301-350|it|319 L‘88 ci invita a una speciale rinnovazione della professione

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L’88 CI INVITA A UNA SPECIALE

RINNOVAZIONE DELLA PROFESSIONE



50 anni di vita salesiana. - Professione religiosa e svolta conciliare. - L’operoso processo di identificazione. - Rilettura della santità di Don Bosco. - Il collaudo della sua Scuola spirituale. - Lo spirito di Don Bosco nella prospettiva dell’88. - Un tipo di riflessione da suscitare. - Propositi di santità salesiana. - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACG n. 319



Roma, 1 settembre 1986


Cari Confratelli,


vi scrivo nel giorno anniversario della mia prima Professione religiosa. Sono passati 50 anni: mezzo secolo! Praticamente la metà dei cento anni che ci prepariamo a celebrare nell’88. Ho terminato il noviziato due anni dopo la canonizzazione di Don Bosco e commemoro il giubileo d’oro della Professione un paio d’anni prima delle celebrazioni centenarie della sua morte. Uno spazio di tempo sufficientemente prolungato e significativo per stimolare qualche riflessione di esperienza salesiana.

La Professione è stata per me l’inizio di un concreto modo di sequela del Cristo, di un impegno apostolico nella Chiesa, di una predilezione per la gioventù, di una inculturazione missionaria oltre oceano e di una crescente coscienza d’identità salesiana nella pluriformità culturale. Ha reso possibile una specie di avventura cristiana, impensata e improgrammabile, che manifesta, guardando questi decenni alla luce della fede, la presenza creativa dello Spirito, la partecipazione alla missione salvifica del Figlio e la risorsa quotidiana della misericordia infinita del Padre.



Professione religiosa e svolta conciliare


A metà strada di questi miei 50 anni di vita salesiana si colloca la partecipazione alle quattro sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, l’evento ecclesiale del secolo, visita dello Spirito Santo alla Chiesa, «grande profezia» per il terzo millennio del Cristianesimo.

Durante i quattro anni di così straordinario avvenimento ho visto ringiovanirsi il senso della Professione salesiana.

Nella Chiesa si è percepita la volontà di compiere un’energica sterzata, con lo scricchiolio di alcuni strati frenanti che si erano venuti sovrapponendo come polvere del tempo: il superamento di una mentalità statica, un po’ legalista, tentata di autarchia, soddisfatta del suo passato, rinchiusa in strutture d’altri tempi, centralizzata e suscitatrice di reazioni pericolose. Un simile clima era abbastanza generale ed aveva urgente bisogno di venir rinnovato con una ventata d’aria fresca.

Il Concilio fece sperimentare uno stimolante ritorno alle fonti. Richiese una fedeltà alla Professione più seriamente e più profondamente inserita nel mistero di Cristo, nella santità e nella missione specifica del Fondatore, nella sua originalità pastorale; interessata a un senso apostolico di maggior relazione con il mondo per servire e promuovere l’uomo, all’inventiva e dinamismo di azione, all’importanza della dimensione sociale nella nostra pratica dei consigli evangelici con nuove esigenze, al rilancio del laicato, a una coscienza più integrale del carisma di Don Bosco come Movimento di persone e come messaggio di santità giovanile e di popolo.



L’operoso processo di identificazione


La svolta conciliare ha richiesto alla Congregazione, come a tutti gli Istituti religiosi, un intenso lavoro di ricerca e di definizione della propria identità di fronte ai numerosi cambi della cultura emergente.

Vivere la Professione salesiana, per quasi un ventennio in questo complesso processo di identificazione, ha significato un prolungato impegno di riflessione e di dialogo vissuti nella partecipazione attiva a ben quattro Capitoli generali (XIX, XX, XXI, XXII), collaborando con tutti i confratelli alla rielaborazione del testo delle Costituzioni e dei Regolamenti generali.

