301-350|it|317 La promozione del laico nella Famiglia Salesiana

28.


LA PROMOZIONE DEL LAICO

NELLA FAMIGLIA SALESIANA



Un invito a rinnovare la nostra carta d’identità. - Chi sono i Laici in missione con noi. - La nuova mentalità ecclesiale. - Il Vaticano II ci guida in un «pellegrinaggio di scoperta». - Preziosa novità di comunione. - Quali obiettivi ci proponiamo. - Dar vita a un «movimento spirituale».

Lettera pubblicata in ACG n. 317



Roma, 24 febbraio 1986


Cari Confratelli,


il tema proposto dalla Strenna-86 merita un’attenta considerazione in Congregazione.

La vocazione e missione del Laico oggi è uno dei grandi fronti del rinnovamento aperti dal Vaticano II. L’azione conciliare di approfondimento e di rilancio si rifrange anche sulla nostra Famiglia, la quale percepisce, nella promozione di questa vocazione, un’arricchente esperienza di ritorno alle sue prime origini. Don Bosco, infatti, ha coinvolto sempre tanti Laici nella sua missione giovanile e popolare.



Un invito a rinnovare la nostra carta d’identità


Nel proporre questo tema non siamo attratti da un affanno di sentirci alla moda (che potrebbe essere un atteggiamento transitorio e caduco), ma siamo mossi dalla docilità allo Spirito del Signore e dalla fedeltà al progetto apostolico del Fondatore.

Il non schierarci su questo fronte significherebbe, in definitiva, disinteressarsi della nostra identità vocazionale. Dopo più di un secolo di vita abbiamo bisogno di ringiovanire le fattezze del volto del salesiano perchè appaia più chiara e attraente la sua autentica fisionomia.

A poco a poco, infatti, si era venuta registrando in questo settore una certa involuzione che ci aveva fatti divenire più gestori autarchici delle opere esistenti che animatori di un movimento apostolico della Chiesa in cammino; più precettori degli alunni che missionari dei giovani.

Per fortuna il Concilio ha portato una buona quantità d’aria fresca, che è arrivata anche ai polmoni dei nostri Capitoli Generali, soprattutto di quello Speciale. Oggi abbiamo a disposizione una dottrina ricca e suggestiva sul Laico con orientamenti concreti e stimolanti. A un certo livello e in diverse Ispettorie ci si è impegnati.

Qualcosa si muove. Lo abbiamo visto, per esempio, alcuni mesi fa nel 2° Congresso mondiale dei Cooperatori. Lo si vede inoltre da tempo nel lavoro con gli Exallievi; si guarda con attenzione rinnovata anche ai «Collaboratori laici» e agli «Amici di Don Bosco». Ma in alcune Ispettorie si stenta a decollare; si cammina solo lentamente.

Che cos’è che manca? Una mentalità conciliare rinnovata? Un senso di Chiesa più comunionale? Una sensibilità sociale più oggettiva? Una visione più coraggiosa e coinvolgente dei nostri impegni giovanili e popolari? Una carica spirituale con più forza di spinta?

Una cosa è certa: se Don Bosco fosse vivo oggi avendo a sua disposizione i grandi orizzonti del Vaticano II, si lancerebbe a coinvolgere tanti Laici nel suo progetto operativo. E perché non lo dovremmo fare noi, suoi figli, che ci siamo proposti di dimostrare, per le prossime celebrazioni centenarie della sua morte, che il carisma dell’Oratorio è pienamente vivo e attuale?



Chi sono i Laici in missione con noi


Vogliamo promuovere la vocazione del Laico coinvolto con noi nel servizio dei giovani, riferendoci al genuino spirito del Concilio.

Ma ecco che, nel momento di cambiare registro, ossia quando si passa dal parlare del Laico secondo il Concilio alla considerazione di chi sono i laici con i quali trattiamo e lavoriamo, si percepisce stranamente qualche difficoltà per l’elasticità dei significati attribuiti a questo termine. Ci si trova come collocati su livelli differenti, che offuscano il vero concetto ecclesiale di Laico e abbassano la nostra considerazione a un genericismo, per cui non è quasi lecito parlare esplicitamente di «vocazione» e di «missione».

