401-450|it|414 Maria Immacolata Ausiliatrice: Madre e Maestra di Don Bosco


1. LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE

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«Ecco la tua madre» (Gv 19,27)

MARIA IMMACOLATA AUSILIATRICE

Madre e maestra di Don Bosco



1. Maria Immacolata Ausiliatrice, nella vita di San Giovanni Bosco. - 1.1 L’intervento materno di Maria nella vita di Don Bosco. - 1.2 L’accoglienza di Maria da parte di Don Bosco. - Immacolata - Ausiliatrice. 2. Maria Immacolata Ausiliatrice, nella Congregazione Salesiana, oggi. - 2.1 “Maria è presente tra noi” (Cost 8). - 2.2 “Contempliamo e imitiamo… (Cost 92). – 2.3 “Recitiamo quotidianamente il rosario”(Cost. 92). 3. Maria, modello di fede, di speranza e di amore. – 3.1 «Beata tu, che hai creduto» (Lc 1,45). – 3.2 “Colei che ha creduto, aiuta e infonde speranza” (Cost 34). – 3.3 Maria,“modello di carità pastorale (Cost 92). 4. “Lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco” (Cost 1). 5. Conclusione.



Roma, 15 Agosto 2012

Solennità dell’Assunzione di Maria



Carissimi confratelli,


vi saluto con un affetto ancor più grande, espressione della riconoscenza per la vostra vicinanza filiale, la stima che nutrite per il successore di Don Bosco e la vostra instancabile preghiera in questo tempo di prova e sofferenza.

Vi posso dire che ho imparato a consegnarmi totalmente al Signore, affinché Egli faccia in me quello che vuole. La grande scuola della malattia, soprattutto nei momenti più critici, è quella di aiutarci a riconoscere fragilità e limiti, e dunque a dare a Dio il controllo della nostra vita.

Durante questo tempo di malattia ho sentito stringersi attorno a me tutti voi, come anche i membri della Famiglia Salesiana, i collaboratori, gli amici, i giovani, e ho visto, commosso, come il Signore ascolta e accoglie le numerose suppliche per riversarle su di me in una grazia meravigliosa.

Poiché, se la vita è sempre un dono, l’infermità fa prendere coscienza di come ogni giorno ed ogni istante siano un dono suo particolare, per cui la si deve vivere con una immensa gratitudine e crescente responsabilità. A Lui la gloria e l’onore per sempre!

Vi scrivo, questa volta, nella Solennità dell’Assunzione di Maria, per condividere con voi qualche mia riflessione salesiana su Maria. Come Congregazione ci stiamo preparando, assieme a tutta la Famiglia Salesiana, a celebrare il Bicentenario della nascita del nostro Padre e Fondatore, San Giovanni Bosco. Durante questo primo anno abbiamo voluto vivere la dimensione storica della sua vita e della sua opera. In questa prospettiva, e soprattutto in vista dell'approfondimento della sua pedagogia e spiritualità, voglio invitarvi a contemplare la figura di Maria Immacolata Ausiliatrice, in tutto e sempre Madre e Maestra di Don Bosco, per cui ha potuto dire, verso la fine della sua vita: “Di tutto noi siamo debitori a Maria ”.1

In questo modo intendo proseguire sulla linea tracciata dai miei Predecessori, specialmente gli ultimi Rettori Maggiori; e così pure approfondire quanto ci presentano le nostre Costituzioni riguardo alla Santissima Vergine Maria.

Mi pare molto significativo il fatto che la prima Lettera scritta dal caro don Egidio Viganò come Rettor Maggiore, l’abbia dedicata a contemplare Maria Immacolata Ausiliatrice, col titolo: “Maria rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco”.

Richiamandosi al testo evangelico di Gv 19,26-27, commentava: «Ho pensato istintivamente alla nostra Congregazione e a tutta la Famiglia Salesiana che dovrebbe, oggi, riapprofondire il realismo della maternità spirituale di Maria e rivivere l'atteggiamento e il proposito di quel discepolo. E dicevo tra di me: sì, dobbiamo ripeterci mutuamente come programma per il nostro rinnovamento l’affermazione dell'evangelista: “Prendiamo la Madonna in casa”!».2



  1. Maria Immacolata Ausiliatrice, nella vita di san Giovanni Bosco



Parlare della presenza di Maria nella storia del nostro Padre significa, in pratica, considerare tutta la sua vita; il che sarebbe impossibile in poche linee. Una sintesi stupenda ci è offerta dalle nostre Costituzioni, là dove, all’articolo 8, troviamo tre verbi centrali che inquadrano la presenza materna di Maria nella vita del Fondatore: ha indicato a Don Bosco il suo campo di azione tra i giovani e l'ha costantemente guidato e sostenuto, specialmente nella fondazione della nostra Società. Del resto, proprio all'inizio delle Costituzioni, troviamo questa stessa convinzione: “lo Spirito Santo suscitò, con l'intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco” (Cost 1).



    1. L’intervento materno di Maria nella vita di Don Bosco


Ci viene detto, prima di tutto, che Maria “ha indicato a Don Bosco il suo campo di azione tra i giovani”- Ciò costituisce indubbiamente una rievocazione del sogno dei 9 anni che, certamente, tutti abbiamo avuto occasione di meditare, in particolare quest’anno, avendo tra le mani le Memorie dell'Oratorio, il testo che costituisce il “quaderno di rotta” di questa prima tappa di preparazione al Bicentenario.

Uno degli aspetti che più mi impressiona in questo “racconto di fondazione” è lo stretto vincolo che unisce il Signore Gesù con sua Madre, Maria. Quando Giovannino fa una doppia domanda, la prima relativa all'identità del misterioso Personaggio e la seconda al nome che lo identifica (impossibile non evocare il testo biblico di Es 3,13), in entrambi i casi il rimando è a Maria:

  • Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?

  • Io sono il Figlio di Colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar tre volte al giorno.

  • Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.

  • Il mio nome dimandalo a mia Madre.

È questa “Donna di maestoso aspetto, vestita di un manto che risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella”, Colei che spiega la visione e indica la missione che Dio gli affida: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli miei».

Quest’ultima espressione è quanto mai significativa: ricevendo il mandato per mezzo di Maria, Giovannino la identifica come Madre dei giovani più poveri, abbandonati e in pericolo; quelli che, alla fine del sogno, si trasformano da animali selvatici in mansueti agnelli, “che tutti saltellando correvano attorno belando come per far festa a quell’uomo e a quella signora”.3

Non solo riceve l’“indicazione del campo di azione e dello scopo per cui lavorare” ma anche del modo, ossia quell’ amorevolezza” che, declinata con ragione e religione, darà vita al metodo che, più avanti, Don Bosco chiamerà “preventivo”: «Non colle percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti dunque immediatamente a fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù».4 “Guidato da Maria che gli fu Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo oratorio un'esperienza spirituale ed educativa che chiamò 'Sistema Preventivo'” (Cost 20).

In questa stessa prospettiva, anche se vent'anni dopo (1844), troviamo un sogno simile. Si presenta nuovamente Maria, sotto forma di una bella Pastorella che, mentre indica il campo della missione, suggerisce anche al giovane sacerdote il metodo per realizzare, in compagnia di altri collaboratori, questa missione.

«Allora mi accorsi che quattro quinti di quegli animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi divenne grandissimo. In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorelli per custodirli. Ma essi fermavansi poco e tosto partivano. Allora succedette una meraviglia. Molti agnelli cangiavansi in pastorelli, che crescendo prendevano cura degli altri. Crescendo i pastorelli in gran numero, si divisero e andavano altrove per raccogliere altri strani animali e guidarli in altri ovili».5

Vorrei sottolineare, in questo testo, ciò che costituisce il “metodo tipicamente salesiano” di promozione vocazionale, senza per questo negare la validità di altre proposte e diversi percorsi; ma, per noi, l’indicazione proviene dalla stessa Madre di Dio: “convertire alcune delle pecorelle in pastori”.

Basta ricordare quel che segnalavo in una mia precedente lettera, in occasione del 150° della fondazione della Congregazione: quasi tutti i giovani riuniti attorno al Fondatore rispondevano a quel “profilo” che Maria aveva indicato a Don Bosco 15 anni prima. «È una certezza: la Congregazione Salesiana è stata fondata e si è dilatata coinvolgendo giovani, che si lasciarono convincere dalla passione apostolica di Don Bosco e dal suo sogno di vita. Dobbiamo narrare ai giovani la storia degli inizi della Congregazione, della quale i giovani furono 'confondatori'».6 Ciò spiega la tenacia (che a taluni pareva testardaggine) con cui Don Bosco applicava tale metodo, inusuale a quei tempi, quello cioè di attingere i futuri collaboratori dai giovani stessi, formandoli con cura del tutto particolare.