L’aver ricevuto poi, durante questo periodo, il mandato di obbedienza di vivere la Professione salesiana nel ruolo prima di Consigliere generale per la formazione e poi di Rettor Maggiore, ha comportato per me una più sentita responsabilità. Alla conclusione dell’ultimo CG22, uno dei momenti di più autentica gioia salesiana fu certamente quello di rinnovare la Professione con il nuovo testo delle Costituzioni, dopo aver affidato solennemente l’intera Congregazione alla Vergine Ausiliatrice, nostra solerte Maestra e Guida.

Ciò che è venuto emergendo sempre più chiaramente è stata la figura di Don Bosco come nostro Fondatore e Modello: un dono per la Chiesa e per noi, suscitato e strutturato dallo Spirito del Signore con doti e modalità profetiche di santità e di azione, che trascendono la cultura del suo tempo per proiettarsi più in là dei confini geografici e delle congiunture storiche.

La santità dinamica di Don Bosco appariva sempre più chiaramente come l’ideale della Professione salesiana, innalzata a «consacrazione apostolica» nella Chiesa.



Rilettura della santità di Don Bosco


Dopo la riflessione di tanti anni è possibile riassumere in poche linee programmatiche l’ideale di santità di Don Bosco, come obiettivo da raggiungere con la nostra Professione.

Partendo dalla certezza che la santità è una e multiforme,1 coglieremo in Don Bosco la presenza di valori fondamentali, comuni a tutti, e insieme i tratti di uno stile che è tutto suo.

La santità è «una», e consiste per tutti nell’esercizio convinto della fede, della speranza e di una carità a prova di sacrificio; è simbiosi di mistica e di ascesi che proclama la pienezza della vita nello Spirito: un amore che porta la croce!

La santità è «multiforme», in quanto ogni gruppo, anzi ogni persona, partecipa alla vita e alla missione della Chiesa, in stati e con modalità diversificati, anche se espressione della stessa Grazia.

Già altre volte vi ho scritto sul tema della nostra santità: nella circolare del dicembre dell’81 ho riflettuto con voi su come «Riprogettare insieme la santità»,2 in quella del settembre 83 vi ho presentato «Don Bosco Santo»,3 e nella «Buona Notte» del giorno della mia rielezione, all’antivigilia del cinquantesimo di canonizzazione del nostro Fondatore, ho visto questo sessennio vincolato a tale aspetto.4 Quello della santità è un tema inesauribile da tenere costantemente presente alla nostra coscienza. Aggiungiamo perciò alcune altre riflessioni.

Don Bosco stesso ha condensato la mistica e l’ascesi, che hanno contraddistinto il suo stile di vita, in due motti caratteristici dello spirito salesiano; ha poi concretato la sua partecipazione alla missione della Chiesa in una precisa scelta di campo, vissuta con criteri e stile originali.

Vediamo queste tre ottiche che sono come una rilettura sintetica dell’esperienza spirituale del nostro Padre.

— Innanzitutto la «mistica», ossia la vita di fede speranza e carità, condensata nel motto da mihi animas, rafforzato dalla radicalità di donazione di sé nella pratica dei consigli evangelici. Comporta una maniera di contemplare la bontà del Padre, di ascoltarne la Parola di salvezza e di partecipare al suo Amore trasformante, che produce nel cuore una ininterrotta unione con Dio. Essa si esprime nell’estasi di una instancabile azione apostolica: è l’interiorità che si dona nella missione. Questa mistica è alimentata dall’incontro quotidiano con Cristo, che ci fa evitare ogni svuotamento della dimensione pastorale dei nostri impegni.

