301-350|it|315 La nostra fedeltà al successore di Pietro

26.


LA NOSTRA FEDELTÀ AL SUCCESSORE DI PIETRO



Un invito opportuno. - Don Bosco ebbe un «senso di Chiesa» assai concreto. - Stile nuovo nell’esercizio del ministero di Pietro. - Una situazione di disagio. - Alcune riflessioni sulla Lumen Gentium. - Il nostro atteggiamento di fedeltà diviene compito. -L’Ausiliatrice e il Papa.

Lettera pubblicata in ACG n. 315



Roma, 3 settembre 1985

Memoria di S. Gregorio Magno


Cari Confratelli,


vi scrivo al rientro da una visita alle nostre comunità del Cile, della Bolivia e del Perù. In queste Ispettorie, ravvivate da una promettente fecondità vocazionale, ho avuto la gioia di consegnare ai confratelli il testo rielaborato delle Costituzioni e Regolamenti generali. L’evento è stato sentito come un gesto eccezionale e memorabile. Le comunità hanno vissuto un momento di profonda sintonia con il cuore di Don Bosco Fondatore, i cui palpiti evangelici sono stati riascoltati nel suo «testamento vivo» nuovamente approvato dalla Sede Apostolica.

Mi piace ricordare a tutti il proposito fatto in quell’occasione per una adeguata preparazione alle celebrazioni dell’88: concentrare nei prossimi tre anni le iniziative di studio, di approfondimento personale, di assimilazione comunitaria e di testimonianza operativa del Libro della nostra Regola di vita. La Congregazione tutta deve sentirsi invitata a vivere una specie di «Secondo Noviziato» per rilanciare con attualità profetica lo spirito apostolico del nostro Padre. A cento anni dalla morte vogliamo che questo spirito viva fiorente nei suoi figli!

Come è noto, le Costituzioni rinnovate sono state approvate dalla Sede Apostolica il 25 novembre 1984, solennità di Cristo Re. È questo un dato che lega più strettamente la nostra professione religiosa al ministero di Pietro, dà autorevolezza ecclesiale al progetto di vita che professiamo e contrassegna la genuinità del carisma che apportiamo al Popolo di Dio.

In tale ottica mi è sembrato opportuno accedere alla richiesta di non pochi confratelli (di varie Ispettorie) di proporre una riflessione sulla nostra «coscienza ecclesiale», che «esprimiamo — come dicono le Costituzioni — nella filiale fedeltà al successore di Pietro e al suo magistero».1

Il comportamento di «devozione» verso il Papa, teologicamente fondato, che Don Bosco ci ha lasciato come preziosa eredità, è un elemento costitutivo del nostro spirito. Vogliamo rinnovarne la consapevolezza.

Invoco la speciale intercessione del Papa Gregorio Magno, nella cui memoria liturgica ho iniziato la stesura di questa lettera. Questo grande Pontefice, già rinomato politico dell’Urbe e poi monaco fervente ed esemplare, che apportò non poche virtù «romane» all’esercizio del supremo ministero ecclesiale, ci aiuti ad approfondire ed apprezzare la fondamentale funzione del Papato nella Chiesa di Cristo. È un servizio qualificato, posto da Cristo nel cuore della storia per illuminare, esortare, indirizzare, stimolare, confermare e per riattualizzare continuamente il messaggio liberatore del suo Vangelo.



Don Bosco ebbe un «senso di Chiesa» assai concreto


La coscienza ecclesiale del nostro Fondatore si concretizzava pedagogicamente in alcuni comportamenti di fede, robusti e pratici. Li esprimeva con semplicità in tre grandi atteggiamenti che si vennero chiamando «devozioni»: verso Gesù Cristo Salvatore e Redentore, presente nell’azione centrale della Chiesa, l’Eucaristia; verso Maria, Modello e Madre della Chiesa, contemplata nella storia come Ausiliatrice; e verso il Papa, Successore di Pietro, posto come capo del Collegio episcopale per il servizio pastorale di tutta la Chiesa.

Si tratta di tre aspetti inseparabili tra loro, mutuamente illuminantisi, convergenti nella persona di Cristo, Signore della storia.

Né la dimensione mariana, né il ministero petrino possono essere oggetto isolato di una devozione a sé stante. Se noi qui trattiamo specificamente della nostra adesione al Papa, lo facciamo per necessità di metodo; ma è evidente che non lo consideriamo un tema staccato. Ogni confratello è invitato a meditarlo nella globalità del mistero cristologico ed ecclesiale.

Il beato don Luigi Orione, formato nello stesso senso di Chiesa del nostro Fondatore, voleva per il suo Istituto «un quarto voto» di totale adesione e obbedienza al Papa. Ciò che, per le difficoltà del tempo, egli non potè ottenere, lo realizzarono i suoi figli in un recente Capitolo Generale, dando così all’Istituto Orionino una più fedele identità carismatica.

Noi Salesiani non abbiamo un quarto voto di obbedienza al Papa, ma ne viviamo lo spirito. L’articolo 125 delle Costituzioni dichiara esplicitamente: «La Società salesiana ha come supremo superiore il Sommo Pontefice alla cui autorità i soci sono filialmente sottomessi anche in forza del voto di obbedienza, disponibili per il bene della Chiesa universale. Accolgono con docilità il suo magistero e aiutano i fedeli, specialmente i giovani, ad accettarne gli insegnamenti».

I contenuti di un altro articolo delle Costituzioni, il 13, aiutano a leggere in profondità il 125 attraverso l’elemento vivificante dello «spirito» che ci anima.

Vale la pena sottolineare l’uso che viene fatto in entrambi gli articoli del qualificativo «filiale» e, inoltre, la insistenza sulla «disponibilità» e sulla «docilità» che devono distinguere la nostra azione apostolica soprattutto tra i giovani. Tutto ciò esige coraggio e dedizione: «Qualunque fatica è poca — secondo Don Bosco — quando si tratta della Chiesa e del Papato».2

I due articoli, 13 e 125, si possono considerare l’espressione sintetica di tutta la ricca tradizione salesiana a cui qui possiamo solo accennare. Don Pietro Ricaldone ne ha raccolto le espressioni più significative nella conosciuta circolare dal titolo Conoscere, amare, difendere il Papa.3

In essa troviamo un abbondante materiale che ci porta, anche oggi, a percepire facilmente nel cuore di Don Bosco uno straordinario e coraggioso impegno di fedeltà verso il ministero di Pietro. Il nostro Padre ne era convinto ed esprimeva questa sua convinzione in forma esplicita. Non accettava la formula «Pio IX sì, ma non il Papa»; né gli sarebbe piaciuta l’altra (piuttosto in voga oggi): «il Papato sì, ma non questo Papa». La prima era astutamente politica; la seconda è ambiguamente disimpegnata.