La colpa è legata all’uso corrente e assai svariato del termine «laico»; tale uso è così radicato ormai nel linguaggio comune che noi stessi, se non facciamo attenzione, ci muoviamo senza accorgerci su piani ambigui.

Facciamo qualche esempio dell’uso di questo termine (almeno nell’ambiente italiano). Noi parliamo di «collaboratori laici», ma che significato diamo a tale termine? Sui giornali si parla frequentemente dei «laici» in politica, ma qual è il suo reale significato? Oppure, perché si accetta l’espressione «Stato laico», e invece si diffida dell’espressione «morale laica»? C’è una vera differenza di significato nei due casi.

A noi interessa il discorso relativo alla Famiglia Salesiana: chi sono in essa i «Laici», quelli a cui ci riferiamo appunto nella Strenna? La risposta deve essere precisa perché è legata intimamente con la nostra fedeltà al Concilio e a Don Bosco. La mancanza di accurata identificazione porta a una attività confusa, non-incisiva, mancante di concretezza vocazionale e, quindi, salesianamente superficiale.

Alla domanda, dunque, dobbiamo rispondere, con cosciente determinazione, che per «Laici» qui noi intendiamo quei cristiani membri della Chiesa cattolica che, stando nel mondo secondo il loro tipico carattere secolare, sono disposti a vivere il Battesimo in missione con noi. Ossia, come è ovvio, intendiamo applicare e far fruttificare nella nostra Famiglia la concreta descrizione che del Laico ha fatto il Vaticano II.

Considero vitale questa precisazione; senza di essa non faremo mai decollare nella Chiesa un vero movimento spirituale di persone.1

Non si tratta di escludere dalla nostra attenzione e da un adeguato coinvolgimento (di differente livello) tanti altri collaboratori, exallievi e amici. Sappiamo che Don Bosco ha cercato dei collaboratori dappertutto, purché avessero un po’ di buona volontà e facessero del bene («benefattori»), al di là anche delle confessioni religiose. È questa una assai valida eredità che deve sempre essere conservata in Congregazione e che, oggi, viene anche collaudata dalle aperture conciliari all’ecumenismo, al dialogo con le religioni non cristiane e persino con i non-credenti. La Strenna di quest’anno, però, non si riferisce a tale aspetto, che in non poche nostre comunità funziona già abbastanza bene.

Il compito che ci proponiamo è di debellare quella pericolosa superficialità di cui ho parlato nella Relazione sullo stato della Congregazione al Capitolo Generale 22; essa accompagna e caratterizza quel tipo di faccendone generico che può sembrare amico di molti, ma che non è padre spirituale di nessuno.

Nella nostra Famiglia i Laici nel senso conciliare li troviamo o li coinvolgiamo, di fatto, tra i Cooperatori, tra quegli Exallievi che, secondo il CG21, «hanno fatto la scelta evangelizzatrice»,2 e tra quei «collaboratori» esterni ed «amici» che vogliono testimoniare la loro fede cattolica.

L’impegno concreto a cui siamo chiamati è di dedicarci di più e meglio a promuovere soprattutto l’Associazione dei Cooperatori nei suoi membri Laici e di intensificare la cura di coloro che, senza essere ordinati o consacrati, vogliono essere cattolici attivi tra gli Exallievi (nelle loro Associazioni locali e nella Confederazione mondiale), tra i Collaboratori e tra gli Amici.

Questi sono i «Laici» della nostra Famiglia a cui ci riferiamo. Dobbiamo muoverci insieme alle FMA e agli altri Gruppi di consacrati nella Famiglia per far sentire loro la gioia di vivere una bella vocazione e di partecipare operosamente con noi alla missione della Chiesa nel mondo, secondo lo spirito di Don Bosco.



La nuova mentalità ecclesiale


L’uomo maturo dovrebbe essere un saggio, aperto ad accogliere la novità dello Spirito. In questi anni, però, abbiamo sperimentato, in alcune persone, che dopo una certa età è facile diventare scettici, pensare che non c’è nulla di nuovo, sedersi, sentirsi arrivati e magari, a poco a poco, imborghesirsi. È brutto incontrarsi con gente matura in età, ma poco saggia nello spirito.

