401-450|it|418 Lavoro e temperanza

ATTI

del Consiglio generale della Società salesiana di San Giovanni Bosco

ORGANO UFFICIALE DI ANIMAZIONE E DI COMUNICAZIONE PER LA CONGREGAZIONE SALESIANA

N. 418 anno LCV maggio 2014

Testimoni

della radicalità evangelica”

Lavoro e temperanza

DOCUMENTI DEL CAPITOLO GENERALE XXVII DELLA SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES

Roma, 22 febbraio - 12 aprile 2014

Editrice S.D.B.

Edizione extra commerciale

Direzione Generale Opere Don Bosco

Via della Pisana, 1111 Casella Postale 18333 00163 Roma

Tipolitografia: Istituto Salesiano Pio XI - Via Umbertide, 11 00181 Roma - Tel. 06.78.27.819 - E-mail: tipolito@pcn.net

Finito di stampare: giugno 2014

INDICE DEGLI ATTI DEL CG27

PRESENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .9

TESTIMONI DELLA RADICALITÀ EVANGELICA”

Lavoro e temperanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .15

INTRODUZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .17

  1. ASCOLTO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .25

– Come Don Bosco, in dialogo con il Signore . . . . . . . . . . . . . .25

– Camminiamo insieme mossi dallo Spirito . . . . . . . . . . . . . . . .26

– Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco . . . . . . .27

– Disponibili alla progettualità e alla condivisione . . . . . . . . . . .28

In uscita verso le periferie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .31

– Divenendo segni profetici a servizio dei giovani . . . . . . . . . . .32

  1. LETTURA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .33

Come Don Bosco, in dialogo con il Signore,

camminiamo insieme mossi dallo Spirito . . . . . . . . . . . . . . . .33
– Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco,

disponibili alla progettualità e alla condivisione . . . . . . . . . . .35
– In uscita verso le periferie,

divenendo segni profetici a servizio dei giovani . . . . . . . . . . .39

  1. CAMMINO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .43

  1. TRAGUARDO. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .43

  2. PROCESSI E PASSI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .43

– Come Don Bosco, in dialogo con il Signore . . . . . . . . . . . . . .43

– Camminiamo insieme mossi dallo Spirito . . . . . . . . . . . . . . . .44

– Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco . . . . . . .45

– Disponibili alla progettualità e alla condivisione . . . . . . . . . . .46

5

In uscita verso le periferie. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .47

– Divenendo segni profetici a servizio dei giovani . . . . . . . . . . .49

DELIBERAZIONI DEL CG27. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .51

  1. Durata in carica del Rettor Maggiore

e dei membri del Consiglio generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53

  1. Rieleggibilità del Rettor Maggiore

e dei membri del Consiglio generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .53

  1. Composizione del Consiglio generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .54

  2. Vicario del Rettor Maggiore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55

  3. Numero e aree dei Consiglieri di settore . . . . . . . . . . . . . . . . .56

  4. Compiti del Consigliere regionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .57

  5. Modalità di elezione del Rettor Maggiore . . . . . . . . . . . . . . . .57

  6. Modalità di elezione del Vicario del Rettor Maggiore . . . . . . .58

  7. Modalità di elezione dei Consiglieri di settore. . . . . . . . . . . . .59

  8. Modalità di elezione dei Consiglieri Regionali . . . . . . . . . . . .60

  9. Coordinamento nel Consiglio generale . . . . . . . . . . . . . . . . . .60

  10. Configurazione delle Regioni di Europa e Medio Oriente . . . .61

  11. Visita straordinaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63

  12. Visita di insieme . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .64

  13. Commissione economica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .64

  14. Rappresentanza al Capitolo generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .66

  15. Personale per i luoghi salesiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .67

  16. Atti del Consiglio generale,

Portale www.sdb.org, Agenzia info salesiana. . . . . . . . . . . . . .68

  1. Progetto di animazione e governo del Rettor Maggiore

e Consiglio generale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .68

ALLEGATI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .71

  1. Discorso del Rettor Maggiore Don Pascual Chávez Villanueva

all’apertura del CG27 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .73

  1. Intervento del Card. João Braz de Aviz,

Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata

e le Società di Vita Apostolica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .95

  1. Indirizzo di omaggio del Rettor Maggiore

al Santo Padre Francesco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .107

  1. Discorso di Sua Santità Francesco nell’udienza ai Capitolari. .109

  2. Messaggio del Capitolo ai confratelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . .112

  3. Discorso del Rettor Maggiore Don Ángel Fernández Artime

alla chiusura del CG27 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .116

ELENCO DEI PARTECIPANTI AL CG27 . . . . . . . . . . . . . .133

INDICE ANALITICO DEL TEMA CAPITOLARE . . . . . . . . .141

PRESENTAZIONE

Carissimi Confratelli,

il CG27, come è già avvenuto lo scorso Capitolo generale, si è concluso il 12 aprile. Questa data è a noi particolarmente cara, perché ci ricorda l’inizio dell’opera di Don Bosco a Torino Valdocco. Era infatti il 12 aprile 1846, giorno di Pasqua, quando Don Bosco poté stabilirsi in un luogo “tutto suo” per poter accogliere i giovani. Ricordando quel giorno, nell’imminenza ormai del bicentenario della sua nascita, come Congregazione ci apprestiamo a un nuovo inizio, percorrendo il cammino tracciato dal Capitolo generale.

Ogni Capitolo generale presenta un momento di preparazione, che comincia con la pubblicazione della lettera di indizione da parte del Rettor Maggiore e culmina con la realizzazione dei Capitoli ispettoriali; un momento di celebrazione, che è costituito da ciò che l’assemblea capitolare ha vissuto dal giorno del suo inizio fino alla sua conclusione; un momento di applicazione, che si apre dal termine della celebrazione capitolare fino all’inizio del prossimo Capitolo generale. Con la pubblicazione degli Atti del CG27, che ora vi presento, si apre la terza fase capitolare, quella applicativa.

Gli Atti del CG27 si suddividono in tre parti fondamentali: il testo di sviluppo del tema “Testimoni della radicalità evangelica”; le deliberazioni; gli allegati. Queste parti sono tutte importanti e contribuiscono a comprendere l’evento capitolare e il suo spirito. Si aggiungono a queste parti la mia presentazione e l’indice analitico circa lo sviluppo del tema. Non si deve dimenticare che questi Atti trovano nella lettera di indizione del Capitolo, scritta dal Rettor Maggiore emerito don Pascual Chávez, delle tracce che possono aiutare ad una migliore interpretazione dell’evento capitolare stesso.

Testimoni della radicalità evangelica

Il tema fondamentale del CG27 è “Testimoni della radicalità evangelica. Lavoro e temperanza”. Vi presento ora alcune sottolineature a

riguardo di questo tema; altri aspetti importanti sono presenti nella introduzione, come per esempio l’icona biblica della vite e dei tralci.

Conversione

Il tema capitolare è affascinante e promettente per il futuro della Congregazione, ma nello stesso tempo è molto impegnativo. Esso ci chiede un cammino di conversione, che non possiamo programmare; possiamo desiderare che essa accada, ma non è scontato che si realizzi. La conversione è opera dello Spirito che ci cambia la mente, il cuore e la vita; a ognuno di noi e a ogni comunità spetta la responsabilità di rendersi attenti e disponibili a ciò che lo Spirito ci suggerisce; a noi tocca il compito di trovare le condizioni che possono favorire la conversione spirituale, fraterna e pastorale. La conversione è il traguardo che il CG27 indica a tutti noi, una conversione che è a un tempo personale e comunitaria.

Discernimento

Dopo l’esperienza del CG25 e del CG26 siamo giunti a una metodologia di discernimento che mi sembra meglio definita. Essa utilizza tre espressioni nuove, più coerenti con l’azione dello Spirito: ascolto, lettura e cammino. Durante il Capitolo è stata una metodologia difficile da comprendere, specialmente per la parte riguardante la lettura, ma alla fine mi sembra che essa sia stata accolta e applicata. Tale metodologia si ispira a quella molto applicata della Chiesa in America Latina e ribadita nell’ultima Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano in Aparecida1. Se assunta, potrà dare buoni frutti per la vita dei confratelli, delle comunità e delle ispettorie; il discernimento è la via che lo Spirito oggi ci indica per trovare la volontà di Dio.

Il punto di partenza ci chiede di metterci in ascolto della vita, delle situazioni, delle aspettative delle persone. Dio ci parla attraverso la vita, le persone che ci pone accanto e le vicende della storia. L’ascolto ci porta a uscire da noi stessi, a guardare la realtà e a lasciarci interpellare da essa, a superare l’autoreferenzialità, per cogliere ciò che è nuovo e sfidante nella vita dei giovani e delle famiglie, della Chiesa e

1 Cfr. Documento di Aparecida, 19.

della Congregazione, della cultura e del mondo. Si tratta di un ascolto contemplativo che ci fa non solo “ascoltare” la realtà, ma ci aiuta a “vederla”, contemplarla alla luce della Provvidenza di Dio; è un ascolto di fede fatto in quanto credenti.

Il secondo passo è anche impegnativo: la lettura. Occorre interpretare i fatti e le situazioni, per comprenderli meglio e per individuarne le cause. Non bisogna fermarsi ai sintomi, bisogna risalire alle radici delle situazioni. Si tratta di una lettura credente della realtà, che attinge al vangelo e al carisma, che assume criteri che vengono dalla fede e dalla ragione, e quindi fa un vero discernimento comunitario. Talvolta ci può essere il conflitto delle interpretazioni; è necessario perciò giungere a una lettura condivisa. L’invito è di giudicare la realtà secondo Gesù Cristo, via, verità e vita.

Il cammino infine propone il percorso da seguire, indicando un traguardo verso cui orientarsi, i processi che individuano alcune situazioni di partenza e i punti verso cui tendere, alcuni passi che intendono dare concretezza al cammino per i prossimi anni.

I tre momenti formano un insieme inseparabile; essi sono diversi, ma vengono intrecciati. Non dobbiamo dimenticare che si tratta del discernimento per conoscere la volontà di Dio e per metterla in pratica. “L’adesione di fede, gioiosa e fiduciosa in Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, insieme all’inserimento nella Chiesa [e nella Congregazione], sono presupposti indispensabili per garantire l’efficacia di questo metodo”2.

Vocazione e grazia di unità

Elementi fondamentali che percorrono il documento capitolare sulla testimonianza della radicalità evangelica sono la realtà della vocazione e della grazia di unità. Si tratta di realtà teologiche e teologali da assumere vitalmente.

La testimonianza del vangelo vissuto radicalmente è una chiamata di Dio e non solo una nostra decisione. Con il dono della vita consacrata salesiana, che Dio ha fatto a ciascuno di noi, siamo chiamati ad essere testimoni del vangelo. Il profilo del salesiano che dobbiamo assumere diventa quindi quello di un “chiamato a essere mistico nello spirito,

2 Documento di Aparecida, 19.

profeta di fraternità e servo dei giovani”. La testimonianza è prima di tutto un dono vocazionale, e perciò, compito e responsabilità. Da qui nasce l’importanza di porre a fondamento della nostra testimonianza il riconoscimento e la riconoscenza per il dono della vocazione; senza questo fondamento la testimonianza risulterà debole.

Il dono gratuito di Dio e la nostra risposta cooperante si intrecciano in un rapporto di reciprocità. Ecco la grazia di unità, ecco il primato di Dio nella nostra vita. Essi sono dono dello Spirito per ognuno di noi. Nelle realtà in cui ci incrociamo con le nostre proprie fragilità personali e comunitarie, nelle diverse difficoltà del contesto culturale e sociale e della missione, la grazia di unità è il cammino per rispondere con generosità ed essere noi stessi: salesiani consacrati, fratelli al servizio dei giovani. Accogliendo questo dono incontreremo un tratto caratteristico della nostra spiritualità, che è l’unione con Dio; essa favorisce l’unificazione della vita: preghiera e lavoro, azione e contemplazione, riflessione e apostolato. Qui incontreremo l’estasi dell’azione. La testimonianza a cui siamo chiamati non riguarda aspetti parziali della nostra vita; se vuole essere autentica deve essere totalizzante.

Lavoro e temperanza

Vivere la radicalità nella sequela del Signore non può essere imposto, non è un comando, ma è espressione dell’amore a Gesù, a cui dobbiamo essere vitalmente uniti; per questo motivo il documento capitolare ha scelto l’icona della vite e i tralci.

Lavoro e temperanza costituiscono il modo salesiano di vivere la radicalità evangelica. Sono il nostro distintivo e la nostra caratteristica. Per noi si tratta di due realtà inseparabili: «Il lavoro è la visibilità della mistica salesiana ed è espressione della passione per le anime, mentre la temperanza è la visibilità dell’ascetica salesiana ed è espressione del cetera tolle» (ACG 413, p. 45). Non c’è mistica senza ascetica e viceversa; non c’è lavoro senza temperanza e non c’è temperanza senza lavoro; anche questo è grazia di unità.

Il “da mihi animas” si esprime visibilmente nella vita del salesiano e della comunità attraverso il lavoro apostolico, instancabile, appassionato e santificato; il “cetera tolle” si esprime nella temperanza che è la rinuncia, il sacrificio e il prezzo che siamo disposti a pagare per le

anime. Lavoro e temperanza si unificano e sintetizzano nel dono totale di sé a Dio per i giovani. Essi costituiscono un criterio vocazionale di discernimento e di formazione. Tutto questo ci rimanda a ciò che dice l’articolo 18 delle nostre Costituzioni.

Deliberazioni

Le 19 deliberazioni capitolari riguardano le Costituzioni, i Regolamenti generali e la vita della Congregazione. Esse si riferiscono per lo più alle strutture del governo centrale della Congregazione, ma hanno pure un riflesso sulla vita di confratelli, comunità e ispettorie. Tutte le deliberazioni vanno quindi studiate anche per le conseguenze operative che hanno a tutti i livelli. A titolo di esempio ne presento alcune.

La deliberazione che affida la Famiglia Salesiana a un Segretariato centrale direttamente dipendente dal Rettor Maggiore, non comporta solamente un cambiamento nell’organizzazione e nell’attribuzione dei compiti, ma aiuta pure a realizzare un cambiamento di mentalità circa il modo di comprendere e animare la Famiglia Salesiana da parte della nostra Congregazione3.

È stata approvata poi una deliberazione riguardante la modalità di elezione dei Consiglieri di settore. Essa ha introdotto un criterio importante per la designazione di un confratello a un compito specifico: è necessario conoscere previamente i nomi dei candidati su cui esercitare il discernimento prima di una votazione e nello stesso tempo attivare un processo trasparente e comunitario per fare emergere i candidati. Lo stesso criterio potrà essere utilizzato anche per le nomine dei confratelli o dei laici4.

Un’altra deliberazione chiede al Rettor Maggiore di costituire una Commissione economica centrale con compiti di studio, consulenza e controllo. Ciò induce la necessità di monitorare l’economia a tutti i livelli in modo collegiale, di attivare processi trasparenti nelle decisioni e di avvalersi di competenze professionali5.

3 Cfr. Deliberazione 4.

4 Cfr. Deliberazione 9.

5 Cfr. Deliberazione 15.

Un ultimo esempio di deliberazione riguarda la responsabilità di reperimento del personale per i luoghi salesiani, che è affidata al Rettor Maggiore e al suo Consiglio. Ciò richiede un maggior coinvolgimento delle ispettorie, chiamate a offrire con generosità confratelli competenti e disponibili per servizi che riguardano tutta la Congregazione; ciò vale anche per tutte le altre necessità della Congregazione6.

Allegati

La terza parte degli Atti del CG27 presenta alcuni discorsi rilevanti. Essi non sono offerti principalmente a titolo di documentazione; essi sono presentati soprattutto per lo studio e la riflessione, perché contengono elementi importanti di comprensione delle scelte capitolari. Costituiscono l’orizzonte interpretativo delle nostre azioni.

Con la pubblicazione degli Atti del CG27 ora abbiamo un riferimento a cui guardare insieme; in questo modo ci è indicata la stessa direzione di cammino. L’Assemblea capitolare si è impegnata a offrire dei testi essenziali. Ora a tutti, confratelli, comunità e ispettorie, spetta il compito di studiare e approfondire con mente aperta e cuore disponibile questi documenti. Solo conoscendo, studiando e comprendendo ciò che ci viene offerto, potremo camminare insieme e portare frutti abbondanti.

Affidiamo il cammino postcapitolare a Maria Ausiliatrice, che invochiamo come modello di radicalità evangelica. Ella è la Donna dell’ascolto, la Madre della comunità nuova, la serva dei poveri. Ella ci insegni a essere disponibili allo Spirito; Ella ci guidi nel nostro cammino di rinnovamento e di conversione. Camminiamo insieme con Maria!

Don Ángel Fernández Artime

Rettor Maggiore

Roma, 24 maggio 2014

Solennità di Maria Ausiliatrice

6 Cfr. Deliberazione 17.

TESTIMONI DELLA RADICALITÀ EVANGELICA” Lavoro e temperanza

INTRODUZIONE

La vite e i tralci”

Icona antica - Grecia: sec. XV-XVII

Il significato dell’icona

Nell’icona attira la nostra attenzione l’intreccio di rami, che descrive il tronco della vite. Esso si riferisce alla metafora evangelica “Io sono la vite” e indica la solidità e la forza che la persona di Gesù costituisce per coloro che da Lui sono chiamati e inviati. La figura del Cristo costituisce un tutt’uno con la radice della vite: il suo volto buono e riflessivo e il suo duplice gesto benedicente, lo avvicinano all’iconografia del Pantocrator. Tuttavia in tale contesto la ‘benedizione’ del Signore assume un duplice valore ecclesiale: indica sia la custodia e la protezione, sia una sorta di ‘mandato’. Colui che è il Maestro, custodisce i suoi nella comunione, ma per inviarli ad annunziare il Regno.

Innanzitutto questo legame robusto con il Signore fiorisce abbondantemente. È la fioritura della Chiesa e frutti ben visibili sono il ‘collegio apostolico’. Tale gruppo è il ‘prototipo’ di tutti i discepoli-apostoli: come il Figlio custodisce presso di sé la Parola, così ciascun personaggio viene raffigurato con lo scritto a lui attribuito nel Nuovo Testamento. Tale è anche la fioritura della Congregazione e della Famiglia Salesiana.

Inoltre interessa notare una certa somiglianza iconografica tra i Dodici e il Maestro, una somiglianza che non annulla le differenze e i tratti fisionomici caratteristici: giovani, maturi e anziani. La relazione di ascolto e di obbedienza a Cristo modella, infatti, la personalità del discepolo senza alterarla: il discepolo, solo assumendo il ‘tratto’ del Maestro, diviene capace di scrivere con la sua vita la ricchezza del Vangelo.

Infine, occorre evidenziare che la relazione feconda dei discepoli con Gesù non rimane chiusa in se stessa, ma dona equilibrio alla comunità degli uomini: si noti il dilatarsi armonico della vite nella tavola; tale relazione diviene espressione del servizio di carità, che siamo chiamati a offrire ai giovani.

Vivere la “radicalità evangelica” è il tema del CG 27 indetto dal Rettor Maggiore Don Pascual Chávez quale “conclusione aperta” di un percorso che, a partire dalle Costituzioni rinnovate (1984), è proseguito fino ad oggi, allo scopo di assumere le grandi istanze del Concilio Vaticano II, in ascolto della voce dello Spirito, con particolare riferimento alla vita consacrata.

Gli ultimi quattro Capitoli generali hanno concentrato l’attenzione sui destinatari della nostra missione (CG 23), sulla condivisione, comunione e corresponsabilità di salesiani e laici nell’unica missione (CG 24), sulla comunità (CG 25) e sulla spiritualità salesiana (CG 26). Il CG 27, in continuità con i precedenti, evidenzia il radicamento evangelico della nostra consacrazione apostolica.

I tre nuclei, “mistici nello Spirito”, “profeti della fraternità”, “servi dei giovani”, sui quali abbiamo riflettuto e dai quali abbiamo tratto il cammino per il prossimo sessennio, costituiscono l’unico e triplice dinamismo della “grazia d’unità”, dono e compito per le nostre comunità e per ciascuno di noi.

L’esperienza capitolare è stata un invito continuo ad ascoltare in modo intenso e a leggere in profondità la nostra vita, per individuare linee di cammino per la nostra Congregazione. Il documento capitolare intende esserne un riflesso, quasi un’“onda di ritorno” e una consegna alle comunità locali e ispettoriali.

La vite e i tralci

Il libro dei vangeli ha accompagnato con umiltà e splendore l’esperienza capitolare. Ogni giorno, nella sala dell’assemblea, la parola del Signore è stata proclamata nelle diverse lingue e solennemente intronizzata.

Sollecitati da questo ascolto quotidiano, ci siamo sentiti particolarmente interpellati dal brano evangelico della “vite e i tralci” (Gv 15,1-11), icona del tema e sintesi dei lavori capitolari. Il messaggio centrale rimanda all’essere profondamente uniti, dunque “radicati”, nell’amore a Gesù, come è stato Don Bosco, che ha vissuto in pro‑

fonda unità l’esistenza, attorno alla persona del Figlio di Dio, portando “molto frutto”.

Rimanere, amare, portare frutto sono, pertanto, i tre verbi che illuminano intensamente i nuclei del CG 27. Gesù rimane con noi e invita ciascuno a rimanere in Lui, per imparare l’amore fraterno e per servire con frutto i giovani a noi affidati. In questo amore fedele sperimentiamo continuamente la vicinanza del Padre, grazie all’ascolto della parola di Gesù.

Nell’amore, che si traduce nel dono di sé ai fratelli, sta la piena realizzazione dell’esistenza, sia del singolo, sia della comunità. L’amore che impariamo da Gesù, rimanendo uniti a Lui come il tralcio alla vite, è fecondo, porta sempre frutto.

La grazia d’unità

La preparazione da parte delle comunità, locali e ispettoriali, e l’esperienza capitolare ci hanno aiutato a riscoprire l’identità salesiana secondo quattro angolature, richiamate nella lettera di convocazione del CG 27: «Vivere nella grazia di unità e nella gioia la vocazione consacrata salesiana, che è dono di Dio e progetto personale di vita; fare una forte esperienza spirituale, assumendo il modo d’essere e di agire di Gesù obbediente, povero e casto, e divenendo ricercatori di Dio; costruire la fraternità nelle nostre comunità di vita e azione; dedicarci generosamente alla missione, camminando con i giovani per dare speranza al mondo» (ACG 413, p. 5).

I tre nuclei, mistici nello Spirito, profeti di fraternità, servi dei giovani, non sono da considerare a sé stanti o separati, ma racchiusi nella “grazia d’unità”: un unico dinamismo d’amore tra il Signore che chiama e il discepolo che risponde (cfr. Cost. 23). È l’unica e multiforme grazia di Dio che si espande, coinvolgendo persone, situazioni e risorse, e che genera un movimento di bontà, di bellezza e di verità.

Per corrispondere alla “grazia d’unità” si richiede un’autentica conversione alla radicalità evangelica, una continua trasformazione della mente e del cuore, una profonda purificazione. È questa la

sfida da affrontare con audacia e coraggio, il processo da attivare per rigenerare noi stessi, le comunità educativo-pastorali e i giovani.

Affermava Giovanni Paolo II: «La vita spirituale deve essere al primo posto [...]. Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni»1.

Questo riferimento alle radici, alla profondità del cuore, lascia scorgere a quanti ci stanno accanto e ci osservano le motivazioni della nostra donazione a Dio e ai giovani, il senso ultimo della nostra vita in questo mondo. Si tratta della realtà più vera e profonda che orienta la nostra esistenza.

Basterà contemplare Gesù, Maestro e Signore, per scorgere in lui il Figlio di Dio che nell'incarnazione si è unito ad ogni uomo2. Basterà guardare a Don Bosco per avvertire che in lui traspare «uno splendido accordo di natura e di grazia [...] in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani» (Cost. 21).

Ce lo ha ricordato anche Papa Francesco, nell’udienza del 31 marzo: «Immagino che durante il Capitolo [...] abbiate avuto sempre davanti a voi Don Bosco e i giovani; e Don Bosco con il suo motto: Da mihi animas, cetera tolle. Lui rafforzava questo programma con altri due elementi: lavoro e temperanza. “Il lavoro e la temperanza – diceva – faranno fiorire la Congregazione”. Quando si pensa a lavorare per il bene delle anime, si supera la tentazione della mondanità spirituale, non si cercano altre cose, ma solo Dio e il suo Regno. Temperanza poi è senso della misura, accontentarsi, essere semplici. La povertà di Don Bosco e di mamma Margherita ispiri ad ogni salesiano e ad ogni vostra comunità una vita essenziale e austera, vicinanza ai poveri, trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni».

Contemplazione e azione, la pratica dei consigli evangelici, la comunità fraterna e la missione apostolica, sono così ricondotti all’«unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli» (Cost. 3). In questo

1 GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, 93.

2 Cfr. CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes 22.

senso «il lavoro è la visibilità della mistica salesiana ed è espressione della passione per le anime, mentre la temperanza è la visibilità dell’ascetica salesiana ed è espressione del cetera tolle»3.

«La testimonianza di questa santità, che si attua nella missione salesiana, rivela il valore unico delle beatitudini, ed è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani» (Cost. 25). La santità consiste per noi nella “grazia di unità”, nell’umanità pienamente realizzata, nell’armonia di quanto vi è in noi e attorno a noi di «vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato», di tutto ciò «che è virtù e merita lode...» (Fil 4,8).

Punto di arrivo e di partenza

Il CG 27 ha adottato la metodologia del discernimento comunitario scandita in tre momenti, tra loro collegati e consequenziali: ascolto, lettura, cammino.

Nel primo momento ci siamo messi in atteggiamento di ascolto per captare la situazione nei suoi molteplici e importanti aspetti: quelli più positivi e promettenti, quelli più critici e che in qualche modo ci sfidano e interpellano. Prestare attenzione ai segni e alle espressioni di radicalità evangelica, già presenti nella nostra vita e nel momento storico che stiamo vivendo, ci ha permesso di distinguere le espressioni di fedeltà e di testimonianza da quelle di incoerenza e di conformismo.

A partire dall’ascolto della realtà, abbiamo cercato di leggere, interpretare e illuminare la situazione, i segni e le espressioni di vita precedentemente rilevati, tentando di risalire alle cause che li originano e di cogliere le sfide che essi provocano, andando al di là della superficie e di ciò che appare. Le chiavi interpretative ci sono state offerte dal vangelo, dalla vita e dall’insegnamento della Chiesa, dall’esperienza carismatica di Don Bosco, dalle Costituzioni e dagli appelli che ci giungono dai giovani. Tenendo presente questa prospettiva è stato possibile sondare la radice profonda della nostra identità di discepoli e apostoli.

3 ACG 413, p. 45; cfr. Cost. 18.

Il terzo passo, raccogliendo gli esiti dei primi due, ci ha consentito di delineare il cammino da percorrere, consolidando quanto di positivo è stato rilevato, individuando nuove espressioni di radicalità evangelica e superando forme di infedeltà, debolezza e rischio, per trasformare la nostra vita. Il cammino propone così un traguardo che costituisce l’orizzonte verso cui orientarsi; prevede alcuni processi che lo rendono maggiormente concreto, prospettando una possibile situazione di partenza e il punto verso cui tendere, che ci avvicina maggiormente al traguardo. I passi così come sono stati individuati, formulati e disposti, intendono dare concretezza al cammino della nostra Congregazione per i prossimi anni.

Il filo rosso che collega questi tre momenti è espresso nella redazione definitiva in una frase posta all’inizio di ogni sezione: Come Don Bosco in dialogo con il Signore, camminiamo insieme mossi dallo Spirito, facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco, disponibili alla progettualità e alla collaborazione, in uscita verso le periferie, divenendo segni profetici a servizio dei giovani.

Da questa “mappa” ogni realtà locale e ispettoriale potrà selezionare e disporre il proprio cammino, aderente al contesto in cui vive e alle indicazioni molteplici provenienti dall’esperienza del CG 27, dal sentire della Congregazione e della Chiesa locale e universale.

Maria modello di radicalità evangelica

A Maria Immacolata e Ausiliatrice, Madre del “sì incondizionato e radicale”, affidiamo il nostro assenso di fede, il nostro consenso e volontà di comunione, il nostro impegno apostolico tra i giovani.

Benedetta sei tu Maria, Donna dell’ascolto,

perché hai vissuto nella ricerca del volere di Dio su di Te.

E, quando ti è stato rivelato il Suo disegno,

hai avuto il coraggio di accoglierlo,

abbandonando il tuo progetto di vita

per fare tuo quello del Signore.

Madre dei credenti,

insegnaci ad ascoltare Dio e a fare nostra la Sua volontà, affinché Egli possa realizzare il suo disegno per la salvezza dei giovani!

Benedetta sei tu Maria, Madre della comunità nuova,

che ai piedi della croce hai accolto

come figlio tuo, il discepolo amato da Gesù

e hai aiutato la nascita della Chiesa,

nuovo Corpo del tuo Figlio,

realtà mistica di fratelli uniti dalla fede e dall’amore.

Hai accompagnato la vita e la preghiera degli apostoli,

invocando nel cenacolo l’effusione dello Spirito del Risorto.

Madre dei fratelli del tuo Figlio,

insegnaci a formare comunità

che abbiano un cuore solo e un’anima sola.

La nostra comunione, la nostra fraternità e la nostra gioia

siano una testimonianza viva

della bellezza della fede e della nostra vocazione salesiana.

Benedetta sei tu Maria, Serva dei poveri,

perché prontamente ti sei messa in cammino

per servire una madre bisognosa

e ti sei fatta presente a Cana,

condividendo le gioie e le tristezze

di una giovane coppia di sposi.

Non hai guardato alle tue esigenze,

ma alle loro necessità

e hai indicato il tuo Figlio Gesù

come il Signore che può donare all’umanità

il vino nuovo della pace e della gioia nello Spirito.

Madre dei servi, insegnaci a uscire da noi stessi,

per andare incontro al nostro prossimo,

affinché, mentre rispondiamo ai loro bisogni,

possiamo offrire Gesù, il dono di Dio, il dono più prezioso!

Amen.

I. ASCOLTO

Come Don Bosco, in dialogo con il Signore

  1. Riconosciamo che il momento storico in cui viviamo è un luogo d’incontro con Dio. Abbiamo il desiderio, come singoli e come comunità, di dare il primato a Dio nella nostra vita, provocati dalla santità salesiana e dalla sete di autenticità dei giovani. Siamo più consapevoli che solo l’incontro personale con Dio, attraverso la Sua Parola, i Sacramenti e il prossimo, ci rende significativi e autentici testimoni nella Chiesa e nella società. Il desiderio di Dio, che sentiamo presente in noi, è vivo anche nei giovani e nei laici: li troviamo sensibili ai valori della vita espressi nella semplicità, nell’austerità e nei rapporti autentici tra le persone. I giovani, in particolare, cercano adulti significativi che li accompagnino e facciano maturare la loro vita.

  2. Ci troviamo ad operare in diversi contesti culturali nei quali si manifesta in vario modo il senso di Dio. Il desiderio di avere Dio al centro della vita si può scontrare, a volte, con culture che ci possono indurre alla paura di parlare di Lui, per non offendere, per rispetto dell’altro, per proteggerci dall’opinione altrui. Alcune volte non si verifica l’incontro con il Vangelo per l’indisponibilità o l’indifferenza degli ascoltatori; altre volte per la nostra indolenza o per la nostra mancanza di audacia missionaria. Talora, consideriamo il nostro tempo soltanto come un problema; la nostra conoscenza della storia e delle culture odierne è parziale e superficiale. Adeguandoci acriticamente alle richieste e ai bisogni della società, tacciamo sulla nostra esperienza di Dio e rischiamo di non comprendere la nostra missione specifica di religiosi nel mondo di oggi.

  3. Ci sono dei segni del primato di Dio nella nostra vita: la fedeltà al Signore attraverso la pratica dei consigli evangelici, il servizio ai ragazzi poveri, il senso di appartenenza alla Chiesa e alla

Congregazione, la crescente conoscenza di Don Bosco e del suo Sistema Preventivo, il semplice e ricco patrimonio di spiritualità del quotidiano, caratterizzato dallo spirito di famiglia e da positivi rapporti interpersonali, la sensibilità per l’accompagnamento e la paternità spirituale. Riscontriamo, nello stesso tempo, che quanto siamo e facciamo non sempre appare radicato nella fede, speranza e carità, e non indica chiaramente che l’iniziativa parte da Dio e che a Lui tutto ritorna. A volte, l’Eucaristia non è percepita e non è vissuta come fonte e sostegno della comunione, e troppo facilmente si tralascia la preghiera in comune che costruisce e irrobustisce la fraternità. Sono i ragazzi e le famiglie in particolare ad interrogarci sulle nostre radici spirituali e sulle nostre motivazioni vocazionali, risvegliando in noi l’identità di consacrati e la nostra missione educativa e pastorale.