Il successore di Pietro a cui aderiva Don Bosco era il Papa «vivo» («questo» Papa), che guida e ammaestra qui e adesso, nella presente congiuntura storica, il Popolo di Dio; egli era convinto che si riferiscono a lui, al Papa vivo, le parole di Cristo nel Vangelo e l’indefettibile assistenza dello Spirito Santo. Le due formule suaccennate non esprimono la vera fede cristiana; ne camuffano piuttosto le esigenze favorendo interpretazioni soggettive.

Don Bosco, nella sua praticità pedagogica, è inequivoco nel testimoniare la dimensione ecclesiale della sua fede e nell’educare ad essa i giovani. È impossibile correre il pericolo di non percepire il suo pensiero di fondo. Anche quando alcune sue espressioni appaiono legate a una mentalità dell’epoca perché redatte in un genere letterario ormai inconsueto, si coglie con facilità e chiarezza la coscienza ecclesiale che permea il suo cuore.

Per questo nella laboriosa e scrupolosa rielaborazione del testo costituzionale degli scorsi anni non ci sono stati tentennamenti nell’affermare la nostra «filiale fedeltà» al Papa 4 e la corrispondente «docilità» al suo magistero: 5 così da poter concludere senz’ombra di dubbio che l’amore e l’adesione al ministero petrino sono una delle componenti irrinunciabili del patrimonio spirituale lasciatoci in eredità dal Fondatore.

Nella sopracitata circolare di don Ricaldone si trovano numerosi dati per giustificare i molteplici qualificativi usati nel descrivere l’amore di Don Bosco al Papa: «soprannaturale, zelante e conquistatore, filiale e devoto, ubbidiente e sottomesso, sacrificato ed eroico. Ne fu, inoltre, uno strenuo difensore».6 Non sono affermazioni pleonastiche; corrispondono a diversi aspetti di una solida testimonianza vissuta lungo tanti anni.

Pensiamo a quanto Don Bosco ha scritto, per esempio, sulla storia dei Papi; a quanto ha fatto per la proclamazione dell’infallibilità in occasione del Concilio Vaticano I; al gesto eroico di obbedienza a Leone XIII nella dolorosa vertenza con Mons. Gastaldi; a quanto affrontò negli ultimi suoi anni di malferma salute per compiere il desiderio del Papa di portare a termine il tempio del Sacro Cuore al Castro Pretorio in Roma. Quest’ultimo pesante impegno della sua vita merita un breve commento. Don Cerruti, che ha seguito Don Bosco da vicino in tale atto eroico di deferenza al Papa, attestò con giuramento nei processi: «Sono intimamente persuaso che quegli strapazzi e quelle sofferenze (nei lunghi viaggi di questua) abbreviarono la vita di lui, già cadente e consunto dal lavoro».7

Senza alcun dubbio Don Bosco ha voluto lasciare ai suoi figli la viva eredità di una concreta e teologale «devozione» al successore di Pietro.

Nel «Riassunto» della presentazione fatta dallo stesso Don Bosco il 23 febbraio 1874 alla Sede Apostolica circa la vita e l’identità della Pia Società di S. Francesco di Sales, egli si esprime così: « Scopo fondamentale della Congregazione, fin dal suo principio, fu costantemente sostenere e difendere l’autorità del Capo supremo della Chiesa nella classe meno agiata della società e particolarmente della gioventù pericolante».8

E nella prima traduzione italiana del testo costituzionale che era stato recentemente approvato dalla Santa Sede,9 all’articolo 1 del capitolo VI (nonostante la delicata situazione politica di quegli anni) scrive: «I soci riconosceranno per loro arbitro e superiore assoluto il Sommo Pontefice, cui saranno in ogni cosa, in ogni luogo e in ogni tempo umilmente e rispettosamente sottomessi. Che anzi ogni membro si darà massima sollecitudine di difenderne l’autorità e promuovere l’osservanza delle leggi della Chiesa Cattolica e del suo Capo supremo, che è Legislatore e Vicario di Gesù Cristo sopra la terra».10

Si tratta, cari confratelli, di un atteggiamento e di un comportamento spirituali appropriati alla specifica missione della Congregazione. Un movimento apostolico di respiro universale come il nostro, dedicato per carisma alla pastorale giovanile, ha bisogno, per intima coerenza, di essere in linea con la natura stessa del dinamismo apostolico della Chiesa. Fare pastorale, infatti, è impegnarsi in un’azione evangelizzatrice guidata dai Pastori in «comunione gerarchica» con il Papa, capo del Collegio episcopale.11



Stile nuovo nell’esercizio del ministero di Pietro


Ma dai tempi di Don Bosco ad oggi l’esercizio del servizio papale è entrato in un processo pratico e progressivo di evoluzione di idee che comporta revisione, chiarificazione e anche rinnovamento.12 La consapevolezza di tale processo deve entrare anche a far parte del nostro amore e della nostra adesione al Papa. Se qualcuno rimanesse restio o titubante di fronte a questa affermazione, non ha, per convincersi, che mettere a confronto, per esempio, l’esercizio del ministero papale di un grande Pontefice anteriore al Vaticano II, come Pio XII, con l’attuale modalità seguita da Giovanni Paolo II.

Dal secolo scorso ai nostri anni ’80 l’esercizio del Primato ha dovuto affrontare le sfide non solo di profonde trasformazioni sociopolitiche ed ecclesiali, ma anche di nuove esigenze di maturazione dottrinale e di prospettiva pastorale che lo presentano oggi con delle novità che hanno provocato serie ricerche e anche tensioni. Tentiamo di rammentarne, in forma sintetica, alcuni elementi più significativi.

— La fine dello Stato pontificio, con le complesse lotte che l’hanno preceduta e con i delicati problemi che l’hanno seguita per lunghi decenni, ha certamente condizionato le modalità dell’esercizio della funzione papale.

— La successiva purificazione e progressiva semplificazione a favore di un maggiore slancio pastorale hanno accresciuto l’incisività e la genuinità del ministero di Pietro, intensificando il suo servizio profetico, particolarmente nell’ambito dell’insegnamento sociale.

