301-350|it|301 Riscoprire lo spirito di Mornese

13.


RISCOPRIRE LO SPIRITO DI MORNESE



Introduzione. - Un dono nuovo dello Spirito Santo alla Chiesa: necessità di una precisazione storica; precomprensioni inaccettabili. - Facciamo memoria di ieri per la vita di domani. - Molteplicità di persone e di avvenimenti per l’unità di un progetto: nomi e date che fanno pensare; coincidenze significative; un largo margine alle iniziative mornesine. - Il patrimonio salesiano di Don Bosco Fondatore: a Valdocco, la fatica del «fondare»; la «unicità» del Fondatore; gli elementi costitutivi del patrimonio salesiano. - L’apporto originale di Madre Mazzarello: la costellazione delle origini; la luce propria di Madre Mazzarello. - Il profondo significato della sua morte: gesto perfettivo; solenne testamento; il ruolo del con-fondare. - Lo spirito di Mornese: il suo centro di riferimento; le sue note salienti. - Le sue fattezze fisionomiche: il Personaggio; lineamenti fisionomici; la nervatura ascetico-religiosa. - Il fascino dell’identità salesiana alla scuola di Madre Mazzarello: un lungo percorso; un chiaro proposito. - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACS n. 301



Roma, 14 maggio 1981


Cari Confratelli,


il centenario della morte di santa Maria Domenica Mazzarello ci offre l’opportunità di un ritorno alle fonti per approfondire la memoria della nostra identità.

Esso ci invita, inoltre, a rinsaldare i fraterni vincoli di comunione, di servizio e di collaborazione con l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Per la celebrazione di questo evento ho indirizzato alle nostre Sorelle una lettera di commento spirituale. Credo opportuno presentarvela come un documento di attualità e offrirvela come tema di meditazione.

Serva la sua lettura a far percepire con ancor maggiore chiarezza, se ce ne fosse bisogno, la bontà e l’iniziativa di Dio nell’ora delle nostre origini e ad alimentare sempre meglio la conoscenza dei grandi valori che hanno animato e continuano a far vivere e fruttificare il patrimonio comune della Famiglia Salesiana.


Alla Reverenda Madre Generale,

alle Superiore e alle Suore

dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice


In occasione della prossima ricorrenza centenaria della morte di santa Maria Domenica Mazzarello (14 maggio 1881) lei, madre Ersilia Canta, ha avuto la bontà d’invitarmi a dirigere una parola di partecipazione viva, di affetto spirituale e di orientamento a tutte le laboriose e benemerite sorelle dell’Istituto. Lo faccio con tanto piacere. Mi sento a casa, in famiglia, con la gioia festosa della consanguineità vocazionale, in una parentela di primo grado. Vivissime grazie!

Ma c’è di più: per il «successore di Don Bosco» un centenario tanto significativo è interpellanza e dolce responsabilità a sentire l’impulso dello Spirito ad approfondire ed a far amare sempre meglio la comune eredità spirituale che ci coinvolge nell’impegno di salvezza della gioventù.

La figura della Mazzarello e lo spirito di Mornese sono due realtà che non riguardano solo le Figlie di Maria Ausiliatrice, ma anche i Salesiani e tutti i membri della nostra Famiglia spirituale. Il loro approfondimento porta ricchezza salesiana a tutti.

Sono andato a rileggere le preziose lettere di Madre Mazzarello che fanno percepire, in un linguaggio semplice e diretto, la sostanza della sua esperienza spirituale.

Ho meditato anche le cordiali e penetranti «strenne» che don Filippo Rinaldi inviò a madre Luisa Vaschetti negli anni ’28-’31; ho cercato di respirarvi l’insuperabile clima paterno e l’intuito di animazione di un successore di Don Bosco che, oltre ad essere santo, seppe testimoniare per congenialità di cuore, per convivenza di anni e per maturazione personale, il suo più genuino spirito.

Cosciente dell’importanza dell’invito fattomi, non potevo restringere la mia parola a un saluto formale; perciò mi sono impegnato, da tempo, a riflettere e a pregare per offrirvi una meditazione non superficiale né improvvisata (purtroppo un po’ lunga), sui valori e sul significato della nostra fraterna comunione nelle origini.

Ho avuto presente il primo obiettivo che voi stesse vi siete proposte per questa celebrazione centenaria: riscoprire lo spirito di Mornese per rinnovare in esso le comunità. Santa Maria Domenica Mazzarello ci stimola a farlo con competenza unica: si tratta del suo capolavoro!

A Mornese, come a Valdocco, noi troviamo quella porzione di terra santa che ci trasfonde «nostalgia di paese natio», mentre ci arricchisce con tanti preziosi dati di cronistoria. Giustamente noi, «con senso di umile gratitudine, crediamo» che la nostra comune vocazione «è nata non da solo progetto umano, ma per iniziativa di Dio»,l ossia «per un dono dello Spirito Santo e per l’intervento diretto di Maria».2

Don Rinaldi, per connaturale intuizione, in occasione «del 50° anniversario della santa morte dell’umile Serva di Dio, posta da Don Bosco a pietra fondamentale» del vostro Istituto, faceva, per voi, una scelta perspicace: vi invitava a «conoscere ed imitare di più la vita interiore di Don Bosco». Egli, infatti, era convinto che il principale merito di Maria Domenica Mazzarello era stato quello di aver «saputo riprodurre bellamente in sé lo spirito di vita interiore e di apostolato del Fondatore, divenendo a sua volta modello imitabile e speciale protettrice».3



UN DONO NUOVO DELLO SPIRITO SANTO ALLA CHIESA


Permettetemi d’incominciare un po’ da lontano; innanzitutto con una osservazione generale circa l’iniziativa divina della nostra comune vocazione.

Il Concilio Vaticano II ci ha invitati a riscoprire la dimensione «carismatica» della vita religiosa e a evidenziarne le ricchezze «spirituali». Alle origini dei singoli Istituti non c’è una «teoria» e un «sistema» di un pensatore, ma una «storia» o una «esperienza» vissuta secondo una speciale e concreta docilità allo Spirito Santo. Ognuna delle numerose e svariate «esperienze di Spirito Santo», apparse nella Chiesa, ha una sua ministerialità nella missione del Popolo di Dio. Per questo ogni Famiglia religiosa ha un’«indole propria» con un suo «stile particolare di santificazione e di apostolato»4 che deve essere ricompreso e riattualizzato nei secoli successivi alla luce genuina delle origini.


Necessità di una precisazione storica


Il «ritorno alle fonti» di cui parla il Vaticano II non solo richiama la matrice evangelica di ogni vita religiosa, ma anche la molteplicità storica dei modi di realizzarla.5

Ne viene come conseguenza che, per ricomprendere e riattualizzare la propria identità, una Famiglia religiosa non può appellarsi solo al Vangelo. Ciò che vale per tutti in generale (il Vangelo!), ha bisogno ancora di essere precisato, riverberato e specificato nella storicità di una propria esperienza di Spirito Santo. La Chiesa si preoccupa di salvaguardarne la peculiare «indole» e «missione»6 come un dono ricevuto dal suo Signore. Così, se il Vangelo costituisce in assoluto e per tutti la «Regola suprema»,7 la direttiva prossima d’impegno per ogni Famiglia religiosa è il progetto spirituale ed apostolico del proprio Fondatore.8

La storia della nostra nascita salesiana alla Chiesa è legata all’aurora di una nuova epoca di civiltà industriale e tecnica. Il dono che ci ha consegnato lo Spirito Santo porta in sé la bellezza e le ricchezze di una novità religiosa: siamo stati chiamati a testimoniare e a lanciare verso il futuro i permanenti valori della sequela radicale di Cristo in una società che è diventata secolarizzata e pluralista. Urge per noi rinnovare la coscienza di una missione tanto esigente; così sapremo affrontare l’odierno trapasso culturale senza lasciarci coinvolgere dall’opinione che l’emergenza di una nuova cultura comporti l’affossamento della nostra vita religiosa.

Non possiamo pensare che lo Spirito Santo, a Valdocco e a Mornese, abbia avuto una previsione così ridotta del divenire umano: solo fino al 2000! Sappiamo al contrario, dall’esperienza dei secoli, che la comparsa dei grandi Fondatori parla allo storico della Chiesa della tempestività di questi suoi interventi; essi appaiono programmati in funzione dell’avvenire; ci mostrano, in ogni secolo, una delle più rilevanti conseguenze della risurrezione pasquale: che il vero Signore della storia è Cristo!


Precomprensioni inaccettabili


Sono da scoraggiare, perciò, certe sottili teorie aprioristiche in voga, accettate troppo facilmente da alcuni teorici della vita religiosa.

Una di tali opinioni vorrebbe che, nella storia della vita religiosa, tutto venisse giudicato e misurato partendo dai grandi modelli del monachesimo: la vita religiosa, così, si sarebbe manifestata in pienezza nelle antiche forme monacali; le forme posteriori implicherebbero, piaccia o non piaccia, una qualche decadenza. Oggi, la sfida dei tempi nuovi starebbe dimostrando la precarietà degli Istituti di vita attiva che avrebbero indebolito la chiarezza della consacrazione; per non morire dovrebbero avviarsi verso un nuovo monachesimo.

Un’altra teoria, possiamo dire opposta, penserebbe invece che la vita religiosa sia sorta all’inizio piuttosto come un embrione, in forma non piena ma germinale, per poi crescere e perfezionarsi lungo i secoli. Il suo sviluppo si sarebbe intensificato ultimamente con l’accelerazione dei cambiamenti e avrebbe raggiunto la sua maturazione negli Istituti secolari. Questi rappresenterebbero oggi lo stadio più perfetto della vita consacrata. E così tutta la vita religiosa, nelle sue svariate forme storiche, apparirebbe ormai come superata; di qui l’attuale sua crisi.

Si vede subito che nessuna di queste due posizioni rispetta le singole iniziative dello Spirito Santo nei molteplici carismi dei Fondatori.

In pratica, secondo tali opinioni, esisterebbe un solo carisma fondamentale di vita consacrata (come modello già fatto o come seme da sviluppare) e oggi i segni dei tempi starebbero invitando le nostre due Congregazioni a una conversione di rotta verso uno di quei due ideali indicati: un qualche tipo di monachesimo o una forma di Istituto secolare, secondo l’opinione che ci piace di più.

Noi, al contrario, partiamo da una constatazione ben differente. Siamo umilmente e profondamente convinti che il nostro progetto di vita evangelica è specialmente valido proprio per il futuro, perché racchiude in sé, per un dono nuovo dello Spirito, un originale adeguamento della vita religiosa ai tempi. Anzi, sperimentiamo (anche attraverso la fiorente pluriformità della nostra Famiglia Salesiana) che non esiste opposizione, bensì complementarità e mutua emulazione tra le diverse varietà di Istituti religiosi e di forme di vita consacrata nella Chiesa. E questa conclusione ci aiuta ad essere più fedeli e ad approfondire continuamente i valori della nostra vocazione.

Non credo sia stato inutile l’aver accennato a queste strane opinioni; esse, anche se solo insinuate nella mente, scalzerebbero in radice i grandi temi del centenario che stiamo celebrando. Purtroppo non sono opinioni inventate artificiosamente.



FACCIAMO MEMORIA DI IERI

PER LA VITA DI DOMANI


Cento anni fa, nel 1881, Mornese appariva per noi avvolta in densa nebbia; la si guardava da lontano con sguardo triste: là erano rimaste solo delle tombe tanto care. Oggi è «terra di sole», zolla feconda e sacra, ricca di rimembranze dinamiche! Bella e lanciata al futuro, essa infonde davvero nel cuore nostalgia di paese natio! La vita, nata lì più di cento anni fa, è cresciuta e prosegue.

Anche a Mornese: l’avvenire incomincia ieri!

Noi facciamo memoria (e anche un po’ di nostalgia perché c’entra il nostro cuore con tutti i sentimenti!) non per rifugiarci nel passato, bensì per rifornirci verso il futuro.

Ricordiamo una morte, eppure parliamo di nascita; l’evento è successo a Nizza, eppure pensiamo a Mornese; contiamo, per la Madre, 44 anni e 5 giorni di età (pochi!), eppure il nostro conteggio si preoccupa del metro dei secoli.

Perché?

La risposta è facile per chi crede a un dono dello Spirito Santo: si tratta della densa vitalità di un patrimonio spirituale nato da poco nella Chiesa. La morte di santa Maria Domenica Mazzarello è oggetto di celebrazione e non di rimpianto perché è un gesto che esprime in sintesi tutta la sua vita nello Spirito.


• L’aurora del 14 maggio 1881 ha segnato il «dies natalis» della Madre. La sua vita terrena si è spezzata come un sacramento di donazione; nessuno dimostra maggior amore di chi dà se stesso, e la Madre si era offerta vittima per l’avvenire dell’Istituto. Ci sono delle morti che, ad imitazione di quella di Cristo sulla croce, proclamano l’abbondanza di perfezione nel cuore; non sono semplicemente l’ultima goccia di un’esistenza, ma il suo frutto più maturo: la sua ora!


• Il paese di Nizza Monferrato è stato il luogo geografico del decesso; ha un suo spessore di storia e una sua propria riserva di valori. Ma ciò che in esso troviamo di più prezioso è la sua fecondità di terreno di trapianto per il giovane albero sbocciato e formato a Mornese. Non respiriamo per le sue strade aria di campanilismo paesano, ma solo gratitudine, ammirazione, coinvolgimento. Sì, noi a Nizza vediamo il campanile di Mornese.


• Madre Mazzarello è morta giovane, dopo solo otto anni e poco più di nove mesi di professione come Figlia di Maria Ausiliatrice. Eppure noi scopriamo nella sua esistenza una originale esperienza di Spirito Santo che permane viva nel tempo e che, attraverso la lunga durata dei secoli, si rifarà sempre ancora a lei.

Ecco perché, celebrando il centenario della sua morte, noi facciamo memoria per domani!


• Una esperienza di Spirito Santo, come è il «patrimonio salesiano» di Don Bosco, non raggiunge la sua statura perfetta nella morte del Fondatore e dei suoi più importanti collaboratori; anzi, in quel momento si trova appena alle sue origini, come un neonato di buona salute.

Lo Spirito gli ha dato vita e una sua fisionomia in vista della crescita, in sintonia con il corpo di Cristo che è la Chiesa sempre in sviluppo. È lo Spirito stesso che inserisce tale dono nuovo in un divenire storico che coinvolge collaboratori, discepoli e successori, a cui Egli s’impegna di elargire tutti gli elementi necessari per una fedele comunione e partecipazione con la sorgente iniziale.9


• Così l’«esperienza salesiana» non è stata fatta una volta per sempre e in modo uniforme, né a Valdocco né a Mornese; non è un monumento di marmo, ma è una vita di Spirito Santo; e la sua vitalità di trapianto, di adattamento e di crescita è imprevedibile, anche se in una fedeltà che cura lo sviluppo delle fattezze di un medesimo volto ben definito.

Dicevamo che il Concilio ci ha parlato di un ritorno alle origini; lo ha fatto precisamente per insistere sull’omogeneità dell’evoluzione del dono iniziale; le origini sono il quadro di riferimento con cui fare una revisione per restare acqua chiara e genuina come quella fresca delle sorgenti, evitando i possibili inquinamenti del lungo percorso.