Questo primo aspetto dell’intervento di Maria nella vita di Don Bosco continua ad essere normativo nella vita della nostra Congregazione, se vogliamo vivere in fedeltà a Dio ed alla nostra missione. Non siamo stati noi a scegliere il campo di azione e la meta da raggiungere: il senso più profondo della coscienza di missione è quello di essere “inviati” a collaborare con il Padrone della messe giovanile. Non si tratta semplicemente di “fare del bene”, poiché vi è tanto da lavorare per la salvezza del mondo! Don Bosco, soprattutto come giovane sacerdote, aveva un ampio ventaglio di possibilità apostoliche; ciò nonostante, fu consapevole di essere inviato per una missione specifica, tanto che giunse ad affermare che “non è buona ogni occupazione che ci distragga dalla cura della gioventù”.7

È un tratto tipicamente evangelico: quando gli apostoli vanno a cercare Gesù, che si trova da solo sul monte, vivendo al massimo la sua condizione filiale nella preghiera col Padre, gli dicono: «Tutti ti cercano!». Ed egli risponde loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,37-38). Il testo parallelo di Luca dice: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato» (Lc 4,43).

In intimo rapporto con l’azione mariana indicata dal primo verbo, troviamo nel testo costituzionale gli altri due: lo guidò e lo sostenne. Questa endiadi si può comprendere in rapporto alle due dimensioni fondamentali della persona: l’intelligenza e la volontà. Maria è la Madre e Maestra che illumina l’intelligenza di Giovannino, affinché possa comprendere progressivamente, e ogni volta a un livello più profondo (intus-legere), in che cosa consiste la sua missione («A suo tempo tutto comprenderai»), fino ad arrivare al momento commovente in cui, celebrando l'Eucaristia nella Basilica del Sacro Cuore a Roma, confesserà: “Ora capisco tutto”. D’altra parte, Maria lo sostenne durante tutta la sua vita, rinvigorendo la sua volontà affinché diventasse sempre più “forte e robusto”: altrimenti non avrebbe potuto sopportare il peso e la durezza di quella missione.



1.2L’ accoglienza di Maria da parte di Don Bosco


Oltre alla prospettiva che ci offre la riflessione su queste tre parole, possiamo meditare sulla presenza di Maria nella vita di Don Bosco considerando i titoli che egli ha voluto privilegiare, e che non sono certamente casuali: Immacolata - Ausiliatrice. Al riguardo, troviamo un piccolo “commento” nella nostra Regola di Vita: “Maria Immacolata e Ausiliatrice ci educa alla pienezza della donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio ai fratelli” (Cost 92). Nel testo 'ad experimentum' del 1972, si distinguevano questi due aspetti, collocandoli rispettivamente sotto l’uno o l’altro dei titoli. Il testo attuale invece li unifica, giacché il nostro amore a Dio è inseparabile dall’amore e dal servizio ai fratelli e sorelle, specialmente ai giovani a cui il Signore ci invia.


Immacolata


Come ho scritto in altra occasione, «sulla cupola del santuario di Maria Ausiliatrice si trova una bella statua dell’Immacolata. L’Immacolata all'esterno e l’Ausiliatrice all'interno. Sono i due titoli con cui Don Bosco ha voluto onorare la Madonna, perché tutti e due hanno a che vedere con il suo carisma e la sua missione: la salvezza dei giovani attraverso un'educazione integrale».8

È bene ricordare, sia pure brevemente, il significato e l’importanza che il titolo di “Immacolata” ha per Don Bosco. Sappiamo che il dogma fu proclamato durante la sua vita, l’8 dicembre 1854, ma è certo che il riferimento all’Immacolata era già presente nella pietà popolare, tant’è che si celebrava come festa. Fu proprio alcuni anni prima della solenne proclamazione del dogma che l’Immacolata diede origine all’Opera Salesiana. Ricordiamo, almeno in parte, il racconto di Don Bosco stesso: «Il giorno solenne all'Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre 1841) all’ora stabilita era in atto di vestirmi dei sacri paramentali per celebrare la santa messa. Il chierico di sacristia, Giuseppe Comotti, vedendo un giovanetto in un canto lo invita di venirmi a servire la messa. 'Non so, egli rispose tutto mortificato'».9 Subito dopo troviamo l'importante incontro tra Don Bosco e Bartolomeo Garelli, e l’ “Ave Maria” con cui “tutto ebbe inizio”.

Conviene ricordare, inoltre, come è stato vissuto, all’Oratorio, lo straordinario avvenimento della dichiarazione del dogma dell'Immacolata Concezione. «Aveva fervorosamente pregato, aveva celebrato messe per affrettare la grazia di questa definizione dogmatica, che da lungo tempo desiderava; e continuò a pregare e a ringraziare il Signore per aver così glorificata in terra la Regina degli Angeli e degli uomini. La festa dell'Immacolata divenne la sua prediletta, benché con grande solennità continuasse a celebrare quella di Maria Assunta in cielo».10

Don Egidio Viganò, nella Lettera di presentazione delle Costituzioni rinnovate, parlando del 8 dicembre, scriveva: «Questa ricorrenza mariana, significativa per ogni cuore salesiano, è una data molto cara a Don Bosco e da lui indicata come nascita ufficiale del nostro carisma nella Chiesa. Può risultare suggestivo ricordare alcuni fatti, legati ad essa: innanzi tutto l'incontro con Bartolomeo Garelli (1841) e l’Ave Maria di quel profetico catechismo; l’apertura dell'Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova; l'annuncio (nel 1859) della riunione che avrebbe dato inizio alla Congregazione; la consegna (nel 1878) della prima Regola stampata delle Figlie di Maria Ausiliatrice; l’inizio della presenza di confratelli vescovi in Congregazione (Mons. Cagliero); e, nel 1885, l’importante comunicazione della designazione di don Rua a vicario del Fondatore. In quello stesso 8 dicembre del 1885 il nostro Padre affermò che “di tutto noi siamo debitori a Maria” e che “tutte le nostre cose più grandi ebbero principio e compimento nel giorno dell'Immacolata”».11

Ma non è solo una coincidenza storica o dogmatica quella che sottolinea il rapporto tra il titolo di “Immacolata” e Don Bosco. Alla base troviamo un elemento fondamentale del “Sistema Preventivo” che, conviene ricordarlo ancora una volta, non è tanto una geniale intuizione pedagogica, quanto un «attingere alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita». Per questo «Don Bosco ce lo trasmette come modo di vivere e di lavorare (…) Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell'esercizio di una carità che sa farsi amare» (Cost 20). A mio parere, non risponderemo mai sufficientemente alla sfida che ci presenta questo modo di comprendere il “Sistema Preventivo”.

Se Dio “previene ogni creatura “ col suo Amore provvido, ciò si è realizzato in forma piena in Maria, la “piena di grazia”. “Grazia”, lo sappiamo bene, è anzitutto Dio stesso; ma questa espressione può anche sottolineare la pienezza della gratuità dell’Amore di Dio in Maria. Il testo della dichiarazione dogmatica del beato Pio IX lo dice espressamente. Si tratta, in fondo, di quanto afferma san Giovanni: «Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10). Questo lo possiamo applicare, prima di tutto ed in forma unica, anche a Maria. In questo senso, è bello poter contemplarla, Immacolata, come “il frutto più perfetto del sistema preveniente/preventivo di Dio”.

Evidentemente ciò non esclude la risposta umana: al contrario, la rende possibile ed anzi la “esige”, come ha sottolineato molto bene Papa Benedetto XVI: «L'Onnipotente attende il 'sì' delle sue creature come un giovane sposo quello della sua sposa (…) Sulla Croce è Dio stesso che mendica l’amore della sua creatura: Egli ha sete dell’amore di ognuno di noi».12 Questo lo possiamo applicare, in primissimo luogo, a Maria. A questo riguardo è interessante l’osservazione di un teologo specialista, Alois Muller: «Dal punto di vista storico, non si parlò dapprima, a dire il vero, della concezione immacolata di Maria, ma dell’assenza di peccato nella sua vita»13: questo significa che da sempre la Chiesa ha visto nella “piena di grazia”, non solo il dono gratuito di Dio, ma anche la risposta di amore, piena e totale, di Maria.


Ausiliatrice


Quanto al titolo di “Ausiliatrice” (che, conviene ricordare, appare nel Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, unito a quello di “Madre della Chiesa”), sappiamo l’importanza che aveva per Don Bosco. Nella Lettera già citata, scriveva don Egidio Viganò: «C’è poi una ragione dedotta da un aspetto caratteristico della devozione stessa all’Ausiliatrice: si tratta di una dimensione mariana che è, per natura, fatta appunto per i tempi difficili. Don Bosco stesso lo manifestava a don Cagliero con quella famosa affermazione: “La Madonna vuole che noi la onoriamo sotto il titolo di ‘Auxilium Christianorum’: i tempi corrono così tristi che abbiamo proprio bisogno che la Vergine Santissima ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana”».14

Proseguendo le sue considerazioni, don Viganò “attualizzava” le difficoltà dei tempi, molto diverse da quelle che dovette affrontare il nostro Padre; ma diverse, per molti aspetti, anche da quelle che s’impongono a noi oggi: i tempi cambiano a ritmo vertiginoso, ed altrettanto la cultura giovanile con cui dobbiamo, ogni giorno, confrontarci. Una cosa però occorre sottolineare: invocando Maria con questo titolo, non pretendiamo che ci aiuti e ci difenda ‘contro’ nessuno. Se crediamo nell’Incarnazione del Figlio di Dio come il principio che permette di affermare la sua unione con ogni uomo e ogni donna del mondo (cf. GS 22), qualunque sia la loro situazione, qualcosa di simile possiamo dire circa la Maternità universale di Maria.