— Il succedersi di Papi contemporanei, che si sono distinti per l’alta qualificazione e per la santità, ha chiarito e perfezionato l’immagine del servizio papale di fronte alla crescente razionalità laicista, e ne ha irrobustito la dimensione di universalità.

— Lo straordinario evento del Concilio Ecumenico Vaticano II ha rinnovato profondamente tutta l’ecclesiologia nel suo aspetto sostanziale di «mistero» e nella sua atipicità costitutiva, animata dalla presenza indefettibile dello Spirito del Signore. Da allora si sta constatando un continuo rinnovamento della Chiesa, anche nell’esercizio dei ministeri e nei carismi.

— La proclamazione simultanea del Primato papale e della Collegialità episcopale, fatta dal Concilio, ha comportato non indifferenti novità, con possibilità di ulteriori sviluppi, nell’esercizio del ministero di Pietro. Lo si è potuto vedere, per esempio, nell’avvio dato da Paolo VI al Sinodo dei Vescovi.

— La visione vaticana della «Chiesa universale» come comunione di Chiese particolari esclude la caricatura di considerare tutta la Chiesa semplicisticamente come la «diocesi del Papa»: la potestà dei Vescovi, dice la Lumen Gentium, «non è sminuita dalla potestà suprema e universale, ma anzi è da essa affermata, corroborata e rivendicata».13

Ne consegue che l’esercizio del ministero papale deve risultare un vero «servizio della comunione», confermando e orientando la collegialità e armonizzando gli interventi della potestà primaziale con le giuste esigenze della sussidiarietà.

— Un’ecclesiologia di comunione, poi, riconosce e rispetta le legittime diversità che arricchiscono l’edificazione della Chiesa universale. Perciò il Papato, fondamento visibile dell’unità e della cattolicità della Chiesa, s’impegna a promuovere una comunione pluriforme evitando gli insidiosi pericoli dell’uniformità.

— Il Vaticano II, inoltre, ha creato un nuovo e vasto contesto ecumenico che, tra le sue esigenze, annovera appunto il confronto e il dialogo sul delicato tema del ministero di Pietro. Ciò stimola ad approfondirne e formularne più comprensibilmente la dottrina.14 È vero che il Concilio afferma inequivocabilmente che il Primato del Papa appartiene costitutivamente al mistero della Chiesa di Cristo nella sua struttura storica, ma la formulazione di tale verità può essere suscettibile di chiarificazione: «Come la terminologia del Concilio di Efeso — scrive un competente studioso — venne profondamente mutata da quello di Calcedonia, al fine di dire la stessa cosa in maniera più chiara, così si può logicamente pensare che la realtà che i due ultimi Concili hanno espresso con la loro particolare terminologia (circa il Primato del Papa) possa essere formulata anche con altri termini più comprensibili».15

— Infine, l’apertura conciliare alle Religioni non-cristiane e alla vasta schiera di non-credenti sta esigendo dal ruolo del Papa una inedita modalità di servizio che vediamo iniziata sia nell’ampliamento e riforma dei dicasteri vaticani, sia nei promettenti viaggi apostolici degli ultimi Pontefici,16 come anche in coraggiose iniziative pastorali e culturali con i rappresentanti dei popoli o attraverso alcune forme di mediazione nel campo della giustizia e della pace.

L’insieme di tutte queste «novità», non prive di tensioni, sta incidendo nell’esercizio del ministero di Pietro, non però per metterne in dubbio o per sminuirne riduttivamente la realtà voluta da Cristo, ma per adeguarne il funzionamento alla progressiva trasformazione socioecclesiale.

L’enumerazione di queste motivazioni per un cambio di stile deve aiutarci a reinterpretare con diligente fedeltà il testamento spirituale lasciatoci da Don Bosco. La consapevolezza dell’attuale processo di rinnovamento dell’esercizio del ministero petrino è una condizione indispensabile del nostro rinnovato senso di Chiesa.

Con Don Bosco e con i tempi! La nostra filiale adesione al Papa deve oggi sentirsi radicata in una Tradizione viva che si alimenta alle sorgenti cristalline della fede ma che progredisce in profonda sintonia con la crescita della coscienza stessa della Chiesa nel tempo.17



Una situazione di disagio


Il fascino delle suddette novità, il rigonfiamento di alcune tensioni che ne sono nate, certa razionalità pseudoscientifica, antichi e nuovi pregiudizi vorrebbero far apparire come segno di personalità o maturazione l’atteggiarsi a un abituale distanziamento critico o il prescindere nella pratica dalla guida del magistero del Papa. Se qualcuno dimostra sincera adesione viene considerato facilmente come un arretrato.

Non si tratta qui solo di quel «complesso antiromano» già analizzato nel conosciuto volume di Urs von Balthasar, ma anche di una crescente animosità verso «questo» Papa di oggi.

Sembra essere divenuta una moda dar adito a facili interpretazioni malevole circa la persona dell’attuale Papa: se ne indeboliscono gli interventi magisteriali, si dimostra simpatia per delle posizioni ideologiche da lui censurate, si indulge ad affermazioni gratuite di una sua mentalità culturale che sarebbe superata e frenante; alcuni, poi, sopravvalutano tanto la ricerca ermeneutica (pur di per sé importante e arricchente) che prescindono, in definitiva, da ogni mediazione magisteriale; dimenticano che «l’ufficio d’interpretare autenticamente la Parola di Dio scritta e trasmessa — come afferma la Costituzione Dei Verbum — è stato affidato al solo Magistero vivo della Chiesa, la cui autorità è esercitata nel nome di Gesù Cristo».18

Coloro che considerano l’interpretazione «storica» delle fonti della Rivelazione come un superamento scientifico della loro interpretazione «dogmatica», trascurano la natura della fede cristiana. Considerano la visione dogmatica come una specie di tappa prescientifica da mettere, dopo la loro ricerca, tra parentesi come se fosse una conoscenza ormai arcaica. Così non considerano che la Rivelazione è essa stessa, propriamente parlando, la vera «fonte» di ciò che è oggetto della fede; e che la fede è fondamentalmente un atto compiuto con la Chiesa intera, nell’ambito della sua tradizione viva accompagnata dal servizio del magistero.

