351-400|it|395 Presentazione della Regione Asia Sud

LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE

PASCUAL CHÁVEZ


PRESENTAZIONE DELLA REGIONE DELL’ASIA SUD

Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto,
ma finalmente ci sei: sei tra noi e non ci fuggirai! (MB XVIII, 72)

21 Settembre 2006

Festa di San Matteo Apostolo

Introduzione

1. 
Un grande sogno compiuto
2. 
La Regione dell’Asia Sud. La situazione politica, sociale e religiosa della Regione: India, Sri Lanka, Myanmar, Nepal, Kuwait, Yemen
3. 
Storia della presenza salesiana nella Regione
3.1 
L’attività missionaria nella prima metà del secolo
3.2 
Due grandi missionari: L’Arcivescovo Louis Mathias, Don José Carreño
3.3 
Il rapido sviluppo della Congregazione. I salesiani nell’India, in Myanmar, nello Sri Lanka, in Nepal, in Kuwait, nello Yemen
4.  
L’attuale presenza salesiana
4.1 
Il coordinamento interispettoriale
4.2  
La formazione. La formazione permanente. La formazione iniziale
4.3  
La pastorale giovanile. Le istituzioni educative, gli internati e i convitti, i centri giovanili, l’apostolato a favore dei giovani a rischio (YaR), i servizi di orientamento professionale, l’orientamento vocazionale
4.4  
La Famiglia Salesiana
4.5  
La comunicazione sociale
4.6 
  L’attività missionaria. La missione di Arunachal. Le parrocchie. Il programma di sviluppo sociale, parte integrante dell’attività missionaria
5. 
La santità dei primi missionari. L’Arcivescovo Stefano Ferrando, Don Francesco Convertini
6. 
Le grandi sfide della Regione
6.1 
Dare Dio ai giovani, priorità assoluta
6.2 
Vivere appassionati per la “missio ad gentes”
6.3 
Irrobustire la vita comune
6.4 
Curare l’identificazione carismatica dei confratelli

Carissimi confratelli,

tre mesi fa ho pubblicato la lettera di convocazione del CG26, che ha avuto ovunque un’accoglienza molto positiva, come testimoniano le innumerevoli e-mails e lettere che ho ricevute e continuo a ricevere, che esprimono la gioia dei confratelli per il tema scelto, la loro fierezza di essere figli di Don Bosco e la loro disponibilità ad operare i cambiamenti personali, comunitari ed istituzionali necessari al fine di restare sempre fedeli a Dio, a Don Bosco e ai giovani.

Ora, in questa mia lettera, voglio proseguire la presentazione delle Regioni. E subito, mentre comincio a scrivere la lettera, la mia mente è inondata dai ricordi ancora vivi delle mie due visite alla Regione dell’ Asia Sud: la prima, nel febbraio 2005, alle Ispettorie di Kolkata, Guwahati e Dimapur, nel nord-est dell’India, e a Nuova Delhi, la capitale dell’India, per essere presente all’inaugurazione delle celebrazioni centenarie della presenza salesiana in India, e in seguito per presiedere la visita d’insieme; la seconda, nel febbraio 2006, allo Sri Lanka per la celebrazione dei cinquant’anni di presenza salesiana in quell’isola-nazione, e alle Ispettorie indiane di Chennai, Bangalore e Hyderabad, e particolarmente a Thanjavur, nell’Ispettoria di Tiruchy, per concludere le celebrazioni centenarie.

Attendo la mia prossima visita, nel febbraio 2007, alle altre Ispettorie della Regione: quelle di Bangalore (specificamente nel Kerala, per il giubileo d’oro della presenza salesiana in quello stato) e di Mumbai, alla Visitatoria di Panjim (per il giubileo di diamante della presenza salesiana in quel territorio), alla Visitatoria di Myanmar, e a Ranchi nell’Ispettoria di Nuova Delhi.

Nelle mie prime visite alla Regione mi ha impressionato la fecondità con cui il carisma salesiano è vissuto e si manifesta nelle diverse Ispettorie. Ho ancora davanti ai miei occhi le migliaia di facce di giovani, pieni di vita e di entusiasmo, che ho visto nei vari incontri. Dovunque andavo, sentivo ragazzi e giovani acclamare e gridare: “Viva Don Bosco!” Come dimenticare l’incontro a Chennai, dove più di 15.000 giovani provenienti da vari nostri istituti sono convenuti per un raduno di pace? Tutta quell’esultanza era espressione della loro gioia di essere stati educati dai figli di Don Bosco, di appartenere alla Famiglia Salesiana e di incontrare il successore di Don Bosco.

Questo primo centenario della presenza salesiana nella Regione è stato veramente un dono di Dio alla Chiesa e alla Congregazione. Per i salesiani quello che si è compiuto è stato un secolo per imparare, crescere e portare a compimento il sogno di Don Bosco in favore dei giovani, un secolo di benedizioni abbondanti. A questo punto, devo esprimere la riconoscenza della Congregazione a tutti coloro che sono stati gli strumenti del meraviglioso sviluppo. La vibrante presenza salesiana nella Regione oggi è il frutto dell’impresa pionieristica dei missionari dall’estero, che fecero del “
Da mihi animas” di Don Bosco la ragione e il motore della loro vita. Essi hanno impiantato il carisma salesiano, che oggi porta frutti in abbondanza. A tutti questi missionari, di varie lingue e nazionalità, la stragrande maggioranza dei quali è già passata alla casa del Padre per ricevere la ricompensa dei servi fedeli, va il grazie del Rettor Maggiore e dell’intera Congregazione!

Come ho affermato nell’omelia della Messa inaugurale delle celebrazioni centenarie a Nuova Delhi, il 28 febbraio 2005, «non possiamo non essere colpiti dall’espansione enorme del carisma di Don Bosco, dalla fioritura di vocazioni, dallo sviluppo della Famiglia Salesiana, fino al punto che oggi possiamo dire che la Congregazione ha un volto indiano». Certo, e di questo volto indiano e sud-asiatico vi voglio parlare nelle pagine seguenti.

1.  Un grande sogno compiuto

La storia della presenza salesiana nella Regione ha radici molto lontane. Già nel 1875 Don Bosco parlò dell’India come di uno dei possibili futuri paesi in cui mandare i suoi missionari.
[1] Un anno dopo, fece menzione di Ceylon (l’attuale Sri Lanka) tra i campi missionari del futuro. [2] In questo stesso anno Pio IX offriva a Don Bosco un Vicariato nell’India, e l’anno seguente Don Bosco scriveva a Don Cagliero: «Andremo ad assumere il Vicariato Apostolico di Mengador (Mangalore)» e prospettava allo stesso Don Cagliero la possibilità che ne fosse il Vicario Apostolico. [3] Finalmente, durante la notte tra il 9 e il 10 di aprile 1886 Don Bosco ebbe a Barcellona il sogno missionario, che “egli raccontò a Don Rua (e ad altri), in una voce rotta dai singulti”.

Don Bosco “vide un’immensa quantità di giovanetti, i quali, correndo intorno a lui, gli andavano dicendo: «Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei: sei tra noi e non ci fuggirai!» […] mentre stava come attonito in mezzo a loro contemplandoli, vide un immenso gregge di agnelli guidati da una pastorella, la quale, separati i giovani e le pecore, e messi gli uni da una parte e le altre dall’altra, si fermò accanto a Don Bosco e gli disse: «Vedi quanto ti sta innanzi?» «Sì, che lo vedo», rispose Don Bosco. «Ebbene, ti ricordi del sogno che facesti all’età di dieci anni?» Poi, ella fece venire i ragazzi al fianco di Don Bosco, dicendo a lui e a loro: «Spingi il tuo sguardo e spingetelo voi tutti e leggete che cosa sta scritto». Un ragazzo lesse: “
Valparaiso,” un altro “Santiago”, altri “Pechino”. Allora la pastorella, che sembrava la maestra dei ragazzi, disse: «Ora tira una sola linea da una estremità all’altra, da Pechino a Santiago...». La pastorella continuò, parlando a Don Bosco: «… Qui vedi dieci altri centri dal mezzo dell’Africa fino a Pechino. E anche questi centri somministreranno i missionari a tutte queste altre contrade. Là c’è Hong Kong, là Calcutta… Questi e più altri avranno case, studi e noviziati»”. [4]

Ebbene, vedendo io la moltitudine dei giovani nei vari incontri che ho avuto con loro nell’India, mi sono ricordato delle parole rivolte a Don Bosco dai ragazzi nel sogno: “
Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei: sei tra noi e non ci fuggirai!” e, con gratitudine, le ho viste realizzate. Il nostro lavoro nell’Asia, specialmente nell’Asia Sud, fu dunque già previsto da Don Bosco, chiaramente mostrato a lui dalla pastorella dal cielo come parte del futuro della Congregazione, e ciò che vediamo oggi è il compimento di quel sogno.

I vescovi del “Padroado” di Mylapore nell’India sud furono, nelle mani di Dio, gli strumenti immediati per portare i salesiani nella Regione. Dal 1896 Mons. Antonio de Souza Barroso ripetutamente chiese a Don Rua di mandare i salesiani a lavorare nella sua diocesi. Il suo successore fu il vescovo Teotonio Manuel Ribeiro Vieira de Castro, un grande ammiratore di Don Bosco. Nel 1885 egli, giovane prete, era stato a Torino per incontrare Don Bosco e ricevere la sua benedizione. Perciò, quando divenne vescovo di Mylapore, fu molto desideroso di avere i salesiani nella sua diocesi e dal 1901 in poi scrisse frequentemente a Don Rua, chiedendo i salesiani. Finalmente, Don Rua acconsentì ad inviarli, purché fossero adempiute certe condizioni (per la maggior parte riguardanti le spese, la residenza ed il mantenimento). Un accordo formale fu preparato e firmato da Mons. Manuel de Castro e Don Rua a Torino il 19 dicembre 1904. Fu concordato che i salesiani sarebbero stati mandati a Thanjavur, che allora faceva parte della diocesi di Mylapore, per assumere un orfanotrofio che là esisteva e una scuola professionale. In tal modo, il 5 gennaio 1906 il primo gruppo di 5 salesiani, sotto la guida di Don Giorgio Tomatis, arrivò nell’India.

2.  La Regione dell’Asia Sud

Fino al CG25, l’Asia Sud formava parte della Regione Asia, e più tardi dell’Australasia. Considerando la crescita costante dei salesiani e delle opere in questa Regione, il Capitolo Generale 25° ha suddiviso la Regione in due: l’Asia Est-Oceania e l’Asia Sud. Oggi l’Asia Sud comprende 9 Ispettorie e la Visitatoria del Konkan in India, le Visitatorie di Myanmar e dello Sri Lanka, e le comunità e presenze nelle Isole Andaman (appartenenti all’Ispettoria di Chennai), nel Nepal (appartenente all’Ispettoria di Kolkata), nello Yemen (appartenente all’Ispettoria di Bangalore) e nel Kuwait (appartenente all’Ispettoria di Mumbai).

All’inizio del secolo ventesimo, al momento dell’arrivo dei salesiani, l’India, la Birmania (oggi Myanmar) e Ceylon (oggi Sri Lanka) erano colonie inglesi, mentre il Kuwait era un protettorato britannico. L’India ottenne l’indipendenza nell’agosto 1947, Myanmar nel gennaio 1948, lo Sri Lanka nel febbraio 1948, e il Kuwait nel settembre 1961. Il Nepal era un paese indipendente fin dalla seconda metà del secolo diciottesimo. 

La situazione politica, sociale e religiosa

Siccome la Regione dell’Asia Sud è molto vasta e le nazioni che la compongono sono molto diverse in culture e lingue, considereremo ogni paese separatamente.

India

L’India, situata geograficamente nella parte sud dell’Asia, con confini estesi dal mare di Arabia al Golfo del Bengala, si trova tra il Myanmar e il Pakistan.

Originariamente l’India fu popolata dai Dravidiani, la cui civiltà fu una delle più antiche nel mondo, andando indietro di almeno 5000 anni. Circa il 1500 a. C. gruppi di Ariani invasero il subcontinente indiano dal nord-ovest; la loro fusione con gli abitanti originari diede origine all’odierna cultura classica indiana.

Più tardi nel territorio indiano ci furono regolarmente incursioni da parte degli arabi, dei turchi e di mercanti europei; infine durante il secolo XIX la Gran Bretagna assunse il controllo politico di quasi tutto il territorio indiano. Una resistenza prolungata al colonialismo inglese sfociò nell’indipendenza nel 1947.

Con l’indipendenza, il subcontinente fu diviso in due: lo stato secolare dell’India e lo stato musulmano, più piccolo, del Pakistan. Una guerra tra i due paesi nel 1971 fece sì che il Pakistan Est diventasse una nazione separata, chiamata Bangladesh.

Le ondate successive di invasori stranieri lasciarono un’impronta indelebile nella cultura del subcontinente indiano. Della popolazione totale, circa il 72% è di origine indo-ariana, il 25% di origine dravidiana. Un numero considerevole della popolazione viene identificato come
Dalit. Questi entrano nell’elenco di “scheduled castes” del governo Indiano e possono accedere a certi benefici sociali. In più ci sono varie tribù che appartengono alla lista di “scheduled tribes”.

La religione indù (
dharma) contempla quattro caste in ordine gerarchico: i brahmin (la classe sacerdotale), gli kshatriya (la classe principesca), i vaishya (la classe commerciale) e i sudra (la classe operaia). I membri di queste caste principali hanno oppresso diversi gruppi degli abitanti originari, e li hanno ridotti ad una classe di “fuori casta”, i dalit, i paria. Durante e dopo la lotta per l’indipendenza, c’è stata una forte reazione nell’India riguardo a questa situazione ingiusta, e oggi sia il governo che la Chiesa fanno molto per il benessere dei “fuori casta”. Abbiamo fatto menzione specificatamente di questo gruppo, perché circa 70% dei cristiani nell’India appartiene ai dalit, e in alcune nostre Ispettorie indiane essi costituiscono i principali destinatari e beneficiari del nostro apostolato.

Oggi, l’India è la democrazia più grande nel mondo, il secondo paese più popolato, con una popolazione che supera il miliardo (1.095.351.995), di cui 80,5% sono indù, 13,4% musulmani, 2,3% cristiani. Dentro la nazione esistono disuguaglianze enormi tra i ricchi e i poveri. Il tasso di alfabetizzazione è solo del 59,5%. La lingua ufficiale è l’
hindi, mentre l’inglese gode di una posizione associata come lingua nazionale. Inoltre, vi sono 14 altre lingue ufficiali, ciascuna con la propria scrittura, e 200 altre lingue non ufficiali, senza contare le migliaia di dialetti. Così, l’India è un vero mosaico di lingue, culture e tradizioni, che contribuiscono alla sua sconcertante complessità e ad una ricchezza unica.

Dopo le elezioni parlamentari del maggio 2004 ci fu un cambio di governo: da un partito ultra-nazionalista di ideologia
hindutva (cioè esclusivamente indù), si è passato ad una coalizione più moderata di centro-sinistra, con l’appoggio esterno del partito comunista. I conflitti interreligiosi (principalmente tra gli indù e i musulmani) esplodono frequentemente. Anche la persecuzione diretta o indiretta dei cristiani continua, con qualche incidente violento ogni tanto. Qui occorre accennare alla promulgazione in alcuni stati di una legge contro le conversioni, che proibisce la cosiddetta conversione “forzata” da una religione ad un’altra. Il vero motivo della legge però è di impedire alla gente delle caste inferiori e delle tribù elencate di diventare cristiani. Molte volte i portavoce della Chiesa hanno chiarificato le cose, e cioè che la conversione per sua intrinseca natura non è forzata, e che non ci sono conversioni forzate nella Chiesa.