Questo, però, non ci porta ad ignorare tante situazioni negative e tanti problemi inquietanti; per far fronte a ciò chiediamo il suo aiuto e la sua protezione, specialmente quando ci opponiamo al male, al peccato, alla “cultura di morte” così opposta alla vita di cui Maria, come donna e come madre, è simbolo trasparente e potente protettrice. Insieme alla gioia di poter constatare nelle diverse regioni del mondo la vitalità del nostro carisma e i suoi benefici effetti, affiora la tristezza nel considerare le devastazioni provocate da quelle potenze negative che, per mezzo di azioni, persone, strutture e istituzioni – espressioni tutte del “mysterium iniquitatis” – attentano alla felicità e compromettono la salvezza dei nostri giovani, specialmente di quelli meno protetti. È soprattutto a loro favore che chiediamo a Maria di essere Madre e Aiuto, “volto materno dell'Amore di Dio”.

Penso che possiamo approfondire questo titolo, cercando un’analogia con quello dell’Immacolata precedentemente considerato. Se la definizione dell'Immacolata Concezione riafferma, a livello dogmatico, tutto ciò che significa per Don Bosco il Sistema Preventivo, sarebbe esagerato scoprire, nel dogma dell'Assunzione di Maria, proclamato da Papa Pio XII nel 1950, uno stretto rapporto col titolo di “Ausiliatrice”? Conviene ricordare, come viene sottolineato dai testi liturgici, che l’Ascensione di Gesù non significa il suo “distacco” dal mondo o la noncuranza nei confronti della Chiesa e dell'umanità, ma al contrario:

“Non si è separato dalla nostra condizione umana,

ma ci ha preceduti nella dimora eterna,

per darci la serena fiducia che dove è lui,

capo e primogenito, saremo anche noi,

sue membra, uniti nella stessa gloria”.15

Non possiamo allora, in modo analogo, ritenere che l’Assunzione di Maria segni l’inizio della sua protezione e del suo aiuto materno a favore di tutti i cristiani, anzi, di tutti gli uomini e le donne del mondo? Questo modo di considerarla, oltre a collegare la nostra devozione a Maria attraverso i titoli di Immacolata-Ausiliatrice al Magistero della Chiesa, ci permette di comprendere perché, per Don Bosco, quella dell’Assunzione fosse una delle sue feste predilette, come indicava il testo delle 'Memorie dell'Oratorio' citato precedentemente, e questo non solo per la coincidenza (più simbolica che cronologicamente esatta) con la sua nascita, ma per il suo rapporto col titolo di “Ausiliatrice” ed il significato della sua devozione.



2.Maria Immacolata Ausiliatrice, nella Congregazione Salesiana, oggi


Indubbiamente l’intervento di Maria all’origine e nel primo sviluppo della nostra Congregazione continua, lungo la storia. Don Rua scriveva, nel 1903: «Non dubito punto che con l’aumentarsi fra i Salesiani della devozione a Maria Ausiliatrice, verrà pur crescendo la stima e l'affetto verso Don Bosco, non meno che l'impegno di conservarne lo spirito e d'imitarne le virtù».16

Credo che siamo tutti convinti di questo. Ma se ciò è vero, allora dobbiamo riconoscere che è necessaria la generosa risposta di fedeltà nella realizzazione della nostra missione. Possiamo chiederci: siamo anche noi disposti, oggi, a far sì che Maria Immacolata Ausiliatrice ci indichi il campo della nostra missione e continui a guidarci e sostenerci nel compimento di essa? In questo modo concretizzeremmo la risposta al suo invito: «Fate quello che Egli vi dirà» (Gv 2,5) e diventeremmo servi dei giovani per assicurare la gioia e la pienezza della vita in Dio.

È innegabile, ed ho potuto costatarlo con grande gioia, che dappertutto dove si trovano i Salesiani si promuove la devozione a Maria Ausiliatrice. In nessuna Ispettoria mancano chiese e santuari a Lei dedicati; e così pure, il popolo cristiano ci identifica con questo titolo mariano, come già ai tempi del nostro Padre la chiamavano “la Madonna di Don Bosco”. Non possiamo, però, accontentarci di quel che hanno fatto i confratelli che ci hanno preceduto, né possiamo limitarci a promuovere in forma puramente esterna la devozione mariana. In altri termini: la nostra opera evangelizzatrice ed educativa, soprattutto a favore dei giovani più poveri, abbandonati o in pericolo, deve costituire un’esperienza concreta dell’Amore gratuito, preveniente ed efficace che contempliamo in Maria Immacolata Ausiliatrice, per fare di essi dei figli suoi, come ebbe a chiedere a Giovannino nel sogno.



2.1“Maria è presente tra di noi” (Cost 8)


Riconoscendo che è impossibile sintetizzare in poche pagine quel che rappresenta oggi, per noi, la presenza materna di Maria Ausiliatrice, o le diverse espressioni e manifestazioni della nostra devozione verso di Lei, mi limito a presentare quello che su di Lei troviamo nelle nostre Costituzioni, cercando di arricchirlo con il riferimento alla Parola di Dio.

Senza alcun dubbio la fedeltà al nostro carisma, o meglio, alla volontà di Dio nella realizzazione della missione, passa attraverso l’osservanza delle Costituzioni. Alla domanda: “Come agirebbe Don Bosco, oggi?” non possiamo dare risposte soggettive o sentimentali, e meno ancora, individualistiche. Si tratta, piuttosto, di mettere in pratica la nostra Regola di vita: «Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire con l'osservanza delle nostre Costituzioni» (Costituzioni e Regolamenti SDB, Proemio). Non è superfluo ricordare quel che dice l’Esortazione apostolica postsinodale Vita Consecrata: «Quando la Chiesa riconosce una forma di vita consacrata o un Istituto, garantisce che nel suo carisma spirituale e apostolico si trovano tutti i requisiti oggettivi per raggiungere la perfezione evangelica personale e comunitaria» (VC 93; il neretto è mio).

Ebbene, nelle nostre Costituzioni incontriamo molti riferimenti mariani. In primo luogo, due articoli dedicati interamente a Lei (art. 8 e art. 92) ai quali ho fatto allusione già varie volte. L’articolo 92 corrisponde, a grandi linee, al testo “ad experimentum” del 1972; per contro, l'articolo 8 è totalmente nuovo, e corrisponde alla finalità che ha la prima parte delle Costituzioni. Questa sezione, che comprende gli articoli dal 1 al 25 (“I Salesiani di Don Bosco nella Chiesa”), presenta la nostra identità carismatica: prima di parlare di quel che “facciamo”, viene definito chi siamo, nella Chiesa e nel mondo, a favore soprattutto dei giovani.

Ed è proprio nel primo capitolo, in cui si presenta tale nostra identità, che si è voluto collocare un articolo su Maria Immacolata Ausiliatrice, per sottolineare che Ella “forma parte”, per così dire, del patrimonio carismatico salesiano. «Crediamo che Maria è presente tra noi e continua la sua 'missione di Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani'» (citando Don Bosco). La nostra devozione filiale verso di Lei, caratterizzata dall'affidamento' (“Ci affidiamo a Lei”), contempla in particolare il suo carattere di “umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose”, e fa riferimento diretto e immediato al nucleo e cuore della nostra missione: «per diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio» (Cost 8).



2.2“Contempliamo e imitiamo…” (Cost 92)


L’articolo 92, invece, si trova nel contesto della vita di preghiera, caratterizzata da un’espressione che rinvia immediatamente alla sua identità cristiana: “in dialogo con il Signore”. In tale contesto si presentano i tratti fondamentali della devozione salesiana a Maria Immacolata Ausiliatrice.