— L’ottica dell’«ascesi», che è dominio di sé — spirito di sacrificio — e impegno di fedeltà, è espressa da Don Bosco nel motto lavoro e temperanza rafforzato, anche qui, dalla radicalità di quelle rinunce che sono proprie della pratica dei consigli evangelici. Un programma che, nello stile del nostro Fondatore, si adatta facilmente ai cambi culturali e che riceve conferma e approfondimento dai progressi delle discipline antropologiche: il realismo del dono di sé per amore del prossimo secondo la carità portata da Cristo nel mondo. Per essere veri discepoli di Cristo è indispensabile coltivare lo spirito di sacrificio, di custodia del cuore e di rinuncia, che ci aiuta ad evitare l’insidioso smantellamento della disciplina religiosa.

— Infine, la «scelta di campo» per partecipare attivamente alla missione della Chiesa, è quella di una feconda pastorale giovanile e popolare. Essa va confrontata continuamente con le situazioni della società umana, partendo «dai piccoli e dai poveri» che vi si trovano di fatto. La predilezione verso la gioventù definisce l’ambito di questa scelta, che è caratterizzata da uno stile e da criteri di approccio che Don Bosco definì «Sistema Preventivo».

Si tratta di una modalità di convivenza, di dialogo, di evangelizzazione e di promozione che poggia su tre linee portanti:

• il buon senso («ragione»), come espressione di un’intelligenza equilibrata e penetrante, conoscitrice del cuore umano e della realtà sociale;

• la dimensione religiosa («religione»), come convinta visione di trascendenza, valore portante nelle culture ed elemento indispensabile nella formazione di ogni persona;

• il calore e la sincerità dell’affetto («amorevolezza»), come atmosfera di fiducia, di dialogo e di convivenza familiare con i destinatari della nostra azione.

Paradigma permanente di questa scelta e di questo stile è l’esperienza di Don Bosco nell’Oratorio a Valdocco.5

Tanti anni di Professione salesiana confermano la validità, la bellezza e l’attualità di questo tipo di santità, che ha fatto di Don Bosco uno dei più importanti Fondatori di Famiglie spirituali nella Chiesa.



Il collaudo della sua Scuola spirituale


Don Bosco, sorto nella fioritura di Santi che ornò il Piemonte nel secolo scorso, ebbe il merito di iniziare una autentica Scuola di santità. Se hanno valore, per il suo tempo, le varie opere apostoliche a cui ha posto mano, l’aver promosso con successo un tipo peculiare di santità gli fa riconoscere una genialità spirituale che lo colloca tra i grandi della Chiesa con una fecondità capace d’incarnarsi ulteriormente lungo i secoli.

Per fare della santità un messaggio attraente e valido per tutti i suoi destinatari, Don Bosco volle presentarne l’essenza con semplicità e realismo adattandola all’età, alle situazioni di vita e alle interpellanze culturali.

Il beato Michele Rua, santa Maria Domenica Mazzarello, san Domenico Savio, a cui possiamo aggiungere in qualche modo anche i beati Luigi Orione e Luigi Guanella, hanno sperimentato direttamente l’influsso del suo tipo di santità. Il programma di spiritualità giovanile vissuto da san Domenico Savio è particolarmente caratteristico; Don Bosco stesso l’ha descritto e approfondito nella biografia del suo giovane alunno, ampiamente e acutamente commentata da don Alberto Caviglia. Ugualmente chiaro risulta lo schema di santità salesiana se si studiano, sotto il profilo della tipicità spirituale, le varie biografie scritte da Don Bosco e la vita degli altri nostri santi, beati e servi di Dio.

Anche don Filippo Rinaldi è un testimone diretto dell’influsso personale di Don Bosco: ne faccio cenno in modo particolare perché in questo ottobre la Congregazione per le cause dei Santi inizierà l’esame sulle sue virtù eroiche; confidiamo che questo sia il primo passo per un prossimo più alto riconoscimento.