«La fede — infatti — non è solamente un faccia a faccia con Dio e il Cristo, è anche un contatto che apre la comunione con coloro a cui Dio stesso si è comunicato. La fede, dunque, non è solamente un “io” e un “tu”, ma anche un “noi”. In questo “noi” vive il memoriale che ci ha fatto ritrovare quanto abbiamo dimenticato: Dio e il suo Inviato. Per dirlo con altre parole, non c’è fede senza Chiesa. Henri De Lubac ha dimostrato che l’“io” della professione di fede cristiana non è solo l’“io” isolato dell’individuo, ma l’“io” collettivo della Chiesa».19

Non è atteggiamento di fede prescindere dalla presenza viva dello Spirito Santo che assiste indefettibilmente il ministero di Pietro, come pure «democratizzare» in tal forma la Sua azione nell’interno del Popolo di Dio da rendere praticamente superflua la funzione del Papa.

Il danno che provocano alla gente, e soprattutto ai giovani, coloro (agenti di pastorale o professori) che avversano, sottovalutano o ironizzano la direzione pastorale dell’attuale successore di Pietro, è pastoralmente grave. Un tale comportamento disorienta e allontana a poco a poco psicologicamente dalle verità di fede e dalla retta condotta persone ancora ben disposte ma dottrinalmente sprovviste, aggregandole a una invadente ondata di secolarismo. Sotto tali spinte una cultura fino a ieri impregnata di Vangelo sembra subire oggi un processo di svuotamento dall’interno: al suo vertice troviamo l’«ateismo», poi una «reinterpretazione demitizzatrice» di Cristo, più in basso una «popolarizzazione» della Chiesa, poi una «riappropriazione» della Parola di Dio, e infine un ripensamento radicale dei «ministeri» non più alla luce del mistero cristologico con il Primato del Papa, ma piuttosto in termini psicologico-sociologici.

Non a torto si parla di «postcristianesimo», ossia di una mentalità che si preoccuperebbe solo della razionalità che si accompagna al progresso scientifico senza bisogno di una Rivelazione storica. È un sentire non sempre esplicito, né di uguale intensità di convinzione, né sempre espresso allo stesso livello, ma il suo influsso pervade i grandi mezzi di comunicazione sociale e si estende insensibilmente, come macchia d’olio, anche in alcuni settori dei credenti e forse persino tra noi.

Un segno di tale influsso è appunto quel comportamento d’indifferenza, di sufficiente ironia o di antipatia verso il ruolo del Papa come centro unificatore della comunione ecclesiale e come prima guida pastorale di tutta la missione del Popolo di Dio.

Non si tratta di negare gli eventuali difetti inerenti all’esercizio umano di ogni ministero. Il modo di attuare il suo ruolo da parte di un Papa e anche qualche suo particolare progetto non sono necessariamente da considerarsi oggetto di infallibilità. «Ogni possibile programma — scrive nell’opera già citata von Balthasar — rimane limitato all’interno delle contingenze terrene e — confrontato con l’universalità del Regno di Cristo — discutibile, sia che si tratti del programma di Leone I o di Gregorio I o di Ildebrando e Innocenzo III o degli ultimi Papi dello Stato della Chiesa».20

Ma una cosa è cercare di dare una valutazione storica a un pontificato del passato (alla luce di una sufficiente prospettiva) e un’altra è dissentire o prescindere dall’orientamento pastorale del Papa in atto, concorrendo a indebolire tra la gente il suo carisma di direzione ecclesiale. Oggi assistiamo a conseguenze disastrose di queste forme di critica o di dissenso nell’ambito soprattutto della morale, dove si avverte più forte il divario tra mentalità secolarista (una «nuova etica») e il magistero del Papa. Si vede allontanarsi sempre più l’opinione pubblica dagli stessi fondamenti della morale cristiana fino a considerare come criterio etico non già il Vangelo ma le statistiche, la legalità civile o talune mode accettate dalla società. C’è uno scardinamento di valori, diffuso abilmente, che rende assai difficile il ministero di Pietro e dei pastori, presentandolo come alieno a quelli che sono considerati gli attuali progressi della «ragione» e all’esaltante divenire della «storia della libertà».

In un’ora in cui si mette in discussione il valore stesso del ruolo papale, non sarebbe comportamento pastoralmente felice, né espressione di genuino senso di Chiesa, né dimostrazione di oggettiva intelligenza di fede, il disimpegnarsi da una posizione di «filiale fedeltà», di convinta e aggiornata adesione e di coraggiosa difesa della persona e del ministero del Successore di Pietro.

Oggi, in una congiuntura così problematica per la pastorale, Don Bosco non starebbe certamente dalla parte dei disimpegnati, né dei critici di moda, ma proclamerebbe con franchezza la sua scelta di fedeltà.



Alcune riflessioni sulla Lumen Gentium


A vent’anni dal Vaticano II vale la pena tornare a riflettere sulle affermazioni conciliari circa il ministero di Pietro. Rappresentano il sentire vivo della Chiesa oggi. Non pretendiamo entrare nei dibattiti sul complesso tema dei ministeri nel Popolo di Dio. Alcune pubblicazioni di discussa ermeneutica al riguardo sono state oggetto di disapprovazione ufficiale.21

A noi interessa una rilettura spirituale che trascenda ogni sospetto di razionalismo e oltrepassi l’apriorismo antisacramentale che esclude ogni mediazione dall’alto. Vi invito, cari confratelli, a rileggere attentamente (anche in comunità) il capitolo terzo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. Ne sgorgherà una riflessione utile e illuminante che forse potrà aiutare qualcuno a riscoprire il vero senso del Vaticano II.

Come già accennavamo sopra, il ministero petrino nella Chiesa appartiene alla sua stessa costituzione «sacramentale». Nel grande «Sacramento di salvezza» che è il «Corpo di Cristo» nella storia, Gesù ha collocato, quale espressione sensibile del suo ruolo insostituibile di Capo, il Collegio apostolico in cui Pietro è costituito «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione».22 Il credente, dunque, deve saper guardare alla figura del Papa da questa ottica «sacramentale» della globalità della Chiesa.

In una visione ecclesiale di «mistero» (che include la presenza divina in realtà umane), possiamo considerare riguardo al ministero petrino, secondo la Lumen Gentium, tre elementi complementari: la sua istituzione da parte di Gesù Cristo, il realismo sacramentale della Collegialità dei Vescovi come realtà inseparabile dal Primato, e l’assistenza permanente dello Spirito Santo.

