351-400|it|386 Contemplate Cristo ascolatndo la Parola di Dio

LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE

PASCUAL CHÁVEZ


«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,69)
Parola di Dio e vita salesiana oggi

Sommario:

1. Contemplare Cristo ascoltando la Parola di Dio

2. Ascoltare la Parola di Dio da salesiani


2.1 Don Bosco, “sacerdote della Parola”



  - Formazione biblica e ministero pastorale



  - Efficace utilizzazione pedagogica


2.2 I giovani, luogo e ragione del nostro ascolto di Dio

3.  «Non sta bene che noi trascuriamo la parola di Dio» (At 6,2)


3.1  Ascoltare la Parola per fare esperienza di Dio



- Adorare in silenzio



- Rinunciare a farsi immagini di Dio


3.2  Ascoltare la Parola per diventare comunità



- Radunati perché salvati



- Responsabili dei fratelli


3.3  Ascoltare la Parola per rimanere fedeli



- “Fonte di vita spirituale” (Cost. 87)



- “Alimento per la preghiera” (Cost. 87)



- “Luce per conoscere la volontà di Dio negli avvenimenti” (Cost. 87)



- “Forza per vivere in fedeltà la nostra vocazione” (Cost. 87)


3.4  Ascoltare la Parola per diventare apostoli



- Riuscire a creare ambienti di forte impatto spirituale



- Offrire una pastorale di processi di maturazione spirituale

4.  «Come Maria, accogliamo la Parola e la meditiamo nel nostro cuore» (Cost. 87)

 Roma, 13 giugno 2004
Solennità del Corpo e Sangue di Cristo
ACG386


Carissimi confratelli,

      vi scrivo nella solennità del
Corpus Domini, “memoriale” del Signore, mistero della sua vita offerta sulla croce e segno del suo amore incondizi onato per noi. Essa ci ricorda che la Chiesa, come autentica comunità dei credenti, nasce dall’Eucaristia. Tutti restiamo meravigliati dinanzi alla fantasia inaudita di Gesù, che si incarnò per divenire “carne” per noi e comunicarci così la sua vita divina.

Anche se le letture del ciclo C di questa festa ci fanno meditare sul testo lucano della moltiplicazione dei pani, non possiamo tralasciare di considerare il discorso eucaristico di Giovanni, che continua ad essere il più penetrante. Esso ci fa capire che la Parola è veramente diventata carne e che quindi i suoi ascoltatori sono invitati a diventare suoi commensali, oggi come ieri.

Mi auguro che le nostre celebrazioni eucaristiche, in cui Gesù ci nutre alla sua mensa con il pane della Parola e del suo Corpo, possano essere fonte di unità e di fraternità delle nostre comunità, sorgente di passione salvatrice dei giovani; in tal modo noi potremo dare la nostra vita per loro, affinché essi abbiano vita in abbondanza.

Questo è stato il segreto della forza e della santità dei nostri nuovi beati, Don Augusto Czartoryski, Suor Eusebia Palomino, Alessandrina da Costa; in particolare quest’ultima visse gli ultimi tredici anni della sua vita senza nessun altro alimento che la santa comunione. L’Eucaristia è stata la sorgente della robustezza spirituale dei nostri giovani santi, Domenico Savio e Laura Vicuña; la loro fedeltà al Signore si è nutrita della sua Parola e del suo Corpo ed è giunta alla consegna illimitata, sino alla morte a favore degli altri. Questa è pure la nostra strada per diventare autentici discepoli di Gesù.

Essere suoi discepoli, condividendone vita e missione, non è infatti agevole occupazione oggi; non lo è stato mai. I quattro evangelisti raccontano unanimi che a Gesù fu facile –  persino troppo (cf. Mc 1,16-20; Gv 2,1-11) – chiamare alcuni a seguirlo, ma che non gli riuscì di aver li fedeli a lungo accanto a sé (Mc 14,50; Gv 18,15.27).

Il quarto vangelo ci ha lasciato un ricordo, tanto memorabile quanto drammatico, della difficoltà che i più stretti discepoli di Gesù trovarono a restare con lui. Dopo la stupenda moltiplicazione dei pani sul monte davanti a migliaia di uomini (Gv 6,3-14), e dopo l’improvviso e rasserenante incontro sul mare agitato, nel buio assoluto (Gv 6,16-21), Gesù nella sinagoga di Cafarnao si offrì alla folla sfamata e ai discepoli stupiti, come pane di vita disceso dal cielo (Gv 6,35.41). Egli chiedeva loro di credere alla sua parola e mangiare il suo corpo. Per la prima volta, annota il narratore, «molti dei suoi discepoli», sentita la durezza di questo discorso e scandalizzati, «si tirarono indietro e non andavano più con lui» (Gv 6,66; cf. 6,60).

I Dodici, interpellati da Gesù, per mezzo di Pietro espressero la volontà di restare, non perché avessero compreso tale discorso, ma perché non avevano altri autorevoli come lui da cui andare; non perché le parole di Gesù fossero state mitigate, ma perché erano state riconosciute come parole di vita eterna (Gv 6,68). Oggi come ieri, i veri discepoli restano con Gesù, nonostante la durezza del suo discorso, perché non c’è nessun altro che davvero meriti la loro fede e perché solo le sue parole danno speranza alle attese e assicurano vita senza fine.

Cari confratelli, vorrei tanto che tutti noi potessimo ascoltare Gesù come i Dodici, mentre come fecero loro lo aiutiamo a sfamare – di pane e di Dio – i nostri giovani. Avrei un grande desiderio che l’ascoltassimo anche quando, come credenti spaesati o messi alle strette, ci viene incontro mentre siamo immersi nel buio o sommersi dal male. Bramerei tanto che tutti noi dedicassimo un po’ più del nostro tempo ad accogliere Gesù e a sentire la sua parola, «l’unica cosa necessaria» (Lc 10,42), perché abbiamo finalmente  capito che nessuno fuori di Lui ha quelle parole che ci danno speranza e ci fanno vivere oggi e sempre. Vi invito dunque a ripartire da Cristo, Parola di Dio.

  1.  Contemplare Cristo ascoltando la Parola di Dio

Presentando i documenti capitolari –  e quindi l’impegno del sessennio – vi scrivevo che «il futuro della nostra vitalità si gioca sulla nostra capacità di creare comunità carismaticamente significative oggi»; e subito aggiungevo che «la condizione di fondo è il rinnovato impegno della santità» [1] . Infatti, come ci ricorda Giovanni Paolo II, «tendere alla santità è in sintesi il programma di ogni vita consacrata, anche nella prospettiva del suo rinnovamento alle soglie del terzo millennio» [2] .

Vorrei quindi riprendere le mie conversazione con voi sul tema della santità e, facendo un passo in avanti, soffermarmi oggi sulla «centralità della Parola di Dio nella vita comunitaria e personale»
[3] . La misura alta della vita cristiana ordinaria, cui siamo chiamati, «non è concepibile se non a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio» [4] . Se poi «Dio deve essere la nostra prima occupazione» e se «è Lui che ci invia e ci affida i giovani», [5] dovremo avere la sua Parola «quotidianamente fra le mani», [6] affinché, apprendendo «la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8)» [7] , «camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto» (Cost. 34).

Questa mia lettera è la continuazione del cammino che vi ho indicato precedentemente.
[8] La santità, che è il nostro «compito essenziale» [9] e «il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani» (Cost. 25), ha come missione prioritaria quella di dire e dare Dio ai giovani. Inoltre la nostra è una santità consacrata, cioè «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli» [10] ; «prolungamento nella storia di una speciale presenza del Signore risorto» [11] , una «specie di Vangelo dispiegato nei secoli» [12] . Per diventare quello che siamo chiamati ad essere, memoria vivente del Cristo, sacramento della sua presenza nella storia, manifestazione del vangelo al mondo, dobbiamo dedicarci con ferma convinzione ed impiego di risorse alla contemplazione di Cristo.

Infatti, «ogni vocazione alla vita consacrata è nata nella contemplazione, da momenti di intensa comunione e da un profondo rapporto di amicizia con Cristo, dalla bellezza e dalla luce che si è vista splendere sul suo volto. Da lì è maturato il desiderio di stare sempre con il Signore — “È bello per noi stare qui” (Mt 17, 4) — e di seguirlo. Ogni vocazione deve costantemente maturare in questa intimità con Cristo»
[13] .

Incontrarsi oggi con il Cristo Risorto non è sogno irrealizzabile né impresa folle; è grazia possibile, dono a portata di mano. Tutti possiamo trovarLo, «perché
Gesù è presente, vive e opera nella sua Chiesa: Egli è nella Chiesa e la Chiesa è in Lui (cfr Gv 15, 1ss; Gal 3, 28; Ef 4, 15-16; At 9, 5). Egli è presente nella Sacra Scrittura, che in ogni sua parte parla di Lui (cf. Lc 24, 27.44-47)» [14] .

Per venirci incontro, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4) Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazaret; ma prima – in principio – «era il Verbo» (Gv 1,1). Come Parola atemporale e come uomo storico, Dio si è incontrato con noi: nelle Scritture, che sono “incarnazione” del Verbo di Dio, e in Gesù, che è incarnazione del Figlio di Dio, noi ci incontriamo direttamente con Dio, senza più intermediari e di persona. Bibbia e biografia di Gesù non sono che due facce dell’unica incarnazione: il Verbo di Dio si fece carne nel grembo di Maria e diventò libro nella Scrittura; «là coperto dal velo della carne, qui dal velo della lettera»
[15] . Quindi la Scrittura è «un unico libro, cioè Cristo; perché tutta la Scrittura ci parla di Cristo e tutta la Scrittura trova compimento in Cristo» [16] . Con audacia Ignazio di Antiochia scrive: «Mi rifugio nell’evangelo come nella carne di Cristo» [17] . Proprio per questo San Girolamo afferma: «Chi ignora le Scritture non conosce Cristo» [18] .

Per conoscere Cristo non possiamo fare altro che accostarci alla Parola di Dio. La contemplazione di Cristo passa necessariamente, anche se non esclusivamente, per la conoscenza delle Scritture: una conoscenza intima, personale, che avviene nel cuore, perché «soltanto il cuore vede il Verbo»
[19] . Quando è il cuore del credente che legge e quando sono i suoi occhi che scrutano [20] , la Parola scritta diventa Parola vivente e dall’incontro con essa sorge l’identificazione con Cristo. È questo, appunto, il nostro primo impegno, come ha ri cordato il Papa alle persone consacrate: «Ogni realtà di vita consacrata nasce e ogni giorno si rigenera nell’incessante contemplazione del volto di Cristo. La Chiesa stessa attinge il suo slancio dal quotidiano confronto con l’inesauribile bellezza del volto di Cristo suo Sposo. Se ogni cristiano è un credente che contempla il volto di Dio in Gesù Cristo, voi lo siete in modo speciale. Per questo è necessario che non vi stanchiate di sostare in meditazione sulla Sacra Scrittura e, soprattutto, sui santi Vangeli, perché si imprimano in voi i tratti del Verbo incarnato» [21] .

Sostare in ascolto della Parola è dunque condizione per la contemplazione del Cristo, che porta naturalmente all’amore, che a sua volta giunge liberamente e necessariamente a quella resa totale che apre all’accoglienza esclusiva. Marta imparò da Gesù stesso “l’unica cosa necessaria”: dedicarsi all’ascolto della Parola. Ecco la forma migliore di ospitare Dio (cf. Lc 10,42). «Se qualcuno mi ama – ha detto Gesù ai discepoli radunati nell’intimità dell’Ultima Cena – osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23). La familiarità, che nasce dall’incontro personale col Cristo, si nutre con l’ascolto e la pratica della sua Parola (cf. Lc 8,19-21) e si avvia poi verso l’identificazione con la sua persona e la sua missione. «I religiosi –  chiedeva già il Concilio Vaticano II –
seguano Cristo come l’unica cosa necessaria, ascoltando le sue parole e pieni di sollecitudine per le cose sue» [22] .

A ragione il CG25, affermando che «oggi più che mai le nostre comunità sono chiamate a rendere visibile ai giovani specialmente i più poveri e bisognosi il
primato di Dio, che è entrato ne lla nostra vita, ci ha conquistati e ci ha messi al servizio del suo Regno» [23] , ci ha  orientato a «mettere Dio come centro unificante» della nostra vita comune e quindi a favorire «la centralità della Parola di Dio nella vita comunitaria e personale» [24] . Questo è il principale orientamento dei tre aspetti fondamentali, su cui il CG25 ha concentrato l’attenzione [25] ; esso ha voluto così sollecitare la Congregazione ad assecondare l’invito della Chiesa, tante volte ripetuto, di un ritorno all’ascolto della Parola, per familiarizzarsi con le esigenze di Cristo e diventare famiglia di Dio (cf. Mc 3,31-35).