La proposta della Scuola evangelica di Don Bosco non si è certamente esaurita nei santi, beati e servi di Dio che abbiamo ricordato. C’è un aspetto, cui forse non si è ancora prestata la debita attenzione, e che pure ha un’importanza significativa e privilegiata per il discorso sulla sua tipica «esperienza dello Spirito».6 Intendo fare riferimento alle prime comunità formatrici della Congregazione nelle quali, al tramonto della vita di Don Bosco e subito dopo la sua morte, i suoi primi discepoli hanno fatto fiorire la santità salesiana: Foglizzo come Noviziato e Valsalice come Postnoviziato. Qui operarono don Rua, don Barberis, don Bianchi, don Piscetta (per fare solo alcuni nomi) ed è singolare che in queste comunità, a poca distanza dalla scomparsa del caro Padre, si siano formati ed abbiano operato (nel periodo di pochi anni, se non addirittura contemporaneamente) un buon numero di nostri confratelli servi di Dio, di cui è in corso la causa di beatificazione e canonizzazione: il venerabile don Andrea Beltrami, il venerabile principe Augusto Czartoryski, il servo di Dio don Luigi Variara, il beato mons. Luigi Versiglia, il servo di Dio don Vincenzo Cimatti. Quelle due comunità di formazione salesiana sono davvero un prolungamento fecondo dell’autentica Scuola evangelica iniziata da Don Bosco.

Ne è riprova singolare il fatto che vari dei confratelli ora ricordati hanno sentito il primo impulso verso la santità in un qualche incontro, magari anche fortuito, ma determinante, con la persona del santo Fondatore: don Beltrami, studente a Lanzo, lesse un componimento a Don Bosco e intese da lui una parola che orientò la sua vita; mons. Versiglia fece la stessa esperienza; il principe Czartoryski fu conquistato da Don Bosco in un incontro a Parigi; don Variara vide una sola volta posato su di sé lo sguardo del Padre e ne fu folgorato per tutta la vita; don Cimatti in braccio alla mamma guardò da lontano Don Bosco e animò poi tutto il suo apostolato con l’intuizione di quell’incontro d’infanzia.

Senza dubbio non è stato semplicemente il caso a portare questi futuri beati e servi di Dio sul cammino di Don Bosco!

Tutto questo è un chiaro segno di quanto tra i confratelli era sentita la grandezza e l’attrattiva della santità di Don Bosco e come nella Congregazione e nella nostra Famiglia si creò uno slancio spirituale che ne caratterizzò la fisionomia. Qui è il segreto dell’audacia missionaria delle origini, qui l’energia per la meravigliosa espansione della Famiglia Salesiana in tutti i continenti, qui la ragione della sua duttilità d’inculturazione, frutto di un nativo istinto di universalità.

Che l’energia di santità fosse connaturata nella vita dei nostri grandi missionari e missionarie della prima ora, lo dimostra anche il sorprendente fatto che proprio nella Patagonia — prima terra dell’impresa missionaria salesiana — si siano portati al vertice della santità giovanile i venerabili Zeffirino Namuncurá e Laura Vicuña.

Tra beati, venerabili e servi di Dio candidati agli altari possiamo ancora ricordare, come testimoni della Scuola di santità di Don Bosco prolungata nel tempo: il beato don Callisto Caravario, martire in Cina; i numerosi martiri spagnoli che testimoniarono la loro fede nelle drammatiche vicende della guerra civile; mons. Luigi Olivares, operoso Pastore tra il popolo; don Rodolfo Komorek, insigne per lo spirito di preghiera e di mortificazione; don Giuseppe Quadrio, docente di teologia e studioso del mistero dell’Assunzione; i coadiutori sig. Simone Srugi, compaesano di Gesù, espressione umile e profetica di ecumenismo: lui, melchita fattosi salesiano, fu un caritatevole promotore di dialogo con i musulmani; e il sig. Artemide Zatti, benemerito samaritano della Patagonia, terra che si apriva allora alla civiltà e che era carente dei servizi moderni per la salute: fondò a Viedma il primo ospedale della città.