A livello politico, vi è il conflitto di lunga data tra l’India e il Pakistan sulla questione del Kashmir, che per ben tre volte ha portato le due nazioni alla guerra, fino all’orlo di una guerra nucleare. Recentemente, però, sembra che ci sia meno tensione e più apertura al dialogo e si ha l’impressione che la situazione stia migliorando.

Nell’ultimo decennio, più o meno, la globalizzazione è arrivata nell’India in maniera notevole. Il paese è in procinto di diventare una superpotenza economica nei prossimi decenni, con tutti i mali concomitanti, come il consumismo, il materialismo e il divario sempre crescente tra gli abbienti e i non-abbienti. La popolazione dell’India è ancora prevalentemente rurale e agricola, anche se al momento presente si stanno sviluppando una vasta gamma di industrie moderne e una molteplicità di servizi, che alimentano la crescita economica. L’India è in condizione di trarre vantaggio da un gran numero di gente molto istruita e competente nella lingua inglese, sì da poter diventare un importante esportatore di servizi e di perizia nel software. La popolazione enorme e in crescita è allo stesso tempo la sua risorsa principale in termini di capitale umano, insieme ai suoi pressanti problemi sociali ed economici, resi ancor più difficili dal sistema diffuso delle caste, specialmente nelle zone rurali.

Le origini del cristianesimo nell’India possono essere fatte risalire a San Tommaso Apostolo nel 52 d. C.; la Chiesa siro-malabarica rivendica la sua origine proprio da San Tommaso. Un grande impulso fu dato dall’arrivo di San Francesco Saverio nel 1542 e dall’attività missionaria dei Gesuiti. Dopo la loro soppressione nel 1776, vennero in India i missionari esteri di Parigi (M.E.P.) e lavorarono molto per l’evangelizzazione. Una parte del gruppo giacobita (che secoli prima aveva lasciato la Chiesa Cattolica a causa dell’eccessiva politica latinizzante dei missionari portoghesi) ritornò alla piena comunione con la Chiesa Cattolica romana nel 1930. E così, oltre la Chiesa di rito latino, ci sono due altre Chiese Cattoliche in piena comunione con Roma: la Chiesa siro-malabarica e la Chiesa siro-malankara, che sono governate dai rispettivi arcivescovi maggiori; l’arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarica è anche cardinale. Al momento presente, ci sono tre cardinali in carica nell’India, uno dei quali (il cardinale Ivan Dias di Mumbai) è stato recentemente nominato Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

I cristiani in India sono più di 24 milioni, corrispondenti al 2,3% della popolazione; tra essi i cattolici sono 1,98% della popolazione. Ci sono 21.931 sacerdoti (12.207 diocesani e 9.724 religiosi); le persone consacrate sono 102.102 di cui 12.802 sono uomini, e 89.300 donne.
[5] Il 68% del clero e dei religiosi proviene dal sud del paese, dagli stati di Kerala, Tamil Nadu, Mangalore e Goa. Alcune delle diocesi siro-malabariche del Kerala hanno un’alta percentuale di cattolici (Palai in Kerala ha il 50,64% di cattolici), mentre ci sono delle diocesi nel nord India che hanno meno di 0,02% di cattolici.

La gerarchia cattolica fu eretta in India nel 1886, quella della Chiesa siro-malabarica nel 1923, e quella della Chiesa siro-malankara nel 1932. Oltre la Conferenza Nazionale dei Vescovi (CBCI), dal 1987 vi sono tre altre distinte conferenze dei vescovi per i tre riti cattolici (latino, siro-malabarico e siro-malankara).

La comunità cristiana, e più specificamente la comunità cattolica, è una forza nell’India. Anche se sono una minoranza minuscola, i cristiani provvedono il 20% dell’educazione primaria nel paese, il 10% dei programmi di alfabetizzazione e di assistenza sanitaria comunitaria, il 25% della cura degli orfani e delle vedove, e il 30% della cura dei handicappati, dei lebbrosi e delle vittime di AIDS.

La sfida più grande che la Chiesa in India deve affrontare è di lavorare per i più poveri e oppressi, con una visione e testimonianza chiara ed evangelica, e di promuovere il dialogo ecumenico e interreligioso tra i membri delle varie religioni e sette.

Sri Lanka

Lo Sri Lanka (antecedentemente chiamato Ceylon) è un’isola-nazione tropicale, circa 31 chilometri a sud dell’India. Si trova in una posizione strategica nell’oceano indiano, sulla rotta principale di commercio via mare tra l’Estremo Oriente e l’Africa e l’Europa.

Lo Sri Lanka ha una storia molto antica: gli esperti attestano che ci furono colonie nell’isola almeno 130.000 anni fa. Una grande percentuale della popolazione di oltre 20 milioni è di origine indiana. Tra di essi, la maggioranza (il gruppo singalese) trova le sue origini migliaia di anni fa e viene considerata il popolo nativo del paese; essi sono il 73,8% della popolazione, mentre un numero più piccolo di tamil dall’India Sud forma il secondo gruppo maggiore (più di 8,5%) e vive principalmente nella parte nord dell’isola.

La guerra civile tra il popolo singalese e il popolo tamil, quest’ultimo appoggiato dal gruppo rivoluzionario LTTE, ha causato più di 100.000 morti negli ultimi due decenni e disperso più di 200.000 tamil, che hanno cercato rifugio nell’Occidente. Ultimamente, l’isola è stata molto severamente colpita dallo
tsunami del 26 dicembre 2004, che ha causato più di 10.000 morti e danni ingenti. I nostri confratelli hanno mobilizzato rapidamente le risorse per portare conforto ai parenti dei defunti, insieme a cibo, tetto e altri aiuti alla gente.

Della popolazione totale, i buddisti sono 69,1%, i musulmani 7,6%, gli indù 7,1%, i cristiani 8%, e gli altri gruppi non specificati circa 10%.

Già nel 1505 arrivarono nell’isola dei sacerdoti portoghesi. Il lavoro di evangelizzazione cominciò nel 1543, e fece passi enormi nella prima metà del secolo diciassettesimo, con l’arrivo di vari gruppi di missionari. Tra di essi ci fu il Beato Giuseppe Vaz, un sacerdote proveniente da Goa. Ma durante la seconda metà dello stesso secolo, quando l’isola-nazione passò sotto il governo degli olandesi (1650-1795), il lavoro di evangelizzazione incontrò seri ostacoli. Più tardi, con l’arrivo degli inglesi, la situazione migliorò, anche se vari fattori contribuirono ad ostacolare le attività della Chiesa fino all’indipendenza del paese nel 1948.

La gerarchia cattolica fu eretta nel 1886. Nel 1893 venne aperto un seminario pontificio a Kandy per provvedere alla formazione sacerdotale del clero dell’India e dello Sri Lanka. Nel 1955 il seminario pontificio di Kandy fu trasferito a Pune, nell’India; al suo posto venne costituito ad Ampitiya il seminario nazionale di “Nostra Signora dello Sri Lanka” per servire le diocesi dello Sri Lanka. Oggi la popolazione cattolica conta 1.365.000 (6,8% della popolazione totale); ci sono 11 diocesi con 1.080 sacerdoti (683 diocesani e 397 religiosi) e un numero totale di 3.038 religiosi, di cui 577 uomini e 2.461 donne.
[6]

Le sfida maggiore della Chiesa nello Sri Lanka è di lavorare per la riconciliazione tra i tamil ed i singalesi, e risolvere il problema etnico; inoltre di lavorare per un dialogo maggiore con i buddisti.

Myanmar

Il Myanmar (antica Birmania) si trova nell’Asia sud-est, confinante con la Cina, il Laos, il Bangladesh e la Tailandia, al margine del Mar di Andaman e il Golfo del Bengala. La popolazione di Myanmar è circa 48.000.000, di cui i buddisti sono 89%, i cristiani 4%, e i musulmani 4%.

Dal 1988 una spietata giunta militare governa il paese. Non permette ai cittadini di fruire dei loro diritti umani, la libertà di auto-determinazione politica, la libertà della stampa e di espressione. I gruppi etnici negli stati di Shan, Mon, Karen e Karenni (sui confini con la Tailandia) sono repressi dal governo per obiettivi militari, seguendo un piano sistematico di “purificazione etnica”, come viene chiamato.

L’origine della Chiesa in Myanmar può essere situata verso la metà del 1500, e specificatamente in un tentativo di evangelizzazione fatto nel 1544 da un francescano francese. Quasi un secolo più tardi vennero in Myanmar i cappuccini e, dopo di essi, i Barnabiti. Durante la prima metà del secolo diciannovesimo, come conseguenza della guerra tra gli inglesi e i birmani, la Chiesa fu quasi completamente sterminata, cosicché nel 1866 rimasero solo due sacerdoti cattolici. Gradualmente la situazione è migliorata, e nel 1995 fu eretta la gerarchia cattolica.

Oggi il Myanmar ha una popolazione cattolica di più di 620.000 fedeli (1,16%); ci sono 13 diocesi, con 574 sacerdoti (di cui 540 diocesani e 34 religiosi) e 1.627 consacrati religiosi, di cui 139 uomini e 1.488 donne.
[7]  

Nel 1965-1966 il governo nazionalizzò tutti gli istituti ecclesiastici. Tuttavia, nonostante gli ostacoli provenienti dalla situazione politica, la Chiesa è vibrante e dinamica. Dal 1995 la Conferenza episcopale del Myanmar preme per la libertà di religione, sulla base della Costituzione nazionale.

Nepal

Il Nepal, un paese dell’Asia sud senza sbocco sul mare, si trova in una posizione strategica tra la Cina e l’India; è un paese che va da un’altezza di 70 metri fino agli 8.850 metri del monte Everest; 8 delle 10 cime più alte del mondo si trovano nel Nepal.

Il Nepal è tra i paesi più poveri e sottosviluppati del mondo, avendo quasi un terzo della popolazione sotto la soglia della povertà. Lo sviluppo economico del Nepal è molto basso, e questo è dovuto alla sua arretratezza, alla sua ubicazione geografica remota e senza sbocco sul mare, alla facilità con cui è soggetto a disastri naturali e, soprattutto, alla lotta civile interna, condotta da guerriglieri maoisti e da un numero di gruppi radicali antimonarchici, insieme a quelli di filo-sinistra. La situazione precaria ha anche ridotto il turismo, che in tempi migliori era una delle fonti principali di valuta straniera.

Il Nepal ha una popolazione di 29 milioni di abitanti ed è governato da un re, con un parlamento e dei ministri. Ma la situazione politica è mutevole, se non addirittura anarchica. Un esempio tipico è stato nel 2001 il massacro di dieci membri della famiglia reale, inclusi il re e la regina, per le mani del principe ereditario. La maggioranza della popolazione nepalese è indù. La conversione ad un’altra religione è proibita per legge.

La fede cattolica fu portata al Nepal dai missionari gesuiti nel 1628, ma il lavoro di evangelizzazione da loro intrapreso è stato molto ridotto. Oggi, i cattolici sono circa 8.000 (0,02%), con 50 sacerdoti (12 diocesani e 38 religiosi), 164 consacrati religiosi, di cui 40 sono uomini e 124 donne.
[8]

La conversioni dall’induismo, che è la religione nazionale, non soltanto sono proibite, ma punibili con l’incarcerazione. La missione cristiana, intesa come una proclamazione esplicita del Vangelo, è vietata.

Kuwait

Il Kuwait, un piccolo paese, si trova nel Medio Oriente, tra Iraq e Arabia Saudita, confinante con il Golfo Persico. Anche se ricco di petrolio, esso è quasi totalmente dipendente quanto all’importazione di cibo; il 75% dell’acqua potabile deve essere distillata o importata.

Il Kuwait ha una popolazione di circa 2.650.000, che include 1.300.000 stranieri; l’85% sono musulmani, mentre l’altro 15% è costituito da cristiani, indù, zoroastriani, e altri, quasi tutti espatriati.

L’origine del cristianesimo nella regione può essere fatta risalire indietro fino ai tempi apostolici. Al momento presente, della popolazione totale i cattolici sono circa 158.500 (5,98%) e appartengono a vari riti. Vi è un vescovo cattolico e una cattedrale a Kuwait City, e tre altri luoghi per il culto; ci sono 12 sacerdoti, di cui 9 sono religiosi. I consacrati religiosi sono 22, di cui 13 sono suore.
[9]

Yemen

Lo Yemen è un altro paese nel Medio Oriente, con una popolazione di quasi 21.000.000, praticamente tutta musulmana, con un numero insignificante di giudei, cristiani e indù. La parte nord ottenne l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1918, mentre gli inglesi si ritirarono dalla parte sud solo nel 1967. Quando il Sud Yemen prese un orientamento marxista, migliaia di cittadini del sud si rifugiarono nel nord; tale esodo portò le due regioni in conflitto. Finalmente, nel 1990 le due regioni si riunirono in una Repubblica dello Yemen. Ora, relativamente parlando, il paese gode di una certa armonia.

In una popolazione totale di 21 milioni vi sono all’incirca di 4.000 cattolici, e anche questi sono per la maggior parte espatriati filippini e indiani, insieme ad un piccolo gruppo di iracheni, sudanesi, libanesi, giordani, americani e inglesi. Ci sono 5 sacerdoti salesiani, con il compito di cappellani presso le Missionarie della Carità di Madre Teresa, ma che provvedono anche ai bisogni spirituali della piccola popolazione cattolica. Ci sono 4 comunità delle Missionarie della Carità di Madre Teresa, con 24 suore di diversa provenienza. Nel 1998 tre di esse furono uccise da un fondamentalista islamico: sono state le prime martiri delle Missionarie della Carità a dare la propria vita per la fede nel servizio dei poveri. In alcuni centri, dove lavorano i salesiani, si fanno programmi di animazione per aiutare gli espatriati a resistere all’attrazione dei fondamentalisti islamici e delle sette protestanti. Attualmente la situazione sta migliorando, a partire dall’anno 2000, quando il Presidente diede ordine al Primo Ministro di riconsegnare alla Chiesa cattolica nello Yemen gli edifici delle chiese insieme ai loro terreni adiacenti.

3.  Storia della presenza salesiana nella Regione

Il primo gruppo di salesiani era formato da tre sacerdoti, un chierico, un coadiutore e un aspirante; erano quattro italiani, un belga e un francese, sotto la guida di Don Giorgio Tomatis. Si imbarcarono a Genova il 17 dicembre 1905 e arrivarono a Bombay il 5 gennaio dell’anno seguente. Ospitati prima dal vescovo di Daman e poi da quello di Mylapore, arrivarono a Thanjavur, la loro destinazione missionaria, il 14 gennaio 1906.

Subito presero la responsabilità dell’orfanotrofio di S. Francesco Saverio e della scuola elementare della parrocchia. Nell’arco di tre settimane dal loro arrivo, attivarono un gruppo di cooperatori salesiani e avviarono l’oratorio festivo, dove alla sera dopo la ricreazione i ragazzi avevano un’ora di catechismo, insegnato dai cooperatori e da alcuni dei più grandicelli tra i giovani. Nel febbraio dello stesso anno diedero inizio a due laboratori.