Se, dunque, «la vita spirituale dev’essere al primo posto» nella nostra vita consacrata, se «da questa opzione prioritaria… dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni»
[26] , non c’è dubbio che la prima sorgente di essa sia la Parola di Dio. Essa «alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà… Dalla meditazione della Parola di Dio, e in particolare dei misteri di Cristo, nascono… l’intensità della contemplazione e l’ardore dell’azione apostolica» [27]

2.  Ascoltare la Parola di Dio da salesiani

Tra noi salesiani è ferma convinzione che, anche se «il vangelo è unico e il medesimo per tutti», esiste «una
lettura salesiana del Vangelo, da cui deriva una maniera salesiana di viverlo» [28] . Al vangelo si sono costantemente riferiti i fondatori per accogliere la vocazione, discernere il carisma e individuare la missione propria dei loro Is tituti [29] . Pure Don Bosco «ha rivolto lo sguardo a Cristo per cercare di rassomigliargli nei lineamenti del volto che più corrispondevano alla sua missione provvidenziale e allo spirito che la deve animare» [30] ; nell’art. 11 delle Costituzioni vengono enumerati, appunto, questi tratti della figura del Signore ai quali “siamo più sensibili nella lettura del Vangelo”.

Ci sentiamo riconoscenti con Dio, perché sappiamo che è «dono dello Spirito Santo» aver riscoperto le «stesse percezioni evangeliche» – cioè, quel «certo “modo salesiano” di intuire il volto e la missione di Cristo»
[31] – che aveva Don Bosco. Nel suo tempo egli «ha fatto la sua lettura salesiana; dietro di lui, nella sua corrente, alla sua luce, in spirito filiale, noi dobbiamo fare oggi, per la nostra vita attuale, la nostra lettura salesiana del Vangelo» [32] . Questo approccio alla Parola di Dio, specificamente salesiano, appartiene a quella “sensibilità carismatica” di cui noi, come vi ho scritto, «siamo coscienti e fieri» [33] . Mi azzarderei a dire di più, e per farlo prendo le parole del CGS: «il nostro patrimonio spirituale è prima di tutto in questa lettura del Vangelo» [34] .

Conoscere più profondamente il Cristo del Vangelo, nel modo con cui Don Bosco l’ha compreso, darà garanzia di salesianità alla nostra contemplazione di Cristo; è proprio quello che ho cercato di fare recentemente, invitandovi a vivere da salesiani “contemplando Cristo con lo sguardo di Don Bosco”
[35] . L’esperienza personale di Cristo, che Don Bosco ha vissuto, è la chiave per l’interpretaz ione salesiana della Parola di Dio; ciò significa che la vita e l’opera di Don Bosco sono per noi “una Parola di Dio incarnata” [36] , una lettura vissuta e carismaticamente normativa della Parola di Dio.

2.1  Don Bosco, “sacerdote della Parola”

Al tempo in cui visse Don Bosco, la Bibbia non aveva una presenza forte nel contesto ecclesiale e culturale; la Scrittura non era considerata il primo tra i libri della fede. Pur non essendo del tutto assente dal vissuto cristiano, essa era raggiungibile indirettamente attraverso la mediazione ecclesiale, quasi esclusivamente liturgica o catechetica; nella sua interpretazione si privilegiava poi l’applicazione edificante ed il senso accomodato.
[37]

Formazione biblica e ministero personale

L’insegnamento religioso che Mamma Margherita impartì, o meglio fece respirare, a Giovannino, anche se forse non aveva riferimenti espliciti alla Bibbia, era intriso di sensibilità e richiami biblici, che esprimevano «il sentimento vivo della presenza di Dio, la candida ammirazione delle opere sue nel creato, la gratitudine per i suoi benefici, la conformità ai suoi voleri, il timore di offenderlo»
[38] . Il Dio di Don Bosco è, come quello biblico, un Dio personale, che si nasconde oltre la realtà, della quale è l’origine e la meta; è un Dio al quale si arriva negli avvenimenti, del quale si parla raccontando fatti, al quale si serve nel quotidiano [39] .   

Della formazione biblica di Don Bosco durante gli anni di Seminario si possono ricavare scarsi elementi e poco significativi; lo studio della Sacra Scritt ura doveva avere un’importanza alquanto marginale. Nelle Memorie dell’Oratorio Don Bosco elenca una serie di letture bibliche in cui egli si era impegnato e accenna al suo amore per le lingue greca ed ebraica
[40] ; dei frutti di questo studio le Memorie Biografiche offrono varie testimonianze, forse con qualche punta di esagerazione. [41] Negli scritti di Don Bosco noi  troviamo numerose citazioni della Scrittura; il suo utilizzo è per lo più di carattere edificante: «Quando la Scrittura non viene incorporata come pagina narrativa, ma come sentenza sommamente accreditata, in genere è assunta in senso morale, spesso anzi in senso estensivo (…) o arditamente accomodatizio (…)» [42] .

Ricercato come predicatore per avere «molta facilità ad esporre la parola di Dio», Don Bosco afferma inoltre che il suo modo di predicare «incominciava con un testo scritturale»; l’efficacia del suo dire era dovuta, oltre che alla dottrina e all’accentuazione spirituale, all’abitudine di «poggiarsi sulla S. Scrittura e sui Santi Padri»
[43] . Va ricordato, perché significativo, che la grazia chiesta “ardentemente” nella sua prima messa fu l’efficacia della parola; «mi pare – scrisse sul finire della vita – che il Signore abbia ascoltato la mia umile preghiera» [44] .

Anche se non escluderà che la Bibbia sia “la parola di Dio” per eccellenza, Don Bosco, d’altronde come i suoi contemporanei, utilizza di solito l’espressione per indicare tutto l’insegnamento della Chiesa
[45] . Cristiano, scrive, è colui che ha «la Divina Parola per guida» [46] . «La parola di Dio è detta luce, perché illumina l’uomo e lo dirige nel credere, nell’operare e nell’amare. È luce perché sminuzzata e ben insegnata mostra all’uomo quale strada debba battere per giungere alla vita eterna e felice. È luce perché calma le passioni degli uomini, le quali sono le vere tenebre, tenebre folte e pericolose tanto da non potere essere diradate se non dalla parola di Dio. È luce perché, a dovere predicata, infonde i lumi della grazia divina nel cuore degli uditori e fa loro conoscere la verità della fede» [47] .

Efficace utilizzazione pedagogica 

La relativa importanza dello studio della Sacra Scrittura durante gli anni di seminario rende ancora più impressionante – ed assai suggestivo – il modo con cui Don Bosco seppe valorizzare il dato biblico nella sua attività educativa. Il riferimento alla “parola di Dio” nella sua pedagogia fu costante; Don Bosco costruì la santità dei suoi giovani su una solida evangelizzazione, fondata nella “parola di Dio” e da essa rischiarata.

Nella vita di Domenico Savio, quando Don Bosco ne descrive la crescita spirituale, nota ad un tratto: «Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell’uomo per la strada del cielo». Parlando della premura di Domenico di farsi spiegare ciò che nella Sacra Scrittura non capiva, aggiunge: «Di qui ebbe cominciamento quell’esemplare tenore di vita, quel continuo progredire di virtù, quell’esattezza nell’adempimento de’ suoi doveri, oltre cui non si può andare»
[48] . Ed infatti, nel regolamento della compagnia dell’Immacolata, compilato dal Savio, al punto 12° si legge: «Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio, e ne riandremo le verità ascoltate» [49] .

L’opera in cui Don Bosco dimostra maggiormente la sua sensibilità biblica in prospettiva educativa è certamente la
Storia Sacra. Nella Prefazione egli motiva l’edizione di una nuova Storia Sacra, evidenziando innanzitutto i difetti delle altre in circolazione: troppo voluminose o troppo brevi, carenti di riferimenti cronologici e di sensibilità pedagogica. Inoltre prospetta in positivo le qualità del suo testo: presentazione accurata di tutte le notizie più importanti dei libri sacri; attenzione a non risvegliare nei giovani idee meno opportune; accessibilità del testo a qualsiasi giovane, a tal punto da potergli dire: prendi e leggi. Don Bosco aggiunge che è arrivato a questo risultato in seguito ad una lunga e concreta sperimentazione a contatto con i giovani, studiando con attenzione le reazioni che in essi poteva destare la sua presentazione. [50]

Un altro testo, che rivela l’importanza attribuita da Don Bosco alla Bibbia, è il
Giovane Provveduto, un testo sul quale è stato detto che «per l’ascetica ha il valore che le pagine del “Sistema Preventivo” hanno in pedagogia», che è «il programma e il proclama della spiritualità proposta da Don Bosco ai giovani, a cui il Santo si mantenne fedele fino all’ultimo dei suoi giorni» [51] . Don Bosco stesso lo presenta come “libro di devozione adattato ai tempi”: «ho procurato – scrive – di compilare un libro adatto alla gioventù, opportuno per le loro idee religiose, appoggiato sulla Bibbia, il quale esponesse i fondamenti della religione cattolica colla massima brevità e chiarezza» [52] . Difatti, analizzando le indicazioni che Don Bosco dà ai giovani si constata che esse sono “appoggiate” su più di 40 citazioni bibliche, anche se non tutte esplicite.

Una speciale “intonazione biblica” di fondo è stata individu ata da uno storico un po’ critico nel modo stesso di raccontare di Don Bosco.
[53] Da buon educatore ed eloquente comunicatore, Don Bosco ha saputo servirsi con fantasia dei mezzi di comunicazione che aveva a disposizione: gioco, musica, teatro, passeggiate, liturgia, feste, … Uno di essi erano le scritte, tratte dalla Bibbia, che volle fossero poste sotto i portici di Valdocco. «Voleva – commenta il biografo – che perfino le mura della sua casa parlassero della necessità di salvarsi l’anima». [54]

 Determinante per il ricorso di Don Bosco alla Bibbia nella sua opera educativa è stata, crediamo, la ragione teologica: la Bibbia è il libro sacro per eccellenza. Inoltre hanno pesato anche altri motivi: l’educazione ricevuta in famiglia, satura di religiosità genuina e quindi sostanzialmente biblica; le sue misteriose esperienze del soprannaturale, che si manifestano per esempio nei sogni e che sono marcatamente bibliche; il suo temperamento e la sua inclinazione per studi positivi, sia storici che esegetici; un po’ meno forse l’impostazione culturale e l’esperienza formativa del Seminario. In lui il ricorso alla Bibbia ha una finalità morale ed educativa; serve a indirizzare la risposta dell’uomo all’azione di Dio.

Come sacerdote e pedagogo, Don Bosco mise la Parola di Dio al centro del suo lavoro apostolico, sì da essere stato chiamato “sacerdote della parola”. «Operaio della parola – scriveva Don Ceria – è chi fa con la parola opera sua e per gusto e volere suo; sacerdote della parola diremo invece chi esercita con la parola un ministero, il
ministerium verbi…, un uso sacro della parola, fatto in nome di Dio e a spirituale servizio del prossimo, per dovere di vocazione» [55] .

2.2 &n bsp;  I giovani, luogo e ragione del nostro ascolto di Dio

Servire la Parola per dovere di vocazione! Ecco una indovinata ed opportuna descrizione della meta, e del motivo, dell’
evangelizzazione salesiana, la quale ovviamente esige una previa lettura salesiana del vangelo. Noi salesiani, «evangelizzatori dei giovani», ha scritto il CG21, «accompagniamo quest’opera accettando innanzitutto l’evangelizzazione di noi stessi. Immersi nel mondo, siamo spesso tentati dagli idoli e sappiamo di avere incessantemente bisogno di ascoltare la parola di Dio, di convertici ad essa» [56]

Come leggere il vangelo e perché farlo
da salesiani? Per leggere oggi il vangelo come Don Bosco e aggiornarne le scelte, dobbiamo sentirlo all’interno della tradizione salesiana da lui originata; è in essa che si sono mantenute e sviluppate, approfondite e realizzate le sue intuizioni evangeliche. «La fedeltà dinamica e viva della Congregazione alla sua [di Don Bosco] missione nella storia» [57] è il primo e miglior avallo per garantire la salesianità del nostro ascolto della Parola di Dio.

La lettura salesiana della Scrittura non dipenderà solo da un’accurata esegesi scientifica, per quanto fondata ed aggiornata sia, ma innanzitutto dalla fedeltà rinnovata alla nostra missione: i giovani (Cost. 3). Le loro necessità muovono ed orientano la nostra azione pastorale (Cost. 7); e noi, «con Don Bosco, riaffermiamo la preferenza per “la gioventù, povera, abbandonata, pericolante”, che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata» (Cost. 26). Il salesiano, che leggendo la Bibbia vuole ascoltare Dio, si mette a sentire la voce dei giovani, i loro bisogni e le loro aspirazioni, i loro silenzi e le lor o speranze, le loro mancanze e i loro sogni; i giovani sono, in effetti, «l’altra fonte della nostra ispirazione evangelizzatrice»
[58] .