— Innanzitutto interessa vitalmente alla coscienza del credente il fatto che Gesù abbia progettato, voluto e preparato personalmente il ministero di Pietro, come roccia della sua Chiesa per tutti i secoli.

Tale affermazione ha raggiunto la sua formulazione fondamentalmente precisa nei due ultimi Concili Vaticani: «Questo sacrosanto Sinodo — dice la Lumen Gentium —, seguendo le orme del Concilio Vaticano I, insegna e dichiara con esso che Gesù Cristo, Pastore eterno, ha edificato la santa Chiesa» e ha consacrato gli Apostoli e i loro successori, i Vescovi, stabilendo come loro capo Pietro e i suoi successori. «Questa dottrina della istituzione, della perpetuità, della forza e del carattere del sacro Primato del Romano Pontefice e del suo infallibile Magistero, il santo Concilio la propone di nuovo a tutti i fedeli perché sia fermamente creduta».23

Tutto il capitolo terzo della Costituzione descrive in modo dettagliato la struttura gerarchica voluta da Cristo e animata dal suo Spirito; in particolare, è significativo quanto si afferma circa la Collegialità episcopale e il Primato del Papa.24

Oggi un cattolico, come scrive von Balthasar, «può girarsi come vuole, ma non può più ritornare a prima del Vaticano I, che è stato solennemente riaffermato dal Vaticano II (LG 22). Come dopo tutte le definizioni, non c’è che la via dell’integrazione in una totalità più grande, più vasta. E questa totalità è l’indefettibilità della Chiesa credente, di cui il ministero petrino è un aspetto particolare. Si può dire che il Vaticano I in questo punto ha chiuso una porta in maniera così abile che nessuno può più aprirla senza sfondare l’intera parete, l’intera compagine cattolica. Comportarsi come se questa porta potesse essere aperta per gioco è una menzogna».25

— In secondo luogo, il realismo sacramentale della Collegialità episcopale come realtà inseparabile dal Primato porta il credente a considerare che la vera «sacramentalità» della Chiesa si esprime in definitiva in un’esistenza umana ben determinata; una realtà che si tocca e si constata, situata nel tempo e nello spazio, ora e qui, in rapporto a persone concrete e a ruoli definiti. Il Vaticano II ci ha aiutato a concepire questa «sacramentalità» come la meta oggettiva dell’efficacia dei sette sacramenti. Essi, i sacramenti, sono delle mediazioni che conducono a costruire il vero e unico gran Sacramento che è la Chiesa in quanto «Corpo di Cristo» nel mondo. Il Battesimo, la Cresima e l’Eucaristia fanno di me, nella mia concretezza umana, un membro vivo di questo Corpo di Cristo. La dimensione sacramentale definitiva siamo noi in quanto segni e portatori del mistero di Cristo!

Orbene, il sacramento dell’Ordine (che nella sua pienezza consacra i Vescovi) incorpora a un Collegio di Pastori storicamente definito, coinvolge cioè i consacrati in una realtà preesistente che ha una natura peculiare di «comunione gerarchica» (un «Ordine») nella quale esiste oggettivamente e da sempre, per disposizione di Gesù Cristo, il Primato di Pietro: «Insegna il Santo Concilio — si legge nella Lumen Gentium — che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’Ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata il sommo sacerdozio, il vertice del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e di governare, che però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica con il capo e con le membra del collegio».26

Ecco perché non è possibile concepire un’autentica collegialità episcopale senza il Primato del Papa; né una Chiesa particolare slegata da quella universale; né una federazione di Chiese locali differenti e autonome, invece di una comunione di Chiese originali ma coadunate in unità. Di più: il Collegio apostolico e il Corpo episcopale (con i consacrati per i ministeri subordinati del Presbiterato e del Diaconato) sono, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, i segni e i portatori della speciale funzione di Cristo in quanto «Pastore eterno», Capo vivo di quel Corpo. Sono, quindi, espressione sacramentale della sua funzione «capitale» di Pastore; infatti «Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il Popolo di Dio, ha istituito nella sua Chiesa i ministeri».27

Ma se il Signore ha voluto il ministero dei Pastori come corpo collegiale, guidato da Pietro, vorrà dire che le responsabilità pastorali comportano sempre un afflato di comunione con il Papa, una convergenza di cosciente solidarietà con la sua funzione di guida, una sintonia con il suo magistero che, d’altra parte, è espressione dei valori permanenti e vivi della Tradizione e dell’indefettibile intuito di fede di tutta la Chiesa.

— Infine, l’assistenza permanente dello Spirito Santo fa del ministero del Papa un dono inestimabile per il Popolo di Dio: il «carisma della direzione». Cristo stesso invia con esplicita determinazione il suo Spirito alla persona di Pietro e dei suoi Successori: «Io ho pregato per te, e tu da’ forza ai tuoi fratelli»;28 «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di questi altri? Abbi cura dei miei agnelli, abbi cura delle mie pecore».29

Lo Spirito Santo è presente nella storia perché inviato dal Padre e dal Figlio; la Pentecoste è la pienezza del mistero di Cristo: «Il giorno di Pentecoste — dice la Lumen Gentium — fu inviato lo Spirito Santo per santificare intimamente la Chiesa... Egli la guida verso tutta intera la verità, la unifica nella comunione e nel servizio, la provvede di diversi doni gerarchici e carismatici, coi quali la dirige, la abbellisce dei suoi frutti».30 La iniziativa e la creatività dello Spirito Santo nel Popolo di Dio sono inesauribili, non mai in contrasto bensì a favore delle mediazioni istituite da Cristo. Carismi e Ministeri sono progettati insieme dal Signore perché crescano in armonia lungo la storia: «La comunione organica della Chiesa — afferma il Mutuae Relationes — non è esclusivamente spirituale, cioè nata, comunque sia, dallo Spirito Santo e di per sé anteriore alle funzioni ecclesiali e creatrice di esse, ma è simultaneamente gerarchica, in quanto derivata, per impulso vitale, da Cristo-Capo. I doni stessi, immessi dallo Spirito, sono precisamente voluti da Cristo e per loro natura diretti alla compagine del Corpo, per vivificarne le funzioni e le attività».31

Il ruolo del Papa (insieme a quello dei Vescovi) è, dunque, legato a una oggettiva assistenza dello Spirito del Signore nelle congiunture concrete dell’esercizio del ministero: «Per adempiere a uffici così grandi, gli apostoli sono stati arricchiti da Cristo con una speciale effusione dello Spirito Santo, discendente su loro, ed essi stessi con la imposizione delle mani hanno trasmesso questo dono dello Spirito ai loro collaboratori, dono che è stato trasmesso fino a noi nella consacrazione episcopale».32 Sarebbe riduzionismo della fede non tenerne conto.