Tra le Figlie di Maria Ausiliatrice possiamo ricordare la venerabile suor Teresa Valsè-Pantellini; le serve di Dio suor Maddalena Morano, suor Carmen Moreno, suor Amparo Carbonell, suor Eusebia Palomino, suor Maria Troncatti, suor Laura Meozzi e suor Maria Romero.

Tra i Cooperatori ricordiamo la venerabile donna Dorotea Chopitea, grande benefattrice; il cardinale Giuseppe Guarino, amico di Don Bosco e fondatore di un Istituto religioso femminile; Alexandrina da Costa, mirabile nella sofferenza; Giuseppe Toniolo, grande laico impegnato nel sociale.

E tra gli Exallievi, il venerabile ingegner Alberto Marvelli, zelante animatore oratoriano e dell’Azione cattolica; l’eroico brigadiere Salvo D’Acquisto, che ha saputo immolare la sua vita per amore del prossimo; e il barone Antonio Petix, instancabile apostolo degli stessi Exallievi.

Questi nostri candidati agli altari, che assommano in tutto a più di un centinaio,7 sono solo la punta di un iceberg, che manifesta la presenza viva dello spirito di Don Bosco nei vari gruppi della sua Famiglia e tra i destinatari delle sue presenze apostoliche: uno spirito sempre esuberante di vitalità, duttile e fecondo, che testimonia uno speciale disegno di Dio nel dono di santità apostolica concesso a Don Bosco come Fondatore.



Lo spirito di Don Bosco nella prospettiva dell’88


Se la Scuola di santità salesiana è l’eredità principale di Don Bosco Fondatore, le celebrazioni centenarie dell’anniversario della sua morte dovranno distinguersi soprattutto per un impegno di forte interessamento e di fedeltà nel rilancio dei suoi contenuti evangelici.

Si tratta, certo, di un dono dello Spirito Santo, prima che di un programma nostro; sappiamo, però, che Egli non solo non riprende ciò che ha donato, anzi ha voluto, con l’evento del Concilio, rinnovare l’attualità del suo dono come profezia preziosa e valida per la cultura d’oggi. Se preghiamo con questo scopo e ci impegniamo, ne risulteranno dei frutti ubertosi.

Ecco perché ci proponiamo di fare dell’88 un anno di riflessione e di propositi sulla santità salesiana alla luce dei grandi orientamenti conciliari del Vaticano II.

Possiamo dire che le iniziative di preparazione pensate finora ci hanno visto orientati principalmente in tale senso.

— A livello di Congregazione ci siamo posti, soprattutto dopo l’approvazione del nuovo testo delle Costituzioni e dei Regolamenti, in una specie di «stato di noviziato» per un prolungato e intenso lavoro di formazione permanente. Vogliamo, nell’88, fare una solenne rinnovazione della nostra Professione religiosa, come espressione vissuta di quella consacrazione apostolica che il testo delle Costituzioni, nell’orbita del Concilio, ci ha insegnato a conoscere meglio, ad apprezzare e a testimoniare con più autentica profondità e profetica attualità. Solo intensificando così la nostra carità pastorale potremo dimostrare al mondo la vitalità del carisma di Don Bosco.

— A livello di Famiglia Salesiana ci sentiamo in più forte comunione con gli altri Gruppi che, come noi, hanno rinnovato i testi fondamentali della loro identità in fedeltà alle origini e al Concilio. Vogliamo lavorare insieme per rilanciare il progetto globale del Fondatore, soprattutto coinvolgendo numerosi e coraggiosi laici nelle Associazioni dei Cooperatori e degli Exallievi. È nostro proposito animare un vasto Movimento spirituale e apostolico di persone che si interessi dei problemi della gioventù e dell’educazione.

— A livello dei giovani, nostri destinatari, siamo impegnati da tempo a ridefinire e promuovere una spiritualità giovanile che sia l’anima e l’obiettivo, in forma graduale e appropriata, delle nostre svariate attività.

