige una speciale capacità contemplativa nei preti, la cui vitalità interiore deve essere concentrata sul Cristo pasquale (l’unico Sacerdote!) e sulla Chiesa Sua Sposa per servirla e rappresentarla degnamente.

E qui permettetemi, cari confratelli presbiteri, di ricordarvi l’importanza di un atteggiamento sponsale quotidiano profondamente legato all’Eucaristia: si tratta della preghiera dell’Ufficio divino. Noi presbiteri la recitiamo con la Chiesa e in suo nome, a favore di tutti. Purtroppo qualcuno non si è preoccupato di avere coscienza chiara della sua natura e del suo valore ecclesiale e vi sorvola sopra come se si trattasse semplicemente di una preghiera individuale da scegliere a gusto.

L’articolo 89 delle nostre Costituzioni dice esplicitamente che «la Liturgia delle ore estende alle diverse ore del giorno la grazia del mistero eucaristico».83 Inoltre ricorda ai presbiteri e ai diaconi (i «chierici») «gli obblighi assunti con la loro ordinazione».84

Considero utile riportare qui integralmente un passaggio del decreto su «Principi e norme per la liturgia delle ore» 85 che tratta appunto del rapporto tra questa preghiera ufficiale e l’Eucaristia.

«La Liturgia delle ore — vi si legge — estende alle diverse ore del giorno le prerogative del mistero eucaristico: la lode e il rendimento di grazie, la memoria dei misteri della salvezza, le suppliche e la pregustazione della gloria celeste.

La celebrazione dell’Eucaristia viene anche preparata ottimamente mediante la Liturgia delle ore, in quanto per suo mezzo vengono suscitate ed accresciute le disposizioni necessarie alla fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia, quali sono la fede, la speranza, la carità, la devozione e il desiderio dell’abnegazione di sé».86

L’atteggiamento sacerdotale di Gesù Cristo è concentrato, senza dubbio, nella preghiera. Lui stesso ha affermato che «bisogna pregare sempre, senza stancarsi».87 Sappiamo inoltre che con Lui e «per mezzo di Lui offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio»: 88 ridoniamo il suo vero senso all’universo: fatti voci di lode di tutto il creato.

Bisognerà dunque che per questo intimo rapporto tra Eucaristia e Liturgia delle ore si curi di più, specialmente da parte dei presbiteri e dei diaconi, la preghiera ecclesiale del Divino Ufficio.

(N.B.: Sarà conveniente rileggere personalmente e in comunità quanto ha suggerito il Consigliere per la Formazione, don Paolo Natali, nel n. 321 degli ACG [aprile-giugno 87, pag. 44-54], circa le nostre celebrazioni liturgiche. Sono orientamenti e direttive di particolare attualità e urgenza!).

Dunque, Don Bosco ci richiama a maggiori altezze spirituali e celebrative in liturgia. Non importa se altri seguono delle mode impoverite e purtroppo anche banali, giustificandosi con delle affermazioni pseudoculturali. Il grande criterio che deve illuminare le nostre celebrazioni e la nostra preghiera è il valore ineffabile e definitivo degli eventi pasquali.

Dobbiamo avere il coraggio di affrontare le conseguenze educative di un tale criterio se vogliamo aver esito nella fatica pedagogica di far vivere l’Eucaristia ai giovani.

Ed ecco allora un secondo gruppo di esigenze pratiche che ci vengono richieste dall’eredità profetica del nostro Fondatore.

Per l’educazione dei giovani e del popolo. L’azione apostolica di Don Bosco è diretta a portare i destinatari all’Eucaristia. Nella biografia di Francesco Besucco, al capo 19, egli scrive questa categorica sentenza: «Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della Confessione e Comunione; e credo di non dir troppo asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita».89

Un linguaggio così perentorio non è consueto in Don Bosco; si spiega nel contesto polemico in cui nasce, ma riflette il suo vero sentimento.

Il sacramento della Riconciliazione unito alla partecipazione viva all’Eucaristia nelle mani di Don Bosco era «il mezzo pedagogico per eccellenza atto a correggere i suoi giovani e costruire la vera e soda pietà: quella cioè che è corrisposta dalla vita e compenetrata in essa».90

La ricchezza della pedagogia del nostro Padre abbraccia certo orizzonti amplissimi, ma è difficile contestare che questi due sacramenti — Riconciliazione ed Eucaristia — ne siano il vero «culmine» e la «fonte».