• Soffermarsi a meditare sul significato vitale della morte di Madre Mazzarello diviene per noi una vera ossigenazione per il futuro. Andiamo a contemplare nel passato quelle energie di Spirito Santo che sono state seminate a Mornese un secolo fa appunto per far nascere nell’ambito femminile il carisma salesiano dato a Don Bosco, e ritorniamo alle sorgenti di tale dono dello Spirito per farlo crescere e adattarlo ad altri paesi e in altri tempi.


• Inoltre, celebriamo la nostra comunione con la Chiesa celeste. Santa Maria Domenica Mazzarello vive oggi con san Giovanni Bosco; nella gloria continuano insieme a percorrere le vie della storia e ad essere presenti nella Congregazione dei Salesiani di Don Bosco, nel vostro Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e in tutta la Famiglia Salesiana: legame vivente e glorioso tra origini, presente e futuro! È la comunione misteriosa e reale tra Chiesa pellegrinante e Chiesa celeste: noi «non veneriamo la memoria dei santi solo a titolo d’esempio, ma più ancora perché l’unione di tutta la Chiesa nello Spirito sia consolidata dall’esercizio della fraterna carità».10 Così il centenario diviene l’espressione straordinaria di questa meravigliosa e insondabile realtà che congiunge il Fondatore e la Confondatrice di ieri ai figli e alle figlie di oggi e di domani, li coinvolge nell’unica e multiforme esperienza di Spirito Santo sgorgata dal cuore di Don Bosco e vissuta, ormai nella gloria, dalla Mazzarello insieme con lo stesso Don Bosco e, in una operosa e coraggiosa fede, dai figli e dalle figlie tuttora in cammino sulle strade della storia e nelle contrade del mondo.

Voi, dunque, non siete delle nostalgiche; il nostro non è un semplice rimpianto! Infatti ci sommergiamo nella comunione dei santi per cercare, con loro, ragioni ed energie di futuro nel passato, impegnati ad individuare nelle ore della fondazione i grandi contenuti di un particolare dono dello Spirito Creatore e a lanciare la sua incontenibile vitalità di crescita più in là di ieri.



MOLTEPLICITÀ DI PERSONE E DI AVVENIMENTI

PER L’UNITÀ DI UN PROGETTO


Incominciamo a enumerare alcuni degli innumerevoli dati sparsi.


Nomi e date che fanno pensare


Ricordiamo dei nomi: mamma Margherita ai Becchi; papà Giuseppe a Mornese. Contrade con famiglie povere e lavoratrici di una cultura contadina cristiana che si avvierà presto al declino.

«Giovannino» e «Maìn» che seguono una via diversa da quella corrente dei compagni e delle compagne.

Don Bosco diviene prete e si sente chiamato a ordire la trama di un originale tessuto; lo accompagnano e lo consigliano don Giuseppe Cafasso, il Papa Pio IX.

Maria Domenica Mazzarello si sente chiamata a qualcosa di speciale e, finalmente, a collaborare con Don Bosco: l’accompagnano e la consigliano don Domenico Pestarino prima, e, poi, don Giovanni Cagliero.


1854: proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. A Valdocco e a Mornese sorgono rispettivamente la Compagnia dell’Immacolata e le Figlie dell’Immacolata; vi sono protagonisti i giovani, Domenico Savio e Angelina Maccagno!


1859: inizio della Società di S. Francesco di Sales a Torino.


1860: il tifo fa strage a Mornese; Maria Domenica si sente invitata a cambiare la rotta della sua esistenza.


1862: Don Pestarino si fa Salesiano di Don Bosco; da Torino porta a Maria e Petronilla il primo consiglio del Fondatore: «Pregate pure, ma fate del bene più che potete, specialmente alla gioventù!».

Gli anni ’60 sono per Don Bosco il suo approdo definitivo alla devozione a Maria Ausiliatrice, nel cui onore costruisce la basilica di Valdocco. Già prima, a Mornese, il 24 maggio 1843, era stata eretta nella frazione dei Mazzarelli una cappella dedicata all’Ausiliatrice.


1864: Don Bosco arriva per la prima volta a Mornese con i suoi ragazzi per una delle famose passeggiate autunnali: Maria Domenica si sente affascinata dalla sua santità.


1865: inizio della fabbrica del famoso collegio (che avrebbe dovuto essere salesiano) a Mornese.


1866: Don Bosco manifesta di essere chiamato a fondare anche una Congregazione religiosa femminile.


1869: Don Bosco, nuovamente a Mornese, lascia quattro importanti consigli alle Figlie dell’Immacolata (che vivono già in comunità nella casa costruita da don Pestarino): esercizio della presenza di Dio; amore al lavoro; formazione alla amabilità e alla gioia; zelo per la salvezza delle anime.


1871: Don Bosco, seguendo il consiglio di Pio IX e con il consenso del suo giovane Consiglio Superiore, decide la fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. È interessante rilevare, qui, che Don Bosco vuole stare al parere del suo Consiglio e che vi premette un mese di discernimento spirituale; solo dopo ne richiede il parere.11 Si tratta, dunque, non solo di una cosa importante, come è chiaro, ma anche di una decisione che coinvolge la vita e le responsabilità della Congregazione dei SDB.


1872, 5 agosto: Maria Domenica e altre 14 giovani si consacrano al Signore: 11 con la professione religiosa e 4 solo con la vestizione. Don Bosco presenta Maria Domenica come loro superiora, assicurando che la vera «Direttrice sarà la Madonna».


1874: morte improvvisa di don Pestarino; nella prefazione delle vostre prime Costituzioni Don Bosco raccomanderà alle vostre preghiere «l’anima del molto reverendo don Domenico Pestarino, primo Direttore delle Suore di Maria Ausiliatrice, del quale il Signore si servì per gettare le fondamenta di questo Istituto».12 Ora cresce di più la figura di Maria Domenica Mazzarello e l’Istituto si avvia già a espandersi in forma prodigiosa in altre sedi e nelle missioni.


1879: trasloco a Nizza Monferrato: addio Mornese!


1880: rielezione unanime di Madre Mazzarello.


1881: la Madre dice a una sua giovane missionaria: «Mi sono offerta vittima al Signore», e Don Bosco conferma: «La vittima è gradita a Dio e fu accettata».


14 maggio 1881: santa morte.


Questa enumerazione selettiva di persone e di fatti ci fa pensare a un gran Tessitore più in là della Mazzarello e più in alto di Don Bosco, lo Spirito del Signore! Don Bosco diviene Fondatore anche dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice per un disegno che non era nelle sue prospettive e che gli viene manifestato prima che lui stesso pensi a una qualche programmazione. Vi si dedicherà solo in docilità ai segni di un esplicito piano del Signore. E Maria Domenica Mazzarello ne diviene Confondatrice non per sua scelta, ma per un insieme di circostanze provvidenziali che la invitano, passo dopo passo, a mettere virtuosamente le sue doti a disposizione di un progetto voluto dall’Alto e a prepararvisi con iniziative coincidenti, nel loro piccolo, con quelle di Valdocco.

Così il nostro sguardo al passato, verso le origini, ci porta a scoprire, soprattutto, un disegno dello Spirito del Signore arrivato a Don Bosco e a Madre Mazzarello attraverso un esplicito e materno intervento di Maria. Varie persone e tanti fatti per un superiore Progetto dello Spirito Santo!



Coincidenze significative


Il progetto divino viene anche tessuto attraverso numerose condizioni e situazioni umane, che hanno in sé una certa disposizione ad una eventuale convergenza. Noi troviamo delle somiglianze impressionanti tra il primo Mornese e il primo Valdocco, che possono aiutare a capire perché Maria Domenica abbia «simpatizzato» immediatamente con Don Bosco.

L’ambiente culturale di entrambi è quello dei semplici, poveri e laboriosi contadini piemontesi; tutti e due, Giovanni e Maria Domenica, ognuno a suo modo, hanno un temperamento forte e realista, di grande capacità attiva e di iniziativa, atto ad influire sugli altri e a trascinarli, un intuito penetrante e un giudizio equilibrato e sicuro, un forte senso del trascendente da esprimere nell’azione.

Entrambi hanno assimilato le concrete virtù popolari della gente contadina, permeate di una saggezza cristiana maturata tra la zappa e il martello, quasi che un simile patrimonio avesse avuto bisogno di essere salvato per venire trasmesso più in là della fine di un’epoca.

In tutti e due si vede crescere un amore di carità orientato verso la predilezione della gioventù bisognosa. Don Bosco è rivolto a questa già nel sogno dei nove anni; Maria Domenica, dopo essersi offerta alla Madonna a 18 anni, s’impegna nel catechismo delle fanciulle e delle mamme, e a 25 anni, appena guarita, diviene l’anima del piccolo gruppo delle Figlie dell’Immacolata, che si dedica generosamente alle ragazze povere.

L’intervento della Madonna, poi, è chiarissimo nei due casi. In particolare è interessante osservare che è sotto la sua protezione di Immacolata che si vanno preparando i primi membri delle due Congregazioni dell’Ausiliatrice. Don Bosco è il Fondatore, il grande «patriarca» del carisma salesiano suscitato nella Chiesa per la gioventù! Ma la sua opera di fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice lascia ampi spazi d’intervento e di partecipazione attiva alla Mazzarello e alle sue compagne.


Un largo margine alle iniziative mornesine


Don Bosco sapeva che le prime Figlie di Maria Immacolata, guidate da don Pestarino, possedevano una soda formazione spirituale che risaliva alla scuola genovese del suo amico, il teologo Frassinetti, che tanto benefico influsso ebbe nella zona. Erano perciò un gruppo di giovani, la cui impostazione di sequela del Cristo gli dava affidamento per una adeguata incorporazione al suo proprio progetto carismatico. Il primo contatto tra Maria Mazzarello e Don Bosco, il famoso 8 ottobre del 1864, ha lasciato il cuore della Mazzarello magneticamente orientato, come una bussola, verso il santo Fondatore.

La presenza diretta di Don Bosco a Mornese negli anni di fondazione, però, sarà piuttosto sporadica: ci andò una quindicina di volte. Nei vari incontri, abbastanza limitati nella durata, egli si rendeva certamente conto con sollecitudine di tutto l’andamento della comunità incipiente, faceva osservazioni occasionali anche su argomenti pratici, ascoltava singolarmente le suore, faceva opportune conferenze formative alle novizie, alle professe e alle superiore. Non aveva tempo di fermarsi molto, proprio perché era impegnato intensamente nella sua opera di Fondatore; stava assicurando nella Chiesa la permanenza del suo patrimonio fondazionale.

Ad ogni modo, aveva trovato una maniera pratica ed efficace per essere sempre presente a Mornese, in modo mediato ma assai valido, attraverso qualche sacerdote salesiano ben qualificato e scelto da lui personalmente. Prima, con don Pestarino, tanto benemerito già dagli inizi e dal 1862 pienamente incorporato allo spirito nuovo di Don Bosco; e poi, dopo la morte di don Pestarino, soprattutto con don Giovanni Cagliero, suo luogotenente con il titolo di «Direttore Generale», incarico che eserciterà per un lungo arco di tempo e con una peculiare incidenza: aveva speciali doti, una ricca personalità e una totale ed entusiasta fedeltà all’esperienza di Spirito Santo vissuta a Valdocco.

Don Bosco, quindi, non andò mai a vivere a Mornese per incominciare a fare, con il gruppetto delle prime giovani, ciò che con tanta fatica aveva già operato a Valdocco: formarsi i suoi primi discepoli. No; e penso che sia per due motivi. Il primo, perché la sua «esperienza carismatica» era ormai matura e riconosciuta autorevolmente dalla Chiesa e poteva ben essere un sicuro punto di riferimento per un’esperienza spirituale femminile, incipiente e pienamente affine, direi «consanguinea» ad essa.

Il secondo, perché aveva trovato provvidenzialmente quel gruppetto di giovani animate da Maria Domenica Mazzarello, fondato e preparato non senza uno speciale intervento dello Spirito Santo, che tutto aveva guidato e guidava, e perché era persuaso che tale gruppetto, sotto la direzione di qualche suo valido e santo sacerdote, avrebbe saputo, in modo originale e al femminile, assimilare nella santità e nell’apostolato di servizio alle ragazze e alle giovani lo «spirito di Valdocco».



IL PATRIMONIO SALESIANO

DI DON BOSCO FONDATORE


Dunque, proprio per poter parlare bene di Madre Mazzarello e capire il suo segreto più intimo e il suo lavoro di strutturazione dello spirito di Mornese, è necessario rifarsi alla originale esperienza di Spirito Santo iniziata e vissuta da Don Bosco. Nessuno potrà mai capire «Mornese» senza «Valdocco».

Una simile affermazione risulta ancor più importante se pensiamo che lo Spirito del Signore ha fatto incontrare la Mazzarello con Don Bosco non perché tale avvenimento rimanesse un fatto episodico legato al momento storico delle origini, ma piuttosto in vista di un progetto aperto sul futuro, che vede loro due e i loro figli e figlie «vocazionalmente uniti» e incamminati insieme sulle strade della storia nel servizio alla gioventù popolare e bisognosa.

Affrontiamo, quindi, una riflessione particolarmente vitale proprio per noi oggi. Vogliamo tentare con genuinità un sincero e oggettivo esame della nostra mutua comunione nel patrimonio carismatico delle origini, convinti che ciò assicura una maggior fedeltà nostra a Don Bosco e a Madre Mazzarello.

Permettetemi perciò, care sorelle, alcuni brevi accenni al grande centro di riferimento di tutta la nostra Famiglia spirituale che è il patrimonio salesiano di Don Bosco, la sua esperienza dello Spirito 13 o il suo carisma.

Ho già avuto l’opportunità di parlarvene il 20 aprile 1975, in occasione del vostro Capitolo Generale XVI; qui lo faccio con un’altra ottica, preoccupato di approfondire la vostra comunione e di cogliere l’organicità dello spirito di Mornese.

Faccio riferimento soprattutto a quella «esperienza» salesiana fontale che è il «dono nuovo» di Valdocco. In passato tale «esperienza di Spirito Santo» era designata globalmente con le formule pregnanti «spirito di Don Bosco», «spirito di Valdocco» o «spirito salesiano». Tali espressioni indicavano complessivamente i vari aspetti e le diverse componenti dell’esperienza carismatica di Don Bosco Fondatore. Alcuni studiosi, oggi, preferiscono distinguere, nella complessità della prassi vissuta dal Fondatore, ciò che sarebbe «carisma» da ciò che sarebbe «spirito»: sottolineando col primo termine l’iniziativa di Dio nei doni specifici dello Spirito Santo, e col secondo termine la risposta umana del cuore e della mente del Fondatore con i vari aspetti ascetico-morali e pedagogico-pastorali in cui lui ha saputo esprimerla.