Vi dicevo, nella circolare precedente, che si è affermato non esserci nel Concilio definizioni o condanne inedite, e ciononostante emergere una straordinaria novità: «nihil novi et omnia nova».

Per quanto riguarda il Laico nella Chiesa c’è una grossa novità da percepire: chi non se n’è accorto, corre il rischio di non essere docile allo Spirito, e quindi di non saper apportare forze valide al rinnovamento.

La vocazione del Laico, presentata dal Vaticano II, ha delle concrete esigenze che esigono per tutti noi simultaneamente due impegni complementari: quello di conoscere bene la dottrina del Concilio al riguardo; e quello di rivedere con serietà critica il pensiero di Don Bosco e le sue iniziative. Noi non possiarno separare mai questi due aspetti; se lo facessimo, cadremmo o in arbitrarietà effimere o in fissismi statici.

Ora, riguardo al pensiero e all’operare di Don Bosco, possiamo dire d’avere in tutte le nostre case (così almeno lo spero) una sufficiente bibliografia e una viva tradizione che possono facilitare una lettura storicamente seria della presenza del Laico nella nostra missione. Siamo tutti più che convinti che il nostro Fondatore si preoccupò sempre di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo, da mamma Margherita ai datori di lavoro, alla gente buona del popolo, ai teologi, ai nobili e persino ai politici dell’epoca. Don Bosco pensò, progettò, si consultò, e infine istituì, come espressione organizzata, la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani. «I Cooperatori — affermava con convinzione e speranza — saranno quelli che promuoveranno lo spirito cattolico».3

Invece, per quanto si riferisce alla conoscenza del Vaticano II tra noi, sussiste qualche perplessità. Come accennavo nella precedente circolare, è opinione sofferta dei Pastori della Chiesa (e io penso che tale opinione si applichi purtroppo anche a non pochi religiosi) che il Vaticano II non sia stato sufficientemente conosciuto e meno ancora assimilato e tradotto in pratica; anzi, che si siano seguite più facilmente interpretazioni superficiali, riduttive, settoriali e persino distorte.4 Di qui l’urgenza per tutti di rifarsi ai testi, conciliari programmandone lo studio organico.5

È quindi necessario, con un particolare impegno degli Ispettori e dei Direttori, organizzare delle iniziative concrete al riguardo. Ogni Ispettoria ha il dovere di farlo. Ogni Casa, poi, deve cercare il modo pratico di approfondire sistematicarnente la dottrina del Concilio. Dopo l’appello del Sinodo straordinario tale urgente compito deve entrare nella nostra programmazione di vita. Da parte mia, ho pensato fosse opportuno farlo persino nella recente predicazione degli Esercizi Spirituali al Santo Padre e alla Curia romana.6

Se il Concilio è un evento profetico, «un dono di Dio alla Chiesa e al mondo», «la grande grazia di questo secolo», «una nuova Pentecoste», «la magna charta per il futuro»7 e «il grande Catechismo dei tempi moderni»,8 la nostra mentalità pastorale dovrà adeguarsi costantemente e sempre meglio ai suoi grandi contenuti orientatori. Uno di questi è precisamente la vocazione e la missione del Laico nella Chiesa.



Il Vaticano II ci guida in un «pellegrinaggio di scoperta»


Nel Messaggio-85 per la pace Giovanni Paolo Il ha affermato che il divenire dell’uomo lungo la storia è come «un pellegrinaggio di scoperta».9

Certamente il Vaticano II costituisce per i credenti un momento assai ricco e fecondo di scoperte.

Una di esse è la visione positiva del mondo come autentico valore religioso, nonostante le rovine del peccato: il Padre lo ha creato per l’uomo e lo ama tanto da inviare ad esso il suo Unigenito.

Tale visione porta una grande novità nella maniera di concepire globalmente la Chiesa nelle sue relazioni con il mondo. Essa vive al suo servizio: infatti, tutto il Popolo di Dio è inserito nella storia umana come Sacramento di salvezza.