Già nel giugno del 1906 essi amministrarono il primo battesimo. Fin dall’inizio, inoltre, cercarono di promuovere vocazioni indigene. Così, nell’agosto 1907 un giovane di 28 anni, Ignazio Muthu, chiese di entrare tra i salesiani a Thanjavur. Nel 1908, insieme ad un altro aspirante, venne mandato in Italia per fare il suo noviziato. Dopo il noviziato e dopo gli studi filosofici compiuti in Portogallo, i due giovani salesiani ritornarono nell’India. Ignazio Muthu, ordinato il 31 dicembre 1916, fu il primo sacerdote salesiano indiano.

Mentre stavano compiendosi i primi due anni di lavoro salesiano a Thanjavur, la morte inaspettata, avvenuta il 19 novembre 1907, di Don Ernest Vigneron, uno dei missionari del primo gruppo, fu un duro colpo per la comunità salesiana. Ma Dio provvide in modo singolare. Un altro missionario francese, Don Eugenio Mederlet, stava viaggiando verso la Cina per raggiungere i missionari salesiani a Macau. Passando per l’India, si fermò a visitare il suo amico Don Vigneron. Mentre era ancora in India, il suo amico morì, e Don Rua mandò un telegramma a Don Mederlet chiedendogli di restare nell’India per sostituirlo.

Nel 1909 Don Tomatis, lasciando la missione di Thanjavur alla cura di Don Mederlet, raggiunse Mylapore (Chennai) per iniziarvi una seconda fondazione. Anche qui si cominciò con il lavoro per gli orfani in un orfanotrofio già esistente. Don Tomatis morì inaspettatamente nel 1925.

Intanto, la Santa Sede stava facendo pressione sui salesiani perché accettassero la vasta missione dell’Assam. Finalmente, il 13 gennaio 1922 il primo gruppo di 11 missionari (6 sacerdoti e 5 coadiutori), con Don Louis Mathias a capo, arrivò a Shillong, allora capoluogo dell’Assam. Nel dicembre 1922 Don Mathias fu nominato Prefetto Apostolico dell’Assam. Da quel momento non si volse più lo sguardo indietro. Nel 1923 i salesiani dell’India formarono una “Visitatoria” con sede a Shillong, e Don Mathias ne fu nominato superiore. Il 28 maggio 1926 la “Visitatoria” indiana fu elevata ad Ispettoria: Don Mathias divenne il primo Ispettore, la sede rimase a Shillong, e San Tommaso Apostolo fu scelto come patrono.

Mentre l’opera salesiana progrediva molto bene nel nord, la situazione nel sud non era così incoraggiante. I salesiani ebbero dei problemi con l’amministrazione diocesana locale. Il vescovo locale si era dimostrato molto amico e paterno verso i salesiani; non così invece il Vicario Generale che governò la diocesi durante la lunga assenza del vescovo in Europa. Perciò, il Visitatore straordinario, Don Pietro Ricaldone, ritirò i salesiani da Thanjavur e Mylapore e li mandò a Mumbai e a Vellore. Nel 1928 la missione del Nord Arcot, con sede a Vellore, fu unita all’arcidiocesi di Madras, la quale a sua volta fu affidata ai salesiani, e Don Eugenio Mederlet fu nominato arcivescovo.

Nel 1934 Don Louis Mathias e Don Stefano Ferrando furono ordinati vescovi, a Shillong e a Krishnagar rispettivamente. Nel 1935 Mons. Mederlet morì improvvisamente. Mons. Mathias fu allora trasferito all’arcidiocesi di Madras e Mons. Ferrando a Shillong. Nel 1939 i salesiani del nord entrarono nella Birmania (Myanmar) e cominciarono a lavorare a Mandalay; nel 1956 quelli del sud iniziarono l’opera salesiana a Negombo, nello Sri Lanka.

3.1
  L’attività missionaria nella prima metà del secolo

Dal 1922 fino alla seconda guerra mondiale ci fu un flusso costante di missionari salesiani, che vennero all’India dall’estero. Dopo la proclamazione dell’indipendenza, nel 1947, divenne sempre più difficile per i missionari stranieri entrare in India. Infine, nel 1966 il governo mise fine all’entrata di missionari dall’estero. Così, dal 1906 fino a 1966, un periodo di 60 anni, più di 450 salesiani da vari paesi sono venuti nell’India come missionari – la maggior parte di essi dall’Europa, specialmente dall’Italia, ma alcuni anche dall’Australia e dalle Americhe. La stragrande maggioranza di essi morirono nell’India, la terra della loro adozione missionaria; alcuni pochi ritornarono al loro paese nativo per motivi di salute o per altri motivi connessi. Oggi in India restano soltanto 31 missionari stranieri.

Fin dall’inizio, le missioni furono un’espressione privilegiata del carisma salesiano tra la gioventù. Partire dall’educazione dei giovani per arrivare all’evangelizzazione della gente locale: questa, si può dire, fu la strategia missionaria specifica adottata dai salesiani in tutte le loro missioni. Ma l’opera missionaria nell’India presenta alcune caratteristiche proprie, che la distinguono dall’opera missionaria altrove nella Congregazione.

In primo luogo, va sottolineato che fin dall’inizio i missionari furono un gruppo internazionale proveniente da diversi paesi, presentando così la realtà di una Chiesa universale. Era d’aiuto anche il fatto che questi missionari mantenevano il contatto con i paesi d’origine per il sostegno economico e psicologico, tanto necessario per lo sviluppo rapido della missione. Dovunque veniva iniziata un’opera missionaria salesiana, si vedeva la trasformazione, la crescita, il progresso in tutta la zona circostante.

Anche la presenza di un numero consistente di coadiutori salesiani, che lavoravano a fianco dei sacerdoti, mettendo mano ad ogni tipo di lavoro qualificato, fece un’impressione molto favorevole, perché parlava della fondamentale uguaglianza delle persone in un paese dominato da divisioni di tribù e di casta, e dove ogni casta è legata ad un determinato tipo di lavoro. Il ruolo del coadiutore salesiano nelle missioni è stato decisivo per la qualità e profondità della sua testimonianza laicale.

Così, la proclamazione del vangelo e la celebrazione dei sacramenti andarono di pari passo con l’educazione e il lavoro professionale, dando una forte testimonianza sulla dignità della persona umana e del lavoro umano. La rete delle scuole, dei centri di addestramento professionale, degli internati e dei convitti per ragazzi e ragazze, che rapidamente apparvero dappertutto nel territorio missionario, ebbe un profondo impatto trasformatore su una società che da tempo era stagnante e isolata, e l’aprì al vasto mondo circostante, dando una testimonianza credibile della potenza del Vangelo e delle sue implicazioni sociali di larga portata.

Una seconda caratteristica del lavoro missionario nell’India fu quella della formazione dei missionari
in loco. Mons. Mathias insistette con i superiori di mandare giovani all’India, dove avrebbero iniziato il noviziato, passando poi attraverso le fasi formative nei luoghi del loro futuro ministero, imparando la lingua, i costumi e le tradizioni della gente locale, che essi avrebbero servito. La loro giovinezza, energia e zelo fecero in modo che si adattassero molto rapidamente alle condizioni locali e si dimostrassero poi dei leaders e pionieri eccezionali nelle aree cui furono assegnati. Insieme a questa opzione a favore dei missionari giovani dall’estero, vi fu anche quella di reclutare vocazioni locali fin dall’inizio. Questa scelta coraggiosa, che andava contro la tendenza allora praticata altrove di contare esclusivamente sui missionari dall’estero, si dimostrò sapiente e lungimirante, perché essa preparò i salesiani indiani, che crebbero e lavorarono spalla a spalla con i confratelli di origine straniera, ad assumere le redini del governo e dell’amministrazione quando i missionari stranieri furono internati nei campi militari durante la guerra, o non poterono più entrare nel paese dopo la proclamazione dell’indipendenza. Il lavoro missionario quindi non cessò, quando l’afflusso di missionari dall’estero venne meno. Continuò, ma in mani diverse, a lungo ammaestrate dallo spirito e zelo dei primi pionieri.

La terza caratteristica significativa della strategia missionaria nell’India, potremmo dire, fu la fondazione di istituti missionari di suore da parte dei vescovi salesiani. Le Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice, le Suore Catechiste di Maria Immacolata, le Suore Visitatrici di Don Bosco, e altri istituti fondati recentemente, misero a disposizione delle giovani chiese del nord-est gruppi zelanti e dedicati di suore locali, che facevano il giro dei villaggi e delle piccole città catechizzando, provvedendo alle necessità sanitarie, e, in generale, prendendo cura delle donne e dei bambini. Nei posti missionari, nei dispensari, nelle scuole e negli internati queste brave suore integravano stupendamente il lavoro dei sacerdoti e dei coadiutori negli angoli più lontani del campo missionario.

Bisogna anche evidenziare il gruppo intrepido di catechisti laici in ogni posto di missione. Nei villaggi più lontani e inaccessibili, che i sacerdoti o le suore potevano visitare solamente poche volte all’anno, questi catechisti umili, pur essendo non molto istruiti e scarsamente retribuiti, erano la faccia visibile della Chiesa, raccogliendo la gente per la preghiera tutte le domeniche, dando loro l’istruzione, visitando gli ammalati, preparando i fedeli per i sacramenti, accompagnando i missionari nelle loro visite, traducendo i discorsi nelle lingue locali, e facendo i primi contatti in nuovi territori. Le Chiese missionarie devono molto a questi catechisti poveri e semplici, che sono stati all’avanguardia della spinta missionaria
ad gentes.

Da solo 5.000 cattolici nell’Assam, quando arrivarono i primi missionari nel nord-est dell’India e accettarono la missione dell’Assam dai Padri Salvatoriani, la Chiesa cattolica è cresciuta a 1,3 milioni di fedeli oggi, nello spazio di poco più di 80 anni.

Ciò che ho detto dell’attività missionaria nel nord-est può essere detto ugualmente delle altre parti della Regione, con le debite proporzioni.

3.2
  Due grandi missionari

A questo punto, sento il bisogno di fare una parentesi per rendere omaggio a due eminenti missionari, al cui zelo missionario, entusiasmo, capacità amministrativa e lungimirante visione si può attribuire l’impiantarsi e lo svilupparsi del carisma salesiano. Durante le mie recenti visite alla Regione, ho sentito parlare di loro con grande rispetto e stima.

L’Arcivescovo Louis Mathias (1887-1965)

Il primo è Don Louis Mathias, il capo della prima spedizione missionaria nel nord India, un salesiano francese, una persona molto dinamica. È indubbiamente il salesiano più illustre dell’India del secolo scorso.

Fin dall’inizio egli mise in azione quello che più tardi sarebbe stato il motto ufficiale del suo episcopato, “
Aude et spera”. Osando e sperando, a dispetto delle circostanze avverse, egli portò alla rapida crescita del numero dei salesiani e delle loro attività, nel periodo della sua responsabilità di Ispettore dell’India. [10]

Don Mathias non fu soltanto un leader entusiasta, ma anche una persona capace di destare quell’entusiasmo in altri. Egli dimostrò grande ingegnosità nel superare i seri problemi che la nuova missione dell’Assam dovette affrontare, a causa della mancanza di uomini e di mezzi sufficienti. Una della sue imprese nell’Assam fu di creare e mantenere lo “spirito di famiglia”, specialmente nelle case di formazione. Fu un organizzatore formidabile e il cervello di ogni progettazione nelle missioni. Aveva il controllo di tutto, ma nello stesso tempo lasciava spazio all’iniziativa locale, affinché i missionari non si sentissero soffocati, ma sostenuti. Don Ricaldone, Visitatore straordinario nel 1927, lo descrisse come uno che “possedeva capacità straordinarie per il suo ufficio. Era intelligente: sapeva come ottenere l’appoggio di altri. Ma soprattutto, fu un uomo di pietà e di osservanza religiosa esemplare.” Grazie al suo grande amore per Don Bosco, fece i passi necessari per impiantare la Congregazione non solo nell’Assam, ma anche a Calcutta, Bombay, Madras, Nord Arcot e Krishnagar. Lo sviluppo della missione dell’Assam sotto la sua leadership fu tale che la Santa Sede nel 1934 costituì a Shillong una diocesi, nominando Don Mathias suo primo vescovo.

 Nello stesso anno però, essendo morto l’arcivescovo salesiano di Madras, Mons. Mathias fu trasferito a Madras per prenderne il posto. Madras era tutto un altro mondo, ma egli si adattò alla nuova situazione. Quando poi la Santa Sede unì l’Arcidiocesi di Madras con la diocesi di Mylapore, creando così la nuova Arcidiocesi di Madras-Mylapore, egli fu nominato suo primo Arcivescovo. Durante i trent’anni passati a Madras, si dimostrò uno dei vescovi più dinamici dell’India. Ogniqualvolta i principi o gli interessi della Chiesa venivano attaccati dal governo in qualsiasi parte dell’India, egli alzava la sua voce di protesta e spesso con successo. A buon diritto è stato detto che la gerarchia, il clero e i laicato nell’India sono debitori a Mons. Mathias per gli enormi servizi da lui resi alla Chiesa nell’India. Il lavoro che fece nell’Arcidiocesi di Madras-Mylapore è semplicemente monumentale.

Egli rimase sempre un figlio devoto di Don Bosco. Fu estremamente generoso verso la Congregazione. Alcune delle migliori parrocchie e scuole salesiane a Madras (ora Chennai) sono doni dell’Arcivescovo Mons. Mathias alla Congregazione.

Don José Carreño (1905-1986)

Un altro salesiano significativo, che lasciò una forte impronta nel sud dell’India, fu Don José Carreño, originario della Spagna. Se Mons. Mathias fu il salesiano più illustre dell’India durante il secolo scorso, si può dire che Don Carreño fu il salesiano più amato nell’India sud durante lo stesso secolo.
[11]

Quando i salesiani dovettero ritirarsi da Thanjavur, Nord Arcot divenne il campo del loro apostolato e Tirupattur nel Nord Arcot fu il cuore del mondo salesiano nell’India sud. Don Carreño fece palpitare questo cuore di amore per il Cristo. È stato detto che come maestro dei novizi, incarico che gli fu affidato quando non aveva ancora trent’anni, faceva innamorare i novizi del Sacro Cuore di Gesù.

Riproduco qui due lettere di due suoi novizi, perché danno un quadro nitido di Don Carreño. La prima è di Hubert D’Rosario, che più tardi divenne Arcivescovo di Shillong-Guwahati. Egli scrisse: «
Il mio maestro di noviziato fu Don Carreño. Egli si preoccupava di noi come un padre… Ci sentivamo attratti a lui e cercavamo di imitarlo. Egli inculcava in noi dei valori duraturi… Era un insegnante brillante, un predicatore convincente… Avevamo sempre tanta voglia di ascoltare le sue conferenze, che egli preparava così bene. Eravamo conquistati dal suo cuore paterno. La gioia, l’amore, la pace e la speranza erano le cose che si respiravano in quella casa… Quella casa era come il paradiso». [12] La seconda testimonianza è di Don Luigi Di Fiore, che più tardi fu Ispettore di Madras: «Senza dubbio l’eredità più preziosa che Don Carreño tramandò a noi fu lo spirito salesiano nelle sue caratteristiche: la sete per le anime, la carità fraterna e lo spirito di famiglia, poggiato sulla preghiera, sul lavoro, sull’allegria, su un sano ottimismo e sull’ospitalità». [13]

Nel 1944 Don Carreño fu nominato Ispettore dell’Ispettoria dell’India sud, e nel primo raduno del Consiglio si prese la decisione di consacrare l’Ispettoria al Sacro Cuore di Gesù. Molti salesiani dell’India sud attribuiscono la crescita fenomenale dell’Ispettoria del sud all’amore di Don Carreño per il Sacro Cuore e alla consacrazione dell’Ispettoria al Sacro Cuore di Gesù. Il contributo più notevole di Don Carreño all’India salesiana è stato lo sforzo di aumentare il numero dei candidati indigeni alla vita salesiana. Già nel 1893 il Papa Leone XIII aveva scritto: «…
la sorte della Chiesa nell’India non avrebbe mai potuto avere radici solide senza la dedizione continua di un clero indigeno nell’India, pio e zelante». [14] Don Carreño era pienamente d’accordo con il Papa circa l’importanza delle vocazioni indigene alla vita salesiana.