«Mandato ai giovani da Dio» (Cost 15), il salesiano si fa presente tra loro con «un atteggiamento di fondo: la simpatia e la volontà di contatto» (Cost. 39). La missione lo spingerà a «raggiungerli nel loro ambiente e ad incontrarli nel loro stile di vita» (Cost. 41);  li accoglierà «al punto in cui si trova la loro libertà» (Cost. 38). Questa immancabile presenza apre il salesiano «alla conoscenza vitale del mondo giovanile» (Cost. 39); così il salesiano, «immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale», impara a «incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato» (Cost. 95) e a «riconoscere l’azione della grazia nella vita dei giovani» (Cost. 86), come fece Don Bosco.

Perciò non possiamo mai esiliare dai nostri cuori o abbandonare nelle nostre opere i giovani. Essi sono la «patria della nostra missione»
[59] . Fanno parte del nostro “credo” salesiano: «Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza della vita. Il momento educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui» [60] . Se vogliamo vivere contemplando Dio, se siamo disposti a udire la sua voce e ascoltare la sua Parola, dobbiamo restare con i giovani, essere in mezzo a loro. Allora Dio ci parlerà chiaro. Infatti, «stiamo tra i giovani perché vi ci ha inviati Dio, e scrutiamo la loro condizione giovanile in tutta la sua problematica perché, attraverso essa, è Cristo stesso che ci interpella» [61] .

Per trovarsi con Dio e ascoltare la sua Parola, non c’è dunque bisogno di lasciare i giovani, affettiva e/o effettivamente, e di abbandonare la missione salesiana; essa, realizzata in rappresentanza e sotto il mandato di Cristo, è il miglior motivo per andare da Lui e restare con Lui. Mai, nemmeno nei momenti più contemplativi, può scomparire dall’orizzonte della comunità salesiana la visione dei giovani da salvare!
[62] Quando Gesù accolse i suoi discepoli, che ritornavano entusiasti dalla loro prima missione apostolica, prima di invitarli in disparte per riposarsi, si lasciò dire «tutto ciò che avevano fatto e ciò che avevano insegnato» (Mc 6,30). Essere con i giovani, sentire le loro urgenze e consentire alle loro richieste, non può diventare ostacolo né vera scusa, per cercare Dio e accogliere la sua Parola. Da chi impareremo la compassione per i giovani poveri, abbandonati e pericolanti, se non contempliamo la passione di Cristo per loro e non sentiamo le “molte cose” che Egli ha da dirci (cf. Mc 6,34)?

Ebbene, imitare Don Bosco, ministro della Parola, e sapersi “missionari dei giovani”
[63] , sono le condizioni previe e necessarie per ascoltare Dio da salesiani e contemplare il Cristo. Lo diceva già il CGS con altre parole: «conoscere più profondamente il Cristo del Vangelo e il modo con cui Don Bosco l’ha compreso e imitato… ci rende capaci di riattualizzare le intuizioni evangeliche dello spirito salesiano e di potenziarle secondo le nuove possibilità e gli immensi bisogni del mondo odierno» [64]

3.  «Non sta bene che noi trascuriamo la parola di Dio» (At 6,2)

Mi è sembrato sempre suggestivo e lungimirante il racconto del libro degli Atti, in cui si narrano le difficoltà sorte all’interno delle prime comunità cristiane e la immediata e paradigmatica reazione apostolica: «Non sta bene che noi trascuriamo la parola di Dio per servire alle mense. Cercate piuttosto in mezzo a voi, o fratelli, sette uomini di buona fama, pieni di spirito e di sapienza, che noi preporremo a questo servizio. Così noi ci dedicheremo pienamente alla preghiera e al ministero della parola» (At 6,2-4).

La Chiesa di Gerusalemme, per il successo conosciuto nell’opera di evangelizzazione (At 2,14-41; 3,12-26; 5,12-16), dovette affrontare presto l’ostilità dell’autorità (At 4,1-22; 5,7-33), e soffrire gravi problemi interni, che misero alla prova la sua vita fraterna (At 2,41-47; 4,32-35) e persino la sua sopravvivenza. La crisi interna alla comunità fu in realtà più pericolosa delle persecuzioni: lo scontro che metteva a rischio il vivere insieme dei due gruppi etnici di credenti – “ellenistici” ed “ebrei” – era soprattutto di origine sociale (At 6,1). Di fronte alla minaccia di divisione nella comunità, gli apostoli decisero di creare qualcosa di nuovo, il
diaconato – la prima istituzione ecclesiale – un servizio alle mense comunitarie, che risanasse la fraternità e saldasse l’unità. Da allora in poi, non avendo più a che fare con la quotidiana distribuzione di beni, essi determinarono di dedicarsi esclusivamente all’ufficio apostolico. Da una crisi comunitaria sorse così non solo un nuovo ministero ecclesiale in favore della carità, ma soprattutto si realizzò una vera “conversione” negli apostoli, che ritornarono alle loro competenze più specifiche: la pratica della preghiera e il ministero della parola.

Oltre ad essere esemplare, quella reazione apostolica rimane anche oggi normativa. Ricordiamo l’episodio appunto perché è parola di Dio. Chi nella comunità cristiana si dedica alla predicazione, mette in salvo l’unità della fede restaurando la carità; ma poi è necessario che ritorni alle attività che meglio lo contraddistinguono: pregare e servire la Parola. Gli apostoli, che vedono minacciati i loro sforzi di evangelizzazione, sono costretti a tornare all’essenziale; alcune mansioni possono essere delegate ad altri, mai la preghiera e la predicazione. Neppure la cura della vita comune può portare un apostolo a trascurare preghiera e parola di Dio: qualsiasi altro impegno assunto, anche se urgente, deve passare ad altre mani. Per i Dodici divenne chiaro che avevano il compito di custodire e garantire la vita comune dei credenti, senza trascurare però preghiera e Parola, altrimenti avrebbero tradito il ministero apostolico loro affidato. 

Qualcuno di voi potrebbe accennare al fatto – che, se avvertito, non sempre è ben capito – che sembrerebbe contraddire quanto vi sto scrivendo: nelle nostre Costituzione, infatti, il capitolo VII, «che tratta della preghiera salesiana, intesa nel suo significato più profondo di dialogo con il Signore», è stato collocato alla fine della seconda parte, «come sintesi conclusiva dell’intera descrizione del progetto salesiano»
[65] .

Ebbene, «sarebbe un errore interpretare questa collocazione come una diminuzione dell’importanza data alla preghiera, sotto il pretesto che viene trattata “dopo” i temi della missione (cap. IV), della comunità (cap. V) e dei consigli evangelici (cap. VI). Al contrario! Dando alla preghiera questo posto conclusivo, il CG22 ha voluto far percepire che la vita consacrata-apostolica del salesiano… ha un carattere talmente soprannaturale, supera talmente la nostra buona volontà da essere impossibile e impraticabile senza lo Spirito Santo, senza la grazia di Dio… Viene suggerito inoltre che tutti gli impegni concreti della vita e dell’azione del salesiano sono d estinati a “sbocciare” nella preghiera e “diventare” anch’essi comunione profonda con Dio»
[66] .

«La preghiera è l’anima dell’apostolato, ma anche l’apostolato vivifica e stimola la preghiera»
[67] . Non c’è quindi contraddizione tra missione e contemplazione, vita apostolica e vita di preghiera; al contrario, quella scaturisce da questa e da essa si alimenta; infatti, il nostro progetto di vita e la nostra missione apostolica sono nati da Dio (cf. Cost. 1) e in Dio sempre rinascono. È così che la vita di preghiera, che per noi è dono di Dio e risposta a Lui (cf. Cost. 85), mantiene l’intimo legame con ogni elemento della nostra vocazione e resta il suo stimolo permanente: chi tralascia di ascoltare Dio, chi non ha tempo per Lui, prima o dopo lascerà i giovani (azione pastorale), trascurerà la vita comune (comunione fraterna) e abbandonerà la sequela di Cristo (consigli evangelici). Cari confratelli, ritorniamo a Dio, «avendo quotidianamente in mano la Sacra Scrittura» (Cost. 87) e la missione salesiana tornerà ad essere per noi gioia e ragione della nostra vita consacrata.

3.1  Ascoltare la Parola per fare esperienza di Dio

Per quanti credono, ascoltare Dio non è occupazione saltuaria né gradevole passatempo, ma necessità ineludibile. Il tratto che meglio definisce il Dio vero è la sua volontà di manifestarsi, il suo impegno di venire incontro agli uomini mediante la sua parola, prima e ripetute volte attraverso i profeti, poi e in modo definitivo nel Figlio (Eb 1,2). «Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf. Col 1,15; 1 Tim 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione c on sé»
[68] .

La Parola non solo svela l’esistenza di Dio, ma è innanzitutto la sua stessa essenza: Dio è Verbo (Gv 1,1-4); diversamente dai falsi dèi, «che hanno bocca e non parlano ... non emettono suoni dalla loro bocca» (Sal 115,5.7), l’unico Dio ha una voce vigorosa, maestosa, sconvolgente, scuotente (cf. Sal 29,3-9); a differenza degli idoli muti (1 Cor 12,2) che ammutoliscono i loro servitori (cf. Sal 115,8), Dio fa parlare chi lo ascolta: i suoi uditori diventano profeti!
(Am 3,8; cf. Ger 1,6.9; Is 6,5-7; Ez 3,1). E mentre arriva il giorno in cui vedremo Dio “faccia a faccia” (1 Cor 13,12), ci sprona la certezza che noi non dobbiamo cercare invano, come se Egli parlasse in segreto (Is 45.19); raggiungiamo invece Dio nella sua Parola e lo incontriamo nel suo Figlio: «Dio nessuno l’ha mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).

Per avvicinarsi e incontrarsi con la Parola, occorrono particolari atteggiamenti spirituali: non basta «rendere presente la Parola nella sua nuda oggettività, perché si renda presente la potenza stessa di Dio»
[69] ; al Dio che parla «è dovuta l’obbedienza della fede» [70] . Per incontrare Dio abbiamo dunque bisogno di sottometterci alla disciplina dell’ascolto, che impone due atteggiamenti di fede oggi non tanto apprezzati, ma che assicurano indefettibilmente l’incontro col Dio Parola: l’adorazione silenziosa come condizione previa e la rinuncia a farsi immagini di Dio.

Adorare in silenzio

«Taci e ascolta, Israele» (Dt 27,9). Il tono imperioso del mandato biblico non lascia spazio al dubbio: chi vuole ascoltare Dio, deve amare il silenzio. San Giovanni della Croce spiega così questa regola di vit a spirituale: «il Padre pronunciò una Parola, che fu suo Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio; perciò in silenzio essa deve essere ascoltata dall’anima»
[71] . La supremazia di Dio viene riconosciuta ed accettata dal credente, innanzitutto, «con l’adorazione silenziosa e con la prolungata preghiera» [72] .

Il commento all’articolo 87 del nostro Progetto di Vita è molto esplicito: «Il primo atteggiamento della comunità orante non è quello di parlare: come per ogni credente, è anzitutto quello di tacere per ascoltare»
[73] . Restare in silenzio davanti a Dio non è tempo perso, vuoto di lavoro e di senso, ma espressione dello stupore che Egli provoca in noi e segno dell’adorazione e del rispetto che Egli merita. Senza silenzio esterno, assenza di voci, suoni e rumori, e soprattutto senza quel silenzio interiore, che mette a tacere i nostri desideri e la voglia di vivere da e per se stessi, non trova in noi spazio la Parola di Dio, né accoglienza cordiale: Il Maestro, diceva Sant’Agostino, parla dentro al cuore, insegna nell’intimità, rendendo inutili le voci che vengono dal di fuori. [74]

Se da parte di Dio in principio c’era la Parola e in questa Parola ci è stata donata grazia e verità (Gv 1,1.14), da parte nostra il silenzio riverente ed accogliente deve stare all’inizio. È questo un silenzio attivo, che sta in attesa della Parola desiderata e si stacca da tutte le altre voci; è un silenzio pieno, che sa di essere alla presenza di un Dio adorabile e resta, come il servo, con gli occhi rivolti verso il suo padrone (cf. Sal 123,2). «Che cosa Dio possa dire all’uomo, con quanta intensità, con quale forza comunicativa non può essere anticipato, determinato, deciso dall’uomo. L’unica anticipazione, l’unica decisione, che compete all’uomo, è quella del silenzio pieno di attesa, di rispetto, di obbedienza»
[75] . Per vivere oggi da credenti, si deve poter convivere col silenzio; riempire la vita di parole e frastuono è prendere la strada dell’incredulità: «ciascuno è invitato a riscoprire nel silenzio e nell’adorazione la sua chiamata ad essere persona davanti a un Tu personale che lo interpella con la sua Parola» [76]

Rinunciare a farsi immagini di Dio

«A chi paragonerete Dio? Quale immagine
gli potete trovare?», domanda Isaia (40,18). Poiché Dio è Parola (Gv 1,1), l’ascolto è l’unico modo di trovarlo, la conversazione la forma di trattenersi con lui. Il vero Dio non si lascia vedere, neppure dagli amici più stretti (cf. Es 33, 18-20), quelli che, come Mosè, sono riusciti a parlare con lui “faccia a faccia” (Es 33,11; Dt 34,10). Anzi il vero Dio proibisce tassativamente perfino che si facciano immagini di Lui (Es 20,4; 2 Re 11,18).