Queste precisazioni concettuali, astrattamente chiare e in sé anche utili, ci fanno correre il pericolo di presentare il nostro tradizionale termine «spirito» (spirito di Don Bosco, o di Valdocco, o di Mornese) con una significazione riduttiva, che non darebbe ragione della totalità degli elementi oggettivi contenuti nella prassi vissuta. Per questo preferisco usare l’espressione ampia di patrimonio salesiano di Don Bosco, piuttosto di «carisma» o di «spirito»; con essa, però, intendo riferirmi a ciò che oggi si chiama globalmente «carisma del Fondatore».14



A Valdocco: la fatica del «fondare»


Sappiamo che Don Bosco è stato suscitato da Dio per iniziare una peculiare esperienza di santità e di apostolato a favore della gioventù. Lui stesso aveva, ed è un caso singolare nella storia dei Fondatori, una chiara coscienza di essere stato chiamato a «fondare». La sua impresa era delle più ardue. I Fondatori di altri Istituti religiosi avevano trovato dei collaboratori maturi per virtù, per scienza e per esperienza. Egli, invece, dovette formarseli promuovendo e iniziando dei ragazzi. Ebbe, sì, uno straordinario collaboratore nel Papa Pio IX, che chiamava «il nostro Confondatore»,15 ma lo ebbe piuttosto come inseparabile guida nella chiarezza di un discernimento autorevole, nella originale determinazione della forma di vita della Congregazione, nel magnanimo progetto e nell’audacia di una multiforme Famiglia spirituale, nella forza della costanza e nel coraggio dell’universalità. In quanto, però, alla modellazione pratica di un primo gruppo di discepoli fedeli che lo accompagnassero nell’esperienza quotidiana, ha dovuto cercarseli ed educarli con lunga e paziente pedagogia: «Ho bisogno di raccogliere giovanetti che mi vogliano seguitare nelle imprese dell’Oratorio. Accettereste voi di essere miei aiutanti?».16

In questa prolungata e geniale fatica pedagogica fu sorretto sempre dalla profonda convinzione di adeguarsi a un esplicito progetto divino: «Come si siano fatte le cose, io appena saprei dirvelo... Questo io so, che Dio lo voleva».17 «Narrai al Papa tutte le cose che ora paleso a voi. Nessun altro mai le seppe. Ma taluno potrà dire: Queste cose tornano a gloria di Don Bosco. Niente affatto. A me tocca solo di rendere un conto tremendo intorno a quello che avrò fatto nell’adempiere la volontà divina. Con questo disegno manifestatoci dal Signore io sono sempre andato avanti e questo fu l’unico scopo di quanto finora operai. Questo è il motivo per cui nelle avversità, nelle persecuzioni, in mezzo ai più grandi ostacoli non mi sono mai lasciato intimorire ed il Signore fu sempre con noi».18

Don Bosco, in un primo momento, aveva tentato di rifuggire dal fare il «fondatore», ma dovette ricredersi; lo fece, sì, con tutte le sue forze, ma per ubbidienza a un volere del Signore. Sappiamo che dissuase un certo don Allievi dal fondare una Congregazione,l9 perché non vedeva, in quel caso, sufficienti dati ed espliciti inviti di ordine soprannaturale.

Per conto suo, avrebbe voluto entrare come membro in qualche Istituto religioso; non lo fece, perché vide che non era quella la volontà del Signore per lui. «La Vergine Maria — assicurò egli stesso — mi aveva indicato in visione il campo nel quale io doveva lavorare. Possedeva adunque il disegno di un piano, premeditato, completo, dal quale non poteva e non voleva assolutamente staccarmi. [...] volli osservare con maggior diligenza se già esistesse qualche Istituzione nella quale io potessi aver la sicurezza di eseguire il mio mandato, ma non tardai ad avvedermi che no. [...] Questi furono i motivi che mi trattennero dall’ascrivermi a qualche Ordine o Congregazione di religiosi. Quindi ho finito collo starmene solo, ed invece di unirmi a socii già provati [...] dovetti andare in cerca, secondo che mi era stato indicato nei sogni, di giovani compagni che io stesso doveva scegliere, istruire, e formare».20

Così Don Bosco è Fondatore per profonda coscienza di docilità allo Spirito; sa di adeguarsi a un disegno manifestatogli dall’Alto. Sarà portatore di un «dono nuovo», con cui egli abbellirà la Chiesa: questo è il suo compito storico; in esso troviamo la sua originalità e la sua grandezza.


La «unicità» del Fondatore


«Parlare della nostra “originalità carismatica” — ha scritto don Ricceri — non vuol dire assegnare a Don Bosco la genialità del pensatore che scopre nuove dimensioni teologiche o antropologiche. [...] Cerchiamo nel nostro Padre l’originalità del “Fondatore”, ossia la sua feconda e geniale collaborazione a quel dono che lo Spirito Santo depose inizialmente nella sua persona per farlo crescere e diffondere nel mondo a salvezza della gioventù».21

Noi andiamo constatando, col correre degli anni, che ci troviamo di fronte a un Santo di eccezione, da cui è originata (oggi ormai possiamo affermare ciò che ieri solo si intuiva) una «grande corrente spirituale» nella Chiesa e, con la tradizione viva e la riflessione in atto, sta delineandosi una «scuola vera e originale» di santificazione e di apostolato.

Nella storia della Chiesa sono molte le fondazioni, ma sono pochissime le vere correnti o scuole che permeano il mondo con un peculiare soffio evangelico.

In questa prospettiva Don Bosco va giganteggiando nel tempo e illuminando la personalità dei santi della sua scuola (per es., santa Maria Domenica Mazzarello, san Domenico Savio, il beato Michele Rua, ecc.), così come illumina e guida tutta una crescente Famiglia spirituale, alla cui vista Paolo VI ha parlato giustamente di «fenomeno salesiano».

Gli aspetti della sua vigorosa personalità di Fondatore, che ne determinano la più chiara e assoluta unicità di iniziatore della sua «grande corrente spirituale», si sprigionano da una scintilla prima, che è l’intuizione geniale o il germe nuovo deposto dallo Spirito nel nucleo più profondo della sua persona e che fa blocco con la sua esistenza e non lo abbandona assolutamente più.

È, in Don Bosco, la folgorazione interiore di essere segno e portatore dell’amore di Cristo ai giovani, descritta magnificamente nel suo sogno dei nove anni. Tale scintilla di Spirito Santo (o germe nucleare della sua personalità) sviluppa in lui alcune caratteristiche che ne sottolineano l’unicità.


Innanzitutto, un’originalità speciale: Don Bosco non trova altra strada per realizzare la sua vocazione, se non quella di Fondatore; si vede quasi forzato a dare inizio a una esperienza inedita di santificazione e di apostolato, cioè, a una rilettura del Vangelo e del mistero di Cristo in chiave propria e personale, con speciale duttilità ai segni dei tempi. Questa originalità comporta essenzialmente una «sintesi nuova», equilibrata, armonica e, a suo modo, organica degli elementi comuni alla santità cristiana, dove le virtù e i mezzi di santificazione hanno una propria collocazione, un dosaggio, una simmetria e una bellezza che li caratterizzano.


— Inoltre, una forma straordinaria di santità. È difficile stabilirne il livello, ma non la si può identificare con la santità del canonizzato non-fondatore (per es., con quella di un san Giuseppe Cafasso). Tale straordinarietà, che porta con sé anche della novità precorritrice, attira verso la persona del Fondatore, la mette al centro di consensi e di contrasti, ne fa un «patriarca» e un «profeta»; mai un solitario, bensì un catalizzatore e un portatore di futuro.


Infine, un dinamismo generatore di posterità spirituale: se l’esperienza di Spirito Santo non è trasmessa, recepita e poi vissuta, conservata, approfondita e sviluppata dai discepoli diretti del Fondatore e dai loro seguaci, non si ha carisma di fondazione. Questo rilievo è fondamentale: Don Bosco ha avuto doni tutti suoi, che lo accompagnarono fino alla sua morte e che hanno fatto della sua persona, per disposizione divina, un centro fecondo di attrazione e di irradiamento, un «gigante dello spirito» (Pio XI) che ha lasciato in eredità un ricco e ben definito patrimonio spirituale.


Le note, quindi, di un Fondatore, che non si riscontrano nei santi suoi collaboratori e in altri santi (prescindendo dal loro grado di perfezione nella carità), sono: una speciale originalità, una straordinarietà di ruolo nella santità e una intensa capacità generatrice di posterità. Lo vediamo assai chiaramente in Don Bosco.


Gli elementi costitutivi del patrimonio salesiano


Ora, il «dono nuovo» e il «disegno manifestato dal Signore» a Don Bosco è stata un’esperienza spirituale e apostolica vissuta inizialmente a Valdocco, cresciuta e precisata con gli anni, trapiantata con vitalità in tante parti e convogliata poi nel fiume di una tradizione sufficientemente definita e organica. Ad essa si applicano perfettamente le parole del documento della S. Sede sui rapporti tra i vescovi e i religiosi: «un’esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita».22 Tale «patrimonio del Fondatore» si manifesta attraverso «uno stile particolare di santificazione e di apostolato», vissuto in «una sua determinata tradizione», che ci permette di cogliere con adeguatezza e di individuare con oggettività le sue componenti.

Ma quali sarebbero le componenti o gli elementi costitutivi della originale esperienza di santificazione e di apostolato di Don Bosco?

Don Ricceri, nella circolare che ho sopra citato, ci assicura che il Capitolo Generale Speciale dei Salesiani ha dato una risposta concreta a tale domanda; e ci aiuta a enumerare le principali linee portanti dell’originalità carismatica e spirituale di Don Bosco.23 Le enunciamo semplicemente.


Innanzitutto, un modo originale di Alleanza con Dio, per cui Don Bosco appare come il «patriarca» di una nuova Famiglia spirituale. Si tratta di percepire il mistero di Dio come di un Padre che ha delle speciali iniziative verso di noi; saperlo contemplare e ascoltare nella fondazione di questa alleanza. Saper sperimentare la sua presenza nella sequela del Cristo partendo da un’ottica originale che sottolinea in Lui l’infinita bontà, la gioia e la pace, l’instancabile preoccupazione di salvezza, la profonda simpatia verso i piccoli e i poveri, l’ineffabile ed indissolubile unità in Lui tra l’amore al Padre e la redenzione del mondo.

Non è facile definire la peculiarità di questa «alleanza», bisogna piuttosto saperla percepire e descrivere attraverso la modalità concreta con cui Don Bosco ha vissuto e manifestato le virtù dell’alleanza, ossia la sua fede, la sua speranza e la sua carità! La prima componente della sua «esperienza nello Spirito» è proprio questa originale iniziativa di Dio incarnata in una «vita interiore teologale», animata e sorretta costantemente dalla «grazia di unità» che permea vitalmente tra loro (nella carità pastorale) l’amore verso Dio e l’amore del prossimo, caratterizzati col dono della predilezione verso i giovani.24


Una seconda componente è l’invio da parte di Dio a partecipare in forma attiva e specializzata alla missione della Chiesa. Si tratta di un invio concreto che viene dal Padre attraverso Cristo e il suo Spirito: «La missione non può mai consistere solo in un’attività di vita esteriore: [...] per sua natura la missione della Chiesa altro non è se non la missione dello stesso Cristo continuata nella storia del mondo; essa pertanto consiste principalmente nella compartecipazione all’obbedienza di Colui 25 che offrì Se stesso al Padre per la vita del mondo».26

Noi sappiamo che, per Don Bosco, questa missione passa ininterrottamente attraverso il materno intervento di Maria, che lo dirige in forma preferenziale verso la gioventù bisognosa dei ceti popolari. Egli è stato scelto per diventare l’amico dei giovani, la loro guida, il loro padre e maestro; gli è stato assegnato uno spazio particolare nella Chiesa come «missionario della gioventù», soprattutto quella povera e bisognosa.

La componente della «missione» non si identifica direttamente con l’azione esterna o con la prassi materiale di un dinamismo umano: non sarebbe allora un elemento «carismatico»; è bensì il dono di un invio autorevole che suscita nel cuore, con l’aiuto della vita interiore teologale, un atteggiamento tutto speciale di docilità e di obbedienza. Tale atteggiamento illumina e nutre costantemente la coscienza di una propria funzione ministeriale nella Chiesa: essere «i segni e i portatori dell’amore di Dio ai giovani»,27 «lavorare tra la gioventù per aiutarla a raggiungere la piena maturità in Cristo».28


Una terza componente è un determinato stile di mentalità e di vita spirituale.

È il processo di adattamento delle doti umane, del temperamento, delle fibre del cuore, dell’esperienza di convivenza, della creazione di ambiente e del clima di vita realizzato, sotto la guida dello Spirito Santo, dallo stesso Don Bosco per dare una risposta adeguata al dono dell’alleanza e della missione ricevuta.

È una realtà complessa e ricchissima, difficile da definire e che si trasmette vitalmente. Implica grande «bontà» con familiarità e simpatia di comportamento: tra la gioventù «non basta amare», bisogna saper farsi amare! Implica l’esercizio dell’«estasi dell’azione» secondo il motto «lavoro e temperanza». Implica volontà di disciplina ascetica: l’amorevolezza è impossibile senza una oculata mortificazione dei sensi che assicuri lo splendore della purezza. Implica una visione ottimista della realtà, ispirata all’umanesimo di san Francesco di Sales. Implica coraggio ecclesiale e buon senso sociale per testimoniare una cattolicità operosa, senza rispetto umano e senza estremismi ideologici. Implica zelo ardente e creativo per la salvezza della gioventù, secondo lo stemma scelto da Don Bosco: «da mihi animas, cetera tolle».


Un’altra componente è il cosiddetto Sistema Preventivo, ossia un peculiare criterio e modo di fare apostolato tra i giovani. Per tradurre la «missione» ricevuta da Dio in una immediata «pastorale» pratica, capace d’incarnarsi nelle varie situazioni storiche e nelle differenti culture, c’è bisogno di un insieme di atteggiamenti spirituali, di criteri apostolici e di principi metodologici che ne guidino la prassi. È ciò che ha saputo fare genialmente Don Bosco sotto un’assistenza dello Spirito Santo così costante, da dover affermare che questo suo progetto pedagogico-pastorale è parte integrante della sua «esperienza dello Spirito».

Infatti esso non è semplicemente una formula programmata per il funzionamento di un’opera, né un sistema di concetti per un trattato di pedagogia, ma una «saggezza operativa» e una «criteriologia pastorale» della mente e del cuore dell’educatore: evangelizzare educando ed educare evangelizzando attraverso la ragione, la religione e l’amorevolezza!

A ragione il grande Papa Paolo VI, alludendo ai valori permanenti del Sistema Preventivo, ha detto: «I principi umani e cristiani nei quali si basa la sapienza educatrice di Don Bosco portano in sé valori che non invecchiano. Ma è difficile scoprirne il segreto, giacché tale incomparabile esempio di umanesimo pedagogico cristiano... affonda le sue radici nel Vangelo».29


Infine, un’ultima componente da considerare è quella di una forma peculiare di vita evangelica. Don Bosco ha scelto per i suoi Salesiani (e lo conferma poi anche più chiaramente con ciò che ha voluto per le Figlie di Maria Ausiliatrice) la forma di vita religiosa, contrassegnata da una priorità dell’obbedienza (in vista della missione) e da una maniera «familiare» di vivere e di lavorare «insieme». Sappiamo quanto è costato a Don Bosco questo progetto e come lo ha assicurato pazientemente con la redazione e l’approvazione papale delle Costituzioni.

L’essere «Congregazione religiosa» e non «Istituto secolare» o una delle altre possibili Associazioni della Chiesa, non è un fatto spiritualmente indifferente per il gruppo interessato e, nel nostro caso, per tutta la Famiglia Salesiana; è, al contrario, un elemento integrante e qualificante l’«esperienza di Spirito Santo» vissuta e trasmessa dal Fondatore a quel determinato gruppo. Ciò influisce anche su tutta la Famiglia spirituale del Fondatore in quanto, attraverso tale gruppo, le assicura un centro dinamico e condensato di identità e di vitalità.