Con l’inizio della seconda guerra mondiale, cessò il flusso di personale dall’Europa. Ma ciò che fu peggio, i salesiani italiani e tedeschi furono internati nei campi di concentramento, e quindi l’Ispettoria rimase con pochissimi salesiani. Don Carreño nel 1943 aprì un aspirantato a Tirupattur. All’inizio, accolse solo quei giovani che avevano finito la scuola secondaria, ma poi, accorgendosi che erano troppo pochi per il tanto lavoro futuro, cominciò ad accogliere anche ragazzi più giovani. Questo orientamento è rimasto fino al presente nell’India, e se oggi i salesiani indiani sono così numerosi, ciò è dovuto alla lungimiranza e al coraggio di Don Carreño.

3.3
  Il rapido sviluppo della Congregazione

Nel 1923 fu eretta la “Visitatoria” indiana, con sede a Shillong; il 28 maggio 1926 essa fu elevata al grado di Ispettoria, sotto il patrocinio di San Tommaso Apostolo. Successivamente, il 24 gennaio 1934 l’Ispettoria salesiana dell’India fu suddivisa in due: l’Ispettoria dell’India nord, con patrono San Giovanni Bosco e con sede a Shillong, che più tardi fu trasferita a Calcutta (Kolkata); e l’Ispettoria dell’India sud, con patrono San Tommaso Apostolo e con sede a Vellore, che fu più tardi trasferita a Madras (Chennai).

Il 17 ottobre 1959 fu separata da Kolkata l’Ispettoria di Guwahati, avente Maria Ausiliatrice come patrona. Il 31 gennaio 1972 la “Visitatoria” di Mumbai fu eretta come Ispettoria, che ebbe come patrono San Francesco Saverio. Il 19 marzo 1979 l’Ispettoria di Bangalore fu separata dall’Ispettoria di Chennai e assunse come patrono il Sacro Cuore di Gesù, mentre l’8 dicembre 1981 l’Ispettoria di Dimapur fu separata da Guwahati e prese San Francesco di Sales come patrono. Il 24 aprile 1992 Hyderabad, che fino allora faceva parte dell’Ispettoria di Bangalore, fu eretta come Ispettoria e dedicata a San Giuseppe, mentre la Delegazione di Nuova Delhi, che faceva parte dell’Ispettoria di Kolkata, fu canonicamente eretta come Ispettoria il 24 gennaio 1997 sotto il patrocinio di Gesù Buon Pastore. Il 5 agosto1999 l’Ispettoria di Chennai fu divisa in due, la parte sud formando un’Ispettoria avente Nostra Signora della Salute come patrona e la sede a Tiruchy. Infine, nel 2004 tre Delegazioni sono state elevate al grado di Visitatorie, ed hanno avuto inizio rispettivamente: il 6 agosto quella di Myanmar, separata da Kolkata, con Maria Ausiliatrice come patrona; il 15 agosto quella dello Sri Lanka separata da Chennai, con San Giuseppe come patrono; e il 31 agosto quella della regione Konkan, separata da Mumbai, con il Beato Giuseppe Vaz come patrono.

I salesiani in Myanmar

Nel 1894 Don J. L. Lafon fondò a Mandalay un orfanotrofio per i ragazzi cinesi, che poi ampliò per accogliere orfani di diverse nazionalità che si trovavano nella Birmania, e al quale più tardi aggiunse anche una scuola. Data la crescita continua della scuola e dell’internato, e considerando la sua età che avanzava, Don Lafon non poteva condurre l’opera da solo. Quindi, nel 1928, con l’approvazione del vescovo Mons. Falière, scrisse all’Ispettore salesiano, Don Mathias, chiedendo che i salesiani prendessero la responsabilità dell’opera. Finalmente, nel 1939, un gruppo di sei salesiani, con a capo Don Antonio Alessi, arrivò a Mandalay per assumere la direzione dell’internato e della scuola.

Come avviene spesso all’inizio di un’opera, anche in Myanmar i salesiani dovettero passare un periodo molto duro per varie difficoltà, soprattutto economiche. Presto, poi, Mandalay divenne il campo di battaglia tra i giapponesi e gli inglesi. Durante la guerra, i salesiani perdettero praticamente tutto ciò che possedevano, ma grazie a Dio nessuno perse la vita. In più, essi diedero alloggio a molta gente, tra cui 10 seminaristi, orfani e famiglie di rifugiati. Dopo la guerra si ritornò gradualmente alla vita normale, grazie all’aiuto delle autorità inglesi. Ma poco tempo dopo fu una guerra civile a scoppiare dentro lo stesso Myanmar, e anche questa volta i salesiani dovettero soffrire molto.

Nel 1952 i salesiani accettarono la parrocchia di Thingangyung, a circa 5 km. da Yangon. Nel 1957 aprirono l’aspirantato ad Anisakan. Nel 1964 il primo gruppo di 3 novizi cominciò il noviziato ad Anisakan e dopo la professione continuò la formazione del postnoviziato nella stessa casa. Poi venne la rivoluzione socialista del 1965, e tutti i missionari dall’estero furono espulsi e le scuole private nazionalizzate. Solo Don Fortunato Giacomin, un missionario italiano, riuscì a rimanere nel paese e tenne insieme i nuovi professi, agendo come il loro superiore, come professore di filosofia e teologia, tutto insieme.

Nel 1975 fu aperta la missione di Lashio, grazie allo zelo missionario di Mons. Jocelyn Madden; la missione continuò a fiorire fino a diventare infine una diocesi, con Mons. Charles Bo, SDB, primo vescovo. Nel 1977 fu aperta una casa di formazione a Yangon per gli studenti di teologia, che frequentavano il seminario maggiore interdiocesano. Nel 1988 si diede inizio all’aspirantato di Hsipaw e alla missione degli stati Wa.

Fin dagli inizi il Myanmar formava parte della Ispettoria di Kolkata. Nel 1964 diventò una Delegazione con il proprio Delegato. Finalmente, considerando la necessità di aiutare la Delegazione di Myanmar a svilupparsi, e vista anche la crescita continua seppur lenta del numero di confratelli, il numero costante di prenovizi e novizi, la possibilità di uno sviluppo complessivo della regione, la stima e l’incoraggiamento dei vescovi e, soprattutto, la fedeltà indefettibile e l’attaccamento dei confratelli a Don Bosco, specialmente durante gli anni di prova, il Rettor Maggiore nel 2002 decise di elevare la Delegazione di Myanmar al grado di Visitatoria. L’erezione avvenne successivamente, il 13 giugno 2004.

I salesiani nello Sri Lanka

Don Enrico Remery, un salesiano francese dell’Ispettoria di Chennai, diede inizio alla presenza salesiana nell’isola nel 1956 nelle vicinanze della città di Colombo; nel 1962 fu aperto un istituto a Ettukal-Negombo. Anche se l’opera progrediva gradualmente, Don Remery rimase solo per parecchi anni, perché il governo dello Sri Lanka non permetteva agli indiani di entrarvi.

Per molto tempo, i giovani confratelli dallo Sri Lanka vennero mandati in India per la loro formazione iniziale; ma anche ciò divenne impossibile per motivi politici. A seguito di ciò, nel 1976 si diede inizio a Kandy ad un centro di formazione per i giovani confratelli avviati al sacerdozio. Oggi nello Sri Lanka ci sono diverse case di formazione: un aspirantato, un prenoviziato, un noviziato e un postnoviziato. Per gli studi teologici i candidati vengono mandati agli studentati di teologia nell’India o altrove.

Nel 1993 lo Sri Lanka divenne una Delegazione dell’Ispettoria di Chennai. Nell’arco di un decennio, la Delegazione si sviluppò, dotandosi di una infrastruttura quasi completa per l’animazione e l’amministrazione. Perciò, nel 2003, l’Ispettore di Chennai, con il consenso del suo Consiglio e in consultazione con il Delegato dello Sri Lanka, chiese al Rettor Maggiore di separare la Delegazione dello Sri Lanka dall’Ispettoria di Chennai e di erigerla come Visitatoria. La Visitatoria dello Sri Lanka è stata canonicamente eretta il 13 giugno 2004.

I salesiani nel Nepal

La presenza salesiana nel Nepal ha avuto inizio nel 1992. Don Antonio Sharma, SJ, Prefetto Apostolico, comprò un pezzo di terreno a Dharan e invitò i salesiani a prendere cura della missione, che consisteva di circa 300 cattolici o 93 famiglie nella località e in sei centri vicini. I salesiani hanno dato inizio ad una scuola a Kathmandu, la capitale, nel 2000. Attualmente, abbiamo una comunità e una presenza nel Nepal, che fa parte dell’Ispettoria di Kolkata, con due confratelli prestati dall’Ispettoria di Bangalore.

I salesiani nel Kuwait

La presenza salesiana nel Kuwait è incominciata nel 2000, quando il Rettor Maggiore, Don Juan Vecchi, affidò il Kuwait ai salesiani dell’Ispettoria di Mumbai, perché iniziassero una scuola per i figli di lavoratori, impiegati in prevalenza nel lavoro delle costruzioni. La maggioranza di essi è di origine indiana o filippina.

I salesiani nello Yemen

A Madre Teresa di Calcutta fu chiesto dal governo dello Yemen di aprire un’opera nel paese per prendere cura degli anziani e abbandonati. Ella accettò la proposta, a condizione che le sue Suore avessero un cappellano per provvedere ai loro bisogni spirituali. Quando il governo acconsentì alla sua richiesta, ella chiese aiuto al Rettor Maggiore, Don Egidio Viganò, il quale chiese all’Ispettoria di Bangalore di mandare dei salesiani come cappellani per le Suore di Madre Teresa nello Yemen.

La prima presenza salesiana fu stabilita nel 1987 a Sana’a, la capitale dello Yemen; un simile lavoro di cappellania si attuò anche in altri luoghi: nel 1988 a Hodeidah, nel 1989 a Taiz e nel 1991 ad Aden. In tutti questi centri, oltre ad essere cappellani ufficiali delle Missionarie della Carità, i salesiani prendono cura dei gruppi significativi di cattolici, per la maggiore parte lavoratori espatriati.

4.  L’attuale presenza salesiana

Oggi, la regione dell’Asia Sud ha 9 Ispettorie e 3 Visitatorie, con circa 2400 confratelli e 170 novizi, in 359 centri; di questi, 270 sono case canonicamente erette e 89 presenze approvate, non ancora erette canonicamente. Nella Regione ci sono 5 arcivescovi e 6 vescovi salesiani. L’età media dei confratelli è di 40,3 anni. Inoltre, sono molti i missionari che sono partiti dall’India per le diverse parti del mondo, per portare il Vangelo e impiantare il carisma salesiano. Il piccolo seme seminato nel terreno indiano cent’anni fa è oggi cresciuto in un grande albero, producendo frutti di evangelizzazione e attività missionaria in tutto il mondo.

4.1
  Il coordinamento interispettoriale

Nella Regione è stata costituita una Conferenza interispettoriale, con i propri statuti, che si raduna due volte l’anno: una volta in sessione plenaria e un’altra con un raduno di carattere esecutivo. La Conferenza salesiana dell’Asia Sud (SPCSA) ha il suo centro a Nuova Delhi e agisce come strumento di comunicazione e di collaborazione interispettoriale, come pure per l’animazione e le relazioni pubbliche. Il segretario della Conferenza è incaricato del centro e cura la pubblicazione di un bollettino biennale (
SPCSA Bulletin).

Sotto la responsabilità della Conferenza ci sono quattro commissioni interispettoriali, guidate da delegati interispettoriali nominati dalla Conferenza stessa, che seguono i quattro principali settori del nostro apostolato: la formazione, la pastorale giovanile, la Famiglia Salesiana e la comunicazione sociale, l’animazione missionaria. La Conferenza Regionale elabora il suo progetto per il sessennio, basato sul progetto di governo e animazione del Rettor Maggiore e del suo Consiglio. Così pure, ognuna delle quattro commissioni interispettoriali ha il suo programma, ispirato allo stesso modello. Vi è una sufficiente interazione tra le commissioni, che s’incontrano regolarmente. Le loro attività vengono seguite dalla Conferenza, che ogni anno approva e valuta i loro programmi e i preventivi, e provvede alle spese necessarie. La difficoltà sta nel creare una visione comune della Regione ed impegnare adeguato personale e risorse finanziarie per realizzare e sostenere opere ed attività significative al livello della Regione.

4.2
  La formazione

La formazione permanente

Al livello interispettoriale la Conferenza Regionale ha un centro di formazione permanente a Bangalore,
Don Bosco Yuva Prachodini, e lo fornisce di salesiani qualificati dalle diverse Ispettorie. Programmi di rinnovamento vengono fatti regolarmente per i leaders delle comunità, per i formatori e per gli animatori della pastorale giovanile, sia salesiani che altri religiosi. Il centro gestisce anche un corso (che si conclude con gli esercizi spirituali) della durata di un mese per tutti i diaconi delle diverse Ispettorie prima della loro ordinazione. Così pure realizza un corso per i confratelli che si preparano alla professione perpetua.

La formazione iniziale

Più del 40% dei salesiani della Regione sono nelle tappe della formazione iniziale. Questo è un fatto che riconosciamo con gioia e gratitudine. Ma è anche una chiamata alla responsabilità per assicurare una qualità alta di formazione, la quale è di fondamentale importanza per il futuro della Regione.

Nella Regione vi sono due studentati di teologia, entrambi aggregati alla Facoltà di Teologia dell’UPS. Quello del sud (“Kristu Jyoti College”, Bangalore) offre una specializzazione in catechetica e pastorale giovanile (
Viswadeep), conferendo il baccalaureato in teologia e la licenza in teologia, pastorale giovanile ed educazione nella fede; dal 1984 pubblica una rivista trimestrale intitolata Kristu Jyoti. L’altro del nord (“Sacred Heart Theological College”, Shillong) offre una specializzazione in missiologia; dal 1979 pubblica una rivista missiologica che tratta temi teologici connessi con la missione della Chiesa nella società contemporanea dell’India; dal 2000 il nome della rivista è Mission Today. I due teologati e le specializzazioni che offrono sono aperti anche ai religiosi e religiose di altre Congregazioni.

Ci sono, inoltre, quattro comunità formatrici per studenti di teologia, che frequentano i seminari di altri religiosi o della diocesi. Quest’anno abbiamo un numero complessivo di 206 studenti di teologia. L’anno scorso sono state 44 le ordinazioni sacerdotali. Al “Sacred Heart Theological College” di Shillong c’è pure un centro per la formazione specifica dei salesiani coadiutori: il corso di 2 anni conferisce un diploma riconosciuto dall’UPS ed è aperto ad altri religiosi e religiose.