Dobbiamo riconoscere, alla fine di queste brevi riflessioni circa alcuni contenuti della Lumen Gentium, che si sente oggi l’urgente necessità di una rinnovata teologia e spiritualità della presenza dello Spirito Santo nella storia: ne avvantaggerà assai l’atteggiamento del credente anche in relazione appunto al ministero di Pietro.



Il nostro atteggiamento di fedeltà diviene «compito»


Abbiamo voluto ricordare l’importanza che ha nella nostra vita salesiana «la filiale fedeltà al Successore di Pietro» illuminandola con alcune riflessioni conciliari. Abbiamo sottolineato l’odierna sua novità di stile e abbiamo preso coscienza di concreti disagi che si avvertono al riguardo nella società secolarizzata. Tutto questo ci interpella e ci mette, in qualche modo, in stato di allerta.

I due articoli costituzionali che abbiamo riletto 33 esprimono la dimensione ecclesiale del nostro «spirito» e del nostro «carisma». L’articolo 13 parla dell’adesione al Papa come elemento vivo dello «spirito salesiano», ossia del nostro «stile originale di vita e di azione».34 Lo spirito di Don Bosco anima e ispira la nostra concreta attività. E così la fedeltà al Papa non sarà per noi solo un atteggiamento interiore, ma dovrà divenire un compito apostolico. A ragione l’articolo 13 conclude dicendo: «Educhiamo i giovani cristiani a un autentico senso di Chiesa e lavoriamo assiduamente per la sua crescita».

L’articolo 125, a sua volta, parla della «Società Salesiana», in quanto tale. Considerando la sua attività apostolica come una partecipazione alla missione della Chiesa, afferma che il nostro voto di obbedienza ci lega esplicitamente all’autorità suprema del Papa e perciò «accogliamo con docilità» il suo magistero. Anche qui, per la natura stessa della vocazione salesiana, l’obbedienza e docilità non si riducono solo alla vita interna delle comunità, ma si prolungano e si trasformano in un compito apostolico. Infatti anche questo articolo conclude dicendo: i soci «aiutano i fedeli, specialmente i giovani, ad accettare gli insegnamenti» del magistero papale.

Dunque, la nostra «devozione» al Papa diviene «compito»; ci invita a un vero impegno apostolico in questo campo.

Come? Se guardiamo a Don Bosco ci sentiremo stimolati e saremo orientati nell’attuare tale compito. Egli, con la sua mentalità realista, lo ha realizzato come pastore ed educatore con gli scritti, con la testimonianza di vita, con la comunicazione sociale, con l’attività educativa, con tanti impegni apostolici, con svariati interventi che oltrepassavano anche gli interessi immediati della Congregazione.

Qui mi permetto di suggerire alcuni aspetti pratici, in cui le comunità locali e le Ispettorie dovrebbero sentirsi invitate a programmare delle iniziative concrete al riguardo.

Per far risaltare meglio tali suggerimenti metto in prima linea l’urgenza di saper formulare una concreta e stimolante spiritualità giovanile, un progetto evangelico con mordente per i giovani, capace di animare tutte le nostre presenze e dar vita anche a un «movimento salesiano» ispirato alle scelte pedagogico-pastorali di Don Bosco.

Si tratta di lanciare e far amare dei valori che esprimono la vitalità del messaggio di Cristo oggi: ideali veri, comportamenti esigenti, mete pratiche, sullo stile evangelico della lettera di Giovanni Paolo II ai giovani, per demolire il crescente pericolo dell’«uomo senza vocazione».

Non manca, forse, in non poche presenze nostre, l’afflato mistico nella convocazione e nella proposta giovanile? Se parlo di «mistica» non è per invitarvi a promuovere iniziative intimistiche o eccentriche, ma a una coraggiosa convinzione della forza del Vangelo, accompagnata da una testimonianza contagiosa, frutto di contemplazione, di perseveranza, di entusiasmo e di spirito di sacrificio.

La nostra vocazione di «missionari dei giovani» dovrebbe intensificare nel cuore di tutti una vera energia di vita, una forte comunicazione di fede, una illuminata franchezza nel contestare l’imborghesimento, il permissivismo, il secolarismo.

Il confratello o la comunità carenti di tale «mistica» non sapranno mai dar vita a un vero «movimento» di attualità.

Per fortuna c’è da ringraziare il Signore che lo sviluppo, tra noi, dell’esperienza associativa ha già maturato delle conclusioni positive al riguardo (come si può vedere nell’ultimo sussidio offerto dal Dicastero per la Pastorale Giovanile: La Proposta Associativa Salesiana - Sintesi di un’esperienza in cammino, Doc. n. 9).

Tra le componenti di una spiritualità giovanile salesiana c’è appunto un forte senso di Chiesa con appositi atteggiamenti da creare, da sviluppare e da tradurre in esperienza vissuta. Certamente nel progetto e nella prassi di Don Bosco occupa un posto privilegiato l’impegno di adesione al Papa, fondato sulla conoscenza, sull’amore e sull’accoglienza al suo ministero di Succesore di Pietro.

Questa componente ben curata darà alla spiritualità giovanile concretezza di esperienza di Chiesa, chiarezza di orientamenti di vita, ricchezza di attualità e rinnovati motivi propulsori di azione.

Ma la trasmissione di un progetto spirituale ai giovani sarà frutto solo di una nostra personale e comunitaria intensità di vita nello Spirito.

Di qui la necessità di arricchirci costantemente nell’aggiornare e sviluppare il caratteristico senso di Chiesa del nostro Fondatore. Ecco un compito di base per tutti.

A tale scopo vi espongo alcuni punti che considero strategici e che, purtroppo, vedo qua e là alquanto trascurati.

— Il primo di tutti è il concetto di Chiesa come «Mistero», così come ce lo ha presentato il Vaticano II: «La Società costituita di organi gerarchici e il Corpo mistico di Cristo, l’assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa della terra e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due realtà, ma formano una sola complessa realtà risultante di un elemento umano e di un elemento divino. Per una non debole analogia, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato».35

Una ecclesiologia veramente conciliare, che fa emergere la natura sacramentale della Chiesa, è la base portante dell’adesione al Papa. Sappiamo che circolano delle idee ecclesiologiche devianti, le quali, nel migliore dei casi, favoriscono una interpretazione minimalista del ministero di Pietro.