Don Bosco è stato ispirato dall’Alto a volere per noi una determinata forma di vita evangelica, duttile e adattata ai tempi, agile e disponibile per la missione tra la gioventù, di armoniosa permeazione tra autenticità religiosa e cittadinanza sociale (vedere, per esempio, il sogno del Personaggio dai dieci diamanti, in Atti del Consiglio Superiore, n. 300), tra fedeltà alla sequela del Cristo e duttilità ai segni dei tempi, stabilendo nelle Costituzioni degli elementi di «diritto spirituale», espressione anch’essi di un’ispirazione carismatica. Infatti, nel mistero della Chiesa come «sacramento» di salvezza, che è simultaneamente «Corpo di Cristo» e «Tempio dello Spirito», non c’è opposizione tra «elementi istituzionali» e «valori carismatici»; c’è piuttosto un interscambio vitale per cui si danno — nella nostra particolare «esperienza di Spirito Santo» — anche degli aspetti istituzionali che appartengono, di fatto, al carisma del Fondatore.

Così fa parte del patrimonio ereditato da Don Bosco fondatore, per noi SDB e per voi FMA, anche uno speciale progetto comunitario di vita evangelica.

Tutto questo era opportuno premetterlo per poter parlare con più concretezza e profondità di ciò che ammiriamo e celebriamo come speciale opera di santa Maria Domenica Mazzarello, lo «spirito di Mornese».



L’APPORTO ORIGINALE DI MADRE MAZZARELLO


Nel primo articolo delle vostre Costituzioni si afferma: «S. Giovanni Bosco ha fondato il nostro Istituto... Santa Maria Domenica Mazzarello, partecipando in modo particolare e con fedeltà creativa al carisma di fondazione, è divenuta nell’Istituto Madre e Confondatrice».30

Quale sia stato il compito fondazionale di Don Bosco per il vostro Istituto e quale il ruolo di collaborazione di Madre Mazzarello lo possiamo veder riassunto in una preziosa testimonianza lasciataci dal Card. Cagliero. «Incaricato da Don Bosco della direzione del nuovo Istituto — afferma il Cagliero — dovevo sovente conferire con lui per avere sicuro indirizzo nella formazione dello spirito religioso e morale delle suore. Egli, sempre amabile, mi tranquillizzava con dire: “Tu conosci lo spirito del nostro Oratorio, il nostro sistema preventivo ed il segreto di farsi voler bene, ascoltare ed ubbidire dai giovani, amando tutti e non mortificando nessuno, ed assistendoli giorno e notte con paterna vigilanza, paziente carità e benignità costante. Orbene, questi requisiti la buona Madre Mazzarello li possiede e quindi possiamo stare fidenti nel governo dell’Istituto e nel governo delle suore. Essa non ha altro da fare e altro non fa se non uniformarsi allo spirito, al sistema e carattere proprio del nostro Oratorio, delle Costituzioni e deliberazioni salesiane; la loro Congregazione è pari alla nostra; ha lo stesso fine e gli stessi mezzi, che essa inculca con l’esempio e con la parola alle suore, le quali, alla loro volta, sul modello della Madre, più che superiore, direttrici e maestre sono tenere madri verso le giovani educande”».31

Che bella e acuta testimonianza questa del Card. Cagliero! In essa si percepisce chiaramente che Don Bosco è Fondatore anche dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che la sua esperienza carismatica si allarga in tale direzione e che l’esperienza di Madre Mazzarello è tutta illuminata e polarizzata verso quella del Fondatore, verso il «patrimonio salesiano», che essa vive ed esprime fecondamente al femminile.

E possiamo qui evidenziare anche un altro aspetto, certamente delicato ma assai importante.

La fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice non riguarda unicamente la vita indipendente del medesimo in un futuro a sé stante; ma concerne pure il suo inserimento nel progetto carismatico globale di Don Bosco: la sua Famiglia spirituale e apostolica, quella che allora esisteva.

Don Bosco, infatti, ha vincolato intimamente l’Istituto con la sua Congregazione, ne ha coinvolto il dinamismo apostolico e la progettazione missionaria, ne ha aperto i servizi verso l’Associazione dei Cooperatori.32

Egli era stato ispirato dall’Alto non solo a fondare la Congregazione dei SDB o l’Istituto delle FMA perché avessero uno sviluppo e una storia autonomi, ma a fondarli perché fossero vocazionalmente, spiritualmente e apostolicamente consanguinei, membri di una stessa Famiglia Salesiana, per percorrere, in solidarietà di spirito e di missione, le strade del futuro nel servizio alla gioventù.

Ha voluto, perciò, che il vostro Istituto trovasse una fonte di unità, di sostegno e di animazione nella Congregazione dei SDB da lui esplicitamente fondata sui doni e sulle funzioni del ministero sacerdotale.

Non pensiamo, per carità, a far affiorare nessun genere di dipendenza: «la loro Congregazione è pari alla nostra»; pensiamo piuttosto alla realtà e all’importanza della comunione: «ha lo stesso fine e gli stessi mezzi... del sistema e carattere proprio del nostro Oratorio». Ieri la nostra mutua comunione si esprimeva con una determinata modalità giuridica; oggi la forma giuridica è un’altra, più in consonanza con la promozione sociale ed ecclesiale della donna. Ciò che importa è evidenziare che un fedele sguardo alle origini ci interpella profondamente su una nostra maggiore sensibilità di Famiglia.


La costellazione delle origini


Risulta davvero arricchente approfondire la figura di Madre Mazzarello, non in modo isolato e quasi a sé stante, ma situandola nel gran quadro di riferimento del «patrimonio salesiano» di Don Bosco Fondatore. Dobbiamo guardare non solo alle sue virtù e meriti personali, ma al posto provvidenziale che occupa nell’ora della fondazione, e metterla in relazione anche con la globalità delle ricchezze spirituali e apostoliche di tutta la nostra grande Famiglia.

D’altra parte, nell’ora di fondazione non c’è solo Don Bosco, anche se egli rimane fortemente al centro, con la sua unicità, come attore principale. Per capire e valutare meglio lui stesso e il dono polivalente affidatogli dallo Spirito, bisogna far riferimento anche (l’abbiamo già accennato) a mamma Margherita, a don Cafasso, a Pio IX, a Madre Mazzarello, a don Rua, a don Pestarino, ecc. Intorno a Don Bosco si muovono, nell’ora della fondazione, delle persone di Spirito Santo e un tessuto provvidenziale di eventi che collaborano nel dare origine al suo grande patrimonio carismatico.

Certo: rimane vero e centrale quanto dicevamo sopra. Tutte queste figure, in ordine al progetto divino sul carisma del Fondatore, sono dei satelliti che lo circondano e l’accompagnano, lo consigliano o lo coadiuvano, ma che non lo determinano in modo sostanziale. L’autore, infatti, del carisma è lo stesso Spirito del Signore, che ha acceso la scintilla del tutto, propriamente nell’intimità nucleare del cuore di Don Bosco.

Ad ogni modo dobbiamo riconoscere che, da questo punto di vista, c’è per noi ancora molto da meditare e da ricercare per prendere giusta visione di tutto il disegno di Dio sulla nostra comune vocazione. Segnalo alcune piste per tale ulteriore riflessione.

Finora si è prevalentemente insistito su ognuna di queste figure quasi per se stessa, in considerazione della personale bontà e attività di ciascuna in riferimento alla propria Congregazione o Istituto. Se le guardiamo dall’ottica più vasta del comune «patrimonio salesiano» e nella più ampia prospettiva della Famiglia di Don Bosco, ne risulta ampliata e meglio identificata la figura storica di ognuno di essi e anche quella dello stesso nostro Fondatore.

In particolare, Madre Mazzarello ci viene a mostrare come il carisma salesiano si è esteso adeguatamente nel mondo femminile. Il suo ruolo proprio è stato specialmente quello di collaborare a creare la «salesianità religiosa femminile»; e così essa è divenuta lo strumento dello Spirito Santo per allargare l’esperienza carismatica salesiana a beneficio anche della gioventù femminile.


La luce propria di Madre Mazzarello


La celebrazione di questo centenario ci offre un’occasione straordinaria per contemplare lo specifico ed importante ruolo di collaborazione fondazionale di Madre Mazzarello come «prima e tipica religiosa salesiana» nella nostra Famiglia e come attiva Confondatrice dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Senza dubbio il supremo Autore del nostro comune carisma è lo Spirito Santo; è Lui che ha ordito il tessuto e ha dotato ogni collaboratore delle qualità necessarie per realizzare con esattezza il ruolo complementare a lui assegnato.

In quanto al vostro Istituto, il sostanziale intervento di Don Bosco nella sua fondazione non solo «non ha fatto violenza al piccolo germe che lo Spirito aveva suscitato in Mornese per opera della Mazzarello»,33 ma ha lasciato esplicitamente più che sufficiente spazio per gli apporti della sua creatività.

Il biografo della Santa conferma questa affermazione asserendo che Maria Domenica, prima ancora di incontrare Don Bosco, «aveva già, per impulso divino, sempre sentita e dimostrata una chiara inclinazione a occuparsi delle fanciulle; ancora giovane nel suo mondo aveva aperto un laboratorio modello per giovanette e fondato un fiorente oratorio festivo senza avere esperienza e forse neppure conoscenza, o almeno avendone poca, di laboratori e di oratori; in casa Maccagno insieme con la buona e mite Petronilla aveva già il minuscolo ospizio; nella casa dell’Immacolata aveva accolte altre fanciulle, e si erano unite a lei per coadiuvarla alcune sue compagne e l’avevano eletta superiora. Quindi la Mazzarello era già a capo di una comunità quando conobbe Don Bosco. Il germe della vocazione pedagogica che Dio le aveva infuso era già, a sua stessa insaputa, molto sviluppato e maturo per grandi frutti. Infatti — conclude — quando conobbe Don Bosco, i suoi programmi e il suo metodo, trovò che tutto ciò corrispondeva pienamente ai suoi sentimenti; e si era subito sentita presa da vivo trasporto per assecondare in tutto il santo sacerdote nel bene».34

Comprendiamo da questo come quella «naturale attitudine» di Maria Domenica, constatata dalle due suore di Sant’Anna (mandate da Don Bosco per aiutare ad avviare la nuova fondazione), di plasmare il nascente Istituto con lo spirito del Fondatore,35 quel «felice studio di imitare in tutto Don Bosco» osservato dal Cagliero36 non ha nulla del plagio di una ingenua contadinella. Era l’adesione cosciente e libera alla interiore chiamata dello Spirito Santo, che aveva trovato in Don Bosco e nel suo carisma la sua ultima esplicitazione, il suo definitivo significato.

Inoltre, Madre Mazzarello, in tale creativo e vitale impegno, porta tutto il peso della sua ricca e forte personalità, della sua capacità d’iniziativa, della sua intuizione, maturata sotto la guida saggia ed esigente di don Pestarino.37 Più si studia il clima, l’ambiente, il tessuto delle origini a Mornese, più si scorge nitida l’impronta lasciata dalla Mazzarello.

L’insieme di questi elementi, fusi armoniosamente nella sorgente delle origini, costituisce ciò che si è bellamente chiamato «spirito di Mornese», che è l’apporto specifico della Mazzarello come confondatrice.

Dobbiamo anzi aggiungere che lo spirito di Mornese è tutto modellato sulla testimonianza viva di Madre Mazzarello; essa lo ha in-carnato palpabilmente nella sua persona durante la sua breve vita di Figlia di Maria Ausiliatrice, e lo ha portato alla pienezza di una frut-tifera eredità spirituale con la sua morte.



IL PROFONDO SIGNIFICATO DELLA SUA MORTE


Madre Mazzarello lasciò definitivamente Mornese il 4 febbraio 1879. Il suo è stato un atto magnanimo di distacco; vi tornò ancora, come di passaggio, il 23 settembre dello stesso anno per la morte dell’amatissimo babbo. Pochi mesi dopo, il 12 aprile 1880, veniva messa in vendita persino la storica prima casa delle FMA a Mornese.

Dal febbraio 1879 al maggio del 1881 trascorrono solo due anni e pochi mesi, che non si qualificano nella storia dell’Istituto per una qualche novità spirituale desunta dalla sede geografica di Nizza Monferrato, quanto per il trapianto sano e fecondo dell’albero di Mornese.

Questo biennio di vita della Madre aggiunge allo spirito di Mornese il collaudo del trapianto totale. Lo possiamo considerare come il tocco conclusivo dello «spirito di Mornese», datogli dalla Mazzarello con il gesto più maturo della sua umile creatività di «prima» Figlia di Maria Ausiliatrice: la sua santa morte.

Questo tocco finale è insieme «gesto perfettivo» e «solenne testamento».

Madre Mazzarello aveva una coscienza perspicua (illuminata dalla sua profonda unione con Dio e sorretta dalle sicure prospettive di Don Bosco) del suo ruolo tanto influente e fondante per l’avvenire dell’Istituto. Perciò curava che l’esperienza emblematica dei primi anni, ossia lo «spirito di Mornese», divenisse un patrimonio ricco, pieno di luce, orientativo e definitivamente tipico, come un modello autorevole curato da Dio per la crescita dell’Istituto. Ci sono delle affermazioni esplicite della Madre, in cui traspare questa sua coscienza di «pietra fondamentale» del futuro grande edificio: «Se quel che dice Don Bosco ha da avverarsi — diceva —, la nostra Congregazione è destinata a spargersi per tutto il mondo; si andrà fin anche nell’America; però se vogliamo che si conservi in essa sempre lo stesso spirito e si faccia sempre del gran bene, è necessario che noi, le prime della Congregazione, siamo non solo virtuose, ma lo specchio nel quale quelle che verranno dopo di noi abbiano a vedere risplendere il vero spirito dell’Istituto. Dobbiamo vivere, operare, parlare in maniera che esse possano e debbano dire: “Che fervore vi era fra le nostre prime sorelle! Che osservanza!... che spirito di umiltà e di povertà!... Che obbedienza!...”. Così esse, seguendo il nostro esempio, potranno continuare a far vivere fra loro il vero spirito dell’Istituto. Perché, dovete sapere che, quando le suore saranno poi tante e tante, difficilmente potranno avere il fervore che possiamo avere noi adesso che siamo poche; moltiplicandosi le suore e ingrandendosi la Congregazione, lo spirito, per forza, ne avrà a soffrire, e lo zelo e il fervore, a poco a poco andranno diminuendo. Così disse Don Bosco che successe in tante Congregazioni. Ma se noi, che siamo le prime, incominciamo ad essere rilassate, se non amiamo, se non pratichiamo l’umiltà e la povertà, se non osserviamo il silenzio, se non viviamo unite al Signore, che faranno poi le altre?».38

Quanto sono santamente semplici ed espressive queste parole che, mentre esalano il profumo di una vera umiltà (simpaticamente ingenua), manifestano il vivo senso di una missione storica ricevuta dalla Provvidenza.


Gesto perfettivo


Ebbene, dicevamo che il tocco finale dell’ultimo biennio, dato dalla Madre allo spirito di Mornese, comportava innanzitutto un gesto perfettivo.

Si tratta di qualcosa che non è stato fatto a Mornese, ma che ne completa e ne perfeziona i contenuti. È il senso profondo e vissuto della propria disponibilità per il Regno e del distacco del proprio cuore assolutamente da tutto (anche da ciò che è umanamente più caro), per cui si è aperti al trapianto: per andare a Nizza, in Francia, in America, o in qualunque continente. Più ancora: è il dono di sé fino all’ultima goccia, fino all’oblazione vittimale della propria esistenza, fino a una morte che sia espressione di amore e, quindi, che ha ancora il significato di un gesto pregno di fecondità.