La Regione, poi, ha nove case di postnoviziato, una delle quali, appartenente all’Ispettoria di Kolkata, è esclusivamente per i salesiani coadiutori. Il postnoviziato di Nashik, nell’Ispettoria di Mumbai, è aggregato alla facoltà di filosofia dell’UPS e pubblica una rivista trimestrale di natura scientifica intitolata
Divyadaan. Tutte le case di postnoviziato hanno strutture adeguate, biblioteche ben fornite e personale dedicato, anche se in alcune manca un numero sufficiente di professori qualificati; in questi casi, vengono sostenute con personale preparato di altre Ispettorie. Quattro studentati sono anche affiliati alle università statali per conseguire il baccalaureato. In totale, gli studenti postnovizi sono 295. Dopo gli studi filosofici, i giovani salesiani fanno il loro tirocinio o continuano ulteriormente il loro training accademico o professionale. Quest’anno, 84 di essi hanno emesso la professione perpetua.

Le case di noviziato nella Regione sono nove. Il 24 maggio 2006,138 novizi hanno emesso la loro prima professione, mentre 171 novizi sono entrati nei noviziati. La Regione conta poi su 10 case di prenoviziato, che forniscono un gruppo ben preparato di novizi ogni anno. Vorremmo notare, inoltre, che nella Regione vi sono solo 163 salesiani coadiutori a confronto di 2.247 sacerdoti e chierici. La proporzione è di 1 coadiutore a confronto di 14 sacerdoti e chierici.

Vi sono anche altri aspetti che sembrano aver bisogno di essere rinvigoriti, come, per esempio, la formazione dei formatori, che comporta l’istituzione di un programma serio, la formazione specifica salesiana, che richiede corsi solidi di salesianità nelle varie fasi formative con testi appropriati e professori qualificati, e il “Curatorium” da far funzionare bene per le case di formazione aperte a studenti di diverse Ispettorie. Bisogna partire dalla consapevolezza che la formazione è prima di tutto responsabilità di tutta la Congregazione come tale, che ha la prima responsabilità di assicurare l’identità carismatica dei salesiani.

4.3
  La pastorale giovanile

La pastorale in favore dei giovani è ben organizzata. Al livello regionale c’è un delegato per l’animazione giovanile, che viene nominato dalla Conferenza ispettoriale. Egli è anche il delegato per la Regione nel settore dell’educazione e della cultura. In più, ogni Ispettoria ha il proprio delegato, assistito da commissioni e sotto-commissioni, per le cinque dimensioni della pastorale giovanile. La maggior parte di queste commissioni funziona organizzando programmi nelle scuole, nei centri giovanili e nelle parrocchie. Le Ispettorie in maggioranza hanno il loro progetto educativo-pastorale e cercano di attuarlo. In generale, si scorge la tendenza di dare più enfasi alle attività e iniziative che alla formazione e animazione progressiva. C’è bisogno di una progettazione migliore e di una pastorale giovanile più unificata.

Le istituzioni educative

L’apostolato salesiano per la gioventù nella Regione prende varie forme. La più importante, avendo anche il più grande numero di beneficiari, è l’educazione. Parlando dello scenario educativo nell’India, già avevo indicato che i cristiani sono responsabili del 20% degli istituti di educazione primaria. Possiamo anche affermare che i salesiani giocano un ruolo significativo nell’impegno educativo del paese mediante le loro istituzioni educative.

I primi missionari presero sul serio la loro missione di evangelizzare educando, e la loro opera missionaria fu sempre legata all’educazione. L’attenzione fu centrata sulle scuole, primarie e secondarie, accademiche e professionali, perché l’educazione di base era il bisogno fondamentale dei giovani. Presto, però, i salesiani diedero inizio anche a dei collegi universitari. Di fatto, il primo collegio universitario nella Congregazione, “St. Anthony’s College”, fu aperto a Shillong, nell’Ispettoria di Guwahati, nel 1934. Oggi ci sono collegi universitari anche in altre parti della Regione, e questi conferiscono i gradi universitari di laurea e post-laurea. Ora che l’educazione di base sta diventando molto estesa e accessibile, c’è uno spostamento di enfasi dall’educazione primaria all’educazione superiore, e quindi si sente un bisogno maggiore nelle varie Ispettorie di aprire più collegi universitari.

Si osserva che nelle città principali le nostre scuole e i nostri collegi hanno molta difficoltà per far fronte alle domande di ammissione, tale è la ressa di domande per un’educazione di buona qualità, così che nelle scuole si fanno due turni – al mattino e al pomeriggio – e i collegi universitari sono diurni o serali. Nella Regione si dà un totale di 196 scuole e collegi universitari, con un numero complessivo di 230.375 studenti. Queste istituzioni educative sono ben conosciute e apprezzate per il buon livello di disciplina, per la loro educazione integrale e per i risultati eccellenti. Se Don Bosco è generalmente conosciuto e rispettato in tutta l’India, ciò è dovuto molto alla rete di solide istituzioni educative che abbiamo nel paese.

Ci sono però molti giovani che non possono frequentare la scuola o il collegio universitario per vari motivi: la mancanza di mezzi, il lavoro a tempo parziale, l’età superata, la mancanza di posti nelle istituzioni formali, ecc. Per aiutare questi giovani in difficoltà, molte Ispettorie organizzano scuole serali, luoghi per studiare alla sera, e scuole e collegi per imparare a distanza. Queste istituzioni sono assai apprezzate e frequentate, e i risultati molto incoraggianti.

C’è inoltre il fatto della disoccupazione, che è un problema serio nell’India. Anche se si parla di un boom economico, i posti di lavoro sono scarsi e difficili da trovare. L’educazione da sola non prepara la persona per un lavoro decoroso. Occorrono quindi delle istituzioni professionali e agricole per fornire ai giovani le capacità richieste. I salesiani della Regione hanno preso a cuore questo problema. Gestiscono 85 istituzioni professionali e 2 istituzioni agricole, servendo un totale di 14.030 giovani. Tra queste istituzioni, ci sono collegi universitari d’ingegneria e d’informatica, e altre che offrono una formazione tecnica e professionale per preparare una manodopera qualificata. In tutte e due queste categorie, accanto alle istituzioni che offrono l’educazione formale, ci sono anche molte che provvedono l’educazione non-formale agli studenti che, in un modo o in un altro, non si qualificano per l’ammissione alle istituzioni formali. Anche questo è un aiuto notevole per ridurre la disoccupazione.

Gli internati e i convitti

Nell’insieme delle istituzioni educative, gli internati e i convitti meritano una parola come mezzi attuali di pastorale giovanile. Gli internati sono per i ragazzi di diversa provenienza che frequentano la scuola: ragazzi dei villaggi dove non ci sono scuole, ragazzi di famiglie dove non ci sono le minime agevolazioni per lo studio, ragazzi orfani o di famiglie separate; questo tipo di internato, specialmente nelle zone missionarie e povere, serve per evangelizzare e inculcare i valori cristiani ai cristiani e non-cristiani ugualmente, e impartire una buona educazione. I convitti sono generalmente per gli studenti universitari e giovani lavoratori, e sono considerati un mezzo attuale di apostolato e di trasmissione di valori cristiani. Nella Regione ci sono 214 internati e convitti, con un totale di 20.440 interni.

I centri giovanili

In tutte le Ispettorie della Regione vi sono oratori giornalieri e festivi, che nella Regione sono chiamati in generale centri giovanili. Ci sono 168 tali centri, cui affluiscono quasi 59.000 giovani (più ragazzi che ragazze), con qualche variazione nella regolarità della frequenza. La maggior parte di essi è collegata con una scuola o una parrocchia salesiana. Bisogna dire che precedentemente ci fu una media di frequenza più alta; ma il numero dei centri giovanili è ancora in aumento, e i metodi di animazione e i programmi si stanno aggiornando. Gli oratori/centri giovanili di Shillong, Panjim, Chennai e Kochi, avendo una lunga storia ed esperienza, hanno avuto un grande impatto sul territorio; i centri più recenti di Guwahati, Ranchi, Hyderabad, Mumbai e Tiruchy offrono ai giovani una varietà di servizi e forse ne raggiungono un numero maggiore.

Per quanto riguarda i gruppi e i movimenti, bisogna riconoscere che non hanno avuto molto successo nella Regione, anche se c’è stato il gruppo giovanile
Friends (Amici) che ha funzionato bene per certo periodo di tempo. Lo scoutismo, invece, riceve grande attenzione in moltissime scuole, e ogni tre anni si celebra il jamboree degli scout (chiamato Boscoree) nelle diverse Ispettorie a turno, attirando più di duemila giovani esploratori ed esploratrici da tutta l’India. Questo evento viene preparato minuziosamente per tutto un anno, con un iter e un tema, e lo si celebra nello stile e con elementi tipici del folclore multiculturale dell’India. È un’esperienza gioiosa e formativa, una miscela tipica di spiritualità giovanile salesiana con un contesto religiosamente pluralistico.

L’apostolato in favore dei giovani a rischio (YaR)

Negli ultimi decenni i confratelli della Regione dell’Asia Sud hanno fatto molta strada nel loro intervento in favore dei giovani a rischio (
Youth at Risk). I confratelli impegnati in questo lavoro fanno un apostolato tipicamente salesiano, e meritano ogni sostegno, apprezzamento e aiuto.

I “giovani a rischio” includono diversi gruppi di giovani, sia ragazzi che ragazze. Il primo gruppo è costituito dai cosiddetti ragazzi della strada, che nelle principali città dell’India sono migliaia. Molti di essi non hanno una casa o genitori; altri fuggono dalla casa e girano nelle città raccogliendo stracci riciclabili dalle pattumiere; alcuni lavorano come portabagagli non-autorizzati nelle stazioni ferroviarie o ai capolinea degli autobus. Siccome sono sotto il controllo dei leaders di una banda, una buona percentuale dei loro guadagni giornalieri viene consegnato forzatamente ai loro capi. I raccoglitori di stracci sono spesso perseguiti dalla polizia e qualche volta sessualmente abusati da persone adulte, mentre le ragazze vengono forzate alla prostituzione; alloggiano sotto i ponti, nei tubi di scarico non usati, o in baracche abbandonate.

Il lavoro a favore di questi ragazzi della strada fu iniziato da un gruppo intraprendente di studenti di teologia a Bangalore nell’anno 1980. Oggi ha suscitato entusiasmo nei cuori dei salesiani praticamente in tutte le Ispettorie dell’India. A questi ragazzi viene offerta una casa, dove trovano un senso di appartenenza e si sentono amati. I nomi che diamo a queste case dicono tutto:
Sneha Bhavan, Valsalya Bhavan, Anbu Illam (tutti e tre significano “casa di amore”), Asha Alayam (“casa di speranza”), Shelter Don Bosco (“rifugio Don Bosco”), Don Bosco Veedu (“casa di Don Bosco”), ecc. In molte città dell’India, nelle stazioni ferroviarie e nei principali capolinea degli autobus, i salesiani, con l’aiuto delle autorità comunali, hanno installato una rete telefonica gratuita, chiamata Child Line. Attraverso questa facilitazione qualsiasi ragazzo in difficoltà, o chiunque trova un ragazzo in difficoltà, può chiamare il numero specificato e così può trovare aiuto. 

Un altro gruppo di giovani a rischio è quello dei ragazzi lavoratori, maschi e femmine. La Costituzione dell’India stabilisce che l’educazione è obbligatoria per tutti fino all’età di 14 anni, e che l’impiego dei ragazzi al di sotto di 14 anni è punibile per legge; ma migliaia di ragazzi vengono costretti a lavorare, anche fin dall’età di cinque anni. I salesiani intervengono a favore di questi ragazzi: spesso con l’aiuto della polizia, li salvano dalla prepotenza dei loro padroni, li portano in centri di riabilitazione e, con l’assistenza del dipartimento di educazione, offrono loro un corso di recupero, inserendoli nel sistema scolastico a seconda della loro età.

In alcune Ispettorie della Regione, i salesiani intervengono pure a favore dei tossicodipendenti, specialmente i giovani, e aiutano a disintossicarli e riabilitarli alla vita sociale; alcuni membri della Famiglia Salesiana danno un aiuto per salvare le ragazze dalla prostituzione, e offrono assistenza alle cosiddette “sex workers”. Molto significativa in questo campo è l’azione di riabilitazione fatta dai salesiani nello Sri Lanka per le giovani vittime di abusi sessuali, che proviene dal turismo sessuale da parte degli stranieri che vengono nell’isola.

Al centro SPCSA a Nuova Delhi si è stabilito un forum per affrontare i bisogni dei giovani a rischio, con un salesiano addetto a tempo pieno. Molti salesiani e membri della Famiglia Salesiana sono qualificati per lavorare con i giovani a rischio. In tutto, ci sono nella Regione 207 centri dove i giovani a rischio trovano alloggio ogni giorno, o che servono come centri di riabilitazione per loro. Sono circa 34.000 i giovani di questa categoria che vengono aiutati ogni anno in diversi modi.

I servizi di orientamento professionale

Praticamente in tutte le Ispettorie della Regione ci sono dei servizi speciali per i giovani: i servizi di orientamento professionale e i centri di consulenza psicologica. Questi centri o servizi a livello ispettoriale di counselling psicologico sono effettuati da personale qualificato.

Sono 33 i centri di questo tipo, che assistono un numero notevole di giovani; tra di essi
Vazhikaatti nelle Ispettorie di Chennai e Tiruchy sono degni di nota, perché preparano i giovani per un impiego nel campo di lavoro.

L’orientamento vocazionale

In generale, ogni Ispettoria ha un piano di promozione vocazionale e un promotore vocazionale. Nell’insieme, il processo di selezione dei candidati mediante interviste e campi-scuola è molto solido, e di conseguenza, riusciamo ad avere buone vocazioni.

Ciononostante, giacché il reclutamento dei ragazzi viene fatto ad un’età adolescenziale, c’è anche una buona percentuale di abbandoni della vita salesiana durante il periodo della formazione iniziale. Si nota anche che la maggioranza delle vocazioni non viene dalle nostre parrocchie e scuole. Forse manca un piano di orientamento vocazionale al livello locale, mediante il quale ogni comunità e ogni confratello si senta responsabile per il discernimento e la guida di quei giovani che mostrano segni di vocazione e, mediante la preghiera, la testimonianza raggiante della vita consacrata ed una presenza evangelizzatrice tra i giovani, deponga il seme di una vocazione salesiana nei loro cuori.

Per “
scuole apostoliche” e “aspirantati” intendiamo quegli internati accanto a scuole o collegi, dove si prende cura dei possibili candidati per il sacerdozio o la vita religiosa salesiana e li si prepara per il prenoviziato. La Regione è benedetta, avendo 26 di tali centri fiorenti, veri vivai di vita salesiana per le centinaia di vocazioni salesiane che sbocciano ogni anno.

Concludendo questa carrellata sulle istituzioni a favore dei giovani, si deve dire che, perché sia più efficace e duratura, la pastorale giovanile nella Regione ha bisogno di essere più unificata e più centrata sull’obiettivo primario dell’educazione dei giovani alla fede; dovrà accompagnare il processo di crescita dei giovani, invece di moltiplicare le attività; usando una migliore progettazione e coordinamento, coinvolgerà i collaboratori laici in una visione comune e in un impegno condiviso. In ogni caso, l’opzione preferenziale salesiana per la gioventù povera ha trovato espressioni privilegiate e creative in tutta la Regione, di cui può essere legittimamente fiera.