Avere oggi una coscienza attenta della presenza reale dello Spirito Santo nella Chiesa, nella sua vita, nelle sue mediazioni, nei suoi ministeri, nei suoi carismi è una condizione indispensabile di sintonia conciliare.

— In derivazione da una genuina ecclesiologia del Mistero dobbiamo aggiornare la nostra immagine del Papa quale primo e supremo Pastore.

Il Vaticano II presenta la dimensione gerarchica della Chiesa non con una visione sociologica, né «monarchica» né «democratica», bensì con una ottica «sacramentale», come realtà di servizio al Popolo di Dio, vivificata dalla presenza dello Spirito Santo e perciò considerata e capita solo con intuito di fede. La figura del Papa è portatrice di una potestà che non è potere dispotico, ma servizio di verità e di carità in speciale partecipazione dell’autorità salvatrice di Cristo risorto, che è il vero Capo vivo e attuale della Chiesa, il suo «Pastore eterno».

Il Papa non è solo; la Chiesa universale non è una diocesi; la Collegialità episcopale, come abbiamo visto, non è società anonima ma include per natura il Primato di Pietro.

Sappiamo, lo ripeto, che il modo di esercitare il ministero primaziale attraversa oggi una interessante modalità di rinnovamento. Tale novità deve intensificare la nostra attenzione e il nostro studio per rimanere aggiornati e competenti in un aspetto vitale del nostro spirito. Sono troppi, all’intorno, che giudicano la presente evoluzione solo come un fenomeno socioculturale prescindendo dalla sua realtà sacramentale di ministero istituito da Cristo. Un motivo di più, quindi, per approfondire le nostre cognizioni culturali ed ecclesiologiche insieme a una costante riflessione di fede.

— Un altro punto da curare è l’inclusione dei contenuti del magistero del Papa nelle nostre attività di evangelizzazione. Il magistero del Papa si esprime in differenti modi. Dobbiamo saperlo accogliere e ritenere secondo la mente da lui stesso intesa, la quale si manifesta sia dalla materia trattata, sia dal tenore dell’espressione verbale, sia dal tipo di documento, conforme alle conosciute e giuste norme d’interpretazione.

Bisogna dare importanza alle Encicliche, alle Esortazioni apostoliche, a certi orientamenti particolarmente significativi, alle Note o Istruzioni dottrinali emanate soprattutto attraverso la Congregazione per la dottrina della fede, alle allocuzioni e interventi particolarmente significativi. Seguire con attenzione il magistero del Papa è un modo di mantenersi aggiornati sui problemi e sulle direttive della Chiesa e di esercitare la fede in dialogo con le sfide dei tempi, di ripensare il Vangelo come messaggio di salvezza e non semplicemente come un dato di cultura religiosa.

C’è, qui, un vasto campo d’impegno urgente e indispensabile, in un’ora di cambi epocali in cui appaiono ininterrottamente teorie inedite, mode devianti, problemi complessi. Ogni comunità deve cercare il modo di essere ben informata e aggiornata.

Chi tra noi non vivesse questo continuo sforzo di sintonia non potrebbe dire di testimoniare davvero lo spirito di Don Bosco.

— Infine, nella nostra accoglienza del magistero del Papa credo siano soprattutto da privilegiare, in vista del carattere pastorale e pedagogico della vocazione salesiana, le sue «direttive morali» e il suo «insegnamento sociale»: due settori di straordinaria urgenza educativa, il primo più presente nelle società del benessere permeate di permissivismo, il secondo maggiormente sentito nel terzo mondo assetato di liberazione.

Come pastori-educatori dobbiamo essere competenti sui criteri cristiani della condotta umana. Si sente parlare con preoccupazione di «dramma della morale», di svolte radicali propiziate dalle discipline antropologiche, di nuovi valori emersi in una cultura post-cristiana, di tramonto dell’etica tradizionale.

Certamente non sarà facile risolvere tutti i problemi morali della cultura emergente; l’adesione al magistero del Papa circa la retta condotta dell’uomo servirà di luce dottrinale e di prezioso orientamento pastorale.

La maturazione, poi, del processo di socializzazione, che suppone la consapevolezza e la partecipazione attiva dei cittadini alla gestione del bene comune, ha dato straordinario rilievo ai temi della giustizia e della pace e alla dimensione politica della vita dei singoli e dei popoli. Sono sorte, in questo campo, delle ideologie che tendono ad egemonizzare la cultura. Di qui l’attenzione e l’oculatezza con cui si deve accogliere l’insegnamento sociale della Chiesa, soprattutto attraverso il ministero del Papa. Se vogliamo influire evangelicamente sui cambi delle strutture, preparare i giovani per il mondo del lavoro e animare di spirito cristiano la gestione politica, educando alla solidarietà e alla pace tra i popoli, abbiamo bisogno di una accurata cognizione e di una adeguata capacità di comunicazione dell’insegnamento sociale della Chiesa. Mi sembra, purtroppo, che sia questa un’area in cui non pochi zoppichino. Dobbiamo correre con urgenza ai ripari anche perché le Costituzioni ci muovono in tal senso: noi Salesiani «rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito, rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l’ingiustizia e la violenza, e cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell’uomo».36

Come vedete, cari confratelli, se guardiamo alla nostra «devozione» al Papa come a un «compito» apostolico di attualità, ci sentiamo invitati concretamente ad impegnarci di più come credenti, come pastori, come educatori. Chiedo agli Ispettori e ai Direttori che si preoccupino costantemente di far sì che in ogni casa ci sia il dovuto aggiornamento circa il magistero della Chiesa.


L’Ausiliatrice e il Papa


Sarebbe incompleta la trattazione di un tema tanto espressivo dello spirito di Don Bosco se non si accennasse allo stretto legame che unisce la figura del Successore di Pietro con quella di Maria.

Dicevo all’inizio che le tre peculiari «devozioni» salesiane a Cristo-Eucaristia, all’Ausiliatrice e al Papa sono l’espressione pratica della coscienza ecclesiale del nostro Fondatore e costituiscono tre atteggiamenti inseparabili e complementari di una fede coraggiosamente impegnata.