L’apertura di amore al trapianto, al distacco, alla morte viene così inserita dalla Madre nello spirito di Mornese come suo modo perfettivo e conclusivo. Quello di Mornese è, perciò, uno spirito che non solo permea e fa maturare salesianamente la vita ricevuta, ma che inoltre la effonde nella missione, fino a consentire di donarla in una morte fatta Pasqua.

La Mazzarello visse l’ultimo biennio lontano da Mornese, quasi per completarne il patrimonio spirituale: pensò all’Istituto più che a se stessa, visitò le prime case recentemente aperte, accompagnò le missionarie ai porti spalancati sull’America, andò in Francia, si offerse vittima, si ammalò a St. Cyr (dove fu visitata tre volte da Don Bosco) e rientrò a Nizza per il suo gesto supremo: il tutto come degno epilogo al capolavoro dell’intera sua vita, lo spirito di Mornese.


Solenne testamento


Il decesso della Madre a Nizza sigla la sua opera di Confondatrice con la firma più autentica: quella di un solenne testamento! Solo la morte ci ha potuto far scoprire poco a poco tutto l’apporto, originale e determinante, della Mazzarello al «patrimonio salesiano». Anche per questo tale morte è particolarmente significativa. Finalmente si è potuto scoprire quale sia stata la sua missione storica!

Nella sua funzione di prima Superiora generale, sembrava a tutti che sarebbe stato meglio fosse vissuta di più; invece la morte ci ha svelato che come Confondatrice dell’Istituto aveva già svolto e compiuto ottimamente il suo specifico ruolo.

A chi domandasse perché la Provvidenza ha disposto che gli anni di Superiora generale di Madre Mazzarello fossero di una durata così breve nel confronto di quelli di Madre Caterina Daghero (che le succedette), la quale durò in carica ben 43 anni, la principale e più immediata risposta che si potrebbe dare è appunto questa: a lei è toccato come compito la creazione e la maturazione definitiva dello «spirito di Mornese»; e questo era già definito e compiuto all’aurora del 14 maggio 1881.

Ecco la sua delicata e qualificata responsabilità di Confondatrice.


Il ruolo del «con-fondare»


Il vero ruolo di Confondatrice comincia nella Mazzarello propriamente quando è costituita responsabile del nascente Istituto. In quel momento riceve come una investitura che impregna tutta la sua per-sonalità e le conferisce un ruolo specifico, molto maggiore e più importante di quello di Superiora, anche se è intrinsecamente vincolato con esso.

L’improvvisa morte di don Pestarino, il 15 maggio 1874, neppur due anni dopo la vestizione e la prima professione, potrebbe essere letta in simile chiave. Fu una morte sentita assai dolorosamente da Maria Domenica e dalle compagne perché don Pestarino aveva avuto tanta parte nella nascita e nella crescita della loro esperienza spirituale; e, ad umano avviso, appariva una morte francamente prematura; ma la distanza del tempo e l’ottica della fede ci fanno pensare che la scomparsa di don Pestarino è servita oggettivamente anche a mettere in luce la parte di protagonismo svolta dalla Mazzarello nelle ore della fondazione.

E qui potremmo citare, quasi a paradossale commento, quella sua incredibile, ma spiritualmente assai espressiva affermazione, quasi direi, di ruolo: «Se anche, per un impossibile, don Pestarino lasciasse Don Bosco, io resterei con Don Bosco!».39

Certamente, come abbiamo già detto, la Mazzarelloha sentito e vissuto coscientemente questa responsabilità. Noi oggi ammiriamo il suo ruolo di confondazione come una missione sublime ed un incarico glorioso; ma essa lo ha svolto nella più genuina semplicità, quasi come spontanea espressione di docilità allo Spirito, rivestendolo quotidianamente e naturalmente della massima umiltà.

È curioso osservare oggi che, per un insieme di elementi, ma soprattutto per il naturalissimo atteggiamento di umiltà della Madre (qualcuno arriverà più tardi persino a dire che era «troppo umile» per voler disimpegnare un simile ruolo), si sia dovuto aspettare fino al processo di beatificazione per conferirle appunto il titolo di «Confondatrice»; ed è da rimarcare che tale titolo è stato proposto non in casa (Superiore e Superiori nostri), ma dai competenti della S. Sede che ne stavano analizzando la vita e l’opera; anche se in quell’epoca al titolo non si attribuiva la densità semantica, evidenziata solo in seguito alle illuminazioni del Vaticano II.

on Ferdinando Maccono, che conosceva tanto a fondo la Madre e che era il vicepostulatore della sua causa, aveva accolto con esultanza la proposta fatta da Roma, che però venne in un primo tempo frenata. Solo il 20 novembre 1935 (e non senza posteriori polemiche) rimaneva approvato definitivamente dal Papa Pio XI che alla «Serva di Dio» corrispondeva veramente «il titolo di Confondatrice» dell’Istituto delle FMA.

È un titolo il cui significato concreto non può essere univoco per ognuno dei casi in cui si applica (Benedetto e Scolastica, Francesco d’Assisi e Chiara, Vincenzo de’ Paoli e la Marillac, Francesco di Sales e la Chantal, ecc.), ma deve venir precisato volta per volta, secondo l’attuazione storica della persona a cui si applica, leggendolo evidentemente come correlativo al rispettivo Fondatore, perché si tratta, in effetti, di una confondazione. E nel nostro caso la storia lo illumina nella prospettiva di un Istituto «incorporato» o «aggregato» (i termini sono di Don Bosco) a una Famiglia spirituale comprendente, allora, la Congregazione salesiana e i Cooperatori.40

Non c’è bisogno che io stia qui a enumerarvi i vari argomenti che confermano la validità del titolo; lasciatemi solo citare un brano di una lettera inedita di don Maccono scritta da Nizza il 22 marzo 1935 all’allora nostro Procuratore presso la S. Sede, don Tomasetti: «Mi permetta di manifestarle interamente il mio pensiero [...]. Chi legge attentamente la vita della Mazzarello vede che [...] il Fondatore è Don Bosco: d’accordo; ma chi preparò le future religiose, chi le formò, chi le indusse ad aver caro il sacrifizio ed amare anche la fame — poverissime, anzi miserabili come erano —, chi le sostenne nei momenti più difficili mentre tutto pareva crollare, fu la Mazzarello. Don Bosco, per l’indole sua, per evitare dicerie e contrasti con la Curia di Torino, ecc., visitò poche volte Mornese (una quindicina di volte in tutto) [...]. Chi faceva, era la Mazzarello.

Vi era don Cagliero, don Costamagna; ma tutti e due dopo la morte di don Pestarino. Hanno tutti e due grandi meriti; ma, in confidenza, Le faccio osservare che erano di carattere ben diverso dalla Mazzarello e da don Pestarino, specialmente don Costamagna; e che si deve proprio alla virtù, alla prudenza eccezionale della Mazzarello se le cose andavano e andarono bene. Ella era forte nel fare le sue osservazioni, e per prudenza cedeva sempre, anche quando vedeva che i due prendevano deliberazioni sbagliate (e siccome erano tutti e due umili e retti, lo confessarono poi essi stessi); il governo dell’Istituto quindi era reso alla Mazzarello anche più difficile; le sarebbe stato molto più facile se avesse solamente dovuto trattare con Don Bosco e don Pestarino.

Nella vita della Mazzarello questo non lo dico apertamente, per evitare ammirazioni...; ma sto sempre alla verità, e un lettore attento vede quante difficoltà ha saputo superare la Mazzarello con la sua eroica prudenza, col suo eroico dominio di se stessa, con la sua faccia sempre lieta e sorridente per il suo eroismo di virtù.

Ora per tutto questo e per altri motivi, io per me sono convinto che la Mazzarello merita il titolo di confondatrice».41

Dunque: la morte della Santa è stata, da una parte, un tocco finale allo spirito di Mornese come gesto perfettivo dei suoi contenuti perché divenissero trapiantabili dovunque e sempre; e, dall’altra, ha tolto il velo sull’apporto personale, tanto caratterizzante e significativo, della Mazzarello nell’ora della fondazione.

Il patrimonio centrale di tale apporto è quello «Spirito di Mornese» che costituirà per sempre il sangue vivificatore del vostro fiorente Istituto.



LO SPIRITO DI MORNESE


È certamente assai delicato affrontare in poche pagine il tema tanto vitale e complesso dello spirito di Mornese. Le sue note caratteristiche sono parecchie: non è possibile entrare ad analizzarle una per una, e non è facile discernere i nessi che le legano l’una con l’altra fino a comporre un tutto armonico e vitale.

Vorrei, perciò, limitare la nostra riflessione, che si è venuta sviluppando al di dentro di una visione globale del «patrimonio salesiano», a individuare alcune linee portanti che facciano percepire i lineamenti del volto spirituale della Figlia di Maria Ausiliatrice nella Famiglia di Don Bosco.

Mi sembra questa la forma migliore di celebrare la memoria della morte di Madre Mazzarello: fissarne le fattezze che permangono floride e limpide nella tradizione viva.

Mi rifaccio un po’ a quanto ho predicato io stesso alle Ispettrici tre anni fa.42 E inoltre terrò presente il sogno del Personaggio dai dieci diamanti, di cui lei, reverenda Madre, alcuni mesi fa mi ha voluto ricordare la ricorrenza centenaria (nel prossimo settembre) affinché ne facessi un ricordo o un commento. Mi sono dedicato a studiarlo43 e penso che qualche luce potrà gettare anche qui, ora, su questo tipo di riflessione che vi offro circa lo spirito di Mornese.

Quando mi dedicai a preparare le conferenze alle Ispettrici, arrivato al tema dello «spirito di Mornese» si sono presentate alla mia mente due grosse difficoltà: la prima consisteva nel fatto che la descrizione corrente di tale spirito mi sembrava rispecchiasse una situazione culturale e religiosa ormai superata; la seconda, che in un primo momento non mi apparivano chiare le linee fisionomiche attraenti, indicanti una bella personalità spirituale; mi pareva di vedervi piuttosto un insieme, magari eroico, di pratiche ascetico-morali che, oggi, poteva anche scoraggiare.

Però era solo una prima impressione, simile a quella nebbia mattutina che sparisce con l’alzarsi del sole.

È pacifico che, nel divenire del tempo, nessuna istituzione (neppure la Chiesa) vive più secondo il tipo culturale delle origini: l’ora prima rimane emblematica e i suoi eroismi costituiscono per sempre un ideale trascinante.

Lo stile di vita in Mornese, poi, era anche il riflesso di un «eroismo» imposto da situazioni crudeli e da un tipo di povertà e di mortalità che non era raro in tanti paesi depressi, non solo del Piemonte. Sarebbe antievangelico voler ripristinare oggi una simile situazione. Anche le modalità di ascesi a Mornese ubbidivano a canoni locali e dell’epoca, ormai certamente superati.

A nessuno viene in mente oggi di esigere lo stesso tipo di orario, di cibo, di formazione, ecc. Bisogna saper individuare nella prassi di allora i valori permanenti da riattualizzare alla luce del Vaticano II, rivivendoli e riesprimendoli nelle forme culturali e religioso-ecclesiali di oggi secondo le differenze culturali e di situazione delle case, assicurando la perfetta aderenza all’ascesi cristiana e alla più genuina tradizione salesiana.

Se non si fa questo sforzo di reinterpretazione e di «riacculturazione», care Superiore, Ispettrici e Direttrici, c’è il pericolo (non immaginario purtroppo) di creare false idealizzazioni, conflitti di coscienza e, soprattutto, di presentare lo spirito di Mornese non già come quell’ideale simpatico ed entusiasmante che caratterizza ogni FMA, ma quasi come uno spauracchio da caverna ascetica.

Per fortuna chi è vissuto a Mornese in quei tempi ci ha descritto esperienzialmente il trascorrere delle giornate con pagine immortali, ci ha parlato di «paradiso», e ci ha fatto percepire un «clima pentecostale», ci ha gridato con gioia: «come era bella la vita!» (Madre E. Sorbone).

Di fronte a simili testimonianze le differenze culturali tra ieri e oggi divengono trasparenti. Per me non è stato difficile individuare e ammirare i grandi valori, semplici e potenti, dello spirito di Mornese, che devono permanere non solo oggi, ma sempre nel vostro Istituto.

Quando predicai alle Ispettrici ho anche cercato di risolvere la seconda difficoltà, strutturando le linee portanti dell’eredità mornesina intorno a due centri d’interesse: «l’aspetto mistico» che racchiude l’entusiasmo della vocazione, e «l’aspetto ascetico» che descrive una pedagogia di fedeltà. E dicevo loro: «ho voluto insistere prima sull’aspetto mistico perché penso che forse si è calcato troppo la mano sullo stile fortemente ascetico che maggiormente impressiona alla prima lettura. Ma l’ascesi cristiana è un frutto; bisogna stare attenti, è frutto di una convinta ed entusiastica unione con Dio!».44

Oggi, dopo lo studio del sogno del Personaggio dai dieci diamanti, mi accorgo che quei due centri di interesse possono essere approfonditi, precisati e completati autorevolmente in forma più chiara e quasi scultorea. È ciò che cercherò di fare ora.



Il suo centro di riferimento


Nello spirito di Mornese c’è innanzitutto un dato centrale, ribadito continuamente dalla Mazzarello, che costituisce un po’ il presupposto, l’atmosfera e la struttura organica in cui inserire tutto l’insieme delle varie note: è il «patrimonio salesiano!». Don Bosco appare come un centro catalizzatore che attira tutti gli elementi costitutivi dello spirito di Mornese e dà loro una fisionomia e una consistenza.

Si è detto che a Mornese la Mazzarello e le sue compagne sono state capaci di tradurre al femminile il «dono nuovo» dato dallo Spirito a Don Bosco. È vero, ma l’opera della Mazzarello con le sue compagne è molto di più di una «traduzione».

Oggi si parla molto di «inculturazione» e in certe situazioni, per esempio in Africa, se ne scoprono le particolari difficoltà e la vastità di fondo. Ebbene, la creazione della «salesianità femminile» per opera della Mazzarello si avvicina di più al complicato travaglio di un processo di inculturazione che a quello assai più semplice di traduzione.

A Mornese, infatti, si trattò di vivere e di esprimere con cuore e stile di donna

— sia l’originalità salesiana di Alleanza con Dio attraverso una vita interiore di Fede, Speranza e Carità catalizzate dal dono di predilezione verso la gioventù;

— sia la partecipazione attiva alla Missione della Chiesa con una coscienza viva dell’invio ricevuto da Dio per una specializzazione apostolica a favore della gioventù bisognosa;

— sia lo Stile di vita spirituale creato da Don Bosco a Valdocco (= «un tipico modo ascetico-mistico salesiano») con le sue svariate e significative note;

— sia il Sistema Preventivo come saggezza operativa o criteriologia pastorale nella maniera di realizzare la missione;

sia, infine, la Forma peculiare di vita evangelica secondo una chiara e concreta scelta religiosa, in una Congregazione duttile e adattata ai tempi.


La complessità di questi differenti aspetti fa vedere la delicata vastità e le non lievi difficoltà del lavoro realizzato. Il cosiddetto «spirito di Mornese» è stato impegnato in ciascuno di questi aspetti: è difficile e pericoloso delimitarlo con qualche schema aprioristico.