Vorrei, in primo luogo, fermarmi a considerare i due verbi con cui viene definita questa devozione: contempliamo-imitiamo. Mi sembra interessante confrontare questa doppia caratteristica con l’esperienza di una delle più grandi sante dei tempi moderni, santa Teresa di Lisieux. Sotto un linguaggio che a volte può risultare sentimentale e persino dolciastro, troviamo una profondità di vita cristiana straordinaria e, in particolare, quello che Hans Urs von Balthasar ha posto come atteggiamento fondamentale della piccola santa carmelitana: la sua passione per la verità, per l’autenticità, il suo rifiuto istintivo di ogni falsità17, anche (e soprattutto) nel campo religioso. Parlando della devozione a Maria, santa Teresina, ormai alla fine della sua vita, affermava:

«I sacerdoti ci facciano vedere (in Maria) delle virtù praticabili! Va bene parlare dei suoi privilegi, ma è necessario, anzitutto, che la si possa imitare. Ella preferisce l’imitazione all’ammirazione, e la sua vita fu molto semplice (…). Quanto mi sarebbe piaciuto essere sacerdote, per dire tutto quello che penso a questo riguardo! (…) Non bisognerebbe dire di lei cose inverosimili, o che non si sanno. (…) Perché una predica sulla Santissima Vergine mi piaccia e mi sia profittevole, occorre che mi faccia vedere la sua vita reale, non la sua vita immaginaria; e sono sicura che la sua vita reale fu estremamente semplice. La presentano inaccessibile, bisognerebbe presentarla imitabile, mettere in risalto le sue virtù, dire che viveva di fede, come noi, comprovarlo col Vangelo. (…) Sappiamo molto bene che la Santissima Vergine è Regina del cielo e della terra, ma è più Madre che Regina».18

Credo che per noi salesiani, “uomini di sintesi”, più che di alternative, si tratta di non opporre i due atteggiamenti (come forse era necessario al tempo e nell'ambiente di Santa Teresina), ma di integrare entrambi gli atteggiamenti: in modo che la contemplazione ci permetta di ammirare in Maria “le meraviglie della grazia di Dio” ed allo stesso tempo ci spinga a imitarla. Dio infatti certamente non opera in noi allo “stesso” modo che in Maria, il che però non significa in forma diversa, bensì piuttosto in forma simile.

In realtà, contemplando nei due grandi dogmi mariani della Concezione Immacolata e dell’Assunzione quel che Dio, nell’infinita gratuità del suo Amore, ha realizzato in Maria, comprendiamo, nella fede, ciò che Dio vuole realizzare anche in noi, se riviviamo gli atteggiamenti della Madre di Dio. Basti pensare che «Egli ci ha scelti (in Cristo) prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4); e che l’Assunzione di Maria costituisce “garanzia di consolazione e di sicura speranza per il popolo di Dio, ancora pellegrino sulla terra” (cf. LG 68): in Lei si è realizzato pienamente quello che Dio vuole realizzare anche in noi, in forma simile.

Conviene soffermarci un istante sul concetto di “imitazione”. Per più di un cristiano tale termine può provocare un certo disagio e perfino rigetto, perché sembrerebbe ridursi ad una ripetizione automatica di azioni e di parole. Non si tratta di questo. L'autentica imitazione è totalmente diversa: significa cogliere gli atteggiamenti e le motivazioni essenziali, assimilarle personalmente e metterle in pratica creativamente. A proposito della nostra imitazione di Cristo, ricordiamo alcuni testi paolini: si tratta di pensare come Cristo (cf. 1 Cor 2,16), sentire come Cristo (cf. Fil 2,5), per agire come Cristo. Qualcosa di simile possiamo dire riguardo alla nostra contemplazione e imitazione di Maria Immacolata Ausiliatrice.

Insieme a questi richiami, troviamo nel testo costituzionale un’altra espressione-endiadi per caratterizzare la nostra devozione mariana: «nutriamo per Lei una devozione filiale e forte» (Cost 92): questo ci invita a superare un certo devozionismo puramente sentimentale e perciò debole, ma senza cadere in un’arida e sterile concettosità. Il commento alle Costituzioni dice: «Sono due aggettivi che indicano insieme la tenerezza verso Colei che è ‘Madre amabile’ e il coraggio di imitarLa nella sua totale dedizione alla volontà di Dio».19

Infine, in questa stessa chiarificazione della nostra devozione, l’articolo 92 termina: «celebriamo le sue feste, per stimolarci ad un’imitazione più convinta e personale». Mi pare che nel nostro testo costituzionale si equilibrino perfettamente la contemplazione ammirata di ciò che Dio ha realizzato in Maria e lo stimolo ad imitarla filialmente nelle sue grandi virtù, soprattutto nel triplice atteggiamento teologico fondamentale: fede-speranza-carità.



2.3“Recitiamo quotidianamente il rosario”20 (Cost 92)


Prima di parlare specificamente di Maria come modello della nostra vita di fede-speranza-carità, vorrei dire una parola sulla nostra preghiera mariana, in particolare sul santo Rosario. Durante la mia vita salesiana, e ancor più come Rettor Maggiore, ho potuto costatare, con grande gioia e con molta ammirazione, la pratica del Santo Rosario da parte di tanti confratelli, soprattutto anziani, “santamente esagerati”, che con grande semplicità e costanza esprimono in questo modo la loro unione con Dio ed il loro amore a Maria Santissima lungo la giornata. Vorrei invitare tutti i confratelli a continuare questa straordinaria pratica di pietà, non per inerzia o per “obbligo”, ma cercando di approfondirne il significato e le motivazioni.

Anzitutto, credo che si tratta di una pratica che combina perfettamente la preghiera vocale con la contemplazione dei misteri della vita di Gesù, in compagnia e ad imitazione di Maria, che «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; cf. 3,51b).

Nella sua Esortazione Apostolica Marialis Cultus, Paolo VI scriveva: «Si è pure sentita con maggiore urgenza la necessità di ribadire, accanto al valore della lode e dell’implorazione, l’importanza di un altro elemento essenziale del Rosario: la contemplazione. Senza di essa il Rosario è corpo senz’anima, e la sua recita rischia di diventare meccanica ripetizione di formule (…) Per sua natura la recita del Rosario esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano all’orante la meditazione dei misteri della vita del Signore, visti attraverso il cuore di Colei che al Signore fu più vicina, e ne dischiudano le insondabili ricchezze» (MC, 47).

È interessante far rilevare che un settore molto importante della teologia attuale, soprattutto nel campo della Cristologia e della Mariologia, cerca di rinnovare quello che sta alla base del santo Rosario, cioè: la “teologia dei Misteri”. Uno dei suoi principali rappresentanti afferma: «Giustamente, nell’età moderna, si è esigita la riassunzione di un ‘luogo’ della sistematica teologica dei primi tempi, l’inserzione cioè dei mysteria Christi, quindi della cristologia concreta, nel trattato cristologico diventato sempre più astratto».21 E poco più avanti, insiste: «Il movimento liturgico, il rinnovamento della teologia nello spirito della patristica (H. de Lubac, J. Danielou, H. U. von Balthasar), la riscoperta dell’ecclesiologia dogmatica e la sua sintesi nel Vaticano II, della ‘storia della salvezza’ e di una cristologia nell’ambito della storia della salvezza (O. Cullmann; Costituzione Dei Verbum del Vaticano II); tutto ciò vuol dire inizio anche di una nuova maniera di rivolgersi ai 'misteri' di Cristo. Tuttavia, sembra che una barriera impedisca al cristiano di oggi l’incontro con la persona del Cristo nei suoi misteri (…) Dobbiamo riconquistare il mistero e i singoli misteri di Cristo, nell'eredità del passato, sulla base di fondamenti nuovamente strutturati».22

Speriamo che questa piccola motivazione ci aiuti a vivere, con fedeltà creativa, la nostra devozione a Maria attraverso il santo Rosario, ed anche ad iniziare i nostri giovani a questa forma così semplice e concreta di preghiera e di meditazione.



  1. Maria, modello di fede, di speranza e di amore


Data la ricchezza e la diversità di atteggiamenti mariani che si presentano alla nostra contemplazione e si offrono alla nostra imitazione (sia nell’articolo 92 delle Costituzioni che in alcuni altri che menzionano la Madre di Dio), è opportuno raccoglierli intorno alle tre virtù teologali, per metterli poi in rapporto con i tre valori evangelici: l’obbedienza, la povertà e la castità; per questo facciamo ricorso alla riflessione biblica, poiché – ricordava Paolo VI nella già citata Esortazione apostolica Marialis Cultus: «La necessità di un’impronta biblica in ogni forma di culto è oggi avvertita come un postulato generale della pietà cristiana (…) Il culto alla Beata Vergine non può essere sottratto a questo indirizzo generale della pietà cristiana; anzi ad esso deve particolarmente ispirarsi per acquistare nuovo vigore e sicuro giovamento» (MC 30).

Anzitutto un’osservazione di carattere generale: è interessante verificare il rilievo che assume la figura di Maria, nel processo diacronico del Nuovo Testamento. Il percorso prende avvio dai testi iniziali, le lettere di san Paolo e il vangelo di Marco, che fanno solo qualche riferimento marginale, passando poi per Matteo e Luca che, da posizioni indipendenti (in questa sezione più ancora che in altre!), ambedue riflettono sulle origini umane di Gesù in stretto rapporto con la madre sua, Maria; fino ad arrivare alla figura della Donna, nuova Eva, nell’opera giovannea: il quarto vangelo e l’Apocalisse. Potremmo affermare che, nella misura in cui la comunità cristiana, illuminata dallo Spirito Santo, va riflettendo più in profondità sul mistero di Cristo, va anche scoprendo progressivamente l’importanza di Maria.