Al credente è vietato procurarsi immagini di Dio, sia quelle fabbricate con le proprie mani sia quelle concepite con l’immaginazione (Dt 4,16-18; 1 Re 14,9: Os 13,2) o con i desideri del cuore (cf. Es 32,1); niente di quanto è opera di mani umane (Sal 115,4), può riflettere la gloria del Dio vivente. Farsi un’immagine di Dio è convertirlo in un idolo senza vita (Sal 115,2-4). Forgiare una rappresentazione di Dio a misura delle proprie necessità non libera né dà sollievo (Es 32,1-8), anzi aumenta la fatica. Israele, che vuole un dio «che vada davanti» a sé (Es 30,2), è poi costretto a trasportare quello che ha piedi ma non può camminare (cf. Am 5,26). Ecco la tragica conseguenza di non accogliere il Dio Parola: si  finisce per crearsi immagini di Dio  e diventare come l’opera della propria mente e delle proprie mani: muto, cieco, senza alito né vita (Sal 115,8).

Chi vuole sentire Dio, lo deve ascoltare, cioè deve «vedere la Parola» (cf. Dt 4,9), «guardando le Scritture come il volto di Dio», «imparando a riconoscere in esse il cuore di Dio»
[77] .  L’incontro con Dio nella Bibbia è un avvenimento sensibile, ma non visuale; non sono coloro che vedono, ma sono coloro che ascoltano la Parola e la conservano, a riuscire a trovare Dio e rendersi suoi intimi. Sant’Agostino afferma che soltanto gli occhi del cuore riescono a vedere il cuore della Parola. [78] Per guidarci con la sua Parola, per alimentarci con le sue promesse, Dio non permette che ci facciamo figure sue. 

3.2  Ascoltare la Parola per diventare comunità

«Dio raduna la nostra comunità e la tiene unita con il suo invito, la sua Parola, il suo amore» (Cost. 85). Questa affermazione costituzionale rispecchia fedelmente una convinzione basilare della fede biblica, quella che più esplicitamente ripete l’articolo 87: «Il popolo di Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della Parola del Dio vivente».

Infatti quando Dio parla, raduna coloro che lo ascoltano; il suo popolo nasce convocato dalla Parola e nel suo ascolto rimane congregato. Prima di introdursi nella terra promessa, Mosè ammonì tutto Israele: «Oggi sei divenuto un popolo per il Signore tuo Dio. Ascolterai la voce del Signore tuo Dio» (Dt 27,9-10). E Gesù dichiarò suoi familiari non quelli che, fermatisi di fuori, mandavano a chiamarlo, ma quelli che, in cerchio attorno a lui, lo ascoltavano e facevano quel che diceva (Mc 3,31-35). Stare a sentire Dio è l’origine e la causa del vivere insieme. Si diviene credenti accogliendo la Parola di Dio e si resta cre denti vivendo la fede in comune. 

Radunati perché salvati

La vita in comune è per il popolo di Dio il modo di vivere la salvezza di Dio; vivere congregati significa essere salvi dai mali e liberi da se stessi. Israele imparò questo attraverso un lungo e amaro tirocinio nel deserto (Es 17,1-17.25): in una terra di nessuno, soltanto Dio lo poteva mantenere unito e libero (Dt 7,4; 8,14; 11,2-28); soltanto alimentato dalla sua Parola riuscì a sopravvivere (Dt 8,3); e quando i profeti sogneranno una nuova salvezza, annunzieranno un nuovo e definitivo raggruppamento dei dispersi (Is 43,5; Ger 23,3; 29,14; 32,27; Ez 11,17; 34,14; 36,24), che sarà compiuto quando uno dovrà morire per l’intera nazione, «per radunare
insieme nell’unità i figli dispersi di Dio» (Gv 11,52).

Se dall’ascolto della Parola nasce il popolo di Dio, nessuno può illudersi di sentire Dio senza sentirsi membro della comunità dei suoi ascoltatori. Poiché la Parola di Dio ascoltata fa sorgere la comunità, la forma migliore di rispondere a Dio è quella di rendersi responsabili della vita comune. Questo criterio ci invita ad irrobustire il senso di appartenenza alla comunità, che è radunata «per mezzo della Parola di Dio» (Cost 87), ad andare incontro a Lui accompagnati dai confratelli, ad ascoltarLo insieme. Solo nella comunità, nata e mantenuta dalla Parola di Dio, si può accedere ad essa: difatti solo in assemblea noi credenti confessiamo che la lettura della Scrittura è Parola del Dio vivente.

Sfuggire il dialogo tra fratelli, scappare dal vivere insieme, evitare la convivenza quotidiana e la preghiera comune, fa sì che non soltanto i confratelli ci sembrino lontani, ma che anche Dio ci diventi estraneo, uno che in fin dei conti non significhi m olto.  Diversa è  l’esperienza di chi sente Dio, perché si sente fratello e trova gioia nell’impegno di vivere insieme ed ascoltare Dio. La Genesi ci ricorda che la pretesa di Adamo di nascondersi da Dio, il suo rifiuto di incontrarlo e rispondergli (Gn 3,8-9), gli fece sperimentare il frutto amaro della morte dei suoi cari e la rottura dell’unità della sua famiglia. Dio e la sua Parola rendono possibile la vita insieme, perché ci fanno scoprire fratelli. La vita fraterna dipende sì dalla buona volontà e collaborazione di tutti i membri della comunità, ma soprattutto dal comune ascolto di Dio: «la fraternità non è solo frutto dello sforzo umano, ma è anche e soprattutto dono di Dio. È dono che viene dall’obbedienza alla Parola di Dio»
[79]

Responsabili dei fratelli

La comunità, luogo dell’ascolto di Dio, è dunque anche spazio di fraternità; ad essa siamo stati inviati, in essa ci sono affidati fratelli da amare (cf. Cost. 50). Non c’è da meravigliarsi perciò che quando Dio viene per incontrarci, ci domandi conto dei nostri fratelli. Questa è stata l’esperienza di Caino (Gn 4,9) che, non accettando la missione d’essere custode del suo fratello Abele, rifiutò la compagnia di Dio (Gn 4,10), anche se questo non lo liberò da Dio e dalle sue domande. 

Dandoci “fratelli da amare”, Dio ci ha affidato la loro custodia come compito. La nostra obbedienza a Dio trova il suo banco di prova nella nostra responsabilità verso i confratelli che ci sono affidati. Da una parte è molto bello che Dio si prenda cura di noi, mettendoci sulla strada dell’amore come via di crescita, la via più eccellente secondo San Paolo (1 Cor 12,31). Dall’altra, è un’avvertenza quanto è accaduto a Caino: chi non sa rispondere di suo fratello, si trasforma in straniero nella sua terra e nella propria casa (Gn 4,14).

Se diamo ai nostri fratelli l’attenzione che meritano, specialmente a coloro che sono o si sentono lontani, oltre al fatto di verificarci come buoni pastori troveremo il posto e le parole per conversare con Dio. Nel Discorso della Montagna Gesù ci rammenta che l’incontro con Dio esige, come condizione previa, una fraternità non frantumata o, se infranta, restaurata (cf. Mt 5,20-24).

Come afferma la prima lettera di Giovanni,  «chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (4,20). Accettare chi vive accanto a noi come “qualcuno che ci appartiene”, soggetto a cui vanno le nostre attenzioni, ci dispone favorevolmente ad attendere Dio e ricevere le sue attenzioni. Se vogliamo fare della nostra vita comune luogo dell’ascolto di Dio, essa deve essere, prima e sempre, casa dove il fratello è accolto con cuore aperto, accettato com’è, provvisto di ciò che gli occorre, sostenuto nei momenti di difficoltà (cf. Cost. 52).

3.3  Ascoltare la Parola per rimanere fedeli

«La fede nasce dall’ascolto», scriveva San Paolo ai Romani (Rm 10,17). L’approccio orante alla Parola di Dio costituisce «la radice della spiritualità della Chiesa, la radice della spiritualità cristiana, e non è esclusiva di una o di un’altra spiritualità. Una spiritualità cristiana non basata sulla Scrittura difficilmente potrà sopravvivere in un mondo complesso come quello moderno, in un mondo difficile, frantumato, disorientato»
[80] . Anche noi salesiani a stento riusciremo a mantenerci oggi credenti, se non facciamo dell’ascolto della Parola di Dio la prima occupazione della nostra vita, la sorgente della nostra missione. Lo riconobbe già con audace sincerità il CGS quando avvertiva che il salesiano, nella molteplicità delle sue occupazioni, può incontrare ostacoli all’ascolto. «Tentato dalla fretta e dalla superficialità, troverà il segreto del suo rinnovamento soprattutto nella Parola di Dio seriamente approfondita» [81] .

Per risvegliare e alimentare la fede «è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale», quello appunto «che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza»
[82] . «È lì infatti che il Maestro si rivela, educa il cuore e la mente. È lì che si matura la visione di fede, imparando a guardare la realtà e gli avvenimenti con lo sguardo stesso di Dio, fino ad avere “la mente di Cristo’”(1 Cor 2, 16)» [83] . Cos’altro è la fede se non contemplare se stessi e scrutare la realtà con lo sguardo di Dio? E per vedere la realtà come la vede Dio, bisogna pure sentire il parere di Dio, accogliere la sua Parola. Accolta la Parola, «viva ed efficace» com’è (Eb 4,12), essa diventa vita nostra e le promesse di Dio si realizzano in noi e attraverso noi nel mondo.

Vi commento ora brevemente «i benefici della Parola ascoltata nella fede»
[84] , come sono presentati nella nostra Regola di Vita (cf. Cost. 87).

“Fonte di vita spirituale” (Cost. 87) 

«La Parola di Dio è la prima sorgente di ogni spiritualità cristiana. Essa alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà salvifica e santificante»
[85] . Dall’ascolto della Parola scaturisce la vita nello Spirito; sotto la sua azione «vengono difesi con tenacia i tempi di orazione, di silenzio, di solitudine e si implora dall’Alto con insistenza il dono della sapienza nella fatica di ogni giorno (cf. Sap 9, 10)»; [86] ed è così che «la persona consacrata ritrova la propria identità ed una serenità profonda, [e] cresce nell’attenzione alle provocazioni quotidiane della Parola di Dio» [87] .

Strumento di eccezione per la crescita nell’ascolto della Parola è la
lectio divina; essa è un metodo di lettura credente della Scrittura, utilizzato fin dagli inizi della vita religiosa, che in essa ha sempre goduto della «più alta considerazione. Grazie ad essa, la Parola di Dio viene trasferita nella vita, sulla quale proietta la luce della sapienza, che è dono dello Spirito» [88] . A ragione il CG25, nel primo orientamento operativo circa la testimonianza evangelica, esorta la comunità salesiana a «mettere Dio come centro unificante del suo essere ed a sviluppare la dimensione comunitaria della vita spirituale, favorendo la centralità della Parola di Dio nella vita comunitaria e personale mediante la ‘lectio divina’» [89] .

Spero che nessuno di voi pensi che con questo orientamento il CG25 abbia introdotto un elemento estraneo alla nostra spiritualità; «l’antica e sempre valida tradizione della
lectio divina» [90] ha trovato casa nella vita religiosa fin dagli inizi ed attualmente essa risulta quanto mai necessaria: «oggi un cristiano non può diventare adulto nella fede, capace di rispondere alle esigenze del mondo contemporaneo, se non ha imparato a fare in qualche modo la lectio divina» [91] .

Non mi sembra adesso il momento di fare un’ampia presentazione di questo modo di pregare la Parola di Dio, ormai tanto conosciuto
[92] e adoperato con fru tto anche tra noi. Vorrei però ricordarvi il suo scopo fondamentale ed accennare brevemente il suo metodo come pressante invito a ciascuno di voi a diventarne sperimentati conoscitori ed abili maestri.

Direi che l’obiettivo della
lectio divina è ascoltare Dio pregando la sua Parola, per vedere se stessi come Lui ci vede e volere se stessi come Lui ci vuole. Ad esso si arriva mediante un approccio sapienziale alla Parola scritta, che fa tesoro dell’esperienza di quanti hanno consacrato la loro vita a sentire Dio, per capire la realtà e loro stessi come parole di Dio. Nella lectio la Parola di Dio diventa chiave della comprensione di sé; si cerca di lasciare che Dio ci dica chi siamo noi per Lui e cosa vuole Lui da noi.