4.4
  La Famiglia Salesiana

Parlando di Famiglia Salesiana nella Regione, le prime da menzionare sono certamente le
Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), che hanno lavorato e lavorano insieme ai salesiani per lo sviluppo del carisma e della missione salesiana. La loro presenza in India risale al 1922, quando Don Tomatis, nel suo ritorno in India dopo un periodo di vacanza in Italia, portò con sé sei suore salesiane. All’inizio, esse lavorarono dappertutto a fianco dei salesiani, principalmente prendendo cura delle ragazze e delle donne povere. Vennero poi regolarmente dall’Europa successivi gruppi di missionarie FMA, che incominciarono ad accogliere le vocazioni locali, sì che l’Istituto andò via via irrobustendosi e arricchendosi di suore indiane. Durante la seconda guerra mondiale, le FMA affrontarono gli stessi problemi e le stesse privazioni dei salesiani e, più tardi, furono soggette alle stesse restrizioni imposte all’entrata di missionari dall’estero. Oggi nella Regione ci sono 1.208 suore professe e 80 novizie, senza contare le 11 suore e 5 novizie nelle due comunità del Myanmar, che appartengono all’Ispettoria della Cambogia. La Regione delle FMA è divisa in 6 Ispettorie ed ha 150 centri.

Poco dopo il loro arrivo a Thanjavur, i salesiani videro la necessità di avere collaboratori laici per il lavoro missionario. Nel giro di tre settimane, Don Tomatis diede inizio ad un centro dell’
Associazione dei Cooperatori salesiani a Thanjavur. Nel secolo passato, dovunque andavano, sia i salesiani che le Figlie di Maria Ausiliatrice provvedevano con entusiasmo a formare centri locali di Cooperatori. Specialmente dopo la spinta data dal Vaticano II all’apostolato laicale, e dopo la riscoperta della Famiglia Salesiana da parte del Capitolo Generale Speciale, i Cooperatori salesiani nella Regione sono cresciuti in numero, giungendo al contempo a comprendere più chiaramente la loro vocazione salesiana, il loro ruolo indispensabile nella missione salesiana e la loro giusta collocazione nella Famiglia Salesiana e nella Chiesa. Oggi nella Regione ci sono 133 centri e 2.507 Cooperatori che hanno fatto la promessa. I centri locali sono animati dai rispettivi delegati locali SDB/FMA, e al livello ispettoriale e interispettoriale da un Consiglio congiunto dei centri SDB/FMA e dai loro Delegati.

Praticamente ovunque nell’India si trovano gli
Ex-allievi/e di Don Bosco e delle FMA. Molti di loro occupano posizioni di rilievo nella società, anche negli uffici di governo. In qualche stato alcuni ministri sono Ex-allievi. Vi sono 102 centri attivi di Exallievi di Don Bosco e 26.025 membri iscritti all’Associazione.

Il numero delle
Volontarie di Don Bosco è esiguo: meno di una dozzina, e tutte nelle Ispettorie di Chennai e Kolkata. Il gruppo delle VDB è ancora da rilanciare.

Nella Regione vi sono altri gruppi della Famiglia Salesiana, fondati da salesiani:

—  Le
Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice (MSMHC) sono state fondate nel 1942 dal Servo di Dio Mons. Stefano Ferrando, Arcivescovo di Shillong, nell’Ispettoria di Guwahati. Ciò che lo portò a dar origine a questo gruppo di Suore fu il fatto che durante la seconda guerra mondiale i missionari dall’estero furono internati nei campi di concentramento e il lavoro di evangelizzazione cominciava a rallentarsi. Mentre pensava al coinvolgimento delle donne come evangelizzatrici nei villaggi, gli capitò di vedere un gruppo di ex-allieve delle FMA a Guwahati, che aiutavano la gente in generale e prendevano cura dei soldati feriti. Esse desideravano diventare religiose e dedicare la loro vita alle opere di carità. Mons. Ferrando fondò l’Istituto cominciando da questo gruppo. Oggi sono 931 suore in 156 comunità, e lavorano in 48 diocesi dell’India, dell’Italia, dell’Africa e del Brasile. La maggioranza di esse fa opera di evangelizzazione nei villaggi, altre dirigono scuole, oratori, orfanotrofi, case per anziani, e cliniche gratuite.

—  Le
Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice (SMI) sono state fondate nel 1948 dal Vescovo Mons. Louis LaRavoire Morrow a Krishnagar, Ispettoria di Kolkata. La loro spiritualità è basata su quella di santa Teresa di Lisieux e sul sistema preventivo di Don Bosco. Il mantenere contatti stretti con le famiglie è una delle loro principali attività apostoliche, oltre alla gestione di oratori, scuole primarie, centri di lavoro, case per anziani, ecc. Sono più di 500, e hanno comunità anche fuori dell’India.

Questi due istituti di donne consacrate sono ufficialmente riconosciuti come membri della Famiglia Salesiana, mentre altri aspettano di essere riconosciuti ed accettati. Tra questi altri vi sono:

— 
I Discepoli (Istituto Secolare Don Bosco), fondato nel 1973 da Don Joe D’Souza dell’Ispettoria di Nuova Delhi, è un gruppo di uomini e donne. Le 313 sorelle e gli 87 fratelli lavorano in 194 centri in 46 diocesi (41 diocesi indiane e 5 italiane). Come i discepoli mandati a due a due dal Signore, anch’essi lavorano in piccoli gruppi, portando il messaggio del Vangelo alla gente e vivendo come i primi discepoli, non possedendo alcuna proprietà, né terra né istituzioni, ma vivendo tra la gente e come essa vive, accettando il cibo e l’alloggio che viene loro offerto dalla gente. In ogni diocesi essi sono sotto la cura del vescovo locale.

—  Le
Suore di Maria Ausiliatrice (SMA), fondate nel 1976 dal recentemente scomparso Don Antonio Muthamthotil, hanno 91 membri, vivono in 21 comunità, e lavorano in 7 diocesi dell’India. Il loro apostolato si estende dall’evangelizzazione diretta alla cura dei ragazzi della strada. In molti posti aiutano i salesiani nel loro apostolato.

—  Le
Suore Visitatrici di Don Bosco (VSDB), fondate nel 1983 da Mons. Hubert D’Rosario, Arcivescovo di Shillong, nell’Ispettoria di Guwahati, hanno 81 religiose professe e 17 novizie, e lavorano in 15 comunità in 4 diocesi del nord-est dell’India. Il loro apostolato principale è l’evangelizzazione mediante le visite alle famiglie, particolarmente nei villaggi, e mediante programmi di sviluppo sociale.

—  La
Società Missionaria di S. Paolo, fondata nel 1990 da Mons. Charles Bo, Arcivescovo di Yangon (Myanmar), ha due rami: il ramo maschile, chiamato Fratelli Missionari di San Paolo, che comprende 2 sacerdoti, altri membri professi e 2 novizi, e lavora in 6 comunità e in 3 diocesi; il ramo femminile, chiamato Sorelle Missionarie di San Paolo, che ha 74 professe e 12 novizie, e lavora in 22 comunità in 5 diocesi.

—  Le
Suore Adoratrici del Cuore Immacolato di Maria, fondate nel 1991 da Mons. Lucas Sirkar, quando era vescovo di Krishnagar. Sono 60 suore professe e 11 novizie, e lavorano in 6 comunità e in 2 diocesi. Come il loro nome stesso suggerisce, il loro apostolato principale è l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento. Esse sono impegnate anche in qualsiasi attività apostolica che il vescovo chieda loro.

Praticamente tutte le Ispettorie hanno un salesiano come Delegato per la Famiglia Salesiana. In alcune Ispettorie, i Consigli ispettoriali SDB e FMA fanno raduni congiunti per uno scambio di vedute circa la missione comune e la progettazione di iniziative congiunte, e celebrano la “Giornata della Famiglia Salesiana” una volta all’anno.

4.5
  La comunicazione sociale

Di fronte alla vastità del subcontinente indiano, con la sua immensa popolazione, la grande varietà di lingue e la completa estraneità delle sue culture e consuetudini, i primi missionari incominciarono subito il lavoro faticoso di imparare diverse lingue: l’inglese, lingua parlata dal governo e dall’élite indiana, e anche la lingua locale della gente che intendevano servire. Ma il compito più difficoltoso era di comprendere un contesto così diverso da quello dell’Europa cristiana e inculturare se stessi in esso.

I salesiani della Regione utilizzarono tutti i mezzi che Don Bosco usava per guadagnare le anime e diffondere i valori del Vangelo: aule scolastiche animate e piene di racconti e quiz su temi educativi e catechetici, insieme allo sport, ai giochi, alla musica, alle recite e alle passeggiate. Appena sette anni dopo il loro arrivo, i salesiani organizzarono una banda musicale, completa di tutto, a Mylapore.
[15] A Mumbai, la banda fu considerata un “buon mezzo per fare propaganda”. [16] A Goa, una colonia portoghese, si incominciò l’opera salesiana con il calcio e con l’oratorio. [17] A Thanjavur, più di 30.000 persone, in maggioranza indù, vennero per assistere alla sacra rappresentazione della Passione di Cristo. [18] Il nuovo ambiente salesiano offrì all’India nuovi segni e simboli per esprimere la gioia e l’ottimismo cristiano.

In breve, i salesiani crearono un ”ambiente comunicativo”, entro cui i valori evangelici potevano essere trasmessi e il carisma salesiano impiantato. Alla radice del loro potenziale comunicativo c’era l’impulso dello zelo pastorale, che li stimolava a superare le proprie limitazioni. Alcuni salesiani impararono le lingue locali così bene che divennero promotori illustri delle culture locali, producendo grammatiche e libri in quelle lingue.
[19]  

Dopo non molto tempo incominciarono le iniziative maggiori di comunicazione con l’apertura delle officine di stampa: nel 1922 (cioè, nello stesso anno del loro arrivo in Assam) a Shillong, nel 1924 a Tanjore, nel 1925 a Calcutta, e nel 1948 a Tirupattur. Ci sono almeno otto di queste officine di stampa nella Regione che, oltre a pubblicare della buona letteratura, addestrano i giovani lavoratori alla stampa professionale. L’avvio del centro culturale a Vaduthala nel 1975 e del centro catechetico a Kolkata nel 1977 diede un impulso alla produzione di sussidi catechistici e audiovisivi. Ora, nella Regione ci sono circa una dozzina di case editrici, centri di cultura e di comunicazione, con nomi diversi e in lingue diverse, ognuno con i propri obiettivi: l’Ispettoria di Mumbai ha due centri, Kolkata uno, Guwahati tre, Bangalore due, Chennai due, e Tiruchy uno. Oltre alla pubblicazione di libri, questi centri producono anche riviste, audio-cassette e sussidi audiovisivi.

Nel 1930 i salesiani cominciarono la pubblicazione di una rivista intitolata
Don Bosco in India. Dal 1951 venne stampato in India il Bollettino Salesiano, che poi dal 1976 fu chiamato Don Bosco Salesian Bulletin. Oggi, il Bollettino Salesiano viene stampato non solo in inglese, ma anche in sei lingue vernacolari. Nel 1937, quando Mons. Mathias cominciò a pubblicare il periodico The Clergy Monthly (Mensile per il Clero), c’erano circa 20 pubblicazioni nella Regione, ma per vari motivi quasi tutte hanno cessato di essere pubblicate. L’unica che rimane ancora è in lingua tamil, Arumbu, e ha una tiratura di 20.000 copie.

Dal 1933 si pubblicò un notiziario ispettoriale, unico per tutta l’India salesiana. La creazione di nuove Ispettorie diede origine a nuovi notiziari. Oggi undici delle 12 circoscrizioni hanno i propri notiziari. Inoltre, varie organizzazioni e istituzioni nella Regione anche i propri notiziari per i loro specifici uditori. E la Regione non manca di pubblicazioni di libri scientifici, principalmente da parte dei due teologati di Bangalore e Shillong.

Sussidi catechistici e pubblicazioni religiose, produzioni audio e video, programmi per radio e televisione e films sono prodotti regolarmente. Degni di nota sono
Catechetics India, una rivista pubblicata trimestralmente, e Johnny, un film prodotto nel 1994 nella lingua Malayalam sui primi anni della vita di Don Bosco e, a sua continuazione, un secondo film, Bosco, realizzato nel 1999; tutti e due i film sono doppiati in inglese e in alcune lingue indiane.

Anche il compito di risvegliare i giovani all’uso critico dei media mediante “media education” ha fatto dei progressi. Alcuni salesiani impegnati nel ministero rurale usano “folk media” per coscientizzare la gente oppressa nei villaggi lontani a lottare per la loro dignità e i loro diritti. Anche qui, è degno di nota il film
Mathia, realizzato a buon mercato nella lingua Kokborok, che vinse un premio internazionale per il suo valore sociale.

Corsi universitari di laurea nei media di comunicazione sono stati avviati nel “St. Anthony’s College” a Shillong (Ispettoria di Guwahati) e nel “Don Bosco College” ad Angadikadavu (Ispettoria di Bangalore) per offrire una gamma di training professionale nei media e nella tecnologia informatica. Il contributo dei salesiani alla comunicazione sociale nella Chiesa e nella società è stato riconosciuto dal fatto che due salesiani sono stati eletti presidenti di SIGNIS-INDIA e di ICPA (Associazione della Stampa Cattolica in India).

La svolta decisiva nel campo della comunicazione è avvenuta nel marzo 1993, quando la Conferenza ispettoriale salesiana dell’India costituì BOSCOM-INDIA, un organismo esecutivo nazionale per coordinare le iniziative di comunicazione delle Ispettorie. Le più significative tra queste sono stati due sussidi completati in vista del nuovo millennio: un piano di formazione dei salesiani nella comunicazione sociale, intitolato
Shepherds for an Information Age (“Pastori per un epoca informatica”) e Don Bosco Multimedia India, il primo catalogo completo di tutti i centri di produzione dell’India.

Per quanto incoraggiante sembri questo progresso nella comunicazione sociale, le iniziative salesiane nell’Asia Sud sono solo una goccia nel vasto oceano che è il complesso mediatico.
[20] La sfida è di fare del “Da mihi animas” la base di ogni progetto comunicativo ai livelli ispettoriale e regionale, di cercare di essere attuali ed efficienti nel contesto locale e, allo stesso tempo, di essere aperti alla condivisione e sinergia dentro la Regione più ampia dell’Asia Sud e perfino con il resto del mondo salesiano. Tutto ciò richiederà dai salesiani una collaborazione stretta con gli esperti laici delle diverse culture e degli sfondi religiosi della realtà sud asiatica.

4.5 
L’attività missionaria

I salesiani indiani hanno seguito le scelte operate dai primi missionari che portarono il carisma salesiano all’India. In forza della strategia di reclutamento vocazionale dei primi missionari (specialmente di Don Carreño), molti giovani da diverse parti del paese entrarono tra i salesiani, e portarono avanti la missione dal punto in cui i missionari l’avevano lasciata. L’azione del governo che fermò l’afflusso di missionari dall’estero non poté perciò diminuire la spinta e le attività missionarie dei tempi precedenti. I confratelli indiani mantennero il passo con uguale zelo e coraggio.

I superiori (ecclesiastici e salesiani) li trovarono ben formati e pronti ad assumere responsabilità di animazione e di leadership ai livelli diocesani, ispettoriali e locali. Oggi, tutti i 10 arcivescovi e vescovi e i 12 superiori delle circoscrizioni giuridiche salesiane sono di origine indigena; così pure praticamente tutti i superiori locali.