Camminiamo insieme mossi dallo Spirito

  1. Siamo riconoscenti a Dio per la fedeltà di tanti confratelli e per la santità riconosciuta dalla Chiesa ad alcuni membri della Famiglia Salesiana. Veniamo ogni giorno a contatto con adulti e ragazzi, confratelli, giovani e anziani, in piena attività e ammalati, che testimoniano il fascino della ricerca di Dio, la radicalità evangelica vissuta nella gioia e una viva passione per Don Bosco.

  2. Generalmente la nostra consacrazione fa trasparire il senso di Dio nella storia e nella vita degli uomini, nelle situazioni di ricerca di senso o di povertà, con la forza di una testimonianza che dona speranza ed entusiasmo, propone un’umanità riuscita, costituendo un’alternativa alla mentalità del mondo4. La pratica della lectio divina, con la condivisione comunitaria della Parola di Dio, e il progetto personale di vita sono diventati, per non pochi confratelli, una grande risorsa di rinnovamento e un antidoto efficace contro la tentazione della superficialità spirituale.

4 Cfr. PAPA FRANCESCO, Evangelii Gaudium, 93-97.

  1. Nelle difficoltà e sfide odierne, relative all’annuncio del Vangelo, siamo maggiormente consapevoli che vi è uno stretto legame tra carità pastorale e vita spirituale, quale fonte della nostra fecondità.

  2. Notiamo alcuni sintomi di autoreferenzialità che non ci fanno uscire da noi stessi per aprirci alle esigenze di Dio e andare incontro agli altri: la mancanza di aggiornamento, di riferimento a una guida spirituale stabile e una formazione “fai da te”. Queste forme di autosufficienza ci fanno spesso dimenticare di essere cooperatori di Dio e ci impediscono di fare di Cristo il punto di riferimento della nostra vita.

Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco

  1. Dal CG25 in poi sta crescendo l’impegno di vivere in forma più autentica la nostra vita comunitaria con una migliore animazione dei momenti di preghiera, con lo sforzo di far crescere la condivisione e con un lavoro apostolico più qualificato e partecipato. Nelle comunità sono aumentati gli appuntamenti di incontro sistematico ed è migliorata la loro qualità. In particolare, alcune scelte comunitarie favoriscono il trovarsi in comunione come fratelli per vivere, riflettere e lavorare insieme: il giorno della comunità, la proposta formativa annuale, la lectio divina e la condivisione spirituale, la riflessione sull’esperienza salesiana, i momenti di festa e di distensione. Le strutture comunitarie, gli ambienti e la loro collocazione, lo stile e i ritmi di vita esprimono la nostra visione di comunità e ci permettono di viverla.

  2. Alcuni influssi negativi della società si avvertono anche nelle nostre comunità. Rischiamo di perdere i nostri modi di pensare ispirati al Vangelo per assumere le categorie negative della cultura odierna. Nascondiamo, ad esempio, dietro il “rispetto” e la “tolleranza”, la nostra indifferenza e assenza di cura verso il confratello, oppure rendiamo pubbliche in modo indebito informazioni a noi riservate. L’imborghesimento e

l’attivismo fanno percepire il tempo comunitario come tempo “rubato” alla “sfera privata” o alla missione.

  1. La vita fraterna in comunità risente particolarmente di una scarsa valutazione del senso della nostra vita consacrata salesiana che si manifesta nella debole cura della vocazione del salesiano coadiutore, con il suo apporto specifico alla comunità e alla missione salesiana, e nell’eccesivo clericalismo che manifestano tante volte i nostri rapporti comunitari e pastorali.

  2. Constatiamo che la preghiera e l’offerta sacrificata della vita da parte dei salesiani anziani e ammalati sono vero apostolato con e per i giovani; essi rimangono parte “attiva” della comunità che vive il “da mihi animas”. Le comunità, infatti, si stanno impegnando a non escluderli dalla missione. Troviamo ancora qualche difficoltà ad accogliere e a prenderci cura dei confratelli che vivono situazioni di fragilità, disturbi, senilità e infermità5.

  3. In noi confratelli e nelle nostre comunità, vi è anche la domanda di paternità spirituale, in un’articolata trama di dare e ricevere, vissuta in un armonico spirito di famiglia. Riconosciamo che in questi anni, soprattutto nella formazione iniziale, si sono sviluppate valide proposte di crescita umana in ambito affettivo, relazionale e spirituale.

Disponibili alla progettualità e alla condivisione

  1. Il progetto comunitario e il progetto educativo pastorale salesiano (PEPS) sono stati redatti con più frequenza rispetto al passato, in quasi tutte le comunità e opere salesiane, anche se si registrano ancora una conoscenza limitata e una debole consapevolezza della funzione essenziale della comunità educativa pastorale (CEP). Riconosciamo l’importanza di lavorare in modo corresponsabile, nonostante la fatica di sentirci parte attiva della CEP e di riconoscerla come soggetto della missione. Talvolta, il nostro progetto educativo pastorale si limita

5 Cfr. Evangelii Gaudium, 209-210.

all’organizzazione delle attività, senza una riflessione condivisa sugli obiettivi, sulle priorità, sui processi e sulla verifica dei traguardi raggiunti. In alcuni confratelli, tuttavia, permane la difficoltà nella condivisione della missione per la tendenza a privilegiare campi di azione personale.

  1. In questi anni si è ampliato il campo d’intervento dei direttori che, oltre al compito di essere guide spirituali dei confratelli e animatori della CEP, sono assorbiti da mansioni gestionali. I direttori, quindi, non sempre sono nelle condizioni di onorare il loro servizio, spesso non ricevono un’adeguata collaborazione da parte dei confratelli e talvolta sono privi di un sistematico accompagnamento formativo a livello ispettoriale.

  2. Constatiamo un maggiore protagonismo dei laici, favorito dalla condivisione e dalla corresponsabilità nella comunità educativa pastorale. Si sono superate alcune difficoltà riguardanti i rapporti tra salesiani e laici, nello sforzo unanime di convergere attorno all’unico progetto. Laddove si realizza questa sinergia, mediante un clima di fiducia e lo spirito di famiglia, nel rispetto dei ruoli, l’ambiente diventa propositivo e fecondo, anche vocazionalmente. Rimane debole, in alcuni contesti, la formazione sistematica dei laici.

  3. Alcuni di noi si lasciano prendere da compiti gestionali o si rifugiano in zone di comfort, delegando l’assistenza e la presenza tra i giovani ai confratelli tirocinanti o ai collaboratori. Molti laici stipendiati per ruoli di animazione e per l’assistenza offrono un servizio veramente professionale e salesiano, a fronte di altri che mostrano carenze soprattutto a causa di un nostro mancato coinvolgimento nei processi di formazione.

  4. In questi anni abbiamo accompagnato lo sviluppo di un sano protagonismo dei giovani, specialmente all’interno del Movimento Giovanile Salesiano. Questa realtà ci permette di sperimentare con gioia e soddisfazione la verità rigenerante del carisma salesiano: evangelizzare ed educare i giovani con i giovani. Sempre più ci accorgiamo che il volontariato aiuta i giovani a maturare integralmente, anche nella dimensione voca‑

zionale e missionaria6. All’interno del volontariato giovanile salesiano manca a volte un adeguato accompagnamento spirituale e pedagogico, affinché possa diventare un’autentica esperienza d’incontro con Cristo nei poveri.

  1. Abbiamo acquisito maggiore consapevolezza dell’importanza di accompagnare i giovani alla conoscenza e all’incontro con Gesù. Il Cristo e il suo Vangelo sono un diritto che dobbiamo ai giovani. Fortificati da tale convinzione, abbiamo approfondito in alcuni contesti l’inscindibile rapporto tra educazione ed evangelizzazione, ottenendo risultati apprezzabili.

  2. È cresciuta la coscienza di essere Famiglia Salesiana, anche grazie a positive collaborazioni nelle comunità ispettoriali e locali, alle giornate della spiritualità salesiana, alla Strenna annuale del Rettor Maggiore e alla Carta d’identità carismatica. Alcune esperienze di lavoro “insieme” a favore dei giovani ci hanno fatto crescere come un corpo unito e corresponsabile all’interno della Famiglia Salesiana, maturando la consapevolezza di essere un unico movimento carismatico. Inoltre, la corresponsabilità nella missione tra salesiani, altri membri della Famiglia Salesiana, laici e giovani ci ha aiutato a migliorare la qualità del nostro ministero, ad allargare gli orizzonti e a dilatare il cuore della nostra missione apostolica.

  3. Un fronte apostolico emergente, che abbiamo iniziato a curare, è la pastorale familiare, non solo nei contesti parrocchiali e di formazione degli adulti, da riconsiderare in stretto collegamento con la pastorale giovanile.

  4. La formazione iniziale rimane a volte slegata dai processi pastorali. Terminata la formazione specifica dei confratelli candidati al presbiterato e dei coadiutori, emergono difficoltà e disagi per un effettivo e significativo inserimento nella pastorale e nelle dinamiche della vita comunitaria. Non tutte le comunità che accolgono i confratelli al termine della formazione iniziale sono provviste di un esplicito progetto che preveda adeguate forme di inserimento nell’attività educativo pastorale ordinaria.

6 Cfr. Evangelii Gaudium, 106.

In uscita verso le periferie

  1. La Congregazione si sta orientando con maggiore decisione verso i giovani poveri e in situazioni a rischio, in ascolto del loro grido d’aiuto. Sta crescendo tra i confratelli una sensibilità verso la cultura dei diritti umani, in particolare dei minori, in alcune scelte profetiche nelle nuove frontiere e nelle “periferie esistenziali”.

  2. Si è impegnata, inoltre, a ribadire con forza che l’uso di qualunque modalità non rispettosa dei giovani e il ricorso a qualsiasi forma di violenza, sono chiaramente contrarie alla pedagogia salesiana. In tutte le Ispettorie si sono compiuti o si stanno completando i passi necessari per organizzare sia il codice etico, come statuto della nostra cultura pedagogica preventiva, sia il protocollo di procedura giuridica per far fronte ad eventuali casi di abuso, secondo la normativa canonica e la legislazione dei Paesi nei quali operiamo.

  3. Prendiamo coscienza che talvolta esiste tra noi e i giovani una certa distanza; essa, prima che fisica, è mentale e culturale. In alcuni contesti guardiamo alle nuove generazioni come se fossero un “problema” e non un’ “opportunità”, un appello del Signore, un riflesso eloquente dei “segni dei tempi” e una sfida che ci interpella.

  4. Le nuove tecnologie di informazione e comunicazione e l’ambiente digitale in cui viviamo costituiscono uno spazio culturale, sociale e pastorale per favorire un’esperienza di vita; sono parte integrante della vita quotidiana e hanno un impatto sul nostro modo di sentire, pensare, vivere e rapportarci. Consentono di mantenere legami e coltivare sane relazioni tra confratelli e giovani, di ridurre le distanze geografiche che impedirebbero altrimenti una comunicazione immediata e frequente. Come salesiani sentiamo di non essere presenti in modo significativo come educatori ed evangelizzatori in questo ambiente.

Divenendo segni profetici a servizio dei giovani

  1. Abbiamo sostenuto consistenti sforzi per risignificare e ristrutturare le presenze così da rendere attuale l’identità carismatica e garantire una fedeltà creativa al sistema educativo di Don Bosco, in risposta ai bisogni dei giovani del nostro tempo. In alcuni contesti, però, la preferenza per i giovani più poveri non è sufficientemente chiara. La preoccupazione per sostenere economicamente le strutture tradizionali limita la nostra apertura alle nuove povertà e alle inedite emergenze sociali.

  2. La gente e i giovani ci ammirano spesso per la quantità di lavoro che svolgiamo a loro beneficio. Tuttavia, alcuni di noi, sopraffatti dalle molteplici attività, sperimentano un senso di stanchezza, tensione, frammentazione, inefficienza e burnout. Talvolta siamo eccessivamente segnati da un estenuante sforzo di conservazione e sopravvivenza delle opere. Quando ci occupiamo dei giovani, a volte puntiamo solo al loro benessere sociale e trascuriamo l’accompagnamento della loro vita spirituale e della loro vocazione.

  3. È progressivamente diminuita la visibilità e credibilità della nostra vita consacrata. Non sempre si coglie in noi la testimonianza del primato di Dio, con la pratica dei voti, con la sobrietà di vita, con l’impegno nel lavoro, con la dedizione per la missione, con la preghiera personale e comunitaria vissuta con fedeltà.

  4. La multiculturalità all’interno delle nostre comunità è un’opportunità di testimonianza di unità per il mondo; rivela anche alcuni limiti della nostra carità e svela pregiudizi che resistono alla fraternità evangelica. Le comunità internazionali e la collaborazione a progetti mondiali contribuiscono a creare un maggiore senso di fraternità e di solidarietà.

  5. Riconosciamo che la responsabilità per la custodia del creato è una sensibilità emergente anche nelle nostre comunità. Tuttavia, non siamo ancora sufficientemente persuasi di tale priorità nella scelta del nostro stile di vita sobrio ed essenziale e nell’educazione dei giovani.

II. LETTURA

Come Don Bosco, in dialogo con il Signore, camminiamo insieme mossi dallo Spirito

  1. Immersi nella storia, segnata da attese e fragilità, siamo sostenuti dalla certezza che Dio accompagna l’umanità con i suoi interventi di salvezza che hanno il loro culmine nella Pasqua del Signore Gesù: «La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione»7. Al seguito di Gesù, che si trasfigura e coinvolge i suoi discepoli nella luce del Tabor8 e ascoltando gli ammonimenti di Don Bosco nel “sogno dei dieci diamanti”, apprezziamo la grazia della vocazione salesiana, la fecondità dei consigli evangelici, la fraternità nella comunità e tra i giovani. Guardiamo alla Vergine Maria che nel Magnificat canta a Dio che guida fedelmente il suo popolo sui sentieri della storia, operando meraviglie e prodigi in favore degli umili e dei poveri. Con Lei riscopriamo la gioia della fede che infonde ottimismo e speranza.

  2. Come per Don Bosco, così per noi il primato di Dio è il fulcro che dà ragione della nostra esistenza nella Chiesa e nel mondo. Tale primato dà senso alla nostra vita consacrata, ci fa evitare il rischio di lasciarci assorbire dalle attività, dimenticando di essere essenzialmente “cercatori di Dio” e testimoni del suo amore in mezzo ai giovani e ai più poveri. Siamo, dunque, chiamati a ricondurre il nostro cuore, la nostra mente e tutte le energie al “principio” e alle “origini”: la gioia del momento in cui Gesù ci ha guardati, per evocare significati ed esigenze sottesi alla nostra vocazione9.

7 Cfr. Evangelii Gaudium, 276.

8 Cfr. Vita Consecrata, 14-16.

9 Cfr. CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Rallegratevi, 4.

  1. La nostra mistica si esprime come umanizzazione profonda della vita personale e comunitaria10. Essa si radica nel mistero dell’Incarnazione: Gesù ha fatto proprie le necessità e le aspirazioni della gente e ha compiuto la volontà del Padre suo nella costruzione del Regno. Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso uno stile originale di unione con Dio da vivere sempre (cfr. Cost. 12, 21, 95) e dovunque secondo il criterio oratoriano (cfr. Cost. 40). Il salesiano, dunque, testimonia Dio quando si spende per i giovani e sta con loro con dedizione sacrificata “fino all’ultimo respiro”, vive il “cetera tolle”, sa raccontare loro la propria esperienza del Signore.

  2. L’esperienza dell’incontro con Dio chiede una risposta personale, che si sviluppa in un cammino di fede e in un profondo rapporto con la Parola di Dio, perché «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»11.

  3. Oggi, oltre a constatare i cambi culturali, siamo convinti di vivere una svolta storica12 forse senza precedenti. Tale svolta ha sensibilmente modificato le motivazioni che inducono a scegliere e a vivere la vita consacrata. Papa Francesco ci invita ad ascoltare il grido dei poveri, a uscire per cogliere i bisogni più urgenti, a vivere la cultura dell’incontro e del dialogo13 evitando l’autoreferenzialità e incarnando una spiritualità missionaria.

  4. Le difficoltà che sperimentiamo nel rispondere alla chiamata di Dio, a vivere la sequela di Cristo con radicalità, sono dovute a una debole convinzione nella fecondità dei consigli evangelici nel realizzare la comunione in comunità e la missione per i giovani. L’assunzione del dono della vocazione e la responsabilità del nostro percorso di formazione continua ci aiutano a modellare la cultura con il Vangelo e ad essere uomini di compassione, soprattutto per i poveri.

10 Cfr. Evangelii Gaudium, 87, 92, 266.

11 Cfr. BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 1.

12 Evangelii Gaudium, 52; cfr. 61-70.

13 Cfr. Evangelii Gaudium, 220.

  1. Chiamati a testimoniare le realtà del Regno e a dialogare con un pensiero che talvolta tende a relativizzare e ad emarginare il discorso religioso, diventiamo irrilevanti quando ci sottraiamo al nostro ruolo profetico nel proporre una cultura ispirata al Vangelo.

  2. Il pericolo d’essere facilmente considerati soltanto come “lavoratori sociali”, anziché come educatori e pastori capaci di testimonianza del primato di Dio, annuncio del Vangelo e accompagnamento spirituale, esige da noi la cura della nostra vocazione. La sfida più rilevante consiste nel trovare modi creativi per affermare l’importanza dei valori spirituali e l’incontro personale con il Dio della vita, dell’amore, della tenerezza e della compassione. Ciò richiede che favoriamo l’esperienza di fede e l’incontro con Gesù Cristo: i giovani esigono concretezza e coerenza dal nostro stile di vita.

Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco, disponibili alla progettualità e alla condivisione

  1. Crediamo che la comunità “si propone come eloquente confessione trinitaria”14 e il nostro vivere insieme è frutto dell’iniziativa di Dio Padre, che ci chiama ad essere discepoli di Cristo per una missione di salvezza (cfr. Cost. 50). Per non smarrire questo particolare dono, offerto a noi e a tutta la Chiesa, la visibilità della dimensione fraterna della nostra vita deve essere più consapevole, più diretta, efficace e gioiosa (cfr. Sal 133,1).

  2. Riconosciamo che la vita di comunità è uno dei modi di far esperienza di Dio. Vivere la “mistica della fraternità”15 è un elemento essenziale della nostra consacrazione apostolica e un grande aiuto per essere fedeli ad essa. Vi è un chiaro legame con la nostra missione e con il mondo giovanile, assetato di

14 Vita Consecrata, 21; cfr. 16.

15 Cfr. Evangelii Gaudium, 87, 92.

comunicazione autentica e di relazioni trasparenti. In un’epoca di disgregazione familiare e sociale, offriamo un’alternativa di vita basata sul rispetto e sulla cooperazione con l’altro; in un tempo segnato da disuguaglianza e ingiustizia, offriamo una testimonianza di pace e di riconciliazione (cfr. Cost. 49). La comunità rivela se stessa anche nella missione comune. L’unanimità nell’azione apostolica realizza la profezia della comunità e tale testimonianza favorisce il nascere di nuove vocazioni.

  1. I nostri limiti di incomprensione reciproca, le chiusure in noi stessi e le nostre quotidiane fragilità, dipendono dalla mancata accoglienza dell’amore e della grazia riversati nei nostri cuori dallo Spirito di Cristo (cfr. Rm 5,5). Riconosciamo che la comunione al Corpo e al Sangue di Gesù (cfr. 1 Cor 10,16), con cui ci nutriamo ogni giorno, fa di noi “un cuor solo e un’anima sola” (At 2,42; Cost. 50). L’Eucaristia costituisce il culmine e la fonte della nostra fraternità, consacrazione e missione16. Spinti dalla carità di Cristo e partecipi del dono di sé di Gesù Buon Pastore, partecipiamo all’esperienza spirituale di Don Bosco e ci prodighiamo come lui per la salvezza dei giovani.

  2. I rapporti personali in comunità possono diventare formali, frammentati e poco significativi a causa di vari fattori: l’individualismo e la reticenza personale, una formazione poco coinvolgente, la preoccupazione eccessiva per il proprio lavoro o l’essere sottoccupati, le relazioni solo funzionali, il riflusso nel privato e l’uso non sempre equilibrato dei personal media. Questi fattori diventano un facile alibi per non affrontare l’impegno della vita comunitaria. Le conflittualità non devono essere vissute solo come realtà negative, ma come opportunità di maturazione: vanno illuminate dal Vangelo, affrontate e risolte con maggior coraggio, competenza umana e misericordia17.

  3. Una certa tendenza al perfezionismo e, all’opposto, all’immobilismo sta alla base del mancato rinnovamento comunitario. Viene meno la capacità di essere realisti e, allo stesso tempo,

16 Cfr. CONCILIO VATICANO II, Lumen Gentium, 11.

17 Cfr. Mt 5,20-26; Evangelii Gaudium, 226-230.

di saper sognare. Ci sentiamo provocati da Papa Francesco: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze [...] Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione»18.

  1. La nostra proposta comunitaria intende rivelare una “Chiesa in uscita”19, e realizzare un ambiente educativo aperto e una comunità educativo pastorale “estroversa”. La comunità salesiana ha il compito di creare fraternità anche coi laici corresponsabili, in particolare con i membri della Famiglia Salesiana, superando ogni forma di clericalismo e dirigendosi verso nuove frontiere, lasciando “le porte sempre aperte”20.

  2. Vivere la spiritualità di comunione è quanto ci chiede oggi la Chiesa integrando vita comunitaria e servizio nell’opera21, in un rinnovato senso di appartenenza. Per costruire la comunità occorre passare dalla vita in comune alla comunione di vita; in tal modo ciascun confratello instaura legami profondi e si dona senza riserve, non sentendo il bisogno di estraniarsi o trovare forme compensative e mondane22.

  3. Nella Chiesa, che è popolo di Dio in cammino e comunione di persone con diversi carismi e ruoli, condividiamo con i laici il servizio della costruzione del Regno di Dio. Il carisma salesiano ci chiede la cura, il coinvolgimento e la corresponsabilità di tutti i membri del nucleo animatore della Comunità Educativa Pastorale (cfr. Cost. 47), salesiani e laici, per promuovere una mentalità progettuale e un’azione comune a beneficio dei giovani, delle famiglie e degli adulti degli ambienti popolari.

18 Evangelii Gaudium, nn. 49. 27.

19 Cfr. Evangelii Gaudium, 20-24, 46.

20 Cfr. Evangelii Gaudium, 46-47.

21 Cfr. NovoMillennio Ineunte, 93-45.

22 Cfr. Evangelii Gaudium, 93-97.

  1. Il Sistema preventivo non è solo per l’animazione pastorale ma regola in modo salesiano anche le relazioni all’interno della comunità. Ci ispira a essere profeti di fraternità gli uni per gli altri, soprattutto nei momenti di sofferenza e nella ricerca di relazioni più profonde. Siamo, dunque, “segni e portatori dell’amore di Dio” (Cost. 2) non solo nei confronti dei giovani, ma anche dei confratelli.

  2. Casa” e “famiglia” sono i due vocaboli frequentemente utilizzati da Don Bosco per descrivere lo “spirito di Valdocco” che deve risplendere nelle nostre comunità. In questo senso accogliamo l’appello evangelico e carismatico alla mutua comprensione e corresponsabilità, alla correzione fraterna e alla riconciliazione.

  3. La formazione, sia iniziale, sia continua, è chiamata a incidere, avvalendosi del contributo delle scienze umane, sulle dinamiche profonde relazionali, della vita affettiva e sessualità che influiscono sugli equilibri della vita comunitaria. Nei processi formativi, è bene affrontare tali argomenti in modo più competente, frequente e condiviso senza confinarli esclusivamente nella direzione spirituale e nella pratica del sacramento della riconciliazione.

  4. La formazione, personalmente accolta, ci aiuta a purificare le motivazioni, abituandoci a vivere con retta intenzione; ci educa al lavoro e temperanza con un impegno apostolico disciplinato e disinteressato che sa disegnare i necessari confini nelle relazioni interpersonali; ci allena a uno stile di vita sobrio che ci permette di svolgere il lavoro manuale ed i servizi ordinari ed umili in comunità.

  5. Il Direttore è una figura centrale; egli, più che gestore, è un padre che riunisce i suoi nella comunione e nel servizio apostolico. A causa della complessità delle nostre opere, dei molteplici incarichi e di una formazione poco adeguata, egli non sempre è nella condizione di prendersi cura della vita fraterna, del discernimento e della corresponsabilità secondo il progetto di vita della comunità e il progetto educativo-pasto‑

rale. Incide, in alcune situazioni, il debole sostegno da parte dei confratelli.

In uscita verso le periferie,

divenendo segni profetici a servizio dei giovani

  1. I giovani sono il “nostro roveto ardente”23 attraverso il quale Dio ci parla. È un mistero da rispettare, accogliere, di cui scorgere i lineamenti più profondi, davanti al quale togliersi i sandali per contemplare lo svelamento di Dio nella storia di tutti e di ciascuno. Questa forte esperienza di Dio ci permette di rispondere al grido dei giovani24.

  2. Ci rendiamo conto che l’unione con Dio va vissuta tra i giovani: “Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza della vita”25. La missione si sviluppa autenticamente quando noi l’accogliamo come proveniente da Dio, e quando da Lui traiamo sostentamento per il nostro servizio.

  3. Siamo consapevoli che la forza e la condivisione delle motivazioni di fede e la ricerca quotidiana dell’unione con Dio arricchiscono la riflessione pastorale, conferiscono creatività all’annuncio del Vangelo, ci spingono a dare la nostra vita ai giovani. Si realizza così il duplice movimento proprio del sistema preventivo: alla scuola dell’amore di Dio, che ci precede amandoci (cfr. 1Gv 4,10.19) anche attraverso i giovani, diveniamo capaci di un “amore preveniente” (Cost. 15).

  4. Vogliamo essere una Congregazione di poveri per i poveri. Come Don Bosco riteniamo che questo sia il nostro modo di vivere con radicalità il Vangelo, così da essere più disponibili e pronti ad aderire alle esigenze dei giovani, operando nella

23 Cfr. Es 3,2ss; cfr. Evangelii Gaudium, 169.

24 Cfr. Evangelii Gaudium, 187-193, 211.

25 CG23, 95.

nostra vita un autentico esodo verso i più bisognosi. Gli immigrati, i profughi e i giovani disoccupati ci interpellano come salesiani in tutte le parti del mondo: ci invitano a trovare forme di collaborazione e ci spronano a dare risposte concrete e ad avere una mentalità più aperta, solidale e coraggiosa26.

  1. Il genericismo pastorale non esprime il carisma salesiano ed è conseguenza di una inadeguata progettazione (cfr. ACG 334). Esso è dovuto a una scarsa adesione alle attese più profonde dei giovani, ad una mancata valorizzazione delle indicazioni del magistero salesiano e ad una debole osservanza delle Costituzioni.

  2. La nostra azione educativa pastorale è in sintonia con la Chiesa locale e collabora con le istituzioni del territorio, per un servizio più incisivo e qualificato a favore dei giovani e degli ambienti popolari. La pastorale giovanile e la proposta pedagogica salesiana non sono nostra proprietà riservata o ad esclusivo uso all’interno della Congregazione, ma un dono prezioso per la Chiesa e per la trasformazione del mondo.

  3. Il Sistema preventivo per noi salesiani è metodologia pedagogica, proposta di evangelizzazione giovanile, profonda esperienza spirituale. Occorre impegnarsi maggiormente per una sua rinnovata comprensione e pratica nelle mutate condizioni odierne. Vorremmo mettere particolarmente in luce come sia una “spiritualità da vivere”; la fecondità del nostro lavoro è frutto di un’intensa vita spirituale vissuta con i giovani (cfr. Cost. 20) e per la loro salvezza.

  4. L’assistenza salesiana è un aspetto fondamentale della nostra spiritualità. L’essere con i giovani e farsi loro prossimi, guadagnarne la confidenza e accompagnarli nell’adesione di fede, permette di incontrare Dio e di ascoltarlo, di donare tutte le forze “fino all’ultimo respiro”27 e di testimoniare il dono della nostra vita secondo la logica della croce. Vivendo così, parte‑

26 Cfr. Evangelii Gaudium, 210.

27 MB XVIII, p. 258.

cipiamo al dinamismo pasquale, certi che la bellezza della risurrezione colma di gioia e pace l’autentico dono di noi stessi.

  1. Vivere il binomio lavoro e temperanza riempie la vita del salesiano, alimenta il suo zelo apostolico e lo rende prossimo ai giovani, al Signore e ai confratelli. Il fronte apostolico deve essere proporzionato alla consistenza qualitativa e quantitativa della comunità e della Comunità Educativa Pastorale.

  2. Ribadiamo la necessità che la formazione tenga conto di un allenamento e di una preparazione al servizio dei giovani anche attraverso lo studio approfondito, il dialogo culturale ed esperienze pastorali significative, curando un continuo aggiornamento secondo gli orientamenti della Chiesa e della Congregazione.

  3. Il mondo digitale, “nuovo areopago del tempo moderno”28 ci interpella come educatori dei giovani: esso è un “nuovo cortile”, un “nuovo oratorio” che richiede la nostra presenza e stimola in noi nuove forme di evangelizzazione ed educazione. La nostra “era della conoscenza e dell’informazione”, tende però a una mercificazione dei rapporti umani e a una monopolizzazione del sapere umano, divenendo così “fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo”29, che dobbiamo affrontare con il nostro impegno pastorale ed educativo.

28 GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, 37.

29 Cfr. Evangelii Gaudium, 52.

III. CAMMINO

1. TRAGUARDO

63. Testimoniare la radicalità evangelica attraverso la continua conversione spirituale, fraterna e pastorale

  1. vivendo il primato di Dio nella contemplazione del quotidiano e nella sequela di Cristo;

  2. costruendo comunità autentiche nelle relazioni e nel lavoro secondo lo spirito di famiglia;

  3. ponendoci in modo più deciso e significativo a servizio dei giovani più poveri.

2. PROCESSI E PASSI

Come Don Bosco, in dialogo con il Signore

64. Per essere MISTICI nello Spirito è necessario passare:

  1. da una spiritualità frammentata ad una spiritualità unificante, frutto della contemplazione di Dio in Gesù Cristo e nei giovani.

  2. dall’atteggiamento di chi si sente già formato all’umile e permanente ascolto della Parola di Dio, dei confratelli e dei giovani.

65. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

1. Vivere quotidianamente l’Eucaristia come fonte della nostra fecondità apostolica e celebrare il Sacramento della riconciliazione come ripresa frequente del nostro cammino di conversione.

  1. Coltivare la preghiera personale nel contatto quotidiano con la Parola di Dio, praticando quotidianamente la meditazione, e curare la qualità della preghiera comunitaria, condividendola con i giovani e i membri della CEP.

  2. Caratterizzare il progetto di animazione e di governo a tutti i livelli per il prossimo sessennio, mettendo al centro la Parola di Dio.

Camminiamo insieme mossi dallo Spirito

66. Per essere MISTICI nello Spirito è necessario passare:

  1. da una testimonianza debole dei consigli evangelici a una vita piena di passione nella sequela di Gesù capace di svegliare il mondo, richiamando ai valori essenziali dell’esistenza.

  2. da uno sguardo pessimistico sul mondo ad una visione di fede che scopre il Dio della gioia nelle vicende della vita e nella storia dell’umanità.

67. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

  1. Vivere con gioia e autenticità la grazia della consacrazione, elaborando o ridefinendo il progetto personale di vita ed il progetto comunitario.

  2. Avere una guida spirituale stabile e riferirsi ad essa periodicamente.

  3. Approfondire la nostra spiritualità mediante la lettura frequente delle Costituzioni e lo studio delle Fonti salesiane.

  4. Prevedere momenti di condivisione spirituale comunitaria a partire dalla Parola di Dio, valorizzando particolarmente la lectio divina.

  5. Verificare e promuovere come comunità e come singoli confratelli l’armonia tra preghiera e lavoro, tra riflessione e apostolato, attraverso adeguati “scrutinia”.