In questo contesto viene collocata la dottrina sulla vocazione e missione del Laico. Il Concilio ha dato una risposta formidabile al laicismo imperante; gli ha tolto la bandiera della laicità, che sventolava come una conquista postcristiana; il suo era ed è solo «laicismo» che rappresenta la posizione ormai di retrovia di un illuminismo riduttivo della realtà.

Chi porta la bandiera della riscossa per la vera laicità del mondo è, nel Popolo di Dio, il Laico. Infatti la riscoperta del mondo come creazione del Padre, espressione dell’amore onnipotente; del mondo come storia dell’uomo, dove si è incarnato Cristo presenza dell’amore liberatore; del mondo in cammino di futuro verso un punto omega, come progetto in trasformazione per opera dello Spirito portatore di amore santificante, fa emergere affascinante e indissolubile il binomio «Dio e mondo».

Noi non conosciamo un Dio senza mondo, ed è impossibile un mondo senza Dio.

La laicità non è pensare il mondo come se Dio non esistesse: questo è laicismo; ma pensarlo appunto come l’ha creato Lui, con le sue leggi, i suoi valori autonomi, la consistenza dei rispettivi fini, la regalità e il protagonismo dell’uomo, il suo stupendo compito nella storia, la dignità personale, la solidarietà sociale, il lavoro, la scienza, la tecnica; il tutto, armonizzato nel dialogo d’amore con cui l’uomo dovrebbe ricambiare l’iniziativa di Dio.10

Quanto più si conosce il mondo e la storia dell’uomo, tanto più si capisce che Dio non può essere che Amore. Il laicista che accetta l’esistenza di Dio, ma che poi lo pensa come se non si interessasse del mondo, lo riduce nel migliore dei casi a un motore immobile senza cuore: una caricatura blasfema!

Una simile riscoperta del mondo ci fa immaginare la Chiesa non più come una piramide dalla punta stretta (la gerarchia) e dalla base ampia (il laicato), ma come un immenso circolo in espansione nella storia, che riceve dal centro energia e stimoli per una continua avanzata. Ed è appunto il laico che occupa la linea più esterna e in espansione come frontiera di progresso, di liberazione e di trasformazione del mondo. Per questo ha bisogno di Cristo e del suo Spirito (il centro!), di luce e grazia e dei valori delle Beatitudini che gli vengono dal servizio del Ministero e dalla testimonianza della vita consacrata (vicino al centro); ha bisogno di comunione con tutti per sentirsi membro vivo del Corpo nella storia (Chiesa di tutti, una e santa), ma è situato in frontiera, da protagonista. Mentre riceve, dona; e i «ministri» e i «consacrati», mentre lo aiutano, s’arricchiscono con gli apporti della sua vocazione.

Don Bosco aveva intuito questi valori del mondo e si sentiva chiamato a lavorare per migliorare la società umana.11 Era realista e aveva un forte senso della storia. Aveva come punto strategico su cui far leva la convinzione che la religione (ossia, la «fede cristiana») è valore indispensabile da inserire al centro della cultura (e nel cuore di ogni giovane) se si vuol rinnovare una società su misura della dignità della persona. La sua mentalità pratica e operativa scrutava le complesse vicende del tempo e, alla luce della storia e della fede, arrivava alla conclusione (così chiara oggi nella Gaudium et Spes) che Dio ama davvero il mondo e che invia ad esso tutti i cristiani per salvarlo; in particolare vi si sentiva inviato lui stesso con una missione giovanile e popolare. Di qui il suo ricco umanesimo, il suo apprezzamento per i progressi della scienza e della tecnica, la sua sagacia per la metodologia e l’organizzazione, di qui la preoccupazione di dialogo con le autorità civili, di qui l’affanno di muovere tante persone di buona volontà ad essere attive e corresponsabili e il suo appello ai cattolici ad impegnarsi più uniti nel fare tutto il bene possibile.

Senza dubbio è stato un santo Fondatore suscitato dal Signore per prevenire profeticamente i tempi.

Il Concilio ci invita oggi alla riscoperta di questa visione ecclesiale per dare un volto più chiaro e impegnato alla dimensione salesiana di servizio alla gioventù nel mondo.



Preziosa novità di comunione


C’è un importante aspetto da considerare nella novità portata dal Concilio, che tocca da vicino la presenza dei Laici nella nostra Famiglia.