Per diventare familiare, la
lectio divina, come qualsiasi metodo di preghiera, richiede esercizio, ma chiede soprattutto volontà di ascolto e disponibilità di obbedienza. Nella più solida tradizione presenta quattro tappe o “gradi spirituali”: la lettura (lectio), la meditazione (meditatio), la preghiera (oratio), la contemplazione (contemplatio). Più recentemente, secondo lo spirito della modernità, si è aggiunta un’altra tappa: l’azione (actio); sono pure indicati con frequenza altri elementi (discretio, deliberatio, collatio, consolatio, ecc.), ma in realtà essi non sono altro che aspetti che di solito accompagnano le tappe fondamentali. 

-
Lettura. Si inizia la lectio divina leggendo con attenzione, meglio sarebbe dire rileggendo a più riprese, il testo nel quale cerchiamo di ascoltare Dio. Il testo scelto ci può sembrare facile da capire, o ben conosciuto; non importa; lo si deve ripassare finché diventi familiare, quasi ad impararlo a memoria, «mettendo in rilievo gli elementi portanti» [9 3] . Non si va oltre questo primo passo finché non si può rispondere alla domanda: cosa significa in realtà quel che ho letto? 

-
Meditazione. Scoperto il senso del testo biblico, il lettore attento cerca di coinvolgersi personalmente, applicando il significato afferrato alla propria vita: che cosa mi dice il testo? «Meditare quanto si legge porta ad appropriarsene, confrontandolo con se stessi. Qui si apre un altro libro: quello della vita. Si passa dai pensieri alla realtà. A misura dell’umiltà e della fede che si ha, vi si scoprono i moti che agitano il cuore e li si può discernere» [94] . La Parola sentita chiede consenso, non viene accolta se non arriva al cuore ed opera conversione. Capire il testo porta a comprendersi alla sua luce; così il testo letto e compreso diventa norma di vita: cosa fare per attuarlo, come fare per dare quel senso alla propria esistenza?

-
Orazione. Conoscere, indovinare, anche solo immaginare quello che Dio vuole porta naturalmente alla preghiera; così diventa ardente desiderio quello che deve diventare la vita quotidiana. L’orante non chiede tanto ciò che gli manca, ma piuttosto ciò che Dio gli ha fatto vedere e capire. Si incomincia ad anelare a quello che Dio ci chiede: si fa del volere di Dio su di noi l’oggetto della nostra preghiera.

- Contemplazione. Dal desiderio di fare la volontà di Dio si passa poco alla volta, quasi senza accorgersene, all’adorazione, al silenzio, alla lode, «all’abbandono umile e povero all’amorosa volontà del Padre in unione sempre più profonda con il Figlio suo diletto» [95] . Dal contemplare se stessi e il proprio mondo alla luce di Dio, dal vedersi come Dio ci vede si passa al contemplarsi veduti da Dio, al sapersi davanti a colui che è l’ogg etto del nostro desiderio, l’interlocutore unico della nostra preghiera. A differenza delle tappe precedenti, che sono esercitazioni che richiedono forza di volontà, «la preghiera contemplativa è un dono, una grazia» [96] , né normale né dovuta; la si può attendere e desiderare, chiedere ed accogliere, mai avere automaticamente. 

Vi posso rivelare che personalmente mi sento obbligato con la scelta del CG25 di «ravvivare continuamente ed esprimere il primato di Dio nelle comunità», orientando la Congregazione a centrare la vita personale e quella comunitaria sulla Parola di Dio, in primo luogo «mediante la
lectio divina» [97] . Questo è molto importante per me – ve lo dico con parole del Card. Martini -, perché «non mi stancherò mai di ripetere che la lectio è uno dei mezzi principali con cui Dio vuole salvare il nostro mondo occidentale dalla rovina morale che incombe su di esso per l’indifferenza e la paura di credere. La lectio divina è l’antidoto che Dio propone in questi ultimi tempi per favorire la crescita di quella interiorità senza la quale il cristianesimo… rischia di non superare la sfida del terzo millennio» [98] .

Una forma privilegiata e concreta della
lectio divina è la meditazione quotidiana (Cost. 93). [99] Don Bosco la raccomandava insistentemente ai suoi figli, fino a scrivere nei ricordi confidenziali ai direttori: «Non mai omettere ogni mattina la meditazione» [100] . Raccogliendo il suo pensiero, le Costituzioni attestano che «questa forma indispensabile di preghiera… rafforza la nostra intimità con Dio, salva dall’abitudine, conserva il cuore libero e alimenta la dedizione vers o il prossimo». E l’articolo conclude affermando che la meditazione fedelmente praticata ci fa camminare anche nella gioia ed è perciò una garanzia della nostra perseveranza. Mi auguro che sia arrivato il momento di valorizzare di nuovo la meditazione, non sempre e ovunque da tutti sufficientemente curata.

“Alimento per la preghiera” (Cost. 87)

«Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cf. Dt 8,3). Nella vita cristiana, la Parola di Dio «è l’alimento per la vita, per la preghiera e per il cammino quotidiano»; preghiera e contemplazione «sono il luogo di accoglienza della Parola di Dio e, nello stesso tempo, esse scaturiscono dall’ascolto della Parola»
[101] . Non a caso il CG25 ha accennato che un certo indebolimento della fede, presente nelle nostre comunità, si manifesta in primo luogo «nell’affievolimento della vita di preghiera» [102] ; difatti, «un’autentica vita spirituale richiede che tutti, pur nelle diverse vocazioni, dedichino regolarmente, ogni giorno, momenti appropriati per andare in profondità nel colloquio silenzioso con Colui dal quale sanno di essere amati, per condividere con lui il proprio vissuto e ricevere luce per continuare il cammino quotidiano. È un esercizio al quale si domanda di essere fedeli, perché siamo insidiati costantemente dalla alienazione e dalla dissipazione provenienti dalla società odierna, specialmente dai mezzi di comunicazione. A volte la fedeltà alla preghiera personale e liturgica richiederà un autentico sforzo per non lasciarsi fagocitare dall’attivismo vorticoso» [103] .

È possibile che le difficoltà e le sfide che oggi affronta la nostra vita comune – e il CG25 ne ha fatto un ampio elenco [104] – provengano in parte dalla incapacità di vivere
liturgicamente la fede e di vivere come comunità orante. Risulta sintomatico che di solito non riusciamo a discernere i “segni dei tempi”, ad identificare quello che Dio vuole da noi, quando non viviamo come comunità convocata da Lui. La mancanza del senso d’appartenenza ad una comunità orante, la pretesa di andare da soli verso Dio, non consentono di incontrare Dio, né di sentire la sua Parola. Ce lo ricordava il Vaticano II: «la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo» [105] .

La trascuratezza della preghiera comunitaria, che può esserci in qualche comunità o in alcuni confratelli, rende più faticosa l’inserzione cordiale e gioiosa nella vita comune e mette pure in sordina la Parola che Dio vuole rivolgerci. Per il credente biblico c’è ordinariamente un canale privilegiato di trasmissione della Parola di Dio: la comunità liturgica. Una sincera ricerca della volontà di Dio ci porta a fare della liturgia comunitaria il tempo abituale e il luogo privilegiato dell’ascolto di Dio. È significativo che nella preghiera dei salmi sia frequente sentire lo stesso Dio che chiede di essere ascoltato: «Ascolta, o popolo mio, ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi!» (Sal 81,9; cf. 78,1). Nella  Bibbia la preghiera non è soltanto l’occasione che il credente ha per far conoscere a Dio le sue inquietudini ed i bisogni personali, ma è soprattutto l’opportunità che concede a Dio perché gli parli e gli faccia conoscere la sua volontà. Chi brama ascoltare Dio dovrà trattenersi con Lui nella preghiera, specie quella comunitaria.

Vorrei solo accennare qui a due momenti della nostra vita di preghiera comunitaria, che mettendoci «quotidianamente in mano la sacra Scrittura»
[106] sono per noi eccellenti occasioni per esercitarci ad ascoltare la Parola di Dio mentre preghiamo insieme.

Il primo, ovviamente, è la
celebrazione dell’Eucaristia, «l’atto centrale quotidiano di ogni comunità salesiana»; in essa «l’ascolto della Parola trova il suo luogo privilegiato» (Cost. 88). Questa affermazione della nostra Regola di Vita riflette una ferma convinzione della tradizione patristica, che d’altronde si fonda sull’insegnamento di Gesù, che disse di essere pane di vita mediante la sua parola e il suo corpo per coloro che credono in Lui (Gv 6,47.54): nella Parola accolta riceviamo il Cristo, come lo riceviamo nell’Eucaristia. [107] «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo» [108] .

Nell’Eucaristia, che celebriamo tutti i giorni, ci viene proprio allestita questa duplice mensa, con questo unico pane di vita. Si tratta di una grazia simile a quella vissuta dai discepoli di Emmaus, che ci consente di aprire gli occhi, di vedere il Cristo Risorto mentre spezza il pane e di riconoscerlo (Lc 24,30-31). Ma perché questo accada è necessario camminare insieme con Lui e ascoltarLo mentre ci spiega le Scritture. Solo così sentiremo ardere il nostro cuore (Lc 24,32). In definitiva prima lo si ascolta e poi lo si vede.

Sono convinto che se ci familiarizzeremo con la sua parola e le sue esigenze, sarà più facile riconoscere il suo volto e scoprirlo in mezzo a noi. Certo, per ascoltarlo abbiamo bisogno di attenta applicazione e pure di costante studio, come ci ricorda va don Vecchi: «l’Eucaristia è totalmente impregnata di parola di Dio (…) non è pensabile che questa ricchezza sia colta nella celebrazione eucaristica, se essa non è preparata da una vera iniziazione alla Bibbia»
[109] .

Il secondo momento di preghiera comunitaria, dove la Parola di Dio ha una presenza massiccia, è la
liturgia delle ore, «il cuore pulsante della giornata del credente» [110] . La liturgia delle ore «estende alle diverse ore del giorno la grazia del mistero eucaristico» [111] ; in essa «la comunità… loda e supplica il Padre, nutre sua unione con Lui e si mantiene attenta alla divina volontà» (Cost. 89. Sottolineatura mia).

Senza dubbio «la riscoperta della preghiera liturgica da parte delle famiglie religiose» è stata «una delle acquisizioni più preziose» del postconcilio. «La celebrazione in comune della
Liturgia delle Ore, o almeno di alcune parti, ha rivitalizzato la preghiera di non poche comunità, che sono state portate ad un contatto più vivo con la Parola di Dio e con la preghiera della Chiesa» [112] . E noi siamo impegnati a celebrarla «con la dignità e il fervore che Don Bosco raccomandava» (Cost. 89).

Pregare con la Chiesa e come Chiesa è già un bel motivo per curare sempre di più  la celebrazione quotidiana della Liturgia delle Ore, fonte e campo di formazione spirituale.
[113] Ma vorrei accennarvi altri due motivi che mi sembrano importanti da aver presenti. Nei salmi troviamo la parola di Dio rivolta a noi, perché è Scrittura Santa; allo stesso tempo troviamo la parola che noi possiamo rivolgere a Dio, perché è preghiera nostra: le stesse parole servono a Dio e a noi per esprimerci a vicenda. Con i salmi preghiamo quanto Dio ci dice di sé, di noi, degli altri, dei suoi piani, ma preghiamo anche quanto noi vogliamo dirgli. Inoltre le lodi e i vespri, strategicamente scanditi lungo la giornata di lavoro, ci aiutano a ritrovare Dio dopo averlo cercato e servito, e magari anche dimenticato, nelle mille occupazioni quotidiane.

“Luce per conoscere la volontà di Dio negli avvenimenti” (Cost. 87)

«Non uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere che cosa Dio vuole da voi, cos’è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). Oggi si parla molto di discernimento, e mi sembra giusto. Questo è frutto, soprattutto, dell’ascolto della Parola, docile e paziente. In essa possiamo trovare cosa Dio vuole oggi da noi e come lo vuole. Per interpretare «i segni dei tempi in una realtà come la nostra, in cui abbondano le zone d’ombra e di mistero, occorre che il Signore stesso – come con i discepoli in cammino verso Emmaus — si faccia nostro compagno di viaggio e ci doni il suo Spirito. Lui solo, presente tra noi, può farci comprendere pienamente la sua Parola e attualizzarla, può illuminare le menti e scaldare i cuori»
[114] .

Infatti, «sempre sono stati uomini e donne di preghiera a realizzare, quali autentici interpreti ed esecutori della volontà di Dio, opere grandi. Dalla frequentazione della Parola di Dio essi hanno tratto la luce necessaria per quel discernimento individuale e comunitario che li ha aiutati a cercare nei segni dei tempi le vie del Signore. Essi hanno così acquisito
una sorta di istinto soprannaturale» [115] , quello sguardo di fede, cioè, senza il quale «la propria vita perde gradatamente senso, il volto dei fratelli si fa opaco ed è impossibile scoprirvi il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui quando non privi di speranza, la missione apostolica e caritativa decade in attività dispersiva» [116] .