  6. Curare la traduzione delle Fonti salesiane nelle diverse lingue.

  1. Aggiornare il manuale “In dialogo con il Signore” e gli altri sussidi di preghiera.

  2. Attivare iniziative di formazione per salesiani e laici e qualificare a livello regionale un Centro di formazione permanente o valorizzare quelli di altre Regioni.

Facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco

68. Per essere PROFETI della fraternità è necessario passare:

  1. da rapporti funzionali e formali a relazioni cordiali, solidali e di comunione profonda;

  2. dai pregiudizi e dalle chiusure alla correzione fraterna e alla riconciliazione.

69. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

  1. Dare spazio alla pratica del dialogo con l’altro30, attivando dinamiche positive di comunicazione interpersonale tra confratelli, giovani, laici e membri della Famiglia Salesiana, avvalendoci anche del contributo delle scienze umane.

  2. Vivere relazioni di fraternità, vicinanza e ascolto nei confronti dei nostri dipendenti e collaboratori, evitando atteggiamenti autoritari e contro-testimonianze.

  3. Incoraggiare ogni confratello a sostenere insieme al Direttore e al suo Consiglio la responsabilità della comunità.

  4. Andare incontro ai bisogni dei confratelli ammalati e anziani e coinvolgerli nella vita e nella missione comune, secondo le loro effettive possibilità.

  5. Sostenere in modo particolare le comunità che lavorano nelle “frontiere”.

  6. Assicurare la consistenza qualitativa e quantitativa delle comunità attraverso un ridisegno saggio e coraggioso delle presenze.

30 Cfr. Evangelii Gaudium, 88.

  1. Curare le due forme complementari della vocazione religiosa salesiana, assumendo gli orientamenti del CG2631 e continuando la riflessione sia sul versante della vita consacrata, sia sulla specificità dei coadiutori in ordine alla vita fraterna e alla missione.

  2. Rafforzare i cammini di maturazione umana e spirituale e prevedere adeguati percorsi di sostegno per confratelli in difficoltà.

  3. Assicurare adeguati percorsi di accompagnamento per i soggetti coinvolti in eventuali casi di abuso.

  4. Verificare e rilanciare, nel piano del prossimo sessennio, la proposta per la formazione dei Direttori32.

  5. Provvedere da parte del Rettor Maggiore e del Consiglio generale all’aggiornamento del Manuale del Direttore e dell’Ispettore.

Disponibili alla progettualità e alla collaborazione

70. Per essere PROFETI della fraternità è necessario passare:

  1. dall’intraprendenza pastorale individualistica alla disponibilità incondizionata alla missione e al progetto comunitario ed ispettoriale.

  2. dalla considerazione dei giovani come semplici destinatari e dei laici come collaboratori alla promozione dei giovani come protagonisti e dei laici come corresponsabili dell’unica missione.

71. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

1. Crescere nella comunione e nella corresponsabilità, mediante l’assunzione del progetto comunitario e del progetto educativo pastorale, dando sviluppo e visibilità alla “cultura salesiana”33.

31 CG26, 74-78.

32 Cfr. CG21, 46-57; CG25, 63-65.

33 Cfr. ACG 413, p. 53.

  1. Creare sinergie con altri gruppi della Famiglia Salesiana che lavorano per e con i giovani e ne promuovono i diritti34.

  2. Lavorare in rete collegandosi efficacemente con la Chiesa locale, le altre Famiglie religiose, le agenzie educative, sociali e governative.

  3. Strutturare percorsi più adeguati nella formazione iniziale diretti al coinvolgimento nella pastorale giovanile, alla abilitazione alla lettura delle problematiche sociali del territorio, ed alla progettazione educativa e pastorale.

  4. Integrare nel progetto educativo pastorale ispettoriale e locale la pastorale familiare, prevedendo la formazione e il coinvolgimento dei laici come animatori35.

  5. Organizzare una pastorale salesiana organica e integrale nelle comunità ispettoriali e locali, secondo il “Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana” e la progettazione concorde dei Consiglieri di settore e dei Consiglieri regionali.

  6. Assicurare l’attenzione alla pastorale delle famiglie e alla formazione dei laici a tutti i livelli, e favorire da parte dei settori della missione salesiana e della formazione il coordinamento delle riflessioni e degli interventi.

In uscita verso le periferie

72. Per essere SERVI dei giovani è necessario passare:

  1. dalla distanza dai giovani alla presenza attiva ed entusiasta in mezzo a loro con la passione del Buon Pastore.

  2. da una pastorale di conservazione a una pastorale “in uscita” che parte dai bisogni profondi dei giovani più poveri considerati nel loro ambiente familiare e sociale.

34 Cfr. Carta d’identità della Famiglia Salesiana, 21,41.

35 Cfr. CG26, 99, 102, 104.

73. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

  1. Promuovere nelle ispettorie una profonda verifica sulla significatività e presenza tra i più poveri delle nostre opere, secondo i criteri offerti dai Capitoli generali e dai Rettori Maggiori, in vista di una “conversione pastorale strutturale” e di una maggiore finalizzazione verso le nuove povertà (cfr. Reg. 1).

  2. Assumere insieme ai laici il “Quadro di riferimento della pastorale giovanile”, attivando processi di rinnovamento, valorizzando le forze del volontariato esistenti e considerando le nuove frontiere esistenziali e geografiche dei giovani più poveri.

  3. Promuovere e difendere i diritti umani e dei minori attraverso l’approccio innovativo del Sistema preventivo, prestando particolare attenzione al lavoro minorile e al commercio sessuale, alla dipendenza da droghe e a tutte le forme di sfruttamento, alla disoccupazione e migrazione giovanile e al traffico di persone.

  4. Favorire nei nostri ambienti un clima di rispetto della dignità dei minori, impegnandoci a creare le condizioni che prevengano ogni forma di abuso e di violenza, seguendo da parte di ogni ispettoria gli orientamenti e le direttive del Rettor Maggiore e del Consiglio generale.

  5. Educare i giovani alla giustizia e alla legalità, alla dimensione sociopolitica dell’evangelizzazione e della carità, accompagnandoli a essere agenti di trasformazione sociale in una logica di servizio al bene comune.

  6. Sensibilizzare le comunità e i giovani al rispetto del creato, educando alla responsabilità ecologica, mediante concrete attività di salvaguardia dell’ambiente e di sviluppo sostenibile.

Divenendo segni profetici a servizio dei giovani

74. Per essere SERVI dei giovani è necessario passare:

  1. da una vita segnata dall’imborghesimento a una comunità missionaria e profetica, che vive la condivisione con i giovani ed i poveri.

  2. da una pastorale di eventi e attività ad una pastorale organica e integrale capace di accompagnamento dei processi di maturazione vocazionale, in sintonia con le nuove prospettive ecclesiali e salesiane.

75. Per realizzare questi processi, ci impegniamo a:

  1. Sviluppare la cultura vocazionale e la cura delle vocazioni alla vita consacrata salesiana, coltivando l’arte dell’accompagnamento e abilitando salesiani e laici a diventare guide spirituali dei giovani.

  2. Vivere il binomio “lavoro e temperanza”, curando uno stile di vita visibilmente povero, eliminando gli sprechi e rendendoci disponibili per i servizi domestici e comunitari.

  3. Praticare una fattiva solidarietà con coloro che si trovano nel bisogno, con i poveri e tra le case salesiane.

  4. Entrare in modo significativo ed educativo nel mondo digitale, particolarmente abitato dai giovani, assicurando un’adeguata formazione professionale ed etica dei confratelli e collaboratori e applicando il “Sistema salesiano di comunicazione sociale”.

  5. Favorire le comunità internazionali anche attraverso la globale ridistribuzione dei confratelli e la promozione dei progetti missionari della Congregazione.

  6. Attivare procedimenti, anche tramite auditing, che garantiscano la trasparenza e la professionalità nella gestione dei beni e delle opere.

  7. Operare un’attenta verifica della Casa generalizia e di altre strutture edilizie della Congregazione, affinché siano segno chiaro e credibile di radicalità evangelica.

DELIBERAZIONI DEL CG27

In base alla verifica circa le strutture del governo centrale della Congregazione, fatta dal Rettor Maggiore e dal Consiglio generale su richiesta del CG26 n. 118, e in base alle proposte pervenute dai Capitoli ispettoriali, da singoli Confratelli, come pure dalla stessa Assemblea capitolare, dopo l’esame fatto dalla Commissione giuridica e dall’Assemblea, il Capitolo Generale ha approvato le seguenti deliberazioni. Alcune di esse riguardano articoli delle Costituzioni e dei Regolamenti Generali; altre sono orientamenti operativi per il governo della Congregazione.

1. DURATA IN CARICA DEL RETTOR MAGGIORE
E DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO GENERALE

76. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento agli articoli 128 e 142 delle Costituzioni che fissano la durata in carica per 6 anni del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale,

considerato che 6 anni sono un arco di tempo adeguato per governare ed animare la Congregazione,

conferma la durata in carica di 6 anni per il Rettor Maggiore e i membri del Consiglio generale, come previsto dagli articoli 128 e 142 delle Costituzioni.

2. RIELEGGIBILITÀ DEL RETTOR MAGGIORE E DEI MEMBRI DEL CONSIGLIO GENERALE

77. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 128 delle Costituzioni che prevede che il Rettor Maggiore possa essere eletto soltanto per un se‑

condo sessennio consecutivo, e in riferimento all’articolo 142 delle Costituzioni che prevede che il Vicario del Rettor Maggiore, i Consiglieri di settore ed i Consiglieri regionali possano essere eletti soltanto per un secondo sessennio consecutivo nel medesimo incarico,

considerato che l’attuale formulazione degli articoli 128 e 142 lascia libera l’Assemblea capitolare di:

confermare o meno per un secondo sessennio nel medesimo incarico il Rettor Maggiore, il Vicario del Rettor Maggiore, i Consiglieri di settore, i Consiglieri regionali;

valorizzare l’esperienza acquisita, per un eventuale altro incarico nel Consiglio generale,

  1. conferma la possibilità di eleggere il Rettor Maggiore soltanto per un secondo sessennio consecutivo, come previsto dall’articolo 128 delle Costituzioni;

  2. conferma la possibilità di eleggere il Vicario del Rettor Maggiore, i Consiglieri di settore, i Consiglieri regionali soltanto per un secondo sessennio consecutivo nel medesimo incarico, come previsto dall’articolo 142 delle Costituzioni.

3. COMPOSIZIONE DEL CONSIGLIO GENERALE

78. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento agli articoli 130, 131, 133 delle Costituzioni, riguardanti i compiti e la composizione del Consiglio generale,

considerato che la struttura attuale del Consiglio generale composto dal Vicario, Consiglieri incaricati di settori speciali e di Consiglieri regionali incaricati di gruppi di ispettorie, permette l’integrazione della visione globale della Congregazione, propria del Rettor Maggiore, del Vicario e dei Consi‑

glieri incaricati di settori speciali, con la visione approfondita

dei gruppi di ispettorie, propria dei Consiglieri regionali,

conferma l’attuale struttura del Consiglio generale prevista dall’articolo 133 §1 delle Costituzioni.

4. VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE

79. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 134 §3 delle Costituzioni, che attribuisce al Vicario del Rettor Maggiore il compito di animare la Famiglia Salesiana,

considerata la richiesta fatta dal Capitolo generale 26° di operare una verifica di tale affidamento al termine del sessennio1,

poiché ritiene che sia preferibile affidare l’animazione della Famiglia Salesiana a un Segretariato centrale direttamente dipendente dal Rettor Maggiore, a norma dell’articolo 108 dei Regolamenti generali, per le seguenti motivazioni:

  1. un forte impulso è stato dato in questi anni alla Famiglia Salesiana, che è cresciuta nel numero dei suoi membri, nella sua coscienza carismatica mediante l’assunzione della Carta di identità della Famiglia Salesiana e della Strenna del Rettor Maggiore, nella sua visibilità mondiale e ispettoriale;

  2. il riferimento carismatico unico dell’intera Famiglia Salesiana è il Rettor Maggiore in quanto successore di Don Bosco;

  3. un Segretariato centrale istituito dal Capitolo generale e dipendente direttamente dal Rettor Maggiore può meglio assicurare tale legame in forma stabile e con maggiore disponibilità e continuità di tempo da parte delle persone chiamate a comporre il Segretariato;

1 Cfr. CG26, 116.

d) i compiti assegnati al Vicario del Rettor Maggiore dall’articolo 134 delle Costituzioni sono potenzialmente molto ampi, così come sono molteplici e puntuali quelli descritti dal Vademecum per la vita e l’azione del Consiglio generale, tali comunque da richiedere un impegno molto oneroso,

  1. sopprime il § 3 dell’articolo 134 delle Costituzioni, che attribuisce al Vicario del Rettor Maggiore il compito di animare la Famiglia Salesiana;

  2. istituisce un Segretariato centrale per la Famiglia Salesiana direttamente dipendente dal Rettor Maggiore, a norma dell’articolo 108 dei Regolamenti, con i seguenti compiti:

animare la Congregazione nel settore della Famiglia Salesiana e assicurare l’interazione con gli altri settori della Congregazione a livello mondiale;

promuovere, a norma dell’articolo 5 delle Costituzioni, la comunione dei vari gruppi, rispettando la loro specificità e autonomia;

orientare e assistere le ispettorie affinché nei loro territori si sviluppino, secondo i rispettivi statuti, l’Associazione dei Salesiani Cooperatori, il movimento degli Exallievi, l’ADMA.

5. NUMERO E AREE DEI CONSIGLIERI DI SETTORE

80. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento agli articoli 133, 136 e 138 delle Costituzioni,

conferma che i Consiglieri incaricati di settori speciali sono: il Consigliere per la formazione, il Consigliere per la pastorale giovanile, il Consigliere per la comunicazione sociale, il Consigliere per le missioni e l’Economo generale, come indicato nell’articolo 133 §2 delle Costituzioni.

6. COMPITI DEL CONSIGLIERE REGIONALE

81. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento agli articoli 140 e 154 delle Costituzioni, riguardanti rispettivamente i compiti del Consigliere regionale e i gruppi di ispettorie (o regioni),

considerato che i compiti assegnati dalle Costituzioni ai Consiglieri regionali sono adeguati alle esigenze odierne della Congregazione, poiché, senza costituire un livello intermedio di governo, permettono di:

promuovere l’unità della Congregazione e la fluidità dei processi di animazione nella diversità dei contesti;

mantenere vivo il collegamento tra il Rettor Maggiore e il Consiglio generale da un lato, le ispettorie, le comunità locali ed i singoli confratelli, dall’altro;

avere all’interno del Consiglio generale una visione reale e aggiornata delle diverse aree della Congregazione; e tale conoscenza risulta decisiva per l’animazione ed il governo;

rendere presente, specialmente nel corso della visita straordinaria, un tratto fondamentale del nostro carisma, che è l’attenzione al confratello e l’ascolto,

conferma i compiti assegnati ai Consiglieri regionali dall’articolo 140 delle Costituzioni.

7. MODALITÀ DI ELEZIONE DEL RETTOR MAGGIORE

82. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 141 delle Costituzioni e agli articoli 126, 127 e 128 dei Regolamenti generali, riguardanti la

modalità di elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale,

considerato che il processo di discernimento, guidato e coordinato dalla persona del facilitatore, esterno alla Congregazione, permette di creare un clima positivo e di ricerca della volontà di Dio,

conferma la modalità di elezione del Rettor Maggiore indicata dall’articolo 141 delle Costituzioni e dagli articoli 126 e 127 dei Regolamenti generali.

8. MODALITÀ DI ELEZIONE

DEL VICARIO DEL RETTOR MAGGIORE

83. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 141 delle Costituzioni e agli articoli 126, 127 e 128 dei Regolamenti generali, riguardanti la modalità di elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale,

considerato che

l’attuale modalità assegna piena ed esclusiva responsabilità al Capitolo generale che detiene nella Società l’autorità suprema e la esercita a norma del diritto (Cost. 147);

l’elezione diretta da parte della Assemblea sottolinea meglio

il ruolo istituzionale del Vicario del Rettor Maggiore,

conferma la modalità di elezione del Vicario del Rettor Maggiore indicata dall’articolo 141 delle Costituzioni e dagli articoli 126 e 127 dei Regolamenti generali.

9. MODALITÀ DI ELEZIONE

DEI CONSIGLIERI DI SETTORE

84. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 141 delle Costituzioni e agli articoli 126, 127 e 128 dei Regolamenti generali, riguardanti la modalità di elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale,

considerato che, nella fase di discernimento per la elezione dei Consiglieri di settori, occorre:

individuare i candidati più adeguati per capacità e competenze;

favorire la corresponsabilità e la partecipazione da parte di tutte le regioni “alla scelta dei responsabili di governo” (Cost. 123) a livello mondiale;

coinvolgere i membri del Capitolo, riuniti per regioni, in un processo di discernimento che matura nel dialogo e nella ricerca comune;

far maturare delle convergenze su alcuni candidati,

delibera che la elezione dei Consiglieri di settore sia preceduta da un discernimento da parte dei confratelli capitolari suddivisi per regioni, sulle principali sfide del settore e sul profilo del candidato. Tale processo di discernimento si conclude con la proposta all’Assemblea di un candidato della propria regione e di uno al di fuori della propria regione, individuati con votazione a scrutinio segreto. In tal senso è modificato l’articolo 127 dei Regolamenti generali.

10. MODALITÀ DI ELEZIONE

DEI CONSIGLIERI REGIONALI

85. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 141 delle Costituzioni e agli articoli 126, 127 e 128 dei Regolamenti generali, riguardanti la modalità di elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio generale,

considerato che la formulazione dell’articolo 128 dei Regolamenti generali come modificata dal Capitolo generale 26°2 permette all’Assemblea capitolare di conoscere con maggiore chiarezza l’orientamento prevalente dei confratelli della regione,

conferma la modalità di elezione dei Consiglieri regionali indicata dall’articolo 128 dei Regolamenti generali.

11. COORDINAMENTO

NEL CONSIGLIO GENERALE

86. Il Capitolo generale 27°,

visti gli articoli 133 delle Costituzioni e 107 dei Regolamenti generali,

vista la deliberazione del Capitolo generale 26° n. 117,

considerato l’esito della consultazione delle ispettorie, con le motivazioni e i suggerimenti da esse espressi, nonché il dibattito assembleare precedente la elezione dei membri del Consiglio generale, dai quali è emersa in modo evidente la necessità di un maggiore coordinamento dell’azione dei Consiglieri incaricati di settori specifici tra loro e con i Consiglieri regionali,

poiché ritiene che

2 Cfr. CG26, 119.

  1. la composizione del Consiglio generale, stabilita dall’articolo 133 delle Costituzioni, intende favorire simultaneamente un’azione di raggio mondiale in settori specifici e un’azione di prossimità alle ispettorie in determinate aree geografiche (le regioni o gruppi di ispettorie);

  2. tale articolazione, per essere efficace, richiede sinergia e coordinamento per evitare la dispersione e la frammentazione degli interventi;

delibera di modificare come segue l’articolo 107 dei Regolamenti generali:

L’animazione della missione salesiana a livello mondiale richiede l’individuazione di obiettivi comuni e sinergie tra i Consiglieri incaricati di settori specifici, e il coordinamento degli interventi con i Consiglieri regionali, mediante incontri sistematici di programmazione e verifica.

I Consiglieri generali incaricati di settori specifici, per assolvere i compiti loro affidati, si avvalgono di uffici tecnici e di consulte.

La loro istituzione, il loro organico e le modalità di funzionamento sono di competenza del Rettor Maggiore con il consenso del suo Consiglio”.

12. CONFIGURAZIONE DELLE REGIONI DI EUROPA E MEDIO ORIENTE

87. Il Capitolo generale 27°,

visti gli esiti della consultazione di tutte le ispettorie d’Europa e del Medio Oriente,

considerato il parere del Consiglio generale,

considerato che la configurazione interna alle tre regioni è significativamente mutata dopo le ultime ristrutturazioni della

Francia-Belgio Sud (2008), dell’Italia (2008), e della Spagna (2014),

tenuto conto della diminuzione del numero di confratelli in tutta l’Europa e del ridimensionamento delle opere in atto in diverse ispettorie,

considerato che il “Progetto Europa” avviato dal Capitolo generale 26°3 intende promuovere e rafforzare le sinergie tra le diverse ispettorie, in vista anche al rinvigorimento del carisma,

considerato che all’interno delle regioni si potranno stabilire più Conferenze ispettoriali (Cost. 155), per garantire un collegamento più stretto,

considerato che, ferma restando l’importanza della visita straordinaria per la conoscenza dei confratelli e della realtà di ciascuna ispettoria, si possono adottare altre modalità di svolgimento delle visite (ad esempio con un visitatore straordinario che non coincida sempre con il Consigliere regionale), in modo da garantire il servizio di animazione del Consigliere regionale come espressione di comunione e di coordinamento,

in sostituzione delle regioni Europa Nord, Europa Ovest, Italia e Medio Oriente, istituisce i seguenti due gruppi di ispettorie:

Regione MEDITERRANEA costituita dalla Circoscrizione Italia centrale, dalla Circoscrizione Piemonte e Valle d’Aosta e dalle ispettorie Italia Lombardo-Emiliana,Italia Meridionale, Italia Nord Est, Italia Sicilia, Medio Oriente, Portogallo, Spagna Barcellona, Spagna Bilbao, Spagna León, Spagna Madrid, Spagna Sevilla, Spagna Valencia.

Regione EUROPA CENTRO E NORD costituita dalle ispettorie dell’Austria, Belgio Nord, Croazia, Francia-Belgio Sud, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Polonia Cracovia, Polonia Piùa, Polonia Varsavia, Polonia Wrocùaw, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria e dalla Circoscrizione dell’Ucraina.

3 Cfr. CG26, 108-111.

13. VISITA STRAORDINARIA

88. Il Capitolo generale 27°,

in riferimento all’articolo 104 dei Regolamenti generali,

considerato il parere positivo delle ispettorie consultate e le motivazioni addotte,

considerato il parere del Consiglio generale e le motivazioni addotte,

ritiene che la visita straordinaria sia una modalità valida per animare in modo fraterno le ispettorie, le comunità locali ed i singoli confratelli, oltre che strumento giuridico di governo, previsto dal CIC.

Ritiene anche che:

  1. in riferimento al numero delle ispettorie di una regione, alle lingue parlate, al numero complessivo dei confratelli, per consentire al Consigliere regionale di svolgere gli altri compiti a lui affidati dalle Costituzioni e dai Regolamenti generali, il Rettor Maggiore, secondo quanto previsto dall’articolo 104 dei Regolamenti generali, possa affidare l’incarico di svolgere la visita straordinaria, oltre che al Consigliere regionale, a un altro membro dei Consiglio generale, o a uno o più confratelli da lui designati, in collegamento con il Consigliere regionale;

  2. è necessario che ogni regione abbia un ufficio studi e documentazione, a sostegno dell’azione del Consigliere regionale in vista anche della visita straordinaria;

  3. è indispensabile l’ascolto personale di ciascun confratello durante la visita straordinaria e l’incontro con gli organismi di partecipazione e i laici in posti di responsabilità;

  4. la preparazione della visita straordinaria, l’accompagnamento successivo e l’incontro periodico con l’Ispettore e il Consiglio ispettoriale sono elementi fondamentali per favorire il sostegno fraterno, l’unità con il Rettor Maggiore e l’assunzione degli orientamenti dei Capitoli generali.

Pertanto,

conferma la modalità della visita straordinaria, prevista dall’articolo 104 dei Regolamenti generali.

14. VISITA DI INSIEME

89. Il Capitolo generale 27°,

considerata la prassi in uso che prevede, a metà del sessennio di governo del Rettor Maggiore e del Consiglio generale, la realizzazione in ciascuna regione di una o più “Visite d’insieme”,

poiché ritiene che essa sia uno strumento di animazione utile che permette, con modalità flessibili,

una maggiore conoscenza delle regioni,

la condivisione di problematiche comuni e di orientamenti della Congregazione,

la comunione con il Rettor Maggiore e il Consiglio generale, – l’ascolto diretto dei Consigli ispettoriali,

la verifica della attuazione delle deliberazioni del Capitolo generale precedente,

conferma la validità della “Visita di insieme” come strumento di animazione della Congregazione, secondo modalità fles‑

sibili che permettono l’ascolto diretto e la condivisione.

15. COMMISSIONE ECONOMICA

90. Il Capitolo generale 27°,

vista la relazione dell’Economo generale all’Assemblea capitolare,

considerata la necessità di dare forma stabile, per il livello mondiale, a quanto previsto dall’art. 185 dei Regolamenti generali,

chiede al Rettor Maggiore e al Consiglio generale di istituire una “Commissione Economica”, composta di membri non residenti, salesiani e professionisti non salesiani, che collaborino stabilmente con l’Economo generale.

La Commissione Economica avrà i seguenti compiti:

  1. analizzare i bilanci preventivi e consuntivi delle ispettorie e visitatorie della Congregazione;

  2. presentare una relazione annuale al Consiglio generale sullo stato economico e finanziario delle ispettorie e visitatorie;

  3. studiare l’allocazione del patrimonio mobiliare della Direzione generale nel rispetto dei criteri di eticità e di gestione responsabile e prudente delle risorse;

  4. operare la revisione delle strutture edilizie della Direzione generale, del loro impiego, dei costi di manutenzione ordinaria e straordinaria;

  5. revisionare il bilancio preventivo e consuntivo annuale della Direzione generale, suggerire azioni di miglioramento secondo criteri di povertà, funzionalità, trasparenza, e informare le ispettorie e visitatorie sull’impiego delle risorse;

  6. proporre forme di solidarietà;

  7. esaminare la situazione di ispettorie e visitatorie in difficoltà economica e suggerire gli interventi necessari;

  8. esaminare annualmente l’andamento economico della Università Pontificia Salesiana e della Visitatoria UPS, in vista della loro sostenibilità;

1) verificare annualmente le convenzioni in atto con la Circoscrizione speciale del Piemonte e della Valle d’Aosta (ICP) per i luoghi salesiani maggiori (Valdocco Casa Madre, Colle Don Bosco);

j) offrire consulenza su particolari esigenze dell’Economato generale o su problematiche indicate dal Rettor Maggiore e dal Consiglio generale;

k) elaborare con l’Economo generale i programmi dei corsi di formazione degli economi ispettoriali.

16. RAPPRESENTANZA

AL CAPITOLO GENERALE

91. Il Capitolo generale 27°,

visto l’articolo 114 dei Regolamenti generali sulla partecipazione al Capitolo generale,

visto l’articolo 123 delle Costituzioni che sancisce il principio della partecipazione dei confratelli alla scelta dei responsabili di governo e alla elaborazione delle loro decisioni, «secondo le modalità più convenienti» (Cost. 123).

considerato che:

  1. in base alla sua natura, il Capitolo generale deve avere una composizione tale che sia rappresentativo dell’intera Società, in base a quanto stabilito dall’articolo 151 delle Costituzioni, dove vengono elencati dapprima i membri «ex officio» o di diritto, poi vengono i delegati eletti tra i professi perpetui nelle varie circoscrizioni della Congregazione;

  2. per assicurare la prevalenza del numero dei Capitolari eletti rispetto al numero dei membri partecipanti di diritto al Capitolo generale, è stata codificata la procedura dell’elezione dei delegati secondo il criterio quantitativo;

  3. i progressivi accorpamenti delle ispettorie con numeri molto elevati avvenuti nella Congregazione e la presenza di ispettorie con numeri esigui di confratelli rende necessaria una revisione dei criteri di elezione dei delegati al Capitolo generale, in vista di un’equa rappresentatività allo stesso, in riferimento al numero dei confratelli presenti in ispettoria,

modifica come segue l’articolo 114 dei Regolamenti generali:

Le ispettorie con meno di duecento professi e le visitatorie invieranno al Capitolo generale un delegato eletto dai rispettivi Capitoli. Le ispettorie, inoltre, invieranno un altro delegato ogni duecento professi o frazione. Le altre eventuali circoscrizioni giuridiche di cui all’articolo 156 delle Costituzioni, avranno quella rappresentanza che è stata definita nel loro decreto di erezione.

17. PERSONALE PER I LUOGHI SALESIANI

92. Il Capitolo generale 27°,

vista la richiesta avanzata dal Capitolo ispettoriale della Circoscrizione speciale del Piemonte e della Valle d’Aosta (ICP),

vista la linea di azione n.1 del Capitolo generale 26° che impegnava il Rettor Maggiore con il suo Consiglio a promuovere “un’équipe internazionale di confratelli per l’animazione dei luoghi d’origine del carisma salesiano” (CG 26, 12),

considerata l’importanza storica e carismatica dei luoghi salesiani che sono patrimonio dell’intera Congregazione da conservare, promuovere e valorizzare,

considerata la necessità di un progetto che valorizzi appieno i luoghi delle origini salesiane in chiave pastorale e vocazionale, per i giovani e per la Famiglia Salesiana, specie in previsione del bicentenario della nascita di Don Bosco,

delibera che il reperimento del personale salesiano delle comunità di Torino Valdocco “Maria Ausiliatrice” e del Colle Don Bosco sia di competenza del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, entro un progetto complessivo che impegni il Consiglio generale, l’Ispettore e il Consiglio ispettoriale ICP, la solidarietà di tutte le ispettorie.

18. ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE, PORTALE WWW.SDB.ORG, AGENZIA INFO SALESIANA

93. Il Capitolo generale 27°,

considerato l’esito della consultazione delle ispettorie, considerato il parere del Consiglio generale,

considerato che:

gli Atti del Consiglio generale sono il bollettino ufficiale di informazione del Rettor Maggiore e del Consiglio generale;

il portale web www.sdb.org permette la conoscenza e la diffusione di una grande ricchezza di contenuti;

l’Agenzia INFO Salesiana (ANS) si è consolidata come uno strumento necessario di informazione interna ed esterna alla Congregazione,

conferma la validità degli Atti del Consiglio generale, del portale web www.sdb.org, della Agenzia INFO Salesiana (ANS), come strumenti di informazione e di formazione.

19. PROGETTO DI ANIMAZIONE E GOVERNO DEL RETTOR MAGGIORE

E CONSIGLIO GENERALE PER IL SESSENNIO

94. Il Capitolo generale 27°,

considerato l’esito della consultazione delle ispettorie, considerato il parere del Consiglio generale,

considerato che:

il Progetto di animazione e di governo del sessennio del Rettor Maggiore e del Consiglio generale è uno strumento

che permette di indicare le linee progettuali dell’animazione e del governo a livello mondiale, a partire dagli orientamenti del Capitolo generale;

esso permette all’interno del Consiglio generale, di individuare gli obiettivi, creare sinergie e coordinare gli interventi nei modi e nei tempi;

il dialogo con le regioni e con le Consulte mondiali dei settori specifici, prima di redigere il Progetto, favorisce il coinvolgimento e permette di cogliere attese e sensibilità;

un testo essenziale, operativo e verificabile in itinere, con una chiara scansione temporale degli interventi, favorisce la comunicazione e l’armonizzazione con le programmazioni delle Ispettorie e delle Conferenze ispettoriali,

conferma la validità del Progetto di animazione e di governo del sessennio redatto dal Rettor Maggiore e dal Consiglio generale, per attuare gli orientamenti del Capitolo generale e rispondere ai bisogni della Congregazione.

ALLEGATI

ALLEGATO 1

DISCORSO DEL RETTOR MAGGIORE DON PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA ALL’APERTURA DEL CG27

Camminate dunque nel Signore Gesù Cristo, come l’avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell’azione di grazie” (Col 2,6-7)

1. Una parola di saluto e di benvenuto

Eminenza Reverendissima

Card. João Braz de Aviz

Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica

Eminenze Reverendissime

Card. Tarcisio Bertone

Card. Riccardo Ezzati

Card. Raffaele Farina

Card. Oscar Rodríguez Maradiaga

Eccellentissimo Mons. Gino Reali,

Vescovo di Porto e Santa Rufina

Eccellentissimo Mons. Francesco Brugnaro, Arcivescovo di Camerino - Exallievo salesiano Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi Salesiani

Gentilissima Madre Yvonne Reungoat,

Superiora Generale dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice Carissimi Responsabili dei vari Gruppi della Famiglia Salesiana

Reverendissimo Padre David Glenday,

Segretario generale dell’Unione Superiori Generali

A nome di tutti i Capitolari, Vi ringrazio di cuore per aver colto l’invito ad essere con noi, condividendo la gioia e la preghiera nel giorno dell’apertura del Capitolo Generale 27° della Società di San Francesco di Sales. Apprezziamo la vostra presenza come segno di vicinanza fraterna e contiamo sulla vostra simpatia e sulle vostre preghiere per il buon esito di questa Assemblea. Grazie a tutti.