Il fatto che ci siano dei Laici in missione con noi, e di noi con loro, non è semplicemente una somma quantitativa di forze e tanto meno una forzata supplenza per compensare le nostre perdite e le assenze.

Si tratta di una comunione mutuamente arricchente tra vocazioni distinte ma complementari nella Chiesa. Si interscambiano dei valori che migliorano la qualità di ognuna delle vocazioni irrobustendone l’identità, migliorandone l’incisività e arricchendole di attualità.

Evidentemente è necessario saper intessere tra Laici e Consacrati una vera comunione ecclesiale di vocazioni complementari, fondata su Cristo, mossa dal suo Spirito, alimentata da convinzioni di fede, da mutua testimonianza, da una concreta e operativa opzione di impegni; ossia, si tratta di una comunione in profondità nella medesima spiritualità apostolica.

Ed ecco che ci troviamo, anche qui, nuovamente, di fronte all’urgenza di sradicare la superficialità! La comunione parte sostanzialmente da due poli distinti ma correlati e in mutua tensione.

Il Laico realizza la sua vocazione ecclesiale muovendosi dal di dentro dei valori secolari, dalla base del mondo verso il vertice dell’atteggiamento religioso. Il salesiano realizza la sua vocazione muovendosi dal di dentro della consacrazione verso il mondo, dal vertice religioso verso i valori umani. Se teniamo presente la espressiva affermazione della Gaudium et spes che bisogna «poter esplicare tutte le attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio»,12 capiremo la differenza di movimento delle due vocazioni e anche la loro mutua complementarità.

Pensiamo, ad esempio, al compito differente e complementare che hanno i genitori (Laici) verso i loro figli e, d’altra parte, gli educatori (Salesiani) di questi stessi figli.

Don Bosco ce lo ricorda in una sua paterna lettera diretta ai confratelli: «Anzitutto, se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù».13 (Dopo il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia avevo indirizzato a voi una circolare mettendo in rilievo precisamente la necessità di vincolare di più la pastorale giovanile con la pastorale familiare: cf. ACS 299).

Il Laico genitore si dedica cristianamente all’educazione dei giovani partendo, però, dal di dentro delle stesse esigenze umane della generazione.

Il Salesiano educatore si dedica, invece, all’educazione dei giovani partendo dalla maternità soprannaturale della Chiesa.

I due movimenti convergono, s’incontrano, entrano in comunione e si arricchiscono mutuamente. Quanto ha da imparare un Salesiano dal Laico! e, viceversa, quanto ha da imparare anche un Laico dal Salesiano! L’uno e l’altro, se agisse isolato, solo e per conto suo, si vedrebbe assai impoverito nella sua propria vocazione.14

Come questo, si potrebbero fare tanti altri esempi in cui il Laico, partendo cristianamente dal di dentro dei valori secolari, arricchisce il Salesiano; e viceversa il Salesiano, partendo dal di dentro dei valori religiosi, arricchisce il Laico con il quale s’incontra nel servizio ai giovani.

Tra i Laici in missione con noi, e tra noi in missione con loro, c’è una finalità comune, che è l’apostolato giovanile e popolare. Le modalità d’impegno per tale finalità sono, però, differenti; come dice il Concilio: «c’è nella Chiesa diversità di ministero, ma unità di missione».15

Tutti e due attingono insieme allo stesso spirito evangelico di Don Bosco, ma lo fanno con tonalità e peculiarità differenti e correlate: che si arricchiscono mutuamente, come nel classico interscambio tra celibato per il Regno e matrimonio nel Cristo.16

Don Bosco ha vissuto e ci ha insegnato esperienzialmente una simile preziosa comunione. Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i Laici, e loro con noi.

Come potremmo, dopo un Concilio che ha approfondito e lanciato questo immenso valore ecclesiale, non impegnarci a crescere, a migliorare la qualità della comunione e ad aumentarne il numero dei partecipanti?

Però bisogna che, appunto, insieme parliamo di Cristo, viviamo di Cristo e testimoniamo Cristo! Si tratta di una comune vocazione cristiana, anche se differenziata, di autentici discepoli del Signore.