3.1«Beata tu, che hai creduto» (Lc 1,45)


«Contempliamo e imitiamo la sua fede», dice l’articolo costituzionale che stiamo considerando. E, nel contesto dell’educazione nella fede dei nostri giovani, leggiamo nell’articolo 34: «La Vergine Maria è una presenza materna in questo cammino. La facciamo conoscere e amare come Colei che ha creduto» (Cost 34). Una domanda che questo testo ci pone immediatamente è: suscitiamo nei nostri ragazzi/e una devozione a Maria che metta in primo piano la sua fede?

La fede, lo sappiamo, è l’atteggiamento fondamentale del credente, poiché, come dice la lettera agli Ebrei, «Senza la fede è impossibile essere graditi a Dio» (Eb 11,6). Elisabetta chiama Maria “la credente” per eccellenza, congratulandosi per questo, e proclamandola “beata”. Questa felicitazione rinvia al momento della vita di Maria che possiamo chiamare uno ‘spartiacque’, ossia l’Annunciazione. È in quella circostanza che Maria, mentre si rende conto che Dio ha un progetto meraviglioso su di lei, la “piena di grazia” (nessuna traduzione esaurisce la ricchezza della parola evangelica originale, kecharitoméne!) è invitata a collaborare liberamente con Lui. La domanda che rivolge all’angelo Gabriele: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» non è affatto un’obiezione o l’indice di un dubbio, bensì l’espressione del desiderio di rispondere il più consapevolmente e liberamente possibile a quell’invito divino, prestandovi un pieno assenso. Detto in modo paradossale, Maria accetta liberamente e gioiosamente (l’ottativo è il verbo del desiderio!) di diventare la “schiava” del Signore: «avvenga per me secondo la tua parola».


Vorrei sottolineare alcuni aspetti che scopriamo in questo testo evangelico, collocato proprio nella pienezza del tempo (cf. Gal 4,4):

  • La fede di Maria è, anzitutto, fiducia in Dio. Come dissi in altra occasione: “Maria non confida nel piano di Dio, bensì nel Dio del piano”. La fede non è, in primo luogo, l’accettazione di contenuti obiettivi che Dio ci rivela, ma adesione incondizionata, tipica dell’amore, a Lui e a quello che Egli vuole da noi. “Chiedimi qualunque cosa e io la eseguirò” è una delle espressioni tipiche dell’amore, anche a livello umano; a maggior ragione nel rapporto della persona con Dio. Qualcosa di simile accade nella nostra vita: non confidiamo in Dio perché conosciamo già anticipatamente il suo progetto su di noi, ma per il fatto è che Egli ci invita a metterci nelle sue mani, come un bambino in braccio a sua madre.

  • La fede di Maria si esprime e si concretizza nella sua obbedienza. I grandi credenti, nella storia della salvezza, sono autentici obbedienti: a cominciare dal nostro “padre nella fede”, Abramo, fino a culminare in Maria. San Paolo espone in questo modo la sua vocazione apostolica: «Per mezzo di lui [Gesù] abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede» (Rm 1,5). Una fede che non porta a cercare la volontà di Dio per poi metterla in pratica nella vita, non è autenticamente cristiana, perché scade in uno sterile intellettualismo o in un inconcludente velleitarismo.

  • In latino vi è una significativa convergenza fra tre parole: fides – fiducia – fidelitas. La fede intesa come fiducia che porta a obbedire a Dio sfocia, nel decorso del tempo, e si verifica nella fedeltà: soprattutto nei momenti in cui o “si vive di fede” oppure tutto crolla e si sfalda. In questo senso, lo stesso articolo costituzionale ci invita a contemplare in Maria “la fedeltà nell’ora della croce”.

È proprio questa fede-fiducia, che si traduce in obbedienza, a costituire il cammino che Maria percorre dall’Annunciazione a Nazaret, fino a Gerusalemme, sul Golgota, ai piedi della Croce. Un cammino indubbiamente difficile e doloroso. Perché dobbiamo riconoscerlo: accettare incondizionatamente Dio nella propria vita non ha assolutamente facilitato le cose a Maria, umanamente parlando; al contrario, le ha tremendamente complicate. Sottolineo due aspetti tipici dell’esperienza di fede di Maria:

  1. Tutte le sue aspettative umane (a cominciare dal suo progetto di vita con Giuseppe!) sembrano andare a monte: la nascita del Figlio in un luogo dove vivono gli animali perché «per loro non c'era posto nell’alloggio» (Lc 2,7); la dolorosa profezia di Simeone ad appena 40 giorni dalla nascita del Figlio; la scena dei dodici anni, a Gerusalemme, di cui il vangelo dice: «Ma essi non compresero quel che aveva detto loro» (Lc 2,50). Come scrivevo in una Lettera qualche anno fa, «proprio perché nel rapporto con Dio è sempre Lui che prende l’iniziativa e fissa tempi e mete, la relazione non risulta mai identica a se stessa. Maria lo imparò presto: nel momento di dare alla luce il figlio, ciò che di lui si diceva le era incomprensibile (Lc 2,18-19); quanto più le veniva annunziato il futuro di suo figlio (Lc 2,34-35), tanto meno esso coincideva con quanto le era stato detto nell’annunciazione (Lc 1,30-33.35). La perdita di Gesù ragazzino nel tempio è segno premonitore di una via ancor più dolorosa (…) Non c'è da meravigliarsi se Maria, non essendo capace di capire, “serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19.51)».23

  1. Ma, soprattutto, il rapporto stesso di Gesù con sua Madre manifesta il cammino di fede di Maria : pare che il Figlio si vada allontanando sempre più da lei, durante la vita pubblica; e incontriamo persino dei testi che danno l’impressione che Gesù “relativizzi” questa maternità umana: basti ricordare Mc 3,31-35 (progressivamente “mitigato” da Mt 12,46ss e Lc 8,19-21) e Lc 11,27-28: «Beati, piuttosto, coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano». Non si tratta in assoluto di un disprezzo nei confronti della Madre, ma piuttosto di mostrarne la vera grandezza, in quanto modello di chi “ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica”; ma è indubbio il prezzo che ha dovuto pagare in questo processo di crescita nella fede. Proprio perché nessuno è stato, come lei, così “vicino” al Figlio di Dio fatto Uomo, è stato così doloroso vivere questo allontanamento progressivo dal “figlio”, per poter crescere sempre più nella fede nel “Figlio” con la maiuscola, il Figlio di Dio.

Eppure, ricordando le parole di Elisabetta, la fede, di cui Maria è modello insuperabile, è sorgente di felicità: dell’unica vera felicità. Troviamo qui una suggestiva inclusione tra la prima “beatitudine” del Vangelo (prima, certamente, di quelle che presentano i vangeli nel discorso della montagna!) e l’ultima, che appare in Gv 20,29: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». In realtà, la beatitudine della fede rende possibili tutte le altre: senza di essa sarebbe assurdo proclamare che sono felici i poveri, coloro che soffrono, i disprezzati... Vi è una stretta continuità tra la prima beatitudine, al singolare, e l’ultima, al plurale; quasi a dire: “beati coloro che somigliano a Maria...”

Vi è una piccola sfumatura che mi preme far notare. La traduzione delle parole di Elisabetta oscilla tra due significati, apparentemente simili, ma in realtà molto diversi: “Beata tu che hai creduto nelladempimento di ciò che il Signore ti ha detto” o “Beata tu che hai creduto: perché si adempirà ciò che il Signore ti ha detto”. La versione che senza dubbio corrisponde meglio alla realtà, nella vita di Maria e anche nella nostra, è quest’ultima: siamo felici perché crediamo che si adempirà ciò in cui crediamo per la fede. Ma anche qui dobbiamo aggiungere: non secondo le nostre attese, ma secondo il progetto di Dio, accolto pienamente nella “obbedienza della fede”, fondamento della nostra obbedienza consacrata.



    1. Colei che ha creduto, aiuta e infonde speranza” (Cost 34)


Significativamente, nel testo costituzionale sono intimamente unite, in Maria come nella vita di ogni cristiano, la fede e la speranza, sebbene siano per sé distinte, in quanto la fede è basata sulla realtà storica di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio fatto Uomo, mentre la speranza guarda verso il futuro: «Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza» (Rm 8,24).