Carissimi Confratelli Capitolari, Ispettori e Superiori di Visitatorie, Delegati ispettoriali, Osservatori invitati, venuti da tutto il mondo per prendere parte a questa importante assise della nostra amata Congregazione.

2. Guidati dallo Spirito

Domenica 10 novembre 2013, ultimo giorno della visita alla Ispettoria di Calcutta, ho avuto la grazia di visitare, ancora una volta, la casa madre delle Suore della Carità di Madre Teresa. Se la prima volta ero stato accolto da Madre Nirmala, questa volta è stata Madre Prema a ricevermi e accompagnarmi a pregare davanti al letto sul quale era spirata Madre Teresa, nella stessa camera dove era vissuta sino alla sua Pasqua. La nostra preghiera era poi continuata davanti alla sua tomba, nella Cappella della Casa Madre.

Vi confesso che, in quel momento, ho sentito un’ispirazione profonda, simile a quella vissuta davanti all’urna del Padre Pio nel luglio scorso, su ciò che rappresenta per noi la “radicalità evangelica”. I santi, in particolare Padre Pio e Madre Teresa, come Don Bosco ci testimoniano il modo di vivere il vangelo radicalmente.

2.1. Sulla scia della ‘radicalità evangelica’

In quel momento, in quei luoghi santi, ho pregato per tutta la Congregazione e per il buon esito spirituale e pastorale del nostro Capitolo Generale. Spero tanto che questa particolare esperienza di preghiera e di riflessione ci possa riportare a Cristo, alla sua grammatica, che è il suo Vangelo, alla sua logica, che è quella della croce.

Ci tengo a ribadire qui che quello che ci preoccupa non è il futuro della Congregazione, quasi fosse una questione di sopravvivenza, quanto piuttosto la nostra capacità di profezia, vale a dire, la nostra identità carismatica, la nostra passione apostolica, che è la vera rilevanza sociale ed eccle‑

siale, secondo il criterio dato da Gesù stesso: “Da questo tutti sapranno che siete i miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Identità carismatica e passione apostolica vengono date da una “radicalità evangelica” che altro non è che la contemplazione di Cristo in una forma tale che ci permette di diventare, poco a poco, una sua fedele immagine. La conformazione con Cristo, d’altra parte, consiste nel fare proprio il suo modo d’essere e di agire obbediente, povero e casto, pieno di compassione per i più poveri, amandoli e amando la povertà, facendo di questa una vera beatitudine, sì da viverla con gioia, con umiltà e semplicità.

2.2. Ascoltando il Signore

Ecco l’importanza di questa assise, che viene offerta a noi come un kairos, un forte momento di grazia, nella storia della Congregazione, e dunque nella storia della salvezza, in quanto la stessa Congregazione partecipa della comunione e della missione della Chiesa, fino a quando il Signore vorrà.

Nella vita della Chiesa

Mi sembra doveroso riferirmi qui al modello accattivante e carismatico che ha introdotto nella Chiesa Papa Francesco. Con i suoi gesti, i suoi atteggiamenti e i suoi interventi la sta già rinnovando profondamente, cercando di illuminare le menti, di riscaldare i cuori e di irrobustire le volontà di tutti con la luce e il vigore del Vangelo, per fare di noi tutti testimoni coraggiosi, “discepoli missionari del Cristo”, inviati al mondo, senza paura, per servire i più poveri ed emarginati e così trasformare questa società. Non credo che, come Congregazione, possiamo restare indifferenti o distaccati; attraverso Papa Francesco, ne sono convinto, lo Spirito sta parlando alle Chiese e ci propone una vera “conversione personale e pastorale”.

Evidenzierei, innanzitutto, i suoi atteggiamenti e i suoi gesti. Non sono semplicemente notizie per la cronaca dei giornalisti, che stanno dando una grande rilevanza a tutto quanto fa e, nondimeno, a come lo fa. Comunicano già una sua visione di Chiesa, un suo magistero e una sua forma di governo.

In effetti, sin dal suo primo intervento ai Cardinali elettori, Papa Francesco ha proposto un modello di Chiesa in sintonia con le grandi scelte del Vaticano II – anche se egli non ne parla tanto; in armonia naturalmente con la nuova evangelizzazione – anche se egli non lo sottolinea esplicitamente –; sotto l’influsso della pastorale latino-americana, da Medellín con la scelta

per i poveri, fino ad Aparecida con la scelta di una Chiesa formata da discepoli missionari di Cristo, pienamente inseriti nella realtà quotidiana.

La prima cosa da segnalare in Papa Francesco è, appunto, quel suo rimanere attento alla realtà concreta, ma con una squisita sensibilità pastorale, cercando di contemplare Dio in tutto e guardare tutto con lo sguardo di Dio. In questo modo possiamo scoprire il bisogno di salvezza proprio di questa società e l’urgenza di avviare processi di trasformazione adatti a renderla più umana e fraterna, più consona al disegno di Dio. Egli cerca di fare tutto ciò mantenendo e costruendo unità, senza inasprire le dinamiche sociali.

Questa è la Chiesa che Papa Francesco si sente chiamato a costruire in fedeltà a Gesù e al suo Vangelo: una Chiesa al servizio di questo mondo. Si tratta di una Chiesa libera da quella mondanità spirituale che porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio; elementi tutti che costituiscono una vera idolatria. Egli vuole una Chiesa libera dal narcisismo teologico, dalla tentazione di congelarsi nel proprio quadro istituzionale, dal rischio dell’autoreferenzialità, dall’ imborghesimento, dalla chiusura su se stessa, dal clericalismo.

Si tratta ancora di una Chiesa che sia veramente il corpo del Verbo fatto carne e, come Lui, incarnata in questa realtà, attenta ai più poveri e ai sofferenti; una Chiesa che non può ridursi a essere una piccola cappella, essendo chiamata a diventare casa per tutta l’umanità; una Chiesa sempre in cammino verso gli ultimi, cui esprime la sua predilezione senza abbandonare gli altri; una Chiesa che si sente bene sulle frontiere e ai margini della società.

Ciò non significa che la Chiesa debba fare suoi figli tutti gli uomini e le donne del mondo e neppure vuol dire che dobbiamo spingere perché tutti entrino in essa. La Chiesa di Papa Francesco vuole offrirsi come luogo aperto in cui tutti possano trovarsi e incontrarsi, perché in essa c’è spazio per il dialogo, la diversità, l’accoglienza. Non dobbiamo obbligare il mondo ad entrare nella Chiesa; è piuttosto la Chiesa che deve accogliere il mondo come il mondo è, cioè come luogo di salvezza.

Il sogno dell’attuale Papa è una Chiesa che esca sulle strade per evangelizzare, per toccare con mano i cuori delle persone; una Chiesa pronta a servire, che si propone di raggiungere non soltanto le periferie geografiche, ma quelle dell’esistenza, dove a volte stentano a vivere i nostri fratelli e sorelle; una Chiesa povera, che privilegia i poveri e dà loro voce, che vede negli anziani, negli ammalati o nei giovani disabili le “piaghe di Cristo”; una Chiesa che si impegna per superare la terribile cultura dell’indifferenza in cui stiamo vivendo e che porta alla violenza chi si sente sempre più de‑

luso, sfruttato ed emarginato; una Chiesa che dà giusta attenzione e rilevanza alle donne, sia nella società che all’interno delle sue istituzioni.

Molti di questi elementi si possono ritrovare nelle cronache o nei reports di giornali, di settimanali o riviste religiose come se fossero semplici aneddoti curiosi. Invece non è così. Quanto il Santo Padre ci sta proponendo in forma semplice e quotidiana sono elementi di un magistero ricco di evangelica novità! Qui c’è una concezione nuova di Chiesa! Qui c’è un modo nuovo di pensare lo stesso governo della Chiesa! C’è tanto da imparare!

Parlando ai Vescovi del Brasile, diceva che la Chiesa sembra abbia dimenticato che non c’è niente di più alto di Gerusalemme, di più forte della debolezza della croce, di più convincente della bontà, dell’amore, del veloce ritmo dei pellegrini; il cammino della Chiesa infatti non è una maratona, ma un pellegrinaggio. Quindi bisogna rapportare il passo a quello del popolo che dobbiamo affiancare, per trovare il tempo di stare con coloro che camminano, per poterli accompagnare coltivando la pazienza, la capacità di ascolto e la comprensione di situazioni tanto diverse. Non bisogna viaggiare velocemente così da non vedere nulla di ciò che ci circonda!

Rivolgendosi a Rio de Janeiro ai dirigenti della politica e della cultura il Papa ha voluto sottolineare l’importanza della cultura dell’incontro per promuovere una società che riesca a far spazio a tutti, a non escludere nessuno, a non fare degli uomini un materiale di scarto. Una cultura dell’incontro che deve eliminare l’emarginazione sociale dei giovani, ai quali viene negata troppe volte la possibilità di lavoro e di futuro.

Soprattutto nel discorso ai giovani egli li invitava a mettere in gioco la propria vita, a investire le proprie energie nella costruzione della Chiesa e della nuova società, a spendere la vita per quelle cose per cui vale la pena vivere, in particolare Gesù Cristo ed il servizio ai poveri, senza lasciarsi strappare la speranza e la gioia e senza cedere alle promesse di paradisi di felicità a buon mercato.

A volte la Chiesa non ha vitalità, non ha fascino, non ha visibilità e credibilità per continuare ad attirare a sé gli uomini e le donne di questo tempo, specie le nuove generazioni. In meno di un anno di pontificato Papa Francesco si è presentato come un vento nuovo dello Spirito che sta togliendo la polvere della Chiesa, che sta facendo dimagrire la burocrazia, che sta rendendo più povera e semplice la Chiesa, e, soprattutto, la sta spingendo ad uscire sulle strade del mondo per evangelizzare. Ha fatto sentire che la Chiesa è una Madre piena di tenerezza e di amore, piena di dolcezza, piena di umiltà, piena di pazienza. E l’ha insegnato con i suoi gesti, con i suoi at‑

teggiamenti e con le sue scelte personali, con il suo modo di rapportarsi con il mondo.

Tutto questo rappresenta un egregio esempio ed un potente stimolo per noi, cari Capitolari! Se vogliamo portare i giovani all’incontro con il mistero di Dio, questo deve avvenire attraverso grandi esperienze di amore, che aprano il cuore e non trasmettano solo idee o conoscenze su di Lui. E questo lo dovremo attuare nella ristrettezza dei nostri mezzi. Infatti, come Papa Francesco ha detto ai Vescovi brasiliani, la Chiesa, non è un “transatlantico”, ma una piccola barca, una semplice barca di pescatori. Ciò vuol dire che Dio opera attraverso mezzi poveri. Il successo non può poggiare sulla sufficienza umana, ma sull’energia e sulla creatività di Dio. E tutto ciò, chiaramente, è valido anche per noi.

Nel cammino della Congregazione

Mi sembra importante riconoscere, capire e assumere questo splendido momento ecclesiale che stiamo vivendo. Senza pretese eccessive, direi che il cammino che stiamo vivendo, come Congregazione e come Famiglia Salesiana, in preparazione al bicentenario della nascita del nostro amato Padre e Fondatore Don Bosco, è proprio su questa linea. Come Capitolari, siamo consapevoli, ne sono certo, che questo evento chiede a tutti, e a ciascuno di noi, la massima responsabilità, per poter ascoltare la voce del Signore, discernere il suo volere e assumerlo come progetto di vita. Solo così avremo la capacità di leggere la realtà giovanile di oggi ed affrontarla come ha fatto ieri Don Bosco.

Vorrei invitarvi quindi a mettere al centro della nostra Assemblea, sin da questa celebrazione di apertura del Capitolo Generale, la Parola di Dio, in modo che sia Lui a dirci e farci capire ciò che Cristo vuole dalla Congregazione oggi. Sappiamo che cosa ha chiesto a Don Bosco e come lui abbia consegnato tutta la sua esistenza “alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime” per realizzare il ‘sogno’ di Dio e affidarlo a noi per continuarlo, espanderlo e consolidarlo.

Oggi tanta gente non arriva a credere in Cristo perché il suo volto viene offuscato o addirittura nascosto da istituzioni religiose che mancano di trasparenza. In questi ultimi 12 anni abbiamo sofferto tanto a causa di numerosi avvenimenti spiacevoli in cui si sono trovati coinvolti confratelli e ispettorie. Sono certo però che, con l’aiuto di Dio, questi mali potranno essere superati pienamente e questa dolorosa esperienza porterà la Congregazione a recuperare il suo splendore e la sua credibilità proprio lì dove sono

venuti a mancare. In ogni caso, perché questo sia possibile è necessario affrontare i problemi con umiltà e coraggio.

Facciamo ora un passo avanti ponendoci la domanda su quale sia, in questo momento, la volontà di Dio a riguardo di noi come istituzione. Sono convinto che come per la Chiesa, anche per la nostra Congregazione, l’identità, l’unità e la vitalità di essa sia il summum desideratum da parte di Cristo, che vuole che i suoi discepoli siano “sale della terra”, “luce del mondo”, “città costruita sul monte” (cfr. Mt 5,13-16).

Sfide da affrontare

Grazie a Dio la Congregazione non ha finora subito divisioni ed è stata tanto amata e benedetta dal Signore. Grazie a Dio è cresciuta grandemente in questi 150 anni, moltiplicando le sue presenze in tutto il mondo. Oggi però nuove e potenti sfide si presentano all’orizzonte. A mio avviso, e con l’esperienza di questi dodici anni di governo, quelle a cui dobbiamo porre una particolare attenzione, sono tre:

La vita di comunità

Prima di venir a mancare, nella lettera di convocazione del CG25, don Vecchi riteneva che la vita di comunità fosse non solo il tema da studiare, ma, piuttosto, l’elemento di svolta e di rinnovamento della vita della Congregazione. Era convinto che se fossimo stati capaci di creare comunità ricche e avvincenti dal punto di vista umano, animate nello stesso tempo da una grande tensione spirituale, tali da spingerci di nuovo in mezzo ai giovani come loro compagni di strada, la Congregazione si sarebbe profondamente rinnovata.

La vita in comune non trova maggior sicurezza solo nella sua consistenza quantitativa, il che non è indifferente, ma si fonda soprattutto sulla capacità o meno di creare rapporti interpersonali profondi. La grande sfida è appunto quella di passare dalla vita comunitaria alla comunione di vita. La vita di comunità talvolta rischia di degradarsi in una specie di comunitarismo: infatti essere radunati negli stessi ambienti, uniti nei tempi di preghiera e nei luoghi di lavoro, non comporta necessariamente condividere ciò che si sente, ciò che si pensa e si vuole, ciò che ci fa veramente compagni di strada; vivere insieme non è già condividere un progetto carismatico, una missione apostolica.

Nel Consiglio generale ci siamo dati da fare per rinnovare le comunità, cercando superiori, ispettori e direttori, che diventassero realmente l’anima

delle loro comunità (ispettoriali o locali), e che fossero prima di tutto persone con una triplice concentrazione.

Anzitutto, una concentrazione carismatica nel senso che il superiore deve essere il punto di riferimento per quanto riguarda l’identità salesiana. Il suo esercizio dell’autorità, che si veicola attraverso una presenza paterna e benevola in mezzo ai confratelli, promuove la creazione di una ‘cultura salesiana’: le buone notti, la selezione delle letture, il tipo di ritiri che si attuano, l’accompagnamento spirituale che si offre ai confratelli.

Un secondo aspetto, per il direttore o l’Ispettore, è quello di rappresentare una particolare concentrazione di fraternità. Dobbiamo scegliere e formare superiori con una vera paternità spirituale, che abbiano la capacità di creare un clima di fraternità, un autentico spirito di famiglia, che siano sempre disposti a ricevere e ad accompagnare confratelli.

La terza dimensione è una concentrazione pastorale. Auspichiamo di avere superiori capaci di essere veramente l’anima e il cuore del progetto pastorale, soprattutto in un momento come questo, in cui c’è una grande condivisione della missione e degli incarichi importanti con i laici.

Per riuscire in questo è necessario dedicarsi totalmente, anima e corpo. Non è possibile svolgere part time le funzioni che ci vengono affidate, ancor meno queste riferite all’esercizio dell’autorità.

I giovani

Quando sentiamo Papa Francesco dire che “non possiamo tenere le porte chiuse, che dobbiamo aprire le porte, mantenerle aperte, uscire per la strada”; che preferisce “una Chiesa incidentata per la strada a una Chiesa che muore di asfissia”, mi sento confermato in una convinzione profonda che vengo esprimendo da tempo: se non andiamo incontro ai giovani – specialmente a coloro che non vengono da noi –, se ci accontentiamo delle migliaia di giovani che frequentano le nostre opere e con tutto ciò pensiamo di conoscere e servire i giovani, ci sbagliamo di grosso. La grande sfida attuale, infatti, è come raggiungere i giovani più lontani e più in difficoltà, come arrivare veramente al loro mondo, come capire la loro cultura, il loro linguaggio, i loro bisogni, le loro attese. Restando chiusi nelle nostre opere, il rischio è quello di pensarci vivi pastoralmente, mentre stiamo morendo di asfissia. I giovani, in primis quelli che non ci cercano e vagano senza bussola nella vita, sono la nostra patria, la nostra missione.

Personalmente vorrei dirvi che uno dei grandi doni, che il Signore mi ha fatto, è stato quello di essere chiamato a vivere tra i giovani, ad amare i

giovani. Ve lo confesso! Non posso capire la mia vita, il mio ministero, senza pensare ai giovani! Per me essi non sono stati mai un passatempo, una fase della storia della vita salesiana, come quando ero tirocinante; anzi è stato proprio lì, durante il tirocinio, che ho cominciato a capire che era per loro che il Signore mi chiamava a spendere la mia vita.

I giovani sono diventati un’enorme sfida per noi. Il grave rischio che corriamo e, al tempo stesso, la grande tentazione da cui possiamo essere soggiogati, è quello di diventare amministratori di opere, cessando di essere pastori-educatori dei giovani. Ci può spingere a questo l’età o una cultura educativa salesiana non corretta o anche una maniera limitata di intendere la missione, sovente identificata con la gestione di opere. Se non riusciamo a tornare in mezzo ai giovani e a lavorare non solo per loro, ma con loro, non riusciremo veramente a conoscerli, a capirli, e soprattutto – la cosa più tragica – ad amarli. “Basta che siate giovani perché io vi ami assai”. Questo grido di Don Bosco non può essere soffocato. Esso deve essere continuamente trasmesso dalla nostra vita.

Quando il Papa dice che il pastore deve avere l’odore delle pecore, ci ricorda la nostra esperienza salesiana, quella che tutti noi abbiamo vissuta quando eravamo tra i ragazzi, giocando con loro e sudando con loro. È un’espressione molto eloquente, ma soprattutto in sintonia con ciò che ha vissuto Don Bosco e con ciò che abbiamo vissuto tanti di noi. Nella lettera di convocazione del CG precedente, avevo scritto che i giovani erano molto sensibili a tre particolari valori – la libertà, la vita e la felicità – che a volte possono essere mal compresi e portare a pericolose devianze. Oggi non parlerei più delle sfide proprie dei giovani; sono piuttosto arrivato alla convinzione che per noi la sfida sono i giovani stessi, il loro mondo, la loro cultura.

Vocazione e formazione

La terza sfida che la Congregazione è chiamata ad affrontare è il punto riguardante la “vocazione e formazione” dei Salesiani. Considero questo tema di vitale importanza. Per questo ho voluto farne oggetto dell’ultima lettera del mio rettorato. Tanto strategica considero la problematica vocazionale e formativa!

Purtroppo sono tantissimi i confratelli, e non solo giovani, che vivono la vita salesiana come se si trattasse di un volontariato. Si comincia quando e dove si vuole; la si interpreta, la si vive e la si lascia perché e come si vuole. Non si pensa a un disegno salvifico, a un volere di Dio che mi coinvolge in modo tale di farmi vedere che vale la pena viverlo e farlo realtà,

dando una mano – la propria vita – a Dio. Senza questa prospettiva di fede, con una motivazione meramente sociale, si vive la vocazione come un servizio libero e temporale, in una forma arbitraria, senza nessun riferimento a un progetto definitivo.

Nell’ultima visita fatta all’Ispettoria di Calcutta ho avuto l’opportunità di incontrarmi con i Superiori religiosi di quella regione. Comunicando con loro, ho riferito loro di un fatto che mi aveva colpito durante il Symposium sulla Vita consacrata, organizzato dalla USG e dalla UISG, tenutosi a Roma. In tale occasione una teologa, rappresentante dell’Asia Sud, aveva evidenziato un problema riscontrato nel suo paese. Diceva che “le persone, quando vogliono risolvere loro particolari bisogni sociali, sono solite venire da noi, ma, quando hanno bisogno di esperienze spirituali, cercano altrove”. Nella stessa circostanza, dialogando con la Superiora Generale delle Suore della Carità, fondate da Madre Teresa, Lei mi confermò che, in effetti, è proprio così. Ciò che sta uccidendo il senso più profondo della vita consacrata è il fatto che essa sia conosciuta e apprezzata soltanto per il servizio sociale svolto da tante Congregazioni. Accade così che i consacrati vengano considerati come dei social services providers e niente più. Questa visione distorta è, spesso, una delle cause del calo delle vocazioni.

Questa doppia osservazione mi è rimasta molto impressa nel cuore. Penso che ciò che continua ad essere una grande sfida per tutti noi è la grazia di unità, che armonizza il nostro darci a Dio ed il nostro servire i fratelli. Vivendo come Don Bosco, dovremmo realizzare in noi uno splendido accordo tra natura e grazia, vivendo il nostro essere consacrati a Dio e al tempo stesso dediti instancabilmente ai destinatari (cfr. la presentazione di Don Bosco all’art. 21 delle Costituzioni).

Nell’ultima mia lettera circolare ho inteso, inoltre, mettere a fuoco che la nostra è, prima di tutto, una vocazione gratuita di Dio e che va accolta coltivando l’impegno di una formazione permanente. È già preoccupante il fatto che molti di quelli che bussano alle nostre porte per entrare in Congregazione non provengano dalle nostre opere, cioè che non abbiano un adeguato background salesiano e familiare. Per molti confratelli il carisma non è stato assimilato, quasi per osmosi, fin dalla preadolescenza, come, in effetti, era solito accadere tra noi, nel passato. Anzi non pochi confratelli, al contrario, hanno avuto, non di rado, esperienze che non li hanno favorito per la scelta della vita salesiana. A questo si deve aggiungere il fatto che, non sempre, chi fa la selezione vocazionale sceglie persone con una psicologia proattiva, persone con iniziativa, capaci di prendere delle decisioni coraggiose e ordinare la propria vita attorno ad esse.

Nella formazione ci troviamo oggi a rispondere alla triplice problematica che emerge dalla fragilità psicologica, dall’inconsistenza vocazionale e da un certo relativismo etico. Nel nostro recente incontro dei Superiori Generali Papa Francesco ha insistito sull’importanza della selezione, che deve essere accurata e responsabile. Occorre, disse, non accettare persone malate mentalmente o corrotte moralmente. Le persone che pensano soprattutto a sé e non accettano di essere un dono di Dio per gli altri, non servono alla nostra causa.

Noi Salesiani, spesso siamo stati formati prevalentemente a creare ambiente comunitario, a condurre ed animare gruppi di giovani, ma non sempre siamo stati abilitati ad accompagnare persone nel loro particolare itinerario umano e spirituale. Talvolta nei nostri ambienti educativi, ma anche nelle case di formazione, accogliamo ragazzi e giovani con backgrounds familiare, sociale, religioso, salesiano tanto diversi e, con poca saggezza formativa, li mettiamo insieme, ignorando tutto quello che hanno vissuto precedentemente e mettendoli semplicemente a fare le stesse cose. Evidentemente tutto ciò non è formare interiormente una persona, quanto piuttosto conformarla ad un ambiente, a delle situazioni e a delle regole esterne. Infatti è chiaro che, se Dio mi chiama, mi chiama non solo con il mio temperamento, ma con la mia storia, con le mie sensibilità, con le mie qualità, e con un percorso vitale ormai fatto. Formare i nostri giovani ed i nostri confratelli, tenendo conto di tutto ciò, è molto più impegnativo, molto più difficile. Ribadisco quindi che un problema nevralgico è la formazione e per attuare una formazione corretta abbiamo bisogno di formatori nuovi, capaci di capire, di motivare, di correggere, di accompagnare, di entusiasmare. Si pone quindi anche il tema di preparare nuovi formatori e di riqualificare quanti già stanno lavorando in questo compito.

Compiti del Capitolo

Perciò la Congregazione è chiamata in questo Capitolo, che rappresenta un momento straordinario per una preparazione spirituale e carismatica alla celebrazione del bicentenario della nascita di Don Bosco, a conoscere sempre più profondamente il suo Fondatore e Padre, ad assumere con convinzione la sua esperienza pedagogica, il suo sistema preventivo e a fare propria la sua spiritualità segnata dalla carità educativo pastorale. La Congregazione è chiamata in questo Capitolo a rinnovarsi in forma tale da avere la freschezza delle origini, lo slancio missionario della sua adolescenza, il dinamismo della sua gioventù, la santità della sua maturità.

Dobbiamo recuperare fecondità spirituale, diventando santi, mentre viviamo il dono prezioso della nostra vocazione salesiana; fecondità pastorale mentre svolgiamo la missione salesiana a favore dei giovani; e fecondità vocazionale mentre aiutiamo i giovani a capire la vita come vocazione, a scoprire la bellezza dell’essere per gli altri’, a mettere in gioco la loro esistenza per le cause che valgono la pena di essere sposate. Accompagnandoli con l’amore stesso di Don Bosco, camminando assieme a loro vogliamo aiutarli a maturare progetti di vita vera.

L’unità della Congregazione non significa però uniformità. I Salesiani infatti sono chiamati ad incarnare ed inculturare il carisma di Don Bosco in contesti assai diversi, dal punto di vista sociale, economico, politico, culturale, religioso. È evidente pertanto che il Capitolo deve aprire le porte ad una discussione che tenga conto di tutti questi elementi. Tutti sono liberi di esprimere i loro pensieri circa il compito della Congregazione oggi e a riguardo delle sfide più urgenti. Allo stesso tempo tutte le proposte devono ritrovarsi nella linea e nello spirito del Vangelo, nella fedeltà a quanto ci indicano le Costituzioni, che sono la nostra forma salesiana di leggere e voler vivere il Vangelo, e in conformità con ciò che costituisce una sana tradizione della Congregazione, frutto della sua storia.

Certamente leggi e tradizioni, che sono puramente accidentali, possono essere cambiate, ma non ogni cambiamento significa progresso. Bisogna discernere se tali cambiamenti contribuiscano veramente a riaffermare l’identità, a rinsaldare l’unità, a promuovere la vitalità, la santità della Congregazione. Certamente si deve evitare ogni cambiamento che non abbia come criteri questi processi positivi.

Tutto questo sarà possibile a condizione che lasciamo che lo Spirito Santo continui ad animare e rinnovare la nostra vita, a dare slancio alla nostra missione, a rendere feconde le nostre presenze. Egli trascende ogni analisi sociologica o previsione storica. Supera gli scandali, le politiche interne, gli arrivismi e i problemi sociali i quali potrebbero oscurare il volto di Cristo, che, invece, deve brillare anche attraverso le dense nuvole della complessità odierna.

2.3. Rileggendo il carisma oggi

Nell’assemblea dell’Unione Superiori Generali del novembre 2011 si è presa in analisi la vita consacrata in Europa e si è rilevata una situazione allarmante, determinata da alcuni fattori determinanti. Tra questi, l’invec‑

chiamento del personale, il debole o nullo flusso vocazionale, lo squilibrio tra personale disponibile e opere da gestire. Il quadro, pur preoccupante, non va tuttavia considerato disperato. Infatti sono sempre possibili nuovi progetti e campi di missione.

È stato messo in risalto un dato: molti degli Istituti di vita religiosa apostolica sono stati fondati a seguito della rivoluzione francese, in una società e per una società nella quale tutto era disgregato dal punto di vista spirituale e morale. Occorre però che i religiosi chiariscano gli obiettivi di fondo della loro presenza nel mondo di oggi,1 rifacendosi agli elementi fondanti che hanno caratterizzato la loro nascita.

Urgenza di conoscere le origini

L’invito dei Superiori Generali a guardare alle origini non era motivato dalla nostalgia del passato, ma dal bisogno di sapere come i Fondatori e gli Istituti religiosi avevano affrontato le sfide sociali e le necessità apostoliche del loro tempo e come vi avevano risposto. Nello stesso tempo intendevano chiedersi come oggi si possa rispondere – in una fedeltà rinnovata al carisma d’origine – alle sfide della missione, dell’educazione e dell’evangelizzazione, in un clima spirituale e culturale molto simile (per il momento in Europa, ma con una costante tendenza ad estendersi in tutto il mondo) a quello di allora. Infatti le due epoche (quella del nostri Santi Fondatori del XIX secolo e la nostra) risultano avere un carattere simile in quanto hanno dato luogo a “svolte epocali”.

L’invito dei Superiori Generali appare opportuno e necessario: occorre andare alle radici della nascita di tante Congregazioni. Esse sono nate in un preciso momento storico, come risposta dello Spirito a precise domande della società e della Chiesa. A noi, oggi, spetta il compito di interrogarci per vedere come possiamo rispondere nel nostro momento storico ai bisogni attuali dei giovani e alle richieste della società e della Chiesa, senza ridurci però ad essere semplici provveditori di servizi sociali. E questo lo dobbiamo fare «investigando di nuovo» il carisma delle origini per cogliere la sua attualità e capacità di rispondere a tali istanze.

Durante questo triennio di preparazione al bicentenario della nascita di Don Bosco, ma già dal Capitolo precedente con il suo appello a “ritornare a Don Bosco” ci siamo domandati come si è mosso lui nel suo tempo. Egli ha fondato la Congregazione in un periodo in cui già cominciava ad affermarsi un clima di scristianizzazione. Tuttavia ha saputo trovare strategie,

1 Cfr. E. BIANCHI, Testimoni, Numero 14 del 2011.

modalità ed una particolare proposta di formazione umana e cristiana per venire incontro agli adolescenti e giovani che lasciavano la campagna e si recavano a Torino senza casa, senza preparazione professionale, senza punti di riferimento, esposti allo sfruttamento e alla delinquenza.

Come altri Fondatori suoi contemporanei, Don Bosco sentì profondamente l’urgenza e la necessità della formazione delle coscienze, in primo luogo quelle delle persone e delle istituzioni centrali per la società. Ecco allora l’attenzione al mondo giovanile (attraverso la scuola e altri ambiti propri dei giovani), alla famiglia (luogo di convergenza di tanti fattori vitali), alla catechesi (per una formazione cristiana, non superficiale), alla predicazione (per un annuncio attualizzante della Parola di Dio). Sono tutti settori di apostolato che egli ci ha lasciato in eredità. Sono ambiti nei quali ci dobbiamo impegnare con impegno professionale e con passione apostolica.

Oggi come allora la sfida è la stessa: tramite l’educazione riportare nella vita morale, sociale, culturale, politica i valori del Vangelo, non certo per ricreare una nuova “cristianità” e neppure per recuperare spazi o privilegi perduti, ma per dare un contributo alla formazione di una cultura individuale e collettiva che sappia mettere in primo piano le reali necessità della persona umana.

Significato storico ed ecclesiale di Don Bosco

A mio avviso, l’originale apporto di Don Bosco è però da rintracciarsi, prima che nelle tantissime «opere» e in certi elementi metodologici relativamente originali come il famoso “sistema preventivo di Don Bosco”:

nella percezione intellettuale ed emotiva che ebbe della portata universale, teologica e sociale, del problema della gioventù «abbandonata», cioè dell’enorme porzione di gioventù di cui non ci si occupava o ci si occupava male, con soluzioni non adatte;

nella intuizione della presenza a Torino prima – in Italia e nel mondo dopo – di una forte sensibilità, nel civile e nel “politico”, del problema dell’educazione della gioventù e della sua comprensione da parte di intellettuali attenti alla situazione sociale ed ecclesiastici aperti a nuove risposte e, in generale, da un largo strato dell’opinione pubblica;

nell’idea di lanciare doverosi interventi su larga scala nel mondo cattolico e civile, come necessità primordiale per la vita della Chiesa e per la stessa sopravvivenza dell’ordine sociale;

e nella capacità di comunicare il suo progetto coinvolgendo larghe schiere di collaboratori, di benefattori e di ammiratori.