Le stesse nostre Costituzioni (a cui guardiamo per prepararci al grande rilancio del prossimo 14 maggio) ce lo ricordano in vari articoli:

«La nostra scienza più eminente è conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero. Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché crescano come uomini nuovi».91

«Avviamo i giovani a fare esperienza di vita ecclesiale con l’ingresso e la partecipazione a una comunità di fede».92

«L’Eucaristia e la Riconciliazione, celebrate assiduamente, offrono risorse di eccezionale valore per l’educazione alla libertà cristiana, alla conversione del cuore e allo spirito di condivisione e di servizio nella comunità ecclesiale».93

Dobbiamo, perciò, rivedere la prassi quotidiana della nostra pastorale giovanile; prendiamo pure in conto la metodologia della gradualità: «Imitando la pazienza di Dio — ci dicono le Costituzioni — incontriamo i giovani al punto in cui si trova la loro libertà. Li accompagniamo perché maturino solide convinzioni e siano progressivamente responsabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede»; 94 ma che sia chiaro, sempre, nei nostri progetti educativi, che «iniziamo i giovani a partecipare in modo cosciente e attivo alla liturgia della Chiesa, culmine e fonte di tutta la vita cristiana».95

Questo «iniziare i giovani a partecipare in modo cosciente e attivo alla liturgia della Chiesa» significa, in concreto, introdurli pedagogicamente al mistero pasquale. Nella prassi educativa di Don Bosco lo si fa costruendo la coscienza di fede e l’amicizia di convivenza con Gesù Cristo nell’Eucaristia.

Un simile atteggiamento fondamentale esige, tra l’altro, la cura pedagogica di «sei momenti eucaristici»:

1. la «conversione»: senza il senso del peccato non si capirà mai la centralità e l’indispensabilità di Cristo; e, d’altra parte, se non si approfondisce la verità circa l’amore non si saprà che cos’è il peccato;

2. l’«illuminazione» della Parola di Dio: solo la luce del Vangelo offre delle risposte valide agli incalzanti problemi della vita;

3. la coscienza della «presenza reale» di Cristo nella Nuova Alleanza: non sarà mai sufficiente l’insistenza nel far percepire e nell’approfondire le meraviglie della «sacramentalità» della Chiesa nella celebrazione del sacrificio della Messa;

4. l’«incorporazione viva a Cristo»: la comunione sacramentale è la vera culla dell’Uomo nuovo; va presentata e inculcata continuamente come sorgente di convinzioni profonde e come energia di coraggiosa condotta cristiana;

5. la «missione»: essere Corpo di Cristo nel mondo esige quotidiani impegni di partecipazione alla sua attività salvatrice; la nostra fatica educativa deve caratterizzarsi nell’avviare i giovani all’apostolato;

6. infine, l’amicizia di «adorazione» anche con la sua dimensione riparatrice. Don Bosco dava particolare importanza al fatto di avere Gesù vicino, in casa, a nostra disposizione; far capire il mistero dell’Emmanuele significa sconfiggere nei cuori le depressioni della solitudine e assicurare ad ognuno un luogo strategico di ripresa del bene nella propria esistenza.

Ecco delle indicazioni per delle programmazioni concrete.

Vi ho parlato poc’anzi di gradualità pedagogica. L’iniziazione al mistero eucaristico è un processo dinamico e pedagogicamente creativo, che avanza gradualmente con la progressiva crescita dei destinatari nell’apprezzamento degli eventi pasquali e delle loro esigenze di fede nella vita personale e sociale.96

La gradualità, però, non è una scusa per fermarsi a metà strada o, magari, per neppure incamminarsi. Ha sempre di fronte con chiarezza la meta verso cui tende e cessa di essere gradualità se non si muove continuamente verso di essa. Suppone, perciò, sempre e in concreto, un cammino pedagogico di crescita che accompagna e stimola coloro che vogliono davvero essere cristiani e vivere dell’Eucaristia.

Ciò mi porta a ripetere, con profonda convinzione, quanto affermavo al principio: il tema dell’Eucaristia è per noi il più vitale; esso è la misura del nostro spirito e della nostra azione!



Una devozione alla Madonna che porta all’Eucaristia


Per concludere, cari confratelli, vi suggerisco un aspetto suggestivo appropriato all’Anno mariano che stiamo vivendo. Non lo sviluppo; solo lo accenno. Si tratta della prospettiva eucaristica che aveva per Don Bosco la sua devozione alla Madonna.

Nel secolo scorso gli anni sessanta furono un momento cruciale del Risorgimento italiano, specialmente in Piemonte. Tutto sembrava congiurare contro la Chiesa. Don Bosco osservava attentamente, soffriva, agiva. Vedeva nella rinascita del culto eucaristico e della devozione all’Ausiliatrice le «due colonne» su cui poggiarsi per evitare la catastrofe.

Inserito in un contesto politico-culturale che costringeva il Papa e la Chiesa a vivere in «stato d’assedio», non trovava di meglio che confidare illimitatamente nel mistero dell’Eucaristia e nella potente intercessione dell’«Aiuto dei Cristiani».