Questa differenza può indurre a separare i due atteggiamenti, producendo quella nostalgia del passato, che paralizza nei confronti del futuro. Nella Lettera di convocazione del CG26, scrivevo: «Una sfida, sentita spesso come minaccia, riguarda l’incertezza del futuro della vita consacrata, soprattutto per gli interrogativi che si pongono sulla sua sopravvivenza in alcune aree geografiche. La diminuzione numerica, l’assenza di vocazioni, l’invecchiamento creano nelle Congregazioni mancanza di prospettive, necessità di pesanti ridimensionamenti, ricerca di nuovi equilibri culturali. A ciò si aggiungono talvolta scarsa vitalità, fragilità vocazionali, dolorosi abbandoni. Tutto ciò favorisce demotivazione, scoraggiamento e paralisi. In queste condizioni è arduo trovare una strategia di speranza, che apra orizzonti, offra cammini e assicuri la leadership».24

Come indicava il programma del CG26, “risvegliare il cuore di ogni salesiano”, si tratta di “vivere della nostra fede” (cf. Eb 2,4; Rm 1,17; Gal 3,11) per alimentare così la speranza, in modo da rendere possibile la carità pastorale. Il grande pericolo di questi tempi non è tanto la perdita della fede, quanto piuttosto l’indebolimento della speranza, l’incapacità di ‘sognare’ un futuro promettente nella realizzazione della nostra missione coi giovani. Ci può capitare quello che occorse a Gedeone; egli indubbiamente credeva in tutto ciò che costituiva la fede del popolo nel passato, ma questo in nessun modo gli infuse coraggio per il futuro, piuttosto il contrario:

«L'angelo del Signore gli apparve e gli disse: – Il Signore è con te, uomo forte e valoroso. Gedeone gli rispose: – Perdona, mio signore: se il Signore è con noi, perché ci è capitato tutto questo? Dove sono tutti i suoi prodigi che i nostri padri ci hanno narrato, dicendo: “Il Signore non ci ha fatto forse salire dall'Egitto?”. Ma ora il Signore ci ha abbandonato e ci ha consegnato nelle mani di Madian». (Gdc 6,12-13).

È proprio quando viviamo momenti difficili che Maria Ausiliatrice, la “Madonna dei tempi difficili”, si mostra Madre che “infonde speranza”. Quando ripercorriamo il cammino di fede di Maria, scopriamo che, in realtà, in gioco è proprio la speranza. Essa poteva sentirsi tentata di pensare: “Non sarà stato tutto un sogno, bello, certo, ma che è svanito di fronte alla durezza della realtà presente?”. Scrive Benedetto XVI nella sua Enciclica sulla speranza, dirigendosi a Maria:

«Quando poi cominciò l’attività pubblica di Gesù, dovesti farti da parte, affinché potesse crescere la nuova famiglia, per la cui costituzione Egli era venuto e che avrebbe dovuto svilupparsi con l’apporto di coloro che avrebbero ascoltato e osservato la sua parola (cf. Lc 11,27s) (…) Così hai visto il crescente potere dell’ostilità e del rifiuto che progressivamente andava affermandosi intorno a Gesù fino all’ora della croce, in cui dovesti vedere il Salvatore del mondo, l’erede di Davide, il Figlio di Dio morire come un fallito, esposto allo scherno, tra i delinquenti (…) La spada del dolore trafisse il tuo cuore. Era morta la speranza? (…) In questa fede, che anche nel buio del Sabato Santo era certezza della speranza, sei andata incontro al mattino di Pasqua (…) Così tu rimani in mezzo ai discepoli come la loro Madre, come Madre della speranza. Santa Maria, Madre di Dio, Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con Te».25


Se prima si parlava di “beatitudine della fede”, ora possiamo parlare di una “beatitudine della speranza”, che anche Maria fa propria: “Beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!” (Mt 11,6). La caratterizzazione che san Paolo fa di Abramo, affermando che “egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18), può essere applicata, a maggior ragione, a Maria: da una parte, perché tutto il testo parla della fede in Gesù Cristo risorto (cf. Rm 4,24-25) e, d’altra parte, perché, ancor più che nel caso di Abramo, Maria affronta una realtà davanti alla quale - umanamente parlando - non vi è posto per la speranza, ossia la morte.

C’è un testo molto bello, sotto forma di preghiera, che il Cardinale Carlo Maria Martini ha offerto alla sua Arcidiocesi in occasione dell’anno 2000. Vale la pena leggerlo e meditarlo; cito qui alcuni paragrafi più significativi.

«Tu, o Maria, hai imparato ad attendere e a sperare. Hai atteso con fiducia la nascita del tuo Figlio proclamata dall’angelo, hai perseverato nel credere alla parola di Gabriele anche nei tempi lunghi in cui non capitava niente, hai sperato contro ogni speranza sotto alla croce e fino al sepolcro, hai vissuto il Sabato santo infondendo speranza ai discepoli smarriti e delusi. Tu ottieni per loro e per noi la consolazione della speranza, quella che si potrebbe chiamare 'consolazione del cuore’ (…) Tu, o Madre della speranza, hai pazientato con pace nel Sabato santo e ci insegni a guardare con pazienza e perseveranza a ciò che viviamo in questo sabato della storia, quando molti, anche cristiani, sono tentati di non sperare più nella vita eterna e neppure nel ritorno del Signore (…) La nostra poca fede nel leggere i Segni della presenza di Dio nella storia si traduce in impazienza e fuga, proprio come accadde ai due di Emmaus che, pur messi di fronte ad alcuni segnali del Risorto, non ebbero la forza di aspettare lo sviluppo degli eventi e se ne andarono da Gerusalemme (cfr. Lc 24,13ss). Noi ti preghiamo, o Madre della speranza e della pazienza: chiedi al tuo Figlio che abbia misericordia di noi e ci venga a cercare sulla strada delle nostre fughe e impazienze, come ha fatto con i discepoli di Emmaus. Chiedi che ancora una volta la sua parola riscaldi il nostro cuore (cfr. Lc 24,32)».26

Se la fede si rapporta intimamente e si esprime nell’obbedienza, non troviamo forse un rapporto ugualmente stretto tra speranza e povertà? In realtà, può “sperare” solo colui che non si sente soddisfatto; e spera davvero solo chi sa che “quel che è più importante deve ancora venire”.

Significativamente, tutte le beatitudini ci proiettano nel futuro delle promesse; allo stesso tempo diventano seri avvertimenti (e non tanto minacce) per chi, avendo tutto, si chiude al futuro indicato dalla speranza (cf. Lc 6,24-26). In altre parole, può nutrire speranza solo chi riconosce la sua povertà e coltiva in sé un cuore di povero! Ma questo atteggiamento interiore non sorge dalla consapevolezza della scarsità dei propri beni, ma della grandezza di quelli che si aspettano. È Dio, atteso come Sommo Bene, che ci fa poveri e, perciò, colmi di speranza.

Penso che si trova qui un filone ricchissimo da sviluppare contemplando il nostro Padre Don Bosco, la cui fede incrollabile nella provvidenza di Dio e nella protezione materna di Maria si manifesta in una straordinaria capacità di speranza: non nel senso passivo di “aspettare” che le cose avvengano, ma nel senso di mettersi all’opera perché “le cose succedano”, prova inequivocabile del suo amore pastorale (di cui parleremo in seguito). In Don Bosco troviamo una straordinaria capacità di trasformare le difficoltà e gli ostacoli in sfide e motivazioni per continuare ad andare avanti. Da autentico figlio di Don Bosco, il salesiano «non si lascia scoraggiare dalle difficoltà (…) rifiuta di gemere sul proprio tempo» (Cost 17) e, in quanto apostolo ed educatore, «annuncia ai giovani “cieli nuovi e terra nuova”, stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza» (Cost 63).



    1. Maria, “modello di carità pastorale” (Cost 92)


Se delle tre virtù teologali «la più grande di tutte è la carità» (1 Cor 13,13), è indubbiamente ad essa che conducono la fede e la speranza, e sicuramente Maria è un eminente esempio e modello di amore. Riprendendo le parole di Hans Urs von Balthasar nel titolo del suo famoso libro, “Solo l’Amore è degno di fede”, possiamo applicarle in primo luogo alla Santissima Vergine: solo l’Amore di Dio dà senso alla sua fede e alimenta la sua speranza.

Le espressioni delle nostre Costituzioni a questo riguardo sono, anche se brevi, particolarmente significative. Anzitutto, in rapporto a Dio: «Maria Immacolata e Ausiliatrice ci educa alla pienezza della donazione al Signore» (Cost 92). Questo atteggiamento teologale, però, è inseparabile dall’amore al prossimo: «contempliamo e imitiamo (…) la sua sollecitudine per i bisognosi», «c’infonde coraggio nel servizio dei fratelli», «modello di preghiera e di carità pastorale» (Cost 92).

I riferimenti evangelici sono noti: in primo luogo l’intimo rapporto (non solo perché nel testo lucano viene immediatamente dopo) tra l’esperienza di Dio vissuta nell’Annunciazione e il viaggio che “in fretta” Maria compie per visitare e servire la parente Elisabetta. Anzi: il “segno” che l’angelo Gabriele dà alla Vergine non è tanto una conferma teorica convincente, tale da attenuare la sua fiducia in Dio, quanto piuttosto un invito alla missione, a “mettersi in cammino”, per recare a Elisabetta e alla sua famiglia (compreso il bambino, non ancora nato, Giovanni Battista) Colui che è Portatore di Gioia, Gesù.27

Contemplando “la sollecitudine per i bisognosi” da parte di Maria, pensiamo spontaneamente al racconto delle nozze di Cana, nel vangelo di san Giovanni. Senza nulla togliere alla valenza simbolica e teologica del primo “segno” compiuto da Gesù secondo il quarto vangelo (sottolineata già dai primi Padri della Chiesa fino agli ultimi esegeti e studiosi), non dobbiamo ignorare il suo significato più semplice e immediato. In esso scopriamo non solo la sollecitudine e la premura per le necessità altrui, ma anche la delicatezza di Maria, tanto nei confronti dei responsabili della situazione, come verso Gesù stesso. E non è superfluo sottolineare l’aspetto “salesiano” di questo miracolo: il primo “segno” di Gesù è dedicato alla gioia della festa.