Né politico, né sociologo, né sindacalista ante litteram, semplicemente prete-educatore, Don Bosco partì dall’idea che l’educazione poteva molto, in qualsiasi situazione, se realizzata con il massimo di buona volontà, di impegno e di capacità di adattamento. Si impegnò a cambiare le coscienze, a formarle all’onestà umana, alla lealtà civica e politica e, in questa prospettiva, a “cambiare” la società, mediante l’educazione.

Trasformò i valori forti in cui credeva – e che difese contro tutti – in fatti sociali, in gesti concreti, senza ripiegamento nella dimensione spirituale o nell’ambito ecclesiale inteso come spazio esente dai problemi del mondo e della vita. Anzi, forte della sua vocazione di sacerdote educatore, coltivò uno stile di vita quotidiano che non era assenza di orizzonti, bensì dimensione incarnata del valore e dell’ideale. Non voleva che fosse una nicchia protettiva e un rifiuto del confronto aperto, ma piuttosto un sincero misurarsi con una realtà più ampia e diversificata. Le sue scelte non erano nel segno di un rifiuto di ogni tensione, del sacrificio esigente, del rischio, della lotta. Ebbe per sé e per i salesiani la libertà e la fierezza dell’autonomia. Non volle legare la sorte della sua opera all’imprevedibile variare dei regimi politici. La gloria di Dio e la salvezza delle anime erano il suo unico progetto.

3. Il Capitolo Generale

Ho voluto porre al principio di questo discorso di apertura la citazione della lettera ai Colossesi, perché mi sembra che esprima assai bene quanto siamo chiamati a fare in questo Capitolo Generale.

In effetti, attraverso un’accorata parenesi, Paolo ci dice che dobbiamo vivere in Cristo, rimanendo fedeli al Vangelo contro qualsiasi falsa teoria. Se l’esortazione a “camminare nel Signore” è un appello a una vita corrispondente alla vocazione che abbiamo ricevuto, l’espressione “ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede”, che usa immagini prese dalla natura (‘radice’) e dall’edilizia (‘fondamento’), sta a riaffermare l’esigenza assoluta dell’intimo legame con Cristo. Il termine del paragone “come vi è stato insegnato”, in parallelo al “come l’avete ricevuto”, esprime invece il legame con ciò che è essenziale e perenne, non dipendendo dalle sensibilità culturali.

Se è vero che qualsiasi Capitolo Generale è un avvenimento che supera nella sostanza il solo adempimento formale di ciò che è prescritto dalle Costituzioni, a maggior ragione ritengo debba esserlo il CG27. Esso sarà un evento pentecostale, che avrà lo Spirito Santo come principale protagonista.

Per questo esso si svolgerà tra memoria e profezia, tra riconoscenza fedele alle origini e apertura incondizionata alla novità di Dio. E tutti noi saremo soggetti attivi, con le nostre responsabilità e attese, ricchi di esperienza, disponibili all’ascolto, al discernimento, all’accoglienza della volontà di Dio sulla Congregazione.

Da questo punto di vista il CG27 punta a qualcosa di nuovo e di inedito. Ci spinge l’urgenza della radicalità evangelica. Siamo chiamati a tornare all’essenziale, ad essere una Congregazione povera per i poveri, e a ritrovare ispirazione dalla stessa passione apostolica di Don Bosco. Siamo invitati ad attingere alle fonti sorgive del carisma e, nel contempo, ad aprirci con audacia e creatività a modalità nuove per esprimerlo oggi.

Per noi è come scoprire nuove sfaccettature di uno stesso diamante, il nostro carisma, che ci permettono di rispondere meglio alle situazioni dei giovani, di comprendere e servire le loro nuove povertà, di offrire nuove opportunità per il loro sviluppo umano e la loro educazione, per il loro cammino di fede e per la loro pienezza di vita.

3.1. Atteggiamenti di partecipazione

Come vivere allora l’esperienza capitolare in forma costruttiva? Che tipo di impegno assumere da parte di ogni capitolare? Con quali atteggiamenti partecipare al Capitolo Generale?

La consapevolezza d’essere convocati da Dio risveglia in noi lo spirito profetico, che comporta il senso di dipendenza da Lui e l’accettazione profonda della missione che Egli ci affida. Ciò esige da noi di lasciare allo Spirito Santo il protagonismo perché sia Lui a farci conoscere il volere di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito. Da noi si chiede un ascolto continuo, umile, obbediente, in atteggiamento di discernimento e di confronto sulla vita della Congregazione e circa il nostro carisma, che è un grande dono di Dio per la Chiesa e per i giovani.

Il CG27 ci propone un coinvolgimento pieno delle nostre persone. Tutti siamo chiamati a vivere questo avvenimento con responsabilità, a coglierne la vitale importanza ed a ravvivare ogni giorno l’interesse e la disponibilità per il cammino che lo Spirito ci conduce a fare.

Questo discernimento alla luce di quanto lo Spirito ci vorrà rivelare, richiede da parte dell’assemblea e di ciascuno dei capitolari in particolare riflessione seria, preghiera serena e profonda, contributo personale, consapevolezza della propria adesione, ascolto di Dio e di se stessi.

Sono certo che sia le giornate vissute ai Becchi e a Torino, sia gli Esercizi spirituali, come pure i due giorni di presentazione della Congregazione attraverso la relazione dei Settori e delle Regioni hanno contribuito a creare questo clima spirituale.

Lo Spirito agisce, soffia il suo alito di vita e sparge le sue fiamme di fuoco lì dove c’è una comunità radunata nel nome di Cristo e unita dall’amore. È la comunione dei cuori che ci convoca attorno allo stesso progetto apostolico, quello di Don Bosco, e rende possibile l’unità nella pluralità dei contesti, delle culture, delle lingue.

È lo Spirito che ci fa sentire la voce di Dio nella storia. E oggi la situazione del mondo e della Chiesa ci chiede di camminare con il Dio della storia. La vocazione cristiana, in genere, e la vocazione religiosa, in particolare, è segnata dalla dimensione profetica, che ci porta ad essere ‘sentinelle’ del mondo e ‘sensori della storia’, capaci di leggere i segni dei tempi e avviare nuovi segni e dinamismi trasformatrici della storia, il che ha a che vedere con la nostra identità, credibilità e visibilità.

L’apertura alle domande, alle provocazioni, agli stimoli e alle sfide dell’uomo moderno, nel nostro caso a quelle dei giovani, ci libera da ogni forma di sclerosi, di atonia, di stallo, d’imborghesimento e ci mette in cammino “al passo di Dio”. Solo così potremo superare il rischio – per niente immaginario – della ‘mondanità spirituale’, dell’autoreferenzialità e del narcisismo teologico, stigmatizzati da Papa Francesco sin dall’inizio del suo pontificato.

Un elemento tipico di Don Bosco e della Congregazione è stata sempre la sensibilità storica e oggi, più che mai, non possiamo trascurarla. Essa ci renderà attenti alle istanze della Chiesa e del mondo. Ci farà “andare” e “uscire” alla ricerca dei giovani. Ciò dovrà tradursi in un documento capitolare essenziale, coraggioso, capace di riempire di fuoco il cuore dei confratelli. Ecco perché è importante la lettura dei “segni dei tempi”, alcuni dei quali ho voluto indicare in ACG 413 nella lettera di convocazione del CG27.

Non c’è forma di diventare ‘testimoni della radicalità evangelica’ senza essere fondati su Cristo. Questa è la unica garanzia sicura di costruire sulla roccia. Tra i numerosi tentativi di rinnovare la vita consacrata in questi ultimi 50 anni si è parlato di ‘rifondazione’. Ebbene, ci avverte San Paolo, “ciascuno sia attento come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo” (1 Cor 3,10b-11).

La spiegazione è molto semplice: la nostra comunità e la nostra vita non si può edificare su un fondamento diverso da Cristo né si può costruire con materiale scadente. Molte esperienze convalidano il sospetto che, a volte, qua e là, si è voluto costruire la casa sulla sabbia, e non sulla roccia. Ogni tentativo di rifondare la vita consacrata che non ci riporti a Gesù Cristo, fondamento della nostra vita, e non ci renda più fedeli a Don Bosco, nostro fondatore, è destinato a fallire.

Se vogliamo recuperare l’entusiasmo delle origini ed essere una presenza di Dio nella Chiesa e nel mondo, dobbiamo evitare la tentazione di conformarci alla mentalità secolarizzata, edonista e consumista di questo mondo e lasciarci guidare dallo Spirito, che ha fatto sorgere la Vita consacrata come forma privilegiata di sequela e di imitazione di Cristo.

3.2. Il tema

Il tema scelto per il CG27 riguarda la testimonianza della radicalità evangelica, che trova nel motto “lavoro e temperanza” (cfr. Cost. 18) un’esplicitazione del programma di vita di Don Bosco “Da mihi animas cetera tolle”. Esso intende aiutarci ad approfondire la nostra identità carismatica, rendendoci consapevoli della nostra vocazione a vivere in fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco.

L’argomento è vasto. Per questo abbiamo voluto focalizzare l’attenzione del CG27 attorno a quattro aree tematiche: vivere nella grazia di unità e nella gioia la nostra vocazione consacrata salesiana, che è dono di Dio e progetto personale di vita; fare una forte esperienza spirituale, assumendo il modo d’essere e agire di Gesù obbediente, povero e casto, e diventando ricercatori di Dio; costruire la fraternità nelle nostre comunità di vita e di azione; dedicarsi generosamente alla missione, camminando con i giovani per dare speranza al mondo.

L’essere “testimoni della radicalità evangelica” è un appello rivolto a tutta la Congregazione, che trova la sua traduzione salesiana nel binomio “lavoro e temperanza”. Nel noto sogno dei ‘dieci diamanti’, nella prima parte, ci viene presentato il salesiano ‘sicut esse debet”, caratterizzato da una forte fisionomia teologale – fede, speranza e carità – tonificata dal lavoro e dalla temperanza e caratterizzata da una vita consacrata al Signore che trova sostegno nel digiuno e nella preghiera.

Nella seconda parte del sogno viene presentato come un avvertimento di ciò che potrebbe accadere, qualora la nostra vita personale, comunitaria,

istituzionale non fosse all’altezza del dono della vocazione ricevuta. L’immagine del personaggio, logorata e brutta, non potrebbe essere più eloquente. Ecco perché ci siamo recati a I Becchi e a Valdocco!: non per voglia di nostalgia, ma per nutrire la fiamma dell’entusiasmo e l’impegno di fedeltà dei primi Salesiani.

Il tema della radicalità evangelica può essere ben illustrato dal prendere in considerazione una prospettiva semantica ed etimologica. In effetti, la parola radicalità ha a che vedere con radice, con radicamento. Per comprendere meglio le cose ci possiamo servire dell’immagine della pianta e del seme. Vediamo quali sono le caratteristiche ed il valore delle radici:

La stabilità e saldezza della pianta ci dicono che un albero senza radici si secca o cade. In questo senso, l’immagine è analoga – non uguale – a quella di una costruzione senza fondamenta.

La vitalità, giacché le sostanze che nutrono una pianta vengono soprattutto dalle radici, anche se evidentemente non solo, perché ci sono anche l’aria, il sole, ecc.

Il carattere di “interramento”, vale a dire, il loro posto naturale è sotto terra, esse sono “nascoste”.

In questo senso, il titolo del nostro tema, “testimoni della radicalità evangelica”, esprime in se stesso un interessante paradosso. Da una parte infatti la parola testimoni ci parla di manifestazione pubblica, quindi di visibilità, di “sacramentalità”, mentre, paradossalmente, il termine “radicalità” allude precisamente a ciò che non si vede, a ciò che è nascosto, “seppellito”.

Credo che sovente, quando si parla di radicalità, si intende partire già dal concetto semantico della parola, sottolineando il significato di incondizionalità, di assoluta fedeltà, di scelta senza compromessi, della volontà di essere “di un solo pezzo”, ecc., dimenticando il più preciso significato etimologico.

A volte, c’è anche la tendenza ad identificare la radicalità con la perfezione o la ricerca di essa, ma non è così: da una piccola pianta e, a più ragione, da un seme appena piantato in terra non ci si attendono dei frutti, bensì che mettano radici, buone e profonde. A chi vuole entrare nella vita salesiana, o nella vita religiosa, in genere, non gli si può domandare che sia “santo” (purtroppo, a volte neppure dopo tanti anni di vita consacrata): se non che sia radicale nelle sue scelte di vita.

Credo che questo abbia le sue implicazioni per la formazione, in primo luogo per la tappa della formazione iniziale, nella quale io accentuerei due aspetti in questa linea semantica del concetto di radicalità. Il primo è quello

della profondità (tipica della radice) di vita, invitando i giovani confratelli a remare contro corrente, inseriti come sono in una cultura che accentua più l’estensione superficiale che la capacità di cogliere nel profondo ciò che è vero, giusto, valido e nobile per la vita di un uomo, e tanto più di un religioso. Il secondo aspetto si rifà una virtù assai dimenticata nel nostro tempo, forse perché sovente è stata malintesa: l’umiltà. Sappiamo che la radice di questa parola viene da humus... Humus e radice sono inseparabili. L’umiltà altro non è che la “vita nascosta in Cristo”, dalla quale, e solo dalla quale, può sbocciare la fecondità (i frutti!) spirituale, apostolica e vocazionale.

Radicalità per tutti noi è dunque un ritorno fecondo a Cristo, al Vangelo, alla fedeltà della sequela ed è pure un ritorno allo specifico del nostro carisma. Andare alle radici della nascita della Congregazione significa ringraziare Dio per Don Bosco per la sua maturazione spirituale ed il suo percorso apostolico; interrogarci sulla chiamata che Dio ci fa nel momento attuale e rispondere in questo momento storico, con fedeltà e generosità, ai bisogni dei giovani e alle richieste della società e della Chiesa.

3.3. Obiettivo e frutti

Il CG27 intende aiutare ogni confratello e ogni comunità a vivere in fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco. Il CG27 desidera quindi, in continuità con il CG26, rafforzare ulteriormente la nostra identità carismatica. Tale obiettivo è presentato negli articoli iniziali delle Costituzioni: noi salesiani infatti siamo chiamati a “realizzare in una specifica forma di vita religiosa il progetto apostolico del Fondatore” (Cost. 2); inoltre nella nostra specifica forma di vita, “la missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazione, vissuti in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli” (Cost. 3).

Come frutti del CG27 ci attendiamo di rendere la nostra vita salesiana ancor più autentica e perciò visibile, credibile e feconda. Ciò è possibile quando essa si fonda profondamente e vitalmente in Dio, si radica, con coraggio e convinzione, in Cristo e nel suo Vangelo. La logica conseguenza è il rafforzamento della sua identità. Per lo stesso motivo, durante il sessennio scorso, ci siamo impegnati a tornare a Don Bosco, risvegliando il cuore di ogni confratello con la passione del “Da mihi animas, cetera tolle”.

Vivere con fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco, ossia vivere la nostra identità carismatica, ci renderà più autentici; dalla identità vissuta

nascerà quindi una visibilità più chiara, credibilità più convincente e fecondità vocazionale rinnovata. La visibilità non è principalmente la cura dell’immagine, ma è la bella testimonianza della nostra vocazione. Se testimonieremo con gioia, generosità e fedeltà il progetto apostolico di Don Bosco, cioè la vocazione consacrata salesiana, allora la nostra vita diventerà attraente, diventerà affascinante specialmente per i giovani e quindi avremo una nuova fecondità vocazionale ovunque.

4. Conclusione

Carissimi Confratelli Capitolari, il 25 marzo 2008 sono stato ri-eletto Rettor Maggiore dal CG26 e i giorni successivi furono eletti il Vicario e gli altri Consiglieri di Settore e di Regione, con il compito di animare e governare la Congregazione per il sessennio 2008-2014. Durante questi sei anni abbiamo cercato di vivere con intensità tale compito, investendo le nostre migliori energie.

Grazie a Dio in questo sessennio non abbiamo avuto la morte di nessun membro del Consiglio Generale e anche io stesso, superato il momento più critico della malattia, sono stato graziato e benedetto dal Signore che mi ha dato la salute necessaria, l’energia, l’entusiasmo e la serenità per portare sino alla fine naturale il mandato che mi è stato affidato.

Tuttavia, non sono mancate situazioni che ci hanno portato a necessari cambiamenti nella composizione del Consiglio. Innanzitutto un serio problema cardiologico portò a Don Stefan Turanský alla decisione di presentare la sua rinuncia dall’incarico come Regionale della Regione Europa Nord, il 21 luglio 2010. Per sostituirlo, con il consenso del Consiglio Generale, ho nominato, sei giorni dopo, il 27 luglio 2010, Don Marek Chrzan, allora Ispettore della Ispettoria di Cracovia.

Appena 6 mesi dopo, il 26 gennaio 2011, l’Economo Generale, il Sig. Claudio Marangio, lasciò il suo incarico per intraprendere un periodo di discernimento accompagnato da me stesso, che si concluse il 10 ottobre 2011 con l’indulto di lasciare la Congregazione Salesiana, con la dispensa dai voti e dagli obblighi della professione religiosa. Ancora una volta, con il consenso del Consiglio Generale, il 25 gennaio 2011, ho nominato il Sig. Jean Paul Muller, allora Direttore della Procura di Bonn, come nuovo Economo Generale. In tutti e due i casi abbiamo fatto la scelta di coloro che erano già stati indicati come candidati, per questi incarichi, nel CG26.

Mentre ringrazio ciascuno dei Consiglieri per la vicinanza e la collaborazione leale, generosa e qualificata nei diversi ruoli loro affidati, è oggi il momento di dare di nuovo la voce all’Assemblea Capitolare, che rappresenta la massima espressione di autorità nella vita della Congregazione. A tutti voi, carissimi confratelli, dunque la parola, ma anche l’invito ad aprire il cuore allo Spirito, il grande Maestro interiore che ci guida sempre verso la verità e la pienezza di vita.

Concludo affidando questo avvenimento pentecostale della nostra Congregazione alla Madonna, a Maria Immacolata Ausiliatrice. Ella è stata presente sempre nella nostra storia e non ci farà mancare la sua presenza ed il suo aiuto in questa ora. Come nel Cenacolo, Maria, l’esperta dello Spirito, ci insegnerà a lasciarci guidare da Lui «per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2b).

Roma, 3 marzo 2014

ALLEGATO 2

INTERVENTO DI JOÃO BRAZ CARD. DE AVIZ PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA

La testimonianza della radicalità evangelica nella vita consacrata

Porgo un saluto cordialissimo, anche a nome di S. Ecc. mons. José Carballo e del Dicastero, ai Cardinali e Vescovi salesiani, al Rettor Maggiore don Pascual Chávez, alla Madre Yvonne Reungoat, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, e a tutti i Salesiani Capitolari.

Introduzione

Nella lettera di indizione di questo XXVII Capitolo Generale, il Rettor Maggiore don Pascual Chávez si è chiesto: «quale vita consacrata è necessaria e significativa per il mondo di oggi?». E ha continuato: «La risposta non può essere che quella di una vita religiosa mistica, profetica, serva, vissuta con radicalità evangelica sia personale che comunitaria, una vita perciò ricca di umanità e di spiritualità, sorgente di speranza per l’umanità. Anche la nostra Congregazione oggi è chiamata a porsi su questa strada»1. Mi sembra la traduzione odierna del programma di vita di Don Bosco: «da mihi animas, cetera tolle» (cfr. Cost. 4).

I tre aggettivi: “mistica, profetica, serva”, in un altro punto della lettera li ha spiegati così: «centrare la nostra vita in Dio, l’unico Assoluto, che ci chiama e ci invita a seguire il suo Figlio nella consegna della vita per amore; vivere la profezia della comunione e della fraternità; riscoprire la missione tra i giovani come il luogo per eccellenza dell’incontro con Dio che continua a parlarci»2.

1 P. CHÁVEZ, Lettera di indizione del Capitolo generale XXVII, 8 aprile 2012, ACG 413, p. 22.

2 Ivi, p. 5.

Tra i molti aspetti in cui siamo chiamati ad esprimere la nostra testimonianza radicale del Vangelo, e che don Chávez ha sintetizzato nei tre modi sopra ricordati, ne metto in rilievo qui soltanto uno, che mi pare tanto decisivo nel contesto ecclesiale e sociale di oggi, affinché la nostra vita di consacrati sia autentica e diventi davvero una testimonianza credibile della nostra scelta di Dio e della validità del Vangelo anche per il nostro tempo: vivere la profezia della comunione e della fraternità. È da qui che può derivare nuovo slancio nel recuperare la bellezza della nostra scelta di vita al servizio del Vangelo e nuova spinta nell’attuare la missione che – specificamente per voi Salesiani – è quella di portare ai giovani l’amore di Dio, come dicono fin dall’inizio le vostre Costituzioni (cfr. Cost. 2).

Seguire Cristo insieme

Anche per voi Salesiani, come per tutti i consacrati, gli elementi fondamentali della vostra identità sono la scelta di Dio espressa nella pratica dei consigli evangelici, la vita fraterna in comunità e la missione, come riassume bene l’art. 3 delle Costituzioni: «La missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazione, vissuti in un unico movimento di carità verso Dio e verso i fratelli».

Come ho avuto modo già altre volte di dire, a me pare che un elemento di novità per i consacrati, che si manifesta necessario nella cultura attuale, è il passaggio dalla sequela Christi individuale, che resta pur sempre necessaria, alla sequela Christi comunitaria. Qualcuno, parafrasando l’immagine di Santa Teresa d’Avila, ha scritto che oggi dobbiamo impegnarci a costruire oltre al “castello interiore”, cioè il rapporto personale con Dio, anche il “castello esteriore”: andare a Dio insieme ai fratelli e le sorelle. Certo questo vale non solo per i consacrati, ma per tutti i battezzati nella Chiesa, per tutti i cristiani. Ma per noi consacrati questo dovrebbe valere in maniera speciale. La Chiesa infatti ci affida proprio come compito specifico l’essere addirittura di esempio agli altri cristiani di come si possa vivere la scelta radicale di Dio e del Vangelo non da soli, ma in comunione: comunione con Dio e comunione fra noi.

Nel documento Religiosi e promozione umana della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, i religiosi sono stati definiti “esperti di comunione”. Leggiamo al n. 24: «Esperti di comunione, i religiosi sono quindi chiamati ad essere, nella comunità ecclesiale e nel

mondo, testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio. Innanzitutto, con la professione dei consigli evangelici, che libera da ogni impedimento il fervore della carità, essi divengono comunitariamente segno profetico dell’intima unione con Dio sommamente amato. Inoltre, per la quotidiana esperienza di una comunione di vita, di preghiera e di apostolato, quale componente essenziale e distintiva della loro forma di vita consacrata, si fanno “segno di comunione fraterna”. Testimoniano infatti, in un mondo spesso così profondamente diviso e di fronte a tutti i loro fratelli nella fede, la capacità di comunione dei beni, dell’affetto fraterno, del progetto di vita e di attività, che loro proviene dall’aver accolto l’invito a seguire più liberamente e più da vicino Cristo Signore, inviato dal Padre affinché, primogenito tra molti fratelli, istituisse, nel dono del suo Spirito, una nuova comunione fraterna»3.

Un nuovo paradigma: la spiritualità di comunione

Oggi siamo in un nuovo momento della storia dell’umanità e della vita della Chiesa, segnato da fenomeni come il secolarismo, la globalizzazione, il rifugiarsi nel privato, ed altri ancora, che tendono a portare l’umanità a nuove scelte di senso per la vita. Il nuovo millennio in cui ora viviamo, comporta anche per la Chiesa la necessità di prendere coscienza di questo cambio e di attuare i valori evangelici in questo nuovo momento per aprire orizzonti di vita e di speranza per l’umanità.

La proposta più significativa, per noi cristiani, mi pare sia quella venuta nel 2001 dal Beato Papa Giovanni Paolo II il quale, introducendo la Chiesa nel nuovo millennio, ha indicato la promozione di una spiritualità di comunione come nuovo paradigma per la vita della Chiesa e come principio educativo in tutti i posti dove si plasmano l’uomo e il cristiano, dove si educano i ministri dell’altare, i consacrati, gli agenti di pastorale, dove si costruiscono le famiglie e le comunità4.

Non possiamo capire, né attuare i rapporti tra Consacrati e con tutte le altre vocazioni nella Chiesa come comunione, missione e servizio, senza essere coscienti e decisi nell’assumere questo principio vitale della spiritualità di comunione. È la nota teologica ed ecclesiologica indispensabile del momento attuale, che dice cosa lo Spirito Santo chiede oggi alla Chiesa per

3 CIVCSVA, Religiosi e promozione umana, 25 aprile 1978, n. 24.

4 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 43.

dare nuovo impulso alla missione evangelizzatrice. «Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo».

La spiritualità della comunione proposta dal Beato Giovanni Paolo II non si riduce certamente a un fatto intimistico. Dopo averci ricordato come la sua fonte sia nella vita stessa di Dio Trinità, ne vengono elencate alcune conseguenze molto concrete, che hanno a che fare direttamente con la vita delle nostre comunità di consacrati: «Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita»5.

Se tutta la Chiesa deve vivere questa indicazione del Beato Giovanni Paolo II, i consacrati ne sono come gli “specialisti”, perché questa è l’essenza della loro scelta di vita: l’unione con Dio e l’unione fra loro nella vita fraterna. Per questo la Chiesa affida alle comunità dei consacrati il compito peculiare di «far crescere la spiritualità della comunione prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini»6. Possiamo ben comprendere che anche il vivere insieme in comunità, come è proprio dei consacrati, anche qualora la convivenza fosse ben strutturata e con i più bei programmi, se non è informata in profondità da quest’anima della comunione, si riduce a mero fatto sociologico. Per dirlo con le parole di don Chávez: «Una comunità senza comunione, con tutto

5 Ivi, n. 43.

6 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, 25 marzo 1996, n. 51.

ciò che questa comporta di accoglienza, apprezzamento e stima, aiuto vicendevole ed amore, si riduce ad un gruppo dove si giustappongono le persone, lasciandole di fatto nell’isolamento»7. E questo può succedere anche lì dove invece dovrebbe mostrarsi evidente lo “spirito di famiglia” che vi appartiene come carisma, secondo l’espressione cara a Don Bosco.

Come in cielo così in terra”: il modello è la Trinità

Tra le molteplici immagini con cui si può descrivere la Chiesa (e la Lumen Gentium ne enumera brevemente alcune: ovile, gregge, campo di Dio, edificio, famiglia, tempio, sposa, corpo; tutte ricavate dalla Sacra Scrittura), il Concilio ha dato la preferenza a quella di popolo di Dio (LG vi ha dedicato un intero capitolo, il II°). Questo popolo ha per capo Cristo, per legge il nuovo precetto dell’amore sulla misura del suo, ed è «per tutta l’umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza» (LG n. 9). Fonte e modello della comunione tra coloro che formano quest’unico popolo è la Trinità, tanto da poter definire la Chiesa «un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG n. 4), secondo la celebre espressione di S. Cipriano. Ne consegue che compito della Chiesa nella storia è aiutare gli uomini a vivere la comunione con Dio e fra loro, che Gesù ha già definitivamente realizzato con la sua morte e resurrezione, ma che ora deve progressivamente informare la vita dei credenti e poi di tutti gli uomini, affinché si attui quel “come in cielo così in terra” che chiediamo ogni giorno nella preghiera del Pater, finché “tutti siano uno” (Gv 17,20).

Come un emigrante, quando lascia la sua patria per andare in un paese lontano, porta con sé le abitudini, la lingua, il modo di vivere della sua terra di origine, così Gesù – divino emigrante – venendo sulla terra ha portato tra noi il modo di vivere della sua patria di origine, la Trinità. Non solo ce l’ha fatta conoscere, ma ci ha insegnato a vivere tra noi alla stessa maniera. Così mi piace interpretare il versetto del “Padre nostro”: «Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra», in questo modo: aiutaci a vivere qui in terra come si vive in cielo, attuando tra noi la stessa dinamica di relazioni che si vivono nella Trinità.

La vita consacrata, essendo parte viva della Chiesa, partecipa a titolo speciale dell’unica comunione ecclesiale e la esprime in maniera significativa e caratteristica, proponendosi per questo come luogo privilegiato di esperienza e testimonianza della vita della Trinità. «Ogni forma di comunità

7 P. CHÁVEZ, Lettera di indizione del Capitolo generale XXVII, cit., p. 19.

nella Chiesa attinge infatti la profondità del proprio essere dalla comunità trinitaria, attraverso la comunicazione che la Trinità fa di se stessa e del mistero della propria unità (...). La dimensione trinitaria, in effetti, avvolge la vita consacrata in tutte le sue dimensioni di consacrazione, comunione, missione»8. Pur nella varietà delle ispirazioni e delle forme in cui si è storicamente espressa, la vita consacrata è sempre stata consapevole di dover guardare non solo all’esempio di comunione indicato dagli Atti degli apostoli fra la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, dove tutti erano “un cuore solo e un’anima sola” (At 4,32), ma ancor più radicalmente al suo modello originale, al prototipo di comunione delle tre divine persone nella Trinità.

Certamente non è sempre stato esplicito nei fondatori e fondatrici questo riferimento normativo alla comunione trinitaria. Ma in diverse regole e negli scritti di diversi di loro è possibile ritrovare questa ispirazione di fondo. Uno che lo esprime con estrema precisione è S. Vincenzo de Paoli, che scrive alle Figlie della Carità da lui fondate: «Allo stesso modo che Dio è uno solo in se stesso, e in lui vi sono tre Persone, senza che il Padre sia più grande del Figlio, né il Figlio dello Spirito Santo, così bisogna che le Figlie della Carità, che devono essere l’immagine della Santissima Trinità, benché molte, siano tuttavia un cuor solo e un’anima sola. (...) Così farete di questa Compagnia una riproduzione della Santissima Trinità. In tal modo che la vostra Compagnia rappresenterà l’unità della Santissima Trinità»9.

È bello che anche le vostre Costituzioni contengano un esplicito riferimento a questo altissimo modello normativo della nostra vita che è l’unità delle tre Persone nella Trinità. Spiegando infatti il valore del vivere e lavorare insieme, si dice: «ci riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la comunità delle persone. Nella comunità si riflette il mistero della Trinità; in essa troviamo una risposta alle aspirazioni profonde del cuore e diventiamo per i giovani segni di amore e di unità» (Cost. 49). Ecco dunque come la vita comunitaria vissuta sul modello di amore della Trinità diventa la fonte della gioia e dell’autorealizzazione di ciascuno, e ci rende capaci di attuare la missione apostolica verso i giovani.

Occorre precisare che la vita di comunione di impronta trinitaria che costituisce l’identità e la missione della Chiesa prima, e poi della vita consacrata,

8 F. CIARDI, Koinonia. Itinerario teologico-spirituale della comunità religiosa, Città Nuova, Roma 1992, pp. 206-207.

9 Cfr. F. CIARDI, Esperti di comunione. Pretesa e realtà della vita religiosa, San Paolo, Cinisello B. (Milano) 1999, p. 113.

è prima di tutto un dono; diversamente sarebbe una pretesa sovrumana e resterebbe un ideale impossibile da raggiungere. Per l’Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (n. 31) il dono della comunione ecclesiale è «riflesso nel tempo dell’eterna e ineffabile comunione d’amore di Dio Uno e Trino»; essendo un dono viene paragonato a un talento che «esige d’essere trafficato in una vita di crescente comunione». A sua volta «la comunione genera comunione»10 e si allarga come a cerchi concentrici all’interno della Chiesa, con i cristiani di altre confessioni, con i fedeli di altre religioni e con tutta l’umanità. È questo che rende credibile la testimonianza dei cristiani e la stessa Chiesa: «Così la vita di comunione ecclesiale diventa un segno per il mondo e una forza attrattiva che conduce a credere in Cristo: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21)»11.

Applicato alla comunità religiosa, Vita consecrata lo esprime così: essa è lo «spazio umano abitato dalla Trinità, che estende così nella storia i doni della comunione propri delle tre persone divine»12. È perché sono resi partecipi, come del resto tutti i battezzati, della vita trinitaria, sono anzi introdotti in essa, che i consacrati possono poi diventare testimoni credibili e profetici di essa nella Chiesa e nel mondo, anche fra i giovani.