Il cosiddetto «sogno» delle due colonne narrato da Don Bosco nel maggio 1862 37 presenta con ottica profetica e in forma plastica di evento storico la nave della Chiesa guidata dal Papa nel mare in tempesta. Essa trova la sua sicurezza nei due risorti, Cristo e Maria, presenti nella storia come Ostia di salvezza e Immacolata Ausiliatrice, raffigurati nelle due solide colonne dotate di ancore e ormeggi.

Sappiamo che precisamente negli anni ’60, spinto dal suo intuito del divenire sociale e dal suo vivo senso di Chiesa, il nostro Padre ha intensificato la sua devozione a Maria in quanto «Ausiliatrice»: «È la stessa Chiesa Cattolica che è assalita — scriveva —. È assalita nelle sue funzioni, nelle sacre sue istituzioni, nel suo capo, nella sua dottrina, nella sua disciplina; è assalita come Chiesa Cattolica, come centro della verità, come maestra di tutti i fedeli».38

In questa ottica Don Bosco vede la Madonna quale Madre della Chiesa preoccupata, in particolare, di soccorrere e proteggere l’indispensabile ministero del Papa e dei Vescovi.

La storia ne documenta gli innumerevoli interventi.

Qui abbozziamo solo alcune riflessioni ecclesiali che illuminano il mutuo rapporto tra Maria e Pietro nell’ambito della Chiesa comemistero.39

«Sia il principio mariano che quello petrino sono coestensivi nella Chiesa»: l’intera Chiesa è «mariana» e «petrina», anche se in senso analogo e complementare.

Maria e Pietro, in modo diverso, sono interamente al servizio del Popolo di Dio nel dono totale di sé; coniugano entrambi l’altezza della coscienza della loro missione con l’umiltà «dell’immolazione» della propria vita.

Maria è madre per tutta la Chiesa; Pietro è fondamento per tutta la Chiesa.

Maria è «immacolata», modello profetico della vita e santità di tutta la Chiesa; Pietro è «infallibile», pastore profetico della professione di fede e della condotta morale di tutta la Chiesa.

Maria vive nella risurrezione quale instancabile «ausiliatrice» per tutta la Chiesa; Pietro vive nella successione apostolica come «guida e animatore» per tutta la Chiesa.

Maria è sposa dello Spirito Santo nella fecondità dei carismi per la Chiesa; Pietro, assistito dallo Spirito Santo, è giudice della genuinità e dell’esercizio ordinato dei carismi per la Chiesa.

Maria partecipa della pienezza del mistero pasquale che la rende «regina» nei secoli per l’edificazione della Chiesa; Pietro partecipa dell’autorità di Cristo-Signore con una sacra potestà che lo fa «ministro» (vicario, servo dei servi di Dio) nella storia per l’edificazione della Chiesa.

Maria è tutta rivolta a Cristo perché la Chiesa ne sia il Corpo mistico; Pietro è segno e portatore della «capitalità» di Cristo-Pastore perché la Chiesa ne sia il grande Sacramento di Salvezza.

Maria e Pietro, l’Ausiliatrice e il Papa, dunque, da angolature diverse e con funzioni complementari sono vitalmente ordinati alla Chiesa perché in Essa il mistero di Cristo raggiunga la sua pienezza.

Se Maria («Mater Ecclesiae») soccorre ed aiuta il Papa, il Successore di Pietro si affida a Maria («totus tuus») e ne testimonia la regale maternità.

Cari confratelli, noi, che abbiamo voluto prendere la Madonna in casa per assicurare con la sua presenza il rinnovamento della Congregazione 40 e che ci siamo affidati solennemente a Lei nell’ultimo Capitolo Generale,41 non dimentichiamo mai che la devozione salesiana a Lei come «Ausiliatrice-Madre della Chiesa» comporta, per nesso teologale e secondo lo spirito del nostro carisma, una «filiale fedeltà al Successore di Pietro e al suo magistero» per educare e promuovere un genuino e concreto senso di Chiesa «nella classe meno agiata della società e particolarmente della gioventù pericolante».

Don Bosco ci ispiri e ci incoraggi.

La nostra sincera e aggiornata «devozione» al Successore di Pietro ci apporterà entusiasmo nella consacrazione, tempestività di progetti pastorali e una maggior fecondità vocazionale.

Vi saluto nel Signore e desidero a tutti (in preparazione all’88) una costante crescita nello studio, nell’assimilazione e nella testimonianza delle Costituzioni rinnovate e dei Regolamenti generali.

Vostro aff.mo in Don Bosco,

D. Egidio Viganò




NOTE LETTERA 26


1 Cost 13

2 cf. Cost 13

3 ACS n. 164, 24 maggio 1951

4 Cost 13

5 Cost 125

6 o.c., passim

7 RICALDONE P., o.c., pag. 69

8 Opere edite, Ristampa anastatica, vol. XXV, pag. [380]: Num. XV, Riassunto della Pia Società di S. Francesco di Sales nel 23 febbraio 1974, pag. 44

9 Torino, 1875

10 cf. Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales — 1858-1875 — Testi critici a cura di Francesco Motto, pag. 113

11 cf. LG 22

12 cf., p.e., J.M. TILLARD, L’évêque de Rome, Ed. du Cerf, Paris, 1984

13 LG 27

14 cf., p.e., AA.VV., Papato e istanze ecumeniche, EDB, Bologna, 1984

15 URS VON BALTHASAR, Il complesso antiromano, Queriniana, 1974, pag. 221

16 Per un esempio di riflessione sul viaggio di Giovanni Paolo II a Torino, cf. ACS 297, pag. 48-65

17 cf. DV 8

18 DV 10

19 J. RATZINGER, Trasmissione della fede e delle fonti della fede, Collana «Euntes docete», Piemme, Bologna, 1985, pag. 20

20 o.c., pag. 56

21 cf., p.e., E. SCHILLEBEECKX, Il ministero della Chiesa, 2ª ediz., Queriniana, Brescia, 1982

22 LG 18

23 LG 18

24 cf. specialmente LG 22. 25. 27

25 o.c., pag. 124

26 LG 21

27 LG 18

28 Lc 22,32

29 cf. Gv 21, 15-17

30 LG 4

31 MR 5

32 LG 21

33 Cost 13; 125

34 Cost 10

35 LG 8

36 Cost 33

37 MB VII, 169-171

38 cf. ACS 289, pag. 22

39 cf. le acute considerazioni al riguardo di URS VON BALTHASAR, o.c., pag. 203-225