Ora: abbiamo detto che lo spirito di Mornese è opera della Mazzarello con le compagne. Ma tale spirito si riferisce in tutto, come a faro illuminante, a fonte ispiratrice e a polo a cui tendere, al «patrimonio salesiano» di Don Bosco.

Anche oggi, come ieri alle origini, come sempre nel futuro, lo spirito di Mornese dovrà coltivare, per essere autentico, questo valore centrale: l’attrattiva, la conoscenza, l’assimilazione, la riattualizzazione del «patrimonio salesiano» di Don Bosco.

Assicurato questo presupposto, possiamo individuare le note più salienti che lo caratterizzano, per poi tentarne una lettura un po’ più organica e dinamica.


Le sue note salienti


Quali sono le sue caratteristiche?

Enumeriamo le principali con un certo ordine, ma senza troppe preoccupazioni, in questo momento, di una loro strutturazione organica:


— Innanzitutto: spirito di fede; pietà fervente, semplice, pratica; costante cura dell’unione con Dio: fervore per l’Eucaristia; certezza nell’aiuto della Provvidenza; vivo senso del paradiso; speciale devozione alla Madonna, a san Giuseppe e all’Angelo custode.


— In secondo luogo: energica rottura con i gusti mondani; intima e coraggiosa partecipazione alla croce di Cristo; eroica povertà e senso di mortificazione; delicata e splendida purezza in un continuo esercizio del dominio di sé nella sensibilità e nel cuore; forte abnegazione; permanente temperanza.


— Inoltre: semplicità di vita; buon senso ed equilibrio di giudizio; una spontanea predilezione per l’umiltà; un lavoro incessante e gioioso che dà un tono spartano ad ogni giornata; spirito di famiglia con facile comunione fraterna; convivenza in santa letizia; istintiva e cosciente corresponsabilità; grande obbedienza e senso del dovere; ammirevole esercizio dell’autorità religiosa, partecipata comunitariamente e sostenuta da cordiale fiducia; filiale rispetto per Don Bosco e i superiori.


— E poi: zelo ardente per la salvezza delle giovani nello spirito del sistema preventivo; amore materno, ad un tempo tenero e forte; amore imparziale che sa adattarsi alle debolezze di ciascuna; disponibilità missionaria insieme a un generoso senso di Chiesa; devota adesione al Papa e ai vescovi; magnanimità nelle iniziative apostoliche, assumendo, anche con sacrificio, le esigenze di preparazione culturale da esse richieste.


— Infine: sincero attaccamento alla propria consacrazione religiosa, chiara ed entusiasta coscienza della scelta fatta con la professione e vivo senso d’appartenenza all’Istituto; desiderio di conoscere, stimare e praticare le Costituzioni; ininterrotta preoccupazione e cura della propria formazione e delle nuove vocazioni in continuo arrivo.


Tutto questo costituiva la grande ricchezza spirituale di quella povera, piccola e giovanissima prima comunità di Mornese. In essa tutte le suore contribuivano alla formazione e alla crescita del bene comune, ma chi ispirava e creava e incoraggiava e guidava e dava esempio era Maria Domenica Mazzarello. Ella è insieme la principale creatrice e il primo modello dello spirito di Mornese; nella sua persona si rispecchiano, con forza esistenziale e viva, una per una, tutte le note salienti sopra enumerate.



LE SUE FATTEZZE FISIONOMICHE


E ora permettetemi un tentativo curioso: provare a tracciarvi i lineamenti del volto salesiano incarnato ed abbellito nello spirito di Mornese. La spinta a tentare una simile prova me l’ha data lei, Reverenda Madre. Infatti mi verrà in aiuto qui, come insinuavo sopra, il sogno del Personaggio dai dieci diamanti, letto in chiave «rinaldiana», ossia secondo l’acuta e penetrante spiegazione che ne ha fatto don Filippo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco.

Noi ci fermiamo alla prima scena del sogno. Lo facciamo per tentare d’avere una visione più organica dello spirito di Mornese.

È importante poter abbozzare questa visione più organica perché l’originalità e l’indole propria di una vita spirituale non sta tanto nell’elenco delle sue note: esse, infatti, comportano delle virtù che sono sostanzialmente uguali in tutti gli impegni di santità; sta piuttosto nella loro disposizione, nella loro simmetria e armonia globale, nei loro mutui legami e in certe sottolineature che ne costituiscono la fisionomia specifica.

I diamanti del sogno indicano le note salienti della vita spirituale salesiana: non stanno a designare propriamente una lista di «virtù», ma piuttosto degli atteggiamenti e dei valori esistenziali che caratterizzano uno stile concreto di vita.

Prima di spiegare i contenuti dei singoli diamanti (cinque sulla parte anteriore: Fede, Speranza, Carità,avoro e Temperanza; e gli altri cinque sul dorso del manto: Obbedienza, Povertà, Premio, Castità, Digiuno), don Rinaldi sottolineava nella visione: innanzi tutto il «Personaggio» con il manto, come un tutto; poi la sua «posizione frontale», ossia il Personaggio visto di fronte o in faccia; e poi la sua «prospettiva posteriore», ossia il verso del manto.

er don Rinaldi il Personaggio che porta il manto e in cui si uni-ficano, come in un solo splendore, le luci di tutti i diamanti, è Don Bosco.

La sua posizione frontale con la peculiare disposizione dei cinque diamanti sul petto e sulle spalle mostra il volto della vita spirituale salesiana, ossia quei lineamenti fisionomici che devono essere bene visibili ed apparire chiari a tutti.

E la sua prospettiva posteriore con la studiata disposizione degli altri cinque diamanti descrive la nervatura, di per sé non immediatamente visibile (quindi da mantenere piuttosto riservata), che da tergo infonde consistenza ed energia di costanza a tale vita; racchiude i segreti del vigore salesiano.45

Ebbene: io direi che risulta assai suggestivo applicare questa triplice prospettiva del sogno a un tentativo di lettura organica dello spirito di Mornese.


Il Personaggio


Al centro, come personaggio che sostiene il tutto e a cui convergono le linee portanti delle caratteristiche sopra elencate, c’è Don Bosco con la sua affascinante esperienza nello Spirito. Ne abbiamo già fatto cenno or ora; e quanto detto, anche se assai breve, è per noi, qui, già sufficiente.

Qual era la preoccupazione di fondo di Maria Domenica Mazzarello, delle sue giovani compagne e anche di don Pestarino a Mornese?

Guardare a Don Bosco! Essere totalmente coinvolte nel suo progetto perché ispirato dall’Alto.

Per incarnare nel nuovo Istituto tale esperienza nello Spirito e rivestirla delle doti, della bellezza e delle qualità femminili, c’era bisogno di duttile creatività e di spirituale maternità, entrambe sature della massima e persino minuziosa docilità e fedeltà al Fondatore.


Lineamenti fisionomici


La disposizione dei cinque diamanti nella posizione frontale del manto ci aiuta ad individuare le fattezze del volto salesiano delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Mornese.

Innanzitutto il diamante del cuore: la Carità, nel suo duplice slancio: verso il mistero di Dio e verso i bisogni della gioventù. Fervore di unione con Dio con l’intensità femminile della sposa; e zelo ardente per la salvezza delle giovani con le finezze della madre: un cuore di vergine sposa permeato dal dono materno della predilezione verso la gioventù.

E poi sul petto, vicino al cuore, i diamanti della Fede e della Speranza: l’uno, con la caratteristica di una permanente visione divina della realtà e della vita, sottolinea nello spirito di Mornese il clima soprannaturale e la profonda pietà; l’altro, indicando le ragioni della coscienza e della magnanimità nella progettazione apostolica, sottolinea che lo spirito di Mornese è costruito sul fondamento di un sicuro aiuto dall’Alto, soprattutto da parte dei due risuscitati: Cristo e Maria. Il Cristo presente e fatto cibo nell’Eucaristia; Maria presente «in dolce atto d’amore» come Ausiliatrice.

Questi primi tre diamanti mettono in luce l’assoluto primato di alcuni valori nello spirito di Mornese: quello dei dinamismi teologali («le virtù dell’alleanza!») che permeano ogni atteggiamento della Figlia di Maria Ausiliatrice e costituiscono il nucleo che dà personalità e brio a tutta la sua vita spirituale.

La strenna di quest’anno ci ricorda precisamente che l’elemento di maggior grandezza della Mazzarello è quello d’aver saputo imitare e sviluppare in sé la vita interiore secondo l’originalità caratteristica di Don Bosco.

Finalmente sulle spalle, ma davanti e bene in vista, i diamanti del Lavoro e della Temperanza. Nel Personaggio del sogno questi due diamanti sono lì a sostenere tutto il manto. Don Bosco insisteva enormemente su questo binomio «Lavoro e Temperanza»; essi faranno fiorire le nostre Congregazioni.

Più sopra ho voluto annoverare, tra i dati significativi del tessuto «prenatale» dello spirito di Mornese, due brevi consigli di Don Bosco a Maria Domenica e alle Figlie dell’Immacolata: «Pregate pure, ma fate del bene più che potete»; e il secondo punto dell’orario programma del 1869: «amore al lavoro; mi mantengo col sudore della mia fronte!».

Sono consigli decisamente caratterizzanti.

Il «lavoro» incessante fu certamente una delle note salienti della vita a Mornese; un lavoro accettato e spontaneo, impastato di amore e di allegria, fatto con umiltà e serenità. Un lavoro arricchito femminilmente anche dalle preoccupazioni domestiche della cucina, della guardaroba e della pulizia della casa.

È interessante osservare come Don Bosco, quando tratta della preghiera con le sue suore in formazione a Mornese, quasi istintivamente passa a far cenno del lavoro. Per lui, sappiamo, la pietà si esprime nel lavoro disinteressato, sacrificato; ed il lavoro, così come lui lo intende, non è né concepibile né possibile senza una intensa e profonda pietà: una pietà, però, che non si colloca a fianco del lavoro, ma che lo penetra totalmente e gli dà il suo ultimo significato.

Poi, la «Temperanza», ossia la misura in tutte le cose; la dobbiamo vedere rispecchiata nella semplicità di vita, nel sano criterio o buon senso, nello stile austero e insieme sereno di ogni giornata, mai fatto di modi grossolani, ma abbellito sempre dalla gentilezza femminile, nel dominio di sé e nel discernimento degli altri con acutezza e anche con un po’ di furba intuizione femminile.

Ecco: queste sottolineature «del volto» nello spirito di Mornese indicano ciò che una Figlia di Maria Ausiliatrice deve saper «mettere in vetrina», ciò che esprime la sua fisionomia sociale, ciò che rende simpatica alle giovani e a tutta la gente l’indole propria della vocazione salesiana di Don Bosco.


La nervatura ascetico-religiosa


Infine, sul dorso, la nervatura del rigore e della costanza.

La disposizione dei cinque diamanti della parte posteriore del manto svela il segreto ascetico e religioso che assicura la possibilità e anima il vigore e la costanza della vita spirituale della Figlia di Maria Ausiliatrice.

Vorrei notare subito che è soprattutto nel vasto ambito di una pedagogia ascetica che c’è bisogno di saper «tradurre al femminile», in forma delicatamente adeguata e assai particolare, lo stile salesiano di Don Bosco.

È qui che ha avuto una intuizione ed una creatività tutta sua la Madre Mazzarello. Qualcosa di questo ci lascia intendere il biografo, forse senza volerlo, quando, facendo un confronto tra l’educazione ricevuta da Don Bosco e quella ricevuta dalla Mazzarello, afferma che l’uno, «come colui che doveva avere per i giovani e figli spirituali, non solo affetto di padre, ma cuore di madre, era stato formato alla virtù da una madre piissima, accorta e virile; Maria Mazzarello, invece, fu formata alla virtù specialmente dal padre, come quella che, alla dolcezza propria della donna, doveva aggiungere la fermezza dell’uomo, nell’educare le fanciulle e dirigere le consorelle».46

Tocca a voi, care sorelle, percepire e custodire tanti elementi più particolarmente caratteristici della vostra eredità in questo campo: quelli che ormai, dopo ben cento anni di vita vissuta e di tradizione collaudata, possono considerarsi, diciamo così, autorevolmente confermati.


Il fulcro dell’Obbedienza. Al centro del quadrilatero brilla l’obbedienza, verso cui convergono gli altri raggi.

Se voi scorrete le conversazioni fatte da Don Bosco alle suore di allora, troverete che, nel loro insieme, mettono chiaramente in evidenza l’atteggiamento di allegra obbedienza. Dai criteri che egli dà a don Pestarino per discernere quali dovranno essere le «pietre fondamentali» dell’Istituto (= «quelle che sono ubbidienti, anche nelle cose più piccole»),47 fino all’ultimo ricordo che sul letto di morte lascia alle sue Figlie («Ubbidienza: praticarla e farla praticare»),48 domina la priorità dell’obbedienza. Egli vuole che si dia molto peso all’obbedienza religiosa,49 poiché, come il sacco senza cucitura «lascia sfuggire ogni cosa, così la religiosa, se non ha la cucitura dell’obbedienza, non può conservare nessuna virtù e cessa di essere religiosa».50 Certo, lo stile gioioso d’obbedienza spontanea, cordiale, filiale, è possibile solo con un certo stile veramente materno (non maternalista) di esercizio dell’autorità.

L’obbedienza religiosa comporta un forte e quotidiano senso d’appartenenza al proprio Istituto (a Mornese era tale, che dava vita al nascente Istituto!) e una conoscenza di simpatia accompagnata da una assai pratica volontà di applicazione delle sue Costituzioni.


Il diamante della Povertà sottolinea nello spirito di Mornese la rinuncia alle comodità, la fuga da ogni imborghesimento e la volontà di prescindere dalle affettazioni della moda; nella cura, però, del decoro della persona e della dignitosa e modesta presentazione di sé. Il senso comunitario dei beni (pochi, in verità!) e la dipendenza nel loro uso era naturalissimo e quasi istintivo a Mornese.

L’aspetto apostolico della povertà: i destinatari, lo stile, i mezzi, erano, si può dire, il clima stesso di tutto il paese. Di lì non poteva nascere un Istituto per gente-bene, per aristocratici. Anzi, Don Bosco ha dovuto mandare qualche signora e due suore dell’Istituto della marchesa Barolo per coltivare un certo stile e certe esigenze culturali che sono indispensabili a delle suore educatrici della gioventù.

È bene non dimenticare questo blasone delle vostre origini, come Gesù non ha mai dimenticato Betlemme e Nazareth (...«che cosa può venir di buono da Nazareth?»). Deve servire ancora oggi per guidare la scelta preferenziale per i poveri, fatta non con illusorie ideologie classiste, ma motivata dalla «beatitudine della povertà» nel discorso della montagna e vissuta tanto profondamente e gioiosamente dalla Vergine Maria.


Lo splendore della Purezza. Don Pestarino, presentando Maria Domenica a Don Bosco, la definisce «un giglio di purezza».51 La sua non era una castità ombrosa piena di tabù o di complessi, ma serena e disinvolta. «Posso attestare — dice un’allieva di quei tempi — che la castità era la sua virtù prediletta [...]. Nel suo portamento, nel suo vestito, nei suoi discorsi appariva in tutto modesta, e raccomandava tanto alle ragazze questa virtù».52 E «in queste raccomandazioni metteva tutta la sua anima, e le parole le uscivano dal cuore così vive e accalorate che le fanciulle restavano santamente impressionate ed eccitate a praticarla».53

La Madre voleva la disinvoltura, la nettezza, la simpatia, ma non le moine e i gesti e gli atteggiamenti sdolcinati.