Proprio come i primi missionari avevano incoraggiato e promosso le vocazioni indiane, i confratelli indiani stessi curarono le vocazioni locali. Così, anche quegli stati che non avevano tante vocazioni locali nella prima metà del secolo, come il Karnataka nel sud e gli stati dell’India centrale e nord-est, ora raccolgono una messe abbondante di vocazioni, specialmente dai gruppi tribali e adivasi. Alcune delle Ispettorie del nord e del nord-est non dipendono più dagli stati del sud per le vocazioni, come avveniva una volta.

La storia dell’evangelizzazione progredisce in modo continuo e sicuro, senza publicizzazione, per paura di malintesi e ostacoli da parte dei fondamentalisti. Contro la critica che viene avanzata, che le missioni salesiane abbiano distrutto le ricche culture tribali della zona, non lasciandone alcuna traccia, abbiamo il magnifico
Centro Don Bosco per le Culture Indigene a Shillong, dove, in 13 sale d’esposizione, sono preservati e messi in mostra i vari manufatti e prodotti tradizionali di tutte le tribù del nord-est. Con una biblioteca specializzata di circa 10.000 volumi, il centro offre facilità per la ricerca, per seminari e convegni sulle culture tribali del nord-est e sullo sviluppo culturale della gente.

Un altro aspetto molto consolante dell’attività missionaria della Regione è che, dopo aver ricevuto dei missionari dall’estero per circa sei decenni, ora sta pagando il debito che ha nei confronti della Chiesa e della Congregazione. Dal 1980 la Regione sta mandando missionari in altre parti del mondo per piantare il vangelo e per disseminare il carisma di Don Bosco. Quando Don Egidio Viganò lanciò il “Progetto Africa” 25 anni fa, la Regione diede una risposta molto positiva al suo appello. La circoscrizione dell’Africa Est, prima come Delegazione e poi come Ispettoria, ha avuto sempre a capo salesiani dell’India, e oggi 65 salesiani indiani lavorano là come missionari; alcuni sono tornati in India per un motivo o l’altro, uno è stato ucciso e un altro è morto nell’Africa Est. Ci sono poi 16 salesiani indiani che lavorano in altre Ispettorie dell’Africa, 16 nella Regione dell’Asia Est, 4 nella Regione dell’Italia - Medio Oriente e nei paesi europei e 3 nell’America del sud. Così, il numero totale dei missionari della Regione che lavorano all’estero è di 107
[21] , inclusi i 24 che sono stati offerti a me come un dono del Centenario.

Una menzione particolare merita
la missione di Arunachal, che è qualcosa di molto speciale nell’attività missionaria della Regione. Arunachal Pradesh è uno degli stati indiani, nell’estremità nord-est dell’India, confinante con la Cina. La sua popolazione è completamente tribale; questi tribali hanno vissuto per secoli in virtuale ignoranza, superstizione, assoluta povertà, oblio e isolamento, oppressi da consuetudini sociali malsane, tagliati fuori dal resto del mondo. I salesiani del nord-est sono stati i pionieri nel portare la fede cristiana e l’educazione a questa bellissima terra e al suo popolo.

Il governo indiano aveva promulgato una legge proibendo ai missionari di entrare in Arunachal Pradesh, per il motivo pretestuoso di preservare incontaminata la cultura delle tribù. L’educazione e l’evangelizzazione nell’Arunachal iniziò nel 1978, quando un certo signor Wanglat Lowangcha, giovane capo di una delle tribù, venne a Shillong in cerca di una scuola per mandarvi i suoi giovani. Lì incontrò Don Tommaso Menamparampil (l’attuale arcivescovo di Guwahati), che ricevette i giovani molto cordialmente; l’amicizia che si instaurò aprì la strada per una visita di Don Tommaso in Arunachal entro qualche mese. Quella visita poteva concludersi tragicamente perché la jeep in cui viaggiava si scontrò con la jeep di un convoglio militare. Don Tommaso fu ferito, e mentre si ristabiliva nella casa di Wanglat, il capo della tribù gli chiese di battezzarlo insieme alla sua famiglia. Quella tragica notte si cambiò nell’alba di un’epoca gloriosa per il popolo di Arunachal.

Il racconto dell’incontro e del battesimo clandestino del capo-tribù si diffuse rapidamente nell’Ispettoria di Guwahati (attualmente Dimapur e Guwahati) e i salesiani aprirono le porte delle loro scuole alla gioventù tribale di Arunachal. Quando gli studenti ritornavano a casa per le vacanze, la gente fu sorpresa nel vederli educati e ben istruiti. Ciò portò molti a mandare un maggior numero dei loro ragazzi alle scuole cattoliche; e finalmente essi stessi abbracciarono il cattolicesimo e ricevettero il battesimo. Wanglat divenne un apostolo della sua gente. Un anno dopo il suo battesimo egli preparò 600 persone del suo villaggio per il battesimo. Il governo non permise al vescovo salesiano, Mons. Robert Kerketta, e ad altri di entrare nel territorio. Ma la gente tenne duro e costrinse le autorità a permettere l’entrata dei missionari nel proprio territorio.

Più e più giovani vennero a studiare nelle nostre scuole, e ritornarono come apostoli ed evangelizzatori della propria gente. Il processo è continuato finché finalmente oggi, dopo un quarto di un secolo, la Chiesa nell’Arunachal Pradesh è ben stabilita, con due diocesi, a capo di una delle quali c’è un vescovo salesiano. L’educazione è stata un mezzo potente per portare questo popolo alla luce!

Le parrocchie

La maggior parte del lavoro missionario fatto dai salesiani della Regione durante l’ultimo secolo è stato realizzato attraverso le parrocchie. Ad esse si aggiungevano le stazioni missionarie, alcune delle quali, nei primi tempi, distavano tanto che per raggiungerle occorreva un viaggio di molti giorni a piedi. In alcune zone missionarie dell’Assam il missionario impiegava un intero anno per visitare tutti i villaggi e i posti di missione. Nel centro parrocchiale c’erano generalmente la scuola e l’internato, uno per i ragazzi, diretto dai salesiani, e un altro per le ragazze, diretto dalle suore. Così, attraverso la parrocchia e la scuola, l’opera di evangelizzazione e l’educazione del popolo e dei giovani ricevettero una certa sistematicità e consistenza.

Gradualmente, le stazioni missionarie si svilupparono divenendo parrocchie mature, con una varietà di servizi, e più tardi, man mano che il numero dei fedeli aumentava, le parrocchie furono unite costituendo una diocesi. Oggi abbiamo un numero totale di 207 parrocchie e centri missionari, che provvedono ai bisogni spirituali di 705.530 fedeli.

Il programma di sviluppo sociale, parte integrante dell’attività missionaria

Nella situazione plurireligiosa dell’India, l’evangelizzazione diretta e il lavoro missionario non sono sempre possibili. E allora, i programmi di sviluppo sociale sono in alcune zone l’unico metodo possibile di evangelizzazione.

Un’altra ragione della grande importanza data ai programmi di sviluppo sociale nella Regione è il fatto che la stragrande maggioranza della popolazione dell’India vive ancora in condizioni di sottosviluppo. L’educazione, l’inizio del vero sviluppo, spesso manca, specialmente nelle zone rurali. Per di più, ci sono problemi sociali urgenti, che il missionario deve affrontare, se vuol assicurare che il suo lavoro evangelizzatore sia efficace e significativo per la gente – problemi come la povertà economica, la disuguale distribuzione dei beni, l’oppressione dei poveri da parte dei ricchi e dei potenti, ecc.

I salesiani della Regione affrontano questi problemi con vera competenza e visione evangelica, e sono decisi a difendere gli oppressi, i calpestati e gli sfruttati, gli ignoranti e gli illetterati. In ogni Ispettoria della Regione molti salesiani e un team di personale qualificato conducono programmi e stanziano fondi e forze di lavoro per raggiungere questi scopi. Pienamente appoggiati dalle Ispettorie, contano su uffici di sviluppo ben equipaggiati e provvisti di personale, sia salesiano che laico; i progetti vengono finanziati da fondi locali e, in larga misura, dal Rettor Maggiore e dalle agenzie estere che raccolgono fondi per le popolazioni bisognose.

Nella Regione vi sono almeno 138 opere di sviluppo sociale e i loro beneficiari ammontano a circa 80.000 persone di varie categorie e di diversi bisogni. Tra le più significative di queste iniziative per l’elevazione sociale dei più poveri sono: la rete di
Bosco Reach Out nel nord-est, il Bosco Gramin Vikas Kendra nel distretto di Ahmednagar nell’Ispettoria di Mumbai, il Peoples’ Action for Rural Awakening (“Azione del popolo per il risveglio rurale”) nell’Andhra Pradesh, il Peoples’ Movement (“Movimento popolare”) nelle colline di Jawadhi nell’Ispettoria di Chennai, e il Fishermen Community Development Programme (“Programma di sviluppo per la comunità dei pescatori”) a Kollam nell’Ispettoria di Bangalore. Non si può tralasciare di far menzione della straordinaria opera di soccorso prestata dai salesiani dello Sri Lanka e delle zone litorali delle Ispettorie di Chennai e Tiruchy nel periodo dopo lo tsunami del dicembre 2004, e il lavoro paziente per riabilitare i pescatori e gli orfani dislocati dalla disastrosa onda di maremoto. 

5.  La santità dei primi missionari

Una vera impiantazione del carisma comporta pure frutti di santità. Qui vorrei ricordare due missionari, che presero sul serio la loro vocazione ad essere missionari, e la loro chiamata alla santità. I loro nomi sono tra i Servi di Dio della nostra Società.

L’Arcivescovo Stefano Ferrando (1895-1978)

Stefano Ferrando nacque il 28 settembre 1895 in una famiglia molto religiosa di Rossiglione, nella provincia di Genova. Più tardi egli dirà: «dalla mia famiglia ho ricevuto un’eredità ricca di un grande amore per Dio e per la Madonna, uno spirito di sacrificio e una natura allegra».
[22]

Subito dopo la sua prima professione nel 1912, quando gli fu chiesto dai superiori quale fosse la sua opzione per il futuro apostolato, egli scelse senza esitazione di essere missionario. Dopo aver fatto il servizio militare durante la guerra, nel corso del quale ricevette attestati e medaglie per il suo valore e il suo coraggio, fu ordinato sacerdote nel 1923. Il suo sogno missionario si compì quando gli fu consentito di partire per l’India, insieme ad un chierico e otto giovani novizi. Giunse a Shillong il 22 dicembre di quell’anno.

Arrivato nella terra del suo sogno missionario, il suo zelo apostolico non ebbe limite. All’inizio fu “socio”, poi maestro dei novizi e direttore della casa di formazione. Durante questo tempo doveva anche sostituire il Prefetto Apostolico, Mons. Mathias, nella sua assenza. Anche quando adempiva queste responsabilità, era un missionario nel profondo del cuore e non perdette mai l’occasione di visitare i villaggi e predicare il Vangelo.

Nel 1934 fu consacrato vescovo di Krishnagar e l’anno dopo, 1935, trasferito a Shillong. Il suo motto episcopale fu: “
Apostolo di Cristo”. Come un apostolo di Cristo, egli visitò le zone missionarie ed i villaggi a piedi, quanto la sua salute permetteva. Soleva dire ai sacerdoti: «Non potete girare nelle macchine per convertire le anime; per avvicinarvi al popolo e risolvere i loro problemi, dovete andare a piedi», [23] e quindi, anche come vescovo, camminava per miglia e miglia in cerca di anime. Seguendo l’esempio dell’Apostolo delle genti, egli si fece tutto a tutti, imparando le lingue della sua gente, i loro costumi e usanze per comprendere il loro ethos e predicare loro Cristo più efficacemente.

Mons. Ferrando fu vescovo di Shillong per 35 lunghi anni, nel corso dei quali sviluppò bene la diocesi. Spesso pregava: “Signore, come pastore del gregge, io offro la mia vita come sacrificio per il bene delle pecore, la salvezza delle anime affidate alla mia cura”. Il Signore veramente ascoltò la sua preghiera e benedisse la sua diocesi di Shillong, che si è moltiplicata, al punto che oggi nel nord-est dell’India ci sono 3 arcidiocesi e 10 diocesi.

Con lo stesso zelo apostolico, egli si prese cura delle vocazioni locali e fondò la congregazione religiosa delle “Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice”, di cui abbiamo parlato sopra. Era conosciuto ed apprezzato per la sua semplicità, la sua giovialità e, soprattutto, la sua santità. Morì nel 1978 e fu inizialmente sepolto nella tomba della sua famiglia a Rossiglione. Più tardi, aderendo al suo desiderio di avere le sue ossa sepolte nel suolo delle colline khasi, le sue spoglie sono state trasferite nella cappella del convento della Casa Generalizia delle Suore. Nel 1998 è stata introdotta la causa della sua beatificazione e canonizzazione.

Don Francesco Convertini (1898-1976)

Francesco Convertini nacque nel 1898 a Papariello, un villaggio nella Murgia in provincia di Brindisi in Italia. Perse il padre quando aveva neppur due mesi di età, e sua madre, dopo essersi risposata, morì quando Francesco aveva 11 anni. Fu allora il patrigno a prendersi cura dell’orfano. Ancor ragazzo, lavorò prestando servizio, con un modesto salario, in due famiglie contadine, che erano gentili verso di lui. Imparò a leggere e scrivere, s’innamorò anche di una ragazza, dicendole di esser disposto a sposarla. Dopo il servizio militare prestato durante la guerra, insoddisfatto del lavoro di contadino, trovò lavoro come funzionario a Torino.

A Torino avvenne la svolta decisiva nella sua vita. Entrando nella Basilica di Maria Ausiliatrice per fare la sua confessione, Francesco incontrò Don Amadei, il quale gli chiese senza mezzi termini: «Vorresti diventare missionario?». Per qualche tempo egli si dimenticò dell’incidente, ma più tardi incontrò di nuovo Don Amadei, e alla fine decise di diventare un missionario. Si fece animo e spiegò le cose alla sua ragazza.

Entrò nell’Aspirantato Missionario “Mons. Cagliero” di Ivrea, dove dovette studiare insieme a compagni che erano undici anni più giovani di lui. Non era molto intelligente, ma il desiderio di essere missionario lo spronò. Uno dei suoi insegnanti disse: “Francesco imparò più sulle ginocchia che seduto nell’aula di studio,”
[24] tale era il suo amore per Gesù Eucaristico, alla cui presenza passava lunghe ore in preghiera.

Nel 1927 ricevette l’abito clericale dal Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi, il quale lo aveva già assegnato alle missioni dell’Assam. Una volta arrivato nell’Assam, fece il suo noviziato e gli studi per il sacerdozio, e fu ordinato prete nel 1935. Durante i suoi anni di formazione, aveva imparato un’infarinatura di khasi, la lingua parlata a Shillong. Dopo l’ordinazione fu mandato a Krishnagar e, povero come era nelle lingue, dovette imparare una nuova lingua, il Bengalese. In verità, non imparò mai il Bengalese sufficientemente per poter conversare facilmente, ancor meno per tenere omelie domenicali eloquenti. Ma la gente lo amò per la sua semplicità e si attaccò a lui molto facilmente. Apprezzavano le sue prediche, date in un Bengalese un po’ sconnesso, perché vedevano la convinzione con cui parlava. Compresero che il predicatore era un esempio vivo del messaggio che comunicava.