Consapevole delle difficoltà che trova la vita comunitaria tra noi per diventare «dono e profezia di comunione»
[117] , il CG25 ha chiesto alle comunità locali che valorizzino «la pratica del discernimento comunitario alla luce della Parola di Dio e delle Costituzioni» [118] e assicurino le «condizioni sufficienti perché ogni confratello possa dare al suo essere ed operare un senso di unità profonda, praticando il discernimento evangelico come atteggiamento di ricerca della volontà di Dio» [119] .

Vi confesso che non immagino possibile un vero discernimento, sia personale che comunitario, senza la pratica quotidiana dell’esame di coscienza.
[120] E mi spiego. La vita è  vocazione; esistiamo perché siamo stati creati personalmente da Dio, «fatti e plasmati colle sue mani» (Sal 119,73; cf. Gn 2,7); non viviamo perché l’abbiamo voluto, ma perché siamo stati desiderati, chiamati dal nulla (Gn 1,26); e proprio perché la vita è effetto del volere di Dio, non la si può vivere al di là o al di fuori della volontà divina; se non esistiamo perché lo abbiamo scelto, non dovremmo esistere come ci pare: la vita, gratuitamente concessa, ha dei limiti da rispettare (Gn 2,6-17) e dei compiti da svolgere (Gn 1,28-31).

A nulla servirebbe riconoscere Dio e riconoscerci obbligati con Lui, se poi non ci diamo da fare per ricercarLo nella nostra vita ed organizzare questa –
ordinarla, direbbe  sant’Ignazio di Loyola – di conseguenza [121] . Dobbiamo mantenerci attenti all’ascolto della voce di Dio per capire cosa ci chiede oggi, per intuire quale potrebbe essere la sua “annunciazione” (cf. Lc 1,26-38) negli avvenimenti che ci capitano. Si rende dunque  necessario discernere, cioè avere «la capacità di distinguere ciò che nelle mie azioni è secondo lo Spirito di Cristo e ciò che gli è contrario»,  «di non agire per impulso», e quando si agisce «di capire da dove viene quell’impulso» [122] , che cosa produce e fin dove mi porta.

Come fare a discernere? Mediante l’esame di coscienza. Esso, più che elemento formale della preghiera della sera, è un vero cammino di crescita spirituale; chi lo percorre impara a guardare la realtà, propria ed altrui, con lo sguardo di Dio e nel suo cuore. L’esame è una preghiera, il cui oggetto è la propria esistenza e il cui obiettivo sta nel riconoscere con lucidità il progetto di Dio su di essa e nell’assumerlo con responsabilità. Rintracciare le impronte di Dio nel quotidiano, rendersi conto della sua presenza e della sua azione in quanto accade nella giornata, è la meta dell’esame e il suo miglior frutto. «Un esame di coscienza così ci porta a scoprire i significati e il senso del vissuto. Per questo motivo parte dall’ascolto di Dio che ci parla attraverso le persone, gli incontri, gli eventi, la storia»
[123] .

Da noi salesiani, come apostoli consacrati, si aspetta la capacità di fare progetti di vita che ci aiutino a crescere veramente nel cammino spirituale; da noi, come educatori per vocazione, si attende il coraggio di proporre l’esame di coscienza come modalità di preghiera da condividere anche con i giovani e con i laici che collaborano con noi. E pensare che ci vorrebbero
soltanto dieci minuti – tutti i giorni però! – per fare questo esercizio che, quando si svolge fedelmente, ci porta a trovare Dio nell’ordinarietà della vita quotidiana, riconoscendo quello che ha operato in noi e per noi (Rm 8,28)!

Vi propongo, appena abbozzato, un facile percorso per rileggere la propria vita sotto lo sguardo di Dio:

-
Alla presenza di Dio: Prima di iniziare l’esame, si ravviva in maniera più nitida possibile la consapevolezza di essere davanti a Dio, guardati da Lui e da Lui ben voluti. Prima di contemplare se stesso, il credente si sa e si vuole contemplato da Dio e si abitua a vedersi e volersi come Dio lo vede e lo vuole.

- Rendimento di grazie (“confessio laudis”). Si inizia ordinariamente l’esame «lodando e ringraziando Dio per i suoi doni, per il suo disegno d’amore, per la bontà che esprime nella vita di ciascuno di noi. Alla luce dei doni di Dio, le mie corrispondenze al suo disegno possono essere espresse con più rilievo e con più verità personale» [124] , senza auto-compiacimento, ma anche senza auto-commiserazione.

La memoria “eucaristica” è punto di partenza obbligato per arrivare alla conoscenza del bene ricevuto; il credente si riconosce ricolmo di grazia prima che giudicato, amato più che accusato, a condizione che sappia comprendere l’opera di Dio in sé (1 Ts 5,18), prima di accettare i propri limiti. Il primo scrutinio che, alla presenza di Dio, si deve fare è quello dei doni ricevuti o da ricevere (cf. Gv 4,10); prendendo così coscienza dei suoi doni, si fa più imponente la presenza del Donante, che dona se stesso nei suoi doni.

- Riconoscimento dei debiti (“confessio vitae”). I doni concessi e riconos ciuti mettono allo scoperto il debito contratto: quanta più grande è la grazia ricevuta, tanta più responsabilità si ha. Conoscere il proprio debito e accettarlo è pure grazia che viene chiesta, perché è l’inizio del ritorno a Dio, dono del per-dono. Per riconoscere un peccato o difetto non bisogna saperlo spiegare né giustificare, neppure convivere in pace con esso. La grazia di riconoscersi peccatori davanti a Dio è, in realtà, il dono di sapersi amati prima e senza limiti da Lui. Perciò ammettere il proprio peccato ci rende umili, ci fa ritornare alle nostre origini, all’humus, terra non ancora alitata dallo Spirito, senza condannarci a vivere umiliati. Chi chiede perdono da Dio non fa altro che chiedere il dono del suo amore.

«La sorpresa di scoprirsi amati è la più forte e radicale decisione di rinunciare al male e di abbracciare una vita di virtù. Scoprirsi amati commuove, porta al pentimento, a riconoscere il peccato, a confessarlo e a domandare perdono. Ed è l’amore con il quale il Signore mi raggiunge la forza con cui mi difenderò in futuro dal peccato. La volontà di migliorare, di non peccare più, la decisione di rinunciare al peccato sarà efficace in modo sano solo se è fondata sull’amore nel quale mi sorprendo, alle volte addirittura in lacrime. Scoprire il proprio peccato di fronte al volto del Signore,  o addirittura avere la grazia di vederlo in Lui che l’assume, porta al pentimento... Il pentimento porta a casa»
[125] .

- Impegno di conversione (“confessio fidei”). Chi ritorna a Dio cerca di restare con Lui; il dono del perdono produce il desiderio di lasciarsi condurre da Dio. La proposta di emendamento non è, pertanto, uno sforzo dentro le mie possibilità, né l’impegno di lotta per colmare le mie carenze. La desiderata correzione sorge dalla contemplazione della grazia non corr isposta; non è il credente che fissa la meta della sua conversione, al massimo egli stabilisce i termini e l’itinerario. È Dio che ci vuole tanto bene e ci rivela quale bene vuole da noi. Dalla sua grazia, e per il suo volere, nasce in noi il desiderio di ritornare da Lui e restare con Lui. Così la grazia richiesta della conversione a Dio chiude un processo che si era iniziato ricordando le grazie già concesse e sperimentate.

Lo scopo dell’esame di coscienza non è tanto di analizzare la propria intimità, quanto di scoprire «Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio», come direbbe un grande esperto del discernimento. «Grazie alla familiarità con il Signore favorita dall’esercizio dell’esame, si riesce ad acquistare quella coscienza di come il Signore si manifesta in noi e di come noi viviamo con Lui, che fa davvero maturare la fede. L’esame favorisce una consapevolezza dello sguardo di Dio su di noi e di come noi ci muoviamo in questa relazione. Questa consapevolezza dello sguardo di Dio su di noi è la maturità della fede»
[126] .

-   “Forza per vivere in fedeltà la nostra vocazione” (Cost. 87)

«Lampada
per i miei passi è la tua parola, luce al mio cammino» (Sal 119,105). I tempi in cui viviamo ci fanno sentire «la necessità di una continua trasformazione di mentalità, degli stili di vita, dei criteri e delle metodologie educativo-pastorali, nonché delle strutture, in costante fedeltà al carisma originario» [127] . Questa esigenza deriva a noi non solo perché siamo inseriti in un mondo che oggi cambia con un ritmo frenetico, ma perché, ancora prima, la vita salesiana esige da noi fedeltà al mondo, cioè una costante disponibilità a rispondere alle sue sfide, e fedeltà alla nostra missione nella Chiesa a favore dei giovani. Ebbene, come perso ne consacrate, riusciremo ad essere fedeli, se saremo «capaci di riveder[ci] continuamente…. alla luce della Parola di Dio» [128] .

Vivere sotto la Parola di Dio significa stare dinanzi a Dio, così come siamo, senza possibilità di nasconderci dalla sua presenza (Gn 3,8-9; Sal 139,7ss). «Luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), la sua Parola fa emergere in noi stessi la nostra verità, non sempre affrontata e a volte pure rinnegata. Le zone spesso oscure del nostro cuore diventano illuminate e prendono senso, perché ci lasciano vedere e riconoscere quanto in noi s’oppone alla Parola, le radici spesso inconfessate di certe attrazioni meno evangeliche, quelle sottilissime tendenze motivazionali che rischiano di non essere mai scoperte e che minano alla radice – proprio perché incontrollate – ogni opzione di vita evangelica. «Evadere perciò l’incontro con la Parola del Padre è precludersi la possibilità di accedere a sé, di decifrar
si, di comprendersi, di perdonarsi, di accogliersi, di possedersi, di progettarsi, di giocarsi. Di amarsi» [129] . L’ascolto della Parola porta come frutto quello di sentirsi amati da Dio e quindi quello di rimanere fedeli!

Vivere sotto la Parola di Dio significa, inoltre, assistere ammirati allo svelarsi di Dio, presenziare con stupore alla sua epifania quotidiana e progressiva nel mondo e nel proprio cuore. Quando Dio ci parla si rivela, e mostrandosi ci cerca perché ci ama, ci manifesta una fedeltà, che «non conosce fine e si rinnova ogni mattina» (Lam 3,23-23), ci scruta e svela (cf. Sal 139,11-12) e, di fronte alla nostra incredulità, riafferma la sua lealtà (Rom 3,3). È in questa fedeltà infrangibile, non rotta neppure dai nostri abbandoni, che possiamo pensare di r itornare all’alleanza e venire a conoscere la sua fedeltà (cf. Os 2,21-22). L’ascolto della Parola ci permette di sperimentare la fedeltà di Dio e ci comunica l’energia e il coraggio per rimanerGli fedeli. Personalmente trovo difficoltà a immaginare una vita di fedeltà a Dio, se non è fatta d’attenzione, premure, docilità ed accoglienza della sua Parola.

3.4  Ascoltare la Parola per diventare apostoli

«Quel che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv 1,3). La Parola ascoltata va trasmessa; non è un dono da trattenere gelosamente per noi; l’obbedienza a Dio diventa missione nel mondo, perché siamo apostoli. «Nutriti della Parola, resi uomini e donne nuovi, liberi, evangelici, i consacrati potranno essere autentici
servi della Parola nell’impegno dell’evangelizzazione. È così che adempiono una priorità per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio» [130] .

In un mondo, dove sembrano spesso smarrite le tracce di Dio – e come salesiani contempliamo con preoccupazione il mondo dei giovani –, si aspetta da noi una testimonianza persuasiva per la sua coerenza
fra l’annuncio e la vita, e profetica per la sua affermazione del primato di Dio e dei beni futuri. Orbene, «la vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con Lui, dall’ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia. Il profeta sente ardere nel cuore la passione per la santità di Dio e, dopo averne accolto nel dialogo della preghiera la parola, la proclama con la vita, con le labbra e con i gesti, facendosi portavoce di Dio contro il male ed il peccato. La testimonianza profetica richiede la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento spirituale, l’amore per la verità. Ess a si esprime anche con la denuncia di quanto è contrario al volere divino e con l’esplorazione di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio» [131] .

Educatori ed evangelizzatori dei giovani del terzo millennio, abbiamo come responsabilità apostolica quella di ascoltare Dio
per i giovani, ma anche con i giovani. Questo ci addita due compiti da non trascurare nella Pastorale Giovanile:

Riuscire a creare ambienti di forte impatto spirituale

Il pressante appello a
ritornare ai giovani, da me fatto sin dal primo intervento come Rettor Maggiore [132] e che spesso ripeto ovunque vado, non è motivato soltanto dal fatto che sono convinto che «Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui» [133] , ma anche dal fatto che i giovani oggi hanno un enorme bisogno di Dio, anche se non sempre lo sappiano esprimere. 