Le sue preoccupazioni pedagogiche in questo campo erano esigenti proprio in vista di poter applicare l’amorevolezza del Sistema Preventivo. Penso che, in questo punto, Maria Domenica abbia dovuto proporsi e risolvere vitalmente un problema nuovo e importante.

Sappiamo che per Don Bosco «l’educazione è cosa di cuore», e che una carità che si traduce in bontà, in simpatia, in amicizia, ossia in «amorevolezza», è il cardine del suo progetto educativo. Sappiamo che nella casa salesiana non basta che i giovani siano amati, ma che essi stessi «sappiano di essere amati».54 La trasposizione di tutto ciò in un ambiente salesiano femminile doveva certamente far sorgere qualche difficoltà; il rischio era o di lasciarsi travolgere dall’emotività e dal sentimentalismo, compromettendo sia la propria consacrazione nella castità sia l’azione educativa, o comprimere talmente i movimenti del cuore da tradire il sistema educativo di Don Bosco.

Nella Memoria storica del Card. Cagliero vien riportato il seguente discorso che la Madre ha fatto alle suore di Mornese: «...Noi che abbiamo la stessa missione verso le giovanette, dobbiamo usare del cuore come Don Bosco: ma Don Bosco è un santo, e noi non lo siamo ancora; perciò dobbiamo temere di noi stesse, perché per natura noi e le ragazze siamo più cuore che testa! e, per giunta, cuore sensibile, attaccaticcio e debole».55

Il Cagliero ci ha conservato anche un’altra testimonianza: «Ricordo come nell’ultima sua malattia, nell’ultimo colloquio con me, la sera prima della sua morte, mi raccomandasse, dopo gli interessi dell’anima sua, la vigilanza sulle velleità del cuore, le tendenze alle sdolcinature ed affezioni troppo umane e sensibili che pareva si fossero introdotte nella comunità».56

Madre Mazzarello risolse brillantemente questo problema con l’esempio della sua vita. Essa, che da don Pestarino è detta «di cuore molto sensibile»,57 «esercitava l’ufficio di superiora da vera madre; non aveva sdolcinature, era piuttosto risoluta, ma aveva tanta persuasiva».58

Enrichetta Sorbone, ripensando ai primi anni, testimonia che «il suo era un governo energico, risoluto, ma amorevole: ci trattava con franchezza sì, ma ci amava come una vera mamma religiosa; aveva un non so che, che ci trascinava al bene, al dovere, al sacrificio, a Gesù, con una certa soavità, senza violenza; essa vedeva tutto, prevedeva il bene e il male di tutte le figlie, pronta sempre a provvedere sia per il fisico che per il morale, secondo il bisogno e la possibilità».59

Ho creduto bene dilungarmi un po’ su questo aspetto perché porta con sé tanta parte dell’ascetica salesiana e perché ha costituito uno dei punti più delicati nell’opera di trasposizione al femminile del patrimonio salesiano di Don Bosco.

Nella nostra spiritualità ha un’importanza speciale questo aspetto che va più in là della castità in se stessa, perché va alla ricerca del suo «splendore»: non solo essere casti, ma brillare per un simpatico splendore della nostra purezza.

Ad ogni modo, nonostante tutta questa importanza ed originalità, nonostante ciò che sappiamo di quanto Don Bosco insistesse sulla purezza, il sogno colloca il diamante della castità sul retro del manto e in subordinazione all’obbedienza. C’è da riflettere al riguardo!


Al di sotto del diamante della Castità c’è quello del Digiuno. Don Rinaldi ci dice che non si riferisce solo al cibo e alle bevande, ma alla mortificazione dei sensi, quasi ad indicarci che l’amorevolezza salesiana ha bisogno dello splendore della purezza, ma che ciò risulta impossibile senza una disciplina d’ascesi.

Ora, se c’è qualcosa nello spirito di Mornese che appare a chiunque in forma chiara e concreta ed emerge quasi prepotentemente dalla biografia della Madre e dai primi tre volumi della Cronistoria, è precisamente la familiarità quotidiana con la mortificazione e l’abnegazione. Si viveva a Mornese un’energica rottura con i gusti mondani e una generosa e industriosa partecipazione alla croce di Cristo. Ci basti ricordare la memorabile conferenza di Madre Mazzarello alla fine del 1880: «La vita religiosa — afferma quasi in testamento — è, di per sé, una vita di sacrificio, di rinunce e di privazione; la vita di comunità e l’ufficio impongono già spesso di mortificarci... e basterà così? No, no! Una buona suora non si accontenta di quello che le circostanze portano con sé; ma trova il modo di andare più avanti per amore del Signore, delle anime e della sua povera anima. C’è la mortificazione della testa, della volontà, del cuore, dei sensi; c’è l’obbedienza, c’è l’umiltà, che sanno domandarci tanto, anche se nessun occhio e nessun orecchio umano se ne accorge. Sorelle e figlie mie: povertà e mortificazione, obbedienza e umiltà, osservanza delle Costituzioni e castità, sono tutte virtù così unite fra loro da farne come una sola. [...] Se vogliamo farci sante... (chi è che non lo vuole?... si alzi in piedi quella che non lo vuole!...) dobbiamo praticarle tutte queste virtù; l’abbiamo giurato innanzi all’altare, e i nostri angeli custodi l’hanno scritto a caratteri d’oro, per ricordarcelo spesso e mettercelo innanzi nell’ora della morte». E conclude: «Siamo suore sul serio, e l’anno nuovo sia davvero, per tutte, vita nuova!».60

A Mornese l’abnegazione e la mortificazione erano proprio di casa; Don Bosco stesso manifestava al Cagliero «la sua grande sorpresa» di trovare tanta capacità di distacco dal mondo e di slancio verso il mistero della croce;61 anzi, gli sembrò quasi esagerata; infatti, dopo lo stillicidio delle morti in giovane età, interverrà più volte direttamente per moderare il rigore del tenore di vita.62

In quanto a un certo settore di mortificazione particolarmente utile alla psicologia femminile, la Madre insisteva sui seguenti aspetti: «Fuggire la vanità che impedisce ogni bene, essere sincere a qualunque costo, perché l’ozio è la ruggine dell’anima».63 Insisteva sovente contro la vanità e l’insincerità. «I difetti che più sovente combatteva erano la vanità, l’ambizione e i raggiri e ci inculcava assai — depose madre Eulalia Bosco — di cercare di comparire belle dinanzi a Dio e di imitare la Madonna».64 Altrove si afferma che «come a Mornese, così a Nizza, i vizi contro i quali parlava più spesso erano la vanità e la finzione e guai se si accorgeva che qualcuna avesse detto la bugia o fingesse una bontà che non possedeva».65

L’esigenza di un «digiuno ascetico» tocca, dunque, le fibre vive del cuore, dei sensi e della psicologia femminile.

Quasi a conclusione di tutto questo intenso impegno ascetico, mi pare opportuno, anzi sintomatico, ricordare anche il famoso sogno delle castagne, in cui vengono suggeriti a Don Bosco alcuni criteri di discernimento dell’idoneità delle candidate alla vita dell’Istituto. Anche questo aiuta a precisare certe esigenze dello spirito di Mornese.

«Fa’ la prova — dice la donna del sogno — a metterle nell’acqua dentro la pentola. La prova è l’ubbidienza... Falle cuocere. Le marce, se si premono con le dita, schizzano subito fuori il brutto umore che hanno dentro. Queste gettale via. Le vane, ossia vuote, salgono a galla. Sotto con le altre non istanno, ma vogliono in qualche modo emergere. Tu prendile con lo schiumatoio e buttale. Bada ancora che le buone, quando sono cotte, non è presto fatto a ripulirle. Bisogna prima levar via la scorza, poi la pellicola. Ti parranno allora bianche bianche; eppure osserva bene: alcune sono doppie: aprile e vedrai nel mezzo un’altra pellicola, e lì nascosto c’è dell’amaro».66

La metafora rivela tutto un delicato esercizio di discernimento e di pedagogia ascetica.


Infine, il diamante del Premio. Lo sguardo al paradiso e l’intima sicurezza del premio è come l’atmosfera di tutta l’ascetica salesiana. Lo si vede chiarissimamente anche a Mornese. Ma qui vorrei mettere in luce uno speciale tono familiare, più sottolineato dalla delicatezza e dall’intuizione femminile.

Innanzitutto ci troviamo in una specie di «pedagogia del paradiso»: è la cura dello spirito di raccoglimento nei tempi di silenzio. Per noi oggi, immersi in una civiltà tecnica bombardata continuamente dal frastuono di tante sensazioni, è importante sottolinearne il valore ed il significato. «Perché — si domandava Madre Mazzarello — una suora deve essere silenziosa? Per poter unirsi più facilmente a Dio e parlargli; per fargli conoscere i suoi bisogni, per ascoltare la sua voce, i suoi consigli, i suoi insegnamenti! Se una suora non parla, ma pensa alle cose del mondo e si perde in pensieri vani, inutili e sta investigando quello che si farà o si dirà di lei, se pensa alla buona riuscita d’un lavoro o ad una parola udita qua e là... ditemi: questa religiosa avrà osservato il silenzio? Eh no! Perché avrà taciuto materialmente, ma il suo cuore e la sua mente avranno sempre parlato, e non saranno stati uniti a Dio».67

Così, l’esercizio del raccoglimento nel silenzio deve essere come uno squarcio di paradiso aperto sull’orizzonte della giornata di lavoro.

Ma poi c’era in casa una concezione assai concreta del paradiso, che implicava l’amicizia e il dialogo con persone vive, presenti, che erano proprio di famiglia, aiutavano, davano gioia, animavano, consolavano, lenivano, infondevano coraggio e assicuravano la costanza.

Enrichetta Sorbone l’ha descritto per sempre con quella penetrante espressione: «Qui siamo in paradiso, nella casa c’è un ambiente di paradiso!».

Ebbene, le due principali persone che ricordano costantemente a Mornese l’ineffabile valore e significato del premio, sono i due risuscitati: Cristo e Maria! Essi proclamano in casa, ogni giorno, cosa c’è, per noi, più in là della croce!

Può essere emblematico, al riguardo, un episodio della vita di Mornese. Si narra che «fra tanti volti sereni, fa contrasto un giorno la fronte triste di una postulante: “Perché sei così seria?”. “Non ho fatto la comunione stamattina!... e la giornata mi è lunga, lunga... e non finisce più e con quel fuoco che iersera ha cercato di accendere nei cuori la Madre! O Gesù mio, perdonatemi. In questa casa non si può vivere senza la comunione!”».68

Veramente, usando la pittoresca espressione di Mons. Costamagna, Gesù «la faceva da assoluto padrone in quella casa»: era alla Sua presenza che si viveva e a Lui si ricorreva per alimentare la comune letizia e stemperare le eventuali angosce.

E insieme a Cristo, l’altra presenza di paradiso, che faceva assaporare il gusto del premio, era quella della Madonna, viva e sollecita, considerata la vera Superiora della comunità: la Mazzarello si sentiva la sua «vicaria», e perciò «usava ogni sera deporre ai suoi piedi la chiave di casa».69 Mi azzarderei ad affermare che tutta l’ascesi della Mazzarello aveva un’ispirazione mariana: gli aspetti ascetici dello spirito di Mornese come la docilissima obbedienza, la spontanea povertà, lo splendore della purezza, la riserbatezza della mortificazione, della semplicità e dell’umiltà, il sacrificio del dono di sé in una totalità materna e in un costante ed affettuoso riferimento a Gesù, portano nettamente l’impronta di Maria. In tal modo che, guardando la vostra prima comunità a Mornese, la Madonna potrebbe dire, come della basilica costruita per Lei a Valdocco: «Questa è la mia casa; da qui uscirà la mia gloria!».



IL FASCINO DELL’IDENTITÀ SALESIANA

ALLA SCUOLA DI MADRE MAZZARELLO


Ci eravamo proposti per la nostra riflessione di approfondire il primo obiettivo che avete formulato per le vostre celebrazioni centenarie: «riscoprire lo spirito di Mornese per rinnovare in esso le comunità».

Ebbene, penso che qualche luce al riguardo l’abbiamo trovata, anzi, da parte mia vi posso dire d’aver gustato di più e con gioia, alla scuola di santa Maria Domenica Mazzarello, il fascino della nostra identità salesiana.


Un lungo percorso


Sono partito da lontano con delle riflessioni generali; mi sono accorto, cammin facendo, che abbiamo situato la nostra riflessione nel cuore stesso dell’identità salesiana: percepire che si tratta di un «dono nuovo» nella storia della Chiesa, un dono originale e attuale, dotato di grande vitalità per il futuro. Lo sguardo alle origini è stato come un allenamento per il rilancio. Guardare con nitidezza, attraverso tante persone ed eventi, l’unità di un progetto che non poteva dipendere né dalla genialità di Don Bosco, né dalla santità della Mazzarello, è stato un rassicurarci che si tratta di una iniziativa del Signore guidata dalla sollecitudine materna di Maria: un «dono», una «esperienza di Spirito Santo», un «carisma».

Sì: noi chiamiamo questo patrimonio salesiano «il carisma di Don Bosco» perché lui ne è stato il portatore e realizzatore primo, il «Fondatore»: un’alleanza originale con Dio e uno stile di vita e di apostolato che, come un fiume, sorge da lui e si inoltra fecondo nella storia, formando una grande Famiglia in comunione di vocazione.

Abbiamo cercato di determinare con cura e fedeltà le componenti di tale esperienza, già chiare e definite, anche se in seme, a Valdocco.

Ci siamo rallegrati nel constatare che, nel disegno di Dio, tale carisma doveva estendersi anche in favore della gioventù femminile; così abbiamo potuto ammirare, in forma umanamente inspiegabile, tutto un magnifico tessuto provvidenziale di preparazione, in cui la partecipazione originale e creativa di Maria Domenica Mazzarello svela l’unità del progetto divino e ce ne mostra il fascino; ben a ragione, dunque, Pio XI ha qualificato la Madre con l’espressivo titolo di vera Confondatrice dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Il suo apporto, infatti, è stato caratteristicamente fondazionale: in pochi anni (dalla professione alla morte non arrivano a dieci!) essa realizza, guida e assicura quella cosiddetta «traduzione» della salesianità di Don Bosco al femminile che è come il suo capolavoro e la più grande eredità spirituale che ha lasciato: lo spirito di Mornese.

Ci siamo dedicati a meditarne le ricchezze, non solo per individuare i suoi contenuti (sebbene in modo molto sintetico), ma per coglierne le linee portanti, lo stile di vita e di azione, la fisionomia, ciò che di esso deve apparire di più per farsi amare dalle giovani ed entusiasmarle, e ciò che (anche se conviene piuttosto nasconderlo al pubblico) ne è la nervatura, la difesa e il serbatoio di tutto il suo vigore.

Tutto questo l’abbiamo fatto per aiutare a riscoprire, con senso di attualità, il suo straordinario valore; per rivalutarne le ricchezze nell’unità del «patrimonio spirituale» di Don Bosco; per risvegliare così il fascino della nostra identità salesiana.


Un chiaro proposito


Adesso tocca a voi, care sorelle, programmare la realizzazione della seconda parte dell’obiettivo «rinnovare le comunità nello spirito di Mornese!».

Fatelo come memoria rinnovatrice del messaggio di vita che vi ha lasciato santa Maria Domenica Mazzarello con la sua morte!