Quali obiettivi ci proponiamo?


Per promuovere nelle nostre comunità questa preziosa comunione bisogna che ci proponiamo alcuni obiettivi concreti da raggiungere cercando e usando i mezzi che ogni Casa ha a sua disposizione o che l’Ispettoria può offrire.

• Il primo traguardo da raggiungere, che servirà poi ad illuminare tutto il da farsi, è la conoscenza più organica del Vaticano II con uno speciale approfondimento della sua dottrina sulla vocazione e missione del Laico. A questo ho già accennato sopra e ve ne ho parlato a lungo anche nella circolare anteriore.17 Ricordo di nuovo agli Ispettori e ai Direttori la loro responsabilità al riguardo. Risulterà anche opportuno fare alcune riunioni di studio, ben programmate, insieme con gli stessi Laici.

• Come frutto di tale approfondimento, bisognerà poi far emergere nei Laici la coscienza di sentirsi veri cattolici impegnati, testimoni del loro Battesimo, consapevoli della loro vocazione secolare, coraggiosi membri di una Chiesa-Sacramento di salvezza nella famiglia, nel quartiere, nella società, ovunque.

Don Bosco cercò di vincolare operativamente e in profondità spirituale con i Salesiani «i Cattolici che lo desideravano»; «noi cristiani — diceva — dobbiamo unirci in questi difficili tempi, per promuovere lo spirito di preghiera e di carità con tutti i mezzi che la Religione somministra».18

Il senso d’appartenenza responsabile alla Chiesa cattolica dovrà divenire il nucleo motore di questa attività apostolica.

• Un terzo obiettivo da assicurare è quello di centrare l’interesse apostolico dei Laici che collaborano con noi verso la promozione integrale della gioventù e verso le esigenze di evangelizzazione dei ceti popolari. La missione comune dà a tutta la Famiglia Salesiana il suo tono concreto e ne specifica l’identità nel Popolo di Dio.

Don Bosco coinvolgeva i Laici appunto per «rimuovere o almeno mitigare quei mali che mettono a repentaglio il buon costume della crescente gioventù, nelle cui mani stanno i destini della civile Società».19

L’interesse apostolico dei Laici per la gioventù e per gli ambienti popolari può essere «diretto e immediato» (genitori, educatori, docenti, catechisti, comunicatori sociali, ecc.), oppure «indiretto e mediato» in quanto dediti a compiti culturali, sociali, politici, ecc., che abbiano una particolare proiezione giovanile e popolare. Non si tratta di catalogare azioni e funzioni, ma di aprire orizzonti a una volontà di apostolato.

• Circa, poi, il tipo pratico di apostolato, c’è da intensificare nei Laici la generosità e l’inventiva, tenendo presente, però, vari aspetti che aprono un gran ventaglio di possibilità.

Innanzitutto bisogna insistere sulla testimonianza quotidiana che i Laici devono saper proclamare con il loro stato di vita e nella loro professione o lavoro: è, questo, l’aspetto cristiano portante del loro specifico carattere secolare.

Inoltre, è particolarmente significativo e arricchente convincere i Laici a riservare uno spazio apostolico nel loro tempo libero. Molto o poco che sia, è certamente questo un segno privilegiato d’appartenenza (responsabile e impegnata) alla Chiesa secondo la missione propria della Famiglia Salesiana.

Il decreto conciliare Apostolicam actuositatem presenta tre «aree» di prospettive apostoliche: una riguardante impegni specifici nell’ambito dell’evangelizzazione, un’altra (la più caratteristica) rivolta all’animazione cristiana nell’ordine temporale, e una terza concernente iniziative di azione assistenziale e caritativa.20 Non, quindi, una prospettiva ridotta, chiusa e unilaterale, ma un’ampia possibilità di azione.

Il decreto presenta anche varie «forme» possibili di apostolato. Le due fondamentali sono: la forma «individuale», che in certi Paesi, e più d’una volta, è l’unica concretamente possibile; e quella «associativa», particolarmente raccomandata dal Concilio, perché «corrisponde felicemente alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si presenta come segno della comunione e dell’unità della Chiesa in Cristo».21

Nella nostra Famiglia si possono trovare diverse possibilità per impegni apostolici di «forma associativa».