«Chiamati, tutti e in ogni occasione, a essere educatori alla fede», noi salesiani «camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signor Risorto» e per aiutarli a scoprire «in lui e nel suo Vangelo, il senso supremo della propria vita» (Cost. 34). Costruire la vita avendo Cristo come riferimento fondamentale è la meta della nostra pastorale; se vogliamo davvero aiutare i giovani «a vedere la storia come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo»
[134] , dobbiamo avviarli all’incontro personale con il Cristo che ci viene incontro nella sua Parola e nei sacramenti (cf. Cost 36).

Il Papa ha parlato del «bisogno di un cristianesimo che si distingua innanzitutto nell’
arte della preghiera». O «non è forse un “segno dei tempi” che si registri oggi, nel mondo, nonostante gli ampi processi di secolarizzazione, una diffusa esigenza di spiritualità, che in gran parte si esprime proprio in un rinnovato bisogno di preghiera [135] O non è anche l’esperienza di tutti noi, come è stata quella di Giovanni Paolo II, che ci sono giovani  «desiderosi di preghiera, di “senso”, di amicizia» [136] ? È urgente che «l’educazione alla preghiera diventi in qualche modo un punto qualificante di ogni programmazione pastorale» [137] . Le nostre comunità, come ogni comunità cristiana, devono diventare «autentiche “scuole” di preghiera, dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione, contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero “invaghimento” del cuore. Una preghiera intensa dunque, che tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio» [138] .

Per questo il CG25 ha chiesto alle comunità salesiane di creare «ambienti di forte carica spirituale» per i nostri giovani, molti dei quali sono «in un mondo secolarizzato…, che cerca nuove esperienze spirituali e che vive l’irrilevanza della fede»
[139] . Da questi «ambienti di forte impatto per fare esperienza dei valori evangelici» si chiede in primo luogo che propongano e vivano «momenti di intensa esperienza spirituale con i giovani» [140] , «promovendo nei modi consoni al proprio carisma scuole di preghiera, di spiritualità e di lettura orante della Scrittura» [141] , che formino i giovani a un atteggiamento costante di preghiera personale, di contatti con la Parola di Dio e con l’Eucaristia.

Noi ci convertiremo in «appassionati maestri e guide, santi e formatori di santi, come lo fu san Giovanni Bosco»
[142] , a condizione che le nostre comunità cerchino di «essere luoghi per l’ascolto e la condivisione della parola, la celebrazione liturgica, la pedagogia della preghiera, l’accompagnamento e la direzione spirituale» [143] . Se come comunità apriamo il cuore alla grazia e consentiamo alla Parola di Dio di passare attraverso di noi con tutta la sua potenza e se in un clima di cordiale accoglienza offriamo ai giovani «valide iniziative spirituali, quali scuole di orazione, esercizi e ritiri spirituali, giornate di solitudine, ascolto e direzione spirituale», saremo in grado di avviarli ad «un miglior discernimento della volontà di Dio su di sé e a decidersi a scelte coraggiose, talvolta eroiche, richieste dalla fede» [144] . Vi assicuro che non potrei augurarvi cosa migliore né potrei immaginarmi un miglior servizio apostolico.

Offrire una pastorale di processi di maturazione spirituale

«Nell’attuale cultura complessa e frammentata – si domanda il CG25 – come può la comunità realizzare processi di discernimento e di conversione pastorale e passare da una pastorale di attività e di urgenze ad una pastorale di processi?»
[145] .

Una risposta valida, anche se solo abbozzata, era già stata data dal CG23, quando riconosceva che la Congregazione aveva percorso un cammino di rinnovamento che l’aveva portata a ricuperare la missione specifica salesiana (CG20), assunta dalla comunità con un progetto (CG21) e vissuta come passione per Dio in mezzo ai giovani (CG22), fino a suscitare il desiderio di fare un cammino di fede insieme a loro ed a misura loro.
[146] Impegnati a dare forma a quel cammino, che è «in sostanza la spiritualità giovanile salesiana», i capitolari si proposero di fare «tutto ciò sull’esempio del Signore e seguendo il metodo della sua carità di buon Pastore sulla via di Emmaus» [147] .

La proposta indovinata di rileggere il racconto di Emmaus (Lc 24,13-35) resta ancor oggi lungimirante, anzi normativa per tutti quelli che sentono il bisogno di riferirsi alla Parola di Dio per offrire
un modello di processo di pastorale giovanile salesiana, in cui si presentano non solo i traguardi da raggiungere, ma anche la metodologia da utilizzare, le esperienze da vivere; si tratta di rifare insieme ai giovani il cammino di fede e di «condurli alla persona del Signore risorto» (Cost. 34). 

«
Prendiamo l’iniziativa dell’incontro e ci mettiamo accanto ai giovani» (CG23, 93), come fece Gesù con i due discepoli di Emmaus, e rappresentandolo andiamo incontro a loro, lì dove si trovano, valorizzando quanto di buono vi scopriamo; li avviciniamo e ci mettiamo a camminare insieme (cf. Lc 24,15), li accogliamo con disinteresse nei nostri ambienti e con premura nei nostri cuori. Non badiamo al loro stato di sconcerto e disorientamento; li accettiamo come sono, senza pregiudizi né accuse, e li accompagniamo pe r la strada della loro vita. La nostra presenza vicina e amichevole,  farà loro scoprire che Gesù vive e si preoccupa della loro esistenza.

«
Con loro percorriamo la strada, ascoltando, condividendo le loro ansie e aspirazioni» (CG23, 93). Non basta il farsi prossimi nell’accompagnamento personale, anche se cordiale; ci vuole il dialogo, la conversazione su quello che occupa e preoccupa i giovani, sapere da loro, e non per sentito dire, i loro bisogni e i sogni, capire le loro vedute e conoscere i loro valori. Per essere accolti, dobbiamo accogliere il loro mondo, conoscere i loro motivi per condividerli e, se possibile, per appropriarcene; «nascosti nelle loro attese, portano in sé i semi del Regno» [148] . «Andare ed incontrare i giovani… e metterci in attento ascolto delle loro domande e aspirazioni sono per noi scelte fondamentali che precedono qualsiasi altro passo di educazione alla fede» [149]

«A loro spieghiamo con pazienza il messaggio esigente del Vangelo» (CG23, 93). Sentito il loro discorso e quanto ad essi interessa, conosciuta la loro tristezza e il senso di smarrimento, ci tocca convincerli che Gesù è vivo (cf. Lc 24,23-24) e che quello che capita fa parte di un grande progetto di Dio. Dalla vita comunicata si passa alla vita spiegata alla luce delle Scritture (Lc 24,27): le esperienze sofferte o non risolte sono riempite di senso e di speranza; le false illusioni o i piani non realistici vengono ridimensionati; «sempre e in ogni caso li aiutiamo ad aprirsi alla verità e a costruirsi una libertà responsabile» (Cost. 32). 

«
E con loro ci fermiamo, per ripetere il gesto di spezzare il pane e suscitare in essi l’ardore della fede che li trasforma in testimoni e annunciatori credibili» (CG 23, 93). Non ci basterà parlare loro di Cristo; ci intratterremo con loro e non li lasceremo finché non si trovino, faccia a faccia, con Lui. «Insieme con essi celebriamo l’incontro con Cristo nell’ascolto della Parola, nella preghiera e nei sacramenti» (Cost. 36); «viviamo, insieme con i giovani, il rapporto personale con Cristo che riconcilia e perdona, che si dona e crea comunione, che chiama e invia, e spinge a diventare artefici di una nuova società» [150] .

Scoperto Gesù, vivo nella sua Parola, che riempie di senso la vita, e nel suo Corpo spezzato per tutti, i giovani ritroveranno il cammino di ritorno alla comunità credente (Lc 24,33), dove renderanno testimonianza di averlo trovato e si ricorderanno sempre che il loro cuore ardeva «mentr’egli parlava loro per la via e spiegava le Scritture» (Lc 24,32). Così diventeranno essi stessi evangelizzatori dei giovani, apostoli dei coetanei, testimoni del Risorto.

4.  «Come Maria, accogliamo la Parola e la meditiamo nel nostro cuore» (Cost. 87)

Cari confratelli, non vorrei concludere senza rivolgervi il pressante appello rivolto dal Papa all’Europa cristiana, perché entri nel terzo millennio con il vangelo in mano: «Nello studio attento della Parola troveremo alimento e forza per svolgere ogni giorno la nostra missione.
Prendiamo nelle nostre mani questo Libro! Accettiamolo dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua Chiesa (cf. Ap 10, 8). Divoriamolo (cf. Ap 10, 9), perché diventi vita della nostra vita. Gustiamolo fino in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci darà gioia perché è dolce come il miele (cf. Ap 10, 9-10). Saremo ricolmi di speranza e capaci di comunicarla a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino» [151] .

Io stesso, quando vi presentavo i documenti dell’ultimo Capitolo Generale, vi suggerivo di  «imparare a partire sempre dalla Parola. Il che comporta lo sforzo di fare davvero nostre le attitudini della Vergine davanti ad essa: ascoltarla, obbedire ad essa, farci suoi discepoli, diventare credenti»
[152] . Con questo invito non facevo altro che ricordarvi il testo costituzionale, che ci esorta ad avere tutti i giorni in mano la Sacra Scrittura sull’esempio della Vergine: «Come Maria accogliamo la Parola e la meditiamo nel nostro cuore, per farla fruttificare e annunziarla con zelo» (Cost. 87).

Nessuna scuola è migliore di quella di Maria,
[153] per lasciarci introdurre nella contemplazione e nell’accoglienza, nella custodia e nell’annunzio della Parola di Dio. «Avendo dato il suo assenso alla divina Parola, che si è fatta carne in Lei, Maria si pone come modello dell’accoglienza della grazia da parte della creatura umana» [154] . Nessun credente come Lei è riuscito, infatti, ad ospitarLa tanto bene, sì da farla creatura del suo grembo: Maria ci insegna che chi crede alla Parola la fa carne propria, che chi la serve con la vita la fa vita propria, che chi obbedisce a Dio (Lc 1,38) lo converte in suo figlio (Lc 1,43). «Oseremo forse chiamarci madri di Cristo?», si chiedeva sant’Agostino con enfasi;  e sicuro rispondeva: «Ma certo, osiamo chiamarci madri di Cristo… Le membra di Cristo partoriscono dunque con lo spirito, come Maria vergine partorì Cristo col ventre: così sarete madri di Cristo» [155] .

Non è dunque vana illusione pensare c he la felicità di Maria sia a portata di mano. Il Dio di Maria continua oggi a mantenere progetti di salvezza; continua perciò a cercare credenti attenti alla sua Parola e disposti ad accoglierla nella loro esistenza a ogni costo; a noi ha riservato un’avventura e grazie simili a quelle che elargì a Sua madre. Per giungere ad essere beati come Maria (Lc 1,45), e vivere con pienezza di grazia (Lc 1,28), ci basta essere credenti come Lei: fidarsi totalmente di Dio e comportarsi da umili servi. Se saremo capaci di consegnarci a Dio, come Ella si consegnò, finiremo come Lei per proclamare che il Signore è stato meraviglioso anche con noi.

Non dobbiamo dimenticare che la relazione di Maria con Dio e con Cristo non rimase indifferenziata e sempre uguale: fu logicamente più intima e costante agli inizi,  prima e dopo la nascita del suo figlio (Lc 1-2); rimase nascosta durante il ministero pubblico di Gesù (Gv 2,1-22; Lc 8, 19-21; 11,27-28), ebbe un nuovo e intenso contatto durante la settimana della passione (Gv 19,25-27). Proprio perché nel rapporto con Dio è sempre Lui che prende l’iniziativa e fissa tempi e mete, la relazione non risulta mai identica a se stessa. Maria lo imparò presto: nel momento di dare alla luce il figlio, ciò che di lui si diceva le era incomprensibile (Lc 2,18-19); quanto più le veniva annunziato il futuro di suo figlio (Lc 2,34-35), tanto meno esso coincideva con quanto le era stato detto nell’annunciazione (Lc 1,30-33.35). La perdita di Gesù ragazzino nel tempio è segno premonitore di una via ancor più dolorosa: Ella dovrà convivere in casa con un figlio che sa di essere Dio, ma che le è per un tempo ancora sottomesso (Lc 2,49-51). Non c’è da meravigliarsi se Maria, non essendo capace di capire, «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19.51).