Egli, che non era un teologo di professione, intuì, come pastore ed educatore, che la linea di forza della fede passa sempre attraverso l’Eucaristia con la mediazione materna di Maria.

Il 30 maggio 1862 (l’anno e il mese della prima Professione salesiana!) Don Bosco racconta il suo famoso «sogno delle due colonne», che si levano in mezzo «all’immensa distesa del mare». Su una vi è una statua di Maria Immacolata, con ai piedi un largo cartello con la scritta «Auxilium christianorum»; sull’altra, «molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla colonna e sotto un altro cartello colle parole “Salus credentium”».97 Sono i due risuscitati: Cristo e Maria, il nuovo Adamo e la nuova Eva, che guidano la Chiesa!

La «gran nave» — simbolo della Chiesa «unica arca di salvezza» di cui è «comandante il Romano Pontefice» —, dopo una lotta furibonda contro il mare in tempesta e gli assalti concentrici di navi nemiche, resiste e vince non appena può ancorarsi alle due colonne, cioè all’Eucaristia e all’Ausiliatrice.

Il sogno ha innegabilmente una forte carica apologetica, ma esprime lo stato d’animo e le profonde convinzioni di Don Bosco.

Nel dicembre dell’anno seguente, 1863 — scrive don Ruffino — il nostro Padre dà come Strenna pel 1864 la devozione al SS. Sacramento e a Maria, riprendendo il sogno delle due colonne: «Statemi bene attenti ad intendermi. Immaginatevi di vedere un gran globo sospeso pei due poli a due colonne. Sopra una sta scritto:“Regina mundi”; sopra l’altra:“Panis vitae”». Le colonne emanano «vivissima luce», lontano da esse non vi sono che «oscure tenebre».98

Gesù e Maria per Don Bosco sono vivi e presenti nella storia; intervengono potentemente a favore della Chiesa. La Madonna porta a Gesù. Ma il modo di presenza reale di Gesù, a cui conduce Maria, è quello del mistero eucaristico.

Al di là di una situazione sociopolitica contingente e limitata, resta, viva e attuale, la portata profetica e perenne delle due colonne a cui oggi noi dobbiamo saper rivolgerci con la nostra vita interiore e con il nostro impegno pastorale e pedagogico per l’educazione dell’Uomo nuovo.

Considero commovente e significativo riportare qui l’episodio della fondazione della casa di Liegi nel Belgio, che sottolinea questo rapporto. Mons. Doutreloux, dinamico vescovo della città, era andato a Torino il 7 dicembre 1887. Don Bosco degeva gravemente ammalato. I Superiori, che avevano già discusso con lo stesso Don Bosco la richiesta di questa fondazione, gli avevano risposto che bisognava dilazionarne l’inizio a causa della scarsezza di personale. La mattina seguente, Solennità dell’Immacolata, il Vescovo va personalmente a salutare Don Bosco, il quale, tra l’ammirazione di tutti, gli dà subito una risposta affermativa. Che era successo nel frattempo? Il nostro Padre quel mattino aveva detto al suo segretario don Viglietti: «Prendi penna, calamaio e carta e scrivi quello che ti detto. E dettò:“Parole letterali che la Vergine Immacolata, apparsami questa notte, mi disse: — Piace a Dio ed alla Beata Vergine Maria che i figli di S. Francesco di Sales vadano ad aprire una casa a Liegi in onore del Santissimo Sacramento. Qui incominciarono le glorie di Gesù pubblicamente, e qui essi dovranno dilatare le medesime sue glorie in tutte le loro famiglie e segnatamente tra i molti giovanetti che nelle varie parti del mondo sono o saranno affidati alle loro cure. Il giorno dell’Immacolato Concepimento di Maria 1887”. Qui fece punto. Dettando piangeva e singhiozzava; la commozione lo scosse anche dopo».99

Non vi pare che sia, questo, un fatto emblematico che mentre rivela, nel suo letto di morte, il cuore mariano del nostro Padre, indica l’orientamento vivo e concreto della sua devozione alla Madonna verso Gesù-Eucaristia?

Dobbiamo auspicarci, cari confratelli, che Don Bosco, più in là della mentalità e del linguaggio del suo secolo, rimanga sempre — a cento anni dalla sua morte — il nostro Maestro e la nostra Guida verso la presenza viva e coinvolgente di Cristo nel mirabile dono sacramentale della Nuova Alleanza.

Maria ci porti quotidianamente a Cristo. E Cristo sia sempre per noi l’Emmanuele della liturgia ecclesiale e del tabernacolo.

Cari confratelli, che l’88 risvegli nei nostri cuori lo «spirito salesiano» in forma così intensa che sappiamo rinnovare, con intelligenza e coraggio, attraverso l’Eucaristia, l’eredità di Don Bosco nella nostra pastorale giovanile e popolare.