Esiste però un’Associazione privilegiata, quella dei Cooperatori Salesiani, che dovrebbe essere considerata, dal punto di vista della vocazione cristiana del Laico nella nostra Famiglia, come il centro di riferimento di tutte, perché non è alternativa alle altre, bensì pensata per divenirne animatrice. Infatti non è (quella dei Cooperatori) un’associazione che organizzi, in quanto tale, opere o impegni determinati; essa si sente corresponsabile con noi nel curare, in tutti i suoi membri e nella Famiglia, la vitalità del progetto di Don Bosco, apportando le ricchezze della propria condizione secolare. Nel fare questo rimane aperta alla possibilità di offrire animatori per l’identità di ogni altro gruppo o associazione, di cui s’interessa di conoscerne e apprezzarne l’indole propria e di rispettarne l’autonomia.

Per questo carattere vocazionale l’Associazione dei Cooperatori ha vincoli particolari con la nostra Congregazione; infatti è chiamata ad assicurare, in comunione speciale con noi, l’identità e la vitalità del patrimonio spirituale e apostolico di Don Bosco nel mondo.

Il Fondatore non l’ha concepita come un’Associazione indipendente e di soli Laici, bensì come una parte integrante o un gruppo aggregato alla stessa Congregazione. In gran maggioranza i suoi membri sono Laici, e l’Associazione ne promuove il carattere secolare; però comprende pure dei sacerdoti (anche dei Vescovi) e dei diaconi diocesani. Anch’essa gode di una sua peculiare autonomia, da armonizzare però efficacemente con la grave corresponsabilità del curare (insieme con noi) l’identità e l’efficacia della vocazione salesiana.

Se tutti gli autentici Laici che sono in missione con noi (Exallievi, Collaboratori, Amici) entrassero a formar parte di questa speciale Associazione, si irrobustirebbe la loro personale identità salesiana e inoltre essi apporterebbero alle altre associazioni (di cui eventualmente fossero membri) una maggiore forza d’impegno, insieme a una migliore comunione di Famiglia. Don Bosco lo desiderava.

• Infine, un altro importante obiettivo da raggiungere è quello di far conoscere e amare il patrimonio evangelico di Don Bosco con gli specifici valori del suo carisma e della sua criteriologia di azione. Quindi occorre far crescere i Laici nello spirito salesiano e nel metodo apostolico lasciatici in eredità dal nostro Fondatore; in tale impegno formativo bisognerà armonizzare sempre il tutto con la loro vocazione secolare.22

Per ottenere tali obiettivi, penso sia ovvio per tutti stabilire delle priorità per interventi qualificanti ed efficaci.

Ne ricordo alcune, soprattutto agli Ispettori:

— Assicurare il numero, la qualità, l’aggiornamento dei confratelli incaricati, lasciando loro il tempo necessario di dedicazione.

— Promuovere costantemente la convocazione, l’amicizia e la formazione dei Laici in vista di un coinvolgimento apostolico: non si trascurino, anzi si convochino con speciale cura, coloro che tra essi sono giovani.23

— Aiutare i singoli a discernere impegni operativi concreti secondo le possibilità personali, in forma individuale o associativa, di iniziative educative, pastorali, assistenziali e di bene comune.

— Organizzare iniziative ispettoriali che creino un clima di rinnovamento e di rilancio in tutte le comunità.



Dar vita a un vero «movimento spirituale»


Il Concilio Vaticano II è venuto a portare un vasto rinnovamento spirituale. Come diceva Paolo VI: «Noi stiamo vivendo nella Chiesa un momento privilegiato dello Spirito. Si cerca dappertutto di conoscerlo meglio, qual è rivelato dalle Sacre Scritture. Si è felici di porsi sotto la sua mozione. Ci si raccoglie attorno a Lui e ci si vuol lasciare guidare da Lui».24

Ebbene, se lo Spirito del Signore dona oggi alla Chiesa un momento privilegiato di rinascita spirituale, sarebbe realmente strano che noi, portatori precisamente di un suo carisma, rimanessimo passivi o ci contentassimo del piccolo e semplice sforzo di ripetitori: non sarebbe movimento, ma imborghesimento e staticità.