Don Convertini guadagnò anime per Cristo mediante la preghiera, la predicazione e il sacrificio. Facendosi uno con il popolo indiano, egli esultò quando l’India ottenne l’indipendenza nel 1947, e pianse con loro la morte del Mahatma Gandhi; pur essendo italiano di nascita, era indiano nel cuore: chiese ed ottenne la cittadinanza indiana. Il vescovo e i sacerdoti, le suore e i laici, tutti lo volevano come confessore, perché trovavano in lui la personificazione della misericordia di Dio. La sua povertà era proverbiale: nato povero, povero per vocazione e per scelta, egli rimase povero come la sua gente, e spesso andava a piedi nudi.

Era un amico per tutti, i grandi e i piccoli, i ricchi e i poveri. Venendo in contatto con la semplicità di Don Convertini, alcune persone importanti del Bengala si convertirono al cattolicesimo; altri rimanevano impressionati e lo chiamavano “un profeta e un santo”; altri ancora erano “affascinati dal modo con cui faceva il segno della croce”, mentre vi erano quelli che dichiaravano che “la presenza stessa di questo santo sacerdote era un’ispirazione”.
[25]  

Consumato dal lavoro e tormentato da parecchi acciacchi, morì l’11 febbraio 1976. Tutti coloro che conoscevano Don Convertini potevano confermare che egli fu una testimonianza vivente del Vangelo che predicava. La causa della sua beatificazione è stata ufficialmente introdotta nel 1997.

6.  Le grandi sfide della Regione

La Regione dell’Asia Sud, pullulante di milioni di giovani, che si sforzano di costruire un futuro migliore per se stessi e, allo stesso tempo, sono dotati di ricche risorse umane, di talenti, creatività ed energia, è un vasto campo, ancora molto promettente, per la missione salesiana.

I primi cento anni della presenza e attività salesiana nella Regione hanno visto un’esuberante fioritura di iniziative e di opere, che si accordano bene con i diversi e pressanti bisogni dei giovani e dei poveri. Il futuro lancia una seria sfida ed è molto incoraggiante, a condizione però che i salesiani siano fedeli al proprio carisma salesiano e ai destinatari della loro missione: se evangelizzare è la sfida principale, prioritario sarà vivere il vangelo, a livello personale e comunitario.

6.1
  Dare Dio ai giovani, priorità assoluta

Il clima culturale della Regione respira Dio. L’anima dell’India, dello Sri Lanka e di Myammar è profondamente religiosa. Anche quando sembra schiacciata sotto la povertà opprimente, le divisioni rigide delle caste e una miriade di altre contraddizioni sociali, la sua ricerca millenaria di Dio è instancabile e profonda. Se in diverse forme soffre per la fame di beni essenziali per la vita delle persone, essa ha fame ancora più intensamente di un’esperienza di Dio. E quando appare sulla scena una persona autenticamente religiosa, essa tocca l’anima del popolo immediatamente. Pensate all’impatto profondo che ha avuto un Mahatma Gandhi o una Madre Teresa sul popolo del subcontinente indiano.

Perciò, l’offerta più efficace che i salesiani della Regione possono dare ai poveri e ai giovani è di dare loro Dio, rivelando ad essi il suo vero nome e il suo volto nella persona di Gesù Cristo, mediante la testimonianza della propria vita personale e comunitaria. Ecco allora la necessità di dare il primato assoluto a Dio, e di tener viva la passione per Dio e per i giovani. «Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero» (
Cost. 34).

Ciò comporta che ogni attività deve mirare con chiarezza all’evangelizzazione e all’educazione alla fede dei giovani. È questione di essere chiari riguardo a chi noi siamo, da che parte stiamo, e cosa vogliamo fare per i giovani. Le nostre Costituzioni lo esprimono con molta franchezza: «Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché, scoprendo in lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come uomini nuovi» (
Cost. 34).

6.2 
Vivere appassionati per la “missio ad gentes”

Missione non vuol dire semplicemente attività, iniziative, opere, strutture. È prima di tutto una passione per la salvezza dei giovani, una passione che ha la sua fonte «nel cuore stesso di Cristo, apostolo del Padre» (
Cost. 11). È la passione che riecheggiava nel cuore di Don Bosco, il motore segreto nel profondo del suo essere, che infondeva energia e dava vitalità a tutto ciò che faceva o diceva. Don Bosco viveva e respirava il Da mihi animas con ogni fibra della sua esistenza. Questo motto sintetizzò in modo meraviglioso l’essenza della sua spiritualità. Quella stessa passione per la salvezza dei giovani s’impossessò dei primi missionari, e li spinse avanti per fare le cose incredibili che spiegano la crescita meravigliosa e la varietà della presenza salesiana nella Regione.

Naturalmente, in un contesto multireligioso, questo processo è delicato e carico di difficoltà, specialmente in alcune situazioni e zone, dove potrebbe essere facilmente frainteso e considerato come proselitismo. Ma ciò non dovrebbe trattenerci, perché è diritto inalienabile di ogni persona di conoscere Dio e suo Figlio, Gesù Cristo, pur nel rispetto completo della sua libertà. Né può questo processo essere semplicemente improvvisato. In un contesto multireligioso come quello dell’Asia Sud, l’evangelizzazione e l’educazione alla fede devono essere progettate con cura, perseguite con diligenza ed eseguite con fermezza, con obiettivi, strategie e linee d’azione appropriate per ciascuna situazione e per ciascun contesto. In quest’area – bisogna ammetterlo, cari confratelli – c’è ancora molto lavoro da fare, e si richiede capacità d’immaginazione e creatività.

Tutto ciò implica che lo zelo missionario, espressione concreta della passione apostolica del
Da mihi animas, debba continuare senza sosta. Lungi dal permettere che possa diminuire o raffreddarsi con il passar del tempo, esso deve piuttosto intensificarsi e crescere sempre più. Non possiamo arrivare ad essere semplicemente compiaciuti del passato glorioso. Cristo rimane ancora da proclamare, il Vangelo da predicare e la Chiesa e il carisma salesiano devono radicarsi in molte più aree e in molti più giovani che aspettano la Buona Novella. L’amore di Cristo ci spinge (2 Cor 5,14) a disseminare il Vangelo.

La Regione ha ricevuto molto negli ultimi cent’anni attraverso missionari intrepidi, di grande calibro umano ed indiscussa santità. Ora dovrà fare per la missione salesiana nel mondo ciò che i missionari italiani ed europei hanno fatto nei primi cent’anni della vita della Congregazione, cioè riempire il mondo con giovani missionari, ardenti e coraggiosi, che sentano la
missio ad gentes come compito apostolico ineludibile. L’Asia Sud deve, dunque, alzare gli occhi, aprire il cuore, allargare gli orizzonti e inviare personale ad ulteriori campi di missione nella Regione stessa e in tutto il mondo. Le missioni salesiane del mondo intero hanno bisogno di questo, oggi più che mai! Mi procura profonda emozione il trovare missionari di questa Regione già in varie parti del mondo, particolarmente nell’Africa, dove stanno scrivendo pagine d’oro di gesta missionarie. Ma sinceramente credo, e lo chiedo con urgenza, che si possa fare di più. L’Asia Sud può e deve restare missionaria! Questa è la sua ora, perché è forte nello spirito, ricca di entusiasmo apostolico e benedetta con tante giovani vocazioni. A nome della Congregazione e dei giovani del mondo vi prego: “vi aspettiamo, venite tra noi, non ci potete fuggire!”.

6.3   
Irrobustire la vita comune

Il carisma salesiano genera una vita fraterna apostolica che Don Bosco sintetizzava in tre elementi: vivere e lavorare
in unum locum, in unum spiritum, in unum agendi finem (CGS, 498). Le nostre Costituzioni hanno raccolto questa ispirazione con un indicativo imperativo: «Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare la nostra vocazione» (Cost. 49). Oggi c’è un sentito bisogno di aiutare le comunità salesiane a realizzare ed approfondire questo stile comune di vita e presenza tra i giovani, che superi l’individualismo, l’attivismo, la settorializzazione.

La consistenza, numerica e qualitativa, delle comunità è un compito da non trascurare; garantisce, infatti, la presenza educativa tra i giovani e l’efficacia evangelizzatrice della missione apostolica. Questo esige dal governo a livello ispettoriale di arrivare ad un equilibrio mirato tra espansione e consolidamento delle opere; i salesiani non possono – né debbono – sentirsi responsabili di dare risposta a tutte le necessità dei giovani più poveri, anche se urgenti; un ministero efficace non è da identificare con la molteplicità delle offerte, ma con la qualità del servizio dato. Proprio per questo, il numero di confratelli nelle singole comunità è da adeguare alla complessità della missione apostolica comune.

Nel contesto multietnico e pluriculturale, che caratterizza la Regione dell’Asia Sud, la presenza di comunità apostoliche che siano testimoni trasparenti di fraternità, di sincera accettazione e mutua stima favorisce l’impiantazione del vangelo e il risanamento della società. Costruire comunità fraterne è già evangelizzazione in atto, il modo più efficace di portare il vangelo oggi. Si dovrà dunque assicurare una forma di vita fraterna nelle comunità che eviti ogni genere di discriminazione; qualsiasi ineguaglianza, consentita o semplicemente sofferta, danneggerebbe la qualità della nostra testimonianza e metterebbe a rischio l’evangelizzazione.

È, dunque, da incoraggiarsi che nelle comunità, siano locali o ispettoriali, dove ci sia una marcata presenza di culture, etnie e caste diverse, si studino e si mettano in atto processi ed iniziative per aiutare i confratelli ad affrontare ed apprezzare le differenze e a superare possibili disagi o malintesi. Non sarebbe da escludere di trattare queste questioni a livello regionale per arrivare, tramite un miglior discernimento, a fare delle scelte condivise e comuni nella Regione.

6.4
  Curare l’identificazione carismatica dei confratelli

Dati i numeri in crescita, la formazione è indispensabile per mantenere ed approfondire l’identificazione carismatica; essa rimane un punto cruciale per assicurare che la crescita non sia solo nei numeri, ma soprattutto nella qualità. La formazione, sia iniziale che permanente, deve tener vivo lo spirito, lo zelo e la spinta missionaria che caratterizzano attualmente la Regione. Abbiamo bisogno di salesiani di qualità, salesiani di forte identità carismatica, salesiani infiammati di passione apostolica.

La formazione deve essere in primo luogo rivolta ad incendiare e tenere viva ed efficace la passione apostolica del
Da mihi animas nel suo duplice punto di riferimento: la passione per Dio e la passione per i giovani e i poveri. Senza questa fiamma nel cuore, siamo inutili, senz’anima, senza meta, sballottati da ogni capriccio e ghiribizzo, senza un’idea chiara di dove siamo diretti. Questa duplice passione è anzitutto un dono di Dio, dato in germe insieme alla vocazione salesiana. Ma questo dono iniziale è anche una responsabilità e un compito: quello di attizzare la fiamma, farla crescere, tenerla sempre accesa e luminosa. Questo è il compito principale della formazione iniziale e permanente: far sì che la passione apostolica del Da mihi animas diventi il centro, la sintesi, il punto focale della propria esistenza, il cuore della propria spiritualità.

Tale formazione, per essere attuale, deve essere profondamente inculturata, cioè radicata prima di tutto nel vangelo, vissuto secondo il carisma salesiano, e nondimeno nella cultura, nelle tradizioni e nell’ethos del popolo che siete chiamati a servire. Attraverso i salesiani dell’Asia Sud, Don Bosco deve avere una faccia indiana, birmana, nepalese, singalese. Il Vangelo e il carisma salesiano, piantati nel suolo fertile dell’Asia Sud, devono mettere radici, crescere e fiorire. Ciò significa imparare la lingua, assimilare la cultura, adottare le sane tradizioni della gente, specialmente dei giovani e dei poveri.

Allo stesso tempo, si dovrà essere consapevoli, e agire in conseguenza, che nessuna cultura, per quanto sia antica e nobile, è un assoluto. Come ogni impresa umana, essa ha le sue limitazioni e i suoi difetti, a volte anche seri. Ogni cultura ha bisogno di essere purificata e perfezionata dal Vangelo. Ogni cultura, per essere fedele a se stessa, deve aprirsi ad altre culture. Chiudendosi, essa ristagna, avvizzisce e muore. Invece, aprendosi e interagendo con altre culture si rinvigorisce e fiorisce.

Una formazione che dura tutta la vita, assunta come progetto personale e vissuta nella comunità, aiuta ad avere i piedi fermamente piantati nelle realtà socio-culturali della gente, in modo però da mantenere la mente aperta a tutto ciò che è vero e buono dovunque si trova, portando – come si dice oggi – a pensare globalmente ma agire localmente.

C’è molto ancora da fare! L’Asia Sud non può riposare sugli allori, per così dire, contemplando il passato glorioso. Le celebrazioni centenarie devono stimolare a spingere lo sguardo in avanti e far progredire la grande missione del Signore e il sogno di Don Bosco nella Regione.

Che il Signore, mediante l’assistenza materna di Maria e l’intercessione di Don Bosco, benedica questo nobile compito e lo faccia fiorire per la sua gloria e per la salvezza dei giovani! 

Cordialmente,

don Pascual Chávez Villanueva 



[1] Cfr. Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco (MB) XI, p. 408.
[2] Cfr. MB XII, p. 315.
[3] Cfr. MB XIII, p. 36.
[4] MB XVIII, p. 72-73.
[5] Cfr. Annuarium Statisticum Ecclesiae 2004, Secretaria Status, Rationarium Generale Ecclesiae, Libreria Editrice Vaticana, 2006, pp. 174, 205, 212, 221.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] Ibid.
[9] Ibid.
[10] Cfr.. Thekkedath, J. A History of the Salesians of Don Bosco in India, Vol. II, pp. 1368-1375.
[11] Ibid. pp. 1375-1379.
[12] Ibid. p. 1375.
[13] Ibid. pp. 1375-76.
[14] Leo XIII, Ad Extremas, n. 4, 24 giugno 1893.
[15] Cfr. Thekkedath, A History I, p. 29.
[16] Cfr. Thekkedath, A History I, p. 271.
[17] Cfr. Thekkedath, A History I, p. 720.
[18] Cfr. Thekkedath, A History I ,p. 65.
[19] Cfr.. Sebastian Karotemprel (ed.), The Catholic Church in Northeast India, 1890-1990, Shillong Vendrame Institute, 1993, p. 503.
[20] Le cifre in India sono incredibili: 55.780 giornali; una radio sotto il controllo del governo con 213 centri di trasmissione in 24 lingue e 146 dialetti; un’industria cinematografica che è la più grande nel mondo, con una media di produzione annuale di 880 film di lungometraggio e 1200 film di cortometraggio. 
[21] Uno di essi che lavora nell’America del sud, Don Giorgio Puthenpura, ha fondato una congregazione religiosa per donne, denominata “Suore della Risurrezione”. La loro fondazione ufficiale avvenne nel 1987 ed esse furono accettate nella Famiglia Salesiana nel 2004. Con il loro motto, “Cristo è risorto, risorgiamo con Lui anche noi”, esse predicano la Parola, inculturano il Vangelo e insegnano la fede ai poveri mediante la catechesi.
[22] J. Puthenkalam & A. Mampra, Sanctity in the Salesian Family, p. 529.
[23] Ibid., p. 533.
[24] Ibid., p. 551.
[25] Ibid. 558-559.