Il terzo precetto dell’amore: “amatevi gli uni gli altri”

L’impegno a vivere in comunità rapporti fraterni sul modello della comunione trinitaria è reso possibile perché lo stesso amore che lega i Tre nella Trinità è stato diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo (cfr. Rom 5,5). Attuando il comandamento nuovo lasciatoci da Cristo: «Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 13,34-35; 15,12 13.17), viviamo quell’amore reciproco che è partecipazione e segno della comunione esistente fra le persone divine della Trinità. Di fatto questo amore, sulla misura di quello vissuto da Cristo (ed è la misura della croce) prima di essere frutto della nostra buona volontà, è conseguenza dello stesso amore divino che opera in noi. È stato Dio infatti ad amarci per primo e a sanare, con la redenzione, la nostra capacità di amare lui e i prossimi.

10 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 32.

11 Ivi, n. 31.

12 Vita consecrata, n. 41.

Come ben spiega il documento La vita fraterna in comunità: «Prima di essere una costruzione umana, la comunità religiosa è un dono dello Spirito. Infatti è dall’amore di Dio diffuso nei cuori per mezzo dello Spirito che la comunità religiosa trae origine e da esso viene costruita come una vera famiglia radunata nel nome del Signore. Non si può comprendere quindi la comunità religiosa senza partire dal suo essere dono dall’Alto, dal suo mistero, dal suo radicarsi nel cuore stesso della Trinità santa e santificante»13.

Naturalmente dal dono della comunione trinitaria scaturisce il compito della risposta personale (la relazione con Dio) e della costruzione quotidiana di una vera fraternità. Questa duplice dimensione di comunione personale con Dio e di comunione fra i membri «è l’elemento basilare che costituisce l’unità della famiglia religiosa»14. Se dalla parte di Dio il dono della comunione è pieno fin dall’inizio, dalla parte nostra esso va guadagnato e riconquistato ogni giorno, lungo un itinerario che domanda l’impegno di tutti e che può conoscere rallentamenti e fatica. La realizzazione di una vita comunitaria fraterna infatti è un compito che esige rinuncia a sé, accettazione dei limiti dei fratelli, insomma un cammino coraggioso e perseverante di ascesi.

Può darsi che questo discorso risulti a qualcuno un po’ duro. Lo possiamo comprendere e accogliere solo a partire dalla logica della croce, del dono totale di sé per amore a Dio e ai fratelli: “Amatevi come io ho amato voi”. Leggo ancora un passo di La vita fraterna in comunità: «Bisogna ammettere che tale discorso fa problema oggi sia presso i giovani che presso gli adulti. Spesso i giovani provengono da una cultura che apprezza eccessivamente la soggettività e la ricerca della realizzazione personale, mentre a volte gli adulti o sono ancorati a strutture del passato o vivono un certo disincanto (...). È bene preparare fin dall’inizio ad essere costruttori e non solo consumatori di comunità, ad essere responsabili l’uno della crescita dell’altro, come pure ad essere aperti e disponibili a ricevere l’uno il dono dell’altro, capaci di aiutare ed essere aiutati, di sostituire ed essere sostituiti. Una vita comune fraterna e condivisa ha un naturale fascino sui giovani, ma poi il perseverare nelle reali condizioni di vita può diventare un pesante fardello»15.

In questo senso io capisco la famosa frase del giovane gesuita san Giovanni Berchmans (1599-1621): “Vita communis mea maxima poenitentia”. Forse è stata interpretata tante volte in senso solo negativo, mettendo in evidenza la

13 CIVCSVA, La vita fraterna in comunità, 2 febbraio 1994, n. 8.

14 CIVCSVA, Elementi essenziali dell’insegnamento della Chiesa sulla vita religiosa, 31 maggio 1983, n. 18.

15 CIVCSVA, La vita fraterna in comunità, nn. 23-24.

difficoltà che il vivere insieme in comunità comporta. In realtà questa frase indica molto di più. Per coloro che sono chiamati da Dio a seguire Cristo insieme ad altri fratelli o sorelle in una comunità religiosa, non è necessario ricercare altre penitenze o forme di ascesi per santificarsi. Le esigenze quotidiane dell’amore al fratello, alla sorella, con tutte le sfumature che la carità evangelica richiede, sono la palestra dove esercitare la nostra virtù, lo spazio nostro caratteristico per santificarci insieme. Ciò comporta certamente un aspetto di ascesi, di rinuncia all’uomo vecchio, ma è anche la nostra grande opportunità per incontrare e amare Dio nella concretezza del volto del fratello, della sorella che ci vive accanto. Allora l’ascesi che pure la vita fraterna richiede non è fine a se stessa, ma fiorisce poi in una nuova esperienza dell’amore di Dio: è «la “mistica” di vivere insieme» a cui fa cenno anche Papa Francesco, che fa della nostra vita «un santo pellegrinaggio»16.

Dall’ideale alla vita concreta

Un dono altissimo, dunque, quello della comunione trinitaria di cui siamo resi partecipi, ma anche una grande responsabilità di mettere a frutto il dono ricevuto e mostrare effettivamente che la vita divina in ciascuno dei membri porta a superare le differenze e gli ostacoli che ogni convivenza umana comporta. Non vogliamo illuderci: senza perdere di vista il modello umano-divino al quale intendiamo ispirarci, sappiamo che dobbiamo fare i conti ogni giorno con il limite umano e con la radice di peccato e di egoismo tuttora presente in noi. Siamo molto diversi gli uni dagli altri, con temperamenti, gusti, storie che ci distinguono, e questo rende impegnativa la vita fraterna.

Sappiamo che anche la prima comunità di Gerusalemme, che ci viene idealmente descritta nei cosiddetti “sommari” degli Atti (cf. At 2,42-47; 4, 32-35; 5,12-16) e alla quale la vita religiosa ha sempre guardato come al suo paradigma17, non era priva di difficoltà e di aspetti problematici. Gesù stesso, ben conoscendo l’umana fragilità, prima di morire aveva chiesto al Padre come dono speciale dall’alto l’unità degli apostoli e di tutti i credenti: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola (...). Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola (...) perché siano perfetti nell’unità» (Gv 17,11.20-21.23).

16 FRANCESCO, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 87.

17 CONCILIO VATICANO II, Cfr. Perfectae caritatis, n. 15.

È interessante notare, scorrendo le lettere degli apostoli indirizzate alle prime comunità, in quali e quante indicazioni pratiche si concretizza il comandamento nuovo di Gesù dell’amore reciproco. Nel loro insieme, queste indicazioni si configurano come un vero “prontuario” della vita fraterna in comunità:

– “amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10);

– “ciascuno consideri gli altri superiori a se stesso” (Fil 2,3); – “abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,16); – “accoglietevi gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7); – “correggetevi l’un l’altro” (Rm 15,14);

– “aspettatevi gli uni gli altri” (1 Cor 11,33);

– “mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13); – “confortatevi a vicenda” (1 Tes 5,11);

– “sopportatevi a vicenda con amore” (Ef 4,2);

– “siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda” (Ef 4,32);

– “senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Fil 2,4);

– “siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21);

– “pregate gli uni per gli altri” (Gc 5,16);

– “rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri” (1 Pt 5,5);

– “amatevi intensamente di vero cuore gli uni gli altri” (1 Pt 1,22);

– “fate tutto senza mormorazioni e senza critiche” (Fil 2,14).

Ho trovato una bella eco di queste indicazioni pratiche anche in un testo del vostro fondatore Don Bosco: «In primo luogo esercitiamo la carità tra noi Salesiani, sopportiamo i difetti degli altri, compatiamoci a vicenda. Animiamoci ad operare il bene, a mettere in pratica tutte le regole, ad amarci e stimarci come fratelli. Preghiamo, acciocché possiamo tutti formare un sol cuore e un’anima sola per amare e servire il Signore»18.

L’amore reciproco tra fratelli nella comunità religiosa assicura allo stesso tempo l’unità fra i membri senza mortificare le differenze e i doni di ciascuno. Come nella Trinità abbiamo la perfetta unità per l’amore divino che circola, ma allo stesso tempo i Tre non si confondono e operano in maniera distinta l’uno dall’altro, così nella comunità l’amore scambievole rafforza

18 Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco, IX, p. 356.

la fraternità e la comunione, garantendo a ciascuno la libertà secondo il disegno di Dio su di lui. Anche questa dinamica di unità e distinzione, sul modello dei rapporti fra le tre Persone, è frutto del rispetto reciproco e del comune impegno a realizzare la fraternità. Perché la comunità possa favorire allo stesso tempo la realizzazione umana e spirituale di ogni suo membro e il raggiungimento degli scopi apostolici comuni, «è necessario perseguire il giusto equilibrio non sempre facile da raggiungere tra il rispetto della persona e il bene comune, tra le esigenze e le necessità dei singoli e quelle della comunità, tra i carismi personali e il progetto apostolico della comunità (...). La comunità religiosa è il luogo ove avviene il quotidiano paziente passaggio dall’ “io” al “noi”, dal mio impegno all’impegno affidato alla comunità, dalla ricerca delle “mie cose” alla ricerca delle “cose di Cristo”. La comunità religiosa diventa allora il luogo dove si impara quotidianamente ad assumere quella mentalità rinnovata che permette di vivere la comunione fraterna attraverso la ricchezza dei diversi doni e, nello stesso tempo, sospinge questi doni a convergere verso la fraternità e verso la corresponsabilità nel progetto apostolico»19.

La presenza del Risorto

Il frutto più importante di questo stile di vita comunitaria improntato alla comunione trinitaria e guidato dalla logica della croce, è la presenza stabile e sperimentabile di Cristo risorto, secondo la sua promessa: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro» (Mt 18, 20; cf. PC 15 a). Stare insieme “nel suo nome” significa nel suo amore, nel compimento della sua volontà, sintetizzata in quel comandamento che egli stesso ha definito “suo” e “nuovo”. Allora lui stesso si rende presente, in modo mistico ma reale, e questa sua presenza si può sperimentare e quasi toccare, specialmente grazie ai doni pasquali che il Risorto fra noi non mancherà di farci sperimentare: la pace, la gioia di stare insieme, la luce, lo “spirito di famiglia” (secondo un’espressione cara a Don Bosco), l’ardore apostolico.

«Nella vita di comunità – annota ancora Vita consecrata – deve farsi in qualche modo tangibile che la comunione fraterna, prima d’essere strumento per una determinata missione, è spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto»20, secondo la promessa di Mt 18, 20. Anche le vostre Costituzioni fanno riferimento a quel versetto

19 La vita fraterna in comunità, n. 39.

20 Vita consecrata, n. 42c.

del vangelo: «La professione dei consigli ci aiuta a vivere la comunione con i fratelli della comunità religiosa, come in una famiglia che gode della presenza del Signore» (Cost. 61). In Cristo è presente allo stesso tempo anche il Padre e lo Spirito: per questo la comunità unita dal vincolo dell’amore vicendevole gode della presenza di Dio-Trinità e ne diventa segno e testimonianza.

Lo “spirito di famiglia” di cui parla il vostro fondatore, e anche le Costituzioni, è quel clima di gioia e di libertà dove tutti i membri della comunità si sentono a loro agio, godono della presenza degli altri, si sentono accolti e capiti, trovano valorizzate le proprie doti e scusate le inevitabili debolezze. Allora “è bello e leggero stare insieme” (cfr. Salm 132), e il frutto più visibile è la gioia, come ha ricordato anche Papa Francesco parlando nell’ottobre scorso alle clarisse di Assisi: «Curare l’amicizia tra voi, la vita di famiglia, l’amore tra voi. E che il monastero non sia un Purgatorio, che sia una famiglia. I problemi ci sono, ci saranno, ma, come si fa in una famiglia, con amore, cercare la soluzione con amore; non distruggere questa per risolvere questo; non avere competizione. Curare la vita di comunità, perché quando la vita di comunità è così, di famiglia, è proprio lo Spirito Santo che è nel mezzo della comunità. Sempre con un cuore grande. Lasciando passare, non vantarsi, sopportare tutto, sorridere dal cuore. E il segno ne è la gioia»21.

Cristo risorto presente nella comunità unita nel suo amore saprà affascinare ancor oggi tanti giovani e chiamarli a unirsi alla famiglia religiosa salesiana, per continuare a testimoniare ai giovani del mondo l’amore di Dio.

21 PAPA FRANCESCO, Per una clausura di grande umanità, Assisi, 4 ottobre 2013, in: L’Osservatore Romano, domenica 6 ottobre, p. 6.

ALLEGATO 3

INDIRIZZO DI OMAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE AL SANTO PADRE IN OCCASIONE DELL’UDIENZA PONTIFICIA

Caro Papa Francesco, Carissimo Padre,

Siamo veramente felici di essere qui con Lei. Grazie di questo momento di incontro. È per noi un dono prezioso ed un’occasione unica che ci permette di attestare a Lei i sentimenti che portiamo nel cuore. Le vogliamo bene, Padre! Apprezziamo il suo coraggio e la sua testimonianza. Costatiamo con gioia il suo grande amore per il Signore Gesù, per la Chiesa ed il suo desiderio di un rinnovamento profondo di tutta la Comunità Cristiana che Lei presiede nel servizio e nella carità.

Noi, ricordiamo bene che, per Don Bosco, l’amore al Papa significava amore alla Chiesa e amore alla missione. E questo nostro incontro non avrebbe senso, se non fosse, al tempo stesso, accompagnato dal desiderio di esprimere a Lei, caro Padre, la volontà di rinnovare il nostro impegno carismatico e missionario a favore della Chiesa e del mondo, con un’attenzione particolare ai giovani, soprattutto i più poveri e abbandonati. Raccogliamo dunque il suo invito ad aprire le porte delle nostre case e del nostro cuore per essere annunciatori della gioia del Vangelo, credendo fortemente in un Dio che ama l’uomo e desidera la sua salvezza. Con le parole della Gaudium et spes, vogliamo condividere gioie e dolori del mondo di oggi e dei giovani che lo abitano, coinvolgendoci pienamente nella costruzione del Regno di Dio.

Durante questo Capitolo Generale, che ha come tema l’essere “Testimoni di radicalità evangelica”, ci siamo sentiti in profonda sintonia con la sua Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium. Questo testo ha illuminato e guidato la nostra riflessione.

È stata un’occasione per riflettere profondamente sulla nostra identità carismatica salesiana, tenendo presente al tempo stesso la necessità di interpretare in modo attuale quanto Don Bosco ha vissuto e ci ha trasmesso. Abbiamo identificato un cammino di rinnovamento nel quale ci impegniamo a

vivere la dimensione mistica di persone consacrate che intendono dare un primato assoluto a Dio, Signore della nostra vita. Mossi dallo Spirito di Gesù, vogliamo dunque essere “cercatori e testimoni di Dio”, accompagnando con gioia i giovani in un cammino di crescita umana e cristiana.

Ci siamo proposti di rinnovare la testimonianza profetica della nostra vita fraterna. In un mondo spesso lacerato da situazioni conflittuali a tutti i livelli, ci pare che la nostra vita religiosa abbia uno dei suoi compiti principali nel testimoniare la gioia di una comunione di fratelli che si sentono tutti discepoli del Signore. È una fraternità che coinvolge la nostra vita quotidiana, il nostro lavoro, la nostra preghiera e diventa essa stessa annunciatrice di una vita che si esprime in relazioni nuove ispirate dalla parola del Vangelo e capaci di attrarre i giovani alla preziosa esperienza di una vita donata agli altri secondo il carisma di Don Bosco.

Nella nostra missione desideriamo riaffermare il nostro desiderio di essere servi dei giovani, attraverso una proposta educativa ispirata dai valori evangelici e con un impegno generoso per la trasformazione del mondo. Desideriamo riconfermare il criterio della scelta di Don Bosco: quella di una disponibilità preferenziale nei confronti dei giovani più poveri, delle popolazioni più svantaggiate e di periferia, nei contesti missionari tradizionali e in quelli delle società più secolarizzate.

Accogliamo, caro Papa Francesco, la sua parola e le sue indicazioni per una scelta ecclesiale delle grandi linee che ci guideranno in questo prossimo sessennio.

Colgo l’occasione per ringraziarla, con tutta la Famiglia Salesiana, per aver accettato di venire a Torino in occasione del Secondo Centenario della nascita di Don Bosco. Con l’affetto di figli Le assicuriamo la nostra preghiera, affidando la Sua missione alla Vergine Ausiliatrice, Madre della Chiesa e chiediamo la Sua paterna benedizione.

Roma, 31 marzo 2014

ALLEGATO 4

DISCORSO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO NELL’UDIENZA AI CAPITOLARI DEL 31 MARZO 2014

Cari fratelli,

siate i benvenuti! Ringrazio Don Angelo per le sue parole. A lui e al nuovo Consiglio Generale auguro di saper servire, guidando, accompagnando e sostenendo la Congregazione salesiana nel suo cammino. Lo Spirito Santo vi aiuti a cogliere le attese e le sfide del nostro tempo, specialmente dei giovani, e ad interpretarle alla luce del Vangelo e del vostro carisma.

Immagino che durante il Capitolo – che aveva come tema “Testimoni della radicalità evangelica” – abbiate avuto sempre davanti a voi Don Bosco e i giovani; e Don Bosco con il suo motto: “Da mihi animas, cetera tolle”. Egli rafforzava questo programma con altri due elementi: lavoro e temperanza. Io ricordo che nel collegio era vietato fare la siesta!... Temperanza! Ai salesiani e a noi! «Il lavoro e la temperanza – diceva – faranno fiorire la Congregazione». Quando si pensa a lavorare per il bene delle anime, si supera la tentazione della mondanità spirituale, non si cercano altre cose, ma solo Dio e il suo Regno. Temperanza poi è senso della misura, accontentarsi, essere semplici. La povertà di Don Bosco e di mamma Margherita ispiri ad ogni salesiano e ad ogni vostra comunità una vita essenziale e austera, vicinanza ai poveri, trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni.

1.L’evangelizzazione dei giovani è la missione che lo Spirito Santo vi

ha affidato nella Chiesa. Essa è strettamente congiunta con la loro educazione: il cammino di fede si innesta in quello della crescita e il Vangelo arricchisce anche la maturazione umana. Occorre preparare i giovani a lavorare nella società secondo lo spirito del Vangelo, come operatori di giustizia e di pace, e a vivere da protagonisti nella Chiesa. Per questo voi vi avvalete dei necessari approfondimenti e aggiornamenti pedagogici e culturali, per rispondere all’attuale emergenza educativa. L’esperienza di Don Bosco e il suo “sistema preventivo” vi sostengano sempre nell’impegno a vivere con i giovani. La presenza in mezzo a loro si distingua per quella tenerezza che

Don Bosco ha chiamato amorevolezza, sperimentando anche nuovi linguaggi, ma ben sapendo che quello del cuore è il linguaggio fondamentale per avvicinarsi e diventare loro amici.

Fondamentale qui è la dimensione vocazionale. A volte la vocazione alla vita consacrata viene confusa con una scelta di volontariato, e questa visione distorta non fa bene agli Istituti. Il prossimo anno 2015, dedicato alla vita consacrata, sarà un’occasione favorevole per presentare ai giovani la sua bellezza. Bisogna evitare in ogni caso visioni parziali, per non suscitare risposte vocazionali fragili e sorrette da motivazioni deboli. Le vocazioni apostoliche sono ordinariamente frutto di una buona pastorale giovanile. La cura delle vocazioni richiede attenzioni specifiche: anzitutto la preghiera, poi attività proprie, percorsi personalizzati, il coraggio della proposta, l’accompagnamento, il coinvolgimento delle famiglie. La geografia vocazionale è cambiata e sta cambiando, e questo significa nuove esigenze per la formazione, l’accompagnamento e il discernimento.

  1. Lavorando con i giovani, voi incontrate il mondo della esclusione
    giovanile. E questo è tremendo! Oggi, è tremendo pensare che ci sono più di 75 milioni di giovani senza lavoro, qui, in Occidente. Pensiamo alla vasta realtà della disoccupazione, con tante conseguenze negative. Pensiamo alle dipendenze, che purtroppo sono molteplici, ma derivano dalla comune radice di una mancanza di amore vero. Andare incontro ai giovani emarginati richiede coraggio, maturità e molta preghiera. E a questo lavoro si devono inviare i migliori! I migliori! Ci può essere il rischio di lasciarsi prendere dall’entusiasmo, inviando su tali frontiere persone di buona volontà, ma non adatte. Perciò è necessario un attento discernimento e un costante accompagnamento. Il criterio è questo: i migliori vanno lì. “Ho bisogno di questo per farlo superiore di qua, o per studiare teologia...”. Ma se tu hai quella missione, mandalo lì! I migliori!

  2. Grazie a Dio voi non vivete e non lavorate come individui isolati,
    ma come comunità
    : e ringraziate Dio di questo! La comunità sostiene tutto l’apostolato. A volte le comunità religiose sono attraversate da tensioni, con il rischio dell’individualismo e della dispersione, mentre c’è bisogno di comunicazione profonda e di relazioni autentiche. La forza umanizzante del Vangelo è testimoniata dalla fraternità vissuta in comunità, fatta di accoglienza, rispetto, aiuto reciproco, comprensione, cortesia, perdono e gioia. Lo spirito di famiglia che Don Bosco vi ha lasciato aiuta molto in questo senso, favorisce la perseveranza e crea attrattiva per la vita consacrata.

Cari fratelli, il bicentenario della nascita di Don Bosco è ormai alle porte. Sarà un momento propizio per riproporre il carisma del vostro Fondatore. Maria Ausiliatrice non ha mai fatto mancare il suo aiuto nella vita della Congregazione, e certamente non lo farà mancare neppure in futuro. La sua materna intercessione vi ottenga da Dio i frutti sperati e attesi. Vi benedico e prego per voi, e, per favore, pregate anche voi per me! Grazie!

Roma, 31 marzo 2014

ALLEGATO 5

MESSAGGIO DEL CAPITOLO GENERALE AI CONFRATELLI SALESIANI

Cari Confratelli,

noi tutti che abbiamo partecipato al Capitolo Generale 27° vogliamo condividere con voi la straordinaria esperienza vissuta in questi mesi, convocati a Roma nel nome del Signore e sostenuti dalla forza del suo Spirito. Il Capitolo è stato per ciascuno di noi un evento di grazia di cui vogliamo rendere testimonianza tornando a casa. Vogliamo raccontarvi, riprendendo i nostri impegni e preoccupazioni, che “il Signore è stato grande con noi e ne siamo allegri” (Salm 125, 3).

In principio fu Valdocco

Abbiamo iniziato il nostro cammino nella Terra Santa Salesiana, a Valdocco, luogo di Vangelo e di miracoli quotidiani. Siamo andati là come chi risale un fiume alla ricerca della sorgente. Eravamo assetati e l’acqua fresca delle origini ci ha dato ristoro. La storia del nostro Padre è un invito sempre nuovo. Nella sua vita e nella sua proposta abbiamo cercato l’ispirazione per far rivivere oggi il medesimo carisma. Riscoprire Don Bosco ci ha aiutato a radicare più in profondità la nostra vocazione evangelica ed a ravvivare i motivi per vivere, come fece lui, la consegna per il Regno a favore dei giovani più poveri. Alla luce della sua esperienza, ci siamo incamminati sotto lo sguardo di Maria Ausiliatrice e sicuri della sua materna mediazione.

Dio ci regalò un Padre

Tornati a Roma, abbiamo iniziato i nostri lavori con delle riflessioni e deliberazioni impegnative. Il tono fraterno e la ricerca comune hanno reso possibile intessere subito rapporti cordiali e sinceri tra di noi, che ci hanno aiutato a sperimentare la ricchezza dell’interculturalità e la profezia della fraternità vissute in prima persona già durante le giornate capitolari.

Ci siamo sentiti in comunione con le comunità che, nei paesi in conflitto, vivono momenti drammatici della loro storia. La Siria, il Venezuela, la Repubblica Centroafricana, il Sudan sono stati molto presenti nelle nostre preghiere. Il loro ricordo ci ha fatto aprire gli occhi sulle sofferenze di tanti popoli ed ha fatto risplendere la testimonianza di numerosi confratelli che vivono con radicalità il Vangelo in situazioni difficili e drammatiche. Questo è per noi stimolo a donarci senza risparmio alla nostra vocazione e missione.

Dio ci ha quindi regalato un padre. Mentre esprimiamo il nostro ringraziamento per il ministero luminoso e fecondo di Don Pascual Chávez Villanueva, sentiamo che l’elezione di Don Ángel Fernández Artime come Rettore Maggiore e decimo successore di Don Bosco è stato un dono della Provvidenza per tutti noi, per l’intera Famiglia Salesiana e per i giovani. Il suo sorriso aperto e sincero, la sua semplicità, la sua grande umanità e il suo spontaneo rapporto con ciascuno dei confratelli ci hanno fatto vedere subito in lui il volto del padre promesso: “Sarà eletto un nuovo Rettore che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui...” (Don Bosco). Grazie, Don Ángel, per il tuo cuore di buon pastore e per la tua generosità.

Papa Francesco ci affascinò

Un momento di speciale intensità è stato l’incontro con Papa Francesco. Ci ha accolti ed ha benedetto, in noi, ciascuno di voi e i giovani che il Signore ci affida. La sua parola, precisa ed incisiva, ci ha toccato il cuore. Nello spirito della Evangelii Gaudium, ci ha ricordato che dobbiamo essere, come Don Bosco, uomini di Vangelo che vivono con semplicità e generosità la vita quotidiana con uno stile austero e libero. Ci ha ricordato che il nostro Padre Don Bosco ci insegnò a voler bene ai giovani con l’amorevolezza che rende presente la tenerezza di Dio per i suoi figli più deboli. Ci ha chiesto con insistenza di uscire verso le periferie dove abitano i giovani e si manifestano più acutamente le loro povertà. Ci ha pregato di non risparmiare gli sforzi per destinare le persone migliori ai più poveri che sono senza prospettive e senza futuro. Davvero Papa Francesco ha infiammato il nostro cuore salesiano. Il suo abbraccio è stato espressione di affetto sincero ai figli di Don Bosco e lo stringere le nostre mani nella sua ha rinnovato la nostra adesione filiale al successore di Pietro, come Don Bosco volle sempre dai suoi salesiani. Il messaggio del Santo Padre rimarrà nel nostro cuore ed è un programma per tutti noi.

Controcorrente e con speranza

Il tema del nostro Capitolo Generale, la radicalità evangelica, ha suscitato una profonda riflessione che ci ha stimolati alla conversione. Abbiamo approfondito, partendo dalla Parola, con le ricchezze di esperienze diverse e nella ricerca comune, la chiamata che Dio ci fa oggi ad essere mistici nello Spirito, profeti di fraternità e servi dei giovani. Siamo convinti che quello che abbiamo vissuto in queste settimane è già un anticipo del cammino che vogliamo percorrere con tutti voi e con le comunità educativo-pastorali. Abbiamo sognato il futuro e ci impegneremo a farlo diventare realtà.

Uniti alla Vite e come tralci nuovi (cfr. Gv 15,1-8), noi salesiani sogniamo una vita consacrata che, vissuta con atteggiamenti profondamente evangelici, sia capace di dialogare con la cultura ed interrogare la realtà sociale nella quale viviamo. Desideriamo per le nostre comunità uno stile di vita semplice, segnato dalla gioia del Vangelo e dalla passione per il Regno. Vogliamo vivere come uomini segnati da una forte esperienza di Dio e con i piedi per terra, capaci di dare ragione della speranza che ci portiamo nel cuore, con un’esistenza consegnata completamente, autentica, integra; impegnati nella ricerca delle periferie ed i deserti dei giovani più abbandonati.

Se vivremo controcorrente, oggi saremo significativi. Quando attorno a noi cresce l’individualismo, la fraternità è una alternativa credibile. Assumiamo la sfida di edificare comunità nelle quali impariamo a passare dal “io” al “noi”, anteponendo sempre il bene del fratello. Dobbiamo essere capaci di aprire spazi di accoglienza e di dialogo che aiutino a guarire le ferite con dei rapporti maturi e rigeneratori. È necessario il nostro deciso impegno per umanizzare la vita comune per superare solitudini e moltiplicare la misericordia. Nel nostro mondo, la scommessa per il perdono e la pace rendono credibile il nostro modo di vivere e più chiaramente evangelico il nostro annuncio.

Decentrati

Consapevoli del nuovo momento ecclesiale in cui viviamo, siamo convinti che la nostra vita consacrata è un grido contro l’egoismo e l’autoreferenzialità: si tratta di venire incontro ai bisogni degli altri con l’atteggiamento compassionevole di Gesù e a partire dalla nostra vita povera e solidale. Il nostro chiostro è il mondo dei giovani in difficoltà e la nostra preghiera sono le nostre mani alzate e la nostra azione impegnata per ridare dignità ai più esclusi. Per questo non possiamo risparmiare energie, né abbiamo più

tempo per “le nostre cose”, o per chiuderci nei nostri interessi personali. Abbiamo davanti un esodo che ci aiuterà a raggiungere un’altra terra, mille volte promessa: quella dei più abbandonati e dei più poveri. Lì, come salesiani troveremo il nostro Tabor.

Francesco ci ha invitati a situarci nelle frontiere, nei margini, nelle periferie del mondo, nei deserti esistenziali dove molti stanno come pecore senza pastore e non hanno da mangiare (cfr. Mt 9,36). Questa è la chiave di interpretazione che il Papa ci offre per de-centrarci: cercare, cioè, altri sguardi che offrano punti di vista differenti e ci aiutino a leggere la realtà al di là di noi stessi. Questa è la sfida per la vita religiosa oggi: pensare e vivere decentrati dal nostro modo di guardare la realtà, troppo sicuri di noi stessi, seduti in opere garantite, occupati in un lavoro strutturato e soddisfacente. Quando pensiamo al rinnovamento della nostra Congregazione, non avremo qui un criterio di significatività che può aiutarci a dare nuovi orizzonti alle nostre strutture? Non è facile de-centrarci, ma è urgente farlo se vogliamo continuare ad essere fedeli alla chiamata di Dio.

Cari confratelli,

abbiamo sentito in questi giorni il soffio dello Spirito che “fa nuove tutte le cose” (Ap 21,5). È il momento di rendere operative le linee di cammino che il nostro Capitolo Generale ci propone. Mossi dalla forza dello Spirito Santo e illuminati dalla sua luce, vogliamo “prendere il largo” (Lc 5,4), navigare verso acque più profonde, nella nostra vita consacrata e nella missione giovanile e popolare. Sentiamo l’urgenza di annunciare con audacia il Vangelo liberatore di Gesù Cristo, buona notizia per i piccoli e i poveri. E se, vedendo la dedizione della nostra vita e la nostra gioia, qualcuno ci domanderà: “Perché lo fate?”, risponderemo con libertà che Dio riempie la nostra esistenza e il suo grande amore ci interpella e grida in noi perché i giovani “abbiano vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10).

Roma, 12 aprile 2014

ALLEGATO 6

DISCORSO DEL RETTOR MAGGIORE DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME ALLA CHIUSURA DEL CG27

IL CG27:

UNOCCASIONE PER APPARTENERE DI PIÙ A DIO,
DI PIÙ AI CONFRATELLI, DI PIÙ AI GIOVANI

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli” (Gv 15,5.8)

Cari Confratelli,

con questo mio intervento, e il saluto finale che ci scambieremo, concludiamo questo Capitolo Generale 27°, un vero e proprio tempo di Grazia e di Presenza dello Spirito.

Credo che abbiamo tradotto in realtà quel che è indicato nelle nostre Costituzioni. È stato un momento particolarmente importante, un “segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità” (Cost. 146), in cui, in un incontro veramente fraterno, abbiamo portato a compimento la riflessione comunitaria che ci aiuterà a mantenerci fedeli al Vangelo e al Carisma del nostro Fondatore, e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi (cfr. Cost. 146).

Con queste semplici pagine, che dirigo ai Confratelli Capitolari e a tutti i Confratelli della Congregazione, intendo presentare alcuni punti che mi sembrano particolarmente importanti e che possono accompagnare la riflessione e l’assimilazione di quel che è centrale: ciò che il Capitolo Generale offre a tutta la Congregazione come frutto del lavoro, della riflessione e della vita condivisa durante il suo svolgimento.