È sintomatico che, per interessamento e sollecitudine dell’arcivescovo di Torino, S. Em. il card. Anastasio Ballestrero, si sia ottenuta dal Santo Padre l’indizione di uno speciale Anno Santo dei giovani nella Chiesa particolare di Torino per i mesi che vanno dal 31 gennaio ’88 al 31 gennaio ’89. L’argomento centrale di riflessione che caratterizzerà un tale «Anno di grazia per la gioventù» saranno i contenuti profetici del Vaticano II. Consideriamo nostro speciale compito quello di consegnare il Concilio ai giovani in cammino verso il 2000!

Le condizioni per questo giubileo straordinario verranno determinate prossimamente dalla Sede Apostolica e saranno comunicate a tutti opportunamente. Intanto si può già pensare al clima della preparazione, ai programmi da elaborare, ai pellegrinaggi da organizzare, alla santità da far conoscere e amare.

L’indizione di un Anno Santo speciale dà una più ampia dimensione ecclesiale alle celebrazioni dell’88. Bisognerà tenerne conto, aprendo i nostri orizzonti più in là della Famiglia Salesiana, interessando Pastori e fedeli delle Chiese locali in cui viviamo e con cui collaboriamo, e presentando la figura di Don Bosco come quella di un santo moderno suscitato da Dio quale provvidenziale «Amico della gioventù», specialmente quella bisognosa e popolare. È una prospettiva esaltante!



Un tipo di riflessione da suscitare


Mi sembra opportuno suggerire qui ai vari animatori delle Ispettorie, come orientamento pratico, alcuni temi di riflessione. Si tratta solo di un’indicazione, certamente non esaustiva, per analizzare alcuni aspetti che dovranno concorrere a creare il clima delle celebrazioni. Alcuni temi sono più consoni alla riflessione dei confratelli, altri sono estensibili alla Famiglia Salesiana, altri sono adatti per i giovani, altri per tutti insieme. È da auspicare che questi temi servano a stimolare la fantasia e a formularne altri più adeguati al proprio ambiente, nella stessa linea, in vista del grande obiettivo da raggiungere.

Ecco dunque, a modo di esempio, un elenco di argomenti:

— La Relazione finale del Sinodo straordinario 1985.

— I segni dei tempi e la profezia del Vaticano II.

— La novità e l’importanza vitale della liturgia della Nuova Alleanza.

— Centralità dell’Eucaristia e della Penitenza nella nostra pastorale.

— La lettera di Giovanni Paolo II ai giovani - 1985.

— Le attuali sfide per una spiritualità giovanile.

— I nuovi problemi dell’evangelizzazione delle culture.

— Urgenza di saper inculturare il «Sistema Preventivo».

— L’Oratorio, nostro criterio permanente di pastorale giovanile.

— Educazione cristiana e società civile.

— Il senso di Chiesa testimoniato da Don Bosco.

— L’apporto di Don Bosco agli impegni sociali.

— Professione salesiana e consacrazione apostolica. Pratica dei consigli evangelici e indispensabilità dell’ascesi.

— L’attualità di Don Bosco come modello di santità.

Questi temi, ed altri possibili, dovrebbero venir sviluppati come risposta alle interpellanze delle varie situazioni, attingendo costantemente alle abbondanti luci del Concilio.

Lo svolgimento di essi servirà a far assimilare i grandi orientamenti del Magistero e le direttive della Congregazione per vivere con attualità la nostra Professione religiosa e per testimoniare ai giovani e al popolo d’oggi il peculiare messaggio della Scuola evangelica di Don Bosco.



Propositi di santità salesiana


Ultimamente in Italia qualche scrittore ha criticato come culturalmente superata la santità di Don Bosco; uno ha parlato persino della necessità di una «antiagiografia» per ristabilire una visione più autentica del messaggio del Vangelo di Cristo! C’è chi parla e scrive della santità ignorando lo spirito con cui l’ha vissuta Don Bosco, oppure la confonde con determinati atteggiamenti culturali dell’epoca. C’è, poi, chi non conosce o non attribuisce seria attenzione alla Scuola spirituale sorta intorno al nostro Padre e Fondatore.