Vi saluto cordialmente.

Vivi auguri, specialmente per il 14 maggio!

Con tanta speranza nel Signore.

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 35


1 cf. Cost 23

2 cf. ACS 290

3 cf. Cost 10

4 cf. Cost 11

5 cf. Cost 12

6 cf. Cost 13

7 cf. Cost 14

8 cf. Cost 15. 16. 17. 18. 19

9 Cost 88

10 SC 10

11 Gv 6, 56

12 Gv 6, 56

13 cf. per es., G. BOSCO, Il Giovane Provveeduto, Torino 1863, pag. 129

14 Opere e Scritti editi e inediti di Don Bosco... a cura della Pia Società Salesiana [introduzioni, studi e commenti di Alberto Caviglia], v. 6, Torino, SEI, 1929-1965 = citato: ed. Caviglia, v. 4, Savio, c. 14, pag. 37

15 MB IV, 457-458

16 G. BOSCO, Il cattolico istruito nella sua religione = Letture Cattoliche I (1853-1854) 9, pag. 191

17 G. BOSCO, Il Giovane Provveduto, Torino 1847, pag. 85, in «Opere Edite», v. II, [pag. 265]

18 E. CERIA, Don Bosco con Dio, Colle Don Bosco (Asti) 1947, pag. 97-98; cf. MB I, 520

19 MB IV, 454; cf. MB XIII, 897

20 cf. MB XVII, 558-559

21 G. BOSCO, Il Giovane Provveduto, Torino 1847, pag. 84-85, op. cit., [pag. 264-265]

22 MB VII, 795

23 Epistolario di S. G. Bosco, a cura di E. CERIA, SEI, Torino 1955, v. I, pag. 299

24 cf. MB VI, 145

25 MB XIV, 44

26 MB XII, 641

27 MB XII, 29

28 Ed. CAVIGLIA, v. 4, Savio, c. 14, pag. 35

29 G. BOSCO, Il Giovane Provveduto, Torino 1885, pag. 108, in «Opere Edite», v. XXXV; cf. Conc. di Trento Sess. 22, c. 6, in DENZINGER-RAHNER 1955 n. 944; cf. anche G. BOSCO, Il Sistema Preventivo... 2, VIII (append. Cost, pag. 240)

30 G. BOSCO, Il Sistema Preventivo... 2, VII (ib.)

31 G. BOSCO, Giovane Provveduto, Torino 1847, pag. 103

32 MB IX, 355

33 24 febbraio 1865

34 MB VIII, 49

35 MB XVI, 195

36 Cost 10

37 Cost 11

38 Conc. di Trento sess. 21

39 Conc. di Trento sess. 22

40 cf. per es., Eucharisticum Mysterium, Istruzione della Congregazione dei Riti, 25 maggio 1967

41 PO 5

42 Rm 8, 20-21

43 GS 22

44 Prefazio dell’Avvento I/A

45 GS 45

46 Eb 9, 12-28

47 Ap 5, 6-12

48 Eb 9, 11-12

49 SC 10

50 SC 7

51 3 settembre 1965

52 Mysterium fidei (MF), in «Enchiridion Vaticanum», Edizioni Dehoniane, Bologna, v. 2, 1976, n. 422

53 SC 7

54 ib.

55 MF, o.c., n. 424

56 SC 7

57 Eb 9, 25-26

58 Eb 8, 1-2

59 Eb 9, 15

60 Ap 5,6

61 1 Cor 10, 16-17

62 cf. PO 2

63 MF, o.c., n. 422

64 LG 10

65 ib. 28

66 Preghiera Eucaristica 2a

67 DENZINGER-RAHNER, Enchiridium symbolorum 1955, n. 874

68 MF, o.c., n. 429

69 cf. Preghiera Eucaristica 2a

70 LG 26

71 ib. 6

72 ib. 7

73 LG 7

74 PO 5

75 MF, o.c., n. 438

76 ib., n. 436

77 cf. Cost 3

78 Cost 30

79 Cost 33

80 Cost 38

81 Cost 41

82 F. MOTTO, Memorie dal 1841 al 1884-5-6 [Testamento spirituale], ed. LAS, Roma 1985, pag. 31

83 Cost 89

84 cf. CIC can. 1174,1

85 2 febbraio 1971

86 Institutio generalis de Liturgia Horarum, n. 12

87 Lc 18, 1

88 Eb 13, 15

89 ed. CAVIGLIA, v. 6, Besucco, c. 9

90 ed. CAVIGLIA, v. 4, Savio, Studio, pag. 355

91 Cost 34

92 Cost 35

93 Cost 36

94 Cost 38

95 Cost 36

96 cf. Ef 4, 13

97 MB VII, 169ss

98 MB VII, 585-586

99 MB XVIII, 438-439