Ma soprattutto, su questo aspetto centrale della vita di Maria e di ogni cristiano, non possiamo limitarci a citazioni isolate o ad aspetti frammentari. «È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Tt 2,11); «Apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini (filantropia, nel testo greco)» (Tt 3,4). Se prendiamo sul serio il fatto che il piano di salvezza di Dio non è altro che la manifestazione piena e definitiva del suo Amore, e se Maria ha collaborato in modo singolare alla nostra salvezza, occorre approfondire questa collaborazione nella prospettiva dell’Amore.

A ragione la teologia attuale insiste, partendo dalla testimonianza unanime del Nuovo Testamento, nel collocare l’origine della nostra salvezza nella Volontà amorosa del Padre, che per opera dello Spirito Santo ci ha inviato suo Figlio, nato da Maria; e dà molto risalto al carattere trinitario del Mistero Pasquale. Con stupore e gioia l’Annuncio Pasquale, dirigendosi al Padre, proclama (evocando Rm 8,32):

O immensità del tuo amore per noi!

O inestimabile segno di bontà!

Per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio!

Sotto questo aspetto, alla “kénosis” del Figlio, che si “spoglia” della sua condizione divina, assumendo la condizione umana, facendosi obbediente fino alla morte, e morte di croce (cf. Fil 2,5-8), corrisponde la “kénosis” del Padre, che ci dà tutto in Lui (cf. Rm 8,32).

Nel momento cruciale della vita di Gesù, quando «avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1), dato che «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici» (Gv 15,13), troviamo Maria ai piedi della croce: si tratta di tre versetti d’una densità sorprendente (Gv 19,25-27).

Siamo abituati – giustamente – a considerare questo testo come il “testamento” di Gesù, che affida al discepolo amato, simbolo di tutti gli uomini e donne che credono in Lui, la propria Madre: «Ecco tua Madre!»; e ciò ci riempie di una gioia straordinaria. Ma quello di cui non sempre si tiene conto è quel che ciò suppone: dicendo a sua Madre: «Donna, ecco tuo figlio!», la sta invitando a condividere pienamente la sua stessa rinuncia (“kénosis”), il suo totale svuotamento. Infatti, il sacrificio più duro che si può chiedere a una madre, è che accetti un altro in cambio del proprio figlio. Qui giunge al suo punto più radicale la fede, la speranza (contro ogni speranza) e l’amore della santissima Vergine Maria. Oso riferire alla Madre del Signore l’espressione del vangelo di Giovanni (Gv 3,16) riguardo a Dio Padre: “Maria ha tanto amato il mondo, da dargli il proprio Figlio”.

Similmente alle altre due virtù teologali, troviamo qui il significato più profondo ed arricchente della nostra castità consacrata. Parlare di castità non significa, anzitutto, parlare di “rinuncia”; ma piuttosto - come dice l’articolo 63 delle nostre Costituzioni - di “amore fatto dono”, seguendo l’esempio del nostro Padre: «Don Bosco visse la castità come amore senza limiti a Dio e ai giovani» (Cost 81). Vorrei concludere questa sezione con una delle espressioni più belle della nostra Regola di Vita: il salesiano «ricorre con filiale fiducia a Maria Immacolata e Ausiliatrice, che lo aiuta ad amare come Don Bosco amava» (Cost 84).



4.“Lo Spirito Santo suscitò, con l'intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco” (Cost 1)


Nel “Credo” salesiano, che rispecchia le nostre più profonde convinzioni, il rapporto tra lo Spirito Santo e Maria è inseparabile. Ciò risponde pienamente alla Rivelazione biblica del Nuovo Testamento, nel quale troviamo, in primo luogo, una “inclusione pneumatologica” molto significativa. Di fatto, il primo e l’ultimo testo in cui appare Maria (Lc 1,35; At 1,14), hanno come “protagonista”, in certo modo, lo Spirito Santo. Nel primo si afferma che lo Spirito è colui che rende possibile l’incarnazione del Figlio di Dio: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra»; per questo, nella professione di fede della Chiesa, proclamiamo: “Per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”. Nell’ultimo – libro degli Atti – si registra che dopo la morte e la resurrezione del Signore Gesù, la comunità apostolica e i “fratelli di Gesù” (At 1,14; cf. Ap 12,17) erano in attesa del Paraclito, raccolti intorno a Maria.

Uno degli insigni maestri fondatori della nostra Università a Roma, don Domenico Bertetto, scrive:

«Nella sua vita [ di Maria ] possiamo rilevare tre epifanie dello Spirito, con particolare efficacia santificatrice: l’Immacolata Concezione, che, fin dal primo istante della sua vita terrena, rende la Persona della futura Madre di Dio, Tempio dello Spirito Santo, il quale dimora in Lei per prepararla alla sua futura missione; l’Annunciazione, in cui Maria SS. è adombrata, come nuova Arca dell’Alleanza, di Spirito Santo in ordine alla concezione umana del Figlio di Dio; la Pentecoste, in cui Maria implora e gode dell’effusione visibile dello Spirito Santo, anima del Corpo Mistico».28

Questa è un’interpretazione che risale ai Padri della Chiesa, in riferimento al testo di Gv 19, secondo cui “la Chiesa nasce ai piedi della croce”. Gesù, morendo, “consegnò lo Spirito” (paredoke to pneuma), unendo, in tal modo, Pasqua e Pentecoste; troviamo qui, nuovamente, Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa rappresentata dal “discepolo amato”.

Mi piace considerare questo rapporto tra lo Spirito Santo e Maria alla luce di un altro testo delle nostre Costituzioni, l’articolo 98. È l’unica menzione della Ss. Vergine Maria nel contesto della formazione; questa, conviene ricordarlo ancora una volta, non si riferisce ad una tappa della vita (la “formazione iniziale”) né tratta di una “dimensione” parallela ad altre, ma le ingloba tutte: si tratta di comprendere l’intera vita del salesiano, in tutte le sue dimensioni, in chiave di formazione, cioè: di configurazione a Cristo Pastore-Educatore, alla maniera del nostro Padre: “illuminato [ogni salesiano] dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco”.

È importante rilevare che il testo dell’articolo 98 presenta le due principali caratteristiche del nostro carisma: educatore pastore dei giovani, prima di menzionare le due forme di vivere la medesima vocazione consacrata salesiana: quella laicale e quella presbiterale. A volte ci può essere un nefasto malinteso a questo riguardo, come se solo il salesiano sacerdote fosse pastore, e il salesiano coadiutore invece, solo educatore: questo attenta direttamente all’identità stessa dell’essere salesiano!

In tale contesto, la menzione di Maria, precisamente in quanto Madre e Maestra, non solo evoca il sogno dei nove anni e la sua presenza nella vita di Don Bosco, ma va molto oltre: si riferisce alla missione fondamentale di Maria, in quanto Madre e Maestra di Gesù, il Figlio di Dio fatto Uomo. Il testo sembra alludere alla “gestazione” del salesiano (“tende a diventare”) in quanto tale: di modo che come Maria, per opera dello Spirito Santo, diede alla luce il Salvatore, così anche dia alla luce ciascuno di noi, per opera dello stesso Spirito, come educatori-pastori dei giovani.



5. Conclusione


Desidero chiudere questa lettera invitando la Congregazione, e ogni confratello in particolare, a meditare e “incarnare” nella vita la preghiera che ogni giorno rivolgiamo alla Santissima Vergine Maria. Essa costituisce un prezioso testo, un vero programma di vita, che ci aiuta a rinnovare quotidianamente il senso della nostra vita salesiana in “chiave mariana”. È una preghiera allo stesso tempo semplice e profonda nella quale, mentre professiamo il nostro amore “filiale e forte” a Lei, ci impegniamo a mettere in pratica il “programma” della nostra vocazione: la missione salesiana.

Condividendo l’insistenza (teologicamente fondata) del mio amato predecessore don Egidio Viganò sul senso della consacrazione come opera esclusiva di Dio e non come azione umana, neppure nella relazione con Lui (cf. Cost 24: “Tu mi hai consacrato a Te … io mi offro totalmente a Te”), ricordo che qui non si tratta di una preghiera di consacrazione a Maria, ma di affidamento affettuoso, come un figlio piccolo che si abbandona nelle braccia amorevoli della Madre sua.