1. Breve percorso delle diverse tappe del CG27

Le sette settimane che abbiamo vissuto come Capitolo Generale sono state contrassegnate dai diversi momenti che gli hanno conferito un carattere proprio e ci hanno aiutato a fare un cammino più profondo:

Abbiamo iniziato questo nostro Capitolo a Torino e dintorni, con un Pellegrinaggio personale e comunitario al luogo della nostra nascita: i Becchi. Con grande intuito il Rettor Maggiore, D. Pascual Chávez, propose di iniziare il cammino con questa Icona che ci piacque tanto: ‘Tutti, data la nostra condizione di salesiani, siamo nati ai Becchi’. Si è trattato, quindi, di un ritorno al luogo della nostra nascita, non solo di quella di Don Bosco. Allora il nostro cuore salesiano si è sentito avvolto, senza dubbio, da quell’atmosfera storico-spirituale. Luoghi come i Becchi-Colle Don Bosco, Valdocco (Cappella Pinardi, San Francesco di Sales e Basilica di Maria Ausiliatrice...), Valsalice, Santuario della Consolata e chiesa di San Giovanni Evangelista, sono stati scenari che ci hanno interpellato fortemente, in un bel clima di meditazione, di preghiera e di fraternità. Abbiamo cominciato a conoscerci di più e meglio, ed a porre le basi di quel che è stato un tratto molto particolare del nostro CG27: una forte esperienza di comunione e di fraternità pur nella diversità e universalità della nostra Congregazione. Molti di noi non arrivavano a questo ‘luogo della nascita’ per la prima volta, dal momento che magari eravamo già stati lì, ma questa occasione era carica di una singolarità: l’hic et nunc del Capitolo Generale. Altri confratelli visitavano per la prima volta “i Becchi e i nostri luoghi santi’ come esperienza spirituale e carismatica da rivivere, come spazio e occasione per rimanere più uniti e ‘conquistati’ dal fascino che Don Bosco risveglia in tutti, e in modo particolare in noi, suoi figli. Sono stati per tutti, indubbiamente, dei giorni che hanno toccato profondamente il cuore, perché i Becchi e Valdocco non lasciano mai indifferente chi ha cuore salesiano.

Giunti a Roma abbiamo dedicato alcune giornate alla presentazione e conoscenza dello stato della Congregazione, con la relazione del Rettor Maggiore e la presentazione dei vari settori e regioni. La successiva consegna del libro che raccoglie lo stato della Congregazione concludeva questo spazio così ben curato in cui abbiamo avuto la presentazione di dati, statistiche, valutazione del programma del sessennio con mete raggiunte e carenze che si coglievano nel presente. È stato certamente un grande aiuto conoscere e approfondire questa relazione per prendere consapevolezza della realtà della nostra Congregazione, con le sue luci e le sue ombre, e con la certezza che tutti siamo Congregazione e tutti le diamo vita e luce o la limitiamo con le nostre carenze. La relazione ci ha permesso veramente di mettere a fuoco con maggior precisione gli approcci ulteriori al tema che ci attendeva come nucleo del CG27.

Credo di non esagerare se dico che nei giorni degli Esercizi Spirituali, fin dal primo momento, ci ha avvolti un ambiente particolare.

Varie volte abbiamo manifestato, in quei giorni e nelle settimane seguenti, la convinzione che stavamo vivendo molti momenti in chiave di Fede, di Speranza e della Presenza dello Spirito. In questo senso, abbiamo vissuto gli Esercizi Spirituali incentrati sulla interpretazione di quel che ci diceva la Parola di Dio, con un silenzio attento, con molti momenti personali e comunitari di preghiera, con celebrazioni ben curate dell’Eucaristia e una celebrazione della Riconciliazione in cui ci siamo sentiti gioiosamente coinvolti. E tutto questo – inquadrato nelle riflessioni che ci invitavano, in base al Vangelo, all’autenticità – ci ha preparati a quel che avremmo poi vissuto e su cui avremmo lavorato nei giorni seguenti.

Ho la sensazione che in noi, a livello personale e comunitario, si sia attuato un vissuto spirituale e di fede che esprimeva il meglio di noi. Quando si sperimenta l’abbandono all’amore di Dio, Amore che è sempre risanatore in se stesso, lo Spirito fa sì che ogni persona si disponga a dare il meglio che ha in se stessa. E penso che sia stato questo l’atteggiamento vitale con cui abbiamo cominciato i lavori capitolari propriamente detti.

Le prime tre settimane dei lavori capitolari sono state caratterizzate da quella immersione nei lavori che ci ha permesso di prendere contatto con la sfida proposta nella lettera di convocazione del Rettor Maggiore: essere Testimoni della radicalità evangelica come Mistici nello Spirito, Profeti della Fraternità e Servitori dei giovani. Il lavoro nelle commissioni e il loro primo apporto in assemblea ci diedero la sensazione di avere molte luci ed anche ombre che ci piacerebbe che non ci impedissero di essere, in realtà, ciò per cui siamo stati sognati, quella bella scelta che abbiamo fatto della nostra vita religiosa consacrata come Discepoli del Signore nello stile di Don Bosco.

Tra le righe mi è parso di avere in quei primi momenti una specie di nostalgia: quella di poter guardare la realtà di ogni comunità, di ogni presenza salesiana, di ogni Ispettoria e di tutta la Congregazione, veramente come un corpo vivo e pieno di autenticità, un corpo in cui proviamo dolore quando per noi stessi o per altri non arriviamo ad dare la misura che vorremmo desiderato o quando non vi sono quegli atteggiamenti propri di chi ama veramente i giovani, si prende cura della loro vita, dà Vita e dà la propria vita. Si avvertiva il desiderio di volare più in alto con veracità, autenticità, radicalità, e si sentiva che, a volte, si stava volando ancora molto basso.

Il Rettor Maggiore, D. Pascual Chávez, ci invitò a guardare in prospettiva, con realismo pieno di speranza e coraggio, quando si tratta di proporci sfide come Congregazione. In seguito, le riflessioni, i dialoghi e gli interventi in aula si sono svolti maggiormente in sintonia con questo clima. Aggiungo anche un’altra cosa. Il frutto del nostro Capitolo non può consistere solo nella ricerca di novità. La forza di questo CG27 passa in primo luogo attraverso la conversione personale e la trasformazione di spirito e di mente di tutti i partecipanti; passa attraverso la nostra capacità di entusiasmare i nostri confratelli e di comunicare loro la ‘Buona Notizia’ di ciò che abbiamo visto e udito, di ciò che abbiamo sognato e condiviso, della fraternità che abbiamo vissuto in queste settimane. E tutto questo nella speranza di essere capaci di generare vita e di suscitare il desiderio di affrontare nelle Ispettorie, con vero coraggio, questo nuovo momento della nostra Congregazione e della nostra vita: un nuovo momento di evangelizzazione e di passione per i giovani.

Accompagnati in modo particolare nel discernimento dal P. José Cristo Rey García Paredes, abbiamo cominciato la settimana che ci avrebbe portato alla elezione del nuovo Rettor Maggiore e del Consiglio Generali. Molto di quanto è già stato espresso riguardo al pellegrinaggio ai luoghi santi salesiani e agli Esercizi Spirituali, si concretizzò in questa settimana. Ognuno di noi lo ha vissuto con la propria sensibilità e con risonanze molto personali, ma oserei dire che la maggior parte di noi sente che è stata una settimana di ricerca del meglio dal punto di vista della fede: una ricerca in coscienza, in libertà e verità. Penso di non essere l’unico a dire che quanto fu approvato come metodologia nell’elezione dei Consiglieri di settore è stato un successo. Può anche darsi che un ulteriore approfondimento nel prossimo Capitolo Generale ci permetta di perfezionare un po’ di più il metodo, magari estensibile nel discernimento anche per l’elezione del Rettor Maggiore, del suo Vicario e dei Consiglieri Regionali.

La settimana è stata segnata, pertanto, da una profonda esperienza di ricerca, nella verità che viene dallo Spirito, e anche da un vero ringraziamento a coloro che accettavano la nuova responsabilità e ancor più verso i confratelli che terminavano i loro sei anni o più di servizio, cominciando dal Rettor Maggiore D. Pascual Chávez, il suo Vicario D. Adriano Bregolin e gli altri membri del Consiglio Generale. Essi hanno dato il meglio di se stessi in questi anni, con una dedizione senza limiti al bene della Congregazione e della missione. Applausi commossi, come all’ultima Buona Notte del Rettor Maggiore, D. Pascual Chávez, sono stati una manifestazione chiara di questo profondo ringraziamento.

Il lunedì 31 marzo, abbiamo ricevuto un atteso regalo. L’udienza con Papa Francesco ha colmato, sicuramente, le attese anche dei più esigenti. Il Papa ci ha affascinati con la sua vicinanza e semplicità, di cui tanto si parla, anche con la sua spontaneità e per quella decisione, così applaudita, di salutare personalmente ognuno dei membri della nostra Assemblea Capitolare, con la presentazione di ogni confratello da parte di D. Pascual Chávez e trovandomi io al suo fianco, come testimone di quel particolare momento.

Inoltre abbiamo portato con noi un messaggio di Papa Francesco che non può ridursi per noi a un semplice aneddoto. Anzi, non sarà tale poiché fa parte delle nostre conclusioni capitolari, di queste mie parole finali e anche della programmazione e delle decisioni che competono al Rettor Maggiore, al suo Consiglio e ai Capitolari nelle loro Ispettorie, una volta tornati ad esse.

Il Papa ci ha sottolineato varie cose molto importanti, alcune delle quali enumero semplicemente qui, mentre altri avranno il loro sviluppo nelle pagine seguenti:

– “Occorre preparare i giovani a lavorare nella società secondo lo spirito del Vangelo, come operatori di giustizia e di pace, e a vivere da protagonisti nella Chiesa”.

– “Abbiate sempre davanti a voi Don Bosco e i giovani; e Don Bosco con il suo motto: “Da mihi animas, cetera tolle”. Lui rafforzava questo programma con altri due elementi: lavoro e temperanza”.

– “La povertà di Don Bosco e di Mamma Margherita ispiri ad ogni salesiano e ad ogni vostra comunità una vita essenziale e austera, vicinanza ai poveri, trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni”.

– “Andare incontro ai giovani emarginati richiede coraggio, maturità e molta preghiera. E questo lavoro si devono mandare i migliori! I migliori”.

– “Grazie a Dio voi non vivete e non lavorate come individui isolati, ma come comunità: e ringraziate Dio di questo!”

– “Le vocazioni apostoliche sono ordinariamente frutto di una buona pastorale giovanile. La cura delle vocazioni richiede attenzioni specifiche”.

2. Chiavi di lettura per la riflessione sul CG27

2.1 Come Don Bosco, coinvolti nella prima trama di Dio

Con la professione religiosa offriamo noi stessi a Dio per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno” (Cost. 3). Nel nostro documento capitolare riconosciamo che, per quanto il tempo in cui stiamo vivendo non sia tale da agevolare un’apertura alla trascendenza, noi abbiamo il desiderio, tanto personale come comunitario, di dare il primato a Dio nella nostra vita, stimolati dalla santità salesiana e dalla sete di autenticità dei giovani. A questo ci ha invitato il Papa quando all’inizio del suo saluto ci ha detto: «Quando si pensa a lavorare per il bene delle anime, si supera la tentazione della mondanità spirituale, non si cercano altre cose, ma solo Dio e il suo Regno». È stata questa la grande certezza e passione di Don Bosco che si è visto coinvolto totalmente nella “Trama di Dio” e abbandonandosi a Lui arrivava anche fino alla temerità.

È in questa dimensione trascendente, nell’assicurarci che tutta la nostra vita si trovi nella trama di Dio e che Egli abbia il primato nella nostra vita, dove troviamo la nostra fortezza quando diviene realtà, ed è anche il luogo dove scopriamo la nostra fragilità.

Siamo chiamati a ricondurre il nostro cuore, la nostra mente e tutte le energie all’inizio’ e alle ‘origini’, al primo amore, quello con cui abbiamo sperimentato la gioia di sentirci guardati dal Signore Gesù e per cui abbiamo detto di sì. Il primato di Dio lo vogliamo vivere nella contemplazione quotidiana della vita ordinaria, nella sequela di Cristo.

Come suggerivo precedentemente, qui deve avvenire la nostra maggiore conversione. Certamente incontriamo molti confratelli che sono esemplari sotto questo aspetto, ma quando tanti Rettori Maggiori (per riferirmi solo agli ultimi: Don Egidio Viganò, Don Juan Edmundo Vecchi e Don Pascual Chávez) ci hanno avvertiti di questa fragilità, significa che si tratta di qualcosa che dobbiamo prendere maggiormente sul serio. Il CG27 ci invita a invertire questa tendenza. Sarebbe veramente preoccupante che qualcuno arrivasse a pensare che ‘la fragilità che constatiamo nel vivere il primato di Dio nella nostra vita’ sia un elemento proprio del nostro DNA salesiano. Non lo è! Non è stato così in Don Bosco che, al contrario, visse coinvolto radicalmente nella trama di Dio. Pertanto, per noi è – niente più e niente meno! – il punto centrale della nostra conversione, quel che ci porterà ad una maggiore radicalità per il Regno.

2.2. Una fraternità che sia ‘irresistibilmente profetica’

La missione apostolica, la comunità fraterna e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazione” (Cost. 3).

In diversi momenti dell’assemblea capitolare abbiamo manifestato la nostra convinzione che la fraternità vissuta come comunità è uno dei modi di fare esperienza di Dio, di vivere la mistica della fraternità, in un mondo in cui a volte i rapporti umani sono rovinati. «La fraternità vissuta in comunità, fatta di accoglienza, rispetto, aiuto reciproco, comprensione, cortesia, perdono e gioia, dà testimonianza della forza umanizzante del Vangelo», ci ha detto Papa Francesco.

È questa un’altra chiave con cui leggere non solo il documento capitolare ma soprattutto la nostra vita e la revisione che di essa facciamo e vogliamo continuare a fare. I giovani hanno bisogno che noi siamo davvero fratelli. Fratelli che, con la semplicità e lo spirito di famiglia tipico di Don Bosco, vivano una fraternità autentica, la quale, pur non essendo esente da difficoltà quotidiane, cresce e si purifica nella fede arrivando ad essere così “controculturale” e attrattiva come propone il Vangelo.

Nella profezia di una vera fraternità vissuta nella semplicità quotidiana abbiamo una grande occasione di rinnovamento e di crescita.

Ciò supporrà, non poche volte, un cambio di mentalità. Con una certa frequenza, in tutti i punti cardinali in cui opera la nostra Congregazione corriamo un certo pericolo di sacrificare la comunità, la fraternità e a volte persino la comunione, per il lavoro, l’attività o semplicemente per attivismo. Per questo le nostre Costituzioni, con pedagogia preventiva, affermano che i tre elementi della consacrazione sono inseparabili. Quando uno di essi è debole o inconsistente, non possiamo parlare di consacrazione nel carisma di Don Bosco; sarà un’altra realtà, ma non salesiana.

2.3. Una radicalità salesiana: “Lavoro e temperanza”

Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congregazione” (Cost. 18). Un binomio a noi molto noto che Don Viganò, nelle sue riflessioni sulla grazia di unità, definiva come ‘inseparabile’. “Le due armi con cui riusciremo a vincere tutto e tutti, scrisse Don Bosco” (citato in ACG 413, p. 43). Il Papa si è anche riferito a questo binomio, nelle sue parole durante l’udienza, mentre ci incoraggiava a questo impegno: «Temperanza è il senso della misura, accontentarsi, essere semplici. La povertà di Don Bosco e di Mamma Margherita ispiri ad ogni salesiano e ad ogni vostra comunità una vita essenziale ed austera, vicinanza ai poveri, trasparenza e responsabilità nella gestione dei beni».

Nella riflessione capitolare abbiamo dato diverse indicazioni al riguardo. È molto chiaro l’insegnamento che ci ha lasciato Don Pascual Chávez su questo binomio nella convocazione al CG27, e lo possiamo leggere ugualmente in Don Vecchi e Don Viganò. Non ci manca illuminazione a questo rispetto. Credo che la sfida passa attraverso la vita e, anche se è vero che in moltissime parti della Congregazione abbiamo delle presenze che hanno come priorità gli ultimi, i più poveri, gli esclusi, è ugualmente certo che lo splendore di questa testimonianza è pieno se il nostro modo di vita si caratterizza per sobrietà, austerità e anche povertà. Indubbiamente il confronto con questa realtà che abbiamo professato ha luogo nella coscienza personale di ciascuno, ma dovremo aiutarci comunitariamente durante questo sessennio. Siamo invitati a far sì che la testimonianza di povertà e di sobrietà sia più evidente dove non lo è. Qualsiasi movimento, progresso, svolta che si darà nelle diverse Ispettorie in questo senso sarà segno di autenticità e di concretezza nella radicalità evangelica che ci proponiamo.

2.4. Servitori dei giovani, padroni di niente e di nessuno

La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per in giovani:’Basta che siate giovani, perché io vi ami assai’. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà significato a tutta la nostra vita” (Cost. 14).

Con Don Bosco, seguiamo il Signore Gesù che mise al centro un bambino quando gli si chiese chi era il più importante per il Regno. Noi, salesiani di Don Bosco, portati in grembo ai Becchi come lui e nati a Valdocco, abbiamo offerto la nostra vita al Padre per essere Consacrati da Lui al fine di vivere per i giovani. Come abbiamo detto nel documento capitolare, i giovani sono “il nostro roveto ardente” (cfr. Es 3,2 ss). Per mezzo di essi Dio ci parla e ci attende in essi. Sono essi la ragione per cui ci siamo sentiti capaci di dire di sì alla chiamata del Signore, sono essi la ragione della nostra vita; come salesiani-educatori-pastori dei giovani. Come potremmo rimanere a metà cammino? Come potremmo dedicarci a loro solo per qualche momento, come se si trattasse di una giornata lavorativa? Anzi, come potremmo rimanere tranquilli quando nel nostro quartiere, zona, città vi sono dei giovani afflitti dalla povertà, dalla solitudine, dalla violenza familiare, dall’aggressività che li domina...? Siamo chiamati a prestar loro la voce che in queste circostanze di vita essi non hanno, chiamati a offrire loro l’amicizia, l’aiuto, l’accoglienza, la presenza dell’adulto che vuole loro bene, che da loro vuole solo che siano felici ‘qui e nell’eternità’. Essere gli amici, fratelli, educatori e padri che vogliono solamente che siano protagonisti e padroni della propria vita... E da questo punto di vista è solo possibile essere servitore e mai padrone, ‘autorità’...

3. Dove dirigere le nostre future opzioni dopo il CG27

Come è facilmente comprensibile, in un intervento come questo non pretendo di suggerire tutte le opzioni che potremmo mettere in atto dopo il Capitolo. Quanto in esso abbiamo vissuto, le ampie riflessioni che abbiamo condiviso e lo studio che abbiamo fatto dello stato della Congregazione ci permettono di intravedere alcuni dei cammini che considero irrinunciabili e prioritari. Le Ispettorie certamente faranno qualche altra opzione adeguata al loro contesto specifico, sempre nel quadro del CG27.

Faccio solo un elenco di quelle che mi sembrano prioritarie e universali. In seguito, il Consiglio Generale, con la dovuta programmazione, e le Ispettorie con le loro programmazioni, potranno tracciare l’itinerario adeguato da seguire in tutto il mondo salesiano.

3.1. Conoscenza, studio e assimilazione del CG27

In alcuni dei primi interventi in aula, così come nelle riunioni di commissione, si è venuta a manifestare la preoccupazione di giungere ad un documento finale che non sia destinato a essere “parcheggiato” in una biblioteca, senza incidenza sul rinnovamento. Al fine di superare questo timore penso che il primo passo dev’essere l’impegno di tutti noi a pensare i modi e il metodo spirituale – qualcosa di diverso da semplici strategie – che possono favorire la conoscenza di ciò che il CG27 offre a tutta la Congregazione. Successivamente, vi invito a cercare il modo adeguato di arrivare alla sua assimilazione personale e comunitaria ed anche alla conversione (se lo Spirito ce la concede). Solo questa assimilazione e conversione sarà generatrice di vita nuova.

Credo che sarebbe un errore pensare che favorendo la conoscenza del CG27 ai confratelli in un ritiro o un incontro di fine settimana, l’obiettivo sarebbe raggiunto. Per questo propongo che dedichiamo almeno questi primi tre anni a leggerlo, rifletterlo, meditarlo e farlo oggetto delle nostre programmazioni locali e ispettoriali, e dei vari piani di animazione e governo delle Ispettorie; verificarlo poi nel prossimo Capitolo ispettoriale (il cosiddetto Capitolo Ispettoriale Intermedio) e vedere quali frutti sta dando.

3.2. Profondità della vita interiore: Testimoni del Dio della vita

Come ho detto nelle pagine precedenti, credo che dobbiamo riconoscere che in Congregazione, parlando in generale, la profondità di vita interiore non è il nostro punto forte. Mi rifiuto, vi dicevo, di pensare che si tratti di qualcosa che appartiene al nostro DNA salesiano, perché né Don Bosco fu così e tanto meno volle così. Riconoscendo questa debolezza (abbondantemente espressa dai Rettori Maggiori precedenti, così come da alcuni Capitoli Generali) e con l’aiuto dello Spirito, dobbiamo trovare la forza per invertire questa tendenza. Si richiede un’autentica conversione alla radicalità evangelica, che tocca mente e cuore. Quando Papa Giovanni Paolo II, dirigendosi alla Vita Consacrata, ci chiede che la vita spirituale sia ‘al primo posto’ , non ci sta invitando a uno strano spiritualismo, bensì a quella profondità di vita che ci rende allo stesso tempo fraterni e generosi nel darci agli altri, alla missione e in particolare ai più poveri, rendendo così veramente attrattiva la nostra scelta di vita.

Questa profondità di vita, questa autenticità, questa radicalità evangelica, questo cammino di santificazione è il “dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani” (Cost. 25). È un fatto che Don Bosco non si spiega, nella sua predilezione radicale per i giovani, senza Gesù Cristo. “Nella sequela di Cristo si trova la fonte, la sorgente della sua originalità e vitalità. Questo è un dono iniziale dall’Alto, il primo ‘carisma’ di Don Bosco” (Don E. Viganò, ACG 290, p. 16).

Per questo suggerisco che ogni Comunità possa ‘dire a se stessa’, in modo concreto e come frutto del CG27, cosa pensa e cosa propone affinché si possa notare questo ‘mettere Dio al primo posto’, nel suo essere comunità salesiana convocata dal Signore, che non solamente si riunisce ma che vive nel Suo nomi

3.3. Prendendoci cura di noi e dei nostri confratelli, delle nostre Comunità

Per questo ci riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la comunione delle persone” (Cost. 49).

Per noi, salesiani, la vita comunitaria, la ‘comunione della vita in comune’, non è solo una circostanza, un modo di organizzarsi, un mezzo per essere più efficaci nell’azione. Per noi l’autentica fraternità che si vive nella comunione delle persone è essenziale, costitutiva; è uno dei tre elementi inseparabili di cui si parla nel già citato articolo 3 delle nostre Costituzioni.

E per la forza di testimonianza che ha la fraternità evangelica, per questo invito tutti a prendere vera consapevolezza che dobbiamo prenderci cura di noi stessi, per stare bene ed essere vocazionalmente in forma, e dobbiamo prenderci cura dei nostri confratelli in comunità con atteggiamento di vera “accoglienza, rispetto, aiuto reciproco, comprensione, cortesia, perdono e gioia” (cfr. udienza con il Papa). Vivere un vero amore fraterno che, in definitiva, accetta e integra le differenze e combatte la solitudine e l’isolamento; per questo dobbiamo prenderci cura delle nostre comunità nelle Ispettorie.

L’ho fatto capire nelle pagine precedenti. Spesso sacrifichiamo la vita comunitaria e gli spazi e i momenti comunitari per il lavoro. Tale realtà ci fa pagare alla fine una fattura troppo alta, tremendamente dolorosa. Per questo chiedo a ogni Ispettoria di fare un vero studio e sforzo pratico per prendersi cura delle nostre comunità, consolidarle, garantire la solidità in qualità umana e nel numero dei confratelli, anche al prezzo che alcune presenze non possano avere una comunità religiosa, e progredire nella significatività e nel ‘ridisegnare’ le Case e le Ispettorie, così come ci si sta chiedendo in questi ultimi anni ed in varie Visite d’insieme alle Regioni. Certo, dobbiamo vincere grandi resistenze che nascono dagli attaccamenti, dagli anni vissuti in una casa, dalla pressione della stessa comunità educativa, del quartiere o delle associazioni cittadine, e persino dei governi locali e regionali..., ma le difficoltà prevedibili non possono intaccare la nostra lucidità né la nostra capacità di agire con una prudente libertà.

3.4. Mi basta che siate giovani per amarvi

Nel CG26 leggiamo che tornare ai giovani significa ‘stare in cortile’ e sappiamo che questo stare in cortile va oltre lo spazio fisico. Vuol dire stare con loro e tra loro, incontrarli nella nostra vita quotidiana, conoscere il loro mondo, animare il loro protagonismo, accompagnarli nel risvegliare il loro senso di Dio e incoraggiarli a vivere la loro esistenza come la visse il Signore Gesù.

Quando contempliamo Don Bosco in quel che ci raccontano quelli che più lo hanno studiato e nel fascino che risveglia egli stesso, rimaniamo colpiti dalla forza della sua passione vocazionale per i giovani. Don Ricceri, in una delle sue lettere, scrive un frammento che mi pare prezioso, quando dice: “La predilezione pastorale per i ragazzi e i giovani si manifestava in Don Bosco come una specie di ‘passione’, o meglio come la sua ‘supervocazione’ a cui si dedicò superando ogni ostacolo e lasciando tutto ciò che, anche buono, ne ostacolava in qualche modo la realizzazione “ (ACG 284, 1976, p. 31).

E la predilezione per i giovani arriva ad essere la più grande opzione di fondo della sua vita, ed è la missione della Congregazione. Molte cose potremmo trovare già scritte e pensate su questa realtà di Don Bosco e anche in quanto detto nei nostri Capitoli Generali. L’ultimo di essi, il CG26, indica varie linee di azione per questo “tornare ai giovani”.

Di questo “ritorno ai giovani” non abbiamo parlato come Assemblea Capitolare, e per questo non saprei in che misura è divenuta realtà in questo ultimo sessennio, ma si tratta di qualcosa che sarà sempre di perenne attualità. Per questo ardisco chiedere ad ogni Ispettoria e alle comunità locali che, come risposta al piano di animazione e governo di ogni Ispettoria, lì dove un confratello dispone di forza e passione educativa ed evangelizzatrice, vocazione autentica a vivere per i giovani e in mezzo ad essi, qualunque sia la sua età, si faccia il possibile perché possa vedersi libero da altri compiti e gestioni e possa fare quel che meglio dovremmo saper fare per vocazione: essere educatori-pastori dei giovani. Invito a concretizzare e tradurre in decisioni di governo quel che ben conosciamo come frutto di un patrimonio di eredità salesiana.

3.5. Per noi come per Don Bosco: La nostra priorità sono i giovani più poveri, gli ultimi, gli esclusi

Don Vecchi scrive in una delle sue lettere: “I giovani poveri sono stati e sono ancora un dono per i salesiani. Il ritorno ad essi ci farà ricuperare la caratteristica centrale della nostra spiritualità e della nostra pratica pedagogica: il rapporto di amicizia che crea corrispondenza e desiderio di crescere” (ACG 359, p. 24). Evidentemente nessuno può dire che Don Vecchi sta difendendo la povertà, ma prende atto che purtroppo c’è povertà e ci sono giovani poveri; se stiamo con loro e in mezzo a loro, sono essi i primi che ci fanno del bene, ci evangelizzano e ci aiutano a vivere veramente il Vangelo col carisma di Don Bosco. Oso dire che sono i giovani poveri quelli che ci salveranno.

Il nostro essere Servi dei giovani passa – come abbiamo detto nel nostro Capitolo Generale – attraverso l’abbandono delle nostre sicurezze, non solo di vita ma anche di azione pastorale, per camminare verso una pastorale ‘in salita’, che parte dai bisogni profondi dei giovani e specialmente dei più poveri. “Lavorando con i giovani, incontrate il mondo della esclusione giovanile. E questo è tremendo!” (Papa Francesco nell’udienza).

Per questo oso chiedere che con il “coraggio, maturità e molta preghiera” che ci mandano ai giovani più esclusi, vediamo in ogni Ispettoria di rivedere dove dobbiamo rimanere, dove dobbiamo andare e da dove possiamo andarcene... Col loro clamore e il loro grido di dolore i giovani più bisognosi ci interpellano. Essi, a loro modo, ci chiamano. Questo si traduce in spazi di riflessione in ogni Ispettoria durante questo sessennio affinché, alla luce del CG27 e della nostra scelta di essere Servitori dei giovani... verso le periferie, giungiamo a decisioni di governo ispettoriale, sempre in dialogo con i Confratelli, che realizzino quel che vi chiedo con coraggio, maturità e profondo sguardo di fede. Non abbiamo paura di essere profetici in questo.

3.6. Evangelizzatori dei giovani, ‘Compagni di cammino’, coraggiosi nel proporre loro delle sfide

L’articolo 6 delle nostre Costituzioni racchiude in essenza tutta la ricchezza della missione per carisma a noi affidata: “Fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso siamo evangelizzatori dei giovani, specialmente dei più poveri; abbiamo una cura particolare per le vocazioni apostoliche; siamo educatori della fede negli ambienti popolari, in particolare con la comunicazione sociale; annunciamo il Vangelo ai popoli che ancora non lo conoscono”. Questa è, e continuerà ad essere, la nostra grande sfida, perché anche nei casi più riusciti, possiamo sempre fare di più, non si farà mai abbastanza e, con certa frequenza, ci toccherà constatare che siamo rimasti a metà cammino.

Don Bosco è il nostro grande modello in questo ‘saper fare’ con cuore salesiano nella educazione ed evangelizzazione dei giovani. I suoi giovani erano convinti che Don Bosco li amava e voleva il loro bene, tanto in questa vita come nell’eternità. Per questo accettavano la sua proposta di conoscenza e amicizia con il Signore. Come educatori dobbiamo saper stare col giovane e accompagnarlo nella sua realtà e situazione concreta, nel suo processo personale di maturazione. Come evangelizzatori, la nostra meta è accompagnare i giovani affinché, in libertà, possano incontrarsi col Signore Gesù.

Per questo, cari confratelli, pur nella brevità di queste linee non posso tralasciare di sottolineare questo punto come essenziale: siamo evangelizzatori dei giovani e, come Congregazione, come comunità ispettoriali e locali concrete, dobbiamo vivere e crescere in una vera predilezione pastorale per i giovani. Sarà molto difficile riuscirvi se non diamo precedenza e urgenza all’annuncio del Signore Gesù ai giovani e, allo stesso tempo, se non siamo capaci di accompagnarli nella loro realtà di vita. Dovrebbe essere un nostro punto forte accompagnare ogni giovane nella sua situazione, ma spesso è un compito che lasciamo ad altri o che diciamo di non saper svolgere. In questo accompagnamento, è di vitale importanza iniziare alla cultura vocazionale di cui tanto ci hanno parlato. Non ci siamo ancora riusciti. Di solito ci fa paura o la squalifichiamo con la ‘auto-giustificazione’ che non crediamo di dover usare ‘nessuna canna da pesca’. Se veramente pensiamo così e ‘vendiamo questo discorso’, stiamo uccidendo qualcosa che è molto nostro, del nostro carisma: la capacità di accompagnare ogni adolescente, ogni giovane nella sua ricerca personale, nelle sue sfide, nelle sue domande sulla vita, nelle sue scelte di vita. Qualcosa che è affascinante nella nostra vocazione salesiana, noi lo lasciamo da parte o in mano ad altri... o a nessuno. Per questo chiedo ad ogni Ispettoria di destinare i confratelli più capaci per la pastorale giovanile e vocazionale, con vere proposte di evangelizzazione, svolgendo itinerari sistematici di educazione nella fede, privilegiando l’attenzione alla persona e all’accompagnamento personale della stessa, proponendo loro sfide coraggiose nel discernimento del loro progetto di vita, con proposte pure coraggiose per ogni tipo di vocazione nella Chiesa, anche la vocazione salesiana nelle sue diverse forme e coinvolgendo tutta la comunità.

Speriamo che non avvenga quel che constatava il CG23 – una delle visioni più brillanti del nostro magistero capitolare sull’educazione dei giovani alla fede – quando dice che in questo cammino cui ho fatto riferimento, può giungere il momento dell’abbandono, “non solo per le difficoltà che presenta la fede, ma per mancanza di attenzione degli educatori, più preoccupati delle cose che di accompagnare fraternamente il dialogo tra il giovane e Dio” (CG23, 137).