Oggi la vita della Chiesa ci misura — dicevo nel commento alla Strenna —: o lanciamo un caratteristico «movimento spirituale» a cui concorra tutta la Famiglia Salesiana, e saremo nelle trincee del futuro portando il Concilio verso il terzo millennio, oppure ci rassegneremo a stare nelle retrovie ripiegandoci su nostalgie, correndo il rischio di rinchiuderci in un museo di rimembranze.

Ci vuole uno scossone: e l’88 ce ne offre una magnifica opportunità.

Una buona maggioranza di confratelli in Congregazione respira l’aria fresca di questo rinnovamento, sorretta e alimentata — ormai da più di un anno — dalle Costituzioni rinnovate.

Dunque: ci sono le condizioni, anzi in varie Ispettorie si sono già fatti dei passi assai positivi, per far crescere ed espandere un «movimento spirituale» caratteristicamente apostolico, che coinvolga e catalizzi tanti Laici insieme a noi.

A tal fine dobbiamo saper ridonare alla nostra vita consacrata il suo specifico volto di «carisma». Esso, al dire del documento Mutuae relationes, comporta una «carica di genuina novità nella vita spirituale della Chiesa e di particolare operosa intraprendenza». Tale caratteristica esige «una continua verifica della fedeltà verso il Signore, della docilità verso il suo Spirito, dell’attenzione intelligente alle circostanze e della visione acutamente rivolta verso i segni dei tempi, della volontà d’inserimento nella Chiesa, della coscienza di subordinazione alla sacra Gerarchia, dell’ardimento nelle iniziative, della costanza nel donarsi, dell’umiltà nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto tra carisma genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore comporta una costante storica di connessione tra carisma e croce».25

Queste espressioni ci offrono un bel metro di confronto e di revisione.

Il carisma di Don Bosco, fin dagli inizi, ha suscitato nel mondo una concreta, adeguata e attraente «spiritualità giovanile»: San Domenico Savio ne è l’espressione collaudata. Oggi, dopo il Concilio, è necessario che i membri della Famiglia Salesiana rinnovino nel proprio Gruppo e negli incontri mutui il più genuino spirito del Fondatore perché mostri l’esistenza in tutti di un dinamismo di santità, di un «movimento di persone», che ispiri, guidi e sostenga una autentica spiritualità per la gioventù popolare.

Sappiamo che Maria, l’Ausiliatrice Madre della Chiesa, è intervenuta alle origini di tanti carismi a favore del Popolo di Dio; ne conosciamo la materna iniziativa e cura particolarmente per quello della nostra Famiglia. Chiediamole insistentemente, anche in vista dei nostri propositi per l’88, che ci ottenga le luci, le energie e le doti pratiche per far sì che la nostra Famiglia sia davvero nella Chiesa «un vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù».26

E aiuti specialmente noi Salesiani che, in questo movimento di persone, «per volontà del Fondatore, abbiamo particolari responsabilità: mantenere l’unità dello spirito e stimolare il dialogo e la collaborazione fraterna per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità apostolica».27

Un saluto a tutti con i migliori auguri ad ogni Comunità di essere centro vivace e dinamico di «spiritualità giovanile»!

Con affetto nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 28


1 cf. Cost 5

2 cf. CG21 69

3 cf. MB XVIII, 161

4 cf. ACG 316, pag. 9-12

5 cf. Sinodo straordinario, Rel. fin. I, 5-6

6 cf. ACG 317, pag. 34-35

7 cf. Sinodo straordinario

8 CT 2

9 cf. Messaggio, 10

10 cf. GS 43

11 cf. Cost 33

12 cf. GS 43

13 Epistolario, Torino 1969, IV, 201-205

14 cf. Cost 17

15 AA 2

16 cf. ACS 299, pag. 25-27

17 cf. ACG n. 316

18 cf. Regolamento Cooperatori

19 ib.

20 cf. AA 5-8

21 cf. AA 15-19

22 Cost 47

23 cf. AA 12

24 cf. EN 75

25 MR 12

26 Cost 5

27 ib.