Evocando Maria Immacolata Ausiliatrice (Cost 92), ricordiamo il titolo con cui il Concilio Vaticano II ce la presenta: “Madre della Chiesa” (cf. Ap 12; LG 62ss). Nella Chiesa lo Spirito Santo ha suscitato, “con l’intervento materno di Maria” (Cost 1), Don Bosco, e mediante lui la Congregazione e la Famiglia Salesiana. Come lo fu per il nostro Padre, Maria continua ad essere per noi “ispiratrice e sostegno” (nell’articolo 8 delle Costituzioni leggiamo: ha indicato a Don Bosco il suo campo di azione – l’ha costantemente guidato e sostenuto). Non si tratta, quindi, unicamente di un atteggiamento di devozione personale – senza dubbio, lodevole e raccomandabile – ma della contemplazione di Maria nel piano di salvezza di Dio, e in particolare della messa in pratica della nostra missione. Quindi promettiamo a Maria di “voler sempre operare fedeli alla vocazione salesiana”.

La missione non consiste nel “fare cose”, non si riduce ad un prodigarsi genericamente per la promozione dei giovani, soprattutto dei più poveri; si tratta, realmente, di curare l’autentica “promozione integrale”, dalla prospettiva della missione apostolica, che si prefigge come fine ultimo la loro salvezza (cf. Cost 12). “Alla maggior gloria di Dio e alla salvezza del mondo”: è ciò che ricordavo nella lettera di convocazione al CG26 come «il segreto (di Don Bosco) circa la finalità della sua azione: “Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero, intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo”».29 Evidentemente, “promettere” questo a Maria e, per sua intercessione, al Signore della messe, costituisce allo stesso tempo un’umile richiesta: «senza di Me non potete fare nulla», ci dice il Signore Gesù. Giocando un po’ con le parole, non è un “promettere prometeico”, perché in verità riconosciamo – come diciamo alla fine della preghiera – che servendo il Signore (“il nostro servizio al Signore”), risultiamo a Lui utili, non soltanto servi: Egli stesso lo ha voluto (cf. Gv 15,15).

Poiché la missione salesiana è un processo che nasce dalla fede e dall’obbedienza a Dio, essa si esprime nella preghiera, e come preghiera. Ricorrendo all’intercessione materna di Maria, la supplichiamo per tutto ciò che “portiamo nel cuore”, dalla nostra particolare sensibilità carismatica (cf. Cost 11): la Chiesa, la Congregazione e la Famiglia Salesiana, in particolare i giovani e, tra questi, in modo speciale i più poveri, destinatari prioritari della missione salesiana. Finalmente la invochiamo per tutta l’umanità. Questa “priorità della preghiera” ci ricorda l’esempio di Gesù: prima di dare la vita per tutti, supplica per tutti il Padre e chiede quanto di più semplice e profondo può scaturire dall’amore di un Cuore, allo stesso tempo divino e umano: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me» (Gv 17,24). Nessuno è escluso dalla salvezza di Cristo…, né dalla sua preghiera. E, quindi, neppure dalla nostra preghiera apostolica.

Proseguendo, ecco che invochiamo Maria come Madre e Maestra (cf. Cost 98): come lo è stata di Don Bosco, Le chiediamo che lo sia di ognuno di noi. Credo che questa parte della preghiera la possiamo contemplare alla luce del sogno dei dieci diamanti, che costituisce un’«icona» del prossimo Capitolo Generale 27: la parte frontale del manto (“la bontà e la donazione illimitata ai fratelli”) è sostenuta dalla sua controparte, ciò che probabilmente non si avverte a prima vista: “l’unione con Dio, la sua vita casta, umile e povera”. Ciò rende possibile la messa in pratica della nostra missione, intesa precisamente come “amorevolezza” e “donazione illimitata”, e non semplicemente come una strategia o tattica educativo-pastorale funzionale agli scopi.

Ambedue le parti del manto sono unite dai due diamanti del lavoro e della temperanza: e ci ricordano immediatamente il prossimo Capitolo Generale, incentrato sulla radicalità evangelica salesiana.

Concludendo questi atteggiamenti fondamentali in cui Don Bosco è nostro modello, non possiamo dimenticare la dimensione ecclesiale: “la fedeltà al Papa e ai Pastori della Chiesa”, oggi più che mai necessaria.

La conclusione della nostra preghiera si allaccia con l’inizio, in una chiara inclusione tematica. Se la missione ha come finalità la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime, e il nostro lavoro costituisce “un servizio fedele e generoso” al Signore fino alla morte, il suo culmine non può limitarsi a una soddisfazione umana o terrena: potremo trovarlo pienamente solo “nella Casa del Padre”. Anche qui si fa presente la nostra sensibilità salesiana, attraverso due parole chiave: l’allegria e la comunione, che soltanto in Dio e nella vita eterna incontrano la loro pienezza.

Carissimi confratelli, vi consegno questa lettera, che portavo nel cuore da tempo, con la fiducia che sarà un forte stimolo per il rinnovamento spirituale e profondo, personale, comunitario e istituzionale, cui ci chiama il Signore attraverso la celebrazione del Bicentenario della nascita del nostro amato Don Bosco e quella del Capitolo Generale 27. Come il discepolo amato, prendiamo Maria, dono del Signore dalla croce, e portiamola in casa nostra. Lei ci sia, come lo fu per Don Bosco, madre e maestra.

A Lei, Maria Immacolata Ausiliatrice, alla sua cura e guida materna, affido tutti e ciascuno di voi.


Don Pascual Chávez Villanueva, SDB

Rettor Maggiore


1 G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco (MB) XVII, p. 510.

2 Egidio Viganò, “Maria rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco”, ACS n. 289 (1978), p. 5 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani I, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 3 ]

3Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio, a cura di Aldo Giraudo, LAS-Roma, 2011, p. 62-63.

4Ibidem.

5Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio, o.c. p. 134.

6Pascual Chávez, “Chiamò a sé quelli che Egli volle ed essi andarono da Lui” (Mc 3,13). Nel 150° Anniversario della fondazione della Congregazione Salesiana, ACG n. 404 (2009), p. 28.

7 MB XIV, p. 284

8Pascual Chávez, “L'Immacolata e Don Bosco” in: Sacro Cuore, Bologna, dicembre 2011.

9Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio, o.c. p. 127-129.

10G.B. Lemoyne, Memorie Biografiche di don Giovanni Bosco (MB) V, 152. In questo capitolo, D.Lemoyne presenta una bella sintesi della devozione di Don Bosco a Maria (pp.151-156).

11Egidio Viganò, “Il testo rinnovato della nostra Regola di vita”, ACG n. 312 (1984) p. 35-36 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani, II, , Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 582 ]

12Benedetto XVI, “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”. Messaggio per la Quaresima 2007.

13Aloi Muller, “Maria nell'Evento Cristo”, in: J. Feiner e M. Loehrer ed., Queriniana, Brescia, 1971, vol. VI, p. 536.

14Egidio Viganò, “Maria rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco”, ACS n. 289 (1978), p. 11 [ cf. Lettere Circolari di don Egidio Viganò ai Salesiani I, Direzione Generale Opere Don Bosco, Roma 1996, p. 8 ]

15 Prefazio dell'Ascensione del Signore I.

16 Michele Rua, Lettera circolare del 19 giugno 1903, in Lettere circolari di Don Miche Rua ai Salesiani, Direzione Generale delle Opere salesiane, Torino, p. 353.

17 Cf. Hans Urs von Balthasar, Teresa de Lisieux. Historia de una Misión, Barcelona, ed. Herder, 1957.

18 Cf. Teresa de Lisieux, Obras Completas, Burgos, Ed. Monte Carmelo, 6a.ed.,1984, pp.952-960.

19Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco. Commento alla lettura delle Costituzioni Salesiane, Roma 1986, p. 653.

20 L'espressione “recitiamo quotidianamente il rosario” era stata collocata, nel CG22, nellarticolo dei Regolamenti che presenta le espressioni tipiche della devozione salesiana a Maria Vergine. Si trova ora nel testo costituzionale, alla fine dell'articolo 92, per espresso desiderio della Santa Sede.

21 Alois Grillmeier, “I Misteri della Vita di Gesù”, in: J.Feiner-M.Loehrer, Mysterium Salutis III, Queriniana, Brescia,1973, p.10.

22 Ibidem, p. 34.

23 Pascual Chávez, Parola di Dio e Vita Salesiana oggi, ACG n. 386 (2004), p. 51.

24 Pascual Chávez, “Da mihi animas, cetera tolle. Identità carismatica e passione apostolica. Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano”, ACG 394 (2006), p. 26.

25 Benedetto XVI, Lettera Enciclica “Spe Salvi”, Roma, 30 novembre 2007, n.50

26 Carlo Maria Martini, Lettera pastorale “La Madonna del Sabato santo” per l’anno 2000-2001

27 Poche volte è stato sottolineato un dettaglio che mi pare significativo: Maria si preoccupa di amare e di servire gli altri più che di pensare a se stessa e alla propria situazione, e ciò provoca a Giuseppe una difficoltà che sarà risolta solo con un altro intervento diretto di Dio: cf. Mt 1,18-21.

28 D. Bertetto, Spiritualità salesiana. Meditazioni per tutti i giorni dell'anno. LAS-Roma, 1974, p. 1058

29 Pascual Chávez, “Da mihi animas, cetera tolle. Identità carismatica e passione apostolica. Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano”, ACG 394 (2006), p. 38.

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