3.7. Con i laici nell’urgenza della missione condivisa

Nella nostra riflessione capitolare abbiamo constatato un maggior protagonismo dei laici, favorito dalla corresponsabilità e dalla missione condivisa nella comunità educativo-pastorale. Già diciotto anni fa, nel CG24 – per non risalire ad un magistero precedente – si chiedeva al Rettor Maggiore e al suo Consiglio di fare conoscere iniziative ed esperienze di collaborazione tra SDB e laici (CG24, 127) e si riconosceva, nella riflessione capitolare che “il cammino del coinvolgimento porta alla comunione nello spirito e l’itinerario della corresponsabilità porta a condividere la missione salesiana. Comunione e partecipazione, coinvolgimento e corresponsabilità sono le due facce della stessa medaglia” (CG24, 22).

Abbiamo fatto dei progressi nel nostro modo di vedere la missione condivisa. D. Pascual Chávez ci ha manifestato varie volte, come frutto della sua riflessione su questo tema, che con lo sguardo e la visione teologica ed ecclesiologica attuale, non si può immaginare la missione salesiana senza i laici, perché è anche vitale per il nostro carisma il loro apporto.

Io aggiungo questo, cari confratelli: la missione condivisa tra SDB e laici non è più opzionale – caso mai qualcuno lo pensasse ancora – ed è così perché la missione salesiana nel mondo attuale ce lo richiede insistentemente. È vero che nella Congregazione abbiamo ‘velocità’ diverse nelle Ispettorie e nel rapporto fra di loro, ma la missione condivisa tra laici e SDB, la riflessione su questa missione, il processo di conversione da parte dei nostri confratelli sdb al riguardo è irrinunciabile. Per questo oso chiedere ad ogni ispettoria che diventi realtà in questo primo triennio, dopo il CG27, la concretizzazione del Progetto e del programma di missione condivisa che si sta portando avanti tra SDB e laici – dove è già realtà – oppure lo studio della realtà ispettoriale e il Progetto e programma concreto da svolgere negli anni che decorrono fino al prossimo Capitolo Generale.

3.8. Missione ‘Ad gentes’, Progetto Europa e Bicentenario

Non svolgo questi temi. Prendo solo atto che non si tratta di dimenticanza ma, al contrario, di tre realtà che nella programmazione del sessennio hanno già un posto loro proprio. I due ultimi, Progetto Europa e Bicentenario, hanno già uno sviluppo, che dobbiamo continuare a tutelare, e la Azione Missionaria della Congregazione (‘Missio ad Gentes’) avrà una particolare attenzione, sempre inquadrata nel coordinamento di tutti i settori della missione che abbraccia la pastorale giovanile, specialmente per i più poveri, l’educazione delle classi popolari, con una cura attenta nella comunicazione sociale, e l’annuncio del Vangelo ai popoli che non lo conoscono – Missio ad Gentes – (cfr. Cost. 6).

3.9. Un grazie di tutto cuore

Non posso terminare queste parole senza far riferimento al Rettor Maggiore precedente e al suo Consiglio.

Di tutto cuore ti ringrazio, carissimo Don Pascual, IX Successore di Don Bosco, che sei stato il nostro Rettor Maggiore durante gli ultimi dodici anni, dando vita, donando la tua vita, essendo Padre, guidando la nostra Congregazione con destrezza e sicurezza, come un buon capitano che sa trovare la rotta nonostante le nebbie e l’arrivo della notte ad ogni tramonto. Grazie perché sei stato Padre per tutta la Famiglia Salesiana, Successore di Don Bosco per i giovani di tutte le parti del mondo. Grazie per il tuo Magistero ricco e solido, grazie per aver condotto a buon porto la nave di tutta la Congregazione in questa lunga traversata degli ultimi dodici anni. Il Signore ti benedica e Don Bosco premi tutta la tua dedizione nel suo nome.

Sono certissimo che queste mie parole come Rettor Maggiore sono quelle di tutta l’Assemblea Capitolare del CG27, di tutti i confratelli della Congregazione, di tutta la Famiglia Salesiana e di tanti giovani del mondo che vorrebbero avere voce in questo momento.

E un grazie vivissimo e pieno di affetto anche al tuo Vicario e a tutti i membri del Consiglio Generale che, per sei o dodici anni, hanno curato con zelo ognuna delle parti (sia i Settori di animazione come le Regioni del mondo) che ha loro affidato la Congregazione. A nome di tutti i confratelli, della Famiglia Salesiana e dei giovani un grande grazie per così grande generosità e dedizione.

Concludo invocando la Madre, la nostra Madre Ausiliatrice che, nella preghiera che ci ha preparato per questo documento capitolare Don Pascual, invochiamo come Donna dell’Ascolto, Madre della comunità nuova e Serva dei poveri. Che Lei, con la sua intercessione, ci ottenga il dono dello Spirito per avere un cuore che appartiene di più a Dio, insieme ai confratelli, per i giovani e tra loro.

Don Bosco ci guidi e ci accompagni per tradurre in vita quel che abbiamo vissuto, pensato e sognato in questo CG27. Che con un cuore simile al suo faccia di noi veri cercatori di Dio (Mistici), fratelli capaci di Amare coloro che Dio ci pone nel cammino della vita (Profeti della fraternità), e veri Servitori dei giovani col cuore del Buon Pastore.

Roma, 12 aprile 2014

ELENCO DEI PARTECIPANTI AL CAPITOLO GENERALE 27

Consiglio Generale

1 P CHÁVEZ VILLANUEVA Pascual Rettor Maggiore, Presidente

2 P BREGOLIN AdrianoVicario del Rettor Maggiore

3 P CEREDA FrancescoConsigliere per la Formazione-Regolatore

4 P ATTARD FabioConsigliere per la Pastorale Giovanile

5 P KLEMENT VáclavConsigliere per le Missioni

6 P GONZÁLEZ Plascencia FilibertoConsigliere per la Comunicazione Sociale

7 L MULLER Jean PaulEconomo Generale

8 P BASAÑES GuillermoConsigliere Regionale

9 P CHRZAN MarekConsigliere Regionale

10 P FRISOLI Pier FaustoConsigliere Regionale

11 P P KANAGA Maria ArokiamConsigliere Regionale

12 P NÚÑEZ MORENO José MiguelConsigliere Regionale

13 P ORTIZ G. EstebanConsigliere Regionale

14 P VITALI NataleConsigliere Regionale

15 P WONG AndrewConsigliere Regionale

16 P STEMPEL MarianSegretario Generale

17 P MARACCANI FrancescoProcuratore Generale

Regione salesiana: AFRICA E MADAGASCAR

18 P GEBREMESKEL EstifanosSup. Visit. Africa Etiopia e Eritrea

19 P TAKELE SeleshiDelegato Africa Etiopia e Eritrea

20 P NGOY Jean-ClaudeIspettore Africa Centrale

21 P MAKOLA MWAWOKA Dieudonné Delegato Africa Centrale

22 P ROLANDI GiovanniIspettore Africa Est

23 P ASIRA LIPUKU SimonDelegato Africa Est

24 P DUFOUR FrançoisSup. Visit. Africa Meridionale

25 L MHARA MarkoDelegato Africa Meridionale

26 P GARCÍA PEÑA FaustinoIspettore Africa Occidentale Francofona

27 L CORDERO HernánDelegato Africa Occidentale Francofona

28 P CRISAFULLI JorgeIspettore Africa Occidentale Anglofona

29 P OCHE AnthonyDelegato Africa Occidentale Anglofona

30 P SWERTVAGHER CamielSup. Visit. Africa Grandi Laghi

31 P NGOBOKA Pierre CélestinDelegato Africa Grandi Laghi

32 P RODRÍGUEZ MARTIN Filiberto Sup. Visit. Angola

33 P SEQUEIRA GUTIÉRREZ VictorLuis Delegato Angola

34 P JIMÉNEZ CASTRO ManuelSup. Visit. Africa Tropicale Equatoriale

35 P NGUEMA Miguel ÁngelDelegato Africa Tropicale Equatoriale

36 P CIOLLI ClaudioSup. Visit. Madagascar

37 P BIZIMANA InnocentDelegato Madagascar

38 P CHAQUISSE AméricoSup. Visit. Mozambico

39 P SARMENTO Adolfo de JesusDelegato Mozambico

40 P CHALISSERY GeorgeSup. Visit. Zambia-Malawi-Namibia‑

Zimbabwe

41 P MBANDAMA Michael Kazembe Delegato Zambia-Malawi-Namibia‑

Zimbabwe

Regione salesiana: AMERICA CONO SUD

42 P CAYO ManuelIspettore Argentina Nord

43 PROMERO HéctorDelegato Argentina Nord

44 P FERNÁNDEZ ARTIME ÁngelIspettore Argentina Sud

45 L VERA Hugo CarlosDelegato Argentina Sud

46 P MARÇAL MárcioDelegato Brasile Belo Horizonte

47 P SHINOHARA LauroIspettore Brasile Campo Grande

48 P FIGUEIRÓ TiagoDelegato Brasile Campo Grande

49 P ALVES DE LIMA FranciscoIspettore Brasile Manaus

50 P RIBEIRO Antonio de AssisDelegato Brasile Manaus

51 P FISTAROL OrestesIspettore Brasile Porto Alegre

52 P DA SILVA Gilson MarcosDelegato Brasile Porto Alegre

53 P VANZETTA DiegoIspettore Brasile Recife

54 P RODRIGUES João CarlosDelegato Brasile Recife

55 P CASTILHO EdsonIspettore Brasile São Paulo

56 P SIBIONI Roque LuizDelegato Brasile São Paulo

57 P LORENZELLI Alberto RiccardoIspettore Cile

58 P ALBORNOZ DavidDelegato Cile

59 P LEDESMA NéstorIspettore Paraguay

60 P ZÁRATE LÓPEZ Nilo DamiánDelegato Paraguay

61 P CASTELL NéstorIspettore Uruguay

62 P COSTA DanielDelegato Uruguay

Regione salesiana: ASIA EST E OCEANIA

63 P CHAMBERS GregIspettore Australia

64 P GRAHAM BernardDelegato Australia

65 P FEDRIGOTTI LanfrancoIspettore Cina

66 P FUNG Ting Wa AndrewDelegato Cina

67 P CRUZ EligioIspettore Filippine Nord

68 P GARCES AlexanderDelegato Filippine Nord

69 P MILITANTE GeorgeIspettore Filippine Sud

70 P GERONIMO HonestoDelegato Filippine Sud

71 P CIPRIANI AldoIspettore Giappone

72 P YAMANOUCHI Mario MichiakiDelegato Giappone

73 P GUTERRES João PaulinoSup. Visit. Indonesia e Timor Est

74 P SOERJONOTO Yohannes BoediDelegato Indonesia e Timor Est

75 P NAM Stephanus (Sanghun)Ispettore Korea

76 P YANG StefanoDelegato Korea

77 P VALLENCE MauriceSup. Visit. Myanmar

78 P SOE NAING MarianoDelegato Myanmar

79 P PRASERT SOMNGAM PaulIspettore Tailandia

80 P SUPHOT RIUNGAM Dominic Savio Delegato Tailandia

81 P TRAN Hoa Hung GiuseppeIspettore Vietnam

82 P NGUYEN Thinh Phuoc Giuseppe Delegato Vietnam

83 P NGUYEN Ngoc Vinh GiuseppeDelegato Vietnam

Regione salesiana: ASIA SUD

84 P D’SOUZA GodfreyIspettore India Mumbai

85 P FERNANDES AjoyDelegato India Mumbai

86 P ELLICHERAIL ThomasIspettore India Kolkata

87 P PUYKUNNEL Shaji JosephDelegato India Kolkata

88 P GURIA NestorIspettore India Dimapur

89 P CHITTILAPPILLY VargheseDelegato India Dimapur

90 P VATTATHARA ThomasIspettore India Guwahati

91 P ALMEIDA JosephDelegato India Guwahati

92 P RAMINEDI BalarajuIspettore India Hyderabad

93 P THATHIREDDY Vijaya BhaskarDelegato India Hyderabad

94 P ANCHUKANDAM ThomasIspettore India Bangalore

95 P KOONAN ThomasDelegato India Bangalore

96 P VETTOM JoseDelegato India Bangalore

97 P P RAPHAEL JayapalanIspettore India Chennai

98 P SWAMIKANNU StanislausDelegato India Chennai

99 P ANTONYRAJ ChinnappanDelegato India Chennai

100 P PEEDIKAYIL MichaelIspettore India New Delhi

101 P PARAPPULLY JoseDelegato India New Delhi

102 P FIGUEIREDO IanIspettore India Panjim

103 P RODRIGUES AvilDelegato India Panjim

104 P MALIEKAL GeorgeIspettore India Silchar

105 P LENDAKADAVIL AnthonyDelegato India Silchar

106 P JOHNSON AlbertIspettore India Tiruchy

107 P JOSEPH AntonyDelegato India Tiruchy

108 P KAHANAWITALIYANAGE Nihal Sup. Visit. Sri Lanka

109 P SAJEEWAKA PaulDelegato Sri Lanka

Regione Salesiana: EUROPA NORD

110 P OSANGER RudolfoIspettore Austria

111 P KETTNER SiegfriedDelegato Austria

112 P TIPS MarkIspettore Belgio Nord

113 P WAMBEKE WilfriedDelegato Belgio Nord

114 P VACULÍK PetrIspettore Repubblica Ceca

115 P CVRKAL PetrDelegato Repubblica Ceca

116 P ORKIC PejoIspettore Croazia

117 P STOJIC AntoDelegato Croazia

118 P COYLE MartinIspettore Gran Bretagna

119 P GARDNER James RobertDelegato Gran Bretagna

120 P GRÜNNER JosefIspettore Germania

121 P GESING ReinhardDelegato Germania

122 P VON HATZFELD HattoDelegato Germania

123 P CASEY MichaelIspettore Irlanda

124 P FINNEGAN John ChristopherDelegato Irlanda

125 P WUJEK AndrzejIspettore Polonia Warszawa

126 P KUk.AK WojciechDelegato Polonia Warszawa

127 P YASHEUSKI AliaksandrDelegato Polonia Warszawa

128 P CHMIELEWSKI MarekIspettore Polonia Pika

129 P KABAK VladimirDelegato Polonia Pika

130 P KLAWIKOWSKI ZenonDelegato Polonia Pika

131 P LEJA AlfredIspettore Polonia Wrockaw

132 P LOREK PiotrDelegato Polonia Wrockaw

133 P BARTOCHA DariuszIspettore Polonia Kraków

134 P KIJOWSKI TomaszDelegato Polonia Kraków

135 P MANÍK KarolIspettore Slovacchia

136 P IZOLD JozefDelegato Slovacchia

137 P POTOGNIK JanezIspettore Slovenia

138 P MARŠIG FrancDelegato Slovenia

139 P PISTELLATO OnorinoSup. Circ. Ucraina

140 P VITÁLIS GáborSupplente Ungheria

141 P DEPAULA FlavioDelegato Ungheria

Regione Salesiana: EUROPA OVEST

142 P FEDERSPIEL DanielIspettore Francia e Belgio Sud

143 P ROBIN OlivierDelegato Francia e Belgio Sud

144 P PEREIRA ArturIspettore Portogallo

145 P MORAIS TarcízioDelegato Portogallo

146 P ASURMENDI AngelIspettore Spagna Barcelona

147 P CODINA JoanDelegato Spagna Barcelona

148 P URRA MENDÍA FélixIspettore Spagna Bilbao

149 P VILLOTA José LuisDelegato Spagna Bilbao

150 P RODRÍGUEZ PACHECO JoséIspettore Spagna León

151 P BLANCO ALONSO José MariaDelegato Spagna León

152 P ONRUBIA LuisIspettore Spagna Madrid

153 P VALIENTE JavierDelegato Spagna Madrid

154 P GARCÍA SANCHEZ FernandoDelegato Spagna Madrid

155 P RUIZ MILLÁN FranciscoIspettore Spagna Sevilla

156 P PÉREZ Juan CarlosDelegato Spagna Sevilla

157 P SANCHO GRAU Juan BoscoIspettore Spagna Valencia

158 P SOLER RosendoDelegato Spagna Valencia

Regione Salesiana: INTERAMERICANA

159 P PICHARDO VictorIspettore Antille

160 P SANTIAGO HiramDelegato Antille

161 P LÓPEZ ROMERO CristóbalIspettore Bolivia

162 P APARICIO BARRENECHEA Juan F. Delegato Bolivia

163 P HERNÁNDEZ AlejandroIspettore Centro America

164 P SANTOS RenéDelegato Centro America

165 P MORALES JaimeIspettore Colombia Bogotà

166 P GRAJALES WilfredoDelegato Colombia Bogotà

167 P GÓMEZ RUA John JairoIspettore Colombia Medellín

168 P BEJARANO RafaelDelegato Colombia Medellín

169 P FARFÁN MarceloIspettore Ecuador

170 P GARCÍA ITURRALDE Robert G. Delegato Ecuador

171 P SYLVAIN DucangeSup. Visit. Haïti

172 P MÉSIDOR Jean-PaulDelegato Haïti

173 P MURGUÍA VILLALOBOS Salvador Ispettore Messico Guadalajara

174 P OROZCO HugoDelegato Messico Guadalajara

175 P HERNÁNDEZ PALETA GabinoIspettore Messico México

176 P OCAMPO URIBE IgnacioDelegato Messico México

177 P DAL BEN SantoIspettore Perù

178 P PACHAS José AntonioDelegato Perù

179PDUNNE ThomasIspettore Stati Uniti Est

180 P PACE MichaelDelegato Stati Uniti Est

181 P PLOCH TimothyIspettore Stati Uniti Ovest

182 L VU AlphonseDelegato Stati Uniti Ovest

183 P STEFANI LucianoIspettore Venezuela

184 P MÉNDEZ FranciscoDelegato Venezuela

Regione Salesiana: ITALIA E MEDIO ORIENTE

185 P MANCINI LeonardoSup. Circ. Italia Centrale

186 P BERTO GinoDelegato Italia Centrale

187 P COLAMEO RobertoDelegato Italia Centrale

188 P MARCOCCIO FrancescoDelegato Italia Centrale

189 P MARTOGLIO StefanoSup. Circ. Italia Piemonte e Val d’Aosta

190 P BESSO CristianDelegato Italia Piemonte e Val d’Aosta

191 P STASI EnricoDelegato Italia Piemonte e Val d’Aosta

192 L MANZO PiercarloDelegato Italia Piemonte e Val d’Aosta

193 P CACIOLI ClaudioIspettore Italia Lombardo Emiliana

194 P CUCCHI DanieleDelegato Italia Lombardo Emiliana

195 P VANOLI StefanoDelegato Italia Lombardo Emiliana

196 P CRISTIANI PasqualeIspettore Italia Meridionale

197 P BELLINO FabioDelegato Italia Meridionale

198 P DAL MOLIN RobertoIspettore Italia Nord Est

199 P BIFFI IginoDelegato Italia Nord Est

200 L PETTENON GiampietroDelegato Italia Nord Est

201 P RUTA GiuseppeIspettore Italia Sicilia

202 P MAZZEO MarcelloDelegato Italia Sicilia

203 P EL RA’I MunirIspettore Medio Oriente

204 P CAPUTA GiovanniDelegato Medio Oriente

Università Pontificia Salesiana

205 P D’SOUZA JoaquimSup. Visit. UPS

206 P NANNI CarloDelegato UPS

Casa Generalizia e Comunità Vaticana

207 P LÓPEZ Horacio AdriánDelegato RMG

Osservatori invitati

208 L KURIAS CyriacInvitato India New Delhi

209 L CALLO RaymondInvitato Filippine Nord

210 L BEHÚN RastislavInvitatoSlovacchia

211 L PIÑUELA MatíasInvitatoSpagna León

212 P BAQUERO PeterInvitato Filippine Nord

213 P POOBALARAYEN FerringtonInvitato Africa Est

214 P KARIKUNNEL MichaelInvitato Africa Occidentale Anglofona

215 P OBERMLJLLER PetrusInvitato Austria

216 P DERETTI AsidioInvitatoBrasile Porto Alegre

217 P DOS SANTOS GildásioInvitato Brasile Campo Grande

218 P BICOMONG PaulInvitato Filippine Nord

219 P GOMES NirmolInvitatoIndia Kolkata

220 P CAUCAMÁN HonorioInvitato Argentina Sud

INDICE ANALITICO DEL TEMA CAPITOLARE

Accompagnamento dei giovani

Accompagnamento per la loro maturazione 1, 73.5

Accompagnamento spirituale 17, 18, 27, 38, 59, 75.1 – Accompagnamento vocazionale 74.2, 75.1

Ambiente digitale

Il mondo digitale ci interpella 25, 42, 62, 75.4

Apertura alla cultura

Apertura alle dinamiche culturali del mondo 2, 5, 35, 37, 43, 62, 71.4 Ascolto

Ascoltare Dio nei giovani e nei poveri 22, 35, 52, 59, 64.2 – Ascoltare Don Bosco 31

Ascoltare collaboratori e dipendenti 69.2

Autenticità

Autenticità, bisogno dei giovani 1, 17, 40

Autenticità, da testimoniare nella vita salesiana 1, 8, 55, 59, 63.2, 67.1

Collaborazione e collaboratori

Salesiani aperti alla collaborazione 19, 29, 55, 57, 71.3 – Collaboratori dei Salesiani 16, 69.2, 70.2, 75.4

Comprensione

Comprensione reciproca 41, 48

Comunicazione relazionale

Comunicazione interpersonale 25, 40, 69.1

Comunione

Comunione in comunità 3, 36, 41, 45, 46, 51, 68.1, 71.1

Comunità educativa pastorale

Ruolo proattivo dei Salesiani verso la CEP 13, 14, 15, 44, 46, 60, 65.2 Comunità salesiana

Consistenza 60, 69.6

Comunità in relazione con Dio 1, 5, 33, 39, 40

Comunità e la vita fraterna 8, 9, 10, 11, 12, 31, 36, 40, 42, 45, 47, 48, 49, 50, 63.2,

67.5, 69.3, 69.6

Comunità e la missione 11, 21, 40, 43, 44, 60, 63.2, 69.5, 74.1

Comunità internazionali 29, 75.5

Condivisione

Condivisione spirituale 5, 8, 54, 65.2, 67.4 – Condivisione della missione 13, 46

Condivisione con i laici e i giovani 15, 46, 65.2, 74.1

Conversione

Conversione spirituale, fraterna e pastorale 63, 65.1, 73.1 Corresponsabilità

Corresponsabilità nella comunità salesiana 48, 51, 69.3, 71.1

Corresponsabilità con la CEP e la Famiglia Salesiana 13, 15, 19, 44, 46, 51, 70.2, 71.1

Correzione fraterna

Accoglienza della correzione fraterna 48, 68.2

Cultura salesiana

Promozione della cultura salesiana 67.3, 67.6, 71.1

Cura dei confratelli

Cura dei confratelli in situazioni difficili 9, 11, 47, 69.4

Dialogo

Apertura al dialogo 35, 37, 61, 69.1 Dio

Ricerca di Dio 1, 2, 4, 32

Incontro con Dio 1, 2, 17, 18, 34, 38, 53, 59, 66.2

Esperienza di Dio 2, 33, 40, 41, 52, 64.1 – Primato di Dio 1, 2, 3, 7, 28, 32, 38, 63.1 – Unione con Dio 33, 53, 54

Dio Padre 33, 39

Dio Spirito 41, 64, 66

Direttore

Il bisogno sentito della sua paternità spirituale 12, 14, 51 – La cura del direttore 69.3, 69.10, 69.11

Diritti

La promozione e difesa dei diritti umani e dei minori 22, 71.2, 73.3

Distanza dai giovani

Distanza dai giovani 24, 72.1

Don Bosco

Seguire Don Bosco 3, 4, 31, 32, 33, 41, 48, 55

Ecologia

Educare le comunità e i giovani al rispetto del creato 30, 73.6 Educazione dei giovani

La nostra vita consacrata deve trasparire nel lavoro di educazione 3, 18, 38, 44, 53 – Nuovi campi di educazione dei giovani 25, 30, 62, 73.5, 73.6, 75.4

Eucaristia

Eucaristia, fonte e sostegno della vita consacrata 3, 41, 65.1 Evangelizzazione dei giovani

La sfida di evangelizzare i giovani 2, 17, 18, 27, 37, 47, 54, 58 – Nuovi campi di evangelizzazione dei giovani 25, 62, 73.5

Famiglia Salesiana

Lavorare insieme ad altri gruppi della Famiglia Salesiana 19, 44, 69.1, 71.2 Fede

Vivere di fede 3, 31, 34, 66.2

Favorire la crescita nella fede 38, 54, 59

Fedeltà

Dio è fedele 31

La nostra fedeltà 3, 4, 26, 28, 40

Formazione dei salesiani

Formazione iniziale 21, 49, 71.4

Formazione permanente 7, 8, 36, 42, 49, 64.2, 67.8

Formazione affettiva, interpersonale e spirituale 12, 49, 50, 69.8

Formazione pastorale 21, 50, 61, 71.4, 71.5, 75.4

Formazione dei direttori 51, 69.10,

Fraternità

Mezzi per costruire la fraternità 3, 10, 29, 31, 41, 47, 51, 68.2, 69.7 – Fraternità con i collaboratori 44, 69.2

Testimonianza della fraternità 39, 40, 63, 68, 68.2

Gestione dei beni e delle opere

Attenzione eccessiva ai compiti gestionali 14, 16, 27 – Trasparenza e professionalità nella gestione 75.6

Gesù Cristo

Amore per Gesù 32, 41, 64.1, 66.1, 72.1 – Chiamata di Gesù 24, 32, 33, 39, 66.1

Incontro con Gesù 1, 18, 31, 34, 38, 60, 64.1

Gioia

La gioia che viene dalla nostra fede 31, 66.2

La gioia che viene dalla nostra vocazione e missione 4, 17, 32, 39, 59, 67.1

Grazia di unità

Incontrare Dio nei giovani 1, 53, 64.1, 64.2 – Lo spirituale e l’umano 6, 27, 32, 33, 67.5

L’evangelizzazione e l’educazione 17, 18, 25, 38, 58 – Consacrazione, fraternità e missione 36, 40, 41, 63

Guida spirituale

Necessità di una guida spirituale stabile 7, 67.2

Imborghesimento

Ricerca di una vita agiata 9, 16, 45, 74.1

Individualismo

Preoccupazione eccessiva per il proprio lavoro 13, 42, 70.1 Laici

Sensibilità dei laici ai valori 1

Formazione dei laici 15, 16, 20, 67.8, 71.5, 71.7, 73.2

Corresponsabilità dei laici 15, 19, 44, 46, 69.1, 70.2, 71.5 – Contributo dei laici 15, 16, 71.5 75.1

Lavoro

Lavoro poco significativo 27, 28, 38, 42 – Lavoro fecondo 8, 50, 58, 63.2, 67.5 – Lavoro insieme 8, 13, 19, 71.2, 71.3

Lavoro e temperanza

Vivere il binomio lavoro e temperanza 50, 60, 75.2

Lectio divina

Contatto proficuo con la Parola di Dio 5, 8, 67.4

Maria

Maria aiuta a riscoprire la gioia della fede 31

Meditazione

Pratica quotidiana 65.2

Missione salesiana e missionarietà

Esperienza di Dio e missione salesiana 2, 3, 41, 53 – Fraternità e missione salesiana 11, 39, 40, 69.4, 69.7, 70.1 – Vita consacrata e missione salesiana 9, 10, 28, 36, – Corresponsabilità nella missione salesiana 13, 19, 70.2, 71.7 – Missionarietà 2, 17, 35, 43, 74.1, 75.5

Mistica

Alla base di tutto la relazione con Dio 33, 40, 64, 66

Mondo

Testimonianza al mondo della vita consacrata 5, 29, 40, 66.1, 66.2

Movimento giovanile salesiano

La maturazione dei giovani mediante il MGS 17

Parola di Dio

Contatto con la Parola di Dio 5, 34, 52, 64.2, 65.2, 65.3, 67.4 Passione

Passione per Gesù Cristo 66.1, 72.1 – Passione per Don Bosco 4

Pastorale

Difficoltà nella pastorale 21, 56, 70.1

Pastorale dinamica / proattiva 71.6, 72.2, 74.2

Pastorale familiare

Cura delle famiglie 3, 20, 46, 71.5, 71.7 Pastorale giovanile

Pastorale giovanile, dono per la Chiesa e per il mondo 20, 57 – Rinnovamento della pastorale giovanile 71.4, 71.6, 73.2

Periferie giovanili

Servizio ai giovani poveri 3, 5, 6, 17, 22, 26, 31, 32, 35, 36, 63.3, 74.1, 75.3

Nuove frontiere e “periferie esistenziali” 22, 26, 35, 43, 44, 55, 63.3, 69.5, 72.2, 73.1, 73.2, 73.3

Preghiera

La preghiera, un vero apostolato 11 – La preghiera personale 28, 65.2, 67.5 – La preghiera comunitaria 3, 8, 28, 65.2 67.5 – Manuale di preghiera da aggiornare 67.7

Presenza tra i giovani

Essere con i giovani 16, 24, 59, 62, 72.1 Progettazione

Progettazione pastorale e salesiana 56, 71.4, 71.6 – Progetto personale di vita 5, 67.1

Progetto comunitario 13, 67.1, 70.1, 71.1

Progetto ispettoriale 70.1, 71.5

Progetto educativo pastorale (PEPS) 13, 51, 71.1, 71.5

Protagonismo dei giovani

Giovani protagonisti 17, 70.2, 73.5 Protezione dei minori

Rispetto della dignità dei minori 23, 73.4

Accompagnamento dei soggetti coinvolti in casi di abuso 69.9

Radicalità evangelica

Testimonianza della radicalità evangelica 4, 36, 55, 63, 75.7 Rapporti e Relazioni

Rapporti superficiali da superare 10, 42, 62, 68.1

Rapporti fraterni 1, 3, 12, 15, 25, 40, 45, 47, 68.1, 69.2

La formazione favorisce rapporti interpersonali 12, 49, 50, 69

Riconciliazione

La riconciliazione per essere profeti della fraternità 40, 48, 68.2 – Sacramento della Riconciliazione 49, 65.1

Ridimensionamento

Ridisegno delle presenze 26, 69.6 Riflessione

Riflessione pastorale 13, 54, 67.5, 71.7

Riflessione sulla vocazione e vita salesiana 8, 69.7

Salesiano coadiutore

Cura della vocazione del salesiano coadiutore 10, 69.7

Sequela di Gesù

Sequela di Gesù nella vita consacrata 33, 36, 63.1, 66.1 Servi dei giovani

Servizio a Dio nei giovani 53

Servizio dei giovani poveri 3, 63.3

Preghiera e sacrificio, servizio dei giovani 11

Formazione, preparazione per il servizio ai giovani 61 – Servizio insieme 57

Sistema preventivo

Necessaria una rinnovata comprensione e pratica del Sistema preventivo 3, 16, 26, 47, 54, 58, 59, 73.3

Sistema preventivo, una spiritualità 54, 58, 59

Spirito di famiglia

Comunità autentiche secondo lo spirito di famiglia 3, 12, 15, 48, 63.2 Spiritualità

Spiritualità del quotidiano 3

Spiritualità missionaria 35, 45, 64.1 – Spiritualità salesiana 19, 58, 59, 67.3

Temperanza

Vita sobria ed essenziale 30 Testimonianza

Testimoni di Dio 1, 3, 4, 5, 28, 32, 33, 37, 38, 39 – Testimoni di unità 40

Testimoni di radicalità evangelica 59, 63, 66.1

Uscire

Andare incontro ai bisogni 7, 35, 43, 44, 72.2

Valdocco

Vita fraterna come a Valdocco 48, 68 Vita consacrata

Dio, fulcro della vita consacrata 5, 31, 32, 41, 67.1 – Fraternità e vita consacrata 40, 69.7

Identità della vita consacrata 3, 10, 31, 69.7 – Vocazioni alla vita consacrata 35, 75.1

Vita spirituale

Lavoro e vita spirituale 6, 58

Accompagnamento della vita spirituale dei giovani 27

Vocazione

Vocazione salesiana 3, 10, 31, 32, 36, 38, 69.7 – Cura delle vocazioni 15, 17, 27, 40, 74.2, 75.1

Volontariato

Valorizzare il volontariato 17, 73.2