Cari confratelli, vi affido di cuore a Maria, che crediamo «presente tra no i» (Cost. 8) e chiedo a Lei, «modello di preghiera e di carità pastorale, maestra di sapienza e guida della nostra Famiglia» (Cost. 92), che ci insegni ad accogliere la Parola e ad averla nei nostri cuori «per farla fruttificare e annunziarla con zelo» (Cost. 87). Alla sua scuola,  partendo sempre dalla Parola, che è Gesù Cristo, ci risulterà  possibile, anzi lieto, vivere appassionati di Dio e dei giovani, proprio come Don Bosco.

Don Pascual Chávez V.
Rettor Maggiore

[1] Presentazione, La Comunità Salesiana oggi. Documenti capitolari: ACG 378, pag 20.
[2] Vita consecrata, 93.
[3] CG25, 31.
[4] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 24.
[5] CG25, 191.
[6] Perfectae caritatis, 6.
[7] Dei Verbum, 24.
[8] "Cari salesiani siete santi" (ACG 379); "Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene" (ACG 382); "Contemplare Cristo con lo sguardo di Don Bosco" (ACG 384)
[9] Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Capitolo Generale, in “L’Osservatore Romano”, 13-04-2002, pag. 5. Cf. CG25, 170.
[10] Vita consecrata, 22. 
[11] Vita consecrata, 19.
[12] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 2.
[13] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 25.
[14] Ecclesia in Europa, 22.
[15] Origene, Omelie sul Levitico I, 1: SC 286,66.
[16] ugo da San Vittore, De arca Noe morali 2,8: PL 176, 642.
[17] Ignazio di Antiochia, Ai Filadelfesi 5,1.
[18] Girolamo, Comm. in Is. prol.: PL 24,17. Cf. DV 25.
[19] Agostino, Commento all’epistola ai Parti di San Giovanni 1,1 in Opere XXIV/2, Città Nuova, Roma 1985, pp. 1638-1639.
[20] L’immagine è di S. Girolamo, Comm. in Is. 15, 55:  PL 24,536.
[21] Giovanni Paolo II, Omelia nella Festa della Presentazione del Signore. V Giornata della Vita Consacrata (2 febbraio 2001): L'Osservatore Romano, 4 febbraio 2001.
[22] Perfectae caritatis, 5. Il corsivo è mio.
[23] CG25, 22.
[24] CG25, 31.
[25] Cf. CG25, 5.
[26] Vita Consecrata, 93.
[27] Vita Consecrata, 94.
[28] Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 154.
[29] Cf. Vita Consecrata, 94.
[30] Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco,  pag. 154.
[31] CGS, 89.
[32] J. Aubry, Lo Spirito Salesiano. Lineamenti (Roma 1974), pag. 53.
[33] ACG 384 (2003) pag. 10.
[34] CGS, 89.
[35] Lettera del Rettor Maggiore, ACG (2003) 384, pp. 3-41.
[36] C. Bissoli, “La Linea Biblica nelle Costituzioni Salesiane”, in Aa. Vv., Contributi di Studio su Costituzioni e Regolamenti SDB. Vol 2 (Roma 1982), pag 292.
[37] Cf. C. Bissoli, “La Bibbia nella Chiesa e tra i cristiani”, in R. FABRIS (a cura di), La Bibbia nell’epoca moderna e contemporanea, ed. Dehoniane (Bologna 1992) 182-183.
[38] E. Ceria, Don Bosco con Dio. Ed. S.D.B. (Roma 1988), pag. 37.
[39] Cf. P. Stella, Don Bosco nella Storia della Spiritualità Cattolica. Vol. II: Mentalità Religiosa e Spiritualità. Ed. LAS (Roma 1981) pp. 13-27.
[40]   G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, dal 1841 al 1855, A. Da Silva Ferreira (a cura di). Ed. LAS (Roma 1991) pp. 106-108.
[41] Cf. MB I, pag. 395.423; II, pp. 510-511; XVII, pag. 122.
[42] Cf. P. Stella, Don Bosco nella Storia della Spiritualità Cattolica. Vol. I: Vita e Opere. Ed. LAS (Roma 1979) pag. 239.
[43] G. Bosco, Memorie dell’Oratorio, ed. cit.  pag. 97.112. Cf. MB III, pag. 62; IX, pag. 342.
[44] MB I pag. 519. Cf. Ceria, Don Bosco con Dio, pag. 173.
[45] Basti una sola citazione, del Giovane Provveduto, a dimostrarlo: «Siccome poi il nostro corpo senza cibo diviene infermo e muore, così avviene dell’anima nostra, se non le diamo il suo cibo. Nutrimento e cibo dell’anima nostra è la parola di Dio, cioè le prediche, la spiegazione del Vangelo e il catechismo» (G. Bosco, Il Giovane Provveduto (Torino 1885), in OE XXXV, pp. 145-146.
[46] G. Bosco,  Il mese di maggio consacrato a Maria Ss. Immacolata, Tip. Paravia (Torino 1858), in OE X, pag. 356.
[47] G. Bosco,  Il Cattolico nel secolo.  Libreria Salesiana (Torino 1883), in OE XXXIV, 369-370.
[48] G. Bosco,  Vita del giovanetto Savio Domenico. Tip. Paravia (Torino 1859), in OE XI, pp. 188-189.
[49] Ivi, pag. 229.
[50] E concludeva così: «In ogni pagina ebbi sempre fisso quel principio: illuminare la mente per rendere buono il cuore e popolarizzar e quanto si può la scienza della sacra Bibbia, che è il fondamento della nostra santa Religione, mentre ne contiene i dogmi e li prova, onde riesca poi facile dal racconto sacro far passaggio all’insegnamento della morale e della religione, motivo per cui niun altro insegnamento è più utile ed importante di questo» (G. Bosco, Storia Sacra, in OE III, pp. 7-9).
[51] P. Stella, Valori spirituali nel “Giovane Provveduto” di San Giovanni Bosco. Estratto dalla dissertazione di laurea (Roma 1960), pag. 48. 80-81.
[52] G. Bosco,  Memorie dell’Oratorio, ed. cit. pag. 169.
[53] «Come non restare colpiti dalla straordinaria somiglianza, anche lessicale, di certi racconti delle Memorie con passi ben noti dell’Antico e del Nuovo Testamento?» (M. guasco, Don Bosco nella storia religiosa del suo tempo, in Don Bosco e le sfide della modernità (Torino 1988) 22.
[54] MB VI pag. 948.
[55] E. Ceria, Don Bosco con Dio, pag. 184.
[56] CG21, 15.
[57] CG21, 377.
[58] CG21, 12.
[59] E. Viganò, Consagración apostólica y novedad cultural. Ed. CCS (Madrid 1987) pag. 159.
[60] CG23, 95.
[61] E. Viganò, “Confirma fratres tuos”: ACS 295 (1980) pag. 26. Il corsivo è mio.
[62] Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 617
[63] Giovanni Paolo II: cf. CG22, 13.
[64] CGS, 89.
[65] Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 249.
[66] Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 609-610.
[67] Vita Consecrata, 67.
[68] Concilio Vaticano II, Dei Verbum 2.
[69] Carlo M. Martini, In Principio, la Parola. Lettera al clero e ai fedeli sul tema: «La Parola di Dio nella liturgia e nella vita» per l’anno pastorale 1981-82 (Milano 1981) pag. 29.
[70] Dei Verbum,  5. Cf. Rm 16,26; 2 Cor 10.5-6.
[71] San Giovanni della Croce, Sentenze. Spunti d’amore, 21, in Opere (Roma 19672) 1095.
[72] Cf. Carlo M. Martini, Il sogno di Giacobbe. Partenza per un itinerario spirituale (Casale Monferrato: Piemme, 1989) pag. 80.
[73] Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 625.
[74] Cf. Sant’ Agostino, Meditazione sulla lettera dell’amore di San Giovanni (Roma 19802) pag. 107-110.
[75] Carlo M. Martini, La Dimensione contemplativa della vita. Lettera al clero e ai fedeli dell’Archidiocesi Ambrosiana per l’anno pastorale 1980-81. Milano 1980, pag. 20.
[76] Carlo M. Martini, La Dimensione contemplativa della vita, pag. 27.
[77] Cf. Gregorio Magno, Moralia I 16,43; Epist. 31: PL 77, 706.
[78] De Doctrina christiana 4, 5: PL 34, 92.
[79] CIVCSVA, La Vita fraterna in comunità, 48
[80] Carlo M. Martini,  Perché Gesù parlava in parabole (Bologna 1985), pag. 114.
[81] CGS, 287.
[82] Novo Millennio Ineunte, 39.
[83] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 24.
[84] Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 625.
[85] Vita Consecrata, 94.
[86]   Vita Consecrata, 71.
[87] Ivi.
[88] Vita Consecrata, 94.
[89] CG25, 31. La sottolineatura è mia.
[90] Novo Millennio Ineunte, 39
[91] Carlo M. Martini, Programmi pastorali diocesani 1980-1990 (Milano 1991), 440-441.
[92] La presentazione ‘classica’ del metodo – e, a mio avviso, ancora la migliore – è di Guigo II il Cartosiano, Scala Claustralium: PL 184, 475-484, la cui lettura raccomanderei vivamente.
[93] Carlo M. Martini, La gioia del vangelo. Meditazione ai giovani (Casale Monferrato 1988), pag. 12.
[94] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2706.
[95] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2712.
[96] Catechismo della Chiesa Cattolica, 2713.
[97] CG25, 30.31.
[98] Carlo M. Martini, Programmi pastorali diocesani 1980-1990,  521.
[99] Cfr. Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pp. 657-658.
[100] Epistolario 1, lettera 331, pag. 288-290
[101] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 24.25
[102] CG25, 54
[103] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 25.
[104] Cf. CG25, 54.
[105] Dei Verbum, 25.
[106] Perfectae caritatis, 6.
[107] Ieronimo, Breviarium in Psalmum 147: PL 26, 1334; Agostino, Sermo 56, 10: PL 38,381;
[108] Dei Verbum, 21. Cf. Presbiterorum  Ordinis, 18; Sacrosanctum Concilium, 51
[109] Juan E. Vecchi, «Questo è il mio corpo, offerto per voi», ACG 371, pag. 49
[110] Amedeo Cencini, «Preghiera e formazione permanente. Il respiro della vita», in Testimoni 4 (2003), pag. 10.
[111] Cost. 89; cf. IGLH 12.
[112] CIVCSVA, La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum Christi amor”, 14
[113] Cf. CG25, 26.31.61.
[114] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 2.
[115] Vita Consecrata,  94.
[116] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 25.
[117] Cf. CG25, 13.
[118] CG25, 15. Cf. CGS, 287-288.
[119] CG25, 32.
[120] Sul tema, Silvano Fausti, Occasione o tentazione? Arte di discernere e decidere (Milano 1999).
[121] Esercizi Spirituali, 1
[122] Carlo M. Martini, Essere nelle cose del Padre. Riflessioni sulla scelta vocazionale (Casale Monferrato 1991), pag. 81.
[123] Marco I. Rupnik, L’esame di coscienza. Per vivere da redenti (Roma 2002), pag. 74.
[124] Carlo M. Martini, Mettere ordine nella propria vita. Meditazioni sul testo degli Esercizi di sant’Ignazio (Casale Monferrato 1992), pag. 59.
[125] Rupnik, L’esame di coscienza, pag. 78.
[126] Rupnik, L’esame di cosceinza, pag. 85.
[127] CG25, 51.
[128] Vita Consecrata, 85.
[129] Mauro M. Morfino, “Scoprire le tue Parole è entrare nella Luce”. “La Parola di Dio informa la vita del credente”, Theologica & Historica. Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna (Cagliari 1999), 42.
[130] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 24.
[131] Vita Consecrata, 84.
[132] Pascual Chávez, “Discorso alla chiusura del CG XXV”: CG25,185.
[133] CG23, 95; cf. Cost. 95.
[134] CG23, 114. Cf. Dicastero per la Pastorale Giovanile Salesiana, La Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro di riferimento fondamentale (Roma 2000), 21.
[135] Novo Millennio Ineunte, 32.33.
[136] Novo Millennio Ineunte, 9.
[137] Novo Millennio Ineunte, 34.
[138] Novo Millennio Ineunte, 33.
[139] CG25, 44.
[140] CG25, 47.
[141] Vita Consecrata, 94.
[142] Giovanni Paolo II, “Messaggio per l’inizio del Capitolo Generale”: CG25, 143.
[143] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, 8.
[144] Vita Consecrata, 39.
[145] CG25, 44.
[146] Cf. CG23, 1-10.
[147] CG23, 92.93.
[148] CG23, 95.
[149] CG23, 98. Il corsivo è mio.
[150] CG23, 148.
[151] Ecclesia in Europa, 65.
[152] CG25, Presentazione 2,2, pag 15-16
[153] Cf. Rosarium Virginis Mariae, 1
[154] Vita Consecrata, 28.
[155] Agostino, Discorso 72 A, 8, in Opere di sant’Agostino. Discorsi II/1 (Roma 1983), pag. 481.