Nell’ultimo suo giorno, ci dice la Cronistoria, mentre sta parlando con sforzo a madre Caterina Daghero, interrompe un momento, «si raccoglie in se stessa e, a sollievo proprio e della vicaria, ricorda: “Che padre buono abbiamo in Don Bosco! Egli è tutto, per l’Istituto, io sono niente! L’opera sua è di Dio e della Madonna; e nella sua virtù e nel suo consiglio, come mi ha assicurato don Cagliero, l’Istituto avrà sempre il suo appoggio!”.

Nel pomeriggio torna il direttore generale [don Cagliero], e la Madre lo intrattiene per circa tre quarti d’ora sugli interessi dell’anima sua, su certi difetti che pare vadano facendosi strada in alcune delle sue figlie, e per le quali scongiura di provvedere al più presto affinché, col tempo, non abbiano a compromettere il buono spirito dell’Istituto. E termina con un atto di profonda gratitudine e di preghiera: “Oh, che grazia mi ha fatto il Signore di essere e morire sposa di Gesù, figlia di Maria e di Don Bosco! Ah, che questa grazia la faccia pure a tutte le mie sorelle, che ho sempre tanto amato e che spero di avere per sempre in cielo!”.

Quando don Cagliero le rinnova la sua benedizione anche a nome di Don Bosco, l’inferma si accende in volto ed esclama! “Questa benedizione del caro padre, dopo quella di Dio, è per me il massimo conforto!”».70

Questo straordinario atteggiamento della Madre verso Don Bosco, riespresso nel momento solenne che conclude di fatto il suo compito terreno di Confondatrice, dev’essere valorizzato ed approfondito continuamente. C’è in esso tutto un «orizzonte aperto», e la Madre vi si affaccia con la massima fiducia.

nfatti, se lo spirito di Valdocco esisteva già prima di quello di Mornese, la missione di Don Bosco fondatore era ancora in atto mentre egli viveva; per la Mazzarello, il «patrimonio salesiano» non era ancora collaudato con il gesto perfettivo della morte di Don Bosco. Per lei è bello e normale guardare a Don Bosco come «segno ancor vivo» dello Spirito, aperto a nuove possibilità di sviluppo e a nuovo eventuale adeguamento della sua «scintilla prima» alle mutabili esigenze dei tempi.

Io credo che possiamo trovare qui il grande messaggio di questo nostro centenario: intensificare l’identità salesiana guardando a Don Bosco «vivo» nella Chiesa, che continuamente cresce fino alla statura perfetta del Cristo!



Ma è bene, finalmente, che io concluda!


Reverenda Madre Ersilia Canta e care sorelle tutte, leggevo in un bel libro recente alcune profonde riflessioni di un teologo ortodosso, Pavel Evdokimov, sul tema «la donna e la salvezza del mondo». Vi si sottolinea il profondo legame che si scopre nella storia della salvezza tra lo Spirito Santo e il femminile.

Secondo una famosa espressione ortodossa, nell’intimità di Dio «lo Spirito è la “maternità ipostatica”, esso rivela il Figlio al Padre e il Padre al Figlio». E, nell’economia terrena, lo Spirito discende su Maria per far nascere per noi il volto del Padre; nell’ora dell’incarnazione interviene non come sublimazione dell’opera dell’uomo, ma facendo sì che Maria partecipi delle ricchezze della maternità in una chiarissima verginità. E così, quando discende sugli apostoli il giorno di Pentecoste, fa nascere la Chiesa, Corpo di Cristo; e quando discende nell’Eucaristia sul pane e sul vino fa nascere la presenza reale della carne e del sangue di nostro Signore. «Secondo la profezia di Gioele (citata da Pietro il giorno di Pentecoste) lo Spirito lavora attraverso il tempo; e trasforma il corpo della storia in corpo del regno».71 È un lavoro di «maternità!».

L’opera dello Spirito è una sollecitudine di maternità! E la Chiesa, che è il Suo tempio, è mossa da Lui per una funzione materna nel tempo. Anche i grandi carismi dei Fondatori sono doni dello Spirito per questa feconda missione ecclesiale. Perciò è importante che in una Famiglia religiosa ci sia una forte presenza femminile che sappia intuire con particolare acutezza e realizzare con delicata generosità i valori e i compiti della propria vocazione nella Chiesa.

Quando all’origine di una corrente spirituale il Signore aggrega ad «un uomo insigne»72 anche una «donna insigne», allora introduce in quella «esperienza di Spirito Santo» una prospettiva di missione e di crescita particolarmente importante e promettente. La arricchisce con una fine sensibilità per lo «spirituale»; le assicura una speciale sintonia con la maternità della Chiesa e con una premurosa fedeltà ai suoi ideali; la fortifica contro certe tentazioni di secolarismo ateo, le quali sogliono rivelarsi «essenzialmente maschili nell’atrofia del senso religioso della dipendenza dal Padre».73

Se pensiamo, d’altra parte, al profondo significato che ha nella rivelazione il binomio «uomo-donna», ci apparirà più perfetta una Famiglia spirituale così composta. Uomo e donna formano, insieme, nell’Eden, l’«immagine» vivente di Dio; ognuno di essi svela, in forma complementare, qualcosa dell’insondabile Sua intimità. Nel mistero della Trinità due Persone sono inviate per la nostra salvezza, il Verbo e lo Spirito Santo; esse proiettano le fattezze della loro personalità nel volto di Cristo (Verbo incarnato) e in quello di Maria e della Chiesa (Tempio dello Spirito). Cristo e Maria, nuovo Adamo e nuova Eva, sono le primizie della risurrezione che proclamano insieme l’immagine definitiva del grande Mistero.

Ebbene: nelle grandi Famiglie spirituali, cominciando da quella di sant’Agostino e di sua sorella (innominata, ma che diede inizio, con delle compagne, all’esperienza femminile della Regola agostiniana), e poi giù con san Benedetto e santa Scolastica, san Francesco d’Assisi e santa Chiara, ed altre sante coppie di Fondatori, la presenza della complementarità femminile è segno di una peculiare pienezza e importanza del carisma, della sua feconda longevità e della sua ricchezza di apporti alla missione della Chiesa.

Se tutto questo è vero, vorrà dire che l’apporto femminile di santa Maria Domenica Mazzarello e dello spirito di Mornese al carisma salesiano è solo incominciato nel passato e deve crescere nel futuro. Non può ridursi a una specie di privilegio da contemplare all’interno dell’Istituto, ma dev’essere un compito da realizzare in più coraggiosa espansione. Voi, care sorelle, siete dunque chiamate a vivere in attualità la vostra preziosa complementarità spirituale e a farla fruttificare. siete chiamate a proiettare la vostra salesianità femminile più in là del vostro Istituto; non tenetela nascosta, non vivete in essa quasi con dei complessi e sulla difensiva, ma con entusiasmo e convinte del suo valore ecclesiale e storico, facendo sentire vivo nel mondo il suo fascino spirituale. La vostra testimonianza rinvigorirà l’intero patrimonio spirituale di tutta la Famiglia salesiana.

Con Madre Mazzarello guardate a Don Bosco! Riascoltate ancor oggi i suoi primissimi consigli: «Pregate pure, ma fate del bene più che potete, specialmente alla gioventù». «Crescete nell’esercizio della presenza di Dio; amate il lavoro; portate a tutti amabilità e gioia; siate nella Chiesa ausiliatrici per la salvezza!».

E Don Bosco, e Madre Mazzarello, ottengano al vostro Istituto e alla nostra grande Famiglia di maturare in quella santità salesiana che farà di noi tutti insieme dei veri «segni e portatori» dell’amore di Dio alla gioventù.

Abbiate un quotidiano ricordo della Famiglia Salesiana e, in essa, del successore di Don Bosco nelle vostre preghiere.

Con affetto nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 13 ---------------------------------


1 Cost SDB 1

2 Cost FMA 1

3 DON RINALDI, Strenna per l’anno 1931

4 MR 11

5 cf. LG 41-42; PC 1

6 PC 2b

7 ib. 2a

8 ib. 2b

9 cf. MR 11

10 LG 50

11 cf. MB X, 597

12 Cronistoria dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice III, 432 - Roma, FMA 1977

13 MR 11

14 Nei Documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II non si usa mai l’espressione «carisma del fondatore»; se ne descrivono, sì, alcuni elementi, ma si usa la terminologia «spirito dei fondatori», «ispirazione primitiva degli istituti», «lo spirito e la finalità dei fondatori», «particolare vocazione dell’istituto», «indole propria», «ispirazione primitiva degli istituti» (cf. Lumen Gentium 45; Perfectae Caritatis 2. 20. 22; Christus Dominus 33. 35,1; 35,2; ed anche Ecclesiae Sanctae II 16,3). Il testo da consultare è quello latino; (purtroppo molte traduzioni sono state affrettate e improprie).

Il primo uso ufficiale (nei Documenti del magistero) dell’espressione «carisma dei fondatori» lo troviamo nell’Esortazione Apostolica Evangelica Testificatio del papa Paolo VI. In tale documento, rinnovarsi «secondo il carisma dei fondatori» significa mettere in pratica quanto dicono i Documenti conciliari riguardo alla fedeltà «allo spirito dei fondatori, alle loro intenzioni evangeliche, all’esempio della loro santità» (Evangelica Testificatio 11).

Un chiarimento autorevole dell’espressione di Paolo VI «carisma dei fondatori» lo troviamo poi nel documento Mutuae Relationes, dove si presenta una descrizione globale della realtà di tale carisma. In essa convergono vari aspetti (sia nell’ora fondazionale, come nella susseguente tradizione genuinamente vissuta): «un’esperienza dello Spirito trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita»; ciò «comporta anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato, che stabilisce una sua determinata tradizione, in modo tale, che se ne possono cogliere adeguatamente le varie componenti» («eius obiectiva elementa»; Mutuae Relationes 11).

Ecco perché non abbiamo voluto assumere una certa terminologia che potrebbe rinchiudere la visione del «carisma di Don Bosco» e dello «spirito di Mornese» in un’ottica riduttiva.

15 MB X, 6

16 MB III, 548-550

17 MB XII, 78

18 MB VII, 664

19 MB VII, 49

20 MB III, 247

21 RICCERI L., ACS n. 272, pag. 10

22 MR 11

23 cf. ACS n. 272, pag. 10

24 cf. la Strenna di quest’anno: La vita interiore di Don Bosco, Roma 1981

25 cf. Eb 5, 8

26 MR 15

27 Cost SDB 2

28 Cost FMA 1

29 Discorso al PAS, 26 ottobre 1966

30 Cost FMA 1

31 Memoria storica del Card. Cagliero scritta nel 1918 e conservata nell’Archivio della Casa Generalizia delle FMA, citata da MACCONO F., in Santa Maria D. Mazzarello - Confondatrice e prima Superiora Generale delle FMA I, 274 - Torino, FMA 1960

32 Le prime Costituzioni dell’Istituto portavano significativamente questo titolo: Regole e Costituzioni per le Figlie di Maria Ausiliatrice aggregate alla Società Salesiana (Torino 1885; Cronistoria III 431ss). Nella prefazione, poi, Don Bosco, concludendo una lista di intenzioni, scrive: «Pregate altresì per la Pia Società Salesiana alla quale siete aggregate, e non vogliate dimenticarvi di me che vi desidero ogni felicità» (ib. 432).

Sappiamo bene quanto madre Daghero e don Rua e tutti si preoccupassero e soffrissero per una retta applicazione del famoso decreto Normae secundum quas del 1901, perché, se si era obbligati a cambiare la forma giuridica di aggregazione, nessuno in Famiglia voleva che questo incidesse sulla realtà fondazionale e spirituale della profonda comunione salesiana (cf. CAPETTI G., Il cammino dell’Istituto nel corso di un secolo II, 202ss - Roma, FMA 1973). Il decreto esigeva la separazione degli Istituti femminili di voti semplici dalle rispettive Congregazioni maschili.

Più tardi, un altro decreto del 19 giugno 1917, con cui la S. Sede nominava il Rettor Maggiore dei SDB (pro tempore) Delegato Apostolico per le FMA, reintroduceva un qualche legame giuridico che, salvando l’autonomia propria l’Istituto, ne richiamava la vincolazione spirituale (cf. ib. III 115ss). Ciò avvenne in seguito alla supplica rivolta dal Card. Cagliero al Papa Benedetto XV, il quale benignamente stabilì e decretò che il Rettor Maggiore fosse nominato Delegato Apostolico per un quinquennio. Il decreto venne rinnovato alle successive regolari scadenze, fino a quando, con altro decreto del 24 aprile 1940, tali facoltà del Rettor Maggiore furono incluse nell’elenco dei Privilegi Salesiani concessi da Pio XII.

Le forme giuridiche possono ben cambiare. Ciò che conta è la nostra fedeltà alle origini e l’impegno reale di crescita nella mutua comunione di spirito e di missione.

Don Albera commentava la sua nomina a primo Delegato: «Cammineremo così insieme, in modo che le nostre menti e i nostri cuori, uniti a Don Bosco, ci aiutino a raggiungere lo scopo a cui egli mirava per i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice».

Madre Daghero, dal canto suo, in una apposita lettera-circolare che palesava tutta la sua gioia, rifaceva un po’ la storia dell’Istituto, la sua dimensione mariana, e ricordava che Don Bosco, appunto per ispirazione di Maria, aveva voluto l’Istituto fin dagli inizi «con lo stesso spirito e l’identica missione della Società Salesiana» (ib. II, 119-120).

33 COLLI C., Contributo di Don Bosco e di Madre Mazzarello al carisma di fondazione dell’Istituto delle FMA - Roma, FMA 1978, pag. 92

34 MACCONO S., S. Maria D. Mazzarello I, 239

35 cf. Cronistoria II, 26

36 ib. II, 106

37 cf. MACCONO S., o.c. I, 29-30

38 MACCONO S., o.c. I, 399-400

39 Cronistoria II, 106

40 cf. nota 32

41 Dall’Archivio centrale della Congregazione - Casa Generalizia SDB, Roma

42 cf. VIGANÒ E., Non secondo la carne, ma nello Spirito - Roma, FMA 1978, pag. 101-124

43 cf. ACS n. 300 (ve ne raccomando la lettura!)

44 VIGANÒ E., o.c., 113

45 cf. il mio commento, in ACS n. 300

46 MACCONO, o.c. I, 6

47 MB X, 598

48 MB XVIII, 502

49 Cronistoria II, 37

50 Cronistoria II, 339

51 MACCONO, o.c. I, 206

52 ib. 121

53 ib. 122

54 MB XVII, 111

55 MACCONO, o.c. II, 135

56 ib. 234

57 MACCONO, o.c. I, 207

58 MACCONO, o.c. II, 239

59 ib. 240

60 Cronistoria III, 300-301

61 cf. MACCONO, o.c. I, 148

62 cf. Cronistoria II, 235-236. 249-250; MACCONO, Ib. II, 59-60

63 Cronistoria I, 127-128

64 MACCONO, o.c. I, 421-422

65 ib. II, 104

66 MB XV, 366

67 MACCONO, o.c. I, 400

68 Cronistoria II, 363

69 MACCONO, o.c. I, 310

70 Cronistoria III, 388-389

71 EVDOKIMOV P., La donna e la salvezza del Mondo, Milano, Jaca-Book 1980

72 LG 45; PC 1-2

73 EVDOKIMOV, o.c., 154ss