Penso che anche le critiche ci possono risultare utili, innanzitutto, per evitare una certa mitologia agiografica e per ripensare in profondità l’essenza stessa della santità, da non ridurre mai a un semplice moralismo e da distinguere accuratamente dal rivestimento culturale del tempo in cui è vissuta.

Ci stimolano inoltre a precisare con più chiarezza la pluriformità inerente storicamente ai modi concreti di testimoniare il messaggio evangelico, individuando gli elementi permanenti dell’indole propria della via evangelica di Don Bosco. Noi, con l’aiuto dello Spirito del Signore e protetti maternamente dall’Ausiliatrice, abbiamo potuto dedicarci con serietà, durante quasi venti anni di ricerca, a questo delicato lavoro. Ne sono una prova convincente gli ultimi tre Capitoli generali e il testo rinnovato delle Costituzioni.

In una società in continuo processo di secolarizzazione, dove la santità sembra venir emarginata come un residuo di epoche passate perché non possederebbe più valori da apportare all’uomo di una cultura scientifica e tecnica, l’appuntamento delle celebrazioni dell’88 ci invita a un impegno di fondo: rinnovare per i tempi nuovi la Professione salesiana!

Tale impegno comporta un triplice proposito:

• riconsiderare con chiarezza l’essenza evangelica della santità;

• individuare i valori permanenti dell’indole propria dello spirito di Don Bosco;

• affrontare metodologicamente la sfida di una costante inculturazione del carisma salesiano.

Questo appello a rendere attuale la santità di Don Bosco ci viene dalla Chiesa stessa, dai suoi Pastori, dal Vaticano II, dalle nuove generazioni di innumerevoli giovani che vedono nella nostra Professione religiosa «il dono più prezioso che possiamo offrire» alla loro speranza.8

Cari confratelli, la Relazione finale del Sinodo straordinario dei Vescovi afferma esplicitamente che: «I santi e le sante sempre sono stati fonte e origine di rinnovamento nelle più difficili circostanze in tutta la storia della Chiesa. Oggi abbiamo grandissimo bisogno di santi, che dobbiamo implorare da Dio con assiduità. Gli Istituti di vita consacrata mediante la professione dei consigli evangelici devono essere consapevoli della loro speciale missione nella Chiesa odierna e noi (i Vescovi) dobbiamo incoraggiarli nella loro missione».9

Ecco un appello autorevole ad approfondire il vero significato della nostra Professione e a testimoniarlo in ciò che ha di più intimo e di più fecondo, la santità apostolica. Le Costituzioni ci ricordano che «la fedeltà all’impegno preso con la Professione religiosa è una risposta sempre rinnovata alla speciale alleanza che il Signore ha sancito con noi. La nostra perseveranza si appoggia totalmente sulla fedeltà di Dio, che ci ha amati per primo, ed è alimentata dalla grazia della sua consacrazione. Essa viene pure sostenuta dall’amore ai giovani ai quali siamo mandati, e si esprime nella gratitudine al Signore per i doni che la vita salesiana ci offre».10

Don Bosco, nella ricorrenza centenaria della sua morte, interceda perché sappiamo tutti rinnovare e testimoniare la nostra Professione religiosa secondo il progetto di santità apostolica descritto nelle Costituzioni salesiane!

Un fraterno saluto con l’augurio di una intensa preparazione spirituale per l’88. Prego per voi tutti.

Con gratitudine e affetto nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 30


1 LG 41

2 ACS n. 303

3 ACS n. 310

4 CG22, Documenti, n. 104

5 cf. Cost 40

6 cf. MR 11

7 cf. Elenco SDB 1986, 2º vol., pag. 194-196

8 cf. Cost 25

9 Relazione finale II, A, 4